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Raccolta di poesie di Luciano Tricarico
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Ehi ragazza

Ehi ragazza

 

Ehi ragazza chi sei che hai bruciato il cuore del marinaio

esaudendo il desiderio che mai ho pronunciato

tu che occhi aridi trasformi in un mare profondo

senza processioni, senza cospirazioni

stai in piedi e m’attendi sul ponte dei suicidi

 

“sei angelo o diavolo?

                                  Aspetti me? Unicamente me?”

 

Qualche parola secca come un ramo spezzato

il diario della vita l’ho perduto nel trasloco

andare sulla luna non è poi così lontano insieme a te

Qualsiasi cosa succeda rischierò

so che il troppo amore mi ucciderà

diviso fra te e il mio disastro

Guardando indietro non vedo che il nulla

ma non ci sono più spazi vuoti nel mio corpo

solo frammenti dell’uomo che ero

Avrei potuto salpare l’ancora e issare le vele

ma non ho capito i segni

o forse li ho taciuti ponendo le mani sugli occhi

non ho bisogno di ragioni, solo di un nuovo silenzio

C’è una cicatrice che vorrei farti vedere

chiudi gli occhi e condividi questa vista solitaria

sarai felice di leccare il mio cuore ragazza

Slacciati il reggiseno affinchè le mani non bisticcino

bacerò i tuoi seni ad occhi chiusi

come una spia che ruba la tua euforia

Amami ragazza sii la nuova costellazione

l’universo è una frontiera ma sta in una cantina

se le tue dita si poggiano sul petto

 

“la mia strada è una sporca strada ma con te porta alla creazione”

 

È l’alta marea che può seppellire il mondo

dammi la mano angelo o diavolo e cuciremo gli strappi del cielo

ci comportiamo come l’estate e camminiamo come la pioggia

Ora che l’atmosfera è rientrata dimmi

hai mai attraversato il sole?

Sei una stella cadente a cui il vento fece perdere l’equilibrio?

E dimmi, hai perso la testa?

Hai trovato quello che volevi?

Ti sono mancato mentre eri la fuori?

Balliamo adesso alla luce del giorno

mentre l’alba  fuori dai vetri sta scoppiando

l’anima si è colorata dei colori delle farfalle

Lascia stare il paradiso è sopravvalutato

non ti darò ragione quando hai torto

non sarò il tuo migliore amico

inizia il nostro gioco, ora

Il mio mondo arde. Il tuo?

 

 

 

 

 

*

Il poeta e il marinaio

Il poeta e il marinaio

 

A paragone del poeta

può esistere solo il marinaio

che si imbarca ( e il verbo calza )

con sulle spalle la sacca colma di incertezze.

Se anche la rotta è chiara

se anche il sole lo bacia scalando la passerella

se il vascello è robusto e mai ha conosciuto

l’onta del naufragio,

nella distesa d’acqua sconfinata

in continuo mutamento

potrà mai aver la certezza dell’approdo?

Sulla mappa svolta è nitido il tragitto,

puntando la prua alla precisa coordinata,

ma non può prevedere la rabbia della tempesta

l’ingrossarsi delle onde, fino, da soverchiante brutalità,

impossessarsi tirannicamente della tolda impotente.

Come può l’incertezza del cavallone prevedere risalita,

ogni sollecita discesa nell’abisso! Un dubbio;

“ resisterà lo scafo o si spezzerà nel punto del cuore?”

Il marinaio getta nella lotta tutta l’esperienza;

poca cosa nell’immane stordimento.

Soprattutto prega Dio, oltre il prossimo cavallone

ritrovarsi nell’acqua cheta.

È tardi, troppe gocce frantumate

il ritorno è alle spalle, continuare è l’unica via.

 

 

*

No

No

 

E chiaro che la vita non sia un unico si

sconsiderato, defraudandola pateticamente di

quel no, da apporre senza alcun indugio sul trono

della presenza. Sarà pur un seggio di punte acuminate

che impediscono al corpo di dormire

ma il sonno del si, è un’inadempienza;

semmai sgorgasse un no, lasciatelo sfogare

con la massima potenza, come un flusso lavico.

Quell’unico, interminabile no, è più potente

di tutti i si che abbiate mai espresso.

 

*

Il salvagente

È una piccola festa, di paese,

il suono di campane,

mogli sottobraccio ai mariti

seguiti da adolescenti

che si scrutano di sottecchi;

precoci interludi di futuri matrimoni.

