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Raccolta di poesie di Federico Corrado Camporeale
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Lettera da nessun luogo

Caro papà, cara mamma
vi scrivo da questa landa senza fiori
benchè qualcuno dica vi cresca l'asfodelo
non l'ho mai visto
e tuttavia è verde
di fresca erba perenne.
Vi ricordo al desco della sera
come sempre, dev'esser così
alla cena frugale
di brevi discorsi di poche parole
come fanno i vecchi pieni di nostalgie
confido abbiate raggiunto la rassegnazione.
Credo che da voi
non ci sia novità alcuna
quanto a me è difficile parlarne
poco è il tempo concessomi
e tanto differisce questo dal vostro
mondo che era il mio,
il confine è labile ma insormontabile
forse soltanto il sogno
può aiutare a comprendere
come passare come trasgredire
si dice che qualcuno ci sia riuscito
ma chi e in che modo
non l'ho ancora capito.
State bene, salutate gli amici
vi auguro di fare bei sogni.

*

Un’ estate

Dalle persiane accostate
guardo nella via
i finestroni bui della scuola
che mostrano le aule vuote,
assolutamente silenziose.
Alle tre del mattino
assieme al risvegliarsi degli uccelli,
chiacchiericcio sommesso
unico rumore che avvolge l'aria,
la prima luce fa capolino
con incerti chiarori,
che togliendo dall'ombra
muri, banconi, sedie,
dirada la polvere
degli anni perduti.
Tant'anni son passati
da quegli insulsi giorni,
le speranze fallite, i giochi spenti;
io soltanto di tanti compagni
son rimasto
a contemplarne la disfatta.

*

Papaveri

La cartavelina dei papaveri

è la rossa ghirlanda
che l'estate in erba
trascina, con noncuranza
come una coda, gualcendola
al vento del nord.
Un rosso acceso che s'immola
per le nuvole vertiginose,
sacrificio che le grandi distese
inalberano come vessillo
sbandierato al cielo,
alle strade maestre.

*

Cimmeria

Un sole freddo si specchia nella cava

e la sua larva scorre lungo il canale

ad impigliarsi alle trine

della galaverna.

Il sudario imbrattato della neve

si stende per i campi.

Come strani feticci irsuti

stanno i boschi al limitare

di larghe strade

appena spazzate.

Paesi affondano nel bianco -

grigio delle foschie.

È prossima la terra dei cimmeri,

presto arriveremo a una spiaggia bassa

e qui scavata una buca

verseremo vino e miele ...

*

Via Valeria

E dire che ho camminato
per le sue vie lastricate
curiosando nelle botteghe
di cerusici e speziali,
gozzovigliato nelle taverne
con vino e miele,
ho giocato a dadi,
puntato e perduto.
Assistevo anche, nell'anfiteatro,
a giochi e commedie,
le maschere degli attori
furono il mio pane;
 predilgevo gli eroi
dalle molte imprese,
i saltimbanchi, gli acrobati del circo.
Alle abluzioni del tempio
ero sempre presente
così come alle terme
in un oblio senza tempo.

Ma quando fu?
              Or sono
venti secoli,
Alba Fucens.

*

Foglietto di diario

Sono le otto di un mattino d'inverno
e mi trovo al trentesimo piano di un grattacielo chiamato edificio blu
a contemplare l'orizzonte fumoso
come dall'alto di una rupe;
qui le pareti sono vetri trasparenti.
In primo piano il profilo a denti di sega di vecchie fabbriche,
oltre, il bricabrac di casermoni e case di ringhiera
di cui indovino i cortili profondi
pieni d'echi e brusii. A lato
le sagome geometriche e bizzarre di grattacieli
come stendardi al vento ...
il resto è soltanto cielo
vuoto e confuso.
Sì, questa è la nuova vita,
mezz'ora di underground e il rollìo degli ascensori
per raggiungere un nido d'acquila,
e la vertigine di quando guardo giù
i passanti come formiche
tra gli alberi monchi dei boulevard.

*

23 settembre

Agli ultimi fuochi dell'estate
contrappongo le piogge equinoziali,
le brume dei primi freddi
l'opaca prim'alba.
Sulle strade solitarie del ritorno
non più il canto spiegato
delle cicale, ma il fruscìo sommesso
dello scricciolo, il richiamo
remoto del germano.
L'anima si raccoglie
in un pianto penitenziale
rinunciando ai passati ardori
e l'angelus giunge più nitido
per l'aria dalle pievi lontane.

*

Vecchio angolo di strada

Da via Argelati,
passando sotto un'insegna dipinta in rosso,
c'è il ponticello che scavalca il canale.
Leggera vi scorre l'acqua
dalla chiusa allentata del Naviglio Grande
che regola il fluire
come di una buona vena.
Soltanto ieri ho rivisto il luogo
era giorno di mercato sulla Ripa
e il brusio
come di foglie rovesciate al vento
si posava con la tranquillità del cielo
nella tersa giornata di maggio;
lì dietro era soltanto un'eco,
limite isolato senza tempo.
Mi domandavo perché
l'acqua del Naviglio era alta e fangosa
mentre quella che fluiva nel canale
appariva limpida, un velo
trasparente su una chioma d'alghe.

*

Sambuco d’aprile

Inizia a fiorire il sambuco,
al margine della ferrovia,
negli spiazzi di fabbriche dismesse;
ombrelline bianche
sogguardanti dal verde,
folto di ramaglie.
Di quei rami rugosi
le midolla bianche
mi hanno sempre sorpreso
fin da bambino, li svuotavo
accuratamente, spiccandoli da quelli
che crescevano fitti
sull' alzaia del fiume,
liscia cavità come di osso
polpa molle dell'anima.

*

Provincia segreta

C’è qualche sparuto uccello
nella pioggia che sferza
incessante un mondo tutto plumbeo.
Solo richiamo parlottio confuso
da chi sa dove.
Sulle strade trascorre
come un'ansia di sogni
ricordati a metà
e sul più bello smarriti.
Gira scricchiolando la porta del vinaio
e lo sguardo va subito
verso il lucido bancone
delle mescite.
Rosso, rosso rubino, ambra
nei grossi bicchieri e nei calici;
i pochi avventori abbruttiti
riacciuffano l'altra metà del sogno.

