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Raccolta di poesie di Benny Nonasky
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

.13 odi per Lei.

(Dall'ebook "Un pezzo di me per dire noi")

 

I

Sarà l’infrangere del moto continuo. Niente più

alba e la sua divinazione. La luna ha solo

destreggiato il sogno di riscatto promesso.

 

Ho lasciato un po’ della mia ombra

nei tuoi capelli nudi.

 

II

Sarei dovuto nascere mare; sentire

il tuo richiamo. Andare,

ricoprendo il mondo – andandoti

incontro. Senza via di fuga.

 

III

Nel tradimento del corpo rovinato,

unguento il tuo vivere.

 

Dappertutto vita che strattona.

 

Cosa sei per me e gl’alberi per noi?

 

IV

È stata la pioggia. Ieri il freddo, oggi

pozzanghere nelle quali

assenza.

 

Bastardo sguardo pesca ricordi.

 

Io l’esca. Io il pesce. Io mi mangio.

 

V

Nel tuo inverno, presso di esso,

la deriva del ghiaccio;

tutto ciò che posseggo.

 

Soffermati:

in nessuna bufera si esibisce l’eternità.

 

Strozzami il corpo.

Stringimi.

Carezze da rondine.

 

VI

Sono cicatrici i passi tra gli oggetti

che non dimenticano.

I tuoi piedi calpestano.

Voglio comunque provarci.

Per sotterrare. Dirtelo ancora –

rosso minerale generalizzato.

Apprendere il volo –

le rose: piccoli canti monocolore.

Sconvolto. Dirtelo ancora.

Grido.

 

VII

Non ho retorica: ho grandi capacità tecniche.

 

(Costruisco un campo sulla tua pelle.

Costruisco un’orchestra nell’intreccio

delle nostre lingue. Sospiro.)

 

Scoprirti ossigeno ogni volta che arranco.

 

VIII

Forse perdiamo troppo tempo nei nostri perché.

Annaffiamo i contorni di rovi e deserto.

Siamo fermi.

Nel nostro recinto.

Soli.

E ti cerco.

 

IX

Se la notte mi sazia di sogni,

il giorno pulisce ogni speranza.

 

Cosa pervade oltre?

 

Sale apnea dal cuore, sinapsi cieche.

Intraprendo errori nel timore del comando.

Come un’idiota rigo il tempo.

Avanza, avanza, avanza.

 

Ci sarà, da qualche parte, un linguaggio

che spazzerà l’ingegneria dell’abbandono?

 

Cercando di sconfiggerlo,

cercando d’acchiappare il vento,

stai lì a miscelare i colori

del mondo.

 

Vengo lì a colorare un po’ anch’io.

 

Riusciremo, senza rimpianti?

 

X

Dovrei svegliarmi, perso nella tua nebbia,

così sempre, barricato nel tuo aprirti sole,

ad un medesimo punto a punto, ogni momento,

modellare l’aurora, leggendo l’ultimo libro

di Séamus Heaney, trovando ancora altro

spazio per contare stelle e matite e

grandezze, the skin peel drawing down

like silk

at a practised touch,

la natura dei tuoi occhi che sbocciano.

 

XI

Al di là di ogni comparsa,

c’è un distacco che non posso coprire;

c’è un distacco che non puoi coprire.

 

Ma c’è un treno che percorre le arterie:

sali tu ad ogni ripida fermata.

 

XII
Guardarti persa, lacrime dentro, un

fiume che s’arrampica.

Nascere vita, fuggire dalla ferita.

Guardami:

ricompormi e aspettare l’incendio.

 

XIII

Così placido Plutone.

Così ancestrale il suono.

 

Ora silenzio nelle nostre membra cellulari.

Arriva un vento triste

a scoprire il buio nascente.


Solo Cristo può permettersi di rinascere.

*

.Quattordici eterno.

(Dal libro "Nelle trasparenze caotiche di nuvola perpetua")

 

Girerò il mondo quattordici volte

e dirò a quattordici stelle il tuo nome

e quattordici volte dirò ti amo

ad ogni metro che percorrerò

per raggiungere la meta.

 

Quattordici è il giorno nel quale sei sbocciata.