La piazza all’ombra del campanile

è addobbata a gran pavese,

fili di lampadine sospese si stendono

come un’intricata ragnatela,

bancarelle attorno racchiudono

paesani fra dolcetti, ninnoli e profumo

di pietanze gustose.          

Sul piccolo palco un’orchestrina improvvisata,

suona ballate popolari

di memoria perduta.

Tutti presenti col vestito buono,

quello che dei giorni migliori.

Il sindaco sfoggia la fascia tricolore;

negli anni si è tanto ristretta

per quanto lui allargato,

la causa è del tessuto, ribadisce;

sorridono sotto i baffi e annuiscono.

Il parroco del paese, don Sante,

per l’occasione srotola le maniche della tonaca,

mescolandosi alla sua gente.

È il più temuto,

non c’è domenica

senza strali infuocati.

Presenti al completo,

più per il sermone inquisitorio

che per pura fede;

burbere pecorelle, brava gente.  

Gioisce in cuore, figli suoi.

Qualcuno viene da fuori,

giovanotti dei paesi vicini,

guardati di sbieco, portano guai,

rubano le nostre figlie;

una guerra lunga più di cent’anni

a volte cruenta, senza vittime,

teste rotte, teste dure.

Tonio è il matto del paese

(ogni paese ne ha uno, è una regola fissa)

non c’è sasso che non lo conosca

ne uomo né donna gli sono sfuggiti;

mi dai una moneta, hai una sigaretta?

Qualcuno elargisce.

Il salumiere prepara un panino, ogni giorno,

contro le ridondanti rimostranze della moglie,

che di salami ne ha sicuramente

più mangiati che venduti;

viene sempre alla stessa ora.

Il tabaccaio tiene in serbo

un pacchetto di diana,

una al giorno,

lo fumerebbe nel tempo di un’ora.

Spesso lo cacciano via,

senza infierire.

Le braghe a metà del sedere

e la camicia raffazzonata,

cammina da mane a sera,

senza meta e senza tempo.

Si narra che da bambino fosse normale

di grande intelligenza,

cambiò un giorno.

Colpa della madre,

incinta non si sa da chi;

dicerie di paese.

Ridono, scherzano, mangiano e bevono,

bambini corrono fra le bancarelle, urlanti,

in mano bastoni dolci, mele glassate, zucchero filato,

faranno tardi, domani è riposo.

È bello vedere la gente felice.

Torno, dopo anni d’esilio errante,

un continuo di case e supermercati

mi accoglie,

non c’è spazio fra i paesi.

È cambiata anche la piazza,

piastrellata, contornata da led blu;

per me è astratta.

Molte più bancarelle,

un palco enorme, da concerto rock,

un’orchestra variegata,

di elementi atteggiati a star,

suonano polka e mazurka,

a volume altissimo;

invitano gli attempati ballerini

a scatenarsi nella danza.

Molta, molta più gente,

chi spinge, chi urla per farsi sentire,

si impreca al furbo che salta la fila

davanti a chioschi

di specialità internazionali.

Mangiano veloci, senza gusto,

su isole solitarie,

i bambini composti, vestiti alla moda,

si guardano attorno

cercando un salvagente a cui aggrapparsi.

I giovani , immersi nel mondo virtuale,

non cercano sguardi furtivi.

Ne parroco, né sindaco,

nessuno che conosca.

Raccolgo risate di ubriachi;

non credo che valgano.

Fra i tavoli,

le braghe a metà del sedere

e la camicia raffazzonata;

mi dai una moneta, hai una sigaretta?

Eccolo il mio salvagente,

gli vado incontro e l’abbraccio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

Il lavoro nobilita l’u...

 

 

Oh frase gloriosa compi quell’opera

 

esaltante bellezza che l’essere appaga

 

ai mistici cieli di meraviglia melodica

 

l’effluvio calore dell’inebriante miraggio

 

lobotomizza la mente nella tenebra tomba

 

che induce la mano al giusto paniere

 

del più fetido cibo,                                    

 

effluvi di dei sconosciuti languono inermi;

 

lontana progenie di un tempo dorato.

 

Vivida aleggia arbeit macht frei

 

e manca il respiro.