*

Settembre

Agli ultimi fuochi dell'estate
contrappongo le piogge equinoziali,
le brume dei primi freddi
l'opaca prim'alba.
Sulle strade solitarie del ritorno
non più il canto spiegato
delle cicale, ma il fruscìo sommesso
dello scricciolo, il richiamo
remoto del germano.
L'anima si raccoglie
in un pianto penitenziale
rinunciando ai passati ardori
e l'angelus giunge più nitido
per l'aria dalle pievi lontane.

*

Essenza

Nell'odore dolciastro dell'essenza
che brucia lentamente sul posatoio
è compreso perfettamente un continente,
fiumi deserti spiagge oceani.
Già la chiostra bianchissima dei denti
s'apre in un largo e buffo sorriso
tra la confusione del suk o bazar
- sventolano i caffettani e i burnus.
Tutte le sfumature dell'ebano
passano in quella pelle vellutata
carezzata dal vento
e dalle mani impazienti
dei mercanti di schiavi.
Dal deserto del Sahara al Kalaari
corrono le pitture rupestri,
indigeni che cacciano le antilopi
-la savana conserva ancora
quegli odori e simili tramonti.
Del ceppo bantu o zulu?
La zagaglia lo scudo di pelle di vacca
un prestigioso trofeo la criniera di leone!
Un villaggio di stente capanne sull'altopiano
o risalire con lenta vela il Nilo,
fellain che si aggira per le vie del Cairo
strettissime fenditure senza tempo.
Ecco è l'essenza che bruciano le almee
sulle ampie terrazze
durante le loro danze sfrenate.

*

da un quadro del Caravaggio

Quando lo videro benedire
e spezzare il pane
il velo di tenebra cadde
"Come abbiamo potuto non capire"
la voce rieccheggiò nei loro cuori
verde mallo lacerato.

Così ce li raffigura Caravaggio:
nel piano chiaroscurale
dove lo stupore è luce
su quei volti increduli
che vedono finalmente
l'occasionale compagno di viaggio
essere il Cristo
e nel momento in cui ogni cosa
è compresa
già l'ombra avvolge
il viso e la mano benedicente.

Spesso la verità
è sotto i nostri occhi
ma il cuore indugia
perduto in  chissà quali
capziosi intendimenti.

*

Brina

Come può esserci la brina, ancora
ai primi d'aprile su campi ormai verdi?
Vorrei vedere la rondine
dalla livrea nero-bluastra
filare all'orizzonte.
Forse è rimasta tra le colline d'Africa,
i nidi son vuoti
sotto i tetti delle corti, eppure
le belle pozzanghere dei cortili
riflettono celesti e azzurri.
Questo sarà l'ultimo freddo
perché ora la forza
del risveglio preme alle soglie
da cortecce semi germogli boccioli.
Il sole delle dieci avrà già cancellato
ogni traccia di gelo
refrattario, fin nel profondo
anche del mio cuore.

*

Caraibica

A Trinidad e Tobago
il pesce angelo regna negli anfratti
sommersi della barriera.
Poco più di una spiaggia quest'isola,
sabbia accecante,
è il punto di riferimento
per osservare gli squali.
Baie nascoste dove i pirati
nel XVIII secolo nascondevano tesori
e cercavano rifugio dopo le scorrerie,
acqua cerulea a tratti oscurata
da banchi di pesci colorati,
buona per giri di chiglia e messa ai ferri.
Veloci come pensieri
i riflessi si staccano e si ricongiungono
nelle vene più profonde
tra acque e sabbie
arrossate dal corallo.
Squali nuotano tranquilli,
l'occhio roteante,
aerodinamici e sicuri
con brevi movimenti delle pinne,
inoffensivi all'apparenza mansueti;
ma basterebbe una sola goccia di sangue
o l'incauto agitarsi tra i flutti
per risvegliare il famelico istinto
del mostro divoratore; macchina infallibile
meccanismo frenetico fatto per schiantare,
bocca dalle multiple dentature,
spezzare, frangere la molle materia
stroncare vite, dilaniare, ingoiare velocissimo
dentro un'implacabile follia.

*

Canicola (vecchi versi)

Ma quando se ne andrà il sole
coi suoi raggi brucianti?
Da stamattina ha continuato a entrare
dalle finestre aperte del mio cuore,
senza tregua, senza requie;
era alto sulla strada
sfiorava il marciapiede
anche la poca erba del cortile
feroce lambiva.
Al di là dei tetti, al di là del cielo
sempre chiaro, luce abbacinante.
Ma quando se ne andrà il sole?
Che rende così scarna, così troppo
visibile la vita nelle sue crepe
che ce la butta sotto gli occhi
così cruda, ineluttabile e senza
speranza di riuscita.

*

Enigma

Una testina in terracotta
di fattura ellenica
raffigurante un vecchio
con barba, trovata in una tomba
azteca negli anni trenta
e riscoperta in seguito
nel magazzino di un museo.
Di nuovo se ne parla riscavandola
dal fondo polveroso di un archivio
e ripensando con fantasia
popolare da rotocalco
alla meccanica roccambolesca
che ha portato il reperto in quel luogo
secoli prima di Cortez e di Colombo.
Nave da trasporto greco-romana
smarrita sulla rotta delle Canarie
e naufragata poi, equipaggio allo stremo,
nell'impensabile golfo del Messico.
Mi figuro la mano bruna dell'azteco
che tolse dal relitto quello strano amuleto,
effige votiva di scarsa efficacia
verso chi la portava, per consegnarla alla storia.

*

Le fronde di quercia

Fronde di quercia
si librano al suo passaggio,
delicate, appena sfiorate
da un venticello che ha imboccato il viale
assieme al feretro
che procede lento sotto la canicola.

 

E' mezzogiorno e con tutti i ricordi
se ne va lui, in pieno sole,
dolce a pensarlo ancora in vita
nelle sue prodezze
di uomo sano e forte
coi bei capelli scompigliati
a questo vento.

 

Come un solco il corteo
porta a quest'ultima dimora
uno dei tanti, pianto, ricordato
nel fresco pensiero di ognuno
che ne scava un ideale rifugio
tra le pieghe del cervello
per chi sa quali lunghi o brevi anni.

 

Ecco, il suo volto
non appare più in fondo al porticato;
nella viuzza quell'ombra
non avrà più la cura di posarsi
toccando il davanzale senza fiori.

