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Raccolta di poesie di Simonetta Sambiase
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Devo dire a mio figlio #SaveAshrafFayadh

#SaveAshrafFayadh

 

Devo dire a mio figlio

che c’è la confusione

e ci sono i dolori

c’è un carnefice ogni cento vittime

e la macchina del mondo che si muove attorno

nessuno vuole farla smettere

la spia è sempre accesa e silenziosa

poco ci importa che siano gli altri a mandare dei lamenti

poco importa che le ruote che girano calpestino davvero

nessuno vuole guardare e affrettiamo i passi.

 

Che c’è il potere

e ci sono gli idoli

c’è una cima sempre da assaltare

e  mille facce da indossare per restare alti

e nessuno vuole sentirsi smesso

mettendosi nei panni dell’altro ci si impoverisce

la polvere  la si getta nel cortile del vicino

la croce sulle spalle dei poveri cristi che tradiamo

ogni silenzio può aprire una tomba.

 

Dovrò dire pure qualcosa a chi tra noi

ha detto che ci vorrà coraggio a chiedere vergogna

e chiamare amico un uomo maledetto

e chiamare amore una patria tiranna

che ci vuole umanità nella confusione e nella polvere

darci pace e vivere

 

e chiedere libertà per chi hanno costretto ad un solo pezzo di cielo

e trova ancora poesia per scriverci sopra

 

*

Il ritrovo dei luoghi è grande

Il ritrovo dei luoghi è grande 

ma solo se ci si ferma

verso l'opposto

tutto si contrae,  

la polvere che imbianca

un letargo di silenzio

è la maledizione dell'oceano d'occidente

che corre da quando è nato

fin quando siamo nati e (s)corriamo

cataloghi a pagine di vene minori

città irregolari, folle eterne

desideri di vette immobili e transumanze

come saturnali

vorremmo essere 

impossessati e possedute anche a pezzi

fino a filtrarsi attraverso il tutto dell'inizio. 

 

 

http://www.rivistadiwali.it

*

per Else

 (per Else L-S)

Torno a vivere viva

con i miei sognagli neri 

che hanno il chiasso degli inverni, 

i risvegli dei letarghi

che scorrono nelle grondaie 

una musica bruna che gocciola

molecole di neve e gatta

mi vedo, 

pelo ed occhi avvolti d'acqua

pelle di frumento e scintille

mi addenso fra muri di ghiaccio

che conoscono così tanti segreti

un'infinità

di rovesci e guaiti e muscoli bassi

creatura e madre linfatica

per sempre frazione

stagione peccante ed impigliata di vita.

 

***

(Ps - auguro a tutti voi\noi la serenità per le feste che arriveranno. Un abbraccio. Meth)

*

INVERNO - ultimo atto

Di lunari. Ma sopra (al) tutto

d' agrumi si spingono i riflessi del bianco

le ossa nei fiocchi che cadono in terra

il gelo - come in moviola - rapisce la neve.

 

Chi è fuori gocciola di nebbia

fanno penitenza gli omini che slittano sul ghiaccio

ma anche le donne che corrono leste alla tana 

con orecchie di lepre. 

 

La teoria dell'inverno

reagisce ai calori e ai pulviscoli.

I filari, come croci scalze di vita

si snebbiano nei lampioni.

Altrove,

in una sala con un letto e un balcone

ci alziamo a stento 

e mettiamo tutto in ordine 

 

poiché s'attende e l'attendiamo 

di traverso o in stato di riposo

quello che potrebbe attraversarci

e farci riposare in nuovo dominio di ghiaccio

 

*

D’incontri e altre cadute

 

 

Al buio dei simboli la ritroveranno sola

 

inoltrata nei segni come pietra tombale

 

che l'emarginano il nome e i confini come tempi di regni

 

sebbene abbia imbevuto la lingua nei tesori e nei buchi

 

come i cani a lappare 

 

come i globuli neri a scappare

 

 

 

 

 

Per chi crede nei segni

 

a caduta, ho trovato un corpo

 

a solchi, era fallato forse, girato alla testa.

*

Fuori fuoco

L'intera vita soltanto

non fosse ed invece sia suo

mondo, il vulcano

era alla radio, in un'onda di furia:

(sono stati giorni d'incendio).

E vi dico 

bussate e vi sarà dato

chiedete e sarà spalancato

il tempo bruciato e

s'inquietavano le linee della mano

in eccentrici fondi ciechi

mentre circolavano cristalli e qualcosa di fatuo

come pensieri turbati

ci si buttava in guerra sebbene

non si costruiva né si commutava

la commozione di venire alla terra

in un'esplosione ignea che spiana

il graffio di ogni spazio filiale

che s'adorna d'aeriformi occhi

che splendono 

come chi ha avuto fuoco 

nel corpo del padre e della madre. 



 (Le strade della cultura 2012

Guardia Lombardi)


*

LUNARIA - le ultime fasi


III


Rende la carne greve

quel pensiero

come sceso dalle fate 

o dalle sagome caduche 

in un freatico silenzio d'Acqua

la cellula che le compone il cuore

globuli di poesia delle domeniche

allegre fisarmoniche in ipossiemia di sensi. 

Ma quando cede alla mezz'aria delle sue voci

si mette a girare nelle dighe

nelle secche, nelle mosche

è quella che appare 

traspare

come la miseria frusta.



