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Raccolta di poesie di Davide Gariti
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Il tempo si piega

Oh il tempo si piega
nei coltelli del pranzo
sugli scaffali nuota
tra le pagine, i cordiali
segugi della giornata.
Si piega e risuona
nei cessi pubblici
sui tavoli dei bar,
in quindici ore di luce
il suo è un corpo molle
insegue con i nostri piedi
la fine, la volta, la guglia.
Alza gli occhi, puoi vederlo
è sul cornicione del cielo.

*

Al metallo che si piega

Al metallo che si piega
la voce fioca
meta distaccata
un filo d'erba
una finestra imbiancata
la rosa unica
parola recisa
una festa 
una divisa
terra umida
il cuore carne
deserto e miniera
l'olio sintetico
dramma cultura
è fiero con la valigia 
diaspora sicura,
fieno e stalla
callo e balla
i pezzi di un opificio
cielo blu
che brucia.

*

La foglia crepata

La foglia crepata 

si disgiunge lieve
dal creato, su tutte 
le virgole della terra
distende i suoi occhi
è come una bambina 
addormentata.

*

Come un’eterna promessa

Come la calce che si dissecca
li hai veduti gli amici, le donne
e anche dopo averli obliati 
quei luoghi ti chiameranno
perchè più vita conservano 
come un'eterna promessa.

*

Dal quartiere

Ho visto un quartiere fermarsi
nelle ombre proiettate
fino ai cigli delle strade
ammutolito come in una fossa,
sprofondato per silenzi
d'ossa.

 

Quartiere della mia fame
senza addii, perso come un cane,
intestino di cianfrusaglie
su una costa contesa.

Da lì arriva, sui lenzuoli stesi
il grecale.

*

Formiche

Un formicaio immenso
ha sbattuto sul mio passo
e parlava di un rito antico
dismesso da tempo.
Nel cortile di casa
la grande corolla rossa
di terra, ospitava la vita
in quella che non era più
la patria della mia infanzia.

*

Mi appari immobile

Mi appari immobile
nella serena fronda del cielo
come persistente e ammutolita
disciogli nelle tasche
il tempo che hai desiderato.
Un gioco sublunare
che ci ha presi come un gorgo
e da cui discendiamo sempre,
per attrazione o devozione.

*

Gli steli naturali

Siamo all'angolo
più oscuro della stanza
in questa mezza data
di un tempo che è nero.
Ma sopra le teste 
tira un vento maestoso
che potremmo dire eterno
e quando cavati gli occhi
non avremo che risa pallide
allora i nostri corpi piegandosi
faranno la fine degli steli naturali
quelli del grano che getta i semi
nel dimenticatoio di un'era.

*

Sotto la pelle #SaveAshrafFayadh

Un giorno di sole

è un'avventura discesa

come arcadia, in tuo nome,

il giorno in cui 

sotto la pelle conserverai

le nazioni in un grido

le voci dei figli perduti,

e le foglie crepiteranno

al passaggio dei cani selvatici,

lungo i fiumi vivrai

nello schioppo dei ciottoli 

in ricordi di madri

e nei deserti di luce.

Sotto la pelle 

quel soffio sarà nel vento

a dirci che non siamo

a cantarci la verità nascosta.

*

La nostra gioventù

Non sento alcun lamento
da questi versi che si irrorano
piano nel cesto della barbarie.
Dove siamo stati accolti
in un tugurio di inverosimili latrine
o su giostre vorticose, imperfette?
La nostra gioventù ha scalciato dal ventre
piegandosi per vecchiaie, ha fondato
il mondo dello scibile, simultaneo 
al parallelo universo della vergogna.

*

Eredità

Ho un'eredità da proteggere
dentro ai miei occhi
la dovrò anche foraggiare
e con un colpo di mano
spedirne tutto il nero
nell'universo.

*

Viole

Si spande tutta intera
la tua sera di viole 
e sono le sbattute mosche 
sui tavolini dei bar
salvifiche bestiole puntellanti 
ticchettii come d'arance 
che oscillano prima della raccolta.
Sfianchiamo in scorribande
scompariamo con una piroetta,
muti di sole.

*

Volti

Sempre cerchiamo nei volti
un lamento da noi osteggiato
allontaniamo i tormenti
o quel che resta 
di un sogno mai nato.
Il riflesso sulle lenti chiudeva 
nel mappamondo una nuvola,
una catena di montaggio 
un corpo fatto di pagine,
era quel che restava 
di un intero miraggio.

*

Ai poeti siciliani

Ai poeti siciliani non dirò nulla
quando si cambia pagina
ci si lecca il dito con la saliva
magari a ricordarci che il passato
nostro glorioso dente d'oro
sia rinvenuto per nullità,
ai poeti dico che non sembra strano
un guizzo di semplice cialtroneria
per riscatto o narcisismo
per tutto il tempo perso
in cui ci si poteva bagnare
della nostra bella isola di morte.
Dalle torri pendenti sui dirupi
ai costoni a picco nel blu
questa è l'isola della pietà 
un bottone staccatosi dal resto.
Vendiamo i nostri occhi 
al migliore offerente, dunque
le gambe e le braccia sono autostrade
dissestate nel bel mezzo di un canto di cicale.

