chiudi | stampa

Raccolta di poesie di Giuseppina Iannello
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Addio Mortelle

introduzione

Addio Mortelle,
spiaggia, sole e fate,
per il mio pianto,
io ritornerò

ma porta il mio bacio
a Messina,
città dalle mille landò;
la Bianca Madonna ci
guidi, nell'ora che volge al desir.

Sulla riva dei verd'anni,
volli ancora rimaner,
la valigia è quasi pronta...
ma rimango insieme a te.

Addio Mortelle,
rive amene di poesia.
per il mio mare,
io ritornerò.

C'eran cupidi
sulle spiagge soleggiate,
case, rondini, bambini
e le vele innanzi a te.

Cielo d'aprile,
accompagna i miei pensieri
meglio vivere dell'ieri,
e sapermi sul suo cuor.

Addio Mortelle,
spiaggia, mare e fate...
Per la mia attesa,
un fior ancor...

*

La filastrocca di Valentino

Valentino, Valentino,
stai sul palmo della mano....
E un passato assai lontano
mi riporta al focolar.

C'era... c'era... una micina
che ti offriva il latte e il
miele, ma voleva,
nel cortile,
un bacetto, un bacio ancor.

C'era ancora un orsacchiotto,
che appetiva il riso e il pane,
ma mi disse: “Son le otto
ci vedremo il lunedì.”

E c'era, infine, Meghi,
la bianca pecorella
che disse son più bella
se leggerai con me.

C'era... C'era il mare mosso...
un garzone, una fornaia...
Per riempire tutta l'aia,
quattro papere comprò.

Or ci son tre caravelle...
Le comprai per tuo amor;
scegli solo la più bella.
Ma il timone lascia a me.
Be... bee be.

*

Uno specchio sprovveduto

Uno specchio sprovveduto

non voleva dirmi che

m'ebbe visto e vergognoso,

sempre intento a quel bicchier.

Va', ritorna ai tuoi silenzi;

vissi sempre accanto a te.

 

Ebbi il cuore di un fanciullo,

ma l'impronta fu del re.

Se ti dico queste cose,

è per dirti dei mie amor...

Sempre libero e confuso,

amai solo il mio destrier.

 

Tu che ami l'“avventura”,

siedi adesso accanto a me;

voglio dirti una sol cosa:

pensa sempre alla tua

Anneth.

 

Anneth...”

 

Anneth, dolce Anneth,

nel ricordo felice di te,

saprai, che il mio cuor

appartenne soltanto ai tuoi dì

per me

e sappi, però,

che rimane il mio sogno

con te.

 

Anneth,

dolce ben,

non accadrà mai più

ch'io apra

quella porta

senza incontrati, amor.

 

Libera interpretazione dell’opera: “Lo specchio”, di Goethe.

Il Poeta non riesce a darsi pace per la morte di Anneth, uccisa da losche persone, gelose dell'amore corrisposto, di un anziano verso una bella e giovane ragazza. A cercare di consolarlo è lo specchio che, attraverso i riflessi di luce, manda a Goethe segnali di fede nella sopravivenza: quello tra Anneth e Wolfgang srà presto un sogno realizzabile.

*

A Narcel

Io ch'ero in mezzo ai nembi,

ti vidi accanto a me.

Eri un fanciullo pallido

e dolce come il miel.

 

Ritornello

O Winkelmann,1

vieni con me...

Ti do la stella bianca.2

 

E se la giovinezza,

non ti consolerà,

rimanga ogni carezza,

da consolarti, amor.

Vieni dipingi l'arca,

lascia quel grattaciel

e non aver paura

dei lupi intorno a te.

Io che non ebbi un dono

da regalarti amor, vieni ti

porto a casa,

sarà felice Annethe.

Siam giunti...

Ora ci siamo

affetteremo il pane...

Indosserai il costume

della giocondità.

Senti la neve fiocca...

Fiocca di bello...

Quelle heure est-il...

Se furono le dieci

ritorni il canto antico.

Se furono le nove

non dire la verità

che ti strappai alla strada

pallido come un fiore.

 

 

Johann Wolfgang Goethe, originario della Baviera, fu perseguitato dal regime Prussiano perché ligio alle idee di libertà. Costretto ad una forzata esistenza nelle vicinanze di Francoforte, gli era precluso dal governo qualsiasi approccio con il mondo circostante. Nonostante tutto, il Poeta ama, riamato Annethe, Wolfgang non ha il tempo di dichiararsi alla fanciulla... Questa gli viene strappata da abominevoli loschi individui. Il Poeta soffre immensamente, fino al pensiero di togliersi la vita, ma è proprio Annethe, con le sue luci, a sollevarlo, promettendogli che sarà la sua sposa.

Narcel è il secondo affetto in quella terra di “ghiaccio”. Si tratta di un fanciullino, che il Poeta vedeva sempre con il nonno, morto il nonno il bimbo, già orfano, si trova in una situazione di panico. Il Poeta gli va incontro; lo accarezza, lo coccola... Lo porta nella propria abitazione. Vorrebbe tenerlo per sempre, ma sa di essere perseguitato. “Non dire a nessuno come sei giunto a me...” Il bimbo è riconoscente al Poeta; lo chiama papà Ghoté e con il suo sguardo amorevole, gli assicura eterna gratitudine.

Il sogno di tenere Narcel, non si realizza, per le solite spie...

1Winkelmann, forse il cognome di Narcel.

2Si tratta di una girandola, realizzata dal Poeta manualmente. La girandola fu molto cara ad Annethe.

*

Dedicata al mio sposo

Tu,
affinché non tradissi
le emozioni,
sembravi, a volte, perso...
Distaccato...
Ma rispondevi a
un cenno del mio cuore
e sorridevi,
mi chiamavi: “Amore...”

Tu sorridevi,
sia ci fosse il sole,
sia col pallido cielo.

O, il nostro cielo...
come fu diverso!
Ritornano
le ambrate passeggiate
al sol d'autunno,
al pie' del nostro colle,
quando, nel silenzio,
mi prendevi per mano
e mi dicevi:
“Ascolta...”

Ritorna come prima,
perché, ci amiamo tanto;
lo sento dal tuo cuore,
sempre vicino al mio:
se non ci sono figli
e, nemmeno, nipoti,
c'è sempre un gatto perso
che chiede solo
amore.

Quanti momenti belli,
quanti momenti amari...
Soviemni un triste giorno:
io stavo male:
sentivo una radice
staccarsi dal mio cuore;
volevi confortarmi,
volevi darmi amore...

Schiudevi il balconcino,
siccome, sempre fai:

s'offriva alla tua vista,
un fiore delicato,
una pallida rosa,
tremula...
Eppur, fiorita.

Allora...
mi hai chiamata;
risposi:
“Vuoi dirmi qualche cosa?”

Muovendo le tua mano,
mi hai detto:
“C'è una rosa...

È pallida,
tremante,
ma è pur là: fiorita.

Il suo respiro lieve,
è un ritorno alla vita...