La terra ti ha donato il suo grembo,

il cielo ti ha battezzato,

i crespi torrenti ti hanno cresciuta,

ed ora io ti colgo, ti rubo,

ti pianto nel mio povero giardino

e sei così rossa, così bella,

da non poter più fare a meno

di accarezzare i tuoi petali

e solleticare il tuo gambo.

Ma devo ancora partire

e il tuo profumo sarà la mia guida.

E al ritorno mangeremo lo stesso pane,

berremo dallo stesso bicchiere

e ammazzeremo il tempo giocando nudi,

coprendoci di orgasmi e carezze,

sconfinando i suoi limiti,

unendo il dì alla sera

come i nostri corpi incollati, incastrati.

Ci seppelliremo così.

Ci faremo seppellire così,

nudi, ricoperti d'orgasmo, incastrati.

 

Così ci addormenteremo;

stesi nelle città del tempo,

nei meandri delle colonne di Babele,

sulle coste di Itaca

e su quattordici stelle,

dove avremo lo spazio

di non dividerci mai.

 

Anche la morte ci avrà uniti e vivi.

*

.Mama.

(Dal libro "Nelle trasparenze caotiche di nuvola perpetua")

 

Non andrò oltre l'orizzonte

a chiamare il sole per il mio ritorno

e non andrò verso le stelle

a incidere nuovi sogni,

scenderò quieto dalla punta più alta

dell'Aspromonte e quieto

resterò ad osservarti Mamma.

Resterò ad osservare casa mia

che si suicida nel cemento

o che si ciba di mundizza,

menzogne, apatia e melograni,

melograni spappolati e carti,

briscula e trissetti, scupa, e more

con fiori di ginestra calpestati

da verdi rovi e vicoli e strade

ricoperti da gambi di gelsomino

mozzati alla testa che sanguinano,

sanguinano su coste e valli,

abbracciando fiumare

che corrono corrono

sotto piedi

che pigiano pigiano

uva acerba che dorme nelle gole

di uomini che hanno sonno.

 

(Cadono sul letto come piume dal cielo,

ma sono serpenti allegri nell'ombra di un bar)

 

Calabrisella mia facimmu amuri mò,

ora che in notte danza Mamma

con gli strilli dei cummari,

il secco pestare di una zappa,

il belare d'una capra

e il ronzio di mosche

e il colpo di lupara

inferto su d'un infedele.

 

Calabrisella mia,

cadono sul letto come piume dal cielo.

Calabrisella,

non devo andare a cena da nessuno

per vedere un pezzo di pane accoltellato.

 

Casa mia; gambi di gelsomino mozzati.

(Tu moriri mi fà)

 

Danza Mamma

 

Oilì, Oilà

*

.1948 forever.

(Dal libro "Imàgenes Trasmundo")

 

Ci avevano detto di poter giocare

con le pistole e le pietre.

Ci avevano detto di correre lungo il confine,

a ridosso del muro.

 

Ogni giorno ci sono figli che saltano in aria

e qualche voce di donna che,

dall’altra parte, chiama i loro nomi.

 

A quant’è la partita?

Quanto manca che la falce recida l’ultima spiga?

Chi, dopo, dormirà facendo sogni tranquilli?

 

Evita di porti domande:

la notte è calata,

i lupi sono in agguato

e l’esile cavallo è solo.

 

Qualcuno ci penserà.

 

Ma se altrove i bambini rientrano a casa,

il televisore è acceso,

il cibo ben disposto sulla tavola,

come può mai passar per la testa che

la notte è calata,

i lupi sono in agguato

e l’esile cavallo è solo?

*

.La ballata di Michelle.

(Dal libro "Imàgenes Trasmundo")

 

Verrà il giorno che quell’uomo si alzerà,

ben vestito, col fallo mozzato;

aprendo le tende di biancospino,

ascoltando gli abeti bruciare;

annusando l’amaro odore di sangue

che percorre le strade stellate dell’universo,

mentre le tarme divorano i suoi capelli,

mentre i rospi sputano sui suoi occhi;

quell’uomo si alzerà –

ben vestito, col fallo mozzato – e

urlerà:

    <<Basta!>>

 

e sarà il giorno

che

il liuto sul ventre della cavalla si apra

come un melograno maturo e divori se stesso,

che

il colombre argentato azzanni l’orizzonte per

scardinare le sette porte e

lasciare che la loro voce si innalzi

a baciare le alture di Machu Picchu,

che

il vulcano, figlio della collera d’Eva,

riprenda a piangere sulla meridiana

del Tropico del Cancro,

e che l’incompleto

azioni il rubinetto antartico cosicché

il monsone CO2 sciolga l’emerso

defluendo nell’urna notturna del cosmo,

vagando sul coccodè del primo giorno.

