I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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Vieni, vieni da me usignolo
Nel fitto del mio petto cadendo goccia a goccia sul cuore il tuo nome come un sigillo apre ampie conche d’oro. Come in un sogno bollente estivo da lontano mi chiami. Anch’io rispondo a lettere di fuoco Ely e sussurro: “vieni, vieni da me nella tua aura dorata come un usignolo nel sottobosco poiché da tempo immemore t’attendo.”
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Il poeta
Il poeta è una nuvola innamorata, una goccia di stella scesa dal cielo, la sua parola è l’onda che sale e si rovescia, parola nel mare che sposta le navi col pensiero macchia di luna bagnata dai raggi del suo sorriso cielo impassibilmente terso che custodisce i sogni dei gabbiani: volano nella notte scendendo dalle stelle, risalgono nell’aurora bruciando il sole.
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Nella distesa dei tuoi occhi
Il tuo capo in sintonia col mio nell'ombra s'orienta meglio che nella luce diafana d'aurora quando sei fasciata di piacere come un fuoco, batte il mio cuore nel tuo petto. Sull'erba azzurra della notte, sotto voli di foglie trascorriamo le ore a rovesciare il tempo e stormi di uccelli come piroscafi con cui veleggiano altri naviganti bramosi vogliono posarsi sulle tue labbra. Bada a non concedere loro le ghirlande delle tue membra attendendo giorni di festa fioriti. Concedi, invece, alle albe, all'orizzonte l'ago della bilancia: avrai una corona d'aria gialla sulle trecce della tua folta capigliatura; concedi il calore dell'estate imminente, dalle palme della tua bocca dà a me la tua dolcezza. Perché nella distesa dei tuoi occhi v'è sempre un castello incantevole come una farfalla aperta alle virtù del vento.
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Un albero di luna
I tuoi piedi di velluto nell’ombra, le tua mani nella luce guidano il volo d’aquila reale, volteggia in un cielo d’innocenza- tra la rugiada dei fili d’erba le mie labbra conobbero il fuoco. Porgendoti la mano incrociai i tuoi occhi nocciola che mi stanno scalfendo l’anima nei sogni in un palpitare d’immagini colorate. Non importa per te che hai occhi non nati: quando aprirò il libro d’acciaio del secolo d’oro isserò bandiera di te, stella prigioniera. Dal blu della volta celeste m’avvicino ai raggi dorati della tua chioma, terra di grano nata dal sole. Si prepara il confine di notti scarlatte nella mia anima rosso ciliegio e accende pietre e ciottoli levigati. Perché cresce l’onda del mio cuore facendosi pane e che la bocca lo divori- il mio sangue è vino che suggi. Il fuoco è l’amore rupestre che c’infiamma. Io e te siamo un albero stellato di luna.
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Ali di farfalle
Pieno di luci multicolori il mio cuore di seta. Cerchiamo aurore di conchiglie ed un tramonto in cui la notte non tradisca il giorno. Io veglio tutti da molto lontano, oltre quel mare dove s’accendono i piccoli copricapi delle stelle. La speranza, fioca, continuerà nelle tenebre e non lascerà una ferita sanguigna e mucchi d’ossa sparsi. La strada avrà un fremito di corda di violino e noi lasceremo in dono alla foresta i nostri sogni trasportati leggeri da ali di farfalle, veloci a volare per non bruciarsi sopra a questo mondo lambito da un sole di pietra.
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Onda di marea
Onda di marea risacca del firmamento, acqua che sale sulla rena dove le nostre orme, passeggiando, lasciano una scia di luce- t’apri come la corolla d’una rosa nell’aurora. Un immenso che graffia il vento come un potente lancio di frecce nel cielo. Ah primavera di abbacinate farfalle, lei rondine innamorata che vola dal mio cuore al sole. Scalpita nel crepuscolo, i tratti del suo volto incisi dai coltelli nelle mie mani lei, i suoi acuti giunti ai miei lei, i suoi occhi marroni. Lei, il suo cuore, libellula libera che come una formica intelligente con antenne d’istinto mi tocca. Se le mie parole la trapassassero come aghi dovrebbero entrare come spade in un velluto d’arazzi. Fiamma di luci, liberami da questa notte cupa che annienta. Amami, desiderami: la tua voce riecheggia nell’aria e arde nel vento, la mia si smorza e muore. Il mio richiamo la raggiunse nelle notti di gelide stelle. <<<
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Il pazzo
Il pazzo è un vino diverso che sa di more, un lampo nel buio che reclama attenzione. E’ l’anomalia d’oggi, mondo corrotto, ti esige nello schema come un’immensa catena dove ognuno recita per sé, monotona cantilena che non ammette diversità. E’ il gatto di marmo dalle sette vite che ghigna beffardo; il cane sciolto, il nodo mai risolto. E’ la noia, la noia, i rintocchi d’un vecchio orologio a cucù che canta le ore della notte, il silenzio franto dallo sferragliare della ferrovia. E’ un frutto mai raccolto, un granello di sabbia senza gravità che vola nella luce del mattino e si deposita poi a sera senza aver mutato la geografia del proprio destino.
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Spirito puro ma guerriero
Non sa tramare insidie lei spirito puro ma guerriero difficile, così difficile da sedurre. E’ il suo sguardo a lasciar trasparire costellazioni in me ha posto il suo anelito su di me ha lanciato l’aerea rete di certezze. Innamorata in segreto nude parole empiono l’aria le scoprono il collo e i seni le palpebre si dischiudono di luce perché nei suoi occhi i baci mostrino di lei solo corpo ed anima. Si protende sul mio viso di pietra ignaro il suo cuore confida, scorda. Sotto le nuvole delle sue ciglia il suo corpo s’assopirà sul mio petto, il profumo del capo sprofonderà nei sogni. La brezza per una strada che avrà fine, i passi delle foglie più spediti- t’accarezzerò in un diluvio di colori- i tuoi occhi fugano la luce. Hai denti scintillanti come il fuoco, la bocca fiamma d’ermellino.
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L’arcobaleno
Annego nell'inchiostro la seta fine che avvolge il mio sonno tra voli notturni di pipistrelli e schiamazzi mattutini delle lavandaie. In un'aria di carta cerco di dirigere il traffico delle mie passioni e, lasciandomi lambire dalla brezza amica, mi riposo all'ombra della grande quercia ascoltando canzoni di ieri. Il tempo, intanto, immemore delle mie sofferenze, ambisce solo a spargere la mia cenere dolce nell'armonia dello spazio remoto dove le stelle per noi son morte e non c'è un arcobaleno che, dopo le vicende della vita, si stagli nel cielo turchino e muti la nostra essenza dall'ombra alla luce.
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Il mondo da una mongolfiera
Scappa attraverso il paesaggio rupestre, capelli corvini e occhi scuri, fra le fronde e le carezze del vento gambe tornite in calze di sabbia, immemore in tutti i veli di ruscelli. Ultimo palpito s’un volto trasfigurato. Nella placidità del suo corpo avanza una sfera di neve, sulla pelle un neo di silenzio. Le sue mani, archi canori frantumano ogni luce d’alba. Nella sua dimora conta i minuti. Per la sua stella, esplosa nell’aria di dicembre, per regalarsi gli occhi, per vivere giunti sino alle praterie in fiore, per regalarsi immenso amore per donarsi le iridi all’ultimo secondo. Per dormire nella luna in quattro pupille, il sole nelle medesime. Un amore fra le labbra-un vago uccello adorna i campi, i boschi, le strade e il mare. Bella come il mondo da una mongolfiera.
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La pena mortale
Nella danza della brezza solco strade senza fine calco i passi delle foglie le nuvole occultano la tua ombra specchiata nella tua immagine; aculei di timore irrompono nella notte. Sono palpebre per non vedere chiudo le ciglia per non piangere. Dove sono le tue mani e le carezze? Dovo sono i capricci di futuri giorni rosati? Tutto da afferrare graffiando a smorzare ricordi di gelide notti. Le aurore t’amo, ho le notti nelle vene. Mi fido delle tenebre per indovinare mi conferiscono il potere di avvolgerti, di scuoterti di desiderio, il potere di rivelarti di afferrarti, di prenderti nei sogni. Scorgo di fronte profondi occhi ascolto parole che seppi ispirate condivido l’amore che m’ignora s’accende il mio cuore, la necessità d’amare. Ma reclino il capo per pascere la pena mortale, la vergogna s’uno sfondo di sberleffi cruenti.
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Sul lungofiume
Piante maggiori coinvolte nel fuoco, bionde o brulle, bruma o rugiada, fiori estremi maledetti. I tuoi seni di grazie accettate, risate fra gli alberi, corse affannate. Sono venti d’uragano. Uragano che protegge le sue creature frantuma steli di luce assegna erbe agli insetti nelle fumate dell’autunno, nelle ceneri dell’inverno. Randagia dalla fronte spianata, il suo cuore, i suoi occhi- è un astro, le sue orbite palesano i pensieri: trapuntati veleggiano in un gruzzolo di luce nel tepore della stagione delle rondini. Sul lungofiume di ramature palpebre dischiudono intriganti occhi bruniti dal bagliore dell’eco del fuoco. Sul lungofiume dalle labbra umide sognando la tua anima d’ombra svanisce ogni assedio di pena.
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T’amo
Scrivo a lettere di fuoco l’atlante del mappamondo delle tue colline. La mia bocca di fuoco si rivela in mille giochi di lusinghe. Ho tante storie da narrarti sul confine del crepuscolo perché t’accenda in riflessi sotto la campanula del firmamento. E’ tempo d’uva, di raccolti fruttiferi per me che vissi in lidi dove t’amavo, solcando le onde con una caravella di ricordi, pescando con reti che non trattenevano acqua d’oblio. Ne restano appese gocce che tremano come dei tuoi occhi gli intarsi delle pagliuzze. Ami giocare con la luce del cielo stellato, giungi a me tra fiori e frumento, d’oro come i capelli di sole della tua chioma. A nessuna assomigli da quando t’amo, nel viso di latte di tutte le donne vedo il tuo- ti stenderò un tappeto fiero ovunque tu passi ammirata. T’amo su questa terra azzurra, nel bosco incantato dei pensieri, nei sottoboschi dal profumo di ciclamini. Ti porrò una rosa all’occhiello colta per magia sotto l’odore dei tigli accendendo col fiore più bello il tuo sorriso.
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La danza gialla delle foglie
Ascolto le note musicali della tua voce venuta dalla terra per salire al cielo, spio i tuoi tratti corvini: ecco la tenerezza dello sguardo di seta, la tua bocca, parola senza eco. Avverto salire a tentoni il muschio della tua pena. E’ la guerra oscura del cuore, la lama spezzata di angosce commosse, l’ebbrezza dei desideri. E’ questo la mia vita: l’acqua che i tuoi occhi mi recano, il concerto di voce dei tuoi sottili pensieri. Ah, coppa, ruscello, mia agile, futura compagna. Scorgo le coppe nella danza gialla delle foglie. Ti giunge ululando il vento nell’ora del sangue fermentato quando la terra palpitando vibra sotto il pallore del sole che la riga con code d’ombra. Eccola, la tua forma familiare, ciò che m’inonda che mi empie l’anima in abbandono, la tenerezza che s’avvolge alle mie origini: matura in una carovana di frutta uscendo dal tuo cuore come il vino dal centro dell’uva.
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Infrante chimere
Lambiscimi con gesti di gioia, una parola d’assedio d’infrante chimere, una sillaba più vicina alla tua bocca- mi promette aurore di miele fluttuando perso nei capelli corvini dedicandoti, in un sorriso di luna, strofe d’acqua e di cielo. Pensieri che non t’appartengono si tradurranno in note di canto e ti empiranno d’oro le mani canore. Frattanto raggianti ruote di pietra avvolgono il paesaggio rupestre, raggi d’oro calpestano i campanili. Tu scrivi margherite sull’erba dei campi. Quando avvicino il cielo con le mie mani per destarmi nelle lame di luce diafana i tuoi baci si appiccicheranno come lumache alla mia schiena- gireranno i calendari e sortiranno nel mondo i giorni come foglie azzurre; comparirai nel mio spazio, nel mio anello ora solo verbo ed inferno. Ti guarderai in una lacrima, t’asciugherai gli occhi dove fui- ora d’improvviso piove verde ma il mio cielo s’è fatto roseo.
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Due rosse binarie
Continua ad essere il mio fiore quando alberi rampicanti salgono e sorridi nel rossore del tramonto; allora basta un gesto tenero perché nella notte l’orologio scandisce le ore e ti empie d’oro. Sei la donna amata nel mio petto, il tuo capo d’oro scintilla come un nasturzio luminoso, gira agitando il mulino del cuore, scendono le lancette delle ore notturne tali a pipistrelli dal cielo. Quando con te s’avvicina la luna i tuoi baci infuocati s’appiccicano come lumache alla mia pelle che freme per te- tu sola esisti nel mio universo ebbro di pioggia di lacrime felici. Al mio fianco, donna innamorata, sei una canzone intitolata col mio nome e mai ne sfogli altri. Siamo due rosse binarie intrise della rugiada dei campi ove ci stendiamo feriti d’amore dagli aghi di pino.
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Nelle nuvole dei suoi occhi
Un vago pino nei cui rami ci son uccelli si nutrono dei diafani raggi d’alba. Un vago pino è l’albero quotidiano delle inquietudini, padroneggia i miei capricci. Poi una fanciulla di madreperla impastata di rosa, di ciliegie vermiglie che maturano sulla torre della sua cupola s’apre come la corolla d’un ciclamino selvatico nell’aurora. Ora tenue molto più spesso potente il suo poderoso amore, il suo amore nelle mie unghie e la luce di stella dei ridenti occhi corvini- pungolo che non abbandonerò. Astro d’ogni giorno- anche lei sta sognando. Di chi? Di chi sogna la donna carnale nelle nuvole dei suoi occhi? Di me.
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Due stelle
Due stelle, sugheri galleggianti nel cielo primule d’innocenza colte nell’argine della neve ad accendere i raggi della luna, a profumarne di luce il sorriso- a dar gioia come un’alba che scivola nel fiore d’una notte bagnato di te.
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Un autunno di regali
Prima che scoccasse un incendio incontrai i tuoi lucenti occhi corvini di stella; camminavo a tentoni sul selciato delle vie acciottolate- tutto il nostro emisfero attendeva me e te mano nella mano in un sentiero ornato di glicini. Non dovetti più combattere nell’arena, iniziai a scorgere i tuoi occhi di libellula libera. Prima ogni ardore era indelebilmente estraneo, tutto appariva lontano e necessario sinché la tua bellezza e i sigilli del tuo nome non caddero su di me e prepararono un autunno di regali.
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Schegge di stelle
Quando fra schegge di stelle risuonano campane d’aurora mi desto nel gomitolo di lenzuola del primo raggio c’è un velo di nebbia nel cielo dei desideri, noi in un cantiere d’amore come in ogni alba figli d’un destino errante dalla pronuncia naif, palme sorridenti s’un’ isola in un deserto scritto. Ecco che trionfa l’azzurro, balena come una domanda in un’acqua di gioia, ognuno lieto del proprio destino vivida ancora l’emozione delle carezze notturne esuli in un verde canneto nel lago di fango predisposto come i cantori di meraviglie universali, io della tua nella dolce ebbrezza di starti accanto. E’ un armonico concerto d’idee che si staglia nel sorriso cangiante del sole, io perso nei tuoi canti di voce, la musica sottile della tua anima espressa in note nell’immobile fiamma della calma del cielo solo tu la rosa più profumata del bosco allietato persino da dolci effluvi di pruni e ginestre. Tu mi piaci perché ogni dolce pensiero è sotteso, sgorga ripido come un ruscello tra i sassi dell’impazienza e viene a valle in una possibilità che si fa mare in cui nuotare come una benedizione, acqua di tedio franta dalla prima volta che incrociai i tuoi occhi in quella casa dove soffiammo insieme sulla brina dei vetri, in un’idea di libertà.
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Il ciclamino d’un sottobosco
La rosa accesa smuove la terra con mani ardite di fuoco per una notte non l’ultima (fra i seni turgidi l’universo incolore assume la forma delle fiamme) ma non la prima di velluto. Notte simile ad un giorno rosato senza ignoranza e senza fatica senza pena, disgusto. Fra le stelle le tue mani bollono- sei come il ciclamino d’un sottobosco, io te lo pongo sulla veste. Notti d’amore accostati al frangersi d’onde, la salsedine a schiumare i pensieri velati d’incanto come il primo fiore colto per magia un purpureo crepuscolo una sera di cinguettii di merli. Notte franta nelle anse delle stelle dai sonagli dei tuoi polsi, dal rumore delle onde del mare, dal taglio d’un orizzonte di baci, dal concerto di gioia della tua voce. Notti d’amplessi infiniti sino all’aurora.