È tua madre:
la vedi?”

*

Dei sogni infranti

Dai sogni infranti
senza una ragione,
rifulse il pianto
di un dolore antico.

Da quell'ultima estate
che ci vide
volte al tramonto,
sulla riva amena,

un pensiero riporta
alle ferite
che tu celasti a me,
lungo il cammino.

Madre,
là, sulla costa, noi
restando sole,
il dì scrutammo,
mano, nella mano
e auscultammo il silenzio:
vermiglie luci,
mistica poesia,
mare...
Ricordi...
La malinconia...

Udivo nella voce
tristi, vibranti note
e poi, un singulto greve
che giunse
fino al cielo.

S'apprestava la sera
ed al mio cuore,
così parlasti,
madre:

“Figlia, dai tuoi vent'anni, non colsi
mai la gioia;

tralascia i sogni infranti;
c'è una ragione in più.”

Discese nel mio cuore
un tremito infinito:
“Mamma, se voi piangete,
vivere, non potrò.”

*

Il ricordo di nonna Giuseppina

Io ti rivedo, nonna

nel pallido sembiante,

non ho ricordi, ma

la lunga treccia, delinea

i tratti delicati.

Non ho ricordi e sempre,

i tuoi capelli denotan gli occhi

belli,

i gesti, gli atti.

 

Io ti ricordo nonna,

perché mi dice il nonno:

socchiudi appena gli occhi

e ancor la rivedrai.

 

Come sei bella nonna,

nell’abito nuziale,

le lacrime del sole

irrorano il tuo volto.

 

Figliola, mi ammalai,

ma non volevo dire

al nonno,

ai miei germogli che stavo...

per morire.

 

Come sei bella nonna,

mi appari come in sogno,

qual rosa tra le spose

dal delicato stelo.

 

Pinuccia, io non sapevo...

Un giorno ebbi paura;

io non avevo voglia di avere

il mio ritratto.

Ed era troppo tardi,

quando ne chiesi uno.

Nipote, io non volevo

che un labile abbandono

tradisse i sogni infranti,

svelando le mie pene.

 

Pinuccia, ti vedevo

insieme al papà tuo

guardare fra le ciglia,

la lacrima sospesa

è per la nonna, vero?”

 

Ritorno al mio mistero

per dirti alcune cose:

le foto che non vedi,

risplendono

nel cielo.

 

Quell’unica che volli,

che quasi reclamavo,

fu solo un espediente

perché non stessi male.

Non fu scattata.

 

Pinuccia, ti vedevo

di già nel preesistente

con i tuoi capelli sciolti

e l’abito da sogno.

Mi hai chiesto: ti somiglio?

 

Ti rispondevo: molto.

Ascolta:

apri il mio scrigno;

ti ho lasciato

un ricordo1.

1La Nonna mi lasciava, in ricordo, la sua treccia.

 

** Parlo della nonna Paterna, perché la Materna ha il medesimo nome. **

 

*

Padre

Nella ricorrenza della scomparsa del mio papà.

Padre,
finché hai potuto
tu mi hai accompagnato
per i sentieri impervi della vita,
per le strade del mondo,
Tu, che in giovinezza,
non eri andato oltre Roma.
Io ero sempre per Te la tua bambina.
Nei momenti cruciali, la tua mano
sempre ho sentito
stringere la mia; Tu la stringevi
per darmi vigore, affinché
non avessi più paura...
O papà caro,
quante delusioni
la tua fragile vita ha annoverato!
Oggi, Tu sei malato;
i tuoi occhi stanchi
si interrogano su molte cose.
Papà, ti chiedo perdono
per i momenti in cui non ti ho capito,
per quelle gioie che avrei tanto voluto...
Non dimenticherò mai,
gli immensi sacrifici, sostenuti
per noi.

*

Addio, scuola di riviera

Ti ho veduta uscire
dalla scuola,
dare un bacio al mesto
genitor.

“Papà, sei triste?”
“Ho avuto un crampo al piede;
no, non temere...
Domani, ci sarò.
Ma... Se non posso,
ti affido al professore.(1)

Sii lieta, amore...
Non soffrire più.”

“Addio, scuola,
che forse mi hai veduta...
Se mai ritorno, ti dirò
di me.”

E, ti rividi, socchiudere
il cancello,
solinga, afflitta,
immersa nei pensier.

“Se mai ritorno,
ti dirò il mio sogno,
scuola lontana,
di codesta età;
ma se non posso...
Sfogherò il mio pianto.
Addio, per sempre
balda gioventù.”

La strada corse
per la via fanciulla...
Il tuo singulto,
lo rapiva il mar.

Ero presente...
Non sapevi nulla,
piccola Giugi,
non sapevi, tu.

(1) Professore G.Pascoli.

** L'Autrice immagina che a parlare sia Giovanni Pascoli. **

*

Sodalizio d’inverno

Era febbraio,
al cadenzare lieve,
veniva avanti, un po’
canterellando…

Veniva avanti con l'ombrello
bianco,
mi disse: “Perché piangi,
o mia sorella?”

Risposi: “Vedi… sono tanto
stanca. Attendo la corriera
delle 20:00.

Non comprendo la neve:
è molto bella, ma
acuisce il tormento
e sto pensando...
C’era la neve
e la mia dolce mamma,
ad ogni costo, volle
accompagnarmi.”

Ci scambiammo un abbraccio.
Mi disse: “Ti comprendo;
ti capisco.
Ma, in antitesi a te,
godo il momento,
di sentirla, impalpabile
e pur vera,
sul mio nudo percorso.
Mi ricordo la mamma
e tutti insieme,
a goder dell’incanto.

La corriera non venne
e ci svelammo alcune
confidenze:

“Se mai dovessi…
Se mai dovessi un giorno
far ritorno,
non chiederei mai più,
d’essere donna,
vorrei essere un fiocco.”

Le rispondevo,
quasi di rimando,
“Io, no.
Io non vorrei mai più,
dolce sorella,
rinunciare alla gloria
che ci spetta.

E ritornassi, ancor,
milanta volte,
tutte le volte,
vorrei essere donna
e riabbracciare ancor
la stessa mamma.

La corriera veniva:
era già notte;
un fil di pianto,
ci rigò le guance;
poi… prorompemmo
senza più ritegno.

C’era la neve;
c’era un vel di stelle.
Noi lo sentimmo,
quale un lieve canto,
qual fil di gemme,
tra azzurrate piante,
sodalizio d’inverno.


** - La poesia parla di un feeling emozionale tra due docenti con un’amara esperienza in seno all’ambiente scolastico. - **

*

Si perse il tempo

Sul filo dei ricordi
vi ho cercato,
melanconie di un cielo
inenarrato…
Chi siamo noi che ci
parliamo poco?
Senza toccarci,
ne vederci mai?

Si perse il tempo…

Si perse il tempo
in cui un riflesso d’oro
splendeva sul fermaglio
dei capelli

eravam principesse
di castelli,
eravamo fanciulle
innamorate.