Ogni sogno è sgrezzato,  

lavato, (ri)costruito,

come la prediletta figlia femmina della Luna

volante, fra le miglia delle piastrelle

dei fiori di limoni

un'essenza, decantata

un canto dall'altra riva

sebbene prenda a macete il primo quarto 

- che quindi cala a fasce -.

Così è spoglia.

Le hanno asportato il male dei dubbi

incuneato il reale dei vivi

spezzandole il braccio, nella via dell'indulto.



IV


(Ah padrona)

spettro nero

diafana

con le fibbie slacciate nel fiato

finché si stende e si rialza 

riordina le scarpe per uscire scalza

a guardare oltre il firmamento

e trova il Magreb 

e la licantropia che le gualcisce l'anima

incomposta, allunata dei sospiri

rincorsi, (ri)corsi negli uomini al metilene

l'ansia chimica dei ricordi assimilata

all'essenza il nulla, l'attesa delle stelle

la testa inciucia pensieri

sottopancia, girata nel dorso, 

fuori

nel cuneo soffocante della bassa marea. 



(inciucia: racconta pettegolezzi, ndt)


*

Lunaria

(I)


E' la vista

la safena imprevista

che s'insabbia

nel dominio dei sensi in festa

soprattutto espone la marea

per mandare tutto in oca

e si svergognano le donne in rabbia

come nel flusso degli alberi i fianchi

l'alta paga dell'immortalità

muove sottomessa

stregona compra un anello

e si fidanza con se stessa. 


(II)


Svanire nell'aria

faccetta bella, è un allunaggio

sebbene le macchie lunari si frantumino

poco e vivano nel più 

degli errori e delle inesattezze

e se tornare indietro sarà un lago

che non bestemmia mica

a queste braccia di cinabro e mal'aria

ogni singola parte (mi) sarà contestata.

Allora possa io risorgere,

rifluire

staccare, 

spianarmi

nel moto del viaggio che sarà breve, 

- mettetevi comodi - 

e in uno dei varchi la risurrezione

delle facce, 

tisiche e fuori fuoco 

(mi) contenderanno la riva

macabri tridenti e rialzati in loco,

finiranno, in buono spirito, in un'acetaia

e mostreranno due lune

tre soli ma ancora una sola vita

vecchia.

 

*

Scosse in un chilo di ciliegie


Nel rosso 

sono sanguinose pavane.

Ascoltale di giugno, 

sulla vecchia strada cuntadena

palle dolci, rampini, ciliegie,

si rinchiudono

in un peso innocente all'ora ma

delibarle su una sedia zoppia

come uno stato di dolore, mi scuote.


Non si negano le stagioni

tuttavia si rimpoverano, in quelle terre

i figli masticano a misura

le crepe scampanano

le falde ossificano

a volte, la terra è guerrafondaia

ignomina la raccolta

da ciò che attende di crescere  a Vignola. 


*

acronimi Rimpianti

Oscillare come campana di castello

rappresa e riappacificata e

giù, le sale dei sensi spaiano

i banditi né svestono né sdradicano

attesa: è l'inaridire dei lombi



*

acca

-H-


Non è l'acca la muta

né l'aspirata la lettera che crolla nel nome

si spezza è un cerchio

di altare gotico imperfetto

che rinnega la fonte

e l'Eden (ri)diventa muraglia

una spalla, un arco, una traccia

s'incompleta

come il riparo della pars fortunae

si proietta 

e ne viene capovolta

ma non ne scappa

è impigliata

in una piantagione di alta vita


s'accartoccia e si spiana fino ad essere catena

e le due parti di ogni te\me

s'incenerano 

inflaglandosi nel persempre Altro.




http://caponnetto-poesiaperta.blogspot.it/2012/04/meth-sambiase-due-frammenti-e-un.html?spref=fb


*

San Giuseppe

Si consuma Peppino,

in svariate frequenze desaparecide; 

tuttavia il contenitore 

dove la safena ha preso la via della cenere

è ancora lucido, 

aggregato nel marmo con dei fiori di plastica.


Te li ho portati quest'inverno 

incorruttibile averno, 

incrociati con il cromo dei colori vivi

alla sagra delle lacrime orfane

discendenti

da quelle note che suonavi

come curling su un piano di ghiaccio,

acciaio morto 

incrostato da cutine di ricordi

dove il padre 

non ha mai smesso di essere l'amato.


*

Il cordone dell’abbandonata

Eppure sono annimillenni

che vibra il bianco nel cielo

nessuna ha imparato a cavarne dell'aria 

sono prigioni 

i colori spettrali di un unico azzurro

senza neppure violacee passioni, solo una gabbia

in cui catturarsi per essere amati da basilischi di sperma

che godono liberi la loro pelle di filo e barba.


E tu donnaiolo, davvero sei poco poroso?

Il semplice noi si ottiene dal breve spiegare

toccavi e guardavi 

nei miei occhi palude

la testa era calva con un'unica treccia

avrei dovuto portare un fermaglio e chiuderti dentro

crearti gemello senza corpo né gambe.


Ancora sei bello e io, scandaglio il mio doppio

la disputa s'interrompe eri tu che scindevi

che buffo - diplopico il nome  - alteravi la visione

aspettando di morirmi per lesa dedizione.

