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Raccolta di poesie di Donatella Pezzino
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

La casa dei venti

Hanno portato via gli specchi,
i bicchieri dal lungo gambo
e il vapore del caffè fatto fresco
che ingialliva i tuoi fiori di stoffa. Nudo
di sole il muro ricorda
le ombre che amavi: una piccola testa ricciuta,
l’angolo di un finto Velàzquez, la tua vestaglia
d’estate
dimenticata appesa. Non rimpiangerle.
Come l’aria
troverai nuovi modi per confonderti
con gli odori che avevi perso
nelle lunghe lontananze

*

Svernare

Sei una stagione che non esiste.
Non hai braccia
e non hai gambe; caldo
e mosche vecchie ti muoiono in grembo
come su acini non colti. Chiusa
nel tuo pistillo
hai germinato inverni di tazze a tema,
fra i Limoges e i fiori di vetro: lunghi
inverni. Lividi. Buchi sulle foglie.
Piccole mani
su cui riflettere. I tuoi capelli
sfioravano la terra; mi respiravi dentro,
forse. Ma c’era il gelo
e non ti ho sentita

*

Giacinti

Mi sei rimasto
sotto le unghie

 

come se ti avessi
strappato la pelle. E quanto vorrei
che quel resto di linfa non germogliasse
rami spogli e petali caduti, come invece accade

 

quando d’inverno c’è odore di giacinti
e la nudità delle ore mi somiglia.

*

Che differenza c’è

E’ giugno

 

e c’è brina sui vetri; e c’è
che anche solo sfiorarci le spalle

 

ci ridà i vecchi odori delle pesche
masticate con la sabbia. Ma chissà

 

a cosa pensi davvero, ora che mi racconti
l’ultimo rimedio per i capelli, ora che niente

 

ci assomiglia; tutto precocemente vizzo; e noi
sempre più monche di giorni, di occhi
e di isole ferme

 

a contare le cicche fra le dita dei piedi
aspettando un caffè

*

Il tuono di notte

Notte di grondaie, di cortili; notte
di semafori rossi che tremano
nelle pozze, come giunche

– e io che fermo il vento –

 

io, atroce stasi
di un volo
mancato

 

come un pesce sopravvissuto
galleggio fra i detriti
di un cielo
rotto

 

io: una scheggia
di conchiglia
esplosa

 

che nel buio
ha abortito
i colori

 

*

Alle cinque

Non ho finito il ricamo. Fuori il tempo è asincrono,
ghiacciato su una coincidenza causa-effetto che disconosce
gli arabesque del tuo lungo filo di perle sul mio braccio. Al chiarore

 

allampanato e oscillante delle ore rispondi
che abbiamo trascorso gli ultimi tramonti ad ammaestrarci
per diventare filtri di tè smunti e biscotti assaggiati

 

e che non ci risveglieremo mai
dentro un giorno perfetto

*

Retrospettiva

Si sopravvive a tutto: al tubetto del dentifricio spremuto
all’inverosimile, per illuderti che non sia finito

 

ai contorcimenti inchiodati su tacchi d’occasione, una sera
che decidi di mascherare l’insonnia agli angoli

 

al calore pluviale della tua tazza sporca che ti manca
il giorno che hai finito il caffè e ti menti dicendoti
che in fondo puoi farne a meno. Si sopravvive

 

a tutto; tranne che alle lacrime
sotto gli occhi chiusi

*

Alla fine

L’intonaco piove
sui vecchi piatti, sulla foto di tua madre. L’aria

 

fa rumore: senti i ricordi
gridare tutti insieme, come grondaie
sotto un’unica pioggia. Ora che

 

la museruola stringe,
vuoi pane bianco, e silenzioso. Vuoi

 

un orecchino già visto, e vapori di cucina
intorno a gonne senza gambe; la litania

 

del venditore di gelsi
e le notti dei fiori, di una dolcezza amara;

 

guardarmi e non vedermi,
alla fine

*

Paralleli

Non chiedermi

 

da dove venga il suono del grammofono
nell’atrio scrostato; forse dietro
lo sfacelo degli stucchi

 

siamo già vento fra le spighe, estensione
ritmica di uno spazio-tempo

 

dove non serve strofinarsi le labbra
per renderle più rosse. Tutto si riduce

 

allo spessore di un muro. Qui
guglie come albatri ci osservano dall’alto
mentre in silenzio strangoliamo margherite

 

con le dita gialle di polline
e di bugie adulte

*

La camera oscura

Dalle forcine tirate strette spuntano
ali di carta, e ciocche come bracci. E’ già

 

inverno. Culleremo bozzoli malati

 

dentro tulipani venati di grigio: e pioverà. Fumi antichi
scoloreranno l’ottone degli specchi. Il lampadario

 

sarà un trapezio senza rete

per pianti nascosti

*

La resa

Le corolle non si aprono

 

in attesa dell’abiuro. Abbiamo rinnegato il confine
fra il mento e il petto, perso il sostegno delle pietre sterili

 

che ci nutrivano. Siamo falsi
dipinti; nudi malfatti

 

senza cornice. Arrenditi. La stoffa lisa
continuerà a brillare

 

come un vetro
incastonato nel fango

*

Penelope

Questo non reggere la distanza

 

fra la schiena e il filo d’erba; e disfare
goccia a goccia le rugiade che abbiamo mischiato
alle manciate di fanghiglia. Tutto è detto. Provi a scrivere

 

di me: l’autostrada all’alba
resta il margine di un foglio bianco. Ti aspetto. Saranno ombre
sporche e lune invisibili: non importa. Saranno posaceneri
stracolmi, di una cenere sola.

 

Ti aspetto.