Principesse eravamo
ovunque il sole,
al sogno desse
sprono e all’avvenire.

Si perse il tempo…
Dove andiamo noi,
che pur volendo,
non ci raggiungiamo?

Si perse il tempo...
E fummo noi
bambine,
prigioniere di un mondo
inadeguato.

Vivo il mio tempo:
e ancora vi ho cercato,
per dirvi solo
due parole antiche:
ci rivediamo?

- Dedicata alle mie Cugine. -

*

Operazioni di riporto

Pinuccina,
nella scola
mesce i ceci
alla fagiola...

Gli uni biondi,
l'altra bianca,
ma qualcosa
c'è che manca...

La lenticchia è
picciridda,
ma, chi ha fame,
se la pigghia...

Gli uni e gli altri
insieme pone
ed è pronto
il minestrone.

Or la chiama
la maestra:
vuol sapere
la lezione:

“Quanto fa dieci più nove?”
“Dieci e nove
fan ventuno.”
“Quanto fanno nove e dieci?”

“Dieci e nove...
Fan trentuno.”
“Quanto fa,
nove per nove?”

Pinuccina,
non risponde:
la maestra
la soccorre

e le dice:
“Fa ottantuno;
or, dividilo
per due:

quanto viene
nel riporto?”
Pinuccina,
si confonde

cerca, invano,
un numerino
che le dia
qualche conforto

cerca, invano,
un numerino
tra le cifre,
che, mancanti,
stan giocando
a nascondino.

Traduzione del sentimento popolare siciliano:
Nuccia, Nuccia,
va a la scola:
mesce ceci
alla fagiola:
la fagiola
è minutidda:
chi ave fame
se la pigghia.

*

L’ultimo schiaffo

Ti interpellai nel nome di un ricordo
e di una data, non ricordo quando...
Mi rividi, tra i banchi, ali di corvo,
travolti dalla stessa gioventù


La scuola era finita....
Nel giorno del congedo, quell'aria
effervescente, mi spauriva.

Ma i professori, erano felici.....
fidenti nell'auspicio di
rincontrarci.

Mi avvicinai a quell'ultimo,
cui tremava la mano....
Egli mi scorse subito;
mi chiese: “Dove andrai?...”

E gli tremò una lacrima

Di tempo ne è trascorso.....
la vita ci travolge,
ma il cuore non si arrende
e Ti ho rivisto:
Ci siam venuti incontro,
e, stretti in un abbraccio,
mi hai detto: “picciridda....”
Come sono felice …...

E di', pure a quell'altra
che sapeva capire....
che il Professore vuole...

La voce si perdeva.....
rivolta pure ad altri.....
“Facciamoli incontrare
i miei ragazzi.”

Dice un proverbio: “Solo chi si arrende,
non è capace di nutrir gli affetti...”

Compagna d'altri tempi, ti cercai.

La tua risposta
La tua risposta fu come quel fuoco
che ottenebra la mente:
“Se dal cielo mi cerca un Professore,
sono una Santa.


Ci salutammo in un arrivederci....
implicito il sentirci

Piombò il silenzio.

Finché, ancora io,
mi risolvevo a contattarla,
conscia dello schiaffo; ( ne avevo avuti altri
e glielo dissi).

Mi rispondeva:
“Ci sentiremo......
Quanto a risentirci.....

Non sei una Santa, per
parlar coi morti....

Porgevo l'altra guancia
e Ti dicevo:
“Domando scusa.”

*

Addio allo Ionio

Ma prima di partire
la bambina,
riprese il ventaglino
fronde e fiori:

“Mare, ti prego…
Non me ne volere
per quella volta…

Ero in ginocchio,
stanca di aspettare
la lunga attesa
del mio genitore:
era l’ultima pesca.

Ma porterò nel cuore
e tra le pieghe
il tuo colore,
la fragranza antica
e il tuo respiro
più di ogni altra cosa

ovunque andrò,

nelle foreste d’oro,
sarà l’essenza
d’ogni mia giornata.

Domani partirò;
non mi lasciare.”

E palpitando
le rispose il mare:
confida in me.
Accolgo le tue scuse.
Vi lascio la mia pace.
Iddio vi benedica.
Lasciami ancora
un sogno e un ramo azzurro.

Ritornerai?
“Ritornerò,
lo giuro.”

E nel dire così, quella bambina,
irruppe in pianto
nell'incanto d’oro.

*

La quinta stellina

dedicata alla mamma

Mamma, ricordi ancora,
la poesia?
Eri un piccolo fiore
di collina
e non volevi dirci
di star male.
Io ti vedevo pallida, sfinita…
Come una quercia,
conscia del dolore (1).

Mamma, cuore bambino…

Io ti sentivo fulgida,
posata sul mio cuore,
come una stella piccola
che trema.

“Mamma, dico di lena…
Te la ricordi ancora
la poesia?”

E tu annuisti;
“La dicevo a scuola,
quando ero bambina.”

Me la puoi recitare?

“Quattro stelline,
ho visto passare…
Quattro stelline
sull’orlo del mare…”

Poi
ti fermavi.

Mamma, ora so:
ti vedo alla marina,
mentre sorridi,
mentre canti ancora…
Ma…

Inesorabilmente,
ti eclissavi
per non vederci sempre
litigare.

(1) Riferito a dissapori tra fratelli.

*

Quelle heure est il?

Un pendolo scandì la nostra estate,
dal soggiorno in cucina, in sintonia
al verso spensierato del cucù.
Papà leggeva sulla verandina,
perso in un sogno...
Erano giorni pieni, effervescenti...
E Tu, mamma, cantavi
Il canto s'effondeva...
andava al cielo...
Si posò lento sulle settembrine.
Il canto di mia Madre era l'Italia
Quelle heure est il?

E Tu, Padre, l'udisti.
Umidi gli occhi,
all'eco di una musica d'altare,
le andavi incontro:
“Me la puoi cantare, per Noi
l'Avemaria?”

Papà, ricordi...
Mi sembra di sentirti, mentre dici:
“C'è qualcosa di nuovo, oggi nel sole...”
Sì, mi hai capita... Penso al professore
che rivedemmo insieme una mattina...

Mentre ti penso....
nella stanza attigua, rivedo il vecchio
libro di Francese
Ci stringevi al Tuo cuore, c'impartivi
le prime nozioncine...
Ma tu, non parli...
Cosa mi vuoi dire?

Pinuccia, ascolta...
Nella mia breve vita, così lunga,
fu quella lingua il solo mio diletto,
un fievole respiro dopo il pianto...

Pinuccia, ascolta...
C'è ancora nella casa,
il libro antico:
fai il segno della Croce;
leggilo sempre; non lasciarlo mai.

Papà, gli dico: “Ti ricordi quando...”
Risponde trasognato:
“Quelle heure est il?”

*

Arrivederci, Mortelle (1)

Camminavo silenziosa,
mi fermai dinnanzi a Te
Ero l'esule, l'esclusa
che ritorna per amor.