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La mia colomba
L’alba di questo giorno, errante e senza sosta come una caravella alla deriva in assenza dei tuoi morbidi capelli scuri e dei tuoi occhi che, come una formica intelligente, con antenne d’istinto mi lambiranno. Lei passa come un’ape, ebbra di miele e ronzii toccando quest’inverno d’ombra, le regioni remote del mio cuore costruendo la mia e vieppiù la nostra luce con la sua bianca energia. Infine, tutto il mio caos verrà ricostruito col suo candore- tutto ubbidirà al vento della vita e lei, ordinatrice, vorrà essere la mia colomba.
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Amore dalle trecce di sole
Amore dalle trecce di sole, dalle coppe a forma di colomba intenta malgrado la notte che avanza nell’abisso del piacere indulge al mio desiderio d’amare, ai miei sconfinati sogni innocenti. Dopo pendii innevati i nostri occhi chiudono le loro finestre nelle quattro mura di cartone della nostra intimità di baci incarnati- la tua immagine latente sempre a me ritorna. E’ qui che iniziano in un canto i nostri viaggi e le migliori follie, cominciano e non terminano, proteggono le nostre vite- tu astro sceso per miracolo dal camino ad illuminare l’intera stanza. Una foglia lucente come un panno bagnato è madre della tua chioma quasi come fili d’erba. I laghi ingabbiati in fondo alle pozze, gli anelli della frescura del vento in giardini novelli: di questi la più bella sei tu, un balsamo che invita al riposo.
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Perchè per me sei la più bella
Ely, nel mio cuore ti lascio un fremito diamantato, ciò che da te non ebbi ma che mi donerai come un diadema stellato figlio d’un antico incantesimo. Il mio amore è un uccello ferito e io ne sarò la panacea. Perché per me sei la più bella. Hai tatuaggi di nuvole, cigni e gabbiani non sulla pelle ma nell’anima, pura e nitida. E’ di pane il tuo cuore e le tue mani sono archi stellati. Hai anima che io immagino rosso fuoco come una stilettata nelle tenebre, prelude ad un gomitolo di lenzuola in cui, madidi, ci avvinghieremo. Col pianoforte dei miei versi per te suonerò note audaci, nella neve o fra gli aironi e su di te, sulle tue ciglia, cadrà musica di vero amore. Sempre m’immergerò nella tua ombra di corallo. L’alba e il crepuscolo saranno il nostro sorriso: vedrò l’aurora nei tuoi capelli e la sera nelle tue unghie. Il tuo viso e il tuo corpo vennero da me da una casa straniera in una giornata miracolosa velata da aghi di pioggia e da un sogno, un giorno di miracolose resurrezioni di farfalle in cui tu, prima stella da qui all’infinito, fosti avvolta in una carezza di luce, io felice per averti trovata fra le crepe d’uno specchio. La tua bocca mi regalava libellule di luce, pensando ad appuntamenti in radure ombrose in cui rotolarci innamorati nell’erba; desiderai avvicinarmi al fogliame per stendermi con te presso il greto d’un ruscello, nuotando controcorrente, com’è nella vita il nostro cammino. Il nuovo autunno della volta celeste sarà velato di fari nella trama delle stelle, cadranno in ottobre foglie dagli aceri, un autunno di nebbie e tristezze. Io non so dove andrai, dove andrò camminando senza la mia duplice. So solo che la mia cripta recondita di gioia la devo al tuo ricordo etereo, mia quaglia piumata. Staremo uniti e le nostre mani s’incroceranno fra glicini. Tutto sarà riunito. Perché per me sei la più bella.
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Spirito puro ma guerriero
Non sa tramare insidie lei spirito puro ma guerriero difficile, così difficile da sedurre. E’ il suo sguardo a lasciar trasparire costellazioni in me ha posto il suo anelito su di me ha lanciato l’aerea rete di certezze. Innamorata in segreto nude parole empiono l’aria le scoprono il collo e i seni le palpebre si dischiudono di luce perché nei suoi occhi i baci mostrino di lei solo corpo ed anima. Si protende sul mio viso di pietra ignaro il suo cuore confida, scorda. Sotto le nuvole delle sue ciglia il suo corpo s’assopirà sul mio petto, il profumo del capo sprofonderà nei sogni. La brezza per una strada che avrà fine, i passi delle foglie più spediti- t’accarezzerò in un diluvio di colori- i tuoi occhi fugano la luce. Ha denti scintillanti come il fuoco, la bocca fiamma d’ermellino.
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Nel medesimo ruscello
Spostiamo insieme distanti gli argini d’un fiume denso d’una grassa prateria di fiori, viviamo nel medesimo ruscello scaturito da una florida fonte, apparteniamo ai lidi più felici. Filari di pioppi lo ornano, son legni che viaggiano sulle onde, il nostro peso immobile scava il paesaggio rupestre- ogni accordo di consonanza mai concluso s’è dissolto. Nella città impregnata di miseria e tirannia l’ombra di paesaggio si scolora, s’eclissa l’ora della schiavitù alle spalle speranza mi spinge- mai per sempre ci lasciammo. L’erba si rialza viva su strati innocenti di terriccio. La gioventù in delirio si scolora, più oltre tutto è rovina- sono baci a misura di noi stessi impastati di rosa e rosso fuoco.
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Un solo zampillio
Apparteniamo ai greti dei ruscelli più lieti. Conosciamo il limbo del fiume più acceso delle praterie fiorite. Viviamo in un solo zampillio, apparteniamo al porto più felice. Lontani i fiori avvizziti delle vacanze altrui avanza appena un’ombra di paesaggio, si eclissano le strettoie della libertà- portone che si dischiuderà con un chiavistello. Speranza ci logorava in una città impastata di carne e miseria. Caleranno nel vermiglio crepuscolo sul tuo volto le palpebre del sole- sipario dolce come la tua pelle dagli aromi di velluto nella salubre vegetazione di boschi e uccelli, diafana più delle lame di luce dell’alba. Saranno i nostri baci, le carezze a misura di noi stessi, più oltre tutto è macerie. La nostra gioventù si denuda e sogna, l’erba s’arriccia in sordina su strati innocenti di terriccio.
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Il rivale
Forgiata nel corso degli anni porta la benedizione e la cenere morde emettendo sibili acuti ogni foglia del sottobosco- ha occhi di lucciola libera nel transitare accesa come un lapillo. Aprimi le tue labbra, fiamma di luci, per cogliere il varco al tuo astro, per aprire tutte le porte del cielo- io perso nei sogni tuo prigioniero dei lineamenti leggiadri, della simmetrica figura statuaria. Saranno inumidite le lenzuola? Il mio silenzio è voce d’uomo che t’indica la via maestra. Rotoli nell’erba palpeggiata dal rivale il vecchio sudore del seme un rampicante di farina che scivola sino alla tua bocca. Ah lievi, pazze coppe agili aria che scende in un mare a valle come il sole a forma di colomba. Ah sapori, palpebre d’ala viva con un tremore di fiori. Ah cosce snelle di miele svestite.
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Il silenzio acuto del mattino
A mio padre Ho annodato a ciottoli levigati il fluire dei miei ricordi. Forse era l’aurora cremisi che si specchiava nei solchi delle rare onde, forse la magia del silenzio acuto del mattino. Forse la quiete infinita ed il confluire d’umane speranze tipici d’ogni alba in qualunque angolo del mondo. Forse un po’ di tutto ciò mischiato all’amore per la vita: e noi in simbiotica armonia su quei greti ci trovavamo, padre, ed era l’acuto silenzio delle nostre illusioni, la genesi delle nostre buone intenzioni. Era la folgorante attesa d’un alito di luce a farci muovere, padre, laddove ormai sono avanzate poche manciate di rena e l’acqua ha reso canute persino le amiche conchiglie. Pubblicata dalla rivista nazionale Poesia nel 2002
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Quando incrocio i tuoi occhi
Capelli neri come il cielo che fa da manto. Quando incrocio i tuoi occhi finestre spalancano le braccia, tovaglie di neve sfavillano. Si schiudono i desideri dell’infanzia per la bramosia cantata in sordina. Quando incrocio i tuoi occhi ogni ombra di tema svanisce, si dissolve il veleno dell’erba dei campi. Dai rovi nelle ruderi dei templi sortiscono frutti di fuoco vermigli, il mosto della terra annega le api. Quando incrocio i tuoi occhi si svuota lo spazio siderale, le onde lambiscono i bagnasciuga i leoni, le cerve, le colombe tiepidi d’aria pura mirano nascere la nostra primavera. Quando incrocio i tuoi occhi le pareti scottano di nuova vita, dentro il nostro letto di natura è eretto d’innocenza, sempre più nuda e schiava d’un eterno gioco di foglie.
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Come roccia e come gallo
Battevano le campane della neve in un dicembre fra i nostri segreti tu m’infondevi coraggio con te ogni annata sarà lieta- l’alito di pesca delle mie labbra sarà l’avventura d’un elemento primario. Solo per quest’anno serberemo la resistenza di giovinezza, la nudità dell’erba dei tuoi occhi luminosi- presto sentirò le tue labbra dischiuse in tre minuti d’acqua cristallina. Come roccia e come gallo, un gallo simile a un incendio d’oggi è un frullo di colori la luce folgorante babele d’antica memoria per dissipare pene e sonno agitato. Mi muovo a stento nell’ombra quanto basta a disegnare il cielo per raccogliere nidi di piacere, il lieve tocco delle mani di seta, nidi di carezze aguzze come la serpe ciò che basterà per raccogliere baci di velluto.
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Il battello dei sogni
La luce dei tuoi occhi è al limite di primavera dove ogni gesto si tocca, s’interseca dapprima solo rosso incenso ora sottobosco dal profumo di pruni, nuvola immobile nell’azzurro, violino che suona un armonico concerto di note. Ti racconterò dei tuoi occhi, del loro colore corvino, folgore d’una scintilla d’un alfabeto d’amore. Davanti all’uomo conquistato sei cieca esaltazione, regina ingenua come un fiume nel deserto. Fra le aurore e il frangiflutti delle notti vi sono ghirlande da coltivare, te ne pongo una al collo di panna. Fra i tuoi occhi e il mare immagini d’onde di passione, il nostro nido come quello d’una coppia di rondini. Il battello dei sogni veleggia in un lago dorato, la terra inseminata attende i tulipani. Sei la superba avventura del maggio odoroso nei tuoi occhi vi son perle ogni giorno più incantevoli d’un mazzo di fiori alle campane dell’arcobaleno.
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Come roccia e come gallo
Battevano le campane della neve in un dicembre fra i nostri segreti tu m’infondevi coraggio con te ogni annata sarà lieta- l’alito di pesca delle mie labbra sarà l’avventura d’un elemento primario. Solo per quest’anno serberemo la resistenza di giovinezza, la nudità dell’erba dei tuoi occhi luminosi- presto sentirò le tue labbra dischiuse in tre minuti d’acqua cristallina. Come roccia e come gallo, un gallo simile a un incendio d’oggi è un frullo di colori la luce folgorante babele d’antica memoria per dissipare pene e sonno agitato. Mi muovo a stento nell’ombra quanto basta a disegnare il cielo per raccogliere nidi di piacere, il lieve tocco delle mani di seta, nidi di carezze aguzze come la serpe ciò che basterà per raccogliere baci di velluto.
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Il grande inganno
Tu mi racconterai del grande inganno, di come cala la nebbia sulle sterpaglie dei sentimenti, di come ti prendesti gioco di me eludendomi, di come forse sognasti una nuova aurora senza desiderarla e di come ponesti le orme nel mio sentiero senza respirarne il profumo di vita. Ora, mia dolcissima amica, ambisco solo che l’intricato nodo della matassa dei miei desideri si sciolga per sempre, immaginando un’alba dorata di sole allietata da un cinguettio di merli illuminata dal sorriso di lei.
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Fra una petraia e un ciclamino
Fra il carcere e l’aria libera, tra i pugni e le carezze, fra una petraia e un ciclamino vi son diversità più ammalianti che tra la pioggia e il vento, l’uomo e la donna. Mio elemento primario cespuglio di metamorfosi il tetto delle stelle si distendeva in un dicembre di corvi che sfumavano nelle nebbie della mia solitudine. Ho sempre temuto il tuo silenzio: vi nascono idee senza ragione, assenza di palpiti di fremiti, lo stucchevole rame assai meno lucente della tua cute dirimpetto alle persiane dei vetri. Il tuo volto fendente, landa affatto deserta perché sei tagliata apposta per l’amore e il piacere- in un gomitolo di lenzuola te ne starai nuda supina.
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Un albero
Un vago albero i cui rami son ruscelli bevono alla sorgente del sole, i pesci squamati d’argento cantano come perle, padroneggiano i miei capricci. Poi una donna dalla bocca di fragola, di rose vermiglie che s’aprono come conchiglie è fiamma braccata dalla linfa dei desideri, sarà amante irresistibile impastata di rosa- sul tappeto erboso ci rotoleremo fra carezze di rugiada. Il suo delirio, il suo amore ai miei piedi, feriti dagli aghi di pino; le conchiglie dei suoi occhi corvini, limpida sotto le sue smagliature- fucina di tutti i miei sogni. In questa foresta che brilla di cento uccelli muti nella notte dell’albero sei un fiore bruciato nell’aria erosa, nessun altro colore ha il sopravvento- si manifesta in un sentiero di carne. Distillare le coppe del tuo oro nero sino all’ultima goccia di sonno.
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L’orgoglio dei vivi
Alla memoria di mio padre Ascolta l’impalpabile ritmo del tempo: sarai pronto nell’ora dell’agonia e sconfiggerai le tenebre con la forza del silenzio; quella forza che, tenace, attraversa i secoli e fa risplendere con gran fulgore il mistero cui t’avvicini. Scaccerai l’orgoglio dei vivi con la promessa dell’eternità e solcherai la vicenda dolce della tua vita penetrando il buio con la tua scorza di diamante. Vivrai il tarlo che rode la tua coscienza scalfita da un senso d’impotenza con l’onore dell’età, stinta come quel lenzuolo di lino che pare scacciare il freddo dell’abisso ed io ora, padre, oso accarezzare la tua fronte imperlata di sudore che, in una memoria di bambino, conservo ancora vergine di rughe. Seconda classificata nel Premio Internazionale Olympia-Città di Montegrotto (PD) 2004. Pubblicata nel 2004 dalla rivista nazionale Poesia. Poesia apprezzata dal Sig. Giuseppe Conte.
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La folgore d’un incendio
La miseria rampicava ancora sulle mura, morte riteneva di palesarsi- hai una folta schiera di amanti risoluti a procedere sfidandosi. Ambivano ad inebriarsi di se stessi i loro sguardi sognavano di suggere il miele, amavano il tuo cielo per gli ardori, erano nati per penetrare nel nostro autunno. Quanti baci appassionati pascendo sotto la luna benevola, quanti richiami, quanti sconfitti per eccesso di brama- io t’attendo e sarà l’eco del tuo sorriso. Non c’è foresta arsa che tenga alla folgore dell’incendio delle spighe di grano infiammate, ad un bacio irruento che dice “t’amo.” T’amo e t’adoro fra le risa nelle isole, al limitare delle fertili valli perché i fiori proteggono l’erba della tua pelle.
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Un volo di rondine
Il meriggio consolerà il mattino per aver trascorso frammenti del nuovo giorno. Se qualcuno ricorderà l’alba sarà tempo di quiete sfumato, ricordo lambito da echi sfiniti, candido pallore che quasi richiama il colore del crepuscolo. Dimenticato è ormai il mattino in una fitta pioggia di speranza che ha permeato il meriggio d’un’apparenza vespertina. Il giorno regalerà alla notte rose di seta e verrà il tempo dei vizi, il tempo dei rimorsi e sarà la foglia d’una pianta appassita ad ondeggiare ed insegnare che anche nel vuoto di piombo del silenzio l’inchiostro sinuoso si agita e traccia graffiti d’amore. Udendo gli schiamazzi di quattro ubriachi che cantano, dolcemente m’assopirò sotto un’arcata di cielo lattiginoso. Porrò a tacere le membra assonnate in una notte dove la luce delle stelle illumina un uragano di passioni. All’alba sarà un volo di rondine ad illanguidire d’amore gli alberi, aprire il cuore a vagiti di speranza e concedermi l’attesa della nuova stagione.