*

Come polvere


Mi rifaccio il verso: bianca

 

d’emoglobina ferma, imitazione pacchiana di un falso
non riciclabile. Sono rimasta incastrata

 

in una vecchia serranda. Niente più scorre: tutto si bagna
due volte nello stesso fiume. Mentre io
ho sandali, effimeri sandali

 

fatti di legni nodosi. Non mi salveranno le mele tardive
avvolte nella plastica a bolle; ormai

 

smozzico le mie colpe come pane
e vendo sogni smessi

 

a metà prezzo

*

Double-face

Voglio chiudermi in una scatola di scarpe

 

essere la chimera di un ragno
in qualche punto scosceso del muro; sondare

 

l’irraggiungibile spazio-tempo dei tanti peace&love
spiaggiati su immaginari piattini da tè

 

come limoni spremuti. In una vita precedente
ero carta da scrivere, morta ingiallita
e senza una parola. Preferisco

 

scegliere da sola il mio fagotto di stracci
per abortirmi, semmai

quando tutto sarà dannato

*

Non ancora

Aspetto un tram che non passa mai
sperando che sia l’ultimo; l’occhio fissa

 

la pozzanghera più livida
e scontenta, fingendosi specchio
per non guardare il fondo. Ho imparato

 

a rifrangere la luce: basta una guancia
gialla d’ocra, e un braccialetto
di vetri rotti. Così mi cerco

 

la curva della schiena; come il folle
che segue la sua bara

*

Il deserto bianco

Siamo figli di un abbraccio ostile. Il tempo
è una bulimia che ci vomita addosso
attimi nudi; sottopelle

i trucioli si spacciano per frammenti di un ipotetico sé
troppo vivisezionato. E anche oggi non resta acqua
per i tuoi fiori: appassiranno. Saranno capelli

 

lasciati ingrigire sul pettine

senza una carezza

*

Ricordami

Mi arrendo

 

lascio visi immaginari, a piantonare le tende

nel nero insonne che mi nutre. Lascio

emisferi sbavarmi addosso

 

nel pomeriggio già lunare: lattescenze. Spazi vitrei
senza importanza, e cornicioni feriti

 

fuori dal cerchio perfetto. Lascio. Sarò la madre
mai nata, per sgravare finalmente il dolore

 

da tutti i miei vuoti

*

ll suicidio dei vasi comunicanti

Un trito delle solite impronte
premeditate, sul labiale che sa di pesca

 

e poi l’estate, che vuol essere
ostinatamente dozzinale; lo zenit

 

ti sorprende in certe bottegucce, al prezzo
di pochi vetri colorati. Di sera
non sei che saliva di zucchero
su un vetro

 

nel brillio untuoso
che dovrebbe farti bella. Verranno
le lanterne, e scopriranno la nuca

 

e verranno gli occhi
a raccontare l’amarezza delle gioie
anche se tu non vuoi

*

Anemone

Dicono che si può

 

attingere luce dal sole, e ossigeno
da piccole mani chiuse a pugno

 

su una vecchia falange invelenita; ma io
vengo a riva lentamente, e non sento

 

il rosso delle cortecce appese ai furori tenui

 

e illusori del primo mattino. Cullami tu allora
tu che hai braccia d’acqua, a volte

 

e la bocca sporca di terra

per il canto dolce di un silenzio
che non mi tradisce

*

C’era la nebbia

Probabilmente
avevi le mani troppo sporche di cioccolata

 

per accorgerti delle mandorle

che fiorivano sui gusci; probabilmente

 

avevi primavere violente
fra lo smalto sbeccato dei vasi

e la ruggine sulle siepi di cipresso. Ormai

 

carne e petali di gerbere

hanno confuso gli odori: e chissà se ancora

 

ti chiedi perché i lecci sonnecchiano
all'ombra dei terrapieni

*

Caffè e sigarette

Dei tuoi quadri, più grandi delle pareti
non mi sono chiesta la provenienza; d’altronde
seguire il cadenzato di una posa o contare gli ombrelli

 

sarebbe come dare un colpo di phon a una mosca

e pretendere che voli per colpa mia. Voglio invece di te

 

un ritratto virale: e dipingerti io
come un gelone d’estate

 

o un apoplettico colpo di spugna, o il jolly
dentro un mazzo di carte truccate. La morte
è uno stato ipocondriaco, lo so: in virtù
di che

 

tu galleggi in acque buone
tra un silenzio che fa chiasso

 

e le ghirlande senza fiori

*

Idola

Arrivi al punto che tutte le voci ti collassano
una sull’altra, come piani di un crollo annunciato; impossibile
distinguere la voce di un bambino dal latrato di un cane. Puoi solo
immaginare nuche albine, perlescenti. E pensare che di queste pseudo-vite
da tramonto aranciato sullo sfondo sia più cosciente la tua tazza incrostata
di caffè vecchio e di smunte certezze; che siano più cariati gli smalti
bianchi lucenti a contatto con le frasi fatte e gli animaletti
swarovsky in ordine finto-sparso-casuale; che vivremo
e moriremo come un boccone sputato a terra
e poi rimesso in bocca

*

La penombra non riflette

Comprami ancora lo zucchero filato: ad un tuo cenno

darò le spalle al capezzale, come tu vuoi. E pioveranno bonbons sui mattini di pietra
e tele di ragno da scatole dipinte: come tu vuoi. Ci sarà un filo bianco a imbastirci
l’eco della pelle rimasto nello specchio, e una risacca opaca di bicchieri sporchi
a implorarmi di addomesticare la luce. Peccato sia tardi: la sera

 

ci sgretola addosso un buio di zinco e di rami spezzati. Così

mastico radici amare, immaginando di esserti ancora

 

e odiando la terra meschina

sopra i tuoi piedi

*

Origami

Non posso dire, onestamente

 

a quale capo del nylon sia legato l’amo

né quale istinto d’ubriachezza mi faccia abboccare

 

dalla parte giusta; so soltanto che oggi la stanza
ha i muri gialli di stanchezza, e fiori al metanolo

 

sulla carta da parati; e tutto ciò a dispetto del sole
che dilata la pupilla, rabbuiando le macchie sulla cerata

 

senza finzioni. “Ecco il senso di poche frattaglie pensanti
appiccicate alle dita!” diceva un demiurgo rimestando nella noia

 

e pensando che la polvere prima o poi
mi avrebbe dato un nome

*

Morgaine

Ho il vizio

 

di masticare confetti andati a male
di giocare con la colla che s’appiccica alle mani

 

e vivo di stanchezze
ripetute, di ossari a scomparsa

 

vivisezionando l’aria nella plastica a bolle
mentre mi eclisso dietro un dito

*

Fragmenta

Troppe rose oggi, mio Dio
troppe rose: la cipria

 

non rende giustizia al sudore
sotto le luci. E’ una ribalta triste il piano

di fòrmica, con le piccole ditate sbiancate a forza

 

e le impronte dei piatti ancora caldi; ho mille
occhi spiritati dentro gli occhi, e mi stordisco

 

nel ricordo della lacca sulle tue mani tozze
e del sopracciglio ad ala di gabbiano. Di te

 

restano barchette
di vetro, che mi insegnavi a riempire di sogni

 

e il suono dolce di una vecchia arpa
senza più corde

*

Caramelle amare

L’asfalto è irrespirabile, sarà l’afa
o la corda bagnata intorno al collo, chissà.

