I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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č un giorno qualunque l’amore
è un giorno qualunque l'amore. nulla di più che aprire una porta o specchiarsi in una vetrina di mercoledì. non racchiude l'infinito del mondo né con l'unghia è un'acqua scalfita sulla sete. è un frutto che ci promettiamo per quando il ramo si spezza e l'eco della notte risuona a lungo sulle labbra serrate. (ma è così feroce poi la notte?). da: Luminol - 2018
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stanze carsiche
quanto è difficile un poeta deve ingabbiare il mondo in una parola un sostantivo un avverbio meglio sonante cercato dietro il velo di un abat-jour. quanto sono difficili gli occhi chiamare le cose per non averne paura e non avere bocca e non avere braccia. (da: Luminol - 2018)
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Apparendo giorno
Canta gallo canta canta! La pietà d’ammaestrati antri Alle tenebre è già piegata. Nella stanza del risveglio L’indomàta porta Allo stipite è legata. (Avremo noi sferze di fuoco? Il coraggio allattato Al seno della verità?). Varcando di porta in porta Mutiamo verbo e scrittura Come i fiumi alla foce. (da: Formicaio barocco - 2004)
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La sedia
A un tavolo - quadrato per misura - siede l'Uomo a un lato il Caso alla sua sinistra alla destra il Fato. Dirimpetto - una sedia scostata da quel margine disadorno. Poggiato vi è un cappello in vece del ritorno. (da "Vocianti" - 2010)
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Astanti
cosa avete compreso? ditemi - cosa avete compreso di questo lungo parlarci? (da: Luminol - 2018)
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In ventre matris
da un fotogramma del Nulla mi schiudo in questo tabernacolo tenero di mucose e umori dove cellule operose tessono le mie parti. di voi mi giunge l'eco delle voci vostre incorporee sgrammaticate a me che mi compongo in questo mio farmi con inchiostro esclamativo. non chiederò del mio natale qui sono acceso come un fuoco ardente un ciliegio in fiore. qui sono una divinità fertile alla nona luna serraglio di preghiere. (da: Luminol - 2018)
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Abel
mio fratello è innocente. dite al cane guardiano a guardia delle vostre convenzioni di lasciarlo andare al suo agro a ingobbirsi con i piedi nel limo come sempre l'ho visto fare prima d’ogni albore. io sono la bestia beneamata la vittima per attitudine che non s’oppose a quell'atto dìsparo né confortai il carnale comparendo con la canestra colma compiacendomi del favore ch’ebbe invece la mia grassa e belante offerta. mio fratello è innocente perché io stesso avrei detto: – andiamo in campagna! cosa cercate nei miei pensieri degno di voce? ho un sapere ovino – io – ignoro l’esegesi delle Scritture il belato è la lingua che intendo mungo e so arricciare il labbro quando è tempo io: vittima che non fu mai fratello del malchiamato fratricida. che il mio sangue sia stato gradito – gustato come l’ultima sigaretta. (da: Luminol - 2018)
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Con il mio cuore navigante
Con il mio cuore navigante l'oceano che è in te attraverso ignaro dell'abisso. Quando la burrasca costringe all'àncora al fischio del treno non ho mai ceduto. E' questo che chiamano amore? (da: Vocianti - 2010)
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prestatori dopera
ci prestiamo alla realtà nominando le cose partecipando a quell'illusione con la complicità delle parole poi le parole svaniscono le dimentichiamo le cose rimangono senza veste - spogliate le copre la polvere. su una mensola di occhi e bocca col dito è tracciato un disegno: un sorriso pazzo infantile. (da: Luminol - 2018)
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Ex tenebris eruere