Allora ero un buco? 

andavo sversata non solo linciata

lasciata deserta di posti comuni e mogli inquietanti

la dea rugata per troppo nitore. 


Di tutte le dee morte davanti ai plotoni

ti chiedo di ricordarmi come quella dei gatti

credo fosse egiziana, dal corpo sinuoso

un poema in un plico da perdere subito

prima che il mio nome passineltempo mediocre

fra il nulla che ero e l'eterno che avevo.


*

Dell’asSenza

L'inaspettata stranezza è l'assenza.

Esser il lutto di se stesse

non porta invidia 

nè rassegnazione

è una piacevole atarassia, 

quasi il benessere.

Se sia in anticipo

è inattivo e viene prima della fine

se mai sarà legale e consenziente

o se mai io mi riconoscerò

contro

tramutata in eterno.

Discorrevoli, quasi fluttuanti

sono i ricordi, quasi miraggi,

allucinazioni prospettiche

eppure

l'illusione non è la percezione del finito

è il giro del dito che muove la palla

la scala a chiocciola la ruota che manca.




Non attendo rivelazioni

potenze e peccati 

l'alfa dei giorni giovani mi avvolge scomoda

l'omega delle notti mute mi solca la carne

ero su un'isola galleggiante

giovane onnipotenza orfana di confini

si, sconfinata.


Matrice invertibile

rigida scorre

l'anticipo è il freddo che chiude

il bozzolo di luce che genera ombra

la funzione è monotona,

tempo che scorre, che scorre nel tempo,

avvolge e invade

come una carezza imposta

il fervore dei fianchi 

che si slegano lenti.

Eppure non è mai stato un solo lato

quello su cui riversarsi e dormire

un solo letto un solo flagello un solo signore

l'immutevole noia dell'unico lato

lancetta maiuscola che divarica il tempo,


il lato è l'anticipo perfetto

bisogna segarlo per porci una fine

divaricarlo come gambe in amore

e rinascere spira 

molecola in eterno girare

e scendere giù dal cielo 

si, ricreata


E' un anticipo di inattività che verrà

verso la fine se mai sarà riconosciuta

o se mai io mi riconoscerò

come vita tramutata in esterno

madre gambero, una corazza coi buchi.




*

Post vita

La corteccia inquieta

sfalda le orbite umane

Si, posso sentirne l'infarto

ma i bimbi da prendere a scuola

m'inginocchiano il respiro



*

L’esilio del vento

Ogni paura è vicina

nei denti, non basta alla notte

si stringe, si cola, s'oscura

di sabbia  - pastura - d'incerto

permane una stilla, un piccolo buio

si sposa ai tuoi fianchi

guerreggia, s'incunea.


In pietatis, era vita e nei fischi

fra i denti eran lupi, 

rondelle imballaggi, li senti? 

ti passano sopra e sono folate.

Ti vanno a sottrarre, a coprire

son cupi, i giorni passati   

e tu sei smarrita.


(è quindi penombra

un fior di passione così ultravioletto

quest'alba lontana, città passiflora

non è obbligatorio per sanarti il libeccio)


Lo senti? ti passa attraverso

fessure dagli occhi

da sola, percuoti il segreto, 

la fame è rancore di soli incorporei

figure di ombre, figlioli fatati

sei fievole, scarsa, di mala cagione

un bastone da cieca lasciato nel letto

è questo il tempo di chiudere il vento.


*

L’augurio a Dio e all’anno che scocca

di Meth e Nabil Nada


E' l'augurio e che il tempo ti sia propizio

fuori dall'uscio una volta culminante

e novizia, indistanziabile, non confusa la luce

ne divisa in quarti e mezzelune

che sia estromesso l'instabile

un aggettivo  di (in)umana separazione


L'emorragia dei giorni, 

del nostro secolo corrotto,

supremazia, sistema, gloria 

e democrazia

parole come foglie di nebbia

in orizzonte sfumano. 


Il tutto, il nulla,

l'uguale il differenziale,

l'uomo senza dunque, la donna non mutilata

la mosca sul bimbo, la spina nei piedi,

l'assegno sociale, la via di Damasco,

i passi di un essere gambero, invariabili come pensieri.


Il vento bisbiglia il tuo cuore umano,

grovigli di pensiero piangono,

notte ribelle,

stelle sparse nell'universo.

Ma ancora non è tardi,

abbracciare Dio e rinnovargli gli auguri


Perché è nel dentro (avrei potuto) l'antico

l'origine si confonde e trascorre, 

aurei si sobillano i sensi pieni di grazie,

nel possesso di un futuro destrorso

avresti voluto sussurrare la guerra è finita, 

è gettata di ghiaia nelle dita di bambini e aquiloni. 


Perché è nell'ovunque il cielo

dipingeteci comete d'innocenza, di pace 

rinasce, non dorme.

E tu, Homo Sapens

sii creatura di Dio

qualsiasi sia il suo nome.


*

Povrett!

Non sono inumano\a

ho sempre delegato e non rifiutato

non è un impulso non sono imputabile, 

perché in principio Dio creò i meridionali

(i napoli, soprattutto)

le femmine brutte e i ricchioni

d'altronde, come possa io trovare il biasimo

non nei diritti ma fra i rovesci: lo negheresti?

