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Raccolta di poesie di Massimo Caccia
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Essere come appeso...

Essere come appeso all’impossibile,

già il titano con urli s’alza fosco

come JHWH che cavalca le nubi

e con la mano possente sbaraglia

dei filistei le torme innumerevoli.

Il rombo sordo del silenzio stende

un ronzio di parole piatte sotto

truffate stelle: quale il segreto?

Nero d’asfalto, lamiere e carcasse

e questa terra desolata e stanca.

*

...mi scuote...

mi scuote
- e te ne parlo -
del nulla del sapere,
del gusto d’esserci
come occhi che specchiano
il tempo,
mani che s’intrecciano,
forse è così
l’eterna affermazione
di Dio dal niente

*

Notte

Poi si parla del tempo,
dell’acqua che scroscia
sul vuoto,
del suo suono
e della notte
come di mani che si sfiorano

Mi sveglio,
gli occhi nel buio,
nelle narici l’acre umore
del corpo:
mai ho pensato alla morte
come opportunità estrema.

*

Animula vagula...

Animula vagula blandula…

Brucio fuoco!
Nulla ho scritto
che vorrei salvare
stanco che sono
delle vanità
che inseguo.

Si placa la pugna,
come un tempo
detto d’amore,
cieco cantore,
il vento s’alza
lontano sibila.

Urlo per nulla
se musica appare
il folle ritorno
dell’anima amante.
Taccio del resto
per questo sopire.

*

dentro...

dentro, se non dolore, rabbia,
di quella buona, da sfogare
quando vorresti cazzottare
il primo nel quale inciampi

poi ricordi quello che sei,
mastichi il bolo amaro
scaglie vetrose che sputi
con fibre dure fintanto

che le nubi sciamano
e tutto passa, così dico
scemo che sono, ormai
l’occasione è trascorsa.

*

Sul teschio...

Sul teschio del drago,
dopo la lotta, avvampa la gola
di sete che l’oste, vista l’impresa
giù che scaraffa fiotti di vino
nel cranio spaccato.

Sarà colpa del mosto
che ribollisce ancora,
il delirio della notte
chiusa dal gelo mentre
ora diluvia che della fatica

rimane il marciume contuso
di squame del serpente
antico e le mie mani lorde
che artigliano vento di gioia
mentre già lontano galoppo.

Non ditelo affatto,
ma furtivo ho intrecciato
le mie dita a quelle dell’aurora,
goduto senza nulla pagare
a demoni numi bottegai di turno.


*

Hic et nunc

la zavorra del fango
misura dell’esser-ci
liquidato il riscatto
sprofondo
nel bagliore algido
del tramonto

dico ci sono, ora
nel forse approssimato,
l’abbraccio che scioglie
la densità del presente,
forgia la chiave
del sancta sanctorum

*

Grigio

Grigio
troppo per oggi
quando non esco
e annaspo di noia
non stare nel nulla

Dita intrecciate
ozio d'ebbri pensieri
alcol che evapora
amaro sentore

E’ passata
la sbronza idiota
delle passioni
il male alla testa

La mossa
dello struzzo
- penso -
bambino scemo

Sono l’idiota
di turno
ora padrone
di cartaceo livore

*

Deserto

Deserto,
spoglio risuona
l’accenno.

Notte,
vulva profonda,
materno l’abbraccio.

Cielo,
antico latte,
sperma

salso,
florido il ventre
disteso.

Lo spirito,
senza tempo
l’atto.

Solitudine
d’abbracci,
carne.

Terra,
figli tratti
da pietre.

Stirpe
eletta,
maledetta

dal mondo.
Massacro
quotidiano.

Collo
alla scure,
macabro

ballo,
rituale d’amore,
solo voce:

e la Parola?
Nel principio
della fine.

*

Avvento

Il nulla,
il nulla si distende
la neve nel profondo,

ghiaccio l'essere
aggrappato,
poi

il silenzio srotola
bianco
l'inatteso

io sento il sonno
vecchio
secoli di storia

le spalle curve
la volta
le stelle

il blu
che consuma
occhi

vista,
attesa
che riavventa:

cosa? Chi?
Notte nuda
di freddo

denti
che stridono
e qual masso…

Noi
non sappiamo
più stare!

*

Memoria

Ombre,
seta di ricordi.
Nell’eterno

la memoria
incede
dall’evento,

lo scroscio
scioglie
bistro di male

nel diluvio
che sbatte
ogni respiro.

Mani alzate
scongiurano
stordite

dopo l’estasi,
l’avvento
della fine.

*

Jabbok

In lotta,
angelo terribile
polvere sbuffa

come toro
infuriato,
sussulta la terra

nell'atroce
spasso
che divide

malvagio.
Lamento dolori
ovunque

mentre la scala
arpiona spaghi
celesti.

*

L’abisso

L’abisso,
orrore spiazza
lo sguardo,

freme sconcerto
sul bello
tremendo fisso,

risale la scala
paziente Diotima
luce volto

occhio di brace,
meraviglia
soffoca cuore

impulso ragione
cava
il sollievo.

*

Caduta

La mano tesa,
il poco
accusa lo strappo.

Genere prossimo,
scarsa materia
celeste

rievoca il dirupo
antico
e frana nel dramma.

Voi siete dei!
Differenza specifica
trafigge il destino.