 

Rimarrà ciò che si dice che in principio fu:

il niente.

 

Lo sappiamo Michelle:

    bravi ad evitare le buche,

    molto meno nel coprirle.

Lo sapevano i treni a vapore nello Yucatan.

Lo sapevano i bambini

nelle fabbriche di Londra.

Lo sapevano gli scoiattoli

intorno a Chernobyl.

Lo sa l’ecosistema amazzonico

distrutto dalla soia cinese e

lo sanno a Linfen e a Mailuu-Suu col cancro

e l’arcobaleno color piombo patinato.

Lo sapevamo a Tokyo, lo sapevamo a Copenaghen;

lo sappiamo perché ci conviviamo. Punto.

 

Nessun assolto. Punto.

Tutti imputati nel grande processo

contro la vita:

uomo contro natura,

uomo contro uomo. Punto.

 

(C’era cu c’era)

 

Le promesse hanno fatto rima con le menzogne,

l’indifferenza ha creato uno spazio sufficiente

per renderci amebe vittime,

la tecnologia ci ha illusi

giocando con le parole:

male maggiore con male minore, perché

è semplice credere di essere onnipotenti,

perché

è facile attendere un tempo più rigoglioso,

perché

è onesto recepire un guadagno da un omicidio,

perché

lo sappiamo Michelle

che la pratica meno dolorosa

era quella di non pensare a ogni conseguenza

perché

è semplice rattoppare il presente,

perché

è facile trovare qualcosa su cui scaricare le colpe,

perché

è onesto essere moderni avendo un computer

al posto del cuore e trecento chili

di pollo avariato nel mega frigo

a sensore ultrasuoni.

 

No Michelle, nessun assolto.

Cadremo tutti nel nostro cilindro rovesciato

e annegheremo nell’acido da noi sputato

per secoli e secoli

come alcool sul fuoco,

come scusa per il freddo.

 

Riscalda la minestra,

alleviamo i nostri dolori

con un po’ di Malox

e fugaci segni a croce,

ma la febbre ustiona la crosta spellata,

la febbre cinge

le ossa esili dell’ulivo

tremano le foglie,

e trema la terra a ogni straziante squarcio

di tenebra che si schiude

dal centro del sinedrio

dove si pone la firma dell’ultimo atto.

E potrai piangere quanto vorrai,

ma non ne usciremo più, perché

ci siamo prefissati di non chiedere mai scusa;

perché le bombe hanno necessità di mangiare,

come l’uomo, i robot, la rapidità.

 

Lo sappiamo Michelle

  rimarrà ciò che si dice che in principio fu:

  il niente.

 

Allora, ti chiedo un ultimo favore,

prima di salpare sull’eterno battello

del felice occaso:

balla.

Balla fino a quando

ti si scuoino la pianta dei piedi

e non ti baceranno la carne cruda.

Balla.

Balla fino a quando qualcuno scenda

dal suo piedistallo di zinco cromato,

a dirti:

    <<Oggi si può stare peggio,

     non siamo tutti uguali.>>

Balla sui maiali viziati e le vacche sacre

davanti a donne avvizzite che chiedono elemosina.

Balla sopra le guerre e i suoi giovani cadaveri.

Balla intorno alle discariche d’amianto

con smorfie e gesti di derisione.

Ridicolizza il male, rendilo banale

con le tue movenze insignificanti,

fammi scompisciare dalle risate

per la merda che placidamente ci vive vicino.

Non avere vergogna (come Noi),

non avere pudore (come Noi),

non avere rimorso (come Noi).

Ridicolizza come tutti fanno

con tutti e con tutto.

Renditi stupida e felice (come Noi).

Balla.

Balla e concludi quello che puoi

perché

no, non ne usciremo più -

prefissati come siamo a non chiedere mai scusa

e di non pagare per i delitti commessi.