*

Sconosciuto

Sconosciuto mi fu quell’uomo

 

anni vicino eppure sconosciuto

 

mi sorreggeva in fasce

 

artista orgoglioso della sua creazione

 

abbozzando un sorriso sulle labbra

 

quadro sereno stracciato dal tempo

 

giorni, mesi, anni, allontanandomi da lui

 

l’indifferenza slega il nodo complesso

 

essere invitto nel fallimento

 

nessun legame fra quantici universi

 

ombra fugace inconsistenza corporea

 

nulla

 

pensieri, sofferenze, emozioni

 

nulla

 

la distanza è scudo impenetrabile

 

fui mastro di malta e mattoni

 

in quel muro intricato

 

di sentimenti riprovevoli

 

non si patteggia con l’inferiore

 

respinsi nell’infimo ghetto colui indegno

 

lacrime amare scorsero senza solcare

 

l’impassibilità del cuore

 

troppo

 

l’immenso mio ego

 

sprofondò la sua anima

 

paura di somigliargli

 

rinnegando il legame sanguigno

 

sconfessando ciò che è inciso negli astri

 

altergo di me stesso?

 

perché io?

 

sono migliore, sono di più

 

molto di più

 

neppure il suo dipartire

 

nel silenzio

 

incrinò lo scudo

 

nemmeno una parola

 

il nulla assoluto

 

nemmeno dirgli addio

 

mille chilometri lo lasciai distante

 

semplicemente sconosciuto

 

eppure mi amò

 

una parte del suo cuore

 

ha serbato per me

 

lasciò la sua vita, la libertà sul suo amato mare

 

straziò il cuore

 

seppellendo i sogni

 

immolandosi al mio bene

 

io ingiusto accusatore

 

negai

 

l’ultima stilla felice nell’animo

 

sconosciuto, prigioniero del tuo amore

 

comprendo ora

 

la repentina gioia nel tuo sguardo

 

i rari attimi d’illusoria unione

 

riconosco solo adesso chi fosti

 

venni a cercarti sulla tomba

 

in mano fiori di pace

 

gli sguardi si incrociarono

 

legando indissolubilmente i pensieri

 

lenta armonia

 

lo stallo del tempo cercando parole silenziose

 

quel filo interrotto finalmente guarito

 

il trattenermi, perdendo il senso di direzione

 

fra i viottoli del piccolo cimitero di Gallipoli

 

cercare l’uscita e non trovarla

 

il tuo modo di dire, resta

 

non lasciarmi ancora

 

oh mai accadrà

 

sconosciuto non sarai

 

sei mio padre!

 

lacrime di pentimento al dolore

 

che stolto ti inflissi

 

pregare per il perdono

 

solo questo posso fare.

 

Tuo figlio per sempre

 

con tutto l'amore.

 

*

Va l’aspro odor dei vini...

M’attrista quel vento

gravido di lacrime salate

della cicala nel campo

non colgo più il sollazzo

il papavero dalla veste scarlatta

ha gettato la spugna  

un gallo impettito canta

nel profondo meriggio

(non sei compagno del silenzio)

trastullando le dita fra fili seccati

osservo formiche caotiche in processione

“sorreggono il peso di atlante”

caduche spalle supportano il travaglio

e l’ombra s’allunga su filari in vendemmia

ieri a quest’ora cadeva diversa.

Settembre ribolle nei tini.

*

Mondo imperfetto

Genuflessi al cospetto di un dio  

di vetro e metallo

il naso sprofonda nell’ipnotico i phon

insensibile più di una pietra

che nulla contrasta a madre natura

 

si aggirano spettri, ombre sfuggenti dell’ade

provenienti dal nulla e nel nulla diretti

celeste pulviscolo dell’universo perduto

qual è il senso del mondo attraverso uno specchio

il travaglio di Ulisse è servito a qualcosa?

 

illusorio vaneggio senza il  calore

di uno sguardo amoroso, di un tremulo sfioro

il ruscello si frange sullo scoglio dei tasti

la rosa è bella ma senza profumo

 

esistenza virtuale lancio una app

son pronto a pregare

*

E poi...son pazzo

È qui, ora, in quest’attimo

sto perdendo la vita

rimuginando vecchie fole

calcando il consunto cuscino

ergonomico alle chiappe

innanzi ad un video

intriso di bruttezze umane

esiliato nel tugurio di quattro mura

che circonda di lacrime amare

le persiane son serrate

a lasciar fuori l’imbecillità del mondo

le scimmie debitamente ammaestrate

il vociare tutt’uno

la falsa fede a verità perverse

strofino i palmi incartapecoriti

un filo di fumo vorrei levasse

presentati magico genio

appaga il desiderio

portami ovunque ci sia vento

e le gocce di salso impiastrino i capelli

abbandonami dove il silenzio diviene tuono

e la parola sia bandita

troppo si è detto o troppo poco

prima ancora strappami le vesti

che odorano di giorni perduti

di pece sociale che i pori ostruisce

voglio un nuovo respiro

i colpi del membro battente a tamburo

sulle cosce scattanti

trottando sulla rena bagnata

alzare le braccia nel cielo terso

ed afferrare nembi gioviali

pazzo di gioia

ebro di vita

o solamente pazzo

prima l'ultimo dire

alla nobile società

di elencare avrei

ma ciò che mi sovviene

l’animo n’è testimone incorrotto

vai a far…ultime parole

e poi… son pazzo.