*

24 novembre

Oggi freddo.
Nel limpido
traslucido

una lacrima
precipita
nel mare magnum

all'istante
dispersa.
Troppo instabile

quest’autunno:
mancano le strette
del gelo

per tracciare
il segno
del percorso.

*

Arma virumque cano

Ti attendo.
Buio, di fuori,
finestre chiuse occhi ciechi
nell'intrico di celle
che chiudono l’intimo
della dimora.

Il pio Enea, chissà perché?
Il mare urlante di legni
squassati, l’oscuro metallo.
Meglio le api, per il Poeta,
e a noi cosa rimane,
se non tempo sospeso?

Ricado sul libro
percosso dal ritmo
l’esametro suona
cavalli al galoppo.
Lavinia dai boschi atri,
tu finalmente esci!

*

I libri dei poeti

Perché non si trovano i libri dei poeti?
Perché non fanno mercato, come si dice,
e nelle enormi librerie catene di smontaggio
danno bella mostra quelli dei premiati e vinti.
Se poi li cerchi, le commesse, paludate grazie,
ti guardan storto, quasi fossi cariatide e telamone,
stanco di sgobbare templi che ormai pochi
osano percorrere, perché il silenzio uccide,
se non sei avvezzo all'oracolo che berciando
spasima umane contorsioni d’infinito.

E ancora. Se qualcuno scopre che li leggi, i poeti,
fa la bocca storta quando mancano topten
e cose varie, promozioni per l’estate,
ugge modaiole, il nume del momento
e allora, già lo sai: ubi maior, minor cessat!
Sono troppo bambini, i poeti, lo capisci?
Ancora stupiscono per le burrasche interiori,
anche se l’industria stride nelle orecchie
metallo e fuoco, e gli accordi delle sensazioni
ricercano armonie vive nelle lingue morte.

E allora? Lo share non fa poesia! Impariamolo.
Questo è un mondo che ti massacra, un mondo
Tritacarne che impasta ignavi d’ogni specie
e t’insacca nel cervello quel che devi sapere,
poco, infarcendolo d’illusioni e roba varia.

Il libri dei poeti…forse paglia, carta straccia.
Per non parlar dei libri dei filosofi, quelli
che tutti citano, ma che nessuno legge
poiché postulano lo smazzarsi delle mente,
ma questa è un’altra storia. Senza offesa, gente!

*

Conflitto

Nuovo giorno
alba rossa,
d’intorno

ossa di rivalsa,
gelido trangugio,
atroce incendio

frange di pace:
nel conflitto s’ordina
lo strappo.

*

Sepolcri vuoti sull’orizzonte

Sepolcri vuoti sull'orizzonte
disgiunto, bianchi di calce
stringono il mondo ai vivi
coloro che morti smontano
l’impervia scala.

L’angelo frantuma l’indugio,
appiglia la tromba, sbuffa
nell’ottone l’alito dell’origine,
così frana il riparo del nulla
in me, in te, ovunque nell’orbe.

Non so niente dell’immane
boato, di quando il mare abusa
la terra e nella spuma disperde
il seme antico e le secche del cuore
costano albe e tramonti.

Quello che so è scritto sul vento,
sull’acero rosso, nel turbine spento
improvviso che innalza polvere
e nebbia e imbroglia la sera,
quella fatta di poco e d’attesa.

*

Heidegger

Sentiero interrotto,
folto che sommerge,
l’essere rifratto

non m’appartiene,
sfugge,
discende il velo

dell’illusione a chiudere
il cielo.
Quieto pastore,

con perizia riscontro
che nessuno
disperda il gregge.

*

Ubiquitas

Ubiquitas

Oggi non riesco a leggere poesia!
Ad essere sinceri, non lo faccio tutti i giorni.
Non rileggo sempre nemmeno le mie, poesie.
Cosa strana, quella che mi passa dentro adesso:
rifuggo un mondo per un altro,
smonto piani d’esistenza, analizzo
quanto più possibile. Dopo?
Mi ritrovo con pezzi sparsi ovunque,
annoiato per l’unitile fatica.
Disilluso! Questo con matematica certezza.

Ora cos’accade? Nella miriade di associazioni
che la mente mi combina,
sono ad Orta in piazza Ragazzoni, fermo
a guardare il lago, a bere l’autunno sui monti
sorbendo un cappuccio al tavolino d’un caffè.
Cosa m’importa se l’umidità spessa
m’inzuppa fino alle ossa. L’isola di fronte,
la Madonna del Sasso sopra la sua rupe,
Pella oltre lo specchio d’acque profonde…
sono ovunque, se lo voglio!

*

staccano i pensieri

staccano i pensieri
al ritmo del cuore
stanco di sonno
pulsa di luce che
scende obliqua lenta
nel profondo:
l'attimo suona
l'inizio
del silenzio.

*

Pazienza

Rintocchi lontani
pestano
l’uggia del presente,

pochi i respiri,
gli affanni,
l’odio inclemente,

mentre lente
scendono
maschere d’indifferenza.

Il gioco della pazienza
richiede attenzione
e costanza.

*

2 novembre

Il sole non s’addice
staccato in cielo, oggi:
sgela il cemento

intristisce i fiori
asciuga le cripte
invase dai vivi.