Buona per altra copertura la terra posta al lato dal piccolo escavatore arancione. Terra grassa. Incolpevole. Saziata da sotterranea attività di acque e stagioni. Ma è con le sole mani che l'ultimo foglio è stracciato a scoprire quel corpo cenerino chiuso nella scatola del tempo scomporsi ora in puzzle di ossa. Cosa non stava in quello scasso l'ho appreso invece avviandomi all'uscita. Con l'angolo basso dell'occhio a sincerarmi ancora lungo il muro di cinta mi avviso di non aver scorto morte se non la nera cantora annodare il mio pensiero alla radice di un metronomo. (28 marzo 2015) da: "Luminol" - 2018
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Dall’esilio
Ci stiamo abituando a questo luogo. Per nulla l’oscillare ci stupisce dalla luce alla notte come il mare né la malastagione né lo strazio della terra per lo sbadiglio delle sue viscere. Ci stiamo abituando a noi stessi alle nostre veglie ai nostri sonni al biasimato chiacchiericcio al dolore di testa come alla zoppìa. Né il muro ormai più c’infastidisce che dell’orizzonte sbarra il cammino e da questa corte stipata di sguardi vedere al di là proibisce. (da: Vocianti - 2010)
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Qui
No. Non ora. Andate pure. Incominciatevi voi per la ferrovia Prima che l’ultimo treno s’avvii. Io devo ancora innaffiare le piante Portare la ciotola al cane Mettere a posto la dispensa. Ho ancora da scrivere lettere d’amore – Una certamente può bastare Se solo fossi dalle parole obbedito. Ho da ricevere ospiti – anche. Non tutti Sanno le cose che non ho fatto Nel tempo in cui ciò avvenne. A nulla vale chiudere la porta Se il cieco passante non distingue Il mio cappello nuovo alla partenza. (da: Formicaio barocco - 2004)
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Prospettive
Quella cattedrale – guarda – con le guglie quasi a toccare il cielo e gli arcangeli ai lati del rosone con il Cristo assiso benedicente e sotto – il maestoso portale con le scene dell’Apocalisse scolpite nel bronzo… – Dove? da: Inconsapevoli viaggi - 2007
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Genealogie infinite
Attraversando il ponte sul fiume che scorre
malespressamente conversiamo la nostra verità.
Come pedoni su una scacchiera
due case muoviamo alla prima mossa
poi di casa in casa è il passo
per l’inutile scacco alla regina nera.
L’inverno stampa sulla pelle il suo elzevìro.
Dalla memoria riemerge il primordiale abbraccio
– l’affanno della prima copula –
e a riscaldarci ci chiamiamo
con l’animale respiro.
Ecco come sboccia la primavera.
da: Il venditore di suoni tattili - 2007
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La ragazza di Brașov
I Il colore della primavera è indefinibile quello dell’anima tinto alla partenza è bianco come la pagina da scrivere. La Storia (così chiamano la vita che attraversa il tempo) ha chiuso la tua infanzia in un corpo acerbo di donna e vestita delle notti d’oriente t’ha condotto a questa riva distratta come certi pensieri. I tuoi vent’anni te li sei portati dietro tutti neanche uno a lasciarlo su quella costellazione d’insonnie. II Come una porta che si apre all’oscurità comparisti alla mia arroganza passando per l’autunno e con i tuoi suoni inesatti mi domandasti una mattina: – Poeta conosci tu Eminescu… Bacovia… Lucìan Blaga? Scuotendo il capo mi fu nemica la mia risposta. Così a narrare cominciasti a me di Luceafărul… Plumb… Meşterul Manole e via via di altri incantamenti che mi presero a volare sui tetti di Firenze sulle alture delle cantilene fino alle altissime vette del desiderio. III Nella gelida stanza del disinganno come la cenere per il fuoco veglio la mia memoria facendo l’appello degli affanni. Il mio silenzio urla inesaudito. All’intorno tutto tutto è quieto. Tu ancora poco e molto da sfogliare fischietti la vita. Mi sono accontentato di sentirti. da: Vocianti - 2010