Come pioggia, va il
pianto... Io ti devo lasciar...
Non c'è un'orma e un
incanto... mi preclude
il cammin.

Le scarpine erano strette,
per raggiungere il Tuo Cuor...
Camminavo a passi stenti
per poterti riabbracciar.

Ma Tu, dormivi, Mortelle,
come una stella del Mar.

Volsi uno sguardo al mio tempo
lontan,
per darti un bacio e ancora un
fior.

Ma Tu, dormivi, Mortelle...
come una stella del pra'.

Volsi il mio pianto al cancello
che, non volendo, ti legò.

Addio, Mortelle,
ritornerò.

(1) Mortelle: frazione di Messina.

*

L’addio di Jou Jou ai due mari

“Non tremare così”
disse il Tirreno
nel rivederla pallida
e pensosa.
“Sarà bello ove andrai;
con me convieni.
Ci son
fiori silvestri
e rii canori,
le foreste dilette
delle fate.
Non piangere, perché
mi rivedrai.”

“Sappi… Ben dici,
mio diletto mare,
ma già mi manchi.
Ritornerò.
Ritornerò, se vuoi,
quando rinascerà l’alba
sul mare,
in quell’ultimo dì.”

Così parlò la rondine sparviera,
mentre il suo canto
le strappava il cuore.
Muto salì, fin verso la collina…
S’empì di luce nell’immensità.
Trasecolò, fra quelle ciminiere,
toccò ogni croce.
Si adagiò sul mare.

* * *
“Addio, mar Ionio,
mi sei tanto caro
non ti scordar di me.
Se poi, sul molo,
incontrerai il Poeta,
donagli ancora
un ramoscello azzurro.”
“O tu che parti,
rondine straniera,
non ti stupire…
Piangerò con te.
Sono lo Ionio,
unito all’altro mare;
sarem per sempre,
l’unica vision.
Ti benedico; porta il mio pensiero,
il mio respiro, la mia libertà.”



Nota esplicativa:

Jou Jou è una bambina di 9 anni, nella quale si identifica l’Autrice. A Jou Jou, circostanze familiari, il trasferimento del papà, precludono di affacciarsi all’adolescenza nel proprio luogo di origine, Messina. Con accorata sensibilità, la bambina dà un saluto ai due mari presso le cui sponde, si recava sovente, insieme al genitore, che amava tanto il mare ed aveva l’hobby della pesca.

*

L’addio di Jou Jou

Pianse
Jou Jou,
l’ultima volta al sole
e pettinò
sentendosi più sola
i bei capelli d’oro.

Come la sirenetta
in su lo scoglio,
considerando
l’imminente volo,
si chiese:
“Sarà lungo il mio soggiorno?
Se ne uscissi sconvolta?”

Pianse…
poi, fece il giro delle stanze;
giungeva nel giardino
tra rose e fronde;
c’erano tanti,
molti fiori bianchi, bianchi ed azzurri,
come trasparenti.
Ma, pallido il visino delle fate,
rivelava un disagio.
Ed Esperia regina,
gemeva in un cantuccio.
La bimba se ne avvide…
solerte accorse:
“Te, veggo scolorire, dolce fata
che rendevi felice ogni mio giorno…
dovrò, dunque, partire?”

E la fata annuì:
“Ma non temere,
non pensarmi perduta.”


Muta raggiunse il mare
la reginetta
e, inginocchiata
sulla sabbia fine:
“Mare,” gli disse,
“la mia malinconia, non ha confini
che ne sarà di me.
Che ne sarà di me,
della tua brezza,
d’ogni ramo gentil
sulla riviera
senza un pensiero,
alla mia primavera
recondita e felice?

Ma porterò nel cuor
le tue fragranze,
le brezze, già racchiuse
nel libro di poesie,
le dolci essenze,
la malinconia,
di non saperti lungi
dal mio sito. Mare, perdono.”
E, dicendo così, cadde la mano,
inerte e bianca
su frammenti d’oro.

*

Visione 2

Eran belli i tuoi capelli
che tremavano nel sole,
che fuggivano gli errori,
sempre intenti al professore.

Un cancello tra le rose
si schiudeva innanzi a noi;
tra il respiro di ogni cosa,
ti baciai senza parole.

D’improvviso apparve
un ponte;
sormontava quel quadretto
e la vidi, la casetta
tra gli ulivi e il bergamotto.

“Professore,
ho perso il tempo…
io non so cosa mi accada;
ti ho pensato in riva al mare
e ti penso ovunque vada.
Ho tradotto le frasette:
sono belle ed eloquenti,
ma mi lascia un po’ perplessa
il latino ingarbugliato.

Professore,
io Vi amo.
Ho sbagliato
ciò che ho detto...
Puoi correggermi,
se vuoi.”









Nota esplicativa:
In questo brano come in molti altri, mi immedesimo nel ruolo del poeta G.Pascoli, professore di Lettere Latine. Si parla di un amore tra il docente e la sua studentessa.
La studentessa nell’esprimere il proprio parere, sui nostri progenitori, gli antichi Romani, si era un po’ confusa… e candidamente aveva criticato il Latino, ritenendolo difficile da tradurre per la lunghezza “estenuante” dei periodi. Il Professore, rimprovera la fanciulla, con aria severa e le fa capire che la lingua Latina è semplicemente armonia delle parole e, quindi, musica. Questa poesia è un idillio, una storia d’amore tra il professore e l’allieva.

*

Visione

Eran belli i tuoi capelli
che tremavano nel sole,
che fuggivano gli errori,
sempre intenti al professore.

Un cancello tra le rose
si schiudeva innanzi a noi;
tra il respiro di ogni cosa,
ti baciai senza parole.

D’improvviso apparve
un ponte;
sormontava quel quadretto
e la vidi, la casetta
tra gli ulivi e il bergamotto.

“Professore,
ho perso il tempo…
io non so cosa mi accada;
ti ho pensato in riva al mare
e ti penso ovunque vada.
Ho tradotto le frasette,
ma non oso
andar lontano…

Se ho sbagliato,
ciò che ho detto,
puoi correggermi, se vuoi.”

---

Nota esplicativa:
In questo brano come in molti altri, mi immedesimo nel ruolo del poeta G.Pascoli, professore di Lettere Latine. Si parla di un amore tra il docente e la sua studentessa.
La studentessa nell’esprimere il proprio parere, sui nostri progenitori, gli antichi Romani, si era un po’ confusa… e candidamente aveva criticato il Latino, ritenendolo difficile da tradurre per la lunghezza “estenuante” dei periodi. Il Professore, rimprovera la fanciulla, con aria severa e le fa capire che la lingua Latina è semplicemente armonia delle parole e, quindi, musica. Questa poesia è un idillio, una storia d’amore tra il professore e l’allieva.

*

L’invito

Potervi riabbracciare…
Ma senza vanagloria,
gente di allora,
amiche…
Compagne della scuola.
Sul muricciolo
si parlava un po’;
ben mi ricordo
rimaneva sola.

Ma se mi parto,
dove mi conduci
candida nave che
mi leggi in cuore?