Ovunque il chiasso
sull’oltre schiarito
e dentro sconfesso

ogni mostra del fuori
evitando il decesso
preferendo i bagliori!

*

Di sera


- Di nuovo sera! –
sussurra una voce
ancora si spera

e guizza il muscolo
del cuore
poi acqua, rivolo

scroscio d’umore
quando i cieli
smuntano storie

di crepuscoli blandi,
tenerezze molli
paesaggi profondi.

*

Rami

Rami sospesi nel vento,
come foglie vanno le parole,
poche,
strappate al silenzio,
perciò vibrano per l’eterno.

Stare,
come gocciole d’umido
che sfuggono sul vetro gelido.

Il dito di dio che scrive su questo
subisso combinando nel caso,
come mostra,
e oltre l’ordito
di linee e curve…

Rami sospesi nel vento.

*

Mattino...

Mattino d'assurdo sfatto come mondo che sbianca sogni sognati
sarebbe folle non scrivere nulla con mano ferma quando pronta
è l'ardesia sconnessa da giornate di triste abbandono. Pulsa
cuore pensante in questo declinare stanco di forzosi aggettivi
svuotati di senso e di semantiche sensate. Vanno le nuvole alte.
Vanno oltre laddove esuli passi vorrebbero battere la sabbia
umida d'un passato che scivola su orme sbavate dalla notte.
Ecco, allora, che passano le anime.

*

Vita...

Vita offesa nuda vita ridotta
ammorbata e tradita, fuori.
Dentro s’affatica il pertugio
che getta nella libertà, bianca
luce sul nulla che dico, forse
sogno quando scemano mente
e tresche d’inganno e sere vanno
lucide d’acqua. Ho bisogno
di tutto l’oceano mare profondo
per lavare la colpa, io immondo
d’esistere, desto e senza pudore.

*

Limes

Io, separato dagli altri per un compito,
malato di consapevolezza, studio il mondo
infetto e tutte quelle insidie che bucano
l’attesa del cammino. A quando il tempo
giusto, l’opportunità disvelata nel formicolare
dove l’opera confonde nell’industria?

L’ultima visita al cronicario, dopo il commiato
un cero ai poveri morti, lo sguardo estremo
in cerchio con l’orecchio sordo al clangore:
tutti s’ammazzano! Come possono sentire
dio sopra la sirena cupa dello sterminio?
Sono proprio alla fine, se ho preferito
non portare nulla con me, ma messo a memoria
una sola poesia da intonare lungo il viaggio.

Saranno i passi a decifrare la mappa,
le vie dei canti, laddove tutto ha un’anima,
anche l’insegna arrugginita e divelta dal vento.
Sarò solo? Con te? Con i figli? La tua, loro libertà
mi preoccupa, ma so che con voi non rimane
che giocare la carta del richiamo alla veglia.

*

Nel vuoto...

Nel vuoto pendente vibra l’arpeggio
guizzo nel cielo fuso di biacca
con mani rotte d’afferrare il nulla
predace d’eventi di conflagrato ritorno.
Sarà un momento, certo, il singulto
che fiacca l’improvvida aritmia
col pungolo del presagio d’un male
mortale…se fosse? Brindo alla notte
da far giorno sputando nell’avello
perché ad altro è votato questo sangue.

*

Tra dire...

Tra dire e non dire tradire l’intento
gioco che scopre carte d’inganno
lingua forcuta d’immane bellezza,
pensieri di fuoco sfuggono alla rete
che comprime il tutto nella chora
madre inizio fine, profondo assoluto.
Si tesse l’inganno dell’uomo
su corde d’inattesa perfidia, ripeto,
senza troppo sperare, ma qui è diverso
sotto l’inghippo del tempo quando
il cuore sussulta silenzio di pioggia.

*

Sera...

Sera di parole morte volano nulle
in vuoti d’anime sospese e mute,
bestia braccata ferita vago solo
con occhi scuri di pianto perché
soffro male dentro quando forte
livore trabocca impossibile pace.

Scrivo versi nella risacca d’umori
che sbracano voglia di vivere
dall’enfasi spianata d’emozioni,
brullo attorno di presagi il mondo
chiude giorni uguali di noia marcia
tediosa:
eppure, cavaliere indomito
proseguo guerra d’amore per te!

E poi, poi quando su lame di luce
opache trame cadono sotto colpi
ferali frugo brandelli di plasma
emotivo deterso dall’inclemenza
e poi, poi ancora nembi che aprono
su spazi d’infinito vagabondare
acque gelide di fusione, atomi
di speranza carichi per reagire
spleen in ogni neurone d’attesa.

Dall’alto scendono gocce bianche
in vapori tattili cosicché, studio
il sublimare nelle storte interiori
del liquido che spumeggia estasi:
fuori tutto diviene fiume piena,
dentro permane statico cuore.