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La volpe
Come se non fosse O secchezza di pozzo Vuoto Lettera morta Il sangue della volpe per inganno di tagliola. Con la ferita aperta e la zampa in congedo Dolorante s'affretta alla tana Nell'anfratto: Là Celato da una coltre di foglie Il pertugio scova E ratta s'ammusa in quella viscera E del fogliame appassito lo scricchìo Al sordo silenzio tutt'attorno. da: Formicaio barocco (2004)
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Dualismo
Lo segue fluttuare per strade di fortuna. Lo segue – il corpo – quell’Io padrone . Poiché carne – mortificato dalla polvere avvizzisce. Invecchia nell’ammasso. I muscoli s’accorciano sulle ossa e al trotto rompe il passo. Ma l’Io lo incalza. Lo sprona. Vuole – non capendo – restaurare la condizione che lo incarni come è – essendo. Vuole – l’Io di sé – eterna significazione. da: Il venditore di suoni tattili (2007)
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Ab initio
Qui comincio. Da questa radura bianca. Dal cominciamento che tutto battezza …e avvia. Confidando nell’istinto saprò orizzontarmi con il favore dei suoni tattili. Nell'imbarazzo del bivio ci disperderà il vento – hanno detto – via dall’incertezza. da: Il venditore di suoni tattili (2007)
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Il segreto rumore
a Miguel Hernàndez Di noi poeti di città accademici delle filosofie socratiche intellettuali da salotto che ci cingiamo dell’antico lauro la fronte asciutta. Di noi biografi dei sentimenti accorti delle gesta di natura seduti alle calde scrivanie di mogano con le dita picchiettando sulla tastiera del PC. Chi di noi conosce – poggiato l’orecchio – il rumore del latte che giunge alle mammelle delle capre dormienti? Quel segreto rumore che solo i poeti caprai nascondono al silenzio. Da: Il venditore di suoni tattili (2007)
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Di sera
Cuore mio! Naufrago Su quest’isola d’ossa Fatta e carne: sai tu Giudicar misure? Sai tu di questo scoglio I confini? Da: Formicaio barocco (2004)
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Sii terra
Catturami se non sai darmi ascolto se t’è estranea la vampa del desiderio.
Lègami come un animale sottratto al suo errare e recidimi la carne e il cuore strappalo nelle tue mani addormentalo come un bambino con il suo capriccio.
Distenditi dunque come una vigna su quello scasso formatosi in petto e offriti a me non più carnefice ma consolatrice.
Sii terra. Buona e feconda tu sia terra in ogni fremito del mio corpo io ne sarò semenza e nei tuoi solchi mi disperderò.
I veleni tutti li annoderemo delle vipere.
Da: Vocianti (2010)
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Ci voltiamo a una voce
Ci voltiamo a una voce o ad altro che le somigli come il sibilo del vento le note di un violino le grida di una gabbiana alla luce dell’alba.
Ci voltiamo a una voce per poterci fermare esaminare la posizione misurare la nostalgia di quell’ultima piana col metronomo del cuore.
Ci voltiamo a una voce per non sentirci soli incrociare lo sguardo distratto del passante convincendoci la mente che quella è la strada.
Ci voltiamo a una voce lo stesso senza udirla (o estraneo a noi quel timbro) quel gesto come di natura sperandoci alle spalle l’incitamento di Dio. Da: Vocianti (2010)
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Nel dormiveglia
Sentii bussare.
Aspettavo qualcuno o mi parve il campanello di udire? Era mio padre che veniva a trovarmi dalla sua remotissima isola? Un vecchio amico che ricordava di me dopo lungo tempo? O un amore dimenticato?
Forse erano i figli che non ho avuto che stavano cercandomi o il portalettere che mi recapitava un invito per la posterità.
Non seppi.
Rimasi in silenzio come chi non è in casa trattenendo il fiato lungamente. Non risposi con il fatidico: – Chi è?