 

Le crepe ispessiscono la pelle, fra una spina e l’altra
ma lo specchio è ipocondriaco, s’ammala d’illusione.

 

Continuo a correre coi tacchi a spillo sulla grata
ignorando i vetri rotti.

*

La città dei fiori chiari

La signora delle bambole si chiamava
Clara: la vetrina

 

berciava immagini di plastica viziata
e il mio piccolo cappotto, e il tuo

 

in frammenti sparsi. C’erano balconi
dai gerani violenti

 

e fa diesis urlati
dietro tende sempre chiuse; c’erano

 

fiori chiari
sulle tue mani

 

sottili
come giunchi d’acqua

*

Lavati la faccia

Io sono l'angelo straccione che parla con gli ubriachi
senza nome, sui binari della metro
porgendo loro l'ultima sorsata.

 

Sono il ponte divelto di una città fantasma
sono il pane azzimo, la terra smossa
la pioggia acida sui campi.

 

E sono lo scheletro legnoso d'un fiore che sguazza
dentro l'acqua putrida, vecchia di tre giorni
supplicandosi di sbocciare

 

una volta ancora.

*

Erato

Vermi anaerobi
mi cingono la fronte di mirto.

 

Le mie braccia cariche di mussola
gettano in aria mucchi di parole
per vedere se cadono in piedi.

 

Non ho apostatato dall’ anafora volatile
che si nasconde dietro un filo d’erba:

 

in gola, un sapore di muffa e foglie morte

mal rimasticate

*

Potresti

Potresti attutire il rumore che faccio
cadendo; con le mani invece
rabbocchi quello che non manca
e mi peschi a caso
dal sacco delle foglie. Ho voglia
di liquirizia: ma non ricordo più la strada
che porta alle tue tasche. Sotto la lampadina
a risparmio
si diventa letargici, ragionando d’uva buona
e del mare sotto i treni e delle lenti da lettura
che ti sperdi per casa. Fuori l’ autunno
ostenta certi fiori piccoli
che quando li calpesti fanno un silenzio
odoroso e impotente; ma tanto, mi dici,
verrà la pioggia a lavare via
la terra nera dal mandorlo

*

La carezza invisibile

Ti sento nei capelli, inaspettata.
Nell’aroma del mio cuscino cosparso di fiori.

 

In punta di piedi, leggera come un silenzio
arrivi col vagito del sole appena nato.

 

Esiste una gioia che mi riscopre bambina
a respirare la luce nel palmo della tua mano.

 

E sono carezze immaginate, e sussurri d’ombra
sul piede che sprofonda tra le foglie ancora vive.

 

Cosa aspettano le lacrime, infrattate come pioggia
cosa rubano al tempo i nostri abbracci fatti d’aria?

 

Ora che sei tornata
temo lo spuntare del giorno.

*

La dodicesima casa

Buio

 

ma non abbastanza da farmi marcire
serenamente nell'angolo

 

grano ammucchiato, dimenticato al vento
quando la falce è meglio dell'oblio

 

non ho raccolto sole oggi, sul lato bruno delle spighe
solo il gelo dei migliori inverni

 

tramontati in fretta, e silenziose voragini
di notti, immense come chiese

 

come braccia mai sazie di tutti i petali bianchi
che ho seminato per la via.

*

Arcobaleni bianchi

Cos’è il passato, in fondo?

Solo un enigma basculante
a disposizione dei perdenti di passaggio.

 

Non è più tempo di parallelismi anemici
da sfogliare con una sola mano, quella reietta.

 

Ho stilato liste di tutte le astenie possibili
ma è troppo tardi per gestirmi nell’attrito delle spore:

 

per corroborarmi, ormai
ho solo la mia nuda, furiosa indecisione.

 

E in sottofondo,
la percussione delle mie latenze
sull’ipossia delle foglie stese ad appassire.

 

Eppure, non tutto è perduto:
resta mia
la solitudine dei chiodi.

*

Rampicanti

Scheletro
dentro scheletro, per riempire di noi
il garrulo abisso di una crepa sul muro

 

ormai,
che il vento sia spranga o carezza
sul rantolo silenzioso dei nostri anni

 

abbiamo
nel sangue il mormorio dell'acqua
e il pianto sommesso di un cielo antico

*

Tralci

Ti compiango, così come sei

 

mio verde,
intollerabile riflesso
tracotanza di linfe annacquate, di sottigliezze ritrite

 

grato alle fragranze
struggenti, all'amore brutale della nuda pietra

 

e confuso,
sulla genesi di quel frutto guasto
che potrebbe appartenere a me

 

o al parto isterico
di una mantide pentita

*

Volare ancora

Avevo troppa neve sul cuore
da tenere stretta; odiami allora

 

ogni volta che il mio passo ti accarezza le ciglia
senza vederle. C'è un che di biondo adesso, un profumo

 

di legna, e di mosto nel vuoto che si è fatto dentro; ali
che ho glissato da tempo, nuda come una foglia sulle scale

 

in una sera di fuochi.

*

Nell’ultimo filo di vento

E io amo i tuoi contorni
disillusi, il tuo respiro sfiorito; sei da afferrare

 

a piene mani, come grano
fra le dita in corsa. Senti, amor mio, quanti sussurri

nell'aria, quante romanze antiche? Sai come ti amo?

 

T'amo dalla culla

d'un tempo lontano, quando i sassi

sgualcivano le tasche, perché mi perdessi

 

in un ultimo disperato

filo di vento. Ritrovarti nel bacio

di una stella tardiva, alla fine della strada!

 

Nel tramonto
siamo ombre che odorano
di arance, e di illusioni perdute.

*

La lunga notte del poeta

Oh, quanto invecchia sverminarsi al passo!
La mia è la poesia dei biscotti pestati, della pelle smunta.

 

E’ lo spleen di un epigono, un cataplasma d’uva acidula

sulla nevralgia di un sorriso sublimato a ghigno.

 

Annega nauseabondi mazzetti di viole
nella fanghiglia triste di una suola ribattuta.

 

Usa i punti metallici con la sparachiodi
per appiccicare uno sputo al foglio.

 

E non ha nulla da offrire
a parte il rantolo muto degli sterpi al vento

 

e la morte lenta d'un fiore solo.

*

Un granello di sabbia nel vento

Ho seminato
tracce, volubili come imposte
lasciate a sbattere contro il lamento della notte.

 

Ho raccolto gusci
spiaggiati di sogni, incantato
pelli di serpente, tessuto ragnatele per gli occhi.