Pubblicata dalla rivista nazionale Poesia nel 2005.
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Il pazzo
Il pazzo è un vino diverso che sa di more, un lampo nel buio che reclama attenzione. E’ l’anomalia d’oggi, mondo corrotto, ti esige nello schema come un’immensa catena dove ognuno recita per sé, monotona cantilena che non ammette diversità. E’ il gatto di marmo dalle sette vite che ghigna beffardo; il cane sciolto, il nodo mai risolto. E’ la noia, la noia, i rintocchi d’un vecchio orologio a cucù che canta le ore della notte, il silenzio franto dallo sferragliare della ferrovia. E’ un frutto mai raccolto, un granello di sabbia senza gravità che vola nella luce del mattino e si deposita poi a sera senza aver mutato la geografia del proprio destino.
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La folgore d’un incendio
La miseria rampicava ancora sulle mura, morte riteneva di palesarsi- hai una folta schiera di amanti risoluti a procedere sfidandosi. Ambivano ad inebriarsi di se stessi i loro sguardi sognavano di suggere il miele, amavano il tuo cielo per gli ardori, erano nati per penetrare nel nostro autunno. Quanti baci appassionati pascendo sotto la luna benevola, quanti richiami, quanti sconfitti per eccesso di brama- io t’attendo e sarà l’eco del tuo sorriso. Non c’è foresta arsa che tenga alla folgore dell’incendio delle spighe di grano infiammate, ad un bacio irruento che dice “t’amo.” T’amo e t’adoro fra le risa nelle isole, al limitare delle fertili valli perché i fiori proteggono l’erba della tua pelle.
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Infrante Chimere
Lambiscimi con gesti di gioia, una parola d’assedio d’infrante chimere, una sillaba più vicina alla tua bocca- mi promette aurore di miele fluttuando perso nei capelli corvini dedicandoti, in un sorriso di luna, strofe d’acqua e di cielo. Pensieri che non t’appartengono si tradurranno in note di canto e ti empiranno d’oro le mani canore. Frattanto raggianti ruote di pietra avvolgono il paesaggio rupestre, raggi d’oro calpestano i campanili. Tu scrivi margherite sull’erba dei campi. Quando avvicino il cielo con le mie mani per destarmi nelle lame di luce diafana i tuoi baci si appiccicheranno come lumache alla mia schiena- gireranno i calendari e sortiranno nel mondo i giorni come foglie azzurre; comparirai nel mio spazio, nel mio anello ora solo verbo ed inferno. Ti guarderai in una lacrima, t’asciugherai gli occhi dove fui- ora d’improvviso piove verde ma il mio cielo s’è fatto roseo.
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Bocca illuminata
Le feci io il primo, vivace passo su questa terra rosata con un acuto vagito di bimbo donandole orchidee all’infinito- sfavillanti come la neve, ardenti come il sole di mezzogiorno. Il gallo alle porte d’aurora avrà frantumato il tappeto della notte su rulli di vivacità. Non si leverà tanto presto il capo verso il sole che si adorna ma si occulterà dietro gli occhi. Si leverà poi verso una lama di luce la tua bocca più vorace d’una mimosa, bocca celata dietro a ciglia asciutte- presto si occulterà dietro agli aghi di pino dispensando sogni nel silenzio- collana spezzata da parole ribelli. Un’altra bocca per giaciglio, amica di erbe febbrili, selvaggia e buona creata per me e per nessun altro- bocca immemore d’ogni linguaggio. Bocca illuminata dalla mia anima.
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Un autunno di tigri all’agguato
Saremo giunti con un dardo nel petto in un autunno di tigri all’agguato della nostra fragrante pelle di miele, un olezzo d’inaccessibile cute desiderando annusare sudore verde ci ritroveremo nell’umidità dei baci. Mia compagna d’infinite, palpitanti visioni come minacciosi rintocchi di campane, puledra dai fianchi snelli che vorrei toccare dal canto del sorriso di stella- in un futuro paesaggio di foglie ingiallite ci inumidiremo le labbra invase dalla sete. Lì sono i tuoi occhi odoranti di selvaggina, di fulmine che trapassa pareti- hai denti che mordono mele di sangue, le tue mani graffiano il sole ghermendolo, i piedi di pioggia, imbuti d’ombra, son fiori dall’olezzo di mimose. Mi spii con labbra carnose scalfisci le pietre, l’oro e l’argento, cresce l’aerea rete di pensieri, la tua scorza-non vi è distanza né rame. Vorrei toccare in un palpito le tue morbide mani e far cadere crepitando il vellutato fiore brunito.
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L’orgoglio dei vivi
Alla memoria di mio padre Ascolta l'impalpabile ritmo del tempo: sarai pronto nell’ora dell’agonia e sconfiggerai le tenebre con la forza del silenzio; quella forza che, tenace, attraversa i secoli e fa risplendere con gran fulgore il mistero cui t’avvicini. Scaccerai l’orgoglio dei vivi con la promessa dell’eternità e solcherai la vicenda dolce della tua vita penetrando il buio con la tua scorza di diamante. Vivrai il tarlo che rode la tua coscienza scalfita da un senso d’impotenza con l’onore dell’età, stinta come quel lenzuolo di lino che pare scacciare il freddo dell’abisso ed io ora, padre, oso accarezzare la tua fronte imperlata di sudore che, in una memoria di bambino, conservo ancora vergine di rughe.
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Nelle tue labbra vi è il cielo
La luce di quest’aurora è un tonfo di palme gioco esaltante di domande assenza di rischio di rifiuti- per le vicende del giorno la parete perderà i suoi ciottoli. La luce di quest’aurora, i seni spogli dei miei sguardi gli olezzi multipli d’un mazzo di fiori dalle rose ai ciclamini passando attraverso i girasoli, la viola del pensiero. Il rumore delle pietre, della risacca del mare- sfiora anse di rena in cui ci stendiamo frante dal bagnasciuga del frangiflutti. Il miele della tua pelle, la fragranza del pane dalle orchidee delle stelle scendono gabbiani implumi. La luce di quest’aurora, fiamma che ti rigenera nasce verde e muore d’erba. I primi balbettii di felicità furono sotto veli di rugiada. E nelle tue labbra vi è il cielo.
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L’arcobaleno
Annego nell'inchiostro la seta fine che avvolge il mio sonno tra voli notturni di pipistrelli e schiamazzi mattutini delle lavandaie. In un' aria di carta cerco di dirigere il traffico delle mie passioni e, lasciandomi lambire dalla brezza amica, mi riposo all'ombra della grande quercia ascoltando canzoni di ieri. Il tempo, intanto, immemore delle mie sofferenze, ambisce solo a spargere la mia cenere dolce nell'armonia dello spazio remoto dove le stelle per noi son morte e non c'è un arcobaleno che, dopo le vicende della vita, si stagli nel cielo turchino e muti la nostra essenza dall'ombra alla luce.
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Quando incrocio i tuoi occhi
Capelli neri come il cielo che fa da manto. Quando incrocio i tuoi occhi finestre spalancano le braccia, tovaglie di neve sfavillano. Si schiudono i desideri dell’infanzia per la bramosia cantata in sordina. Quando incrocio i tuoi occhi ogni ombra di tema svanisce, si dissolve il veleno dell’erba dei campi. Dai rovi nelle ruderi dei templi sortiscono frutti di fuoco vermigli, il mosto della terra annega le api. Quando incrocio i tuoi occhi si svuota lo spazio siderale, le onde lambiscono i bagnasciuga i leoni, le cerve, le colombe tiepidi d’aria pura mirano nascere la nostra primavera. Quando incrocio i tuoi occhi le pareti scottano di nuova vita, dentro il nostro letto di natura è eretto d’innocenza, sempre più nuda e schiava d’un eterno gioco di foglie.
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I figli della guerra
Anni tremanti appesi ad una foglia su per il vorticoso dedalo dei sentieri della vita. Era il tempo di baci screziati di viole, frutto di teneri abbracci e carezze. Ora, noi figli della guerra, ascoltiamo l'eco dei silenzi dei cuori stranieri e, intrisi di tristezza, vaghiamo nella luce fatua dell'impervia brughiera incendiata da un'accerrima battaglia. Poi, quando finalmente s'immolerà l'animo nostro schiavo della sete amara del potere, non saremo più costretti ad annaspare, non più naufraghi nelle impervie trincee. Scacceremo d'improvviso l'orrore con una promessa di pace che assumerà l'aspetto, nella nostra oasi di quiete, d'oro fuso d'un amore tramato fitto.
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Un albero
Un vago albero i cui rami son ruscelli bevono alla sorgente del sole, i pesci squamati d’argento cantano come perle, padroneggiano i miei capricci. Poi una donna dalla bocca di fragola, di rose vermiglie che s’aprono come conchiglie è fiamma braccata dalla linfa dei desideri, amante irresistibile impastata di rosa sotto l’albero rotolandoci fra carezze di rugiada. Il suo delirio, il suo amore ai miei piedi feriti dagli aghi di pino; le conchiglie dei suoi occhi corvini, limpida sotto le sue smagliature- fucina di tutti i miei sogni. In questa foresta che brilla di cento uccelli muti nella notte dell’albero sei un fiore bruciato nell’aria erosa, nessun altro colore ha il sopravvento- si manifesta in un sentiero di carne. Distillare le coppe del tuo oro nero sino all’ultima goccia di sonno.
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In queste ramature
Refrigerio velato di carezze, gatta randagia dalle orbite di luce, mare cristallino in cui perdermi, occhi che palesano la sua mente sono la frescura di primavera- il suo cuore apparterrà ad una stella di giada. Immergendosi nel velo di baci lei si desterà la notte, sussulterà stendendo su di me la sua rete di carezze per stupirsi dello scintillio del mio sorriso ebbro di gioia come quando-le gote rosse d’emozione-ne colsi il primo scintillio. In queste ramature non veleggiano con piroscafi altri naviganti, le mie palpebre dischiuse in un sorriso mostrano il bagliore dell’eco del fuoco- tu astro sceso per miracolo una notte dal camino ad illuminare la mia dimora. Lei sonda la mia mente penetrando nell’anima. Gli aneliti scivolano in risa di dolore: squarciano l’aria delle tegole, l’impotenza altrui con una canzone minerale. Guarda le tue mani, puoi incrociarle alle mie; puoi aggrapparti a questo volo di farfalle.
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Ho visto te
Da Sogno d'amore (Eretica Edizioni) 2022. Ho visto un cielo di bolle colorate di giallo grano, di verde cespuglio, di rosso papavero. Ho visto uno spazio libero per l'amore. Ho visto te.
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Il silenzio acuto del mattino
A mio padre Ho annodato a ciottoli levigati il fluire dei miei ricordi. Forse era l’aurora cremisi che si specchiava nei solchi delle rare onde, forse la magia del silenzio acuto del mattino. Forse la quiete infinita ed il confluire d’umane speranze tipici d’ogni alba in qualunque angolo del mondo. Forse un po’ di tutto ciò mischiato all’amore per la vita: e noi in simbiotica armonia su quei greti ci trovavamo, padre, ed era l’acuto silenzio delle nostre illusioni, la genesi delle nostre buone intenzioni. Era la folgorante attesa d’un alito di luce a farci muovere, padre, laddove ormai sono avanzate poche manciate di rena e l’acqua ha reso canute persino le amiche conchiglie. Agosto 2001. Poesia vincitrice assoluta del Premio Age Bassi-Città di Castiraga Vidardo (LO) 2002. Pubblicata dalla rivista nazionale Poesia nel 2002. Particolarmente apprezzata dallo stimatissimo Sig. Giuseppe Conte.
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Farfalla variopinta
Nel giardino dei ciliegi luccica etereo un otre di memoria che è grigio ed è rosa nelle aurore spazzate dalla scopa del vento. Figlio d’antiche leggende in cui con armi di carta ambivamo ad abbeverarci alla fonte della gloria inseguendo il misterioso parto dell’inchiostro. Ora avanza un bagliore, un rumore muto di spade che tende la sua tela sottile ghermendo con uncino la preda come il pescatore che della balena ne attizza il supplizio. Le notti ci bagniamo di luce di luna sognante- sorride ammiccando benevole alla biro che sciama veloce sulla pagina bianca e traccia graffiti d’amore. Io, intanto, bacio le stelle: m’avanza la tua assenza, astro delle praterie planetarie del mio emisfero, farfalla variopinta che m’accarezzerai come un fiore.
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Il grande inganno
Tu mi racconterai del grande inganno, di come cala la nebbia sulle sterpaglie dei sentimenti, di come ti prendesti gioco di me eludendomi, di come forse sognasti una nuova aurora senza desiderarla e di come ponesti le orme nel mio sentiero senza respirarne il profumo di vita. Ora, mia dolcissima amica, ambisco solo che l’intricato nodo della matassa dei miei desideri si sciolga per sempre, immaginando un’alba dorata di sole allietata da un cinguettio di merli illuminata dal sorriso di lei.
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2 marzo 2005 Funerali di Mario Luzi
Mentre venivi strappato all’amore senese dalle incombenze del babbo, da quella Siena che amavi, la Siena “con i ghiacci che pendevano dalle cornici incendiati dal sole” eccoti intanto, quindicenne, Mario al Galileo, sotto la guida ispiratrice del grande Francesco, dare la tua s-Toccata alla storia. E io, che sin dalla tenera età, ero salito sulla tua Barca, d’incanto, sapendolo, perdutamente m’innamorai di te. Ma tu, novantenne, quell’aprile dai cieli d’acqua di polvere l’avresti solo sfiorato. E allora io - con il cuore spezzato, trentottenne intento a navigare nel mare della poesia s’un’onda di speranza coltivando, ora come allora, grandi sogni, navigando s’una caravella d’emozioni - non ebbi dubbi. In un battito di ciglia il convoglio sferragliò a Santa Maria Novella. Ma a me renderti omaggio non bastava: tu eri, sei e sarai nel mio cuore. Fu così che, con il mio migliore abito e una sgargiante cravatta penzoloni, tra le duemila persone al Duomo io, che sfacciato per natura sono, m’affacciai a quell’uscio e m’accolse addirittura Gianni. “Ma lei chi è?” “Sono un lontano parente, permesso.” E l’omelia fu straziante, tu per l’ultima volta portato alla vetta, tu astro immenso, stella solitaria di quest’universo così corrotto - stella solitaria il cui transitare con passo roco certamente ha profumato di rose, ma anche del retrogusto d’un sapore dimenticato, l’aria della poesia. Nel viaggio, questa volta lungo e di pensieri, verso Milano Centrale certo non estinsi il dolore ma perlomeno smussai il rimpianto. Tranne quella sofferenza grande, con la quale sei trapassato, portandotela nelle praterie, d’un 10 dicembre, d’una Stoccolma mai avvenuti.
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Farfalla variopinta
Nel giardino dei ciliegi luccica etereo un otre di memoria che è grigio ed è rosa nelle aurore spazzate dalla scopa del vento. Figlio d’antiche leggende in cui con armi di carta ambivamo ad abbeverarci alla fonte della gloria inseguendo il misterioso parto dell’inchiostro. Ora avanza un bagliore, un rumore muto di spade che tende la sua tela sottile ghermendo con uncino la preda come il pescatore che della balena ne attizza il supplizio. Le notti ci bagniamo di luce di luna sognante- sorride ammiccando benevole alla biro che sciama veloce sulla pagina bianca e traccia graffiti d’amore. Io, intanto, bacio le stelle: m’avanza la tua assenza, astro delle praterie planetarie del mio emisfero, farfalla variopinta che m’accarezzerai come un fiore.
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Lo sposalizio
Scintillio di stella ocra, rosa selvatica della mia terra bella e luccicante come un petalo di luna che amo in ogni onda della mia vita. Sei la mia lancetta delle ore, papavero rampicante, dolce garofano sinché muterai il mio cuore dal lutto al fuoco. Giungesti e io scrissi lettere brucianti: volarono ardendo sulla tua fronte, sulla tua pelle di ciclamino, sull'alfabeto d'oro delle tue colline. Ora sarei felice come un bimbo con l'aria e la terra, con la tua bocca di rose sarei felice con te. La purezza della tua anima candida come un giglio è fiamma d'un anello d'oro che ti porgerò come dono nuziale.