 

Rammenterò le scarpe,
ancora là di fianco allo scalino
dimenticate, sottratte alla sommaria incetta
di cose ormai inutili,
quasi nuove e stranamente piccole
per la sua statura.

*

La ragazza dal viso tondo

La ragazza dal viso tondo,
tratti orientali, è giapponese,
ha raccolto in tralice il mio sguardo.
Orto concluso di lampi onirici
che hanno dominato
a nostra insaputa milioni di neuroni.
E non basta il tubino
la pallida carnagione e il portamento,
qui ha giocato un intero arco
di generazioni tra Zen e No.
Una città europea non sa ospitare
sotto lapidi risorgimentali
e mura secentesche una sola
di quelle diecimila foglie
senza che trascini a sé
il candore inazzurrato del Fuji.
La pigra passeggiata sul corso
lascia vuoti di possibili incontri,
il dado del tempo è rotolato
a quei piedi per riportarsi lontano
su rotte aeree agli antipodi;
uno sguardo, un mondo.

*

Sguardi

Mi soffermo sulla nuvola bianco cenere
che rompe la monotonia del cielo
e si avvia lentissima a sfaldarsi,
mobile sfrego d'impalpabile ovatta.
La foschia avvolge il remoto orizzonte,
spuntano i filari dal frammisto vapore
e i campi vuoti.
Sugli alberelli ancora stecchiti e spogli
una coppia di uccelletti dal petto giallo
becchettano qualche secco seme.
Le loro acrobazie sugli esili rametti
svariano il grigiore
i loro capini portano riflessi glauchi,
lavorano alacremente alle cariossidi
capovolgendosi
e raddrizzandosi con un colpo d'ala,
scanzonati minuscoli saltimbanchi.

*

Flaneur

Sulle vetrate cieche del duomo
si sfrena il sole del casto febbraio,
sotto le volte in penombra
qualche riflesso più intenso avranno
i vetri colorati
con scene bibliche e vite dei santi:
più luminosi gli incarnati
più azzurri i mantelli.
Il bronzo dei portali si accende
nei levigati rilievi:
un volto, un arto, una chioma,
che il viso cordiale dei turisti
riflette o ignora
per poi confondersi nel buio dell'interno.
Nella piazza sbiancata
da un cielo vuoto
passo anch'io, flaneur del millennio,
tra gruppi di pedoni
che parlano di politica
e comitive
di giapponesi sbandieranti
che vanno verso il corso.

*

Come lo scricciolo

Vivere un'estate,
come lo scricciolo, battagliero e timido,
batuffolo nei cespugli,
clown dei prati.
Dai primi chiarori gode la brezza
percorrendo i sentieri
aerei dei boschi.
Non ha domani,
cuore dal frenetico battito,
muscoli formati per l'effimero
di contati giorni.
Poi nell'apoteosi del meriggio,
che è pioggia d'oro
sfarfallio di pagliuzze
colte a volo
rapido sui coppi.
Sfreccia nei rosai
e tra le frasche maestose
che avvolgono d'ombrie
le anse dei viali.
Il suo verso-canto di poche note
colma l'aria
fino al tuffo nella siepe
che ridà il silenzio, pausa delusa.

Ai primi freddi ne trovai uno,
morto sul davanzale,
ancora caldo sembrava dormire
sonni dal corto respiro.

*

Il ciclope

Il grande occhio del mattino                 
dischiuso tra palpebre nubi,                 
freddo occhio di ciclope                     
che scruta il suo mondo:                     
pianura ingrigita di fabbriche e brulli campi.
Si leva un altro giorno                      
di speranze e disinganni,                    
di principio e fine,                         
molti han trovato la pace irreversibile,     
meccanica dell'esistenza,                    
che ingrana le sue ruote dentate             
con precisione d'orologio.                   
A gruppi irriconoscibili nel genere          
gli operai s'avviano alle fabbriche          
sogguardati dall'occhio folgorante           
che dorerà i prati                           
e brillerà nei rami rugiadosi                
e sugli asfalti                              
a silenzioso scherno                         
d'onnipotenza.

*

Passeggiate

Quando sarà primavera inoltrata         
e non ancora estate col suo torrido     
fiato, potrò passeggiare per i viali    
di nuovo ombrosi e assolati             
al tepore mite e contemplare i prati    
al di là delle siepi di giardini ordinati
che lindi giardinieri irrorano          
con grandi annaffiatoi di zinco.        
Il rosaio avrà fiorito                  
rossi bocci vellutati e lievi           
che spandono intensi effluvi,           
e passeri e colombe svoleranno          
sugli spiazzi dalle ghiaie immacolate.  
Sotto la vecchia quercia troverò riposo 
abbandonando cappello e giannetta       
sulla panchina di ferro                 
come si usa negli appuntamenti galanti. 

*

flashback

Le rose spampanate,
foglie di un autunno settembrino
che un refolo ravviva;
questa aiuola striminzita
mi rammemora un'isola,
con erbe alte fino alla cintola,
che un'infantile fantasia collocava
in mari d'oriente.
Soltanto una lingua di terra
in un placido fiume
dalle selvagge rose dai turgidi boccioli,
isola del tesoro per noi esausti monelli.

E leggiadrìa della piazza alberata
che si arrossa in un tepore di tramonto
che sfilaccia le nuvole sul duomo
ingrigito e d'avorio;
ridestato agli sguardi
dallo scatto dei neon,
porto d'attracco di vuote ombre.

Le rose spampanate hanno livide corolle
e scolorisce il ricordo
confuso di bambini che giocano
seminudi al fiume
nella sabbia, finissima come cipria
forse soltanto nella memoria.

*

Città perdute

L'architrave tredici di Yaxchilan
raffigura una fanciulla
nell'atto di porgere un'offerta votiva
a un sacerdote dio.
La donna è di profilo
in tunica attillata e a piedi scalzi,
porta campanellini alle orecchie
e non sorride;
l'alto copricapo intreccia piume
a spire di serpenti.
Il sacerdote dal volto corrucciato
presenta il doppio scettro,
e un fiato di fiamma
scaturisce dalla bocca semiaperta;
l'abito è intessuto di gioielli
e piume e bardature svolazzanti,
così come il suo elmo.
Tutto il rilievo è sovraccarico
di aggiunte ornamentali e strani simboli.

