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Raccolta di poesie di Gerardo Dani
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Fuga dal solido

Mi liberai dell’ansia disegnando la strada 

sul vetro. La strada, era presa dal dito,

che non sapeva che farsene di vecchi intrecci,

ma io ero consapevole che normalmente

i dintorni nell’occhio non stanno lì per caso. 

C’è una tela nel panorama che tiene insieme 

cose e casi con emotività intense, poi le maglie 

si sfilacciano per l’artificio degli angoli 

suddivisi in acuti, retti e grevi. La persiana

salva dalla dirimpettaia che sciorina panni 

e parole contro un uomo al portone 

che le va contro agitando il bavero 

e scrollando i capelli dalle gocce. È vero

che non ci si può fermare al citofono 

se il posto ti preme in via definitiva; magari 

ti bagna, magari ti sporca, magari ti incorpora 

lo scarto improvviso del solido andare. 

Così resto tra due semprevendi: un’anta 

appena appena mossa, l’altra giusto

che vi entri la testa: sono evoluzione e resilienza:

puoi adeguarti al degrado anche in altri termini. 

Lascio che gli occhi trovino le voci 

mentre salgono infilandosi in ogni crepa 

e comprendo non dall’udito - di solito 

fuorviato dalle contumelie dei clacson - 

ma dalla vista che fa pratica in un altro senso. 

Questa consuetudine, dello stesso genere 

delle costellazioni, mostra molte più fughe 

che belle figure.

 

*

Con sunto

Ricordo di aver seminato il corpo 

distrattamente. Non ne ho tenuto conto 

quando ne facevo consumo. Non ha dato frutti 

‒ è sintomo di seccatura? 

Rivedo gli ascensori: un pulsante è occupato,

gli altri allunano in pieno; il nord del territorio

è il contrappasso dei sogni. Sogni? Prese

visioni, nient’altro. 

Non ne ho coltivato alcuno, perché ovunque 

ci siano scale piego le ginocchia

per sollevarmi, benché l’ombra trattenga 

la gamba per evitare una brutta figura. 

Va da sè

che il momento da cogliere è raro 

nel prato che non si cura. 

Per un pezzo da uomo, qualcosa in me - 

come in tutti i respiratori -, si era inerpicato 

oltre le doglie e oltre il cancello, 

dove ingigantisce la vita 

finché si riprende l’ombra.

 

*

Il sabato nei paraggi

Vorrei farti una domanda: cosa ricavi

vendendo la pelle al sole?

Lui non rifiuta

perché prende

ma è già tutto suo e sa

che toccherà alla Terra pagarlo. Intanto

finisci sotto il carro di Apollo,

annerendo come a corredo della pece.

E pensare che quel colore

lo avversi quando è dato in dote

alla nascita. Penso

che l'illusione di cambiare pelle

dichiari la tua prima natura di rettile

nascosta nel costume locale

in capo alla spina dorsale.

 

*

Mostro il battito

Ho scoperto che il cuore ha pochi contenuti 

ma straordinari e vitali. Ho trovato comete 

orbite gravitazionali orizzonti degli eventi

e suppellettili personali ancora nel caos.

Ero sulla collina verde perso e c’erano persone

che guardavano altre persone come esiliati

più giù dove l’enorme cuore della città

è tenuto insieme da nastri neri apparentemente

inadatti a tenere insieme tutto quel cemento. 

Il cuore è davvero l’universo che ci voleva?

Sulla scorta dei sentimenti non ci giurerei.

Proprio là c’era un viavai pernicioso di soggetti 

e il sangue inesperto cercava l’opportunità 

di precipitarli nel suo circolo esclusivo. 

Forse dovremmo curarci dei ventricoli 

come tunnel spazio-temporali e smetterla 

di urlare al banconista l’ordinazione:

facciamo prima a servirci da soli, non ti pare? 

Eppure, il cuore della città è uno strillone 

accalorato dal titolo: la vita viene meglio 

ad alta voce. È il parere del vecchio sangue 

che grida l’amore dal vivo: ai sordi, ai morti, 

al contrario niente - benché la collina s'insinui.

Che ne pensi? Non mancherà occasione 

che ti ferisca una notizia falsa. Acuminata 

violenta urlata la notizia semina il panico; 

disse un influencer a pezzi: l’articolo concilia

odio e amore. L’amore prodotto si vende

come fatto, ma l’odio ha più clienti perché regala

menzogne. Per la verità tutte le star sono 

altrove: come mai sei scuro in volto? Lì c’è 

il tuo motore che arranca - oh, se arranca! 

