I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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Il gelsomino
Nel cortile lievita una parete verde di gelsomino. Piantata la primavera in cui di comune accordo decidemmo di sfidare la sorte. Ospitò in estate un nido di merli, incauti. I gatti di casa non gli lasciarono scampo. Nella serena inquietudine propria sconfina, d'estate, oltre il muro di cinta per contrabbandare la gloria immodesta dei suoi bianchissimi fiori. La bellezza richiede la cura, i rami vanno sfrondati, addomesticati, che non soffochino la parabola del televisore, non provochino le lamentele, legittime, dei vicini per l’incruenta invasione dei loro balconi. A volte penso dovrei lasciare fare. Vederla conquistare la via ricoprire le auto in sosta, i cancelli chiusi, sradicare i pali confitti nel cemento, Vederla creare precari alloggi per nuovi nidi di paglia, dichiarare a squarciagola la rinascita di un'antica sterminata nazione.
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L’estate perenne
Tutte le parole dette e ascoltate scivolano nella discesa quieta che conduce al mare, alla spiaggia dove passeggiare come di sera fanno i turisti al lungomare illuminato, dove sopra un telo giallo riposa il bambino delle estati passate. Con lui condivido le memorie del presente, un orizzonte identico, immutato. Lui non chiede quanti giorni manchino al termine delle vacanze, a differenza nostra che li contiamo a ritroso, sorso a sorso fino al fondo del bicchiere, alzando il braccio in segno di saluto all’indirizzo dell’unica nuvola bianca presente.
La risacca ci bagna i piedi, la sfuggiamo ridendo lui e io. Condividiamo il medesimo nome, la stessa avversione per i fuochi di Ferragosto. A pelo d'acqua galleggia un uomo con le braccia incrociate sul petto storniamo entrambi lo sguardo verso la collina in controluce, verso un’illusione di durata, di presenza immutata. Fin quando nulla avremo più alle spalle. Non rimane che definire che nome dare a questa incolpevole nostalgia del presente.
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Precauzioni ed avvertenze
Per evitare equivoci ulteriori mi specializzerò in stringate premesse che approccino i discorsi alla lontana, parole di circostanza che chiudano il periodo dentro il recinto del proprio punto e a capo senza avanzare altre pretese ne alimentare congetture. Parole galleggianti in superficie, che si torcano la schiena in un inchino, che non perdano di vista il proposito finale. Persuaso che omettere e tacere siano lo stesso accidente o destino visto venire di fronte o allontanarsi di spalle.
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L’estate del mondo
In debito con Gabriele Tutte le parole dette e ascoltate scivolano nella quieta discesa che porta al mare, alla spiaggia dove passeggiare leggeri come fanno di sera i turisti sul lungomare, dove sopra un telo giallo riposa il bambino delle estati passate. Con lui condivido le memorie del presente, l’orizzonte identico, immutato. Lui non chiede quanti giorni manchino al termine delle vacanze, a differenza nostra che li contiamo a ritroso, sorso a sorso fino al fondo del bicchiere, alzando il braccio in segno di saluto all’indirizzo dell’unica nuvola bianca presente. La risacca ci bagna i piedi, la sfuggiamo ridendo lui e io. Condividiamo il medesimo nome, la stessa avversione per i fuochi di Ferragosto. A pelo d'acqua galleggia un uomo con le braccia incrociate sul petto storniamo entrambi lo sguardo verso la collina in controluce, verso un’illusione di durata, di presenza immutata. Fin quando nulla avremo più alle spalle. Non resta che definire che nome dare a questa nostalgia del presente.