Noli mi tangere, li ho avuti sui nervi

(una dichiarazione d'intenti)

nero su bianco, ogni bene a quelli che vendono 

gli occhialini in riviera, li compro sempre

(poverett) per trenta soldi così li moltiplicano

come i pani integrali e i pesci tropicali

e i cinesi? pago una candelina ottocentesimi

da noi ne vogliono due euro

non c'è paragone, è a getto continuo

non stanno con le mani in mano

ha detto quell'impiccione del terzo piano

che non li vedi dagli imbarcaderi

ma negli aeroporti più illuminati

mormorano non urlano non ce n'è uno alla morgue

(rin)civili, senza un impiccio. 



http://www.poiein.it/autori/000_NeWS/elenco.htm


*

Il marinaio alla porta


Perché se arrivi

si intonano preghiere

laiche di vertigini,

di maree con cui mi ossigeni, 

ribaltandomi in ogni incavo

fino a chiudermi nel bozzolo del lenzuolo di sotto

bolla di pelle

tana calda mentre fuori c'è il letargo, 

fuori si muore nel caldo.

Ancora il meriggio è una magra guerra

migri nei tuoi lombi d'orso

e mi svezzi come donna di lupo,

e mi sfinisco fino al Plenilunio

(la piena della Luna),

la sua lievità sembra contrarsi

un impercettibile respiro

e bisbigliano fra loro le ombre

come un uccello della tempesta

sottomesso nella resa alla gravità.


Resto sconfitta

e vibro solo alla tua corda

unico nodo;  mi sciolgo

sgocciolando di fiato

gravandoti nella bocca:

la madreperla non è mai bianca

e il resto è tutto nel contorcersi dei denti.



*

Paranomasia

E' monotono, 

non diminuisce non aumenta,

si sbilancia, si trattiene 

un ritmo, perfino possibile da guardare,

nel punto più caldo, 

la coscienza nera come un delta allagato. 

Il taglio dritto dell'abito

tempera il grosso seno dalla parte del muscolo del cuore

(e continua e continua e continua)

l'origine è lontana dalla sua fine. 


Un colpo estremo di testa

ma la ferma non si arrende

presto se ne accorgeranno

di quanto calore espande.


Questo dolore mi sfrutta

mi abusa mi profana

e si amplifica allo sgocciolare della privazione

la castità da ogni invasione

dentro  fuori nel corpo. 

Mi vedevo neofita sopra ogni morte

ma il vestito che si gonfiava sulla pancia

era pieno di uomini e di mani. 


*

L’approdo

E' gia scritto

nel lento tornare 

verso gli approdi dove non è mai arrivo

il termine corretto del navigare. 

Le rive si sfaldano come unghie

a cui manchi il calcio e le striature

sono parallele allo sfoltio dei pensieri

ricolmo di anima e di giorni

che son stati belli e senza danno.

La gioia scricchiolava sotto 

era già anniversario la memoria,

messinscena con cuori colorati

che scendevano senza forma 

come frutteti in amore.


Non è scritto?

Si attenderà ancora alla banchina

allora, mettendosi in quel nuovo conto

e quanti eclissi e pleniluni 

vivranno nei secoli di quest'attesa. 


*

Il Regalo Perfetto

Siamo arrivati, vivo mio, 

e non mi tirerai fuori di molto,

questo luogo pagato mi sgrana

dai morsi, dalle calze, dagli anelli:

e mi chiedo: son io il fiocco da slegare 

o tu il lupo di carta da disfare?

Ma non ho tempo, è il mio compleanno,

e t'involvo, fuoco umido

ti circondo e t'investo, 

una macchina del tempo a ritroso, 

una mantide malevole, culmine del pegno,

il mio tempo divora la tua lingua, 

sei  nervo scoperto dal mio mutare.

E ti smonto e ti rimonto

svestito e ricucito

con particelle di peccato

cristalli di ghiaccio

che frantumano le fessure,

un coltello per la prima colazione

polline del mattino, giorni di vortice

che ballano in crepuscoli tribali,

mentre siamo uno nell'altro come un flusso fertile

un istante nudo come la schiena

e sei sempre più giovane

congiunto al mio sole.

Ti trattengo - non arrivo ai tuoi peccati -

una Quaresima di lingue asciutte,

respiriamo in un solo boccaglio

mentre il seno mi fa male

per il troppo tendersi e non allattarti,

ti raggomitoli nel pelago olivastro,

e fiorisci, cuoio maschio, 

un unico corno spaccone e impuro,

e mi capovolgo, 

sarò capra che monta l'ariete.

Scivoliamo,

mi afferri e mi pieghi

in un angolo d'orgasmo

tu corda ed io viola da sfregare

non siamo più differenti,

incastrati a scorticarci le gambe e la notte:

una tregua sazia, il regalo perfetto.



tratto da 
Fragmenta
AAVV
978-88-6300-046-7
Costo euro 15,00 - Pag. 142
Edizioni Smasher
Partecipano i seguenti scrittori:
Cristina Bove, Doris Emilia Bragagnini, Martina Campi, Gianluca Corbellini,
Ivan Fassio, Valentina Gaglione, Ermanno Guantini, Antonio Maggio,
Sebastiano A. Patanè, Fernando Della Posta, Roberto Ranieri, Silvia Rosa,
Meth Sambiase, Ada Gomez Serito, Tiziana Tius 

 Foto di copertina di Giulia Carmen Fasolo

*

L’AmuletO

Di certi corpicini

è intessuta la trama di piccole mani;

li usano per chiedere grazie

a quel Dio che muove le nuvole e le carestie

come ninnoli

le gocce di pioggia.