*

Stagione

Di nuovo me ne vado per sentire
rivolto ad una platea inesistente
con la mia sola voce, trasparente,
raccolgo l'odierno lamento di una stagione
che si compie per infinite speranze,
crudeltà che mai mi seppe abbandonare
nei visi lividi del macello,
qualche ruga sotto il sole
e l'ombra lieve, di un cappello.
Me ne vado, per stringerti inerme
qua e la divagando in una vita 
senza peccati ne sincere credenze.
Lo strato molle di un'eccellenza 
senza nome, che cammina spedita
per le strade di una città in fiamme.
Era un'amica perduta tra i monti
la sparuta riva di un lago disperso,
il canto gracile di un ossesso.

*

Precipizi

A cosa serve questa musica
di bianco nel mare
che si conficca micidiale
nel buio dell'ala in volo.
Quando mi svegliai col sole
era tutto precipitato in slavine
ed io soltanto mordevo le mie carni
che bruciavano e bruciavano
dentro le radici di un tempo morto.

*

Nel canto dei cani

Nel canto dei cani
annegano gli anni
disuguali e vedo
una strada notturna
i morti silenziosi nei cimiteri.
Il canto dei cani 
in quei luoghi rifiutati
è una barca nel molo,
mio padre lontano
che un tempo 
mi chiamava per nome.

*

Infanticidio

L'antica madre che chiama il figlio
a se, lo chiama uccidendolo!
Infila il coltello nella sua gola
Medea dal collo lucido
si spalma con le mani il volto:
stelle ardenti dell'ira!

E tutti i figli morti
entro questo secolo che rabbuia
i cieli coi denti digrignati,
soli e risorti
ammucchiati nelle stanze del futuro
li sentiamo parlare, bisbigliano il dolore
come quello del maiale
che aspetta la morte col muso umido.

*

Dietro casa mia

Dietro casa mia, una muraglia di palazzoni, case popolari, dove brillano le finestre accese del natale. Il natale piccolo e minuto, dei poveri senza fame. Più avanti le colonne di automobili, sfilano, posteggiate lungo i marciapiedi vuoti. Alcuni pini, piantati nel cemento, osservano da lontano lo scempio urbano, che si abbatte lento, sulle fermate degli autobus, bisbiglia piano ai cani randagi che cercano cibo. All'orizzonte la montagna, che fu della mia infanzia, a tratti verdeggianti ma quasi tutta raccolta nel suo grigiore roccioso. E' un giorno di festa, pagana, coi merletti variopinti del perbenismo: un vassoio di dolci, tre bicchieri di vino. Me ne sto qui, mi basta il silenzio che sgorga dalla mia giostra.

*

Le mie tasche

Rigiro le mie tasche con le mani chiuse
e non ne vedo che il punto d'origine
di ogni cosa che s'è fatto schiettezza
muro, recinto invalicabile.
Come stare a guardare l'onda
per ore sul divieto
aspettando.

*

Faccio fatica a rendermi utile

Faccio fatica a rendermi utile.
La bora passa veloce sui campi,
le lune si susseguono in scie argentee
ed io faccio fatica a rendermi utile.
Un cane che abbaia senza sosta
grida nei timpani, la felicità nevrotica
e il cadenzato passo del canarino,
si potrebbe dire un miracolo
quello del mattino
appartato in un letto ancora caldo
reggo la colonna del mio collo
a stento, portandomi una gamba sull'altra.
Faccio fatica, a rendermi utile.

*

Come una bara antica

Il desiderio si tinge cobalto,

orlato di luce.
La mia barba, lunga per un sentiero
di voci tritate nel giorno del giudizio
è come una bara antica
posata leggera sul greto della selva.
La città mi appare nuda
senza espiazioni
è la potenza del silenzio
e tutto può accadere 
in queste malattie.

*

Il fondo del macello

Vedevi il fondo del macello

quello asfaltato di una strada

e anche un giudice a guardia

di automobili accasciate.

Vedevi la steppa,

la sete stramaledetta.

Ringhiavano le iene tra due alberi

isolati, e non c'era vento,

e noi portati sui piedi

contavamo la vita nei passi

ad uno ad uno

chi nel gioco, chi nello stento.

*

Non pace ma miseria

Le ragioni del tempo

che ti porti appresso

come sonagli incolore

non suonano

se non di parole,

sono petali senza sole

come quelle pietà divine

che non hanno pace.

*

Pasolini in grembo

Cosa sono adesso le forme del pensiero 
se riconoscendoti in esso sei morto  
al digiuno di un'ombra, e nel disprezzo 
della classe borghese innestato  
come veleno e siero?

 

Al ricordo darai un seguito 
a chi lo tiene stretto in grembo, 
nelle tue parole e prose 
e rose.

 

Un giorno qualunque sei sceso 
sulle spiagge di Ostia, 
piangevi per il mondo, 
adoravi la vita.

*

Ho scavato molto

Ho scavato molto,

mi sono trovato il mondo

a parlarmi del mondo.

Nella parola trovo il senso delle cose

e la morte mi diventa amica.