 

*

Erbe infestanti

È continuo, piegato le ginocchia mi dolgono

arcuata la schiena solfeggia le note più tristi, è stanco,

così tanto bramai la vittoria.

 

L’erba infestante germoglia

nel caotico caos dei giorni confusi

un bazar di idee rovinose,

terra, vestita di velata saggezza

celi nel ventre il fetido incesto.

 

L’estirpo con rabbia fra ansimi e lacrime,

dita nervose stringono e tirano

profonde radici, quelle resistono.

 

Sul capo grondante

incombono nubi di greve illusione

zolle brunite colmano vimini

di mortale solitudine

 

infine a sera, la mia terra è una vergine,

 

la luna sorniona mi elogia,

domani linda ancora sarà

pronto tu sia a un’altra battaglia

credi in te stesso

mai subirai l’umiliante sconfitta. 

*

Stella cadente

 

Peregrina stella la sera il capo

stancamente posi sul cuscino di sasso,

lenendo il tuo male in un riposo di sabbia,

passeggera del treno che sosta in stazioni

dall’acre sentore di muffa e stantio

di chi la speranza ha perduto nel viaggio,

dimmi, perché non risplendi, le stelle altro non fanno;

l’universo è un infinito di sogni

che la luce percorre senza porsi mai il limite

di rimbalzo in rimbalzo da pianeta a pianeta

cercando con ansia il trampolino migliore,

credi di avere lo stesso diritto dell’elementare lanterna

che lenta consuma il suo senno?

La letale slavina travolge incurante l’incosciente sciatore

ed il candido manto non prova rimorso,

l’oceano pretende il tributo di vite

serrando caviglie che tanto anelano il volo;

allora mio piccolo astro, che solchi la terra

intrisa dal sangue di mille ferite

che pieghi il tuo fusto di canna palustre,

lascia paziente il maestrale chetarsi

che la polvere torni alla polvere,

librando le ali di tulle al settimo cielo

nel desiderio di vette celesti, cogli il frutto proibito.

L’amore mia stella cadente, pulsa da distanze infinite

sbocciando i fiori di prato da un caldo sospiro,

alla sconfitta rinasce sempre un’ inizio;

nella fiera tempesta il fascio del faro

traghetta vascelli di mori mercanti al porto dei vivi

ove lo specchio è increspato di minuscole stelle

cadute dal cielo, splendidamente eterne,

regine lucenti di un nuovo universo.

 

 

*

Maledetti poeti

La resurrezione di terribili dei

l’aspra verità attinge nel sangue

vite predate dal vento impetuoso

del tempo che oscura la nobile luce

 

l’arrogante giaciglio è il letto contorto del fiume,

sfocia nel mare affranto dalla stessa menzogna

disonore silente è squillanti risate è bicchieri di vino,

o’vè durlindana l’invincibile lama

 

rosso rubino il volto riflette

l’eco di fasti scordati

chi pianterà il seme d’amore,

c’è forse una baia serena nel lontano orizzonte?

 

sull’ala di brezza marina un gabbiano,

si tuffa  nel mare nostalgico della strada franata;

amica interrotta non indulgi a superstiti

 

è stato gabbato sinnanche prometeo

ladro di fuoco a dei gelosi

strenua resisti, minuscola brace

di critici idioti son piene le sporte

 

la ragione che ispira, svilisce al pensiero

maledetti poeti!!

or son morti gli eroi

con loro una parte di me.

*

Lasciati amare

 

 

 

Del fiore sbocciato al gramo bagliore

 

mi voglio nutrire, dissetare l’arsura

 

nel volo infinito di vette abbracciate

 

a nembi perenni, l’araldico vento

 

sussurri a chi ode, colsi la rosa

 

invano non vissi.

 

*

L’amore č...