Ci girano intorno

degli addobbi,

i cani neri e gli specchi rotti,

una vergine che orina

i dolci e le fave che si lasciano ai morti.

Molti ne muoiono 

di una fame che li infestava

come i pidocchi

dei più poveri fra i poveri

ma al collo declinavano un amuleto.

Devi guardarlo:

e' un assolo

di voci che non si uniscono,

gli spicchi dei pensieri,

come agnelli 

che aspettano la tosatura.

*

Ora (ERA) Terra


Che sia cominciata con i veggenti

in un rugginoso sestante

su cui giravano stelle di foglie

 a dare l'ora al tempo.

Era maestà antenata

su fosse di corteccia, fauna di zampe e peli

creature micropiccole  

negli anfratti degli arcobaleni,

lontane dalla gente a schiena dritta,

nell'infinito

di una piana d'ascia e di cave 

che riempivano i vuoti e abissavano i pieni

come in un testamento d'ossa e radici.


(e la crosta si brucia ancora in un canale di Sole

e le crepe si radunano ad anello,

sognano d'incurvarsi ad Est, bagnandosi d'alba).


Cambia il vento polare

e hai la tua guerra

corazza, e  bracciali d'aranci

lo schienale del suolo ti scava a bulbo


(fatto d'acqua, come le patate,

come le adunanze di grani notturni

fertili da quando questo mondo è mondo) 


ma il campo è metallo 

o forse è l'ultimo  seme da sputare

o forse è l'ultimo fuoco di vita nera

che ti riempie  il ventre.



http://poesia.blog.rainews24.it/2011/09/15/a-guardia-lombardi-le-strade-della-poesia/

Le strade della Poesia III edizione
Le poesie della Terra
Guardia Lombardia (AV)

*

Moltiplicazione Semplice

Lui per Lei

ha sceso le scale di un distinguo

ha scosso il sorriso dalla strada

ha smagliato le gocce della pioggia.


Il padre per il figlio

ha portato un vecchio foglio

delle foto da ritagliare

un ritaglio nel cuore del giardino d'estate.


Lui per Lui

ha messo bottoni d'oro sulla giacca

ha lanciato bastoni nei fiumi

ha serrato ogni porta.


Il dubbio per Lei

l'ha scomposta su di un letto

l'ha ribaltata in una deriva

le ha serrato i sensi.


Lui per Lei

ha scurito il variare del tempo

ha inventariato l'indolenza

ha chiuso e riaperto le piaghe.


Lei per Lui

ha sillabato il suo nome come zitella

ha intrecciato nocche e vergogna

ha lasciato moltiplicarsi con gli zeri.


La madre per la figlia

ha indeterminato il ventre

ha letto al contrario tutte le favole

ha murato il quarto del cielo.


Lui per Lei

ha scelto il nome di suo figlio

ha liberato gli animali dalle gabbie

ha limato le spine nei legacci. 

*

Rimane

Scompare mimetico

quello che rimane

per le catastrofi sotto a quegli occhi;

oppure fosse 

sgranate a forma di buchi neri,

ossidiana per i segni di rughe

come barricate d'ortica.

E non le appartiene nulla

né lo scarto dell'aria 

né il passaggio delle monete nelle tasche.


Quanto rimane

è nuova aritmetica

che scappa con le dita laccate:

cinquetasche, dodici tacchi

fronte alta di roccia,

elastica forse più della dedizione delle foglie

al ramo che le allatta

fino all'arrivo del virus del vento 

e delle cocciniglie.


Se rimane

sarà la crescita e la rinascita,

tra i garage e i cortili 

delle città contaminate dall'asma.

Ora è ruota

che gira addolorata 

indossando un cappotto fumé; 

in rivoli di pozzanghere

si pettina e si scolora.

Così lenta. Così piegata.


*

La concordia

LA CONCORDIA


Al tempo delle parole nuove

la conta era pagina e notte,

cinque mesi come cinque libri,

e petali di pensiero 

corteggiavano i sinonimi del fuoco

(caldo, rosso, vampa),

si illuminavano gli inchiostri

i segreti  parevano nascere svelati.

Vennero i roghi.

Si mozzarono le campane

perché non suonassero più a nozze,

le vetrate furono rotte,

le veneri lasciate in strada,

e i viali avevano caratteri neri

finivano  ciechi nei vicoli,

buchi di talpa come scarpe.

L'oblio arrivò ai libri 

prima di ogni altra liberazione,

patine di cenere

nella sequenza dell'emancipare

il pensiero da ogni libertà,

perfezione ragionevole

nel grembo del nuovo mondo,

disperato ma affascinante

nel suo scintillio d'accidia

e le fondamenta del paradiso si adeguarono

ed emigrarono le chiavi e le anime

per il ceppo dell'ultimo falò.


*

La sera del cambio di stagione

Sugli errori che trasmutano
la pelle
nei come barbari all'assalto
invadono
polene nella piena essenza
contano le paure
di restare così sole
da invocare
i ramponi nel petto.

E l'estate ai villeggianti
e il Meridione alle fidanzate sirene
e monti come seni
schiacciati nei bustini
seno di piccione
troppo vuoto di latte
stanze ne verranno a dipingere animaletti,
uncinetti
per copertine rosa e azzurre.