La ieratica fanciulla porta la sua freschezza
di vergine sacrificale fin nel buio degli evi,
chiuse nel suo grembo hanno dormito
le generazioni future
mentre l'ambigua pupilla
sogguarda cieli neri.
Ma nulla rimane fuorchè pietra su pietre
di questa civiltà di astronomi e coltivatori
che non conoscevano la ruota,
nè l'aratro;
nessuno ne ha mai decifrato la scrittura.
Con sé, Eva e Adamo d'oltre oceano,
geroglifici smaccatamente decorativi
irridono al tempo, sorprendente tiranno,
dalla misura quasi perfetta del loro calendario.

*

Da un ricordo di mio padre

Dove sei uomo dalla sahariana rossa
che andavi a prendere il latte
con la tessera annonaria.
In una viuzza la sera
dove il lattaio tuffava
il mestolo di latta e le dita
color fuliggine
nel logoro bidone.
Il bianco del latte segnava il contrasto
in un crepuscolo sempre più fosco,
tra bontà e incomprensibile ferocia.
La vita sospesa degli sfollati
poco si addiceva
a un uomo con gli occhiali a fil di ferro
e l'eterno giornale sotto il braccio.


Ti fu fatale
il voler ritornare caparbiamente
a porre in salvo la radio
salendo a precipizio le scale
quando già l'allarme aereo sbiadiva
sui primi scoppi.


Da allora, dopo il boato
fosti fatto d'aria per sempre
come questo refolo
di ricordi, che è poi tutto quello
che resta di te.
 

 

*

Euclide

Dal Libro primo degli Elementi di Euclide
risulta che la verità è solo coerenza,
che tutto dipende dalle premesse,
gli assiomi primitivi, cambiando i quali
ogni conseguenza ne è stravolta.
Questo fu scritto nel III secolo a.c.,
forse in una angusta sala
della biblioteca d'Alessandria
rimeditando o dando forma
rigorosa a idee
ancora più remote,
- e nessuno che sia umano potrà mai confutarlo.
Al di fuori di noi stessi
e del nostro modo di pensare
non ci è dato di vedere,
l'esperienza può solo dare luogo a un'astrazione
in cui l'oggetto reale si fa entità e concetto,
per spiegare il quale
unicamente l'agire di una fede aiuta
sopendo i morsi della ragione.
E questo basta al nostro effimero pensiero.

*

Terra

Terra dissodata, zolle
fulve, zolle brune,
il carro abbandonato
sotto gli alberi, aspro rombo
del trattore che solca il maggese.
Tutto il cielo nello specchio del botro,
il casolare isolato
ha un pennacchio d'azzurro.
Di tra i filari
dei pioppi adusti,
la piazzola del macello
stanno lavando con gli idranti
dai grumi acri di passate vite,
- operazione di routine che invoca
la frescura del mattino,
e cristallizza amaro sale
nella dolcezza
di un giorno troppo vano.
Poi tutto è inghiottito
nell'ombra di una nuvola, o di un ponte.

 

*

Senso del progresso

Seduti nell'erba alta
stanno i guerrieri masai,
fieri e taciturni
guardando le nuvole
alte come montagne.

 

Occhi senza sguardo
si posano sull'immutato orizzonte
che videro i padri e i figli impareranno;
vuoti al passato
ignari che il futuro sia difforme,
mentre il bestiame pascola leggero.

 

Nulla farà scuotere le loro trecce sottili
ricadenti sugli omeri,
armati di zagaglia e scudo
scendono dagli altipiani
verso strade asfaltate di città.

 

Per chi non conosce il senso del progresso
tutto è tribale,
- sempre la futura sposa
apprezzerà il canto del guerriero -
la dialettica è una parola vana.

*

Campo in autunno

Il campo dopo il raccolto
è tornato brullo, nel suo grigiore
torna l'autunno, ingrato
all'amata estate.

 

Verso l'orizzonte infiammato
va il nubiloso cielo
e le ombre, che dai boschi remoti
spiegano le loro ali.

 

Il pane e il vino
si consumerà stasera
anzitempo al desco
del proprio destino.

 

Giunge un saluto di rondini
nel volo raso che chiama a raccolta:
via verso l'Africa
a sterminati tramonti!

 

Chiuso nella zolla
ridormirà il seme
che la morte del grano ha generato;
un sole obliquo ridonerà la speme.

*

La tortorella

La tortorella come la memoria,
nell'odore dolciastro del ricordo,
lascia la terra e vola sopra il filo
per posarsi accanto al suo compagno.

Mentre lontano il fiume varca la nebbia
che dà un tono gessoso al calmo cielo.
Per quel rosso che va coprendo il verde
delle foglie rabbirividite al sole
spunta malinconia al pari di bellezza.

Ma l'ho giocato ai dadi e perso, come uno spergiuro,
questo amore che ha il profumo dell'autunno,
in una taverna al chiaro delle torce;
confidando più nella ragione,
perché il cuore cosa può saperne
di quello che ci porterà il destino.

Nella carezza lieve della brezza
che si farà infine pioggia
non c'è che una tortorella al mio rimpianto
che dalla terra giunge serena al suo compagno.

*

Didascalie dell’anno mille

La neve gela nelle corti;
il paggio è in combutta con lo sguattero
per quelle trenta monete
di vecchio conio...

- Ne farò il mio guiderdone -
giura sui colori della dama il cavaliere
preoccupato più del palafreno
che del proprio onore.

Una guardia sonnecchia sulle mura
e il gabelliere, già dal primo albore,
divide le decime dai sensi,
il tutto nel fondo del suo bugigattolo.

La grande Berta è soltanto una campana
che regola il giorno col rintocco del suo bronzo,
dall'angelus del mattino a quello della sera;
e la possente autorità della chiesa

diffonde il dogma, a cui nemmeno
principi o imperatori
possono sottrarsi.
Castità e preghiera predicano i santi.

Soffia sulle dita intirizzite
il copista nel salone del convento,
il chierico lettore
annota un passo oscuro di greco.

Ci si accontenterebbe di un buon fuoco,
un letto caldo, pane e vino
in questa epoca, che a noi appare
perennemente dominata dal freddo.

