I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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Prima che
Prima che È solo un vecchio desiderio ed è solo un’altra notte di neon e di luci rugginose, eppure io vorrei lo stesso farmi più forte del vento che sforma e ruba l’anello di fumo che hai come aureola. Vorrei e forse posso. Ti bacio le ali mozze, angelo rauco, costretto a camminare sull’asfalto di questi Campi Elisi collusi con l’inferno, e accarezzo l’aspetto malridotto della tua anima offesa – fatta di carne e di pioggia – in un abbraccio di calore e di bianco prima che intorno sia di nuovo l’alba di un nuovo giorno sepolto e non nostro, e prima che il suo freddo ci ricordi che anche noi siamo rimasti nascosti dietro lo schermo dei nostri contorni.
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Cenere
Cenere L’alba non si era ancora aperta del tutto, quando sono arrivati e per due volte hanno pesato e misurato l’inferno fino all’ultimo grammo dei suoi ultimi millimetri, così da dargli un senso, un sapore, un prezzo. Inferno poi inviato, venduto e riciclato sotto gli occhi neri del Sole e nel cuore corroso della notte. Inferno tra altri inferni, ma più infiammabile. (Quando lo appicchi, ti scalda il sangue più in fretta e sempre più in fretta ti arriva due volte al cuore, salendoti alla testa. I mille e dispari paradisi promessi li mantiene tutti e tutto trasforma in carezza e calore, ti fa compagnia e diverte. Così, se ti specchi, puoi vedere la tua faccia che ti ride in faccia tra le sue fiamme di carta tutta crespa: cenere all’istante.)
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Rondini
Rondini «Un urlo dal dolore è il vento cieco che solleva e rigira la polvere di stelle spente che compone ogni cosa», spesso si è detto. Intanto, oltre lo specchio, corpi celesti senza un nome, perché hanno già tutto, quasi si divertono a disegnare ellissi a perdifiato a bassa e svelta quota. Sirio, il loro Sole. Nere e come lame hanno le ali, però la loro voce dal chiaro del petto volge pure quel vento in virb…
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Fragile
FRAGILE a C. Correre e tremare come una luce incerta e ubriaca che rincasa al mattino. Correre, dopo aver corso su una corda tesa tra farsa e tragedia, ma finalmente in cerca di quel suono intravisto in fondo al silenzio più stonato. È questo che hai impresso a fuoco nelle vene: correre per sfuggire al tuo sé, alle sue volontà, come al caso, diventando più scaltro perfino del dolore. Sei un pacco con su scritto “FRAGILE” che è stato spedito a migliaia di indirizzi estranei, ma che alla fine ha trovato la sua casa: lo spartito di una sinfonia ingiallita ed ogni giorno più incompiuta.
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In ogni dono un gioco
In ogni dono un gioco Un dono può anche essere sbagliato. Non piacere. Oggi non è il tuo compleanno né un giorno prefestivo, e io ho voglia di darti in dono questa matrioska con la sua grazia grossa e gravida di quattro o più segreti dai colori rumorosi ed estesi. È solo un po’ di plastica prodotta in serie, è solo un souvenir, ma un souvenir che non serve a farti rimpiangere un viaggio tra l’altro mai avvenuto. Le sue gemelle sempre più piccole sono già il tutto di un mondo che di guscio in guscio scende fino al seme del suo nucleo solido: la pressione e le ore di un giorno fermo in fila. Perché anche in un giorno stancamente di serie può nascondersi un dono – e un dono è come un gioco che rinnova il ciclo e il carbonio del primo dono che hai scartato: il gioco originale che non sempre diverte. Quel gioco severo che cambia ogni giorno le sue regole.
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Memento
Memento Anche se un giorno (o nel corso di un sogno) sicuramente torneranno a galla in qualche palude della mente, sul pelo livido delle sue acque, memento che alcune cose è meglio scordarle, ricacciarle nel niente, di cui sono le madri e le figlie a un tempo. (Almeno per qualche momento.)
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Ultimo passo (prima della danza)
Ultimo passo (prima della danza) Danza nella sua mente (al suono delle vene) la voce di una strana prima madre, che chiede la testa del giovane invecchiato in galera in dono ed in cambio di un amplesso col sogno del nuovo e vecchio padre dai piedi ben calzati. Danza e, danzando, è (giunta all’ultimo passo) sempre più sangue e ossa: “Salomè” pronta e sola, e nera e lieve insieme.
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Al potere
Al potere Le parole d’un paese senza case non scorgevano suono, tanto da perdersi e poi rinchiudersi in riflettenti mani che non stringevano né la seguivano, la luce accennata negli occhi, dalle dita già troppo unte per posare la prima e anche le altre pietre – dopo che l’accelerata guida dell’affiatato battito fu coperta da quell’oro che ne svelava il fango.