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La rosa bianca
Attraversai selve, distese, fiumi e paludi, tutto il nostro pianeta verde; poi una dirittura d’argento scivolò nel vento d’una notte tagliata come la tua stella errante. Passerò con la rosa bianca chino sulla sua nave dorata- aprirà i suoi sentieri di glicini: attenderò un cenno d’assenso per il suo chiarore notturno, il suo liquido amniotico trasparente. Uccelli d’alluminio vibrano fischiando e crepitando- volgerò alla gioia quando lambirò i petali dei tuoi occhi oceanici, scenderò dalle stelle amando il nostro viaggio felice. La luce dell’aria é viva come lapilli di vulcano, accende ad ogni ora la terra sebbene l’inverno serri fiumi, noi ci conosceremo nella magia quando arderà la vita nella neve.
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Sul lungofiume
Piante maggiori coinvolte nel fuoco, bionde o brulle, bruma o rugiada, fiori estremi maledetti. I tuoi seni di grazie accettate, risate fra gli alberi, corse affannate. Sono venti d’uragano. Uragano che protegge le sue creature frantuma steli di luce assegna erbe agli insetti nelle fumate dell’autunno, nelle ceneri dell’inverno. Randagia dalla fronte spianata, il suo cuore, i suoi occhi- è un astro, le sue orbite palesano i pensieri: trapuntati veleggiano in un gruzzolo di luce nel tepore della stagione delle rondini. Sul lungofiume di ramature palpebre dischiudono intriganti occhi bruniti dal bagliore dell’eco del fuoco. Sul lungofiume dalle labbra umide sognando la tua anima d’ombra svanisce ogni assedio di pena.
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La legge del tuo sorriso
E' stata la tua legge del sorriso a tramutare in fronde le foglie del pianto, un movimento fiorito di luce a far cadere dal cielo fili dorati come la leggiadria della tua chioma. Al primo raggio le tue orbite percorrono deserti e vulcani, sei però rosa selvatica la cui essenza mordi piangendo perché il seme del tuo ovario cadde nella terra- presto aspirerai profumo di gelsomini decidendo nell'estate imminente il colore del nostro oceano complice della schiuma. Riposa la tua schiena morbida, il mappamondo del tuo petto, i petali profumati della tua forma di dea, entra femminea nei miei sogni- solo allora sento che scendi dall'albero ombroso, che passa dal mio amore la cascata del cielo, e che tu, essendo fiamma di fuoco minerale, mi concedi il ramo imprescindibile e vita d'oro. Forse tu, compagna, sei figlia dei riflessi delle stelle e delle fiamme, rammento come uscisti dalle foglie del fuoco, sei ancora pane della selva, cenere del grano e dell'orzo. Amore mio, mia forte colomba, mia stella di sabbia con la sicurezza d'una stirpe di carta, giunta alla guerra della mia anima bruciante, marcerò ora e sempre in quella selva circondato d'animali feriti accordando i passi al mio delirio perché ormai svetta la cupola della tua torre.
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Le tue mani di pioggia
Alba senza ritorno fra membra assopite riflesso simmetrico di donna fulva, le iridi ramate di donna leggiadra la chioma fluente del grano le amorevoli mani e i seni aguzzi non vincono la iattura d’amarti. Fai parte dell’eco delle crepe dello specchio della stanza e della città. Ci siamo divisi in due parti la tua l’avevi votata a me- la mia te la consacrai. Le tue mani di pioggia su occhi bramosi, fioritura feconda, rabescavano radure dove una coppia si baciava- eravamo io e l’angelo profumato. Cirri di sereno, torpide primavere, estati dalla gonna rialzata. In un mattino di sughero lei ha arrestato la corsa in un campo di girasoli. Tutto ciò che ho voluto è stata un’armatura prescelta fra le macerie dell’aurora più cesellata.
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Fata turchina
Né il cuore è più spezzato da una lama in prati brinati di spine, in un bosco vuoto come i bicchieri nell’aurora perle d’acqua sgocciolano melodie d’amore, il braccio si stringe alla tua cintola, due mari nocciola nei tuoi occhi marroni. Passi con coppe d’argento e ciglia asciutte fata turchina dischiuso fiore, aria che scende come un ruscello a valle, sole splendente un po’ collerica, impronta d’acqua ribelle che scivola in un tappeto d’erba dove sei rosa selvatica. La luna in strade sbiadite da luci gelate, le solco raccogliendo giornali dai quali fuoriesce la tua fotografia, i cui titoli sono i sottili pensieri di canto della voce lieta, la mattina m’intrufolo tra le lenzuola col soriano, m’alzo, osservo la barba ispida fra le crepe dello specchio poi gli racconto del tuo sorriso. Germinerà e sortirà all’azzurro ancor più il tempo dell’amore! Si scardinerà il destino, il silenzio della notte fermo ad ascoltare dalla vista di Venere al primo bacio di raggi, avviluppata fra le lenzuola, madida, sussultante in fremiti.
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Il mondo da una mongolfiera
Scappa attraverso il paesaggio rupestre, capelli corvini e occhi scuri, fra le fronde e le carezze del vento gambe tornite in calze di sabbia, immemore in tutti i veli di ruscelli. Ultimo palpito s’un volto trasfigurato. Nella placidità del suo corpo avanza una sfera di neve, sulla pelle un neo di silenzio. Le sue mani, archi canori frantumano ogni luce d’alba. Nella sua dimora conta i minuti. Per la sua stella, esplosa nell’aria d’aprile, per regalarsi gli occhi, per vivere giunti sino alle praterie in fiore, per regalarsi immenso amore per donarsi le iridi all’ultimo secondo. Per dormire nella luna in quattro pupille, il sole nelle medesime. Un amore fra le labbra-un vago uccello adorna i campi, i boschi, le strade e il mare. Bella come il mondo da una mongolfiera. Premio speciale della Giuria nel Concorso Letterario Nazionale “Le Occasioni-Ossi di Seppia” 2019 alla memoria del Premio Nobel 1975 Eugenio Montale.
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Amoreggiando in una macchia della luna
Amore mio di cosa profumi? Di violaciocche, di stelle? Aspirando il dolce aroma della tua chioma frumento m'accorgo che sei dolce come un fiore, unica come una rosa in uno sterile deserto. Sai di terra come le pietre ambrate delle iridi le cui incantevoli pagliuzze sono frecce penetranti di garofani dal dolce odore. Odore dell'albero dalle millefoglie della mia vita, dolce colomba, mazzo di spighe, bimba, amorosa mia come l'onda d'un'aurora d'amore che incalza. E quando la mia mano percorre la luce della tua pelle stellata le tue coppe d'anfora hanno profumo di luna dove noi amoreggiamo bevendo assetati da una sorgente di baci in una sua macchia.
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Solo parlando coi tuoi capelli
Gli spigoli dell’acqua, acqua come le palpebre dei tuoi occhi, entrano come lame nella tua anima quando il mio cuore innalza statue infrangibili verso la tua cordigliera di luce. E’ un tonfo d’acqua salina a scandire la voce di viola che a lungo t’ha attesa come una corona zuccherata- ora il mio è sangue che vive dei tuoi baci. Voglio vivere, amor mio, solo parlando coi tuoi capelli, sulle tue gambe d’uva gettando le lacrime nel passato con sillabe dorate non infrante, orologi che scandiscono le ore notturne. Appisolarmi sui tuoi seni destato da un bacio- prelude a madide lenzuola in cui siamo giunti come astri, in un armonico saliscendi sino all’aurora con l’eco d’un canto.
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Luce d’aurora
Il vecchio amore s’è eclissato, ora è una goccia di quarzo frumento come le tue trecce, un ramo fiorito nella pioggia che, quand’anche scendesse ad aghi, ci ubriacherebbe solo di gioia. Nel bosco verdeggiante dei pensieri, colmo come i calici nel crepuscolo, hai occhi con orbite intarsiate di pagliuzze dorate come minerali e piedi di velluto lo solcano, piedi di grano, di ciliegia. Amore della luce d’aurora, del mezzogiorno tagliente e delle sue lame di sole che gocciola prima che cali il sipario della notte- c’è nel tuo viso profumo di viole con aroma di rugiada. Trillo di merli nella mia isola, nel mio regno del cuore il cui miele d’acacia è un mandorlo fiorito- unica stella del mio firmamento come una rosa muschiata nella neve.
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Fra una petraia e un ciclamino
Fra il carcere e l’aria libera, tra i pugni e le carezze, fra una petraia e un ciclamino vi son diversità più ammalianti che tra la pioggia e il vento, l’uomo e la donna. Mio elemento primario cespuglio di metamorfosi il tetto delle stelle si distendeva in un dicembre di corvi che sfumavano nelle nebbie della mia solitudine. Ho sempre temuto il tuo silenzio: vi nascono idee senza ragione, assenza di palpiti di fremiti, lo stucchevole rame assai meno lucente della tua cute dirimpetto alle persiane dei vetri. Il tuo volto fendente, landa affatto deserta perché sei tagliata apposta per l’amore e il piacere- in un gomitolo di lenzuola te ne starai nuda supina.
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Come roccia e come gallo
Battevano le campane della neve in un dicembre fra i nostri segreti tu m’infondevi coraggio con te ogni annata sarà lieta- l’alito di pesca delle mie labbra sarà l’avventura d’un elemento primario. Solo per quest’anno serberemo la resistenza di giovinezza, la nudità dell’erba dei tuoi occhi luminosi- presto sentirò le tue labbra dischiuse in tre minuti d’acqua cristallina. Come roccia e come gallo, un gallo simile a un incendio d’oggi è un frullo di colori la luce folgorante babele d’antica memoria per dissipare pene e sonno agitato. Mi muovo a stento nell’ombra quanto basta a disegnare il cielo per raccogliere nidi di piacere, il lieve tocco delle mani di seta, nidi di carezze aguzze come la serpe ciò che basterà per raccogliere baci di velluto.
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Il fiore dell’amore
Amerai ogni ciottolo della mia casa, ogni sua pietra impastata d'antica miseria; saremo nella nostra stanza come una foresta che brilla- t'appoggerai alle fronde delle mie spalle di quercia secolare. Fra due alberi dalle diversità più ammalianti l'albero del giorno sarà quello più vago, tra mani radiose d'equità simmetrica quello della notte s'intrufolerà tra le lenzuola profumate. Come fiore del nostro amore avremo due bocche in una riflesse in uno specchio volante per resuscitare e cantare da un antico braciere, per vivere o per morire. Le nostre ali trasportate dal vento troveranno il vero ed unico albero, vi sarà silenzio, il canto si smemorerà quando ogni foglia avrà la sua nuvola e il tuo volto di dea ramata sarà l'unico fiore cui farà da corolla ogni color primaverile.
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Luce d’aurora
Il vecchio amore s’è eclissato, ora è una goccia di quarzo frumento come le tue trecce, un ramo fiorito nella pioggia che, quand’anche scendesse ad aghi, ci ubriacherebbe solo di gioia. Nel bosco verdeggiante dei pensieri, colmo come i calici nel crepuscolo, hai occhi con orbite intarsiate di pagliuzze dorate come minerali e piedi di velluto lo solcano, piedi di grano, di ciliegia. Amore della luce d’aurora, del mezzogiorno tagliente e delle sue lame di sole che gocciola prima che cali il sipario della notte- c’è nel tuo viso profumo di viole con aroma di rugiada. Trillo di merli nella mia isola, nel mio regno del cuore il cui miele d’acacia è un mandorlo fiorito- unica stella del mio firmamento come una rosa muschiata nella neve.
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La danza gialla delle foglie
Ascolto le note musicali della tua voce venuta dalla terra per salire al cielo, spio i tuoi occhi d’onice: ecco la tenerezza di sguardo di seta, la tua bocca, parola senza eco. Avverto salire a tentoni il muschio della tua pena. E’ la guerra oscura del cuore la lama spezzata di angosce commosse l’ebbrezza dei desideri. E’ questo la mia vita: l’acqua che le tue iridi nere mi recano, il concerto di voce dei tuoi sottili pensieri. Ah, coppa, ruscello, mia agile futura compagna. Scorgo le coppe nella danza gialla delle foglie. Ti giunge ululando il vento nell’ora del sangue fermentato quando la terra palpitando vibra sotto il pallore del sole che la riga con code d’ombra. Eccola, la tua forma familiare, ciò che m’inonda che mi empie l’anima in abbandono, la tenerezza che s’avvolge alle mie radici: matura in una carovana di frutta uscendo dal tuo cuore come il vino dal centro dell’uva.
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L’amore fragile e puro
Il nostro amore ci donò importanza di corallo, scese dalle stelle con la virtù d’una corolla d’acqua che crebbe e si diffuse dandoci continuità nella gioia. Per i nostri corpi s’aprì l’uscio d’una cascina dove nel grano ci coricammo, s’aprì un infinito godimento che nacque e ci accese distruggendo la ruggine della paura. Siamo l’amore fragile e puro mentre si sfoglia il secolo: il tempo corre ma mai nessuno orbiterà nella fiamma dei tuoi occhi col loro fogliame intarsiato mentre a me ammiccano cortesi. La verità in te fiorisce, appendiamo il nostro amore a una ruota alata sì da farne un mulino di stelle che dipingono le nuvole d’azzurro mentre un violino suona l’amore vittorioso.
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Il battello dei sogni
La luce dei tuoi occhi è al limite di primavera dove ogni gesto si tocca, s’interseca dapprima solo rosso incenso ora sottobosco dal profumo di pruni, nuvola immobile nell’azzurro, violino che suona un armonico concerto di note. Ti racconterò dei tuoi occhi, del loro colore ambrato, folgore d’una scintilla d’un alfabeto d’amore. Davanti all’uomo conquistato sei cieca esaltazione, regina ingenua come un fiume nel deserto. Fra le aurore e il frangiflutti delle notti vi sono ghirlande da coltivare, te ne pongo una al collo di panna. Fra i tuoi occhi e il mare immagini d’onde di passione, il nostro nido come quello d’una coppia di rondini. Il battello dei sogni veleggia in un lago dorato, la terra inseminata attende i tulipani. Sei la superba avventura del maggio odoroso nei tuoi occhi vi son perle ogni giorno più incantevoli d’un mazzo di fiori alle campane dell’arcobaleno.
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La simbiosi
Eccoti ammirare l’oscura forma del sole, frumento come le tue trecce, lasciandoti abbagliare dal suo incendio nel rosa del dì solcando prati fioriti dove vi scorre il ruscello dei pensieri, sole d’oro come la tua chioma che mordo come una mela. Prodigiosa tentazione quanto i limiti di primavera di abbacinate farfalle; ogni gesto si tocca, s’interseca in ciò che dai sogni più amai, nube immota nel cielo terso- quand’anche scendessero aghi di pioggia ci ubriacherebbero di gioia. Lieto di questa simbiosi: il verde e l’azzurro sono impazziti, i boschi si accendono con note d’anima lucente, l’universo racchiuso nelle tue braccia spara nel camino lapilli e fiamme. La sera una vermiglia lama tagliente graffia la panna del tuo corpo, i sogni si fan desideri di fuoco, entro in ovattate visioni oniriche mentre sei assopita ti sillabo versi d’amore sotto la luna benevola entro nel frutto destandoti.
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Due stelle
Due stelle, sugheri galleggianti nel cielo primule d’innocenza colte nell’argine della neve ad accendere i raggi della luna, a profumarne di luce il sorriso- a dar gioia come un’alba che scivola nel fiore d’una notte bagnato di te.
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Sul lungofiume
SUL LUNGOFIUME Piante maggiori coinvolte nel fuoco, bionde o brulle, bruma o rugiada, fiori estremi maledetti. I tuoi seni di grazie accettate, risate fra gli alberi, corse affannate. Sono venti d’uragano. Uragano che protegge le sue creature frantuma steli di luce assegna erbe agli insetti nelle fumate dell’autunno, nelle ceneri dell’inverno. Randagia dalla fronte spianata, il suo cuore, i suoi occhi- è un astro, le sue orbite palesano i pensieri: trapuntati veleggiano in un gruzzolo di luce nel tepore della stagione delle rondini. Sul lungofiume di ramature palpebre dischiudono intriganti occhi bruniti dal bagliore dell’eco del fuoco. Sul lungofiume dalle labbra umide sognando la tua anima d’ombra svanisce ogni assedio di pena.