*

Granturco

Ora, è alto il granturco
che quasi nasconde i casolari
da questa prospettiva,
come un'onda verde.
Anni sempre eguali sono trascorsi
tra questi muri
impregnati dal tempo
d'umidità e di sole,
all'ombra di campi
via via sempre più ridotti
per lasciare spazio a strade
capannoni, villette.
E' il ciclo che si compie:
il bel giallo delle pannocchie
avvolto nel guscio verde delle foglie
contro la desolazione di stoppie
raccolte e bruciate tra qualche settimana;
la terra brulla o l'umidità dei coltivi.
Ma quanto tempo è passato
da quando mia madre bambina
usava le barbe delle pannocchie
per i capelli delle sue bambole di pezza!

*

Ulivi

Tra gli ulivi,
dalle chiome marezzate
d'argento e grigio,
che il vento fa vibrare.
Come un orto di quelli millenari
che hanno visto nascere leggende,
dove il prato
è solo un tappeto morbido
tra quelle radici.
Forse l'eco riporta la memoria
di altre epoche
votate al mito, al sacro,
a passioni superumane.
I piccoli frutti
con occhi verdi di saracene
dormono la loro candida ora,
meditando il frantoio,
paghi di una pace
che soltanto il corso
della storia può violare.
Tra gli scabri tronchi
che l'ombra va addolcendo,
presenze senza tempo.
Un regno di quiete
in cammino verso la notte.
Attendere qui
che il tradimento si compia.

*

Due merli

Vanno in coppia due merli
volando rasoterra,
per sparire silenziosi nell'erba
alta del prato.
Uno grigio l'altro bruno
in una luce di tramonto estivo
che offusca le tinte.

E' breve corteggiamento
fatto di corti voli
e saltelli e pause
finché il maschio non copra la femmina
- nella frescura di un cespuglio,
sotto a una siepe.

Quanti milioni di anni
s'è ripetuto
questo medesimo atto
perché le piume siano così nere
e ben congegnate, le ossa cave,
il giusto peso corporeo
per un volo
rapido, non troppo d'alta quota,
che consenta il mantenimento
della specie nel suo luogo.

Immutati; quasi fossero gli stessi,
uniti si librano
in continui leggieri accoppiamenti,
più di quanti una sola vita
possa contenere.

*

Colmo dell’estate

Nello scatto nervoso del balestruccio,
che rapido rade la pozza d'acqua
per bere in volo,
è il colmo dell'estate;
e nella spiga matura
che si piega sullo stelo,
negli opimi prati
che vanno fondendosi col sole.
Stridono le cicale nel meriggio
senza più riparo:
è qui l'estate;
nelle bestie irrequiete
dentro le stalle,
il bracco esausto
accovacciato nella polvere,
- dorme sonni di frescure immani.
Il tempo vago e spietato
che centellina l'istante agli orologi,
la polpa che gonfia di dolce sugo i frutti
o li marcisce col verme o con la mosca.
Una fanciulla, dalla peluria di pesca
che d'improvviso si scopre donna,
è l'estate.

*

Rovine

Le pietre tonde delle mura romane
così lucide e levigate
dalla terra di recente rimossa
spiccano nel bianco calcestruzzo
come sassi in un fiume
dalle acque vitree e senza tempo.
Le rampicanti avvolgono
parzialmente queste tracce
di tempio votivo e antiche terme
dove un sole di giugno si riflette
come sulle pietruzze dalle piscine di un tempo,
- lo stesso di allora.
Macerie di marmi e di granito
in un avvallamento del terreno
fanno pensare a un colonnato
di cui non resta
che un capitello sbrecciato;
non c'è nient'altro
fra le buche livellate
e riportate all'incuria dell'aria
dopo lo scavo.
E questo luogo di silenzio,
che fra i palazzi di vetro dei quartieri
residenziali del centro
fa chic e alza i prezzi degli appartamenti,
è un'isola di eternità rimossa
dal mito  qui compenetrata,
solitaria, indifferente
a tutto quello che si svolge attorno
con attività febbrile
o sonnolenza domenicale,
calcinata lentamente al giuoco degli anni
per trionfare immutata,
sparire e riapparire
dalle macerie dell'effimero.

 

*

Passante

Nella piazza semivuota
un violino suona
un celebre attacco di Bach;
turisti giapponesi
fanno sosta sul sagrato
confabulando e guardando il cielo immoto
tra le guglie come trine;
i colombi indisturbati
zampettano e tubano
in un sole troppo abbaccinante
poi s'alzano in volo.
Cosumato cornetto e cappuccino,
il mattino mi si apre vuoto,
soltanto poche idee
e una giornata tutta da riempire,
- fosse almeno l'inverno
con il ghiaccio dalle tegole
e la neve per le strade
e quel senso di vita sospesa
in attesa di tempi migliori!

*

Di questo cielo

Di questo cielo, così terso,
di questa nuvola, così bianca,
di questo campo così verde,
solo partecipa il merlo
che punta il capo e scompare
nell'erba, tuffato nel silenzio.
Ora di nuovo emerge
tra i cespugli sulla strada
dove i pioppi lottano col vento
della sera.

Di questo cielo
non mi resta l'azzurro
per riposare lo smacco dei giorni;
della nuvola non il candore
emblema di una purezza
che non ha consistenza;
qualcuno ha violato l'uniformità del campo
buttandosi nell'erba
e finendo il giorno tra le spighe.

Abbandonato, il cuore,
vive con questa nuvola,
del suo sfaldarsi al crepuscolo
che non ha tempo, sempre uguale negli anni
e in ogni luogo, vana.
Di questo campo
lento percorro il margine
fino al canale
dal velo sottile d'acqua
e seduto sulla chiusa
non so che farmene del cielo
distante e inutile
come un gioiello inutile.

 

*

Hyde Park

Mi chiedo se Rimbaud
riposò in quest'ombra
silente di Hyde Park,
dove sulle panchine
sonnecchiano pensionati e zitelle;
mentre nel sole cavalcano
le guardie della regina,
lontane, girando la collina.

Da Piccadilly ho guardato
babysitter lentigginose
e mi sono specchiato a lungo nel Tamigi;
- quante vite insulse dovrò passare
prima di trovare pace
nel modesto variare dell'estate.