Anche lì tutto fermo: dacché fu fatto d’amore 

il cuore perde terreno e la mente lo stacca

di una incollatura.

 

*

La solitudine è una congettura del deserto

A picco sui fiori è mettere a fuoco un altro mondo.

I dati raccolti nella cenere indicano che occorre

una agronomia specializzata per coltivare

affermazioni di genere. Le radici nascondono

sotto coperta lo spirito del luogo. Lui/lei/loro

transitarono all’oscuro. Nell’ombra si formano

masse inavvertite e clandestine, a ruota libera.

Si iscrivono così, ma si leggono diversi: perché? 

L’umore umido è fertile, sicché la vita sceglie 

la profondità al riparo dalle devastazioni.

Dopo l’incendio sembrava tutto fermo, solo

fuliggine e fumo sugli scheletri messi a dimora

come tizzoni freschi. Chi aveva amato quel genere

distrutto - annientato il verde amore, lo ricordo,

e instaurata la convalescenza del deserto, ha reso

concreta la congettura che la buonanima del bosco

non si difenda. Al limite si spegne.

 

*

Similitudine a sbafo

Pesa il sapere meno della carta

che aumenta il peso della mortadella.

Il salumiere ha la mia inclinazione:

aggiunge a fogli affettati

affettati a buon prezzo; masticheremo

parole piene di senso ma dal sapore

di toner. E il toner è compreso nel pezzo.

I figli del buon prezzo a prescindere dal sesso 

faranno la spesa nel territorio delle offerte. 

Un’area che si espande secondo i coleotteri 

del marketing. Le farfalle nello stomaco 

non ci stanno. Il desiderio goloso 

è una ciminiera: consuma prodotti 

ma la tasca è già ridotta in cenere

il secondo venerdì del mese.

Il sapere va in fumo più della credenza

che un moto di rivoluzione della terra 

diminuisca i giorni per la mortadella. 

L’umanità è un parcheggio di questi templi.

 

*

La secchezza non si schioda

Il lampadario a goccia è l’unico

che ricordi la pioggia. Scaturisce

da una nuvola elettrica. Evento raro

in natura ma per natura farà di più

con altri mezzi per denti. O stenta. 

I volti a pezzi mettono in campo

il sudore dai serbatoi di sebo. Ma

fiori di zucca e frumento con tutta

la santabarbara dei campi orti e serre

non si raccolgono a dovere: seccati

passano a miglior vita da semi nati.

Seccati si adagiano nella polvere

‒ si adagiano è un modo benevolo 

per dire che scuotono la terra 

per l’acqua ordinata ma portata 

su un tavolo diverso. Seccati 

finiscono nel povero paniere

che sopravvive ai vimini secchi.

 

*

Come inizio non c’è male

Il dottore afferma che non basta una pillola:

la cura dev’essere prolungata per rispondere

a domande in buona salute. “Morirò, dottore?”

In coscienza, i monosillabi sono irricevibili, 

anche se somministrati come acini di sale

iodato. La loquacità rassicura, soprattutto 

se la diagnosi è di per sè ipertensiva; 

dice anche: “Serve ridurre la vita. Il suo giro 

preoccupa perché imbocca la notte e la notte 

brucia i grassi come quarti di manzo.”

Mi ricorda che devo respirare salsedine 

per prendere iodio a mani nude come la luna 

che si tira addosso l’alta marea per farlo

nello stesso verso del delfino che appare dopo.

Sebbene dentro di te una selva di paure sia 

cresciuta, il timore prende una strada già battuta

con un filo di voce: “Morirò, dottore?”

Poni questa domanda pleonastica e ti rispondono 

due polpastrelli che giocano a tamburello

sulle tue spalle e fanno del medico un delfino 

da acquario. L’udito scopre il fischio e la cura: 

“Morirò, dottore?” “Come inizio non c’è male.”

 

*

Individuo con torto

Quando mi osservo allo specchio pare si riprenda 

il volto dal lato del ghigno, ma se accenno

un sorriso non si nota la gioia.

Vedi qui e qui, dove mento e verità si colgono?

La ruga possiede argomenti

che hanno avuto la meglio col tono perentorio.

Credo che lei rifletta sulla contabilità delle carezze 

più che sull'assenza di distensione.

Sono reduce da una rifioritura e secca 

il logoramento del respiro. Siamo un giardino

per il quale la vita non usa mezzi termini

a segnare smorfie di fatica. Ribattiamo 

alle stagioni perdendo colpi col tronco, 

con le masse molli, con l’animosità

su cui si regge il frontespizio

del nostro universo.

Ora sono all’orizzonte degli eventi

e passerò per un buco nero,

davvero.