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La mia Nona
La mia Nona A volte – ad occhi socchiusi – mi lascio scorrere nelle geometrie friabili di una foglia, o in quella musica che, riempiendola, colora l’aria su cui galleggio e che mi avvolge. E mi sembra davvero di essere una sola cosa con il mondo e la sua carne. Ma, se ogni croce ha una sua delizia, ogni splendore ha le sue miserie, e così, ben presto, sono costretto a tornare a me stesso e al mio percorso, visto che i miei inni alla gioia muoiono giovani e quasi mai beati (visto che la mia Nona lascia loro il tempo di un tramonto appena). Sapienti saggi hanno premura di spiegarmi che le gioie sono un canto di cigno o un ardere di paglia ma che è proprio questo retrogusto di amaro a renderle l’uva più sublime ed il suo miele. Tuttavia, l’immagine del cosmo, che alla fine mi vendono, è sempre coperta dall’effetto neve di una sfera che si infrange in mille specchi al minimo contatto con il suolo del reale. E così – scorsa via la sabbia stretta nel cavo della mano – non stringo che un pugno d’aria da offrire al primo soffio che passa (per caso o per sbaglio) sul mio percorso.
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Di fronte al Moto
Di fronte al Moto Ripeto spesso che a questo mondo non c’è gloria che non sia vana né vittoria che non sia di Pirro di fronte al Moto più vasto e perpetuo, eppure brucia veramente tanto stringere tra le mani le macerie in fumo d’un altro lucente incanto.
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Napoli anno zero
Napoli anno zero Sirena annegata tante volte sotto il peso delle ombre e dei rifiuti, dell’immondo e del sangue buio, sotto i lapilli e la nube ardente di mille vulcani al rogo, hanno dettato alla tua voce parole di zolfo, affinché ti sporcasse di vuoto, di vecchio silenzio, e non rivedessi più l’aria. Adesso che hai assaggiato il fondo, per un principio fisico, sarai chi risale e nasce sopra le sue onde di cenere – ma dimmi questa volta quanto durerà la tua riemersione.
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Sogno di una scala
Sogno di una scala Centoquarantanove gradini ha questa scala – ogni volta che sono io a contarli. Centocinquanta ne ha invece quando li numeri tu, che sei da sempre più abile di me. Certo, non stiamo parlando di qualche scala magica tra Betel e il cielo, tra una pietra e gli astri. Nemmeno nei tuoi sogni la percorrono stormi di angeli con occhi di lapislazzuli. Alta e stretta, da un brano di mondo ci conduce ad un altro brano di mondo in prosa – e viceversa. Ed è questo il suo sogno, la sua sempre incostante e scritta col marmo chiaro magia.
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Tutto scorre e tutto brucia
Tutto scorre e tutto brucia I Un vento è solamente un fiume d’aria e un fiume non è che un fuoco fluido. Ma aereo o liquido, il fuoco è sempre eterno e proprio non ha tempo per credere a questi e ad altri insipidi dettagli, visto che il fuoco è già nei dettagli, sin da quando, nel buio stellato della sua officina, è come scintillato quel caldo bagliore che ancora oscilla in ogni cranio e in qualsiasi altro cuore. Così, se è vero che tutto è come immerso in un fiume che scorre via, lontano da se stesso, è anche vero che in quel fiume tutto è lava e tutto brucia di una febbre che viene dalla vita e va verso la vita, perché non è che vita – e perché non è. Visto che alla vita, come al fuoco, piacciono l’essere e il non-essere a un tempo e l’essere senza essere nello stesso luogo. II Il fuoco è sempre eterno, ma non sempre riesce a respirare al ritmo del proprio passo e del suo stesso sangue, e sono sempre tante le volte in cui il fuoco non vive di vita, ma della brace più grigia e delle sue ceneri disperse tra le nausee più sazie e i più stanchi rimorsi. Però la lena che riprende pochi momenti dopo è legna umida di benzina, ed è in questo modo che il fuoco può di nuovo tacere le sue colpe danzando sulle punte dei suoi capelli alti, rossi e scomposti dal ritmo del proprio petto e della sua stessa voce.
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In riva a questo mare
In riva a questo mare La luce era nel colore dell’acqua e non del cielo. Ma non serve a molto fondersi ora con la tua continua epifania che – eccedendo – recede e risucchia e rigetta, sensibile, avvolgente dio, che di nessuno conti i respiri né riempi l’animo monco. Ti insegui per sfuggirti e dopo ti ritrovi su un tempo di sabbia. E in fondo anche in te si agita qualcosa di placido: nella tua iride immensa un cielo sottile quanto un soffio istilla una dolce e azzurra bugia che – se l’assaggio – ha lo stesso sapore della lacrima di chi si è ritrovato su questa riva in riva alla tua luce.
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