Nel verde, con la City alle spalle,
osservo i grandi alberi
divorati dalla luce,
- il monotono ritmare
dei remi sul lago artificiale
scandisce il tempo come un orologio -
e mi distrae lo spettacolo
degli oratori improvvisati
che reclamano il loro momento;
animali senza gabbia
di un gioco fascinoso e credele.

*

Da un quadro

Tra gli alberi color ocra
s'intravedono le case, i tetti
rossi, le facciate
bianche di sole
con qualche grumo di turchino.
Dalla curva della collina
spicca un cielo chiaro
striscia sottile confusa ai rami
spogli, di un giorno d'ottobre.
E' una mattina di sole
caldo, come spesso accade
nel tardo autunno:
le forme si disgregano nel chiaro.

Il pittore ne restò colpito,
come io ora lo sono,
e piazzò il cavalletto
ai margini della strada
dove pigri transitavano cavalli e carri,
per fissarne l'immagine
che sempre ci restituisce quella prima sensazione
di pace, di vigore.
Quanti di questi alberi
ho visto, sbiaditi dalla luce
svelare remoti casolari
colline dalle pendici arrossate,
ma il ricordo di quel dipinto
tutti li riassume
nel tempo e nello spazio
come un atavico archetipo
cui ogni immagine ormai debba adeguarsi.

*

A Rimbaud

Ritorni, amico di sempre,
a me dalle tue strade assolate,
sotto cieli estivi
che non hanno più azzurri.
Voyant sublime o bohémien ironico
pipa tra i denti e scarpe rotte,
ma consacrato poeta,
hai fatto tu tutte le strade
che il linguaggio consentiva
prima del silenzio
rovente d'Africa.
E sotto i ponti inseguivi
le tue Henriche e Hortensie
dopo aver lasciato terribili compagni,
- E' oblio la vita? la vita è altrove;
discesa in inferno
che porta a un deserto.
Così dopo visioni
la ricerca di un'esistenza nuova
da borghese che ha fatto il suo gruzzolo
in terre lontane, buon partito;
ma sono sogni, più irreali che
le Floride favolose,
destinati a svanire
in ospedale a Marsiglia.

*

Le lampare

Le lampare dopo il tramonto
escono in mare;
luci vive come e più di stelle
nella distesa grigio azzurra
che si offusca
come il crepuscolo passa nella tenebra.
Sono lontani quei lumicini
ora fiochi e tuttavia presenti,
tremanti nel filtro della brezza
che avvolge il monte;
brillano senza mutare
fino a giorno alto,
quando i sogni vanno a svanire.
Sono le irraggiungibili chimere
che sorgono nei calmi specchi
delle fantasie e non muoiono mai,
anche se basterebbe scendere a mare
per poterle toccare
e vedere in tutta la loro scabra
usuale realtà.

*

Liguria

E' la casa tuffata tra gli olivi
che porta sulla cima un parapetto
da cui si vede il mare,
un mare bianco
consunto dal sole meridiano.
Dall'altura è l'ombra dei pinastri
che getta un velo aspro di quiete
alle assolate ventose terrazze,
dove solitaria l'agave
allarga le sue braccia verdi
in un abbraccio minaccioso e trionfale.
Per quelle vie a scale
che portano al buio degli anfratti
e a misteriose cale,
s'accompagnano a tratti
brevi torrenti in secca
per sciaguattare sotto le ringhiere
e sparire tra i rovi.
Si giunge tra le case
da stretti minuscoli sentieri
mutati d'improvviso in lubrici carruggi
come in un budello
scavato dentro il vivo del borgo,
e poi di nuovo in chiarie accecanti
dove le vie che repentine s'interrompono
lasciano vedere finalmente il mare.

*

Il fossile

Nuotava in acque tranquille
il pesce preistorico
mentre una nebbia grigia
copriva il corno della luna nuova,
nel suo essere d'inconsapevolezza,
macchina della natura
fatta di scaglie ossee e carne,
avido di crostacei dal guscio ricurvo.
Dall'era carbonifera la sua impronta
riposa sulla liscia arenaria,
immortale come un'opera d'arte:
visse per questo
istante perduto nel buio del tempo,
assurdo e insignificante
emblema del caso;
morto come migliaia della sua specie
inutile e utile
nella catena dell'evoluzione
e qui ora a testimoniare
quanto lui possa durare
infinitamente più di noi.

*

Sonetto del nulla

  Noi inseguiamo la morte ogni giorno
pensando alla pace che abbiam perduto,
nel fondo cupo del giardino muto
sospirando dal cielo piovorno

  l'azzurro del sereno sconosciuto
che ci è mancato ormai senza ritorno;
ma quale improvviso dal greto ossuto
correrà fiume di stelle intorno

  a nostre anime così smarrite
da cercare gioie illanguidite
nel folto ombroso di placidi broli

  dove colombe dai rapidi voli
scoprano le gioie impallidite
dai libri aperti delle nostre vite.

*

Fiabe

Dov'è il cavallo a dondolo
legato alla stanga del sogno.
- Ricordi? E' ancora nella stanza
brumosa dell'età infantile
con un Pinocchio di legno
e una bambola di pezza;
lei che diveniva Aurora
la principessa addormentata
o forse una Cenerentola
in una zucca, o Biancaneve.
E' proprio il mago di Oz
quel piccolo clown
fuggito a un cuor di leone
inseguito dall'uomo di latta;
matto come  il Cappellaio,
e tu sei Alice
precipitata in uno specchio.
Nemmeno il Lupo fa più paura,
e il Soldatino di stagno
avrà la sua gamba,
così come la Ballerina,
e la Sirenetta un'anima.
Si può ben dire
che il Paese dei balocchi esiste,
ma ben ordinato
con la signora Poppins,
e la piccola Heidi
sulle sue montagne.
Chissà se la Regina
delle nevi è così crudele;
mi metterò gli stivali
delle sette leghe
per trovare la strada
ad Hansel e Gretel;
e non mi crescerà la coda
né una testa d'Asino.

*

Documentario

A St. Andrews, nella baia
dove un ghiacciaio quieto
riversa l'estremo lembo
nel mare antartico
e una spiaggia, ancora assolata
nell'estate,
offre riposo e pace
ai leoni marini,
spazio di vita e gioco
ai bianco-neri pinguini.
La baracca nella neve
spicca minuscolo quadrato
scuro nella candida massa
dei rilievi sullo sfondo del mare.
Qui non è più
regno della parola,
concessa a commentare il mondo
a renderlo in misure umane,
ma solo strida di grandi albatri
preoccupati per i loro nidi
saccheggiati, sbuffi
di marsovini all'orizzonte.