*

Iconostasi

Volti tumefatti, perfetti, mirabili visioni
folle trangugiare frappé esistenziali
alla salute dell’archetipo conforme.
Ai santi falsi di belletto e lustrini, ciprie
e spoglie di soli imbroglioni, preferisco
cogliere il fiore del nulla mistico e li
trovare il profondo sicuro dell’abbandono.
Cosa mai mi fotte della crisi di mercato,
dei maquillage intellettuali, degl’incravattati
in lunghe file vocianti profitto e interesse?
Dell’immagine facciata, il design industriale,
la domotica sepolcrale, l’imbiancatura
del marciume putredine ossa e rifiuti,
quando si muore così, come fato scritto
per ogni essere senziente sotto luci gialle
perché the show must go on e buona notte?
Coglierò il fiore del nulla mistico, certo,
mentre molti guarderanno attoniti con occhi
cerchiati per patto di nera disperazione.
Ora, m’inebria un profumo, vago sentore:
il fiore del nulla tra le mani e la lingua
pronta al dire l’indizio raccolto di straforo.
Lascio la comoda difesa nicchia e avanzo…

*

Come dire...

Come dire, quando ebbro d’ogni cosa
e dove, così che rincorro fantasmi spenti
d’inutile spreco.“Che la festa cominci!”
l’urlo che sbriciola l’erebo etilico
del silenzio contratto in postulati d’inganni.
Sull’abaco il computo degli anni ritorna,
prova del nove, catodica disillusione
che determina onirico hobbismo di massa.
Giace bellezza confusa, esausta di bagni
e defilè su passerelle laccate di nulla.
Ridda di parvenze, su specchi ustori
che avvampano insani svolazzi retorici
e incinerano vite vissute in emotivi coaguli.
Cosa farò, se non cantare il buio triste
dei crocicchi solitari, il bitume fangoso
di scroscio acido, le foglie morte e sole
sui sepolcri grigi, le insegne divelte?
Oltre, s’apre il tempo prima del tempo,
l’opportuno memento, il singulto del vuoto,
l’ascetica distanza, l’arcaico armonico mantra.

*

Notte di sogno

Notte di sogno incubo afflosciato stanco,
fisso il rumore del cielo grumoso di caldo.
Non è il cimbalo del temporale lontano,
forse il cuore che bussa il richiamo roco
nelle ombre cangianti del sonno strozzato.
Fuori, un manto d’ombra schiaccia sul vuoto
mentre io m’accorgo del doppio accovacciato
accanto al letto che scruta le mie membra
sudate. Chi sono, nello specchio rifratto,
nell’intrigo rosso di segmenti esistenziali?
L’io impoetico che si sbatte disperso
tra carte sdrucite e strappate nell’urlo
dell’oggi assemblato da mani impietose?
Oppure quel lui ingessato nell’aria da savant,
ma condannato ad insozzarsi nell’opporsi
del mondo paludoso d’attriti e contrari?
Mi ricongiungo nell’amplesso, io tu molti,
traccia di materia oscura sostanza di luce:
qualcuno, lontano, cerca con spari d’abbattere
il diverso, per questo m’accingo alla cerca
della molteplice identità del mistero sublime.

*

...mercoledì 7 giugno 3B foto di classe...

Dimensione distorta da “Claire de Lune” sul vociare,
in cortile foto di classe brunita in metallici nembi,
schiamazzano le fronde senza tema del vento ora più forte.
E’ ancora troppo lunga la notte dell’essere, indomito
custode di storie scritte nelle crepe del tartan consunto
da salti corse gare. Stessa grigia corte, cambio di scena,
reti rugginose alte come memoria di contenzioni forzose
quando ormai l’individuo e le sue dimensioni sono abbaglio
nel progetto d’omologare chiunque quale indefesso
consumatore di cotanto pattume sull’infinito ermo colle.

Nostra Signora dell’Ipermercato, della fiera tecnocratica,
orribile onnivoro ventre che macina inghiotte e ingolla
incauti incoscienti per evacuare subumana putredine.
Ormai i lager sono antiquariato bellico poiché il folle
sterminio comincia con la deriva social didattica
per gli abissi allucinati d’un fittizio imperio economico.

Con rischio, sfuggo all’aritmetica fobica della decesso,
lasciando ad ignari bagnanti il mare dell’apparenza:
sulla risacca, i poeti raccattano quel che resta del naufragio.

Riemergo. Sono ancora qui per coloro ai quali ho trasmesso
tracce sulla mappa del disinganno insegnando la libertà
dell’umano fare, la magia della materia bretone, che addita
l’accusa laddove si deturpano i prossimi del tempo a venire.

*

Sul confine...

Sul confine, all’estremo col dovere
di dire usando ridotte parole
per afferrare della notte tracce
d’umido quasi materia marchiata
e graffita dall’intreccio dei sensi,
occhi, uno sguardo giovane luce,
indagano laddove dietro spettro
la malizia descrive il proibito
d’un respiro con la mente che fila
gonfia del bello sconvolto nel sogno.

*

Alchimia amorosa

Le bizzarre complesse alchimie dell’amore,
sono estenuanti manovre, giorni memoriali,
quando lo cerchi e l’incontro non scatta
nell’ingegneria rosso amorosa dei corpi
per dirompere laddove e quando solo carne
s’avvampa di quella vita viscerale e opaca
che sconvolge ogni umana simmetria
nella passione.
Non conosco molto, oltre
l’anatomia spicciola, i minimi massimi dovuti
all’igiene, le clausole soporose dell’educazione
affettiva, eppure ho intravisto che in origine,
questa natura sessuata, ombrosa e materica,
gioisce in parole che tuonano benedizione.
So solo che la pura libertà dell’atto ha un costo,
per scalare e vincere le prurigini dell’ipocrisia.