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Frammenti del poema del cammino
4. Ora che tutto mi appare più chiaro, il velo della foschia si è sollevato, dissolta è la miopia che mi induce a provare vergogna nel chiedere se quelle intuite all’orizzonte siano nuvole basse o profili consumati di montagne, quale sia la consistenza vera sospesa tra l’immanenza dei monti e l’evanescenza delle nubi. 5. Dicono che la natura dell’uomo segua le regole dei fiumi, persi in percorsi tre volte superiori al necessario. Presa la distanza tra la fonte e la foce moltiplicata per pi greco, il risultato è un dipanarsi di anse, deviazioni ansie, timori di essersi perduto matematicamente corrispondenti alla strada esatta da percorrere in questo sbandare di fiumi indecisi verso il destino, il mare che attende, preciso alla virgola come un teorema. 6. Ogni accadimento di questa mattina sarà quindi un imprevisto calcolato, compreso nel tragitto programmato, una sbavatura del tratto sulla mappa che distrae il percorso ma non l’inganna, il pi greco scientifico da moltiplicare per la distanza minima tra la sorgente e la foce, l’esperienza che fa divagare il fiume lo gonfia prima di giungere al mare
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Giorno di mercato
Nella luce distesa del mattino resta qualcosa impigliato alle fronde dei platani protesi a proteggere i banchi disarmati del mercato. Resta qualcosa impigliato ai tendoni ai vulnerabili carciofi esposti, già sbucciati, all'arcobaleno stinto delle magliette appese alle grucce, all'afrore di pesce fritto, a quello dei cani trattenuti al guinzaglio che si fiutano l'un l'altro il sedere, ai sorrisi azzannati, condivisi da questa umanità animale aggrappata feroce alla vita, alla fatica della presa. Resta qualcosa impigliato a qualcosa che rinasce, per cui vale la pena esserci e confondersi e innamorarsi ancora come i vecchi che ancora non si fidano di lasciare a casa il cappello, che si tengono per mano trascinando il carrello con le verdure che spuntano più colorate di un fiore, più saporite delle rose.
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Per scrivere poesie
I Per scrivere poesie sincere è necessario essere innocenti e spietati come bestie senza morale, essere il morso che strappa la carne dall'osso, il cane bastardo che non molla la presa, che scava nel fango della terra smossa, che porta alla luce la preda occultata. Per scrivere poesie vere non si potrà più mentire, ci toccherà colpire, svelare il sudario, lacerare la benda a mostrare la ferita viva. Per scrivere poesie sincere non ci cureremo di farci del male, di strapparci lacrime dagli occhi, di cavare denti ai sorrisi. Per scrivere poesie vere è necessario condannarsi alla solitudine e al disprezzo, lavarsi le mani nelle lacrime del fratello inconsapevole, inchiodarvi a martellate nella testa la bellezza del mondo che non volete vedere, inchiodarvi a martellate nella testa il dolore del mondo chiuso fuori dalla soglia di casa, l'urlo che non volete ascoltare. II Se scrivessi davvero poesie sincere sarei condannato alla solitudine, bandito, messo all'indice, scacciato oltre le mura della città, nei boschi profondi dai quali non sarei più in grado di tornare.
Ma io non scrivo poesie vere, mi accontento di versi che non mi condannino alla solitudine e al vostro disprezzo, versi che non siano chiodi, che non siano lame, che non siano raggi di sole. Io mi limito a impostare la voce per darmi fiato da vecchio trombone, per spettinarvi i capelli che riaccomoderete a pagina chiusa, per adescare applausi che non vi costano nulla.
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La foglia verde
Qui dove tutto ci dimostra che è solamente febbraio (quale altra definizione potremmo azzardare?) sediamo, dando le spalle al senso di marcia, sedotti dall'illusione che tutto sia un gioco che potremo interrompere al richiamo per la cena, una specie di autoconsolazione, un lieto fine scontato in dissolvenza. Ci arrendiamo al sollievo della rassegnazione della sera, mettendo a tacere l'impressione sgradita di non aver compreso appieno i segni che avrebbero potuto rivelarci i motivi. Il traffico è un alone trascurabile sulla condensa umida dei vetri, le donne che attraversano la strada sono donne bellissime nei loro cappotti di luce, nei loro volti di erba nuova, nelle promesse dei loro silenzi. Persino il conducente del tram, a quest'ora di sera, nel tepore che stordisce accarezza i propri desideri muti nel silenzio di uno sguardo dritto sulla strada e abbozza un sorriso di foglia verde malgrado il buio di questo febbraio.
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