 

Oggi l'onda mi si ritira sulle braccia.

 

Ecco la marea
scura, che gonfia il petto e poi lo svuota.

 

Torno ad essere la noia, le ossa, la polvere negli angoli.
Il sasso che rimbalza sul livido piattume d'un giorno sprecato.

*

Linfa d’autunno

Foglia sgualcita, trasvolo lungo il fiume

 

dove l'acqua
ha le tue braccia, e un retrogusto

 

di lacrime mentre mi accoglie. E' lo stato larvale

della farfalla che rientra nel bozzolo, e che s'appaga

 

d'ovattato niente, rinunciando alle ali che ha bruciato
tra il calore del grano maturato al gelo

 

e il profumo struggente di un giorno che non torna

*

Dammi un nome

Alitando controvento
m’involo su pedane di cromatismi spuri
viatico il seppia
scuoto al vento gli schizzi di colore
mentre scricchiolo sotto il peso delle nubi
e nel sonno embrionale
ritorno pioggia allo sgravarsi delle ciglia
forse il parto di quell’ unica onda repressa
che non ha mai raggiunto
l’abbraccio della riva

*

Pelle e vetro

Via i muri; da tutte le parti mi premono alberi,
alberi sulle gambe come radici mozzate,
alberi a sventrare l’orsacchiotto che sa

 

e grida di vento, vento che fa le foglie rosse
e le mie labbra rosse, e le ferite più rosse

 

e grida che ammutoliscono i sogni, sogni
da due lire di una bimba che non pesa,

 

sogni di pelle e vetro; terra di falene
morte senza luce

 

*

Equinozi

La schiusa mi coglie fragile,

ingiallita ai bordi – come cosa morta
mentre nasce ogni cosa; un seccume
di pagina

nell’aria che odora di radici
nuove – ancora una volta in ritardo
sulla mia stagione. Cadrò. D’altronde
Graziosa diceva

che autunno non s’accoppia a primavera

*

Germogli

Odio la primavera perché mente
al singulto dell’acqua, chiamandolo palpito

 

e perché inganna i fiori con l’onnipotenza d’un giorno

tacendo la neve sotto le zolle agre.

 

Solo io non dimentico

 

che il ceppo è solo uno scheletro

e che non può germogliare.

*

Cogito

E’ tempo
che il dubbio mi soppesi,
che sfondi il muro delle cartilagini represse:

 

ho i margini

stondati, e di riflesso

resto caduca al mio fiorire

 

nella sclerosi compulsiva delle stagioni

*

Sedotta dai profumi del buio

Le rose più belle hanno petali neri
dalla pelle di filigrana, in controluce
l’anima traspare

 

dal nettare aspro come sangue
e dai morsi sulle labbra carnose
avide sempre

 

del dolce sapore delle spine

*

In etere

Bastarmi.

 

Come se le braccia
bastassero al petto. Il freddo
è una sola notte
che mi piove dagli occhi; e il cuore
è così vicino alle dita
che non riesco a toccarlo

*

Misantropia

Solitaria vibro

per alienarmi con destrezza

da contesti di cantiche abbreviate

 

scontornando noviluni

da finestre aperte controvento

mentre l’urlo fioco delle luci al neon

 

finge di avermi soltanto immaginato

*

Cristalli di sale

E mi lasci
svanire, ombra bianca
su cielo bianco; rarefatte, le ali
perdono i contorni. Hai fissato in chilometri

 

il tempo di un’alba. Io sto
tra il filo di fumo e la cenere; sono
il riflesso del sale sull’orlo del bicchiere
quando tutto il silenzio si perde alle spalle

 

e resta solo il rumore

*

Un urlo di sola andata

Il ponte dà scacco ai vinti, lo sento

 

non andrò lontano
lo dicono le mie toppe ai gomiti
e il sicomoro che perde le foglie a marzo

 

poco male, mi consolerò
masticando gomme al lucido da scarpe
e tenendomi ancorata all’ultimo nervo scoperto

 

come sempre

*

Mare senza sale

Il passatore mi chiede di scendere
anche se la riva è lontana,
mi lascerò galleggiare

 

ferma e inutile

come un baco stanco di tessere
il suo filo di vita scadente
al prezzo di un’anima

 

coi sigilli alle palpebre
in punta di piedi sul niente
mai abbastanza piccola
da scomparire

 

in quella scatola dove il tempo s’infratta
e chiede solo di morire

*

Il nodo

Ora

 

mi sono chiari gli incastri di viola

quel tuo essere ambidestro

con la parola

 

e quei grandi bouquets, dagli steli sottili

stenti di foglie, pronti a morire

 

dove cade la luce

*

La ragazza col gatto

Mi mettete in posa su un carretto dipinto
e non sentite, fra le giunture molli
i fruscii delle ortiche.

 

Nessuno

sente.

 

Eppure le mie grida sono grida; a volte
tracciano bestemmie nella sabbia calda
sotto il piede del venditore di braccialetti.

 

Mi avete disegnato addosso
piccole pervinche assetate

 

mentre la carne si disfaceva
nell’erba alta: lasciatemi
ora! Lasciatemi essere

 

la sedia zoppa accanto alla finestra,
una statua di polvere e di odori appassiti

 

nell’ebete azzurrità che confonde gli strappi.

*

Impasse

Quello che non sapevo
è che anche le cornici
s’impolverano

 

qualche volta; e hanno l’odore
dell’amore rimasto in gola,

 

quel dolce triste della frutta cotta
nelle cene ordinarie.

 

Noi.

 

Noi e i silenzi. Noi e gli alti specchi.

 

Noi e il muro dei quadri grandi e brutti
che dovevano esserci.

 

Fuori, invece.

 

Fuori c’erano i gelsomini di notte
e tutti i cinema all’aperto

 

dove non andavamo. Sul comodino
ti lasciavo, come di consueto
la mia busta dei sogni

 

con le parole che non riuscivi a dire,
qualche vecchia forcina di mia madre
e la foto del defilé del trentaquattro a Londra
dove mi si vedeva in piccolo

*

La pace oscura

In un’altra vita ero una nuvola

 

 

senza coraggio, non mi addensavo

nera nel cielo, e non piangevo

d’estate

 

sul grido estremo dei fiori; lasciatemi così,

dicevo,

 

infeconda nell’arsura settembrina,

bianca

 

nella mia pace oscura

*

Il ritratto

Prendo larga la curva del cortile; e non importa poi se tutto
si riassume in una pagina da accartocciare
fra le mani. L’ubbia mi ricuce. Da una me
in seppia mi arriva il ricordo
di mille soli scomposti

 

dentro un tubo di cartone. Ero: il rossetto mentiva
l’esanguità delle labbra, e l’anonimato
dei vagoni letto. Le braccia bianche
cullavano narcisi. Dagli occhi

 

spurgavo acqua e sabbia; per tornare a galla

nonostante i minuti che mi facevano
naufragio

*

Nella brughiera

Sono spenta. Solo

bisbiglia questo vento, mi pare.