*

Scritto in blu

Scritto col blu, come i pensieri che mancano,
le paure che stramano, il bolo d’amaro
che soffoca e che sputerei con tedio.
Maledetto
il quotidiano quando tradisce in –ismo e si fa
l’ideologia del tutto che vorrebbe forzare l’esistere
nel vivere, ridurre il panta rei nell’ordinato
compitino di biologia marina o in qualche scolare
reazione di chimica sentimentale. C’è di più se Il y a,
ma dove come quando e ancora: perché?
Sono stramazzato sulla scacchiera! Quale mossa?
Mi lancio in una variante, sacrifico il cavallo? Scacco!
Ora il rischio dell’assurdo strozza, dita di morte,
e rimane quell’olezzo infame, ovunque…

Scritto in blu e sottolineato in rosso,
come inaspettata correzione al tema, ma da chi?
Forse il destino? E perché? Oltre lampi tuoni e procelle
qualche deuccio da parata spocchioso e vile,
univoca proiezione dell’ipocrisia umana quando
non scommette sul fato e preferisce la quiete
disperata del nulla, l’ipermercato dell’idiozia,
del qualunquismo in sempiterna promozione:
avanti voi, nell’impero del tre per due!
A me, però, comincia a fare un tantino schifo.
Lo scrivo in blu, correggo rosso e sottolineo nero.

*

Una sola moltitudine

Fu Bernardo Soares, Alvaro de Campos, prima
fu mastro Caiero, dopo i due Reis e i Search
in ricerca di sé e chi sono. Ancora: Teira, Mora,
di nuovo Pessoa, colui della pioggia obliqua,
la chuva stilla del cuore, in seguito i molti sperduti
in quel di Lisbona: ricordo il mondo prono
sull’oceano furia antica col maschio Tago
che scuro penetra profondo il tepore del mare
fecondo di embrionale pneuma, brodo, passione.
Poeta trafitto, Fernando, il bicchiere gelato
tra le mani, un mazzo di lettere giocate
su promessa scommessa d’amore nel turbine
sinuoso e femmina del Fado cantilenato su nenie.
Bramata sfortunata Ofelia, corteggiata tentazione
in lunghi tramonti di sangue, spremi inchiostro
per carte essiccate nel cimitero di bauli e schedari.
I molti s’annullano nei diversi e vociano
vita non morte agli io/legione garruli d’attesa,
muto demone per inquieto dolce stormire
della burrasca estrema che smorza nel fuoco.
Bussano. “Avanti!” sussurra il vegliardo sapiente.
“Entrate, qui attorno c’è dio per tutti!”

*

Ruggito...

Ruggito roco d’immaginazione
tradita sorte di dadi gettati
sul calpestio polveroso e sozzo,
per omissione d’infamia mi spezzo
le unghie per strapparmi via dal ventre
squame d’insensibile vivere sommerso.
Oltre il giusto del cerchio si ritrova
il quesito che interroga il tranquillo
decedere del tempo.
Rosso sangue
sono sempre i tramonti per chi giura
guerra al destino: basta una rapina
ai danni degl’idoli incrudeliti
dal furto antico del fuoco, coscienti
che l’industria consuma spazio sacro
all’esercizio della vita semplice.

*

Essere come...

Essere come appesi all’impossibile
già il titano con urli s’alza tetro
come JHWH che cavalca le nubi
e con mano possente sbaraglia
dei filistei le torme innumerevoli.
La poesia cos’è?
Il boato sordo
del silenzio che si distende piatto
e ronza tutte le parole dette
sotto truffate stelle: quale segreto
ancora velano ai poeti d’oggi?
Nero d’asfalto, lamiere e carcasse
e questa terra desolata e stanca.

*

Vento...

Vento, vento che urla monti vitrei
lontano da questo mattino freddo
che ancora giace molle intorpidito
da un sonno non giusto.
Nella serata
mi sono attardato a giocare troppo
danzando con le falene impossibili
coreografie letali d’amore.
Intreccia, monna Vanna, le tue piccole
mani alle mie affinché rinserrandoci
nel caldo dell’amplesso questo vento
sferza furiosa non scombini il gioco
del vagheggiare senza mai trovarsi.

*

Una chiocciola...

Una chiocciola appesa al muro striscia
bave interrotte nel groviglio fitto
della clematide in fiore. Adesso,
dopo la collera d’un terremoto
domestico, catturo la struttura
dell’azzurro che stempera il crepuscolo.
Con negligenza studio le funeste
equazioni che sguardano sul bene
delle cose che troppo poco contano
nei commerci brutali e nello scippo
sulla trama d’esistere. Tu sai
quanta fatica cerco di prestare
con l’impegno indefesso e incaponito
nel tentativo onesto di non perdere
le staffe del decoro. Almeno un tempo,
nel remoto Olocene muovevamo
passi con estrema circospezione.
Se pure i ragni cantano le note
della rugiada e vibrano al singulto
della mosca predata e persa anch’io,
che per umana viltà ho interrotto
il contrappunto dell’ombra fugata,
posso sperare nel baleno amico.

*

Fu sera e fu mattina...