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Ghirlanda gialla
Nelle albe la luce del sole brilla sulla tua chioma frumento- sei giunta da un aroma di fiori- ora sei un grappolo innamorato che custodisco fra le mani ogni giorno sia roseo che grigio. Ghirlanda gialla, ti stendo un tappeto intarsiato sicché tu possa solcare arazzi. Mai nessuno scriverà il tuo nome- lo custodisco nell’anima del nitore della neve. Quando nel cielo passano uccelli, merli che trillando ci salutano, mai vi è fra noi un temporale che sollevi un turbine di foglie sciogliendo i nodi delle ancore del cielo ma solo il tuo sorriso come acqua fresca. T’amo e mordo come una mela la tua bocca di fragola, baciandoci sei l’unico astro nel ventaglio delle notti del mio emisfero che gira come una ruota di caprifogli.
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Nel pergolato dei baci
Donna in un roseto, dolce colomba, hai anima pura e assetata, cute maturata come un vigneto con il vino al centro dell’uva, donna di sangue selvaggio immemore in tutti i veli di ruscelli. Ho da offrirti la luce delle costellazioni e il sogno d’una vita alata. T’amo con un turbinio di baci innalzando la tua statua sopra la pelle, con ghirlande ebbre di baci, con papaveri, orzo e avena. Colma di ferite di lampi passati te ne stai immobile sul selciato ora azzurro come un fiume- sei ape nel mosto che sorride- tocco i tuoi piedi di velluto baciando il loro olezzo di mimose. Ormai da tempo vieni alla mia anima di bianco vestita, profumata, scendendo come un cavallo con uno scalpitio di zoccoli- attendendo un autunno di foglie ingiallite corriamo a perdifiato per campi odorosi arrestandoci sotto un fienile, nel pergolato dei baci.
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Lorgoglio dei vivi
Alla memoria di mio padre Ascolta l'impalpabile ritmo del tempo: sarai pronto nell’ora dell’agonia e sconfiggerai le tenebre con la forza del silenzio; quella forza che, tenace, attraversa i secoli e fa risplendere con gran fulgore il mistero cui t’avvicini. Scaccerai l’orgoglio dei vivi con la promessa dell’eternità e solcherai la vicenda dolce della tua vita penetrando il buio con la tua scorza di diamante. Vivrai il tarlo che rode la tua coscienza scalfita da un senso d’impotenza con l’onore dell’età, stinta come quel lenzuolo di lino che pare scacciare il freddo dell’abisso ed io ora, padre, oso accarezzare la tua fronte imperlata di sudore che, in una memoria di bambino, conservo ancora vergine di rughe. Seconda classificata nel Premio Internazionale Olympia-Città di Montegrotto (PD) 2004. Pubblicata nel 2004 dalla rivista nazionale Poesia.
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Due rosse binarie
Continua ad essere il mio fiore quando alberi rampicanti salgono e sorridi nel rossore del tramonto; allora basta un gesto tenero perché nella notte l’orologio scandisce le ore e ti empie d’oro. Sei la donna amata nel mio petto, il tuo capo d’oro scintilla come un nasturzio luminoso, gira agitando il mulino del cuore, scendono le lancette delle ore notturne tali a pipistrelli dal cielo. Quando con te s’avvicina la luna i tuoi baci infuocati s’appiccicano come lumache alla mia pelle che freme per te- tu sola esisti nel mio universo ebbro di pioggia a lacrime felici. Al mio fianco, donna innamorata, sei una canzone intitolata col mio nome e mai ne sfogli altri. Siamo due rosse binarie intrise della rugiada dei campi ove ci stendiamo feriti d’amore dagli aghi di pino.
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In queste ramature
Refrigerio velato di carezze, gatta randagia dalle orbite di luce, mare cristallino in cui perdermi, occhi che palesano la sua mente sono la frescura di primavera- il suo cuore apparterrà ad una stella di giada. Immergendosi nel velo di baci lei si desterà la notte, sussulterà stendendo su di me la sua rete di carezze per stupirsi dello scintillio del mio sorriso ebbro di gioia come quando-le gote rosse d’emozione-ne colsi il primo scintillio. In queste ramature veleggiano con piroscafi altri naviganti, le mie palpebre dischiuse in un sorriso mostrano il bagliore dell’eco del fuoco- tu astro sceso per miracolo una notte dal camino ad illuminare la mia dimora. Lei sonda la mia mente penetrando nell’anima. Gli aneliti scivolano in risa di dolore: squarciano l’aria delle tegole, l’impotenza altrui con una canzone minerale. Guarda le tue mani, puoi incrociarle alle mie; puoi aggrapparti a questo volo di farfalle.
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Dea di luna
Fuggii come un marinaio dal diario dei pensieri d’un vascello dorato rinunciando per te, amore mio, a porti con mille labbra da baciare ricevendo missive affrancate con filigrana straniera. Perché è la tua ora, dea di luna, ora dell’odor di nardo fuoriuscito da un giardino di roseti. Di rado cade pioggia, timida come crepe di specchi, il cielo è fisso come un vetro. In te nasce e si ordina il tempo dell’amore, con tentacoli di medusa tocco i focolai del corpo: la pelle di rame, miele, fino a suggere sudore celeste. Lambisco gli alberi frumento che caddero nel mio fiume, germina il desiderio, volendoti porre al collo di panna una corona intrecciata d’alloro corro al letto nel giglio vespertino.
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Il mondo da una mongolfiera
Scappa attraverso il paesaggio rupestre, capelli corvini e occhi scuri, fra le fronde e le carezze del vento gambe tornite in calze di sabbia, immemore in tutti i veli di ruscelli. Ultimo palpito s’un volto trasfigurato. Nella placidità del suo corpo avanza una sfera di neve, sulla pelle un neo di silenzio. Le sue mani, archi canori frantumano ogni luce d’alba. Nella sua dimora conta i minuti. Per la sua stella, esplosa nell’aria d’aprile, per regalarsi gli occhi, per vivere giunti sino alle praterie in fiore, per regalarsi immenso amore per donarsi le iridi all’ultimo secondo. Per dormire nella luna in quattro pupille, il sole nelle medesime. Un amore fra le labbra-un vago uccello adorna i campi, i boschi, le strade e il mare. Bella come il mondo da una mongolfiera. Premio Speciale della Giuria al Concorso Internazionale Le Occasioni-Ossi di Seppia 2019 alla memoria di Eugenio Montale (1896-1981), Premio Nobel nel 1975.
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Solo parlando coi tuoi capelli
Gli spigoli dell’acqua, acqua come le palpebre dei tuoi occhi, entrano come lame nella tua anima quando il mio cuore innalza statue infrangibili verso la tua cordigliera di luce. E’ un tonfo d’acqua salina a scandire la voce di viola che a lungo t’ha attesa come una corona zuccherata- ora il mio è sangue che vive dei tuoi baci. Voglio vivere, amor mio, solo parlando coi tuoi capelli, sulle tue gambe d’uva gettando le lacrime nel passato con sillabe dorate non infrante, orologi che scandiscono le ore notturne. Appisolarmi sui tuoi seni destato da un bacio- prelude a madide lenzuola in cui siamo giunti come astri, in un armonico saliscendi sino all’aurora con l’eco d’un canto.
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Il poeta
Il poeta è una nuvola innamorata, una goccia di stella scesa dal cielo, la sua parola è l’onda che sale e si rovescia, parola nel mare che sposta le navi col pensiero macchia di luna bagnata dai raggi del suo sorriso cielo impassibilmente terso che custodisce i sogni dei gabbiani: volano nella notte scendendo dalle stelle, risalgono nell’aurora bruciando il sole.
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Un albero di luna
I tuoi piedi di velluto nell’ombra, le tua mani nella luce guidano il volo d’aquila reale, volteggia in un cielo d’innocenza- tra la rugiada dei fili d’erba le mie labbra conobbero il fuoco. Porgendoti la mano incrociai i tuoi occhi nocciola che mi stanno scalfendo l’anima nei sogni in un palpitare d’immagini colorate. Non importa per te che hai occhi non nati: quando aprirò il libro d’acciaio del secolo d’oro isserò bandiera di te, stella prigioniera. Dal blu della volta celeste m’avvicino ai raggi dorati della tua chioma, terra di grano nata dal sole. Si prepara il confine di notti scarlatte nella mia anima rosso ciliegio e accende pietre e ciottoli levigati. Perché cresce l’onda del mio cuore facendosi pane e che la bocca lo divori. Il mio sangue è vino che suggi. Il fuoco è l’amore rupestre che c’infiamma. Io e te siamo un albero stellato di luna.
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La più femminea
Sei giovane e più preziosa del quarzo, la più penetrante d’ogni pensiero che solchi la frescura del corpo, la più femminea tra le stelle, colei che s’è svincolata dalle sponde d’un ghiacciaio. I frutti della terra nel sole hanno fiammeggianti colori- tu l’illumini col tuo amore e per accendere la mia vita i tuoi baci non cercano altre labbra, a ruota libera ne giunge il respiro. Ogni aurora è schiusa come uno sguardo alle delizie del tuo ideale calore, in una nuvola di torpore una nuvola di carezze d’una donna di panna luna che occhieggia. Prigioniera fedele e intelligente, socchiudi un mondo cangiante e fino, un universo tiepido e dolce sotto le nuvole delle tue palpebre nel solo sorriso d’un bacio perché sei donna in ogni tua stilla
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Quando incrocio i tuoi occhi
Capelli d’oro come il sole che fa da manto. Quando incrocio i tuoi occhi finestre spalancano le braccia, tovaglie di neve sfavillano. Si schiudono i desideri dell’infanzia per la bramosia cantata in sordina. Quando incrocio i tuoi occhi ogni ombra di tema svanisce, si dissolve il veleno dell’erba dei campi. Dai rovi nelle ruderi dei templi sortiscono frutti di fuoco vermigli, il mosto della terra annega le api. Quando incrocio i tuoi occhi si svuota lo spazio siderale, le onde lambiscono i bagnasciuga i leoni, le cerve, le colombe tiepidi d’aria pura mirano nascere la nostra primavera. Quando incrocio i tuoi occhi le pareti scottano di nuova vita, dentro il nostro letto di natura è eretto d’innocenza, sempre più nuda e schiava d’un eterno gioco di foglie.
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Tamo
Scrivo a lettere di fuoco l’atlante del mappamondo delle tue colline. La mia bocca di fuoco si rivela in mille giochi di lusinghe. Ho tante storie da narrarti sul confine del crepuscolo perché t’accenda in riflessi sotto la campanula del firmamento. E’ tempo d’uva, di raccolti fruttiferi per me che vissi in lidi dove t’amavo solcando le onde con una caravella di ricordi, pescando con reti che non trattenevano acqua d’oblio. Ne restano appese gocce che tremano come dei tuoi occhi gli intarsi delle pagliuzze. Ami giocare con la luce del cielo stellato, giungi a me tra fiori e frumento, d’oro come i capelli di sole della tua chioma. A nessuna assomigli da quando t’amo, nel viso di latte di tutte le donne vedo il tuo- ti stenderò un tappeto fiero ovunque tu passi ammirata. T’amo su questa terra azzurra, nel bosco incantato dei pensieri, nei sottoboschi dal profumo di ciclamini. Ti porrò una rosa all’occhiello colta per magia sotto l’odore dei tigli accendendo col fiore più bello il tuo sorriso.
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Torino
Torino, città amica con stelle di plastica e luna di rugiada- le tue pupille infiammate, il loro fuoco non virtuale riflettono il tuo sorriso, sono la canzone delle alghe. Le macchie della luna ammiccanti fra drappi d’astri in cui sei quello che risplende lusingata da orbite grevi- i seni torniti, le natiche sode si dischiuderanno nell’eco della volta. In un sorso d’acqua vivo lei avrà i primi, morbidi palpiti ornata da torpide pellicce. E’ donna di semplicità oceanica, insondabile come una vetrina abbagliata, polvere impalpabile nell’edera del crepuscolo. Mai m’abbandonerà e non sarò solo, non m’appunterà il frangente del “no” perché possiede vivacità macchinale, l’irreperibile dolcezza azzurra- saranno dieci minuti di baci sfregiati, avrà i gemiti incessanti del fiore brunito.
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Infrante chimere
Lambiscimi con gesti di gioia, una parola d’assedio d’infrante chimere, una sillaba più vicina alla tua bocca- mi promette aurore di miele fluttuando perso nei capelli corvini dedicandoti, in un sorriso di luna, strofe d’acqua e di cielo. Pensieri che non t’appartengono si tradurranno in note di canto e ti empiranno d’oro le mani canore. Frattanto raggianti ruote di pietra avvolgono il paesaggio rupestre, raggi d’oro calpestano i campanili. Tu scrivi margherite sull’erba dei campi. Quando avvicino il cielo con le mie mani per destarmi nelle lame di luce diafana i tuoi baci si appiccicheranno come lumache alla mia schiena- gireranno i calendari e sortiranno nel mondo i giorni come foglie azzurre; comparirai nel mio spazio, nel mio anello ora solo verbo ed inferno. Ti guarderai in una lacrima, t’asciugherai gli occhi dove fui- ora d’improvviso piove verde ma il mio cielo s’è fatto roseo.
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Infrante chimere
Lambiscimi con gesti di gioia, una parola d’assedio d’infrante chimere, una sillaba più vicina alla tua bocca- mi promette aurore di miele fluttuando perso nei capelli corvini dedicandoti, in un sorriso di luna, strofe d’acqua e di cielo. Pensieri che non t’appartengono si tradurranno in note di canto e ti empiranno d’oro le mani canore. Frattanto raggianti ruote di pietra avvolgono il paesaggio rupestre, raggi d’oro calpestano i campanili. Tu scrivi margherite sull’erba dei campi. Quando avvicino il cielo con le mie mani per destarmi nelle lame di luce diafana i tuoi baci si appiccicheranno come lumache alla mia schiena- gireranno i calendari e sortiranno nel mondo i giorni come foglie azzurre; comparirai nel mio spazio, nel mio anello ora solo verbo ed inferno. Ti guarderai in una lacrima, t’asciugherai gli occhi dove fui- ora d’improvviso piove verde ma il mio cielo s’è fatto roseo.
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Testa prigioniera
La foresta è in fiamme, diventa abbaglio infuocato in una notte con un profumo di pioggia- nessuno sorride nella catarsi, io sortisco nella solitudine conservando il suo sguardo, i suoi occhi di perla. Testa cocciuta, prigioniera sempre più umile il suo diniego penetrato in me (cristallo o quarzo variegati scintilleranno nella luce d’alba rugiada d’ogni nostro pensiero). Per la via dei mille estremi spazzerò le pietre dal tuo incedere, senza il talismano (prezioso ed antico monile) che rivela i tuoi sorrisi inconsapevoli alla folla ma la mia pelle non ha tue lacrime. I monsoni di primavera le balenano il guizzo d’esser posseduta da braccia altrui- pianta maggiore coinvolta nel gioco, trama vegetale a travaglio d’amore. Ah trapunta estrema della volta stellata scossa da un uragano che frantuma steli di luce.
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Come roccia e come gallo
Battevano le campane della neve in un dicembre fra i nostri segreti tu m’infondevi coraggio con te ogni annata sarà lieta- l’alito di pesca delle mie labbra sarà l’avventura d’un elemento primario. Solo per quest’anno serberemo la resistenza di giovinezza, la nudità dell’erba dei tuoi occhi luminosi- presto sentirò le tue labbra dischiuse in tre minuti d’acqua cristallina. Come roccia e come gallo, un gallo simile a un incendio d’oggi è un frullo di colori la luce folgorante babele d’antica memoria per dissipare pene e sonno agitato. Mi muovo a stento nell’ombra quanto basta a disegnare il cielo per raccogliere nidi di piacere, il lieve tocco delle mani di seta, nidi di carezze aguzze come la serpe ciò che basterà per trovare baci di velluto.
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Amore dalle trecce di sole
Amore dalle trecce di sole, dalle coppe a forma di colomba intenta malgrado la notte che avanza nell’abisso del piacere indulge al mio desiderio d’amare, ai miei sconfinati sogni innocenti. Sotto pendii innevati i nostri occhi chiudono le loro finestre nelle quattro mura di cartone della nostra intimità di baci incarnati- la tua immagine latente sempre a me ritorna. E’ qui che iniziano in un canto i nostri viaggi e le migliori follie, cominciano e non terminano, proteggono le nostre vite- tu astro sceso per miracolo dal camino ad illuminare l’intera stanza. Una foglia lucente come un panno bagnato è madre della tua chioma quasi come fili d’erba. I laghi ingabbiati in fondo alle pozze, gli anelli della frescura del vento in giardini novelli: di questi la più bella sei tu, un balsamo che invita al riposo.