 

Le ore fanno lume, impietose

a segnare la linea di confine fra le pieghe della bocca

e il nulla.

 

Di cosa sia fatto il tramonto adesso

e perché resti ancorato ai rami più bassi

non ho certezze, né della finestra che rantola agli oggetti

 

additandomi come il virus stanziale

dei cattivi ricordi. E mi cresci

 

come buio nel ventre, spiando la terra da dentro

là dove la notte respira, ancora,

 

col tuo ultimo respiro.

*

L’aurora

Ogni dissonanza tace

nel profumo dei primi usignoli,

modulazione della notte che si dirada

lentamente, dalle ciglia -

 

mi avvolge l'abbraccio

del tuo caffè, morbido come una vestaglia,

delizioso aroma che si sgranchisce con la brezza

languidamente, sulle imposte -

 

baciami adesso che ogni cosa inizia,

fermami, sulla soglia corrucciata di un pensiero

assillante di numeri, e di attimi da rincorrere

anonimamente, tra la folla.

*

Seminare il buio

L’unica mia luce:
il riflesso delle bugie fra le scapole dorate,

 

le candele dei ristoranti panoramici
in una sera dove niente ha sapore

 

e

 

dove spugne imbevute d’aceto
nutrono le vene vuote delle orchidee

per qualche ora; poi, sarà il morire

 

oppure no; non ha più
importanza.

*

Di passaggio

Fiori di neve ghermiscono l’attesa.

Son fatti d’aria novembrina quei cespugli


di rose bianche, e caduche

annichilite nel loro stesso profumo, come me in te


prima che lasciassi per sempre la mia mano

giovane foglia che il tempo ha raccolto


sterpaglia nel vento, da quando

sul tuo sorriso d’altri tempi


è sbocciato l’inverno

 

*

La valigia

Ho fermato una nuvola stanca

dal finestrino opaco del treno

alba assonnata fra lampioni bui

 

Semino lacrime di neve

sulle mie orme forestiere

posso scavalcare i giorni

 

Bagaglio leggero il futuro

memoria mia dolente

oggi non sono nessuno

 

Nessuno d’importante

*

Ferro battuto

Di tutto quello che avevamo sognato

è rimasto qualcosa appeso al soffitto

 

ma quattro lampadine fulminate e una buona

non fanno luce: e però avanzi, ostinandoti

a credere

 

nella catena che regge il peso. Quanto a me

ho la polvere dei giorni

 

che mi basta, e mi calza

dove anche la tua ultima impronta

sparisce

*

Dormienti

C’è una lunga ferita

sulla mia corteccia guasta, fra i vermi e i silenzi nascosti.

 

Siamo pioggia.

 

Annichiliti, io e te, nella morte acquosa di un fiore

che non ha mai trovato una zolla in cui perdersi.

*

La leggerezza

Sono qui,

bellezza che nessuno vede

nel bacio atavico fra i riccioli e le fronde;

 

nel frullo

d’ali che nasconde, d’angelo o d’uccello

e nel fingermi fiore, e poi stelo, e poi umore di terra,

 

come se

non esistessero più vene

nè radici, a tenermi insieme;

 

come se

non fossi un corpo

estraneo, una resina vischiosa

 

nella solida fragilità dell’esistenza.

*

Sole di mezzanotte

Veli

ci coprono appena

e in un filo d’erba ingiallisce il vento

 

illusioni

la neve dentro un cielo di vetro

le transumanze di angeli e farfalle

 

improvvisate

nel copione infecondo e breve

che qualcun altro aveva scritto per noi

 

ma

il baricentro si è spostato a nord

dove i nostri vuoti non combaciano mai

 

e interstizi

di ghiaccio fra distanze non vissute

dissetano il cuore nell’arsura delle notti

 

con il sole

a rischiarare l'eternità

di un sogno che non ci appartiene

*

Basalto

Noi siamo

il silenzio che ci unisce:

 

una ginestra

e il suo abbraccio di cenere.

*

La voliera

Il giardino e la sua gabbia vuota, da riempire coi silenzi.
Parlavi sempre dei silenzi, tu; di quelli che non dicono,

 

che scavano fossati, che distendono
in bell’ordine le ciocche tagliate
e ne fanno corde per i polsi.

 

Parlavi di silenzi che non so.

 

Mi resti, ora; con le parole che non avrei voluto
e questo pianto di neve sui rami.

*

Non ha importanza

Silenzio. Silenzio
dov’era musica, silenzio sulle mani,

 

sul gorgo imploso dove finisce
la pioggia dei giorni, coi detriti che non dicono,

 

con tutti i fiori che non si aprono.

*

Indaco

Diversa, dicono di me

eppure amo il vento fra i capelli

 

anch’io, erbaccia nata per dispetto

dove avevano piantato una rosa,

 

nota variopinta, scivolata per caso

su questo rettilineo di rumori bianchi

 

da un astro lontano, irraggiungibile

dove gli angeli solfeggiano fuori tempo,

 

pura, e brutalmente vera

con gli occhi sgranati sul mondo,

 

luna immobile sull’acqua,

riflesso insensibile

 

al soffio vitale del cemento

*

Piccoli pugni di terra

Quando le ali cadono lasciano erba
smossa, e vuoti carichi di braccia

 

respirate nel punto esatto dove le mandorle
e i crisantemi si sfiorano, e si pensano uguali
tristemente

 

per aver dentro qualcosa
di bianco, quasi un vellutato
pianto

 

e non saperlo ricordare.

*

A metà

Ho amato

 

come si amano gli angeli: a metà. Un’ala spezzata
ha fatto da cornice. Forse avevo paura

 

di rimarginarmi presto – ed era terrore, il mio –

 

o forse temevo il logorio dei passi
su quel lungo tappeto disteso
fra la follia e l’abbandono.

*

Angel

Che il tuo volo mi sia lieve
nel ricordarti carezza,
 
che mi sia lieve il giorno, dove tutto
è stanchezza; ora
 
che sai di foglie.