 

*

Epitaffio

Che ci sia dato almeno
un posto al sole,
dove sempre sarà primavera
e delicati fiori
di campo rifulgeranno all'aurora
e nella tenebra di stelle.
Che ci sia dato almeno
l'amore di umili fiori
l'ingenuo canto
di poveri passeri infreddoliti
nel ghiaccio, d'inverno.
Che almeno loro,
che almeno i fili d'erba
abbiano pietà di noi,
di noi che una vita crudele
ha stroncato
perché troppo miti e deboli
alle vostre intemperie.

*

Nella penombra

E nella penombra
si fanno strani discorsi,
e si possono distrugger miti
e feticci mentre
nell'aria quieta
un merlo modula il suo zirlo.
Un'improvvisa
familiarità ci guida,
è nelle voci un tono
di confidenza
intima e sfacciata
insieme,
come di vecchi coniugi.
E l'aria è una freschezza
di boschi nevicati;
parla il fiore
della tua bocca
con poche frasi
tutte di un presente senza tempo.

*

Passeri

E l'erba pullula di passeri,
tenera carne e sangue
nutrita di pochi semi,
cuore che batte
come gocce di pioggia.
E basta un volo
a riscattare la misera vita
là in quell'azzurro
in quell'odore di nuvole,
a noi sempre negato.
Nella vertigine per noi insostenibile
è loro facile dominio,
nelle ardite prospettive
il sentore dei cicloni,
l'intrico oscuro e fresco
dei rami più elevati;
se spirito dell'aria deve esistere,
somiglia a loro,
è fatto da tali sembianze miracolose.
Basta un piccolo rumore
per alzarli a volo,
breve come un sogno,
per riaddensarli più in là
dove il prato comincia a granire.

*

Se muoiono le stelle

Se muoiono le stelle
e muore anche il fulgore
dei lontani universi
perché dovrebbe vivere l'amore?
Che è un frullo d'ali,
un canto d'usignolo
subito sperduto
al vento della sera.
Perché durare? Se tutto
nell'effimero segreto, un giorno
verrà assorbito
senza rimpianti, senza distinzioni
magmatico torrente
che tutto appiana
e tutto rende al silenzio.
Amare è già capire
acuta e rassegnata intuizione
che flebile e caduco filo
ci tiene avvinti
e mai potrebbe reggere
il peso delle nostre fantasie.

*

Ballata dei vagabondi

Tu vedi l'alba
sorridere nel verde brullo
di un parco pubblico
e nelle grate
di una stazione.
Tu, Gio e Marina
e poi c'è Anna
quando scappa di casa.
Stesso abito estate e inverno
paura del freddo
notti stellate
e quando la rugiada,
ambrosia degli dei,
risveglia le tue palpebre assonnate
stringi la santa libertà
nel corpo adoloscente
della tua fida
compagna. Lucente
come una stella
splende la vita
all'insegna selvaggia
del vento e delle selve
le selve malandate di periferia
i campi dalle spighe bionde
che tralucono al sole del meriggio
i mille arcobaleni
della tua felicità.
Essere libero, senza doveri imposti,
nel vento della sera
nei gridi delle rondini
estatiche al rosso del tramonto
quando nel digradare della notte
voi parlate sommessa
la voce della spensierata gioia
risplende il giovane regno
della purezza primordiale
contro di noi alla luna.

*

Paese

La piazzetta con il monumento
ai caduti del '15-'18,
gli olmi color miele
al sole d'aprile
circondano la villa
comunale e il municipio.
La strada provinciale
lo attraversa,
nel suo tranquillo sogno
dove colombe
tubano dalle aiuole
e le corti dagli spiazzi erbosi
rivelano ringhiere
con gli usci di legno e i finestroni
che danno su vaporosi campi.
E poi la parrocchia
col campanile aguzzo
e la spianata polverosa
dove ragazzi giocano al pallone.

*

Giardini

Dai portoni freschi d'ombra
giunge un alito di lontane selve;
giardini d'Armida, chiusi
fra quattro mura,
prigioni dorate
dove nel folto
una coppia di cardellini
trova rifugio
e il merlo grigio.
Cespugli di ligustro
impregnano l'aria
di stretti cortili,
chissà quali reconditi angolini
protegge il ferro battuto dei cancelli,
un vialetto si perde
al di là di arcate balaustre.
Forse una vecchia
da una terrazza verde
di glicine getta briciole e riso
a tortore fugaci
ai passeri di casa.
Nella sera
si chiude su di loro
lo stagionato portone
dai battenti d'ottone
dal cigolìo immutato.

*

Scriccioli

Gli scriccioli nel campo
grigioverde d'ariste,
come d'autunno
le foglie brune al vento;
li vedo quando è prossimo l'occaso
un cielo ancor chiaro
estivo,
loro piccolo mondo
è un frasca
una siepe d'ibisco.
Scende il vilucchio
da uno scabro muro
mentre alto lontano
è il volo di un falco,
loro è il silenzio
e la luce
che traspare
dal vibrante filare di pioppi.

*

Locale

Ecco i primi contrafforti del Monumentale
muri sgretolati, retro nascosto di cappelle
che affiorano dall'ombra
di verdi robinie e fiori gialli;
s'allontana il campanile
e la gran croce
nasconde un poco il sole
verso le nuvole,
vetri colorati fievoli lumi
nella penombra del mattino
dove le foglie vibrano
al delicato tocco dei fringuelli;
una rondine sfreccia.
Ora le case prima diradate
si raggruppano di nuovo
e grandi ariosi cortili
danno sulla ferrovia
muri sbrecciati e silenziosi angoli
non più frequentati
che da ragazzi in cerca d'avventure.
L'ultimo snodo
di binari luccicanti e un casello
in disuso,
poi via, s'apre la campagna,
verso campi di mais e girasoli.