 

*

Presa di aria

La figura sfuggente non è apprezzabile

se non è coinvolta da un richiamo. 

E la memoria è tanto greto quanto ponte: 

scorre o si attraversa, secca o crolla. 

Si riserva di apparire quieta mente.

Sempre più spesso adesso anche l’azzurro corre

da capo giro. Trafelato, sbuffa lasciti vaporosi,

semina correnti e pendagli per fonti; nel suo ambito 

le piume coccolano le ascensioni. Le piume 

saliscendi sono temi da svolgere a volo. 

Io copiavo gli aerei e i fogli di quaderno

prendevano la piega in altre direzioni.

L’alito caldo è solo motore del suono. Il vapore 

fa meglio: guarda le nuvole. 

Segui un profilo sfilacciato e in modo 

incomprensibile ridi nervosamente

o ti riga il volto il tumulto degli occhi.

Le figure sfuggono alle prese d’aria

ma la voce ancora cattura.

 

*

Tra passi

 

Il muro lo regge con la sua calma in saldo

- saldo sta per le gambe spezzate dalle rotule

mantenute in riga dalla fermezza delle intenzioni

come messe a pieno diritto in partiture 

di: “verrà, lo so, verrà, e sarà un belvedere!” 

E mostrerà la padronanza delle misure 

che hanno i distanti quando le annullano.

 

Il sospetto, stornato dall’attesa, colma

quella strana aura che circonda i fusti veri 

tra muscolo ed effetto, apparenza e palestra. 

Voglio dire che in piena infatuazione molti

si reggono nell’incertezza grazie all’intonaco.

 

Certo, una buona parte la fa l’abito,

nel quale si entra a soggetto sicché:

"Molti uomini si mettono in riga, ma uno

solo va a capo." I più tornano a casa

col cuore in pace mentre la mente dà ai nervi

corpi sordi, posto il passato pandemonio.

 

Il suo profilo suggerisce - chiavi in mano -

uno scheletro in carne, per la cura con cui

le ossa mostrano scalmi e costolature quanto 

i barconi in secca sulla costa abrasa.

 

Quando lei vorrà tornare a riva - sul muro 

sul letto sulle mattonelle in altre forme 

di tendenza più salde che spicciole,

la tremenda attesa scomparirà in tronco 

per la familiarità che dà alla luce.

 

*

Evanescenza permanente del rudere

 

 

Sia fatta la tua ingenuità, il vezzo infantile

per il quale la marea del riso è risoluta

risalita a rima dall’arenile

fino a rotta voluta.

Gusto la ridda di schiume perfette

che liberano orizzonti lontani

con un crepitio piano

su cui scommette

l’ala come una sorta

di fabbrica del vento

che sbatte la porta

in faccia al tormento.

Sia ripresa l’ingenuità dal tuo vessillo,

sia posto in te il rumore dell’anca

che si dimena giovane e franca

quale richiamo alla pupilla,

tolta alla vela seduta stante,

di un legnoso relitto natante.

 

 

 

*

Caduta di stille

 

Che io sappia qualsiasi catena rima con pena

- magari l’anello poggia su quello

e non sul più bello.

Oddio, a furia di battere lo stesso tasto

ben poco mi sarà rimasto!

Oppure: scrivo senza ritegno mai pagandone pegno

- una banalità, questa, andata a segno.

D’altronde, mi è difficile credere che,

fatto di terra, io sia venuto se

già con il tronco ero privo di me.

Lo so perché la mia scrittura è avventata, non serra,

piuttosto interra.

Lo so perché il foglio, il foglio virtuale intendo,

rende lo spirito branchia che ancora sento

- siano pure omesse h e i - a stento,

come si vede nelle compagnie di banco

- mi sia concessa qui la r tra b e a - al fianco.

Così io potrò liberarmi da tante salme

volanti, a tinte dall’azzurro parente calmo,

quasi turchese, dove lo colse Raylight

da una stesa di voci tese: Really, I do not like casual flight!

Esiste, e mi tocca. Se anche così non fosse, resto

con la parola che manca del visto.

 

 

 

*

Dai lombi

Il silenzio fu primigenio e morì

senza tracce notevoli. Il rombo

che generò ovunque rimbomba

ed è quella luce giunta fino a qui.

 

Per questo la poesia non è tomba

ma una strada per pensieri tassì

che abbordano altri mondi così

discordanti come loro e il piombo.

 

Pure, tutte le voci hanno un abc

persino il buio ha le sue trombe

e mare e rosa, roccia o colibrì

 

se non tuonano come le bombe

mettono in giro quell’armonìa

che addirittura scuote dai lombi.