Fu sera e fu mattina si può leggere
nel mito antico e nel tempo scandito
l'oceano che inghiotte e slava vite
d'ignaro palpito...poi ancora batto
il barbarico ritmo del richiamo
nel solco d'un giorno qualunque speso
in faccende di poco spessore e conto.
Che ci faccio adesso, qui, spalmato
nell'attesa che transiti il banale
che sfoghi il temporale nell'elettrico
tripudio quando il forte degl'abbracci
smorza l'ansia dell'essere all'altezza?
Questo cielo di lana delle Erinni
smunto di lacrime scritto d'inchiostro
m'invita all'adunanza dell'occaso.
Basta, m'impongo! Sono ancora poche
le rondini che venerano guglie
e campanili: devo far memoria
di come sanno trovare l'indizio
per non smarrire la strada di casa.

*

Uccidere un poeta...per Zarmina

Uccidere un poeta, perché? Forse
perché dice il mistero della notte,
il segreto taciuto della sera,
la bianca luce dell’aurora.

Per alcuni sarebbe nulla, questo,
per i soliti stolti – a voler dire
poco – l’immane bestemmia rivolta
a un idolo muto di morte.

Così passano e vanno i giorni tristi
di vite clandestine per se stesse,
mormorate negli attimi rubati
all’ingiustizia del dolore.

Zarmina, donna d’un crudele oriente,
laddove ancora s’uccide il diverso,
colei che vive per l’stante magico
dandosi al pudore del canto.

Non è più tempo di favole, ora,
ma le stelle trapuntano il tuo nome
e brillano di quell’amore a te
negato dai legami di sangue.

Io posso solo sussurrare il tuo
ricordo, sognare un mondo migliore
e beatamente illudermi che l’uomo
possa esser meno animale.

*

ode di maggio

Ode di maggio

Quanta stranezza in questa primavera
che ancora gusta d’inverno in quei volti
cupi di morte inflitta per condanna
d’un sistema corrotto. Tempus fugit,
suono su temi bruni d’abbandono
nel controcanto della sera molle
mentre discendo gironi gremiti
da disperati ignari del naufragio.

Sono andato nel bosco, ieri, senza
troppo pretendere al solo vivere
e cosa rubo alla saggezza d’essere
quando del poco midollo lasciato
non riesco suggere neanche il sentore?
Sono rimasto sul ciglio del tartaro,
fermo a guardare, tralcio nel tormento,
coloro affranti d’emaciata attesa.

E’ che io non son fatto per la guerra
richiamato dai molti immiseriti
che già contestano per la dignità
persa a modico prezzo nel baratto
d’idee ormai fiaccate dal conflitto.
Alle vedove non son più conformi
quei peana intessuti da tiranni
loschi, gonfi di boria e indifferenza.

Provo a scrivere qualche rima sparsa
sgrattando cancrizzati sentimenti
per meglio mordere umori glassati,
anche se queste timide parole,
ancora prima di staccarsi libere
dalla penna, già sanno di poetico
aborto: quando torneranno i giorni
buoni per trafficare umane lettere?



*

Lascio...

Lascio quartiere alle parole affinché scorrano via.
Questa cachessia di appunti è il brogliaccio
delle opere e dei giorni che consegno alle muse
stranite per quanto e troppo vicino decede.
Ormai, di ieri ho scritto tutto, anche di quello
abbandonato alla livella del tempo e sprecato.
Adesso, qui, m’ostino ad osservare per il dopo,
quando tornerò sulle pagine scritte a bere il sentore
delle emozioni vissute, spillate sui fogli gialli
di fragranza, cotti al tatto, come pane quotidiano.

*

Contrasto

Ebbene si, leggo e faccio poesia! Qualcuno
potrebbe obbiettare che si tratti di follia.
Così rispondo, sopra le spoglie di questo giorno
compiuto sul rimare ostinato: forse è immensa
mania per quel demone vetusto che scrolla
e che a terra ti sbatte se non strepiti il suono.
Ora mi bastona in testa e tambura immane contro
le tempie e perquisendo nel disordine atro
ti comprime sbrindellando quella proporzione
bugiarda della mente che consegna al poetare staccato.

Ma ecco l’incanto riuscito. Magia dei versi
che quietano il tumulto del diluvio, smorzano
la combustione delle emozioni, riassettano il talamo
alle passioni. Dunque ho scritto. E’ tempo
per il silenzio raccolto gemmante di spore
creative che impillaccherano le dita. E’ tempo
del medicamento per l’anima, quell’umano
impiastro per calmare le contusioni dello spirito
e ridurre le ulcere interiori. Sarà acciacco
questo, ma percorso d’amore anche se bislacco.

*

Parmenide 1

Tenebre assassine voraci d’incubi,
ho attaccato le cavalle al carro, ebbro
di sogni inconclusi e via, voce a succubi
pensieri, con stridore barbaro di ferro
sulla strada dei numi.
Madre oscura,
grembo profondo, l’ombra dura
strazia remote emozioni d’amore,
calce spenta, quartieri e suburre,
ferrofuocofiamme, pietra che frana.
Sono fuori, finalmente, sotto un cielo
rigato d’aurora, vetro infranto, coccio
(un mattino tetro m’attende). Un rogo
avvampa la carne: per troppe estati
ho ceduto all’inganno di lingue forcute
per frotte a due teste d’insana mania.