L’aurora m’investe radiosa e m’abbraccia

dissipando la bruma che risposta non cinge

stringi il cuscino, frontiera fra sogno e realtà

sboccia una rosa dal flebile soffio;

 

gemme lucenti han fermato il mio tempo ed il anche mio cuore

e se al risveglio tu mi dicessi addio amore, ti amerei di più,

ti amerei come si ama il vento che fugace ti bacia per solitario migrare;

nella valigia sul letto disfatto il ricordo di un mare felice.

 

Un’onda focosa m’esilia nell’isola egea.

Oh amore legato a catena

quanto dorata e leggera,

batti ancora le ali nell’alba brillante?

La logica umana uccide il sentimento.

 

Il dardo di Eros ha trafitto il mio petto

sprizzando quel fiotto purpureo sulla sterile terra;

questo mattino sia desiderio immaturo

nei cimiteri scordati rinasca un rosso bocciolo

 

è letto di caduche foglie tinte d’autunno

lo scrigno virtuoso al tenero seme

che tanto aspirò l’illuminante sapienza.

 

L’amore è… semplice amore

 

*

Eutanasia

Eutanasia

 

L’ellenico nome appar simil di donna

 

è armonioso nella pronuncia, eutanasia

 

dolce morte, buona morte, sonno del non risveglio

 

statua dolente dell’asettico giaciglio

 

eternamente legata all’innaturale nutrimento

 

dinnanzi a sguardi pietosi

 

che celano bugiardi l’angoscia

 

allontanando il dolore del fatale domani

 

maschere grottesche di un penoso carnevale,

 

l’estraneo vivere spuntato d’allegria

 

e non serve sibilla per conoscere il futuro

 

Sono morto!!

 

 

 

*

ho deciso che...

 

Ho deciso che…

 

Ho deciso che non perirò

come il fiore di campo

al desio della torrida estate

né l’astuta faina mi sarà carnefice

nell’oro del grano

nemmeno la folgore squarcerà

il tronco contorto.

Trapasserò d’eroe

dal capo cinto d’alloro

sfidando il flutto letale

appassionato di vita,

l’anima resa immortale.

 

*

fatale menzogna

 

Fatale menzogna

Intagliato da un ramo d’ulivo

quel piolo nodoso ho infisso profondo

fin nel centro del cuore

ove s’incontrano fiumi e maree,

 

lì termina la rotazione del mondo;

le certezze son solo dolorosa memoria.

 

Eri il mio premio alla vita, l’uccelletto gioioso

il menestrello dell’alba gitana    

 

con passo incerto al mattino discendevi le scale

la manina a mò di vedetta a proteggerne l’occhi

( ancora sperduti nell’oceano dei sogni)

dal vello gaio e dorato che ti copriva di luce

 

spesso il buongiorno cadeva nel vuoto

(miraggio stupendo sparivi diritta nel bagno)

non capivo se fossi donna o bambina.

 

Amavo l’allegro disordine 

il tardivo sollazzo a cui ti inducevi, sempre,

ed io ribollivo da vecchia teiera

mi quietava un sorriso, pagliuzze dorate riempivano il cuore.

 

Il tuo corpo tornito, mirabile opera,

per ogni singola curva, ogni delizioso incavo

gli occhi chiudevo a fermare il piacere;

 

quel dì ricordi? vestita di fiori, giallo e d’azzurro

dissi sei la mia primavera, l’infinita colorata stagione.

 

Irriverenti, scostumati occhieggiavano lame lucenti

dai rami del  pruno selvatico

profanandoti in trasparenze divine

 

“si sa  malizia è nome di donna

trascende le armi dell’uomo imperioso

piegato al volere del turbine irideo”

 

la bruciante passione guidò le mie braccia

a sollevarti da farfalla impaziente

prodiga di allegre proteste che il desiderio acuivano.

 

Fu talamo addobbato di sete preziose il tavolo in cucina

(il letto lontano, posto agli antipodi)

aromi di spezie attizzavano il rogo dei sensi;

 

carezzavo i polpacci le tremule cosce le turgide natiche

soffermandomi spudorato a godere dell’ansimo

dell’estatico istante che toglie la volontà di fuggire…

 

breve volo che brucia le dita

nelle vene ora scorre impetuosa l’ira infernale.

 

Silfide amara, svanita nel miraggio insidioso

nella fatua menzogna di boschi inconclusi

“le mie braccia ora son nude”.

 

Dio pregai non ti portasse lontano da me

dopo, solo imprecai quel Dio sordo e crudele.