Pensare che ci fosse qualcuno mi bastò – dietro quella porta chiusa – che aprirla
e... Da: Il venditore di suoni tattili (2007)
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Commensali
È avvolta nel silenzio la Risposta. A capotavola seduta col suo segreto claustrale. Se solo sapessimo (ad oggi non saputa) tra un boccone e l’altro la domanda formulare. Da: Vocianti (2010)
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Come
Io cercavo di riordinare il mio frasario rivalutare parole scandite a bassa voce o trattenute sulla porta del pensiero quando in una sillaba impronunciata inaspettatamente ti manifesti come il fuoco che testimonia la luce come la mano che versa da bere come il sentiero del ritorno quando si fa sera come il canto che mi accompagna quando si fa sera. Da: Vocianti (2010)
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Dalla finestra
È l’uomo con i suoi attrezzi che va imitando in questo tempo nostro le macchinazioni di Dio come un pappagallo dal piumaggio irriverente. Eppure c’insegnarono a predicare la semina a calcolare i solstizi a navigare fra i marosi. Doppiammo l'infinito coi centimetri del sogno e avemmo idee che ammaestravano statue
dall'immoto turbamento. Se solo ricordassimo le lapidi di quella terra vorace ricorderemmo ancora qualche volto Una voce. Un accento. Al di là dei vetri come a un corteo di spose guardo le nuvole passare. Da: Il venditore di suoni tattili (2007)
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In segreto
Signore – ho pena Dei miei fratelli umani. Ho pena dei loro acerbi convincimenti Del loro essere nani E vedere sé giganti. Ho pena della loro finitudine E del non crederci loro abbastanza. Ho pena di me Che troppo li somiglio. Da: Formicaio barocco (2004)
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In exitu
Quando le nostre agende sono fitte ormai d’un gran numero di indirizzi - soprascritti più volte come ladri profaniamo quelle stanze spogliandole del vissuto e delle ricordanze. Poi da un rigattiere portiamo la miserabile impresa e con poche monete di sputo alla vita saldiamo l'offesa. Da: Il venditore di suoni tattili (2007)
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Finis terrae
E' l’ultimo baluardo l’ultima lunghezza del destino. Più in là si oppone il non plus ultra degli dèi. E' un punto fermo in una distesa verde d’erba dinanzi a un mare che è specchio del firmamento e viene voglia di berlo tutto. …Adesso? Non resta che trascrivere il libro mastro: inchiostro blu per la colonna AVERE
inchiostro rosso per la colonna DARE
– come sempre. Abbiamo dati certi – ora. Non sono più ammesse le matite dei filosofi. (da Il venditore di suoni tattili – 2007)
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Il testamento di Icaro
Caelum ipsum petimus stultitia (Orazio – Odi 1, 3, 38) In ogni angolo cercasti o padre Un foro che ci aprisse alla libertà E quando la rinuncia ti fu accanto Alzasti il capo come a ragionare. Dal memoriale della natura Ti sovvenne allora una pagina E di piume e di cera facesti appendici Alle nostre scapole. Sospesi nel dominio degli uccelli Mi dicesti: – Al sole troppo non t’accostare! Le tue ali colerebbero come candele al buio. Non verrà altra vita ad assolverti. Inebriato da quella vigna di luce Scordai padre le tue consegne E degli abissi fui giovane arredo. Non venne altra vita ad assolvermi. (Da: Formicaio barocco - 2004)
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L’incontro
a C. Non c’incontrammo quel 16 aprile del mille e novecentonovanta. Proprio là – ricordi? – su quella panchina dove non sedemmo mai. Ci scambiammo una manciata di parole che le nostre labbra non seppero pronunciare. Fummo come fiori che aspettavano d’essere còlti. Due fiori nel deserto della folla. Mai ebbero i nostri nomi tanto profumo. (Da Vocianti – 2010)
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Il coreuta di Argo
La scena non è più la stessa. Un tempo fummo folla comunità cantori necessari di quella spaziosità concessa. E mai mancava la sottolineatura perché tutti capissero quel che la vicenda narrasse – fosse incesto tradimento o sepoltura. Vedili ora: un manipolo attrezzati d’improvvisati recitanti – fondali meccanizzati microfoni altoparlanti – sullo scenico palco smisuratamente persi nello spazio di quel perimetro. Li vedi come cercare nel vuoto le battute da bocca a bocca saltellando come rospi di vetro. Più non partecipiamo alla rappresentazione. Non più preghiera. Appartenenza. Non più il nostro intercalare s’ode costante quell’intermittenza nel dialogo rassicurante quell’intromissione… breve della coscienza. (Da Vocianti – 2010)
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Dies resurrectionis
Ogni casa o rifugio di viventi Ha già pronti tavoli e sedie innumerevoli E a turno si veglia l’ingresso: svelti Ad avvertire nelle cucine dell’arrivo: fame E stanche le ossa avranno.