Troppo futuro
è larva di senso
ma la voce invecchia lo stesso.

*

Nero


Si grava, è nei pozzi
la tua natura che infelicita
che nutre poco
d'ombra i palmizi,
meste a cercare l'acqua a spicchi
nelle grate dei pozzi.
Malerbe:
scuotono le piante magri
e tingono
vesti legate a fiocco,
neri capelli
e tu mi dici che non uso gli usi
forse cammino ancora scalza
forse i rebbi sono il mio pettine
che alzo come un albero
nel luogo dove uno solo ne è foresta,
usa la corda
come al boia la memoria.

Eppure la memoria
non ha distanza
tutto può essere sognato.

E' il rumore è un sogno,
laddove le prospettive sono orizzonti
e lo sgomento
di questa intollerabile sopravvivenza
rizza la schiena,
totem di ogni colore
affama la pace nei propri ricordi
affiancandosi nei sospiri
agli spiriti della pietà

*

Lucidda

Incredula, 
provava a scrostare
come un porcospino
scaglia dopo scaglia
la gravità crepata dal suo mare d'occhi
e s'inchinava in una giravolta
e gli abiti matti la seguivano
fasciandole le gambe in porpora
l'ancella delle carte di cuori,
destata in una primavera di rapida pioggia.
Il letto orgia
di profumi di pesto e pelle
la raggiungeva in uno specchio sospeso.
Eppure non apparteneva ai suoi vecchi visi,
visionaria,
figlia pavone,
madre fluttuante
venere amante: 
era in amore

*

CENTOFOGLI



Centofogli,

contaci in meno

con le dita alzate che colano

manteche di guizzi e di visioni

lievi di verbi e sogni

come un'epifania povera e in digiuno

ed ecco che ti indicano:


poetartista,

facci una gogna e un'ustione

per ogni illusione che avvicina

chi nasce senza razza né ricordi

e canta gli spigoli dei pensieri

dalle forme moncamozze 

andando fino ad ogni fondo.


(ed in fondo vi volevo dar piacere

con i crateri del viso di Mercy la snella

con il guinzaglio del cane del matto che canta

con la giacca dell'omino del "Dio non c'è")


Guitto, alta la testa.

Indossa una sillaba di rigo bianco

e turbaci, con  le smagliature dei cumuli

i raggi grigi del maltempo,

che ti si legano alla vista come un flusso di refrigerio

e rinascono negli accordi

per piano e per note sommate


di segni di pianeti gemelli

su una passerella sorella,

su cui provi (amo) e riprovi (amo)

una linea astratta, un verso nano

o fletti d'improvviso

l'improvvisazione di una voce

che si genera in monocellule di bellezza.



(ma non abbiamo la stessa madre

che s'incurva a svuotarci

e s'affaccia con il volto di spine girovaghe

a segnarci nel sogno)


Siamo ombre nate da vuoti

nudi, tra il cappio e la bocca

franata alla vita, che passa incuriosita

e ci prende, si congiunge alle ossa

mentre ci domanda

se son nostre anche queste piaghe.

E' allora che saliamo su tavole di cenere

e zittiamo quel suono orfano

con bende di parole.


*

PRIMA vera

Fior di mela, 

lasciati fiorire in questo vento di voci

che oscillano come campanelle

e s'intrecciano in ventagli di terre

snelle,

si attraversa ammirate la fine di letarghi 

quando le vipere  seducono il caldo dei sassi

e ci si siede al sole per mostrargli il viso

sole,

slacciandosi maglioni e piedi nudi

a toccare l'erba e i trifogli,

incastonate in una fila di sollievi, 

marosi

come marine limpide di verdi e di cinabri

come fiori che nessuno più regala

essiccati dalla plastica cinese

e ti convincono

che non sia peccato il cuocere del cuore

che la pelle giovane e dorata piaccia sempre

che non si possa usare quella parola

primavera

 un nome nuovo da dare un bambino

un rimbombo di vita in un letto

un fumo bianco di un colpo di fulmine

indefinita

colta nell'attimo primo dello sbocciare

in sincronia con luci dei fiumi che si accendono,

intrisa di semi mescolati

primizia

dalle mille nomee 

cacciata a forza dai galatei dei sultani latini

firmando la resa con l'azzurro dei non ti scordar di me

impudica

come lo scandalo di un'appagata sindrome premestruale

fasciata in un abito bianco da vergine baldracca

in un'immacolata rinascita

bislacca 

radice nuova in una vallata di gemme

e vetri di falsi smeraldi frantumati

 in un campo di nuvole troppo rumorose.



(dal Montparnasse Café n. 33

dedicato alla natura)


*

AnnaMeth

Fummo e saremo,

legate a cerchio

Di piombo e di rame,

scintille impudiche,  ne portiamo i segni

dove le vene nascondono

il verderame del sangue

la corrente dal male della vita,

mareggiata incupita dalle passioni spente

e qui,

proprio qui,

nel disamore che oscura

alla fine dei rami d'oltremare e cinabri

senti la stele della Luna 

si gira a chiamarci

e nei canali d'ombra

saremo ancora unica carne.





*

ALTACIMA di Meth Sambiase e Maura Potì

Altacima ( io la fine, io il principio )

di Meth e Maura Potì 



Altacima

roccia di semi baccanti

ho spianto sui solchi

della siccità di uomini 

nel giro di un pensiero 

che si spande allo specchio.