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Lorgoglio dei vivi
Alla memoria di mio padre Ascolta l'impalpabile ritmo del tempo: sarai pronto nell’ora dell’agonia e sconfiggerai le tenebre con la forza del silenzio; quella forza che, tenace, attraversa i secoli e fa risplendere con gran fulgore il mistero cui t’avvicini. Scaccerai l’orgoglio dei vivi con la promessa dell’eternità e solcherai la vicenda dolce della tua vita penetrando il buio con la tua scorza di diamante. Vivrai il tarlo che rode la tua coscienza scalfita da un senso d’impotenza con l’onore dell’età, stinta come quel lenzuolo di lino che pare scacciare il freddo dell’abisso ed io ora, padre, oso accarezzare la tua fronte imperlata di sudore che, in una memoria di bambino, conservo ancora vergine di rughe.
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Un binomio
Saranno giorni al tuo fianco col sapore della tua pelle, la bocca, i baci. Dalle mie labbra ora dimenticate fuoriescono radici d’acqua- le reti non trattengono la tua memoria come terra acida e incolta dove però germinerà rigoglioso il seme dell’amore. M’avvicinerò, issando uno stendardo, alla luce del tuo volto, agli occhi nocciola di stella intarsiati d’incantevoli pagliuzze- gusteremo insieme il sapore dei frutti. La dimora sarà la nostra patria. La mia simmetrica figura statuaria, la mia chioma di farina e di sale non possono non scalfirti l’animo nei sogni. Innumerevoli anni che avrei dovuto vivere giunto a te in un grappolo sinché avremmo lambito il firmamento, ascoltando il silenzio delle stelle, lieti d’essere un binomio destandoci madidi ogni aurora. Anni, invece, rappresi fra stimmate, anni di delirio atroce per la tua assenza coperto io dal medesimo cielo cupo dell’infanzia. Polvere di rena ci separò ed io ti cercai ovunque: tra i flutti, sui ponti delle navi, nelle anse delle scogliere. Ma non m’avanzò che la ghirlanda suadente della tua luce iridescente impressa nei palpiti del cuore. Cammineremo all’indietro, percorrendo le distanze e da un luogo infelice scoprirò la strada segreta per cogliere il tuo astro che in me risplende ogni notte scabra che annienta. Tutto l’amore esploderà come il beneaugurante sprizzare di schegge di bottiglia. Sarà una medaglia d’oro a sancire il trionfo ed un giorno, infine, percorrerò le tue linee bacio a bacio.
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Dieci dolcezze
Nel giorno del compleanno del mio migliore amico Dieci dolcezze e la verità vive dall’albero insanguinato scaturisce amore mi ammaestra in vita non più onirica sei illimitata pazienza e passeggeremo giunti. Sii forte da spianarmi la fronte, la vetta della fronte cocciuta, corrosa. La tua grazia si palesa in dieci dolcezze. Un sorriso di luna si delinea fra gote rosse come l’ippocastano, eco d’aria in una miniera: vi giace il carbone delle tue iridi o il quarzo della chioma. Ti diletti in giochi d’amore ti pensi sola ma ti ritrovi duplice riflesse nello specchio due bocche in una, bellezza intelligente, austera e puerile luce e calore veggente e visibile: chi vuole amarti nasce dalle zolle. Turgidi i seni verso il mio corpo il tuo petto non ha nubi verità esala dal tuo cuore nomade. La vulva fiorita è una ghirlanda la coglierò nella luna benevola- coglierò il frutto vellutato e le nespole. 24/4/2019
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Un solo zampillio
Apparteniamo ai greti dei ruscelli più lieti. Conosciamo il limbo del fiume più acceso delle praterie fiorite. Viviamo in un solo zampillio, apparteniamo al porto più felice. Lontani i fiori avvizziti delle vacanze altrui avanza appena un’ombra di paesaggio, si eclissano le strettoie della libertà- portone che si dischiuderà con un chiavistello. Speranza ci logorava in una città impastata di carne e miseria. Caleranno nel vermiglio crepuscolo sul tuo volto le palpebre del sole- sipario dolce come la tua pelle dagli aromi di velluto nella salubre vegetazione di boschi e uccelli, diafana più delle lame di luce dell’alba. Saranno i nostri baci, le carezze a misura di noi stessi, più oltre tutto è macerie. La nostra gioventù si denuda e sogna, l’erba s’arriccia in sordina su strati innocenti di terriccio.
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Il mio amore
Ad Elisa Il mio amore è una goccia di quarzo, prezioso come un diamante, unico come il rosso dell'ippocastano. Ha corpo dalle linee armoniose che risplendono nella luna d'estate; piedi profumati, morbidi e arcuati, piedi di rosa, di ciliegia. Ah amore alle prime luci d'aurora dove goccia a goccia dal sole cade la luce sul nostro emisfero, amore che sparge tra i fili d'erba grande aroma di rugiada. Ora percorro il tuo contorno bacio a bacio- baci che s'arrampicano sopra la pelle rampicando e mordendo come una mela di sangue dolce. Fra gli arenicoli sul litorale siamo due corpi che giacciono in attesa dei minerali dorati della nave notturna.
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Tremo in te
Ad Elisa I tuoi baci profumati mi scalfiscono l'animo nelle notti zuccherine di nudo vestita. Hai figura d'agrifoglio con gambe chiare come una corolla d'acqua, seni che sono un torrente in piena, natiche tornite e sode. Ora che ho gettato le lacrime nel cesto del passato voglio stare, amor mio, solo con le sottili note di canto della tua voce musicale, solo con le tue sillabe dorate. Non si può vincere se non sbagliando ma ora tremo in te, in queste canzoni lambendo i fiori d'un fiume che scorre al centro d'una verde isola dove si levano aurore di merli. Perché tu sei infinita: m'hai raccolto una lugubre notte e ora sei al mio fianco tale ad un pianoforte di neve che suono nella nostra distesa muschiata.
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Amoreggiando in una macchia della luna
Ad Elisa Amore mio di cosa profumi? Di violaciocche, di stelle? Aspirando il dolce aroma della tua chioma frumento m'accorgo che sei dolce come un fiore, unica come una rosa in una distesa innevata. Sai di terra come le pietre ambrate delle iridi le cui incantevoli pagliuzze sono frecce penetranti di garofani dal dolce odore. Odore dell'albero dalle millefoglie della mia vita, dolce colomba, mazzo di spighe, bimba, amorosa mia come l'onda d'un'aurora d'amore che incalza. E quando la mia mano percorre la luce della tua pelle stellata le tue coppe d'anfora hanno profumo di luna dove noi amoreggiamo bevendo assetati da una sorgente di baci in una sua macchia.
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Un autunno di tigri allagguato
Saremo giunti con un dardo nel petto in un autunno di tigri all’agguato della nostra fragrante pelle di miele, un olezzo d’inaccessibile cute desiderando annusare sudore verde ci ritroveremo nell’umidità dei baci. Mia compagna d’infinite, palpitanti visioni come minacciosi rintocchi di campane, puledra dai fianchi snelli che vorrei toccare dal canto del sorriso di stella- in un futuro paesaggio di foglie ingiallite ci inumidiremo le labbra invase dalla sete. Lì sono i tuoi occhi odoranti di selvaggina, di fulmine che trapassa pareti- hai denti che mordono mele di sangue, le tue mani graffiano il sole ghermendolo, i piedi di pioggia, imbuti d’ombra, son fiori dall’olezzo di mimose. Mi spii con labbra carnose scalfisci le pietre, l’oro e l’argento, cresce l’aerea rete di pensieri, la tua scorza-non vi è distanza né rame. Vorrei toccare in un palpito le tue morbide mani e far cadere crepitando il vellutato fiore brunito.
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Via Mario Pagano
Quando il tramonto muore e cala lenta la notte si spengono i muri della città e si riempiono lente le strade che amo e conosco da tempi lontani. S' animano i marciapiedi di volti conosciuti, tante piccole maschere inconfondibili nei loro movimenti, sembianze, cadenze e prende vita la notte in un tourbillon di musica, macchine e palloni illuminato dalla luce fredda e tenue di una fila di vecchi lampioni. Nella via dove sono cresciuto la gente vive d'illusioni cantando storie di vecchie canzoni ridendo delle proprie bugie vivendo per l' oggi senza la certezza di vedere la luce del domani. Nella via che m'ha visto bambino ogni notte ha il sapore di festa ma sotto le maschere soffre la gente come i vecchi clown che raccontano storie tenendo una lama stretta nel cuore. Così scorre la notte nella mia via guardata da case ingiallite da un'aria di cenere dove tra sogno e realtà passano i volti, le storie, gli anni in quell'aria terribile e fantastica che, come in una commedia subdola, consuma le vite in giochi proibiti.
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Un mazzo di fiori
Ad Elisa Sei la palma prestabilita, la vera roccia fra le altre rocce scogliera del porto dell’anima dove attracca il mio battello- reca una donna che gioca all’amore. E’ questo amore un bufalo che scende le colline, una fiamma che spara lapilli- m’incendiano di desiderio fra lucerne di rugiada perché ti scorgo lucente come un panno bagnato, ti so viva, tutto vive ed è palese. Nei tuoi occhi vi son gocce ogni notte. E’ questo uno specchio per eludere foglie di cielo- d’oro come il tappeto della tua chioma. Sarà un abbigliamento da principessa, il tuo, fra quattro mura dalle pareti d’arazzi, l’abbigliamento d’una merlettaia più incantevole d’un mazzo di fiori allo scampanio dell’arcobaleno.
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Un battello di sogni
Quello che osserviamo è un battello di sogni, un veliero che ondeggia in un dolce fiume recando una donna che gioca all’amore. Nel culmine di primavera, con l’incipiente estate, una frenesia di risate in un giardino lussureggiante. Alle porte di ogni alba vi sarà un gallo che frantumerà il tappeto delle stelle su rulli di vivacità. Sei una bocca avida nascosta sotto le nuvole delle tue palpebre dispensiera di sogni nel silenzio, collana spezzata dalle mie parole ribelli. Sei la bocca del mio giaciglio, selvaggia, creata per me, bocca immemore d’ancestrali parole- bocca già illuminata dai miraggi della neve.
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Il prodigio
Il prodigio è lambire l’ali della chioma corvina, amarti sotto la luna benevola nonostante questo muro infinito dischiudendo smisurate strade opposto all’ombra. Come il carpentiere costruisco la luce d’amore; se il tuo cuore lo eclissa non sei qui ma il mio corpo freme, le stelle dei tuoi occhi ambrati brillano nel firmamento. Il vero prodigio sarà di non nascere in te di essere assente primavera sfiorita in cui non trillano i merli, il velluto dell’erba è un fiume limaccioso. Chimere invernali baciate da carezze d’abbacinate farfalle. Conosco il tuo cuore, i tuoi seni m’infondono un senso di libertà fisica, conosco i tuoi occhi di formica intelligente: si schiudono nei miei malgrado il mio sogno di cieco.
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Bocca illuminata
Le feci io il primo, vivace passo su questa terra rosata con un acuto vagito di bimbo donandole orchidee all’infinito- sfavillanti come la neve, ardenti come il sole di mezzogiorno. Il gallo alle porte d’aurora avrà frantumato il tappeto della notte su rulli di vivacità. Non si leverà tanto presto il capo verso il sole che si adorna ma si occulterà dietro gli occhi. Si leverà poi verso una lama di luce la tua bocca più vorace d’una mimosa, bocca celata dietro a ciglia asciutte- presto si occulterà dietro agli aghi di pino dispensando sogni nel silenzio- collana spezzata da parole ribelli. Un’altra bocca per giaciglio, amica di erbe febbrili, selvaggia e buona creata per me e per nessun altro- bocca immemore d’ogni linguaggio. Bocca illuminata dalla mia anima.
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Cicatrici damore
In punta di piedi m’appari in un sogno avvolta in un vestito di seta fine risvegliando una ghirlanda di ricordi, cicatrici d’amore d’ una primavera profumata in cui tra le lenzuola reggevo la tua mano ultimo appiglio del mondo e d’afose notti di mezz’estate in cui le orme dei nostri passi sulla battigia lasciavano una scia di libertà. Poi ti rivedo sparire nella nebbia di novembre, una densa coltre di panna sui nostri pensieri, timbrandomi il lasciapassare della solitudine. Fiorisce luce, ed è come se il cuore tremasse al suono acuto dell’antica sveglia. Aperte le persiane fatiscenti, scendo in un dedalo di vie lastricate di memoria del tempo dell’amore perduto. Ora sei la pietra spezzata, l’albero senza radici e faccio naufragio nel mare della nostalgia con una caravella di ricordi tra l’indifferenza dei passanti tale al passero che tenta il volo ma cade senza destare stupore. Pubblicata per due numeri consecutivi dalla rivista mensile nazionale Poesia nel 2010 Letta nel 2016 al Teatro Filodrammatici di Milano con Giuseppe Conte e Tomaso Kemeny
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2/3/2005 Funerali di Mario Luzi
Mentre venivi strappato all’amore senese dalle incombenze del babbo, da quella Siena che amavi, la Siena “con i ghiacci che pendevano dalle cornici incendiati dal sole” eccoti intanto, quindicenne, Mario al Galileo, sotto la guida ispiratrice del grande Francesco, dare la tua s-Toccata alla storia. E io, che sin dalla tenera età, ero salito sulla tua Barca, d’incanto, sapendolo, perdutamente m’innamorai di te. Ma tu, novantenne, quell’aprile dai cieli d’acqua di polvere l’avresti solo sfiorato. E allora io - con il cuore spezzato, trentottenne intento a navigare nel mare della poesia s’un’onda di speranza coltivando, ora come allora, grandi sogni, navigando s’una caravella d’emozioni - non ebbi dubbi. In un battito di ciglia il convoglio sferragliò a Santa Maria Novella. Ma a me renderti omaggio non bastava: tu eri, sei e sarai nel mio cuore. Fu così che, con il mio migliore abito e una sgargiante cravatta penzoloni, tra le duemila persone al Duomo io, che sfacciato per natura sono, m’affacciai a quell’uscio e m’accolse addirittura Gianni. “Ma lei chi è?” “Sono un lontano parente, permesso.” E l’omelia fu straziante, tu per l’ultima volta portato alla vetta, tu astro immenso, stella solitaria di quest’universo così corrotto - stella solitaria il cui transitare con passo roco certamente ha profumato di rose, ma anche del retrogusto d’un sapore dimenticato, l’aria della poesia. Nel viaggio, questa volta lungo e di pensieri, verso Milano Centrale certo non estinsi il dolore ma perlomeno smussai il rimpianto. Tranne quella sofferenza grande, con la quale sei trapassato, portandotela nelle praterie, d’un 10 dicembre, d’una Stoccolma mai avvenuti.
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La rinascita
Il tuo capo stupito, commosso, visto in primo piano si può paragonare senza civetteria alla folgore sferica d’una perla d’acqua, ad una corolla blu, alla potenza degli uragani, al cielo trapuntato d’astri come un nasturzio luminoso. Violentemente tenero, delicato e indifeso abbandona le zolle ai loro segreti; questo eremo diseredato ove prende forma il silenzio delle stelle che si ferma ad ascoltare e lo persuade. Qual è la rinascita che ha prevalso ora e sempre nella mia vita? Solo i tuoi capelli, ponti solari, che ancora non hanno parlato ma dapprima la fiamma dei tuoi occhi hanno smentito per sempre le antiche pozzanghere lunari.
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Fata turchina
Né il cuore è più spezzato da una lama in prati brinati di spine, in un bosco vuoto come i bicchieri nell’aurora perle d’acqua sgocciolano melodie d’amore, il braccio si stringe alla tua cintola, due mari nocciola nei tuoi occhi marroni. Passi con coppe d’argento e ciglia asciutte fata turchina dischiuso fiore, aria che scende come un ruscello a valle, sole splendente un po’ collerica, impronta d’acqua ribelle che scivola in un tappeto d’erba dove sei rosa selvatica. La luna in strade sbiadite da luci gelate, le solco raccogliendo giornali dai quali fuoriesce la tua fotografia, i cui titoli sono i sottili pensieri di canto della voce lieta, la mattina m’intrufolo tra le lenzuola col soriano, m’alzo, osservo la barba ispida fra le crepe dello specchio poi gli racconto del tuo sorriso. Germinerà e sortirà all’azzurro ancor più il tempo dell’amore! Si scardinerà il destino, il silenzio della notte fermo ad ascoltare dalla vista di Venere al primo bacio di raggi, avviluppata fra le lenzuola, madida, sussultante in fremiti.