Ecco il tramonto:
cede l’inferriata
alla sferzata del purpureo
duol.

Scorgo la casa…
Schiudo il soggiornino,
scrivo un invito;
medito quel dì.


Cinque stoviglie
e un libro di latino…
Venite, adùnque…
vi dirò di me:

non ci fu il tempo
per potervi dire
che avrei voluto
frequentarvi un po’.

Cinque stoviglie
e una tovaglia a fiori;
nella vetrina, ninnoli e
bijoux.
Non ci fu il tempo
per poter spiegare
che attesi invano:
non ho più bicchier.

Per potervi vedere domani
care amiche di cento anni fa
ho già comprato una torta al limone
con le cialde e un bicchiere di gin...

E mi son detta…
Mi sono detta: domani è l’aprile;
voglio dare una festa
sul mar.

Primavera non è
tra le rose mai più…
ma un pensiero d’amore,
è la sola ragion.

*

Pensieri d’amore

Era un dì che svanendo,
traspare
con le meste canzoni d’amore…
Io ti vidi più bianca che mai,
in silenzio, parlarmi così:
“Da domani, nessun luogo
saprà mai dove son io;
puoi mandarmi un bigliettino?
Lo terrò stretto al mio cuor.

Vorrei darti un pensierino:
quella rosa e un fil di
stelle;
ma il giardino, rami e pelle,
cerca ancora
la sua pace.

Ti confiderò una cosa:
io ti penso…
Tu lo sai.

Accogli il fiore,
idealmente, la viola
che pongo sul tuo occhiello.

Vorrei dirti:
dimmi il nome,
ma... Tu, taci…
Ed io, non posso...”


Così, ti vidi
mesta andare al lido;
ti andavo incontro…
Sei come la brezza!
Sento ogni tua carezza
e il bacio sulle tempie.
Sì, mi hai baciato
e mi sembrò quel bacio
cielo di stelle
e pianto del
mattino.

Ti porsi un fiore,
un bacio sui capelli,
che rugiadosi,
che fuggenti e belli,
si imbrigliarono ancora.

*

Triste il congedo e pallida

(Colloquio in stretto raccoglimento, tra Dionilla Pizzi ed il proprio papà.)

Triste congedo
e pallida, come la bianca luna,
cercavi quella lacrima
dovuta al tuo papà.

“E già l’autunno tenero,
ed un sottil richiamo, mi
volle alla chiesetta
dove pregavi tu.”

“Non piangere…
c’è nel sagrato,
l’ombra della mamma;
ti aspetta sempre e,
pallida,
ti sta dicendo: «non pensiamo più.»”

“Papà, mi sposo,
e, senza una ragione…
solo perché un cafone,
mi tiene alle catene.”

Papà, non ti dolere;
rifulge, come ieri,
il solo grande amore,
ed è Angelini.

Papà non ti dolere…
Porto la Madonnina
che mi hai donato tu.

*

Belle-mère, che devo fare?

Belle-mère,

sono i tuoi versi tristi,

e stanchi alquanto…

Non far sì che

mi angosci.

È notte fonda.

Che cosa devo fare?

 

Ritorna a letto;

cerca tra i binari

la voce stanca

di quell'innocente

che ti asseconda

e che ti dorme accanto.”

……………………………….

Julien,

tesoro mio,

ti sto cercando…

Accanto a te, tua madre,

il volto stanco,

ti sta dicendo,

come fosse un tempo,

non mi lasciare.”

 

Non frastornarti!

Dispaia il triste atollo

al soffio della mano.

 

Ritorna in te.

 

E sii te stesso,

Amore.

E…

Non imbarazzarti…

Dalle quel bacio…

Dai pur quel bacio

alla tua dolce sposa

che è in preghiera con me.

 

Julien………..

ti sto cercando.”

*

Il perdono dell’eroe

Interpretazione personale di un celebre passo di Saffo, poetessa greca di Lesbo.

 

Egli mi apparve pallido,

simile a un re sul trono,

quando, fuggente, assorto…

mi chiese: “Dove sei?”

 

Allora, ci incontrammo,

lasciandoci cadere,

quando, un pensier di morte,

percorse i sensi miei.

 

Mai lo vedeste esangue,

simile a un dio sul trono,

quando ruggente e solo,

mi chiese: “Cosa fai!?”

 

 

Allora...

molle,

di un sudor di gelo,

colpita a morte,

come erba che langue,

io mi rividi, a quella cena,

esangue,

come fil d’ombra.

 

 

Egli rifulge,

per le vie del cielo,

nobile e fiero

dandomi la mano.

 

Lo rivedrò

nelle fiorite spoglie.

Felici e sempre

per le vie del Sole.

 

 

** Soltanto in pochi esametri, è la rievocazione di “Ille me paruit” della poetessa Saffo. **

*

Incontro tra due innamorati

***

25 luglio, San Giacomo, anniversario di matrimonio dei miei genitori.

***

 

Persiane verdi, tese ad origliare

in quella brezza che sospinge i cuori...

Dolce Mamma, ti vedo come allora...

Lunghe treccine,

musica nel cuore

Cantavi;

e del tuo canto,

s'empiva la contrada.

 

Un intermezzo,

per potervi dire,

che la mamma, viveva

con la zia;

la zia “speziale”

che si dilettava a elaborar

rimedi naturali,

nonché medicamenti,

d'antica medicina.

 

Ecco, cosa accadeva:

un giovane studente

innamorato,

bussava alla lor porta;

chi era?

Ma tu, non potevi sapere...

Non potevi sapere, signorina,

ch'egli, ancora una volta,

ti ha cercata

e, per un irresistibile richiamo.

 

Andava ad aprire la zia:

In che cosa la posso servirla, signore?”

Signora, io non sto bene...

E forse, è nostalgia...

Perciò, cerco un rimedio

al mio cuore malato.”

 

Capisco...

Ma mi dica:

da quanto tempo è innamorato?”

Da sempre.

La sento come brezza, aleggiar

dolcemente

e sussurra il mio nome.”

 

Comprendo e la capisco...

codesto, è mal d'amore,

quindi, le do il consiglio

che più le giova:

tre opercoli di menta,

due gocce di rugiada...

ma, ella si è distratto,

non mi ascolta, signore!”

 

“… Ave Maria...”

Oh quale meraviglia!

Chi canta in quest'ora, divina?

Non seppi una voce più bella,

pria d'oggi, discendere in cuore.”

 

Rispose zia Marietta:

È mia nipote.

È bello quel che dice perché anch'io,

nell'udirla, le dico,

ho tanta gioia.”

 

La prego, signora,

mi farebbe conoscere sua nipote?”

 

Volentieri...

Pinuccia vieni, c'è un signore...

Vuol farti i complimenti.”

 

Si schiudeva la porta

e Giuseppina apparve;

bella dagli occhi sognanti,

ella, notando il giovane

ha un sussulto:

Nino...!” Sussurra

e lacrime di gioia,

imperlano il suo viso.