        (A cumbinzioni futti a genti)

 

Lo sapevamo Michelle:

la natura fa il suo corso:

con o senza interferenze,

con o senza conseguenze. Punto.

 

E allora balla.

Balla e concludi quello che puoi.

Balla e resisti
fino all’ultimo sospiro,

fino al primo scricchiolio,

perché

quell’uomo si alzerà –

ben vestito, col fallo mozzato – e

urlerà:

    <<Basta!>>


e sarà il giorno.

*

.Plutone.

(Dall'ebook "Caco petali di rosa")

 

Sul soffitto della terra

c’è un uomo che guarda le stelle.

 

Ogni tanto scandisce il moto del

tempo o ascolta musica non

permessa dalle leggi di Stato.

 

Si dimentica di essere lì.

 

Odora di casolari abbandonati.

Odora di spettacoli andati a

male – forse parole, forse

a chilometri e secoli fa.

 

Guarda le stelle.

 

Misura la loro libidine e

quando una scia squarcia il nero

dell’impossibile: tira la lenza:

 

lui colleziona stelle.

 

È il più grande collezionista

di stelle. Da millenni;

ha un giardino di stelle.

Ci cammina dentro come un Re,

ammira il suo raccolto.

Alcune volte ci parla, propone

secche discussioni.

Ma la morte ha stritolato la luce

defecando il niente che ne consegue.

 

L’uomo è un sintomo del silenzio.

 

Implica un passaggio. Devia la natura

delle cose.

Intorno.

 

(Torna sempre sconfitto da un amore

che non sa apprezzare.)

 

Divora un altro pezzo di cuore.

Spara contro il cielo. Si coccola.

Quell’uomo conosce la fine del suo cuore.

 

Ritorna sul suo soffitto.

Spara un altro colpo.

Impugna il retino.

Impugna la notte.

Aspetta la morte.

 

Lui colleziona stelle.

*

.Meraviglia della luna.

Un’esecuzione sommaria al crepuscolo,

colano via colori forti – rosso e il giallo

e poi il tenue rosa ingoiato dal blu che si

fa fratello del goliardico nero. Ed è notte.

 

Lucciole nuotano nel vento e sono specchio

di stelle in transito perenne. I gufi

sorvolano lo stipite che nasconde i sogni. Le

cicale ubriache sprizzano canti folkloristici.

 

Ebbene: da qualche parte c’è lei. Ovunque.

Seduta a rendere tutto ciò. Regina degli

uragani. Potente urlo di follie. Poesia.

 

Ed io siedo con amici e Baudelaire a spiare

il tuo corpo che sa di chitarra e nostalgia.

Come il tuo riflesso sull’acqua. Lacrima dolente.

*

.Il volo delle promesse.

Passerei tutta la vita a dipingere

il tuo volto

       iconografia

fonia del cuore

    respiro irrefutabile.

 

Sarà come tu vuoi.

 

Sarò come tu mi vuoi.

           

        Lavico

     Geloso

            Cassaforte

   indeperibile del tuo amore.

 

    Promesse:

Passerei

Sarà            Sarò

                Ma

 

stramazzo sotto i bombardamenti

del tuo silenzio.

*

.La litania.

(dall'antologia poetica "100 thousand poets for change" (Albeggi edizioni)

 

Brulica la terra di fermenti attivi
come sangue sul fuoco, e niente:
i pedoni proseguono ad ignorare le
strisce; i bambini a gettare le
carte di caramelle dappertutto; gli
assassini ad utilizzare sacchetti di
plastica per soffocare la vittima.

Che però un qualcosa stia accadendo
è chiaro.
E a saperlo sono soprattutto le api.

Muoiono a catena -
nei fluttui rabbuffanti del sistema Natura -
con passaggi scanditi da tappe
prestabilite, non elencabili, ma
con imprescindibile unità di arrivo.

C'è chi sperimenta i bordi dei
giardini chiedendo una monetina.
C'è chi ruba o uccide per un pò di
polline. Ma la pratica più vagliata
è la roulette russa.
                    Un'agonia.
E non per chi si spappola le cervella.