Obbedisco

ai desideri che si arrotolano

e accarezzo i nei lenti sulla pelle.

Si addensano come segni criptici 

di un'età scomposta

-sulla battigia degli umori -

per svelarmi il respiro

di una conchiglia senza fiato.

A mozzarlo

la longitudine nella mia bocca.

aperta,

vuota, 

a mordere il lenzuolo senza denti, 

la voglia muta di esplorare   dune di sabbia

mentre diventano artigli le dita

a dischiudere docili le labbra.

Sono già arresa

alla nudità delle mie mani

cinque coralli

raccolti a curvarmi

e chiedo permessi impudichi

al flusso della marea

che non invade i gemiti notturni

ma palpita e spasima:

son io la fine 

io il principio

son io orizzonti nuovi

a risucchiare le pene dell'inferno

e vene gonfie di varici al miele

a rilasciare tiepide gocce di latenza

sui rami secchi

e tra le pieghe di una cima

che non è più ruvida corteccia.



*

LO SCHIANTO

Una lastra.

Se non ti avessi visto 

con questi occhi bicicletta

innamorato 

girare con il suo peso al contrario

a sorriderti senza affanno,

e girare ancora, 

avrei dato la metrica del bugiardo

a chi veniva a parlarmi ancora di te.

Disanestesia,

mi spezza il fiato

e il ritorno dall'ultima pagina della fiaba

è una strada ferita di lupi chiodati

assai lunga, con gradini instabili.

e pozzanghere di pensieri vortici.

Combaciamo, 

mi potresti ancora piegare,

nell'unico corpo che siamo stati,

perlustrarmi con un peccato robusto

riversare l'inclinazione del mio angolo giro,

mentre ti trascino in una provocazione, 

ti circondo, mi circondi

e mi chiami castigo di Dio.

Ma Dio non punisce le acque inaridite, 

e ti racconto storie d'insonne

e fulmini nei capogiri

(perché non ho portato una bottiglia di bianco?)

Troppo lavoro.

Un nuovo soprannome, una quiete così fredda

e m'involvo in un assolo

una lógica mente che mi investe 

e mi spacca  a terra 

una copia doppia,

elusa, abbandonata, svergognata.

mentre una giovane figlia femmina

ti saluta afroditica

tra i cespugli infestati dalle coccinelle

che ho dimenticato di potare.


*

LA FORMA DELLA CROSTA

Da giorni si conta.

Si mettono i numeri a perizia,

robusti come le corde degli impiccati

sotto le forche, più in basso delle cave delle talpe, 

come rottame di zingaro, il resto dell’Altro.

Non è detto che sia sera o estate,

che sia questo il mestiere in cui le casse azzittiscono,

che bisognia rallentare come l’urto ad un incompreso:

no, nulla da fare, il ritmo non è esatto,

non c’è tono, non c’è contatto.


Si aspetta. Arriverà il plauso

per rovistare le somme della carità,

che si gettano ai resti delle zattere

volti profughi rassicurati dalla cortesia,

- perché gli sbagli sono sempre degli altri-.

Inattuati,

si mostrano i denti bianchissimi ,

e s’incassa la milizia della buona famiglia

che parcheggia la mobilia preziosa

come un ecomostro su una spiaggia illibata.

Adesso si capisce,

la forma della ragione ha il feltro di un portafogli

si modella come piramide di fretta

le prime pietre magari gridano schiacciate

ma nessuno vuole ascoltare l’offesa.

O forse il contrario.

E’ l’atomo del primo soldo a sfondare ogni corazza

perfora e buca e passa nei tubi, 

sei soldi l’ora sei soldi un'ora

clandestino da gas, come una decomposizione

di quella che era stata una crosta (ghigno) d’altruismo.


*

Rabdomante

Nascosta

ho messo il piede fuori dal mondo rovesciandomi

come una contorta zattera di meraviglia

ma la voce era una smorfia che faceva capriole

e orfana ho incontrato la tua schiena.


Tu hai lottato,

invadendo ogni memoria e cellula di carne

riducendomi a orgasmo da letti veloci

e sei cresciuto come cancrena

ed io son così nuda e pesta.


Nel tuo disordine 

mi son lasciata sconsacrare

mi han gettato un panno nero sulle braccia

urlando al ventre vuoto disgrazie e malanni

affinché imparassi ad obbedire ad ogni resa.


E ora ti graffio di liberarmi

da ogni misura che accartoccia questo limbo

mi gridano: estinguiti

lasciati intrecciare come le altre

e posati inarcando le gambe.


Ma tu mi dicevi

che a stendersi su di me si fà fatica

come lavarsi con acqua contaminata

come tingersi le mani di troppo viola

come immolarsi per una preda  già vinta.


Nessuno, 

nemmeno gli uccelli sui sassi si lasceranno carezzare

in fondo le strade diverranno cieche

mutilate dalle radiazioni del disamore

mentre tutt'intorno si continuerà a benesistere.


Rientrerò con occhi bassi

nel mio armadio come in una bara

tagliando il legno con le mani nude

per farne bacchette da radbomante

e nell'acqua di un pantano,  rinascerò matrigna.

*

YUKO MI HA REGALATO UN CIGNO

Yuko mi ha regalato un cigno

rosa, con ali di punta

e un rigido collo di carta.