 

La stessa cosa, accadde

ad Antonino, che nel vederla,

ha un sussulto:
“Pina...!”

Commosso, umidi gli occhi,

s'imperlano le ciglia.

 

Oh come è strano... Noi,

che ci conosciamo...

Dammi la mano,

ti condurrò all'altare.”

**

Da “Ricordi del preesistente” L'Autrice parla dell'incontro dei propri genitori.

*

Abbi coraggio

Per inseguirti, sogno,

andai lontano.

Non mi arrivò dal piccolo

giardino

lo stupor delle fronde,

il lor fruscio

era ancora l'ottobre solatio;

io ti lasciavo, senza una parola;

io ti lasciavo, triste terra mia

e non mi accorsi... Forse

non capivo...

E non mi chiesi.

E non mi chiesi

s'eri già al cancello

per potermi parlare

e trattenere:

pensami sempre.

Ti esorto, ancora,

non lasciarmi

ma se non puoi...

Sereno sia il cammino.

Ti lascio un libro di preghiere.

 

Il cancello si chiuse

tra le rose dell'autunno cangiante.

O madre santa!

Dolce madre mia,

sapessi... Fu un dolore

vederti sì smarrita...

Ma un sogno, è un sogno

e fu nel mio obiettivo,

render gioiosi voi

della mia gioia.

 

Mamma, papà,

rivedo i vostri sguardi

interrogarsi lungamente.

Al fin, prevalse il sogno

e rivedo papà mentre mi dice:

Ebbene va';

ovunque andrai, figliola,

noi ci saremo.”

Parlò quindi la mamma:

So che non vuoi lasciarci;

l'invito, pure, non declini.

 

Partiremo con te.

Lungo la via,

dà la mano a tuo padre.

 

Andiamo, vai...

Ti sia fedele il sogno,

il canto, la promessa

che ci fai.

E Iddio ci salvi, figlia.

Abbi coraggio.”

*

Giorni

Sacre giornate, feste comandate,

sappiate che vi adoro,

ma, erroneamente, accade,

che stanchi “di un lavoro micidiale”,

un riposo assoluto,

oserei dire incontrastato, vi contrassegni.

E allora?

Or mi rivolgo a te, giorno feriale,

nonché all'anima mia, senza parole...

Anima,

non temere se il silenzio che incombe

ed è tombale,

fece tremare il cuore

al dì festivo, ma scrivi un canto,

d'amarezza schivo.

Ripercorri... il passato.

Sì, scrivi un canto lieve che

accomuni

il dì di festa con il dì feriale,

girotondo di giorni tutti uguali.

 

Intanto, antiche note

giungono al cuore mio:

odore di vaniglia,

sapore di poesia.

Rivedo i pescatori.

La sabbia è molto fine:

rivedo le bambine

tracciare i ghirigori.

Quanti lavori belli, onesti, buoni...

 

Era un giorno di sole...

Dopo codesti versi, mi reco

alla bottega dei generi alimentari,

nonché diversi.

 

Era un giorno di sole...

Nell'ora più gradita (ore 11).

Ritorno con un'enfasi

che esalta, anche i colori

e dalla carta gialla,

svolgo e respiro il pane.

*

Occhi di stelle

Dedicata a mia madre.

 

Buongiorno, occhi stellanti,

hai riposato stanotte?

Quelle lacrime sante

che versasti

sulle esili spalle,

al tuo tramonto,

sono gocce di pioggia

che risplende,

trasfigurata in perle.

 

Ti bacio sulla fronte.

 

Come in un valzer d'onde

riflesso in una stella,

io vedo nel sembiante

di chi mi die' coraggio

quella bambina dolce

che mi prendeva

in braccio:

Buongiorno, occhi di stelle.

*

Di lei ricordo... Alla nonna materna Giuseppina

Di castana beltà,

ricordo gli occhi,

persi nel sole dell'autunno.

Di lei ricordo il sogno;

lunghi capelli

che a rigor raccolti,

annodava alla nuca.

 

Di lei ricordo il sogno;

le mille fiabe apprese,

le nenie di paese,

le cento filastrocche...

Di lei ricordo gli occhi

protesi all'infinito.

 

Di lei ricordo il Credo

nell'abito marrone;

nell'anello di ottone

la dolce Madonnina.

 

In te, più della donna,

rivedo la fanciulla,

ché tanto di bambina

ebbe il tuo fragile cuore.

 

Dicevi ahi, ahi, ohi, ohi

per un nonnulla

e sopportasti, invece,

il tuo dolore;

hai avuto otto figlioli,

uno morì piccino;

hai pianto

e, all'infinito,

volgevi gli occhi.

*

Il sogno di un Poeta e di una bimba

Fu quella casa il mio ultimo sogno:

mi si offriva alla vista una spiaggia,

e il fiore dell'arancio

e il Mare nostrum

E sognavo una casa di campagna,

antica e nuova,

tra vetuste palme.

 

Dicevo alla mia mamma,

papà m'era daccanto,

quando sarò cresciuto,

per Voi farò un palazzo...

Avrà grandi vetrate,

tra il fior dell'elianto

e sentiremo, tra gli ulivi il vento.

 

Mia madre, mi rispose, stingendomi

al suo petto...

Udivo la sua voce, in quel suo sguardo

mesto: “Zvanì, è presto...”

 

Anch'io, poeta...

Analogo fu il sogno...

Seguivo la mia mamma

in ogni stanza,

solo con Lei parlando.

 

Quando sarò cresciuta, avrai un

castello...

In una villa

e i fiori di settembre,

sulla veranda...

E penserò al cancello,

tra le rose,

schiuso per sempre.

 

Un viale condurrà fino

all'ingresso, tra i fiori

dell'acacia e l'agrifoglio,

asperso di rugiada.

 

La porta s'aprirà,

miei genitori; risplenderà

la stanza dell'amore

che ogni giorno, mi date.

 

E quel castello avrà

la prima stanza, sporta

sull'onda tenera del

mare.

 

Poi, conscia del suo gusto

negli arredi, confidavo

alla mamma la sorpresa...

 

La prima stanza,

similmente, alle altre, avrà

grandi finestre

e le credenze, traboccanti

di ninnoli leggeri...

avrà smerigli d'oro

nell'azzurro, di cangianti

riflessi.

 

Mia madre

mi guardò teneramente...

Poi, accostandomi al petto,

un po' più forte,

mi rispondeva:

                                   “Pinuccia, è presto...”

*

A Maria Mazzeo, amica serena della gioventù

Apprendi...

mi dicevi, sorridendo...

Seguivo il lento giro dell'uncino...

Il primo giro delle catenelle,

come intorno alle aiuole di un giardino.

 

Fiorivano le gemme

e si aprivano i fiori

 

Come al primo tepore,

riscoprivo

pallide rose, tenere

viole...

 

Vedendomi perplessa,

ti fermavi;

Guidavi la mia mano...

Mai ebbi una maestra,

più dolce,

Più paziente.

 

Il filo bianco andava,

seguendo le emozioni.