*

Sera

Sera

Ecco, è sera. Di nuovo un imbrunire.
Osservo delle sporadiche nubi
tracce leggere che vanno nell’oltre.
Gusto in silenzio il piacere del fumo
(non dovrei cedere alla tentazione)
e tanto lieve quest’attimo affonda.

Scorre. Troppo veloce scorre il metro
d’un sospiro, che naufrago nel ni-ente
dell’essere. M’aspetta il caffè forte
che addensa aroma in volute fumanti.
Lo stacco dello scrivere, sorretto,
apre allo spirito muto l’attesa.

Cosa ci faccio qui? Non trovo scopo
che sia ragione all’affanno. Pretendo,
subito, tutto il silenzio negato
dalle mondane occupazioni. Basta!
Dico convinto a muso duro. Vengano
gli abbracci appassionati della notte.

Mi bevo di quest’anima il profumo
che esala d’immortale infuocato
amore, quello che transita dopo,
se troverà e quando primavera
nuda da falsi pregiudizi e scorni.
Ed ora? Lascio che parli il mistero.

*

Cosa...

Cosa riduce in nulla l’attesa?
Calma sospesa spinge a disperare
che l’attimo trattenga il singulto
dell’essere che spasma. Io scrivo
senza pretesa e lode e infamia, cupe
parole che inghiottono amarezza
esistenziale e rabbiosa poltiglia.
Poi che accade? Improvviso il miraggio
sbatte grigio sul viso ogni affanno
che un risucchio di passioni rimonta
in amorosa marea. Percossa
morte villana e atroce, vinta, alfine
posso appendere l’arco al cielo chiaro
di primaverile freddo riverbero.

*

Pasqua di neve...

Pasqua di neve alta su rocce acute,
il cuore scoppia d’emozioni forti
e ritorti pensieri minacciosi
nembi oscurano paesaggi morti.
Non concludere, amare di quest’ansia
tutta la forza barbara e remota.
Rintoccano campane a martello
ed io che stento ad esser fermo a scrivere
qualche timida rima perché pesa
il guardare laddove incertezza dice.

Me ne stavo tranquillo a ragionare
di quell’amore che cela percorsi,
così ebbro morsi l’istante al fatuo
mentre in disparte, attonito attento,
imparo l’arte dal gatto lupesco,
e di tutte le bestie e degli umani
carpire indizi necessari al fare.
Quando stanco d’andare, mi rincuori
e mi sostieni tu, compagna scaltra
dritta nel gioco dei sogni razziati.

*

Ho appena...

Ho appena terminato di scrivere,
non so ancora il modo, ma è capitato:
una parola tira l'altra, ricordare,
voglia di raccontare, e poi sospirare
nel tempo ormai giudicato passato.

Un bicchiere di vino, alla fine,
fresco di frigo, aperitivo,
prima di venirti a stringere.
Una corsa, sono in ritardo,
ho rotto il silenzio narrativo,
sono andato al largo per gettare
le reti della beata vocazione
perdio e per come: arrivo!

*

Fine marzo

Fine marzo, un sole che scalda e inganna.
Ho da poco smesso di far lezione: giovani
pigri, filosofiche tirate, appelli lontani,

e che bello ora, qui, musica del silenzio
sotto e qualche timida rima senza screzio
s’insinua tra le grinze arrossate del vivere

con giusta rabbia, poiché can che abbaia…
Studio il mondo attorno, un’ombra di noia
vela stanchezza morale e che importa dire

per adesso, se non trovo peana d’impegno civile:
affonda lo stivale, lento inesorabile vile…

Non sono mai vissuto con senso di patria,
sangue e suolo, lingue dei padri io che crocido
tra domestiche mura una koinè di pianura,

una broda di novarese ed altro volgare eloquio.
Mi sento umano spurio e di confine estremo,
il diletto del precario stare, in limine conviene,

poi l’attesa…Fuori è bello, luce del balcone
dove i butti del glicine avvinto alla ringhiera
ottengono il mio spirito indagatore.

Ho figli da crescere! Rinnova la nenia del dovere
dopo l’audace singulto della poetica franchigia.

*

Guardo fuori

Guardo fuori, dall’alto.
Algidi monti, distante solitudine,
mattina rosa di luce tagliente.
Attorno lavorano i ragazzi
nella finzione del quotidiano impegno.
Dopo un istante scosso da smarrimento
torno a contemplare nell’oltre.
Tetti rossi, selva di ritorte antenne,
brezza tra gli alberi, qualche ramo spezzato
Riconosco vette che ho asceso,
sentieri remoti, larici acuti nel cielo terso,
roccia, neve, ghiaccio: smarrirsi nel folto
mentre un fortunale tormenta i pascoli
e gli scrosci battono i ritorti rododendri.
Il volo chiude troppo repentino
mentre amareggiato mi ritrovo.

Duro lavoro quello del poeta
ormai smarrito tra burocratiche occupazioni
quando le sudate gualcite carte
a null’altro servono se non a complicare
la già pesante quotidianità degli affanni.


Galliate, 5 febbraio 2011

*

Febbre m’ha colto

Febbre m’ha colto. L’oscuro malanno
di graffiare con segni il nero sul bianco,
per questo vado errando nel vuoto
da quando il tempo s’è bevuto
l’impossibile. Cerco una scusa, per me,
in quanto scrivo, anche se di scuse
non riscontro ragione.