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Il pianoforte dei miei versi
Perchè continui a percorrere il tuo contorno, le linee armoniose ti coricherai sul pianoforte dei miei versi come in terra di boschi o di schiuma nel sapore del gusto dei frutti delle zolle o nelle note vivaci della musica marina. Hai piedi morbidi e arcuati identici ad un antico lamento delle anse del vento o del suono- giunge alle tue orecchie perfette, infinitesime e rare conchiglie del fantasmagorico reef del Mar Rosso. Uguali sono i tuoi seni paralleli e sono, spiccando il volo, le orbite che si dischiudono in una luce di stella o si serrano rarefatte- mai una perla di lacrima, asciutte- due città sconfinate nel mare degli occhi. Non è solo luce che cade nel mondo il loro bagliore: è soffocare la neve d’inverno, da te emana luminaria nei campi perché sei la stella, accesa dentro. Sotto la tua cute canta la luna.
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Amami
Ebbra di spuma agile e leggera, i miei baci percorrono i tuoi lineamenti e t’accendono notti azzurrate dai riflessi delle stelle, risonanza prigioniera come un vaso di creta. Le foglie cadono dagli aceri, cadono e muoiono gli uccelli ma tu voli, colomba innamorata. Vieni, vieni come un usignolo nel sottobosco, desiderami, fammi vibrare come schiuma nella salsedine. Ah, mia mesta chimera o mia profumata ghirlanda: la vita sancirà il nostro solcare un’onda che s’innalzerà sino ad essere, dea, due anime gemelle in un futuro di magia. Fiamma di luce, liberami da questo cielo cupo che incalza ed annienta. La scintilla dei tuoi occhi ramati mi sommergerà nel tuo nido di vertigine e carezze. Amami. Chino ai tuoi piedi di velluto ti grido: “amami!” Passiamo ore di fuoco in notti pregne di astri e gabbiani. L’eco della tua voce musicale arde nel vento, la mia è infranta ed urla: amami, desiderami come la prima schermaglia di labbra. Perché con te ogni crepuscolo è il preludio ad una pioggia verde di baci.
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Quando incrocio i tuoi occhi
Capelli d’oro come il sole che fa da manto. Quando incrocio i tuoi occhi finestre spalancano le braccia, tovaglie di neve sfavillano. Si schiudono i desideri dell’infanzia per la bramosia cantata in sordina. Quando incrocio i tuoi occhi ogni ombra di tema svanisce, si dissolve il veleno dell’erba dei campi. Dai rovi nelle ruderi dei templi sortiscono frutti di fuoco vermigli, il mosto della terra annega le api. Quando incrocio i tuoi occhi si svuota lo spazio siderale, le onde lambiscono i bagnasciuga i leoni, le cerve, le colombe tiepidi d’aria pura mirano nascere la nostra primavera. Quando incrocio i tuoi occhi le pareti scottano di nuova vita, dentro il nostro letto di natura è eretto d’innocenza, sempre più nuda e schiava d’un eterno gioco di foglie.
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Una bimba
Una notte azzurra- esili copricapi di stelle fanno da manto ai nostri pensieri di rugiada- nella via delle costole giungi a me in tre falde di flashes onirici la duplice: saranno due bocche nei riflessi dei vetri. Il mare regna vicino sull’estate delle tue forme sode. Saranno notti che dischiuderanno l’eco della volta allo straripare dei tuoi gemiti, passeggiate mano nella mano sul bagnasciuga dove le nostre orme lasceranno una scia di libertà- persino gli arenicoli danzeranno di gioia. Nella trasparenza erratica delle tue iridi nocciola intarsiate di pagliuzze dorate non invidierò la tua inesperienza sulla paglia dell’acqua, s’inchinerà senza tregua la strada dell’amore. In quel soffio di sole, d’oro come la tua chioma, in quella luce iridescente d’un domani di trepide carezze e baci incarnati che modellerà nell’ombra il tuo specchio di gelsomino una bimba sarà effigiata sui tuoi fianchi esangui. 14 aprile 2020
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Aurore di trecce
Lasciami la fragranza di sale dei baci, te che fosti il gladiolo selvaggio d’ideali strappati alle stelle in uno spleen di rassegnazione – ora invece mimosa d’un verde prato fiorito presso il frangersi infinito di onde. E’ il suono dal timbro di cielo dei tuoi capelli e dei baci salati al giacere uniti sulla sabbia fine – il bagnasciuga assomiglia al nostro amarci in una rena d’amore, accarezzandoti nel velo di timide e umide aurore di trecce.
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In campi di stelle
Per Giovanna Iannuzzi, a diciotto anni Il bimbo, la luce che m’illumina il cuore, dal tuo grembo mi dice addio. E io gli dico addio. Canta la tua voce lieta: “eri il piccolo fiore della mia terra, son vivai di nostalgie ora le distanze del tempo.” (Amo l’amore dei marinai, solcano i flutti con navi dalla fragile chiglia in un diario di pensieri, inseguendo false chimere nel lago dorato dei ricordi di mille labbra da baciare, ricevendo missive affrancate con filigrana straniera.) Più non incrociano i miei occhi la tua scintilla, solco strade sbiadite da luci gelate con la memoria del tuo sguardo innamorato. Ho l’anima triste come un rondinino affamato. Dal tuo cuore il bimbo mi dice addio. E io gli dico addio. Rifuggo questo destino, amata. Nulla ormai ci lega, solo una velata promessa futura d’amore colta per magia in un cinguettio di merli, amore dorato seminato con un possente aratro in campi di stelle.
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Oggi lasciatemi esser felice
Oggi lasciatemi esser felice non è occorso nulla a nessuno sono solo felice nel cuore, vivendo e scrivendo. Che ci posso fare? Sono immensamente felice sopra gli uccelli del bosco, sui greti dei fiumi l’aria canta come una chitarra. Sarai al mio fianco nella rena dove persino gli arenicoli danzeranno di gioia, canterai pensieri d’amore con note vivaci- oggi la mia anima è canto e sabbia- sono felice perché respirerò il tuo odore, l’intero mondo oggi è la mia anima. E’ come se lambissi la freschezza del velluto della pelle azzurra del cielo.
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Sul lungofiume
Piante maggiori coinvolte nel fuoco, bionde o brulle, bruma o rugiada fiori estremi maledetti. I tuoi seni di grazie accettate, risate fra gli alberi, corse affannate. Sono venti d’uragano. Uragano che protegge le sue creature frantuma steli di luce assegna erbe agli insetti nelle fumate dell’autunno nelle ceneri dell’inverno. Randagia dalla fronte spianata, il suo cuore, i suoi occhi- è una stella bionda, le sue orbite palesano i pensieri trapuntati veleggiano in un gruzzolo di luce nel tepore della stagione delle rondini. Sul lungofiume di ramature palpebre dischiudono intriganti occhi nocciola dal bagliore dell’eco del fuoco. Sul lungofiume dalle labbra umide compenetrando la sua anima d’ombra svanisce ogni assedio di pena.
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Perché per me sei la più bella
Elisa, nel mio cuore ti lascio un fremito diamantato, ciò che da te non ebbi ma che mi donerai come un diadema stellato figlio d’un antico incantesimo. Il mio amore è un uccello ferito e io ne sarò la panacea. Perché per me sei la più bella. Hai tatuaggi di nuvole, cigni e gabbiani non sulla pelle ma nell’anima, pura e nitida. E’ di pane il tuo cuore e le tue mani sono archi stellati. Anima anche io immagino rosso fuoco come una stilettata nelle tenebre. Prelude ad un gomitolo di lenzuola in cui, madidi, ci avvinghieremo. Col pianoforte dei miei versi per te suonerò note audaci, nella neve o fra gli aironi e su di te, sulle tue ciglia cadrà musica di vero amore. Sempre m’immergerò nella tua ombra di corallo. L’alba e il crepuscolo saranno il nostro sorriso: vedrò l’aurora nei tuoi capelli e la sera nelle tue unghie. Il tuo viso e il tuo corpo vennero da me da una casa straniera in una giornata miracolosa velata da aghi di pioggia e da un sogno, un giorno di miracolose resurrezioni di farfalle in cui tu, prima stella da qui all’infinito fosti avvolta in una carezza di luce, io felice per averti trovata fra le crepe d’uno specchio. La tua bocca mi regalava libellule di luce, pensando ad appuntamenti in radure ombrose in cui rotolarci innamorati nell’erba; desiderai avvicinarmi al fogliame per stendermi con te presso il greto d’un ruscello, nuotando controcorrente, com’è nella vita il nostro cammino. Il nuovo autunno della volta celeste sarà colmo di fari nella trapunta delle stelle, cadranno in ottobre foglie dagli aceri, un autunno di nebbie e tristezze. Io non so dove andrai, dove andrò camminando senza la mia duplice. So solo che la mia cripta recondita di gioia la devo al tuo ricordo etereo, mia quaglia piumata. Staremo uniti e le nostre mani s’incroceranno tra spine. Tutto sarà riunito. Perché per me sei la più bella.
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Unala di stagno
Sei candida nel sole o nella notte stellata con la trionfale orbita bianca e le iridi d’onice, l’amata corona di alberi neri il nasino d’animale solitario, pecora selvatica che odora d’ombra e di cielo, scolpito come un diadema tra le fossette. Che puro il tuo sguardo d’ambra, caduta d’occhi, feroce pungolo sino a cogliere il varco sino al tuo astro. La mia bocca d’esilio vorrebbe mordere la tua carne, le tue braccia, il tuo petto in cui penetra il vello come un’ala di stagno. La mia chioma di farina e frumento, la pelle di figlio maturo s’innalza nella fronte come un ghiacciaio, i denti di fuoco bianco, d’equità simmetrica, la mia schiena arcuata sostiene il peso greve d’una statua d’avorio. Sognando anni di baci fissi come la struttura d’un’ala, come inizi d’autunno bimba, amorosa mia la luce ripone il suo letto sotto le tue palpebre bianche come rotonde colombe, costruisce i suoi nidi dentro di me.
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La luce di questaurora
La luce di quest’aurora son tonfi di palme giochi esaltanti di domande solenne rischio di rifiuti- per le vicende del giorno la parete perderà i suoi ciottoli. La luce di quest’aurora i seni spogli dei miei sguardi gli olezzi multipli d’un mazzo di fiori dalle rose ai ciclamini passando attraverso i girasoli, la viola del pensiero. Il rumore delle pietre, della risacca del mare- sfiora anse di rena in cui ci stenderemo frante dal bagnasciuga del frangiflutti. Il miele della tua pelle, la fragranza del pane dalle orchidee delle stelle scendono gabbiani implumi. La luce di quest’aurora fiamma che ti rigenera nasce verde e muore d’erba. I primi balbettii di felicità furono sotto veli di rugiada. E nelle tue labbra vi è il cielo.
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Il mondo da una mongolfiera
Scappa attraverso il paesaggio rupestre, capelli corvini e occhi scuri, fra le fronde e le carezze del vento gambe tornite in calze di sabbia, immemore in tutti i veli di ruscelli. Ultimo palpito s’un volto trasfigurato. Nella placidità del suo corpo avanza una sfera di neve sulla pelle un neo di silenzio. Le sue mani, archi canori frantumano ogni luce d’alba. Nella sua dimora conta i minuti. Per la tua stella, esplosa nell’aria d’aprile per regalarsi gli occhi, per vivere giunti sino alle praterie in fiore, per regalarsi immenso amore per donarsi le iridi all’ultimo secondo. Per dormire nella luna in quattro pupille, il sole nelle medesime. Un amore fra le labbra-un vago uccello adorna i campi, i boschi, le strade e il mare. Bella come il mondo da una mongolfiera.
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La danza gialla delle foglie
Ascolto le note musicali della tua voce venuta dalla terra per salire al cielo, spio i tuoi occhi d’ambra: ecco la tenerezza di sguardo di seta, la tua bocca, parola senza eco. Avverto salire a tentoni il muschio della tua pena. E’ la guerra oscura del cuore la lama spezzata di angosce commosse l’ebbrezza dei desideri. E’ questo la mia vita: l’acqua che le tue iridi nere mi recano, il concerto di voce dei tuoi sottili pensieri. Ah, coppa, ruscello, mia agile compagna. Scorgo le coppe nella danza gialla delle foglie. Ti giunge ululando il vento nell’ora del sangue fermentato quando la terra palpitando vibra sotto il pallore del sole che la riga con code d’ombra. Eccola, la tua forma familiare, ciò che m’inonda che mi empie l’anima in abbandono, la tenerezza che s’avvolge alle mie radici: matura in una carovana di frutta uscendo dal tuo cuore come il vino dal centro dell’uva.
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La danza gialla delle foglie
Ascolto le note musicali della tua voce venuta dalla terra per salire al cielo, spio i tuoi occhi d’ambra: ecco la tenerezza di sguardo di seta, la tua bocca, parola senza eco. Avverto salire a tentoni il muschio della tua pena. E’ la guerra oscura del cuore la lama spezzata di angosce commosse l’ebbrezza dei desideri. E’ questo la mia vita: l’acqua che le tue iridi nere mi recano, il concerto di voce dei tuoi sottili pensieri. Ah, coppa, ruscello, mia agile compagna. Scorgo le coppe nella danza gialla delle foglie. Ti giunge ululando il vento nell’ora del sangue fermentato quando la terra palpitando vibra sotto il pallore del sole che la riga con code d’ombra. Eccola, la tua forma familiare, ciò che m’inonda che mi empie l’anima in abbandono, la tenerezza che s’avvolge alle mie radici: matura in una carovana di frutta uscendo dal tuo cuore come il vino dal centro dell’uva.
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Onda di marea
Onda di marea sulle risacche del firmamento, acqua che sale sulla rena dove le nostre orme, passeggiando mano nella mano, lasciano una scia di libertà- t’apri come la corolla d’una rosa selvatica nell’aurora. Un immenso che graffia il vento come un potente lancio di frecce nel cielo. Ah primavera di abbacinate farfalle, lei rondine innamorata che vola dal mio cuore al sole. Scalpita nel crepuscolo, i tratti del suo volto incisi dai coltelli nelle mie mani lei, i suoi acuti giunti ai miei lei, i suoi occhi neri d’ambra. Lei, il suo cuore, libellula libera che, come una formica intelligente, con antenne d’istinto mi tocca. Se le mie parole la trapassassero come aghi dovrebbero entrare come spade in un tappeto di velluto. E’ una marea che mi piega, lei al mio fianco. Fiamma di luci, liberami da questa notte cupa che annienta. Amami, desiderami: la tua voce riecheggia nell’aria e arde nel vento, la mia si smorza e muore. Il mio richiamo la raggiunse nelle notti di gelide stelle.
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Spirito puro ma guerriero
Non sa tramare insidie lei spirito puro ma guerriero difficile, così difficile da sedurre. E’ il suo sguardo a lasciar trasparire costellazioni in me ha posto il suo anelito su di me ha lanciato l’aerea rete di certezze. Innamorata in segreto nude parole empiono l’aria le scoprono il collo e i seni le palpebre si dischiudono di luce perché nei suoi occhi i baci mostrino di lei solo corpo ed anima. Si protende sul mio viso di pietra ignaro il suo cuore confida, scorda. Sotto le nuvole delle sue ciglia il suo corpo s’assopirà sul mio petto il profumo del capo sprofonderà nei sogni. La brezza per una strada che avrà fine i passi delle foglie più spediti- t’accarezzerò in un diluvio di colori- i tuoi occhi fugano la luce hai denti scintillanti come il fuoco la bocca fiamma d’ermellino.
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Ho mani per volare
Anima del candore d’un giglio, pura come il sole o la luna che ammicca, occhi a dismisura con orbita di bianco vestita e coppe d’oro fragranti di pane. Hai corona d’alberi frumento e nasino delicato che odora d’ombra. Ami lo splendore delle mie mani- le ho per volare nel firmamento, tu per cantare ed accarezzarmi come un petalo. S’innalzano verso stelle umide mentre la mia bocca d’esilio morde la tua carne, le mie braccia di muschio circondano la tua cintola. La mia simmetrica statua di marmo, il mio viso brunito fatto per la profondità del sole, la fluente mia chioma forgiata di quarzo, la mia fronte penetrante come uno sparo, la mia pelle matura di miele, i miei occhi di giada dove brilla la tua fiamma marrone. Sei identica al bacio più lungo, ai riflessi azzurri degli astri, il tuo istinto di fuoco accende notti scarlatte- palpita e domina in saliscendi con tremore di stelle in una forma guerriera con carezze figlie della farina e del cielo.