 

Pure era il tuo cuore

appeso a un filo.

Un giorno me lo hai detto,

rimanendo serena.

 

Mi informavi del

prossimo intervento:

Non lo faccia, dicevo;

sia prudente.”

 

Tu, dolcemente,

per risollevarmi,

tienti su,” mi dicevi;

di sconvolgente,

non succede nulla:

 

Se mi risveglio, sarò

di ritorno;

se non dovesse, vado da Gesù.”

 

E, poco dopo, mi dicevi:

Parto... Ma voglio prima,

salutar la mamma.”

 

Venisti

Ti accogliemmo, commosse;

avevi al petto un mazzolino verde

che ci porgevi:

Son garofani...

in segno di auspicio.”

 

Dalla borsa, traevi un

biscottino

per Genoveffa

che sembrò capire.

 

La mamma ti die'

un bacio: “Ti aspettiamo.”

Io, facendo altrettanto,

Ti dicevo: “Aspetterò il

ritorno.”

 

Trascorse un tempo breve:

I fiori erano belli...

più belli la mattina,

del dì seguente.

 

Dal cielo, ci dicevi:

Coraggio, non piangete,

perché sono felice

in cielo, con Gesù.”

*

Carovana, dove vai?

Carovana, dove vai?

Se son folle non lo so,

ma io sono in

questa strada

e ti dico di

aspettar.

 

Ma passava una gitana

che mi disse:

Non andar!”

 

Qualcun altro mi

diceva: “Qui, c'è

un posto...

Non tardar.”

 

Non cosciente,

vi salivo.

Di lì a poco, prigioniera,

non rividi la mia terra,

ma la dolce Andalusia.

 

Ripensando

ai sogni infranti,

alla fredda prigionia,

ricercavo

le mie sponde,

il mio tempo,

la poesia.

 

Mi rividi nei vent'anni

con la pioggia

dentro al cuore.

 

Rivolgevo,

ed in preghiera,

al mio mare

due parole:

 

fa' ch'io ritorni;

offro alle mie sponde

un fiore lieve

che cilestre

ha il cuore.

Aspetterò.

A te legansi i sogni,

i fiori azzurri

dell'infanzia mia.

*

Canto d’esule

Dialogo tra una bambina e il poeta Giovanni Pascoli

La bambina è triste perché dovrà, con la propria famiglia, lasciare i propri luoghi. Il Poeta cerca di consolarla.

“Ma perché stai piangendo stamani?...
Ti ho veduta parlare ai tuoi fior...”
“Questa è l'alba di un giorno che trema;
sto cercando una rosa per te.

Non barchette, ippocampi, sirene,
questo è l'ultimo giorno per me.
Sento il suolo sfuggire ai miei piedi
e la luna ha una lacrima in più.”

“O no, non piangere,
sorridi al genitor...
Gira suonando l'arpa
la tua felicità;
consacra al nuovo giorno
le cinque stelle che tu vedi già.

Ma perché stai gridando stasera...
Sembri un onda strappata al suo mar;
sembri un giunco che al nembo si piega,
ma non cede ne implora la pietà.”

“Ti ho sentito in soffio, Poeta...
Nel mio cuore è una lacrima in più.
Ho raccolto la stella ed il trichemo,
ma ne ignoro l'emblema, perché
son vissuta prigioniera dei miei
sogni e del mio mar.

Da domani saprai che la mia vita
ha una svolta, ed io non so,
se continua il mio cammino
o comincia una vecchia realtà. 

*

Il tuo scialle

Oh il tuo scialle, mamma

e noi bambini...

Di te ogni cosa ricordo, madre mia

e quindi pure del tuo scialle

che sapeva di brezze

e di piccole mani

ad esso protese;

sapeva delle carezze

che tu porgevi

a noi, piccoli figli,

a cento, a mille.

Sapeva, ben ricordo,

dei nostri reciproci baci

e del tuo volto bellissimo

e sapeva pure di fiori,

quelli che amavi di più:

i gelsomini, le rose

e quelle piccole, delicate stelle

che s'aprono finito un temporale.

Oh il tuo scialle, mamma,

nel cadenzare della sera...

C'era una luce, piccola leggera

che dal comodino veniva;

avevi tu, per tutti una preghiera

e ci insegnavi il segno della croce.

Oh il tuo scialle, mamma,

colore delle rose, ci parlava di Dio.

Ancora lo rivedo;

ne risento il profumo;

sento la brezza leggera

di quelle stelle dei prati

mosse dal vento.

*

Quadro d’autore

All'ombra di un sogno lontano

rivivo quel tempo...

Mai vidi più sole

nel grano,

mai vidi più giallo

dell'oro

che splende

nei fiori d'autunno

e in quelli del pallido

inverno.

Mai vidi

acacie più belle

risplendere al sole

d'aprile.

 

Si era con voi, genitori...

nei dì di vacanza

si andava per colli...

Ricordo... quell'utilitaria

che sempre abbordava

qualcuno: fanciulle,

coetanee dei figli,

cugine...

Nell'ombra del sogno.

 

La macchina blu

si fermava,

ovunque apparisse

un sentiero bordato

di fiori di campo.

 

Ricordo tra i muri

il colore

degli ireos,

protesi al turchino...

 

E fra i miei capelli

il calore di un bacio...

Il principe azzurro...

 

Allora...

C'era sempre qualche

quercia

nel campo soleggiato.

 

Posammo: sotto le fronde

intense

per eternare un momento.

 

Mai vidi tanto giallo

nel cuore della valle

e sui muretti...

 

Il sole, amico,

stemperava il verde,

come in un quadro antico.

*

Nostalgia di fragranze e di carezze

Mi alzo...

la saponetta non sa più di fiori,

né delle rose, che in particolare,

ricordano fragranze

d'altri tempi...

 

Privata è l'acqua

dei suoi dolci sali

e il detergente è

un liquido che addensa

desiderio d'essenza.

 

Le nove...

ed il sole non c'è;

non c'è la pioggia;

manca la brezza.

Non rinuncia il cuore

d'assaporar

le morbide carezze

di correnti marine...

 

Richiami...

Desiderio di voci,

di fragranze...

Salsedine,

che avvolgi i miei

ricordi...

 

Mare... che manchi...

Profumi dell'infanzia...

 

O luoghi salsi...

Onde increspate

ed iridi di felci...

 

Perduta nel passato,

faccio ritorno...

 

Barcaiolo... Si fermi...

La ringrazio.”

 

Sento un odor di menta...

 

Risalgo la scaletta;

la mamma c'è che aspetta

sulla veranda antica.

 

E, nell'abbraccio,

il tempo va a ritroso:

la mamma, adesso canta...

E la bambina...

 

Giuoca con la barchetta

nel bacile;

 

l'aria è gentile...

E c'è la saponetta

che profuma di rose.

*

Nel mare dei tuoi occhi

Dedicata a mio padre

 

Vorrei vedere nei tuoi occhi il sole,

quel sole antico della nostra infanzia,

in cui ci prendevi per mano....