Quanto è stramba la vita nell’assurdo
ritorno ossessivo di situazioni
complicate ed illogiche. Per non cedere
all’inedia incipiente, districo
garbugliate matasse d’esistenza.
Assorto non m’accorgo che tu sei qui
e della luce intensa che m’acceca.

*

E’ sera...

E’ sera, ormai, tenebra crespa e taciturna
sospesa tra rade luci grigie di stanchezza.
Novara si ferma in qualche passante ignaro:
sono veramente rari i volti quanto troppe
le facce dure di pietra e così smunte di vita.
Sarà l’indifferenza, dico, magari l’estraneità
che avverto montare languida, una marea
oscura d’abbracci muliebri che asfissiano
ogni entusiasmo nel sopore del conformismo.

Aspetto. Scruto la prospettiva ricurva
di via san Gaudenzio riflettersi nel porfido
lucido di gelo. Il freddo, finalmente
di stagione, accompagna quest’ultima decade
di febbraio, mentre s’ostina a pungere:
m’accorgo, contandoli, dei giorni trascorsi,
ecco perché ora, qualche essenziale pensiero
prima di tornare, si, senza rimpianto
nella sfericità infinita dell’eterno essere.

*

E mentre adesso

E mentre adesso, quando riempio pagine
col quotidiano nonsenso che scrolla
interiore malanno, fuori il sole
scioglie caligini che grigie addensano
in grumi la disperazione in cielo.

Sgranano ormai questi giorni d’agosto
che mi ritrovo con le mani sozze
di quanto ogni tramonto ha trascinato
nel remoto abbandono dell’eterna notte
dove ogni folle speranza scompone.

Sembra che manchi luce nei tessuti
che fanno carne eppure finché muore
quella pesante parte di me, l’ansia
barbuglia nello sforzo il sortilegio
antico: con prudenza estrema,

ti sussurro impossibili trame.

*

Discanto

Discanto

Un muto discanto: parole che non trovo
su corde esauste per tensione spezzata.
La debolezza del suono fatica
ad evocare dal sogno versi che incespicano
di rozza fattura: interrompo l’ardimento.
Fuori, nel verde arroventato sbava
dal silenzio l’uggia dell’eternità.
Un bordone di passioni contrappunta
gli intoppi di una giornata
così, nella diversità del vivere
accolgo l’imprevisto come altro da me,
sigillato nel tuo sguardo sereno
d’attenzione nel fare la magia d’esserci.

*

Basta!

Basta! Mi rilascio nell’alito del mondo
senza fissi orizzonti, testardo toccando,
nel tetro carcame, leva sulla cagnara pesta.
Capita, talora, d’incalzare il tribolante labaro
del caso così di carne e sangue far festa,
per perire nello scempio sordo imprecando.
Quale contrappasso, muto fiacco ed amaro,
troppo si ciarla d’equilibrio e coscienza,
sragionando d’amore in pazzia e presenza.

*

Buon tema...

Buon tema per i sentimenti, un clima
alternante fino alla volubilità
per un singolare autunno. Quale natura,
quando sono evasi i giorni d’estate,
smorzati in improvvisi burrascosi scrosci?
Alla malinconia ben altro necessita
piuttosto che un languida mitezza poetica.
Preferisco le lunghe grigie giornate utili
per separare il secco dall’umido.

*

Come Icaro

Come Icaro


Quel silenzio, il vento tra le prominenti fronde
laddove alto osa il nido della gazza
e marzo che scuote le gracili frasche
mentre il caldo indugia tra gemme pigre
che ancora indugiano prima di schiudersi:
così la crisalide dell’anima, dentro,
nel viscerale nulla gonfio di cagliati umori,
inquieto di rimanere abortito embrione.
Malgrado l'alitare fioco dello spirito,
le ali costano il sacrificio dell'attimo:
e più in alto cosa?

*

Accade...

Accade, certi giorni, che la vita
s’avvelena e non sai come scovarne
la causa. Scopro la fiacca di lettere
stantie, anche perché il mio trovare
costringe nel volo dell’ inquietudine.

Ho solo voglia d’andarmene via,
ora. Qui, ormai, tutto è guasto di fiele,
l’umano limite morto d’inedia.
Allora, fosco d’entusiasmo
t’affanni organizzando e scopri che,
quando prepari tutto e tutto è pronto,
l’idea del viaggio spossa prim’ancora
di gettarti alle spalle mesi stracchi
di dura insonnia e preoccupazioni.
L’amaro gusto del tagliare sciape
consuetudini getta fuori
tanto che senti la nudità cruda
e scruti l’essere pulsare forte
nell’apertura della quieta vita.

L’ispirazione, mosto ribollente,
trascina nella schiuma dello scrivere
ovunque. Fitti intrecci di versi,
trame schizzate nottetempo
su grigia polvere rendono anima
al gusto del partire.

*

...ecco...

Ecco, silenzio di morte notte sospesa
di presagi, ho smarrito la bava del sonno
inseguendo il dire atro in metrica offesa:
improvviso, da uno squarcio, paure che vanno,
un mare amoroso di sguincio nell'intrico
di selva nemica. Lo spirito scioglie passione
volando alle risacche lente, e così dico
smarrendo ogni diruta presunzione,
quanto è densa la dolcezza dell'attesa.