*

La grande piazza

La grande piazza, calma e assolata,
porta un polverìo
di sole fin dentro le viuzze
strette fra palazzi ombrosi,
e un frullare d'ali
dai lastroni
geometrici del pavimento.
Lo scorcio si fa più acuto
da quando un africano
espone le sue mercanzie
nel rettangolo d'ombra;
la mole del lampione
offre uno strano fiore
ai colombi sempre indaffarati.
Verso la nuvola, verso al nuvola!
sfugge il palloncino
colorato dalle mani di un bambino
che rincorre con grida acute,
tra i bianchi tavolini
da uno dei quali
scrivo questi versi.

*

Idillio

Quali dei pagani
dal capo cinto
di foglie posano lo sguardo
in questo luogo - indizio
ne è un fuscello
spezzato. Maceria
di ferrovia
dove papaveri scarlatti
crescono tra i binari
morti e boschetti
pullulano d'uccelli.
Te la prendi comoda a questa
fermata imprevista
nella campagna,
ne vuoi sentire tutta
la frescura
delle robinie fruscianti
del sambuco odoroso,
mentre il mio sguardo, non visto,
ti vellica le palpebre.

*

Vecchi versi a Eleonora

Oggi il cielo è più sereno,
e luminosa è stata la notte
con la sua falce di luna.
Oggi, in questo giorno di gennaio,
c'è una piccola estate nel mio cuore.
E tutti i fiori prenderò dal mio pensiero
e tutto il sole e tutto l'azzurro dell'estate
porterò nelle mie tasche per te
che sei il sole, la luna, l'estate.

*

Circolo Polare

Oltre il circolo polare artico
il rosso acceso dei tramonti
è un evento raro,
e l'anno non è che un giorno
e una notte
nel conteggio dilatato
delle ore.
Dalla tundra eschimesi e samoiedi
accomunati
dal grande nord
traggono nutrimento
da renne, e foche
più su tra i ghiacci,
il lichene sostituisce la rosa.
Corna e carcasse
d'ossa e lische
compongono un primo alfabeto
d'utensili quotidiani
entro tuguri
di pelli d'animali.
Il mondo è qui
povero di parole;
il verbo è al presente
esprime azioni, contingenze, dolori,
segue il nome o ne fa parte
verso di stupore
monosillabico e flessivo
rompicapo per i linguisti.

*

In orario

Questa mattina il gelo
aveva fatto strani segni
sulle banchine,
ma ora la stazione
è di nuovo con le pozzanghere
e il tepore oblioso.
E non ti porto
che odor di treni
insieme al vento,
che in pazze folate
ci sta per sopraffare.
Com'è un po' nostra la sua follìa
che va a scontrarsi
con i lampioni ancora
spenti nel crepuscolo,
come un don Chisciotte
con la sua Dulcinea.

*

Racconto

C'era un saltimbanco cieco,
con la scimmietta e l'organino,
sulle terrazze che danno sul porto.
Stazionava sempre da quelle parti,
lo incontravi sbucando d'improvviso
dalle viuzze ombrose e malandate
che fanno una città di mare
coi suoi odori e i panni stesi.
Dalle piazzette lastricate,
solo nei giorni d'estate,
faceva la sua comparsa
col suo motivo orecchiabile
e meccanico,
e il cicalare della scimmietta
a far da sottofondo;
un po' di colore
a rabbonire i gruppi di turisti
per l'obolo generoso.
All'imbrunire, una giovane donna,
despinìs di qualche albergo,
lo riaccompagnava
chissà a quale ignobile rifugio,
perdendosi nei vicoli chiassosi,
questo Omero accattone,
ché anche cantava
incomprensibili ballate
con voce di tenore.
Pure quest'anno l'ho rivisto,
nei medesimi luoghi,
soltanto un po' invecchiato.

*

Sonetto crepuscolare

La sera ha solo compagnia di grilli
forse di lucciole un volo dorato
o l'inizio d'un canto svagato,
sommesso, prima che la luna brilli:

  un usignolo, forse per la sua
compagna, intona un canto mesto
come nel buio l'amante onesto
sente tremare per la voce sua

  tutte le stelle. Oh tremolar di stelle,
nel grido silenzioso di quel pianto
geme segreta un'ansia d'universo

  e di lassù nel grande cielo terso
dal campanille sognano l'incanto
nel nido ingenue le tortorelle.

*

Eden

Se un giorno
trovassi nel segreto di un bosco
il pertugio che conduce
all'edenico giardino;
facile sarebbe entrarvi,
estinta ormai la stirpe degli arcangeli
e gli dei fuggiti,
rimasto il fulgore
delle radici dell'essere
in un incanto richiuso
ad ogni umano tempo.
Se un giorno
forse sognando
o avendo perduto senza ritorno
le briglie del reale
tenendo ciò che desidero per vero
e lontano ogni delusione
potessi varcare quella soglia,
lo farei; ma con te,
io Adamo e tu novella Eva
coscienti ormai del mondo che lasciamo
al suo destino
per nutrirci alla fonte
del supremo arcobaleno.

*

Dopo che la pioggia

Dopo che la pioggia
con quieto alito
ha rinfrescato i campi
e smorzato, nel suo torpore,
il trascorrere del tempo,
torna il sommesso
parlare degli uccelli: pacato
come se mai fosse cessato;
e torna malinconico sereno , il giorno
come nelle ore in cui vien meno.
Così dopo le tristi aurore
di giorni disperati
riprende a vivere - più calmo
senza più gli impeti passati -
l'animo placato
da troppo fervide passioni.

*

Il dormiente

Quando fuggirà il potente sogno
dalle sue ciglia di piombo
e come un sole che traluce
tra ombre e fradice foglie
di temporali, e s'aprirà come un mattino
dall'occhio ceruleo come il tuo ...
Oh, non disferà gli arcobaleni
essi avranno più colori che l'iride stessa
per i tuoi occhi da bambino
riaperti alla serena luce.
Nel tuo cuore entrerà una canzone d'autunno
perché rigonfi acini d'uve asprigne
ti ridiano il vino della vita.
Oh ci sarà una fanciulla che mite
sacerdotessa della tua casa
respirerà con te l'aria sublime
del tenero quotidiano, poiché pacifico
sarà il tuo ritorno
dalla fatica serena di ogni giorno.
Riposa ora di un sonno cattivo
- ma è poi sonno? - nei cespugli polverosi
e senza fiori;
il suo fianco smagrito non porta
fori di pallottole o squarci
di granate, ma il suo braccio
sottili punture d'aghi.