Tu avevi nello sguardo la poesia

di luminosi spazi,

oltre le siepi

Volsero gli anni,

volsero gli eventi:

Tu avevi un cuore

stanco

e sulla pelle,

i segni di un'estate,

all'insegna del tempo.

 

O quante volte, ti guardasi intorno,

quasi cercando una risposta in noi:

cosa c'è oltre la siepe?

 

Noi diventammo grandi

di quel Niente

che fu la nostra corsa al

salto in lungo.

 

Noi ci vedemmo inermi,

ma annaspando,

cercammo, invano, il sole,

nel mare dei tuoi occhi.

 

Tu, ti ammalavi,

ma, senza parole...

Giunto al traguardo, con

la mesta voce, ci salutavi.

 

Ti venni accanto:

mi davi un sassolino:

una pietra bambina,

raccolta sulla riva.

 

Volevi dirmi.... Cosa?

-“Ti aspetterò a Messina,

nel mare dei tuoi sogni.”-

 

Mi persi nei tuoi occhi:

erano stanchi...

Come di un mare, dopo

la tempesta.

*

Il terremoto

Ero una giovane donna,

andavo a far la spesa

e un dì venni sorpresa

dagli occhi smarriti

di un uomo.

Aveva una

certa età e, roteando

le braccia, voleva

semplicemente

parlare della paura

avuta. Si avvicinò,

mi chiese: "Signorina,

l'ha sentita? È stata

tremenda vero?"

Ed io risposi con slancio:

"Che cosa è accaduto?

Non ho sentito nulla."

"Ma, come!... Non ha

sentito il terremoto!"

"No, si è verificato

in città?"

Risponde: "Sì, proprio

in città."

"E precisamente, dove

è stato più avvertito?"

Il signore risponde,

ancor molto stupito

della mia ignoranza:

"Ma, in manicomio!

Ci hanno fatto uscire

dalla porta d'emergenza!"

Cerco di confortare

quell'uomo dicendogli:

"Su, non ci pensi più

e sorrida alla vita."

A casa, da sola,

pensando all'episodio,

mi sfugge un sorrisino...

Ma, da lì a qualche istante,

le mie guance si rigano

di pianto.

 

Oh! Eventi grigi,

non tangete il cuore

di chi rimase offeso

per la vita.

*

Rondine, non tremare

A mia madre

Rondine, non tremare,

la tua figliola è qui:

più non soffrire.

C'è fuori tanta neve,

tanto gelo,

ma adesso sono qui,

più non temere.

Quasi correndo,

col respiro greve,

una pesante coltre

ho traversato

pensando a te,

ansiosa che fremevi,

pensando a te che certo

eri in preghiera.

Rondine, non tremare.

La tua figliola è qui,

dischiudi le ali

e pensa...

ad una mite primavera,

ad un'aria leggera,

a prati profumati.

Ascolta, madre:

andremo noi due,

sempre sicure;

il sole immenso,

buono, scaldi le nostre vite

e tutti i frutti indori

d'ogni nostra fatica.

Rondine, non tremare.

*

Mamma, Tu ovunque e sempre

Mamma Tu fosti e sei la pargoletta

che portò sulle spalle una fanciulla.

 

Ti fu precluso di vederci spesso...

ma eravamo insieme...

 

Ovunque,

Sempre.

 

Mamma, Tu fosti l'acqua

che zampilla

e messa prigioniera, in un a brocca.

Udivo il canto, come

l'ampio guizzo

di una moneta

nell'argento fresco.

 

Mamma, nel dì cadente

Noi sentimmo

le lacrime del sole

sulla pelle.

 

Nel dì più assurdo,

pavido di morte,

per il mio pianto,

diventavi donna

e soltanto per

dirmi: “Stai tranquilla.”

 

Mamma, la tua bambina

non è morta.

Vive per TE.

*

I fiori di zia Maria

Io ti ricordo sempre, zia Maria,

esile fiore della tua Baviera,

fragile cuore dell'Italia mia,

Italiana anche tu.

 

Io ti rivedo alla veranda antica,

quando estasiata,

il tutto contemplavi;

mistiche rose

che natura offriva...

Fiore di pesco, fiore di gaggia...

E quanto verde, quale meraviglia!

 

Bianchi e sottili,

i bei capelli avevi

e li avvolgevi

nel chinon grazioso;

il volto dolce,

quasi di bambina.

 

Per i tuoi occhi,

color d'acqua marina,

Natura ti elargì

di un fior cilestre:

era il miosótis,

come nella veste

turchina, e sparsa

di minute gemme.

 

Oh qual dono di Dio!

Son cento? Mille?

Pinuccia, vieni.”

 

E stringendomi al petto mi dicevi:

Son delicati, celestiali... belli

noi li chiamammo

gli occhi di Maria.

Un giorno scriverai

la nostalgia

che al mio cuor si richiama.”

 

La voce s'interruppe

nell'incanto dell'azzurra poesia.

*

Cielo stanco

Serenata alla borgata

con i panni stesi al sole...

Io ti vidi tra quei fili

che l'allodola cullò.

Non ti vidi alla contrada,

ma scrivevi un bigliettin.

Occhi mesti, nel ritorno,

per quel tempo che fuggì,

non rimpiangere i tuoi giorni...

Ci vedremo tutti i dì.

Occhi mesti, cielo stanco...

Non eludere il passato;

ci vedremo sulla spiaggia

nella brezza dell'april.

Se ogni sosta riede al tempo,

ogni tempo ha

il suo confin.

Cielo stanco,

nel ritorno, non pensare sempre a me

ch'io ti vidi nei nove anni

e rimasi accanto a te.

Cerca un fior tra gli asfodeli

per il nastro che ci unì.

Cielo stanco,

nel ritorno,

non eludere il destin...

Scrivi un saggio

elogia il sogno

che ti volle insieme a me.

 

**

Da “Ricordi del preesistente”.

Voce parlante G.Pascoli.

*

Cielo mesto

Cielo mesto,

nell'ora del tramonto...

Qui, sulla riva, mi ritrovo

in pianto;

lascerò il mare...

Che malinconia...

Dille che l'amo e che

la penso tanto.

Là, sulla loggia

noi danzammo;

fu come un sogno.

 

Se ritorna la bimba del

sogno,

coi capelli sfuggenti

sul mare, dille cielo,

che sempre l'amai,

dille, vento

che penso al ritorno.

 

O cielo mesto,

nell'ora del tramonto

posi la mano timida

al mio cuore,

senza parole.

E lei mi intese:

dunque, professore,

perché non parli?

Perché non dite nulla?

 

O mia fanciulla...

No, non amareggiarti del cuore

che non tace.

Presto, ritorno.

 

O cielo mesto,

fammi una promessa:

dalle, quel sole

della giovinezza,

dalle il mio bacio,

l'intima certezza,

risplendano i suoi occhi,

ancor più belli.

 

*L'autrice immagina che a parlare sia Giovanni Pascoli. *