Per la lunga vita,

-mi ha detto-

che ti porti lontano lontano

e ti faccia planare su ogni mare,

e con un sorriso di bimba

ho aperto le vele

al mio nuovo compagno di viaggio.

Insieme, respireremo la polvere dell’aria

verso i sentieri della progenie d’aprile

nel buio luminoso della costellazione della Spiga,

vireremo nei mari della tranquillità,

l’altra faccia della Luna di primavera,

sopra i ghiacci polari,

fra i pinguini che preparano 

filtri d’amore per foche riottose.

Sotto le nuvole, appariranno usignoli stonati

che dai pensieri d’amore

fanno la legge degli amanti,

e alla fine degli orizzonti, 

ci riporteranno a casa

le minacciose sfere nere della pioggia

perché gli origami di Yuko non possono bagnarsi.




(è una poesia del 2008. Spero che Yuko stia bene)

*

IL VIAGGIO DI BANANA - la passeggera -

Ditele 

che lo stupore del viaggio

si ficca nelle pieghe delle sue scarpe.

o di quelle della sorella, 

così vecchie da buttarsi dal molo per non farle affogare,

Che tutto è equidistante, 

arrossato dall'equinozio in fiamme del vin brulè,

e si discioglie la  meraviglia 

affollata, ruvida e morbida.

Anaspigolo d'Oriente

ti accorgi che non uno spazio di vita

dialoga in monologhi  d'uomini e letti duri?

E si discioglie in meraviglia,

nel tempo in cui il tuo  gatto si pacifica con le piante,

e i viaggiatori del Levante d'Occidente, 

t'insegnano a fare le ruote come i tabernacoli

mentre si apre la valigia diventando pala d'altare,

scandendo la polvere

dai granelli dell'ultimo camminno.

Attendo coscritta, 

che curi ancora  ogni tempo 

mettendo nella penombra della memoria

veggenti inchiostri sorridenti

come rosoni  alle finestre

come le sere del mondo,

come quando il tuo giovane figlio gattonava

e mangiava le alghe prese nella bassa marea:

ora tutti noi saliamo adesso le tue scale

per guardare lo stesso cielo

nelle ragnatele dei fili di Osaka.



NdA. Questa poesia è dedicata. Un viaggio chiamato vita


*

L’INFEDELE




Maltempo

mi entra come la gramigna

un solo seme corrode ogni raccolto

e tu mi dici che son malacjorta.


Ma a certe cose ho l'abitudine

di lapsus e bottiglie di birra

bestemmie di lingue addormentate,

ho il blasone del nulla sulla mia schiena.


Ecco

tutti mi additano,

mi hai esposto e lasciato in strada,

son io la perduta e tu il povero amante.


Mi gravano intorno le altre donne

- lo sapevo già non ho sorelle -

si fan lontane mentre galleggiano nelle urla,

come un tapis roulant di vergogna.


Runica, 

come le pietre che mi lanciano

sono liquida e smagrita in un fascio d'ombra

per tutta la vita ho cercato di esser gregge

ma il collo non si piegava all'erba.


Invece mi buttavo nei fossi

aprivo il ventre se il profumo mi arrossiva

e avrei voluto cantare

e alzare i piedi e aprire le braccia

sotto le ali clavicole si storcono

son infedele anche a me stessa.



*

DUE DOMANDE

Delle storie di Strano il topolino

che amava la tua cioccolata

e dei tre baci che chiudevano la buonanotte

-serena superstizione

di una pellaccia atea-

accoglierai i ricordi, figlio mio?

Non vivono ombre nel tuo buio 

le ho messe in fuga.

Ho accorciato e lucidato

le mie unghie di vecchia spina 

per non ferire mai la magrezza della tua pelle

e al cratere greco

ricucito nel ventre, ho attaccato

il primo sandalo che hai perso per strada.

Patetica, 

ho riparato un vecchio paravento

per le confidenze dette a voce d'occhi

tra le costruzioni di mattoncini

sciolte nelle lenzuola assonnate 

-non si cade mai da un letto familiare-.

Son diventata un rintocco docile, 

l'orologio del disordine

mi decellera i battiti 

ma tu ne hai serrato il ritmo

ed ora 

che la marea del latte e biscotti

si è ritirata

con un bulino

incido in controluce 

il profilo tavoliere dell'adolescenza

e dei pantaloni scesi alle mutande.

Ti ricorderai, figlio mio, che te le stiravo io?



*

LA MIA ULTIMA DEA

Nuda, non ci sono maschere,

assi bucate, veli da indossare.

Ha lo spray che luccica

d'oro e di gommalacca sui muri,

riso nelle asole degli anfibi.


(Hai tentato di soffocarmi

nella veglia mattutina

ti ho aperto gli occhi 

e i tuoi incubi sono spariti)


Ad ogni respiro pieno

è la luce dell'aria che entra

le mani che si uniscono in preghiera

la pietà di un ago calamitato

che segna il Nord dei Meridioni.


(Fonderai le chiavi

quando lascerò aperto 

l'ultimo cancello

e il cane resterà ad abbaiare)


Non ci saranno più per nessuno

grida illeggibili, 

- la grazia domina la tela - 

e mentre la chiamo a me come ultima dea,

la libertà di essere ancora me stessa

mi attraversa distante.