*

Il rovescio dei sassi

Ti accorgerai, a un tratto

 

del tappeto spostato; dei colori
che hai dato, a tutte le cose
senza averli mai visti

 

delle piccole ali
rimaste nei bozzoli
per non morire d’inverno

*

Caffè e sigarette

Dei tuoi quadri, più grandi delle pareti

non mi sono chiesta la provenienza; d’altronde

seguire il cadenzato di una posa o contare gli ombrelli

 

sarebbe come dare un colpo di phon a una mosca

e pretendere che voli per colpa mia. Voglio invece di te

 

un ritratto virale: e dipingerti io

come un gelone d’estate

 

o un apoplettico colpo di spugna, o il jolly

dentro un mazzo di carte truccate. La morte

è uno stato ipocondriaco, lo so: in virtù

di che

 

tu galleggi in acque buone

fra un silenzio che fa chiasso

 

e le ghirlande senza fiori

*

Polveri sottili

Non so più quale amore mi raccoglie
oggi: se quello del mendicante
per il suo vecchio cappotto

 

o quello della foglia secca che vola
in tondo sul marciapiede

 

sperando che qualcuno la calpesti. Non ricordo
i baci, sai: ricordo solo
che eravamo scalzi. Come il silenzio
ora
hai stanze chiuse
e ringhiere:

 

trattienimi.

*

Souvenirs

Arriverà finalmente il giorno

in cui tutta la nostra storia sarà scritta

dentro un brutto portachiavi di plexiglass; allora

 

guarderemo le nostre cotonature in formato 9x13

senza sentirci sopraffatti. Continuerai

a regalarmi boccette di zagara

 

e chiavi di serrature cambiate: tutte cose

che potrebbero salvarci. Ma al momento

mi serve spazio. Io stessa

ricetto polvere

 

in attesa di qualcuno che ricordi

dove mi ha comprata

*

Vedessi com’è bianco il giorno

Non uscire: così bianca

ti confonderesti con la neve

e ti perderei. Non dormire: fra le tende

accostate

lasciamo tremare la luce, un poco. Hai

l’ultima sigaretta: fumala. Questa volta

entrerai nel cono d’ombra

a piccoli passi

*

Disgelo

Sbocciare; sfiorire. In tutto

 

un profumo sottile,
un male necessario. C’è
una vena d’abbandono, nascosta

 

in ogni primavera: la ruggine
fra l’edera e il cancello,

 

i tuoi occhi sinceri, e il vento
che lasciammo
ieri

 

su un viale di petali caduti.

*

Lentamente

Sola. Sono la piccola solitudine dei fiori
quando non trovano il vento alla giusta latitudine
da potersi dire carezza, olfatto, tintinnio di bicchieri; sono

 

la pioggia che guarda gli uccelli sotto la gronda
senza potersi fermare. Da questo cielo
continuano a passare
voli
mentre io continuo a cercarti a ritroso
seguendo il calco delle mie ferite.

*

Lux

Sul palmo delle tue mani
nudità di foglia
rabbrividisce al tatto

 

- alchimia di una carezza -

 

è solo polvere, ma alla luce
sembrano mille piccoli soli

*

Alla corte dei miracoli

Vengo dal purgatorio dei perdenti,

vuote le bisacce, incerta destinazione

 

di villaggio in villaggio, pellegrina inquieta

mi fermo dove vanno a morire le stelle

 

il re degli straccioni mi scansa col piede

forse perché è più ricco di me

 

perché affamata mendico minuzzoli di sogni,

esposto il mio cuore a tutte le intemperie

 

della mia vita solo il torsolo

rimane

*

Isola

Scusami.

L’edera tracima la serra.

La terra

ingrassa cose stanche,

violacerbe,

di cui non conosco il nome.

E’ il vuoto aromale.

E in questo niente

da espiare, dove niente

si muove,

il mirto impaziente

in un attimo sfiora.

*

D’autunno

Avevo troppa neve sul cuore

da tenere stretta; odiami allora

 

ogni volta che il mio passo ti accarezza le ciglia

senza vederle. C'è un che di biondo adesso, un profumo

 

di legna, e di mosto nel vuoto che si è fatto dentro; ali

che ho glissato da tempo, nuda come una foglia sulle scale

 

in una sera di fuochi.

*

I tuoi angeli (ad Alda Merini)

Li hai sentiti respirare

fra i sentori di lavanda dei cassetti

nelle tue stanze che nessuno voleva vedere,

 

sapevi

che ci amano sbagliate

chiuse nel nostro mondo di voli fragili

 

mentre

ci rosicchiamo le unghie

per non graffiare via dall’anima il dolore

 

seppellendoci

sotto tappeti di petali ingialliti,

piangendo per un cane che soffre,

 

li hai visti

come li vedi adesso

quegli angeli che si dannano per amore,

 

che ti parlano

anche quando non sbocci,

 

aborto d’un fiore nero

fra le zolle di una primavera diversa.

*

Quello che so

Non importa
se un fiore che appassisce fra le pagine
lascia un’ombra inodore che non scompare
 
se siamo tutti
strappi deliranti, nella tela antica
che un male oscuro corroderà in eterno
 
clandestini a tempo
in questa strana osmosi
fra l’infinito ed un pugno di terra
 
ti ho perduto,
è quello che so
 
e tu, caldo rifugio
odoroso di talco e di carezze
sei diventata il gelo di un vento che soffia
 
tutte le volte
che un angelo piange

*

Zucchero per i giorni amari

Non c’è più il tergicristallo
a movimentare la scena: il fluido 
resta fermo nei polmoni, fatta eccezione
 
per qualche sasso piatto che lo sfiora di striscio
facendo i cerchi. Pianto rami acerbi: ma il canneto è umido
e i limoni nascono malati. Così lascio questa terra di finta torba
 
portando con me solo l’essenziale: una lucerna senz’olio, le muffe
di una vecchia casa demolita e una dose di veleno per tutte le notti
 
in cui mi ricordo di sognare

*

La gabbia

C’è una mia costola che aspetta,
un’altra è rampicante. La terza

 

è il lenzuolo vecchio che è volato via
perché avevo dimenticato le mollette

 

e l’ultima sei tu, che continui
a cedere
scoprendo il cuore: un fragile
contenitore di voci.

*

Germogli

Odio la primavera perché mente

al singulto dell’acqua, chiamandolo palpito

 

e perché inganna i fiori con l’onnipotenza d’un giorno

tacendo la neve sotto le zolle agre.

 

Solo io non dimentico

 

che il ceppo è solo uno scheletro

e che non può germogliare.