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Un albero di luna
I tuoi piedi di velluto nell’ombra, le tua mani nella luce guidano il volo d’aquila reale, volteggia in un cielo d’innocenza- tra la rugiada dei fili d’erba le mie labbra conobbero il fuoco. Porgendoti la mano incrociai i tuoi occhi nocciola che mi stanno scalfendo l’anima nei sogni in un palpitare d’immagini colorate. Non importa per te che hai occhi non nati: quando aprirò il libro d’acciaio del secolo d’oro isserò bandiera di te, stella prigioniera. Dal blu della volta celeste m’avvicino ai raggi frumento della tua chioma, terra di grano nata dal sole- si prepara il confine di notti scarlatte nella mia anima rosso ciliegio e accende pietre e ciottoli levigati. Perché cresce l’onda del mio cuore facendosi pane e che la bocca lo divori- il mio sangue è vino che suggi. Il fuoco è l’amore rupestre che c’infiamma. Io e te siamo un albero stellato di luna.
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Lorgoglio dei vivi
Alla memoria di mio padre Ascolta l'impalpabile ritmo del tempo: sarai pronto nell’ora dell’agonia e sconfiggerai le tenebre con la forza del silenzio; quella forza che, tenace, attraversa i secoli e fa risplendere con gran fulgore il mistero cui t’avvicini. Scaccerai l’orgoglio dei vivi con la promessa dell’eternità e solcherai la vicenda dolce della tua vita penetrando il buio con la tua scorza di diamante. Vivrai il tarlo che rode la tua coscienza scalfita da un senso d’impotenza con l’onore dell’età, stinta come quel lenzuolo di lino che pare scacciare il freddo dell’abisso ed io ora, padre, oso accarezzare la tua fronte imperlata di sudore che, in una memoria di bambino, conservo ancora vergine di rughe.
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Larcobaleno
Annego nell'inchiostro la seta che avvolge il mio sonno tra voli notturni di pipistrelli e schiamazzi mattutini delle lavandaie. In un' aria di carta cerco di dirigere il traffico delle mie passioni e, lasciandomi lambire dalla brezza amica, mi riposo all'ombra della grande quercia ascoltando canzoni di ieri. Il tempo, intanto, immemore delle mie sofferenze, ambisce solo a spargere la mia cenere dolce nell'armonia dello spazio remoto dove le stelle per noi son morte e non c'è un arcobaleno che, dopo le vicende della vita, si stagli nel cielo turchino e muti la nostra essenza dall'ombra alla luce.
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Il pescatore
E’ solo nelle forti tempeste di maestrale il disperdere tempo prezioso-immense ondate s’infrangono impetuose tra le conchiglie. Giorni inutili del pescatore, sin col nonno, nel paese, unica parlata il dialetto, ad apprendere i dettagli del mestiere. Presto con i compagni di conoscenze a sortire nell’alba dal porticciolo, la fragile chiglia solca in ogni stagione il saliscendi a intervalli del mare, il motore scoppietta calcolata miscela. E’ un costante perseverare nello scandagliare i fondali sabbiosi in cerca di sorgenti fruttifere. L’unico strumento a disposizione dalla nascita nell’arrampicare gli stenti, svicolare tra le enormi pietre predisposte. La casa è diroccata-nei muri crepe e muffa- e l’allusione all’amore poco gli appartiene, sino a una scarna prole a cui dare pane. Le rughe di sale presto corrugheranno il viso, dalla gioventù la pelle ne era già segnata e, forse, un giorno qualsiasi, un pericolo mortale, per una barca che n’è talmente incurante, apporrà il punto, nei flutti, al dolore.
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La quercia e il mandorlo
Tu, padre, eri la grande quercia del nostro bosco dei pensieri e lei era il tuo mandorlo fiorito. Ora che s’è stagliato nel cielo l’ultimo arcobaleno sei la stella del silenzio che veglia sui miei errori e s’è appannato lo splendore del mandorlo. Ha fiori secchi e malati e il suo respiro è un sospiro, attendendo che si stagli aurora in un nuovo mattino in cui la scintilla d’un raggio dorato di sole ne brucerà per sempre i rami.
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Il silenzio acuto del mattino
A mio padre
Ho annodato a ciottoli levigati il fluire dei miei ricordi. Forse era l’aurora cremisi che si specchiava nei solchi delle rare onde, forse la magia del silenzio acuto del mattino. Forse la quiete infinita ed il confluire d’umane speranze tipici d’ogni alba in qualunque angolo del mondo. Forse un po’ di tutto ciò mischiato all’amore per la vita: e noi in simbiotica armonia su questi greti ci trovavamo, padre, ed era l’elogio dolce delle nostre illusioni, la genesi delle nostre buone intenzioni. Era la folgorante attesa d’un alito di luce a farci muovere, padre, laddove ormai sono avanzate poche manciate di rena e l’acqua ha reso canute persino le amiche conchiglie.
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Via Mario Pagano
Quando il tramonto muore e cala lenta la notte si spengono i muri della città e si riempiono lente le strade che amo e conosco da tempi lontani. S' animano i marciapiedi di volti conosciuti, tante piccole maschere inconfondibili nei loro movimenti, sembianze, cadenze e prende vita la notte in un tourbillon di musica, macchine e palloni illuminato dalla luce fredda e tenue di una fila di vecchi lampioni. Nella via dove sono cresciuto la gente vive d'illusioni cantando storie di vecchie canzoni ridendo delle proprie bugie vivendo per l' oggi senza la certezza di vedere la luce del domani. Nella via che m' ha visto bambino ogni notte ha il sapore di festa ma sotto le maschere soffre la gente come i vecchi clown che raccontano storie tenendo una lama stretta nel cuore. Così scorre la notte nella mia via guardata da case ingiallite da un' aria di cenere dove tra sogno e realtà passano i volti, le storie, gli anni in quell'aria terribile e fantastica che, come in una commedia subdola, consuma le vite in giochi proibiti.
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Cicatrici damore
In punta di piedi m’appari in un sogno avvolta in un vestito di seta fine risvegliando una ghirlanda di ricordi, cicatrici d’amore d’ una primavera profumata in cui tra le lenzuola reggevo la tua mano ultimo appiglio del mondo e d’afose notti di mezz’estate in cui le orme dei nostri passi sulla battigia lasciavano una scia di libertà. Poi ti rivedo sparire nella nebbia di novembre, una densa coltre di panna sui nostri pensieri, timbrandomi il lasciapassare della solitudine. Fiorisce luce, ed è come se il cuore tremasse al suono acuto dell’antica sveglia. Aperte le persiane fatiscenti, scendo in un dedalo di vie lastricate di memoria del tempo dell’amore perduto. Ora sei la pietra spezzata, l’albero senza radici e faccio naufragio nel mare della nostalgia con una caravella di ricordi tra l’indifferenza dei passanti tale al passero che tenta il volo ma cade senza destare stupore.
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Un cigno
Stamane, rose d’aurora profumano drappi di nuvole, tu sei come il sole che sopra d’oro vi brilla – un cigno perso in pupille di lago, acqua chiara appartenente ad un’antica memoria di cielo nella costellazione azzurra d’ogni desiderio, due passi con te dal primo fiore all’infinito. Eri passata nella sera luminosa e chiara, luna, il sorriso scolpito sotto le fossette, rosse d’un’emozione d’amore, il tuo nei gemiti dipinti ad accendere il buio del silenzio straripava nelle lenzuola fra le stelle, tu astro nello sgargiante arcobaleno d’un’elegia di voglie. Ora t’attende il tappeto d’ogni via, un tappeto d’oro s’intarsia di luce fiera, quando tu passi io ti venero poichè, se ogni passante ti lusinga, tu, innamorata, volgi a me il mare degli occhi, io nel velo nocciola mi perdo confuso, occhi d’anima – i fili d’oro dei capelli fluttuanti nel vento, trecce di sole. Tornerà, sui vetri ombreggiati dalla fuliggine del camino l’acqua fresca di baci della sera, pioggia ad aghi sottili, noi ubriachi di felicità, nel buio della notte scintille d’ebano i nostri pensieri accesi d’amore – tu saluterai le mie carezze fra le tue cosce bianche e snelle sospirando in una nuvola – mi sveglierò al suono di campanelle dei tuoi bracciali.
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Ogni aurora
Nel silenzio di luna delle idee mi chiedo cosa avanzi del nostro amore: un parto dell'inchiostro cucito s'una nuvola? O un'aurora sottile del pensiero tradotta in eco stellato dei sentimenti? E' tempo d'amare qui, annodati ad un gomitolo di lenzuola, uniti nell'anima oltre il destino la stanza vive dei nostri segreti mentre lungo il viale alberato di polvere si sente solo un turbinio di vento, uno scroscio di pioggia ad aghi sottili e non s'odono nemmeno latrare i cani. Abbandonato a tessere il tuo volto su pagine di filigrana, strariperò nel cielo allo squarcio del primo raggio d’oro quando tu sillabando confusa timide parole mi donerai l’anello d’oro dei baci. Sarai di nuovo fuoco tra le mie braccia, l’acceso rifugio del tempo che si crogiola, una nuova impresa velata e muta per cui lottare, la stella che albeggia quando tutto sta per svanire. Sarai la Venere che uscirà dalle acque e in una carezza liquida prometterà un’eco di sussurri, colei che lava i cenci logori del passato e m’avvolge in un caldo lenzuolo intarsiato di lino. Perchè con te ogni fuoco d’aurora è una meraviglia che sta per accadere.
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Un volo di rondine
Il meriggio consolerà il mattino per aver trascorso frammenti del nuovo giorno. Se qualcuno ricorderà l’alba sarà tempo di quiete sfumato, ricordo lambito da echi sfiniti, candido pallore che quasi richiama il colore del crepuscolo. Dimenticato è ormai il mattino in una fitta pioggia di speranza che ha permeato il meriggio d’un’apparenza vespertina. Il giorno regalerà alla notte rose di seta e verrà il tempo dei vizi, il tempo dei rimorsi e sarà la foglia d’una pianta appassita ad ondeggiare ed insegnare che anche nel vuoto di piombo del silenzio l’inchiostro sinuoso si agita e traccia graffiti d’amore. Udendo gli schiamazzi di quattro ubriachi che cantano, dolcemente m’assopirò sotto un’arcata di cielo lattiginoso. Porrò a tacere le membra assonnate in una notte dove la luce delle stelle illumina un uragano di passioni. All’alba sarà un volo di rondine ad illanguidire d’amore gli alberi, aprire il cuore a vagiti di speranza e concedermi l’attesa della nuova stagione.
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Laquilone dei sogni
Nella notte silenziosa stelle calme brillano nel guscio del cielo, sabbia di clessidra scorre tra impalpabili visioni e siamo io e te, foglio che mi sfidi a tessere il gioco delle idee. Con ali di cera, vagabondo a casa mia, viaggio sul pavimento lastricato della fantasia e l’aquilone dei sogni vola come vibra questa vita, arco teso di una memoria che non si può cancellare. Il vaso di creta dei ricordi annega di dolore il calamaio, gli occhi fasciati di nebbia sono lo specchio d’un’anima che cerca la propria isola scacciando i fantasmi della solitudine e vorrebbe librarsi nell’aria tale al merlo recalcitrante alla prigionia della gabbia. Nel gelo di questa stanza- non basta la vecchia stufa a legna, il letto è di ferro, la coperta sempre troppo corta- la teca ardente dei pensieri sillaba un vortice di versi muti che vanno a incastonarsi nell’aurora nascente tracciando i contorni di fiabe d’eroi leggendari. Sarà nel soffio di luce d’un nuovo mattino che la mia mano dalle dita callose, le membra in subbuglio, s’arrenderà alla stanchezza delle parole andando a sognare una nuova poesia.
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Fiore tra stelle
Colsi tra stelle il tuo fiore brunito, m’accesi d’un arcobaleno di mare in un sentiero ornato di rose, gli altri fiori chini ad osservare- il disco del sole per un attimo fermo, la luna d’azzurro d’un accentuato sorriso.
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Il bosco
Il bosco ombroso appare vuoto come i calici all'alba. Costruito di cristalli di legno e piante multiformi: querce dalla memoria secolare e filari simmetrici di pioppeti. Le radici sono d'avorio. Le frequenti piogge hanno ubriacato i rami di felicità: l'arsura resterà ignota e le fiamme si chiuderanno come un ostrica di luce nella notte fresca e silenziosa. La selva oscura continuerà a trascorrere cupa le sue giornate: questa canzone tenterà di catturare i suoi sospiranti segreti e noi, con volontà d’acciaio, ne continueremo ad esplorare le profonde e vergini grotte. Coglieremo, estasiati, notti di luna e ciclamini; gusteremo lo splendore delle sue pianure sterminate e lo stupore sovrastante del mondo astrale. Alla fine sarà il bosco stesso ad armonizzare la sua musica primigenia per stringere con noi ospiti un nodo di candida fiducia.
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Onde
Stanotte ti dedico due paragrafi di cielo per narrare dello splendore della tua stella: s’è azzurrata nei riflessi del crepuscolo dei giorni. Neve a chiazze si spargeva tra i fili d’erba ed io non mi posso scordar del tuo viso angelico, bocciolo di rosa che m’hai strappato alla tristezza. Subito sei stata la voce del silenzio giallo che m’irrigava sgualcendo il lembo della malinconia… ...ora non parlare, lascia passare quel raggio segreto di luna. Come se passassi attraverso la cruna d’un ago subito diventasti il fuoco di meraviglia di quella neve e nel cielo l’aquila che danzava negli squarci di sole. Tu che hai rotto l’involucro di plastica di giorni identici accendendo le pareti della stanza nel latte di cielo dell’inverno chissà se già sognavi di me col capo reclinato sul cuscino? Ti ringrazio per aver divelto il chiavistello della solitudine: serrava un portone senza nome – con un gioco di sussurri ora insieme alla eco dei tuoi gemiti accendono notti di brezza marina. Noi siamo le onde che galoppano fino ad essere una sola idea con la volta stellata.
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Il poeta
Il poeta è una nuvola innamorata, una goccia di stella scesa dal cielo, la sua parola è l’onda che sale e si rovescia, parola nel mare che sposta le navi col pensiero macchia di luna bagnata dai raggi del suo sorriso cielo impassibilmente terso che custodisce i sogni dei gabbiani: volano nella notte scendendo dalle stelle, risalgono nell’aurora bruciando il sole.
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Unalba di neve
In un’alba di neve, bagnata da un sogno e da aghi di pioggia, un’alba di miracolose resurrezioni di farfalle, tu, prima stella da qui all’infinito, sei avvolta in una carezza di luce- io felice per averti trovata fra le crepe di uno specchio. Sbagliando strada ma arrivando lo stesso alla neve in quell’inverno vestito di sorrisi appena accarezzato il colore dei nostri pensieri era come se già piovessero- per un incantesimo triste della brezza del tempo- i primi fiocchi del nostro ultimo arcobaleno.
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Schegge di stelle
Quando fra schegge di stelle risuonano campane d’aurora mi desto nel gomitolo di lenzuola del primo raggio, c’è un velo di nebbia nel cielo dei desideri, noi in un cantiere d’amore come in ogni alba figli d’un destino errante dalla pronuncia naif, palme sorridenti s’un isola in un deserto scritto. Ecco che trionfa l’azzurro, balena come una domanda in un’acqua di gioia, ognuno lieto del proprio destino vivida ancora l’emozione delle carezze notturne esulì in un verde canneto nel lago di fango predisposto come i cantori di meraviglie universali, io della tua nella dolce ebbrezza di starti accanto. E’ un armonico concerto d’idee che si staglia nel sorriso cangiante del sole, io perso nei tuoi canti di voce, la musica sottile della tua anima espressa in drappi nell’immobile fiamma della calma del cielo solo tu la rosa più profumata del bosco allietato persino da dolci effluvi di pruni e ginestre. Tu mi piaci perchè ogni dolce pensiero è sotteso, sgorga ripido come un ruscello tra i sassi dell’impazienza e viene a valle in una possibilità che si fa mare in cui nuotare come una benedizione, acqua di tedio franta dalla prima volta che incrociai i tuoi occhi in quella casa dove soffiammo insieme sulla brina dei vetri, in un’idea di libertà.
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