E se accadesse domani? O domani l’altro? O mai? Oggi sarà! Perché dunque indugiano? Osserveranno da fermi il paesaggio: mancano Da lunghissimo tempo – molti. O la strada non ricordano e staranno orientandosi Riconoscendo una quercia o la gobba d’una collina.
E questa notte? Già il buio s’appresta. Sosteranno da qualche parte e domattina Riprenderanno il viaggio con la luce a guidarli. Imboccheranno la direzione giusta – vedrai –: quella Percorsa un tempo che partirono. Ma leggiamo ora. Siamo soltanto a metà della pagina E le pagine vanno lette fino al fondo Prima di richiudere il libro.
Un’altra notte! Le loro palpebre sapranno reggere la vista? Riposeranno in un luogo sicuro Come la notte precedente e saziati dal sonno Più celeri consumeranno lo spazio che ci divide. A voce bassa – ti prego – seguitiamo a leggere. A che punto siamo del capitolo?
È nuovamente notte! E fuori piove e gira il freddo. Ripareranno al tepore d’un falò. Qualche pastore avrà ricordato il bivacco delle notti Con il fuoco a tenergli compagnia. Ma prima che si riveli l’alba ripartiranno Che la strada ancora non s’è quietata. Tu non sai quanto è lungo un passo Per quelli che ci credono.
(Da Formicaio barocco –2004)
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Neanderthal
Il bussolotto di Kronos mi gettò in un groviglio di vegetazione e grida di bestie che rompevano il silenzio.
Come un demone deforme m’impaurì il fuoco malignamente scaturito dall'alto. Ebbi il coraggio di rubarne un poco: era caldo e luceva e lo custodii perpetuandone i tizzoni a futura memoria.
Di mezzo alla notte fui attratto dall’odore di femmina e mi congiunsi a lei e mi piacque quell’odore di fieno umido. Quel lamento di desideri ci piacque. Ci tenemmo compagnia fino alla sponda del mattino. Da quella promessa fummo uomo e donna.
Compresi la morte – sempre immaginata come un prolungatissimo nascondimento – e imparai a seppellire i corpi con fiori e cibo perché potessero profumarsi e cibarsi dove non v'è segno.
Una sera mi venne di levare lo sguardo in alto – silenziosamente. Sentii in me farsi tenera l’inquietudine.
Pazientemente graffiai sulla roccia le cose che mi furono belle e questo di me che avvenne prima delle vostre teologie.
(da: Il venditore di suoni tattili - 2007)
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Conversazione
Sta lasciandosi il giorno alla sera – disse il padre. Sento il profumo dei gelsi e c’è abbondanza qui e una quiete per il sonno domestica.
Non è notte – rispose il figlio – e il digiuno non fiacca le mie gambe. Dietro il colle stanno grappoli d’oro e un desiderio ci scoprirà indomito.
(da: Vocianti - 2010)
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Cartolina
Abbiamo indagato l’infinito Accorciato il tempo e lo spazio Nell’officina dell’inquietudine.
Fra i vortici dei pianeti si dilata Fin dentro i pori del cosmo La pupilla dell’io terrestre.
Avvolti da una sottile foschia Nell’allegoria dei passi Ancora portiamo i morti a spalla.
(da: Formicaio barocco - 2004)
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Non ho memoria del futuro
Non ho memoria del futuro. Mai ricordo le strade che percorrerò le promesse che farò o le porte che aprirò rincasando.
In questo presente senza patria mi piace a volte almanaccare con il passato. Presagire il mistero di quell’opaca lavagna (quanto gesso vi si è consumato?).
E come uno scolaro disattento inaspettatamente perdermi in un’algebrica immortalità.
(da: Il venditore di suoni tattili - 2007)
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