*

Silenzioso perdersi

Non così

respirando frammenti di vetro

e lasciando al destino l’ultimo fiato

 

non così

chiudendo gli occhi sul far del giorno

e scavando tra i ricordi fino a farli sanguinare

 

nel cuore

non ho più veleno

per sopravvivere alle mie ferite

 

e il destino

è un guerriero solitario

che non accende fuochi nella notte

*

Ridi

Ci siamo messi un rametto fra i capelli
– un rametto per uno –
che spero ti distolga l’attenzione

 

dai miei mocassini senza calze; il tailleur
è freddo, e veste goffo

 

nella luce umida del dopopioggia. Sorridere

abbracciati

 

in questa strada lucida di guerra
assorda

 

come una vetrata improvvisa

che s’infrange nel sonno; però ridi

 

e spendi tutte le tue risate in questa tristezza
che non mi regalerai mai più.

*

Velvet

Cercami

dove tutto finisce.

 

Lento è

il lavorìo dell’alga; ossida le chiglie nel canale.

 

Mentre io fiorisco ancora negli autunni di mezzo,

quando le ore sono asfodeli sotto i porticati

e il pettine odora di colonia per bambini.

 

Ho voluto

un nido oltre le cortine, sulle rocce a strapiombo,

un vecchio merletto per proteggermi le spalle

come fosse ombra.

*

Ho solo aperto le braccia per volare

Adesso mi sento al sicuro

 

anche se le penombre del bosco

hanno prosciugato il fiume dei miei giorni;

 

dalla scogliera degli spiriti dormienti

ho seguito il richiamo del mare,

 

stregata dalle poesia di un violino scordato,

di una canzone non ancora scritta,

 

fragile e selvatica come un fiore di strada

mentre serravo il sole fra le braccia nude

 

prima di lasciarlo andare

*

Pelle di lucertola

Avrò ali

per non morirmi dentro,

avrò tutte le sfumature del buio;

 

allegoria di me stessa,

rinascerò dalla polvere dei miei resti

per regalare all’anima tappeti di muschio

 

dimenticando

l’umor vitreo della scorza

lasciata a marcire con le foglie

*

Io dentro una lacrima

Color della luna ti scivolo sul viso

 

sono una goccia

d'aurora, tra i filari dei pioppi

 

scandisco risonanze

e tremo, e germoglio autunni spenti

 

come un’eclissi

un sibilo arcano, fra corde dismesse

 

un ghibli

a disarmare deserti, di sabbia e di cinismo

 

a perdita d’occhio,

il volto del tempo che m‘ affila nello specchio

 

sono io

che mi bevo, e mi sperdo

 

nella marea infinita di una lacrima.

*

Istantanea

Quella strana fossetta che mi vive sulla guancia,

quella voce finta da nenia per cantare la notte ai bambini

 

io

tu

  

rughe e cipria

sale e ferite

 

e tutt’intorno

il braccio, difesa ossuta del tuo piccolo mondo

– reggere, cullare, maledire –

 

con l’odore dell’erba bagnata

e la luce selvaggia dei papaveri

  

sulla postura legnosa: così nascondi

le linfe ancora inquiete

 

tra gli alberi morti

*

Ti vorrei ascoltare

Ricordami quel vento di capelli chiari,

il tuo passo leggero disseminato di chiodi

 

raccontami il paese, col grigiore finto- dormiente

delle case, e un'afa di mele mature

per le salite ombrose; e dimmi

 

delle vendemmie, e del cielo aspro e antico

dove tutto svaniva. Dimmi. Di te, del fumo

denso nelle chiese, e dei canti come dogmi

 

intrisi d'incenso e di colpa: un gradiente

rosso- petali, che scolora nel ricordo

 

e lascia solo le spine

*

Samovar

Mi spezzo
proprio ora che il vento si ferma:
 
ed è una morte
gentile, dove trapassano
i sogni, le rose, e le cose
perdute
 
che vedo solo io; e dove
amore
 
è un modo come un altro
per chiamare la solitudine
 

*

Le gerbere

Non ti ho comprato le gerbere.

 

 

“Abbiamo colori bellissimi,

oggi” diceva la signora dei fiori.

 

Colori. Bellissimi.

 

C’era un azzurro

che tremava nelle ossa: inverno

e rimpianto. Giallo il polline

che il vento portava lontano

tra gli aranceti e il mare; dove la vita

ti urla negli occhi. E sotto

l’erba,

petali ancora freschi

che nessuno ricorda: il viola

delle cose non colte.

*

La somiglianza

Tu, mia piccola imperfetta.

Tu, l’impronta di un guanto a mezze dita.

 

Respiro i suoi capelli per accarezzare i tuoi

perché so che avreste avuto lo stesso sapore.

 

Io ti so.

 

Ti so con la mia voglia di ridere per niente

di cogliere le spine per non uccidere le rose.

 

Fatta d’ali di vetro e di ossa cave

mentre ti dimentichi di volare.

 

Si, bambina mia

io ti so

 

con tutta la bellezza delle cose fragili.

*

Lo spazio fra due punti

Ecco il fiore dalle foglie scarne,
la farfalla dimenticata sugli spilli.

 

Figlia di Imran, di quante croci è fatta
la sabbia che calpesti?

 

Il respiro è pianta che germoglia sulla pietra.
La tua mano, un velo sottile che si posa sulle cose.

*

Non avrò memoria #GiornoMemoria

Non sono niente

 

fra i mucchi d’ossa senza fiori,

fra i lembi di terra senz’occhi.

 

Nel mio futuro c’è questo buio ammuffito

a gocciolarmi su una fossa senza nome.

 

Forse un giorno qualcuno ricorderà

almeno una delle righe del mio pigiama;

 

solo io

non avrò memoria

*

Il profumo

C'eri tu al posto di questa balaustra sporca di sabbia,

 

e la tua casa inghiottita da una voragine spaventosa

insieme ai roseti, alle terrazze umide di frutti,

ai riflessi gialli dei cedri sull'acqua

ferma dei volti.

 

Oggi il vento mi porta il profumo di fiori che non esistono

come ultima traccia di vita sul pendio, prima delle gelate.

 

Qui c'era la tua sola stanza a trattenere il cielo

quando ora non bastano a contenerci

muri infiniti.

*

La camera oscura

Dalle forcine tirate strette spuntano

ali di carta, e ciocche come bracci. E’ già

 

inverno. Culleremo bozzoli malati

 

dentro tulipani venati di grigio: e pioverà. Fumi antichi

scoloreranno l’ottone degli specchi. Il lampadario

 

sarà un trapezio senza rete

per pianti nascosti

*

La città dei fiori chiari

La signora delle bambole si chiamava

Clara: la vetrina

 

 

berciava immagini di plastica viziata

e il mio piccolo cappotto, e il tuo

 

in frammenti sparsi. C’erano balconi

dai gerani violenti

 

e fa diesis urlati

dietro tende sempre chiuse; c’erano

 

fiori chiari

sulle tue mani

 

sottili

come giunchi d’acqua

*

Ho lasciato andare il tempo

Le nostre mani,

non più.

 

Non più il caldo dei fiati contro il triste

nitore dei vetri; non il rosa sbiadito

di un fiore di stoffa a svernare,

da solo

 

con l’aria che resta socchiusa fra le porte

fino al tenue disgelo dei mattini.

*

Nel tuo ricordo

Permetti alle sonorità latenti di trasfonderti

l’effluvio dei lilium, a compenso della poca luce

desiderata. Prendi fiato

pensando a quante stazioni

ci separarono

 

e a quanti nidi d’ossa avresti potuto

assomigliare

semplicemente abbracciandomi; a quante

ombre

ti si confonderebbero addosso,

ora,

se non ci fosse la neve.

*

Dicembre

Trasognati. Pur senza neve, ora,

lasciarsi attutire. Su questa strada

 

tutto è casuale: l’incrocio dei passi,

le spalle che si sfiorano, gli occhi

 

che non si riconoscono. E poi il vento

caldo,

che ci piange addosso i petali, e la sabbia

come un lamento di gente lontana; lo stesso

vento

 

che ora canta fra i miei capelli

l’inascoltata malinconia dei rami.

*

L’abito color avorio

La testa, le mani,

l’abito color avorio.

 

Stanno lì, sospesi sulla gruccia

in attesa di dimenticarsi a vicenda.

 

In questo purgatorio di scarpe spaiate,

la radio a valvole tartaglia In the mood

appannando i vetri

 

e tu dipingi

fiori recisi, improbabili

fiori

 

per inventarti la vita

dentro una morte che non profuma

*

Lei non s’accorge

Oscura brumosa l’eclissi del giorno

del giovane viso il candore di seta

di seta i raffermi sentori dei fogli.

 

Piene di vento le tende vacillano

poderose vele inzuppate di mare

d’aspre folate rigurgito salmastro.

 

E davanti a noi sul libro aperto

lieve si china la sua ciocca d’oro

distrattamente mi sfiora le dita.

 

Quanto si spinge remota quest’onda!

Ora lambisce l'ignota sua sponda

dove l’amore non approda.

*

Umbratile

Così lieve

nello sbocciare inverso

 

che si fa inverno, radice: un circolo

di pietre

contro l’inerzia del giorno. Nel tuo bacio

geme l’acquiescenza dei ricordi; una candela

di più

che ci spegne in segreto

 

come fece il muschio

sul vecchio roseto

*

Limes

C’è uno spazio fra le guance

 

che solo il sale ricorda. Siamo viandanti

di lungo corso: una ricerca di passi

sulla sabbia asciutta, e di spine

da accogliere in grembo

 

quando il frutto non matura.

*

Il vento del mare

Ci sono giorni che l’intonaco

mi si scolla dal volto; e

accade

 

quel tutto che si aggruma e si vetrifica

come gli occhi di certi santi di legno

che contendono al dolore

il salso; quell'odore

 

che di me si porta via

il vento del mare

 

 

nelle ore disabitate.

*

Le amiche

Per questa salita

non ci sono ritorni,

 

solo gradini. Qui

ci si incontra in sottotono

 

fra gli specchi del caffè Torino

che moltiplicano ombre e candele

 

esasperandoti la gonna finto- vintage

dove il rosa non fiorisce. Fuori

 

sempre gli stessi marciapiedi, da fumare

sognando uno qualsiasi dei tanti altrove

che sanno di narghilè per turisti; quel

punto di te che nessuno conosce

 

da dove puoi indovinare

la stanchezza delle onde

e scriverla; mentre io

ti guardo

 

e ripenso che il tuo petto è scarno

perché ti hanno scavato

il cuore, da bambina

 

così che il vuoto ti fosse leggero

*

Senza radici

Mi hai forgiato inodore

a misura di terra

 

ma è sotto la malta

che stagnano i fiori

 

come ali

schiumate dal distacco

*

Mai vestirsi di viola

Ti brillerò sulla mano

  

anche oggi. Ho tanta di quella pasta di vetro al collo

da velare lo scarmiglio dei pensieri e dei capelli;

 

e tu

che nascondi l’aria dietro la schiena,

allenterai la presa, ancora una volta

 

dopo avermi gettato addosso voci e pietre

come si getta il pane: nascondendo il viso.

*

La svolta

Le mie gambe, come scatole accatastate

portano il peso di ogni principio; nello spiazzo

incolto

 

 

dove vene, sogni e fiori di lavanda

sono un unico

fascio

 

di sterpi da recidere.

*

Basalto

Noi siamo

il silenzio che ci unisce:

 

una ginestra

e il suo abbraccio di cenere.

*

Equinozi

La schiusa mi coglie fragile,

  

ingiallita ai bordi - come cosa morta

mentre nasce ogni cosa; un seccume

di pagina

  

nell’aria che odora di radici

nuove - ancora una volta in ritardo

sulla mia stagione. Cadrò. D’altronde

Graziosa diceva

 

che autunno non s’accoppia a primavera

*

C’è una fiamma

Distanze. La diafana

certezza dell’ora, che passa

 

 

nel sentirsi

tremare, in una foglia

per cadere, infine; restituirsi

 

alla terra; e cos’è

ogni sera, in fondo

 

se non un ritorno

*

Foliage

Non temo il gelo

nè i silenzi di pietra degli angeli

in fila come soldati sul sentiero

 

non temo

  

il bianco e il nero che giocano a dadi

su un tappeto verde prato,

fra umori di terra

  

e croci che incrudiscono al sole

 

ma la sento mia

io

 

questa desolazione immobile, eppur carica

di tutte le vite che ho amato

insieme a me sepolte

nel folto

chiuso

 

di una lacrima, onda fra le onde

di quel mondo in tempesta

dove perfino la morte

naufraga

*

Binario 5

Si aspetta; sempre. E nell’aspettare

 

si diventa foto in bianco e nero

per ricordare cose: il paltò

senza tasche, l’orologio

indietro. Si resta così,

modelli in carta

 

 

di profumi dimenticati