Descrivo:
tutti seduti intorno ad un tavolo, gira
la pistola, bum! e fine della storia.
Addio
    debiti,          rimorsi,
         pignoramenti,      umiliazione.
Il prossimo giro: il giorno che verrà.
Un'agonia.
Un'agonia per il giorno da vivere,
quello dell'isotermo confronto
       debiti,          rimorsi,
          pignoramenti,      umiliazione.

Il fiore è il premio proibito -
non fattibile in base alle leggi
del mercato delle tarantole.

      <<E' opportuno fare i compiti a casa!
        Dobbiamo restare uniti!>>,
        impone la Regina formica.

        Ma andrebbe per le lunghe.
Ormai è una missione radicale,
radicalizzata.

I calabroni consigliano illusioni
atmosferiche per governare l'ansia.
Le talpe propongono testi
sul Paleozoico e sulla prima
Rivoluzione Industriale.
C'è chi propone il Gioco dei Pacchi
e chi annuncia viaggi interstellari
senza una direzione precisa.

Sì: nessuno fa i conti con i bordi
     dei giardini né con la polvere
     annidata sulle maniglie delle
librerie.

        Andrebbe per le lunghe.
Più decoroso un rapido giro di roulette,
con sottofondo una litania.

Canta la cicala:
<<Giro giro tondo, casca il mondo...>>
undsoweiter,
undsoweiter.*

 

*Eccetera in tedesco

*

.La lenza di Davide.

Il bambino pescava dal suo balcone.

All’amo, appeso un foglietto.

Passandoci accanto, lo sfiorai

con lo sguardo:

        era disegnato un cuore.

 

Fino all’ultimo fui tentato,

ma non alzai la mano.

Non era per me.

Se lo era:

ho sbagliato come sempre e,

come sempre, come pesce in un

acquario, aspetto che il cibo

mi piombi dal cielo.

 

(Palumba muta non pot’êsseri serbùta?)

 

Tu bimbo continua a pescare.

Forse sarò più veloce delle mie paure,

                        domani.

E se quel pezzo di carta

non racchiude le mie iniziali,

potrai uccidermi,

ma sarà un gesto vano:

sono invincibile:

ti chiederò perdono

e tu diventerai un principe,

sconfiggerai la vecchia strega

d’Albione, e la conquisterai.

Io farò testimone di queste tue azioni,

come lo è la tua spada rovente.

 

Infine, lei sarà rosa di ghiaccio

per il tuo ardore, insieme vi

inginocchierete e, postino

di cromosomi duali, vi consegnerò

le luci d’Oriente

- vostro tallofita impero –

sul quale ricorderete il mio nome,

come qualcuno che è passato

vicino a un amo e non ha abboccato.

*

.Gramo a largo di una notte speciale.

1.

Non ho più voglia d’altro, stasera. Le chiavi

sono andate perse; la mia casa violentata da

un amore che non reca le mie impronte.

 

Il cielo crolla su feti stesi fra lana

di pecore sgozzate per la festa del Signore.

(Lo anticipo e lo attesto: non risusciteranno.)

Tutto si accomoda sulle croci di domani.

 

Precisione.

Buon fabbro.

 

Le rondini e le nuvole capiscono quel che vedono:

larve umane spremute in un azzurro ciccione

e limpido. Fino a prima. Ora,

ora giusta. Crepuscolo.

Mare, mare mestruo di un altro giorno indifferente –

comunque vissuto e biasimato.

 

Così va la stagione, al crepuscolo.

 

2.

E D. non afferra. D. non apprezza. D. è

un robot sadico che strizza i calendari degl’anni

avvenire e stravolge l’ipotesi delle certezze.

Attraversa le mie pupille. Corrode la retina.

S’infila e spezza la safena delle mie

sdolcinate tenerezze.

                Vacca.

Latte del mio pene sprecato. Sesso:

timbro – Denominazione d’Origine protetta –

sulla definizione

TI AMO.

Ci riconosce. Rispecchia il mondo che modelliamo.

(una libertà ormonale latitante;

una rivincita carnale mediatica.)

 

E’ non c’è più voglia di nulla, avendo tutto.

Questo. Quello. Sorriso gengivale. Hopper. I

miei sogni. Il sarcasmo conseguente alla

truce realtà. E’ fuori misura, cazzo.

Esorbitante come l’ignifuga domanda: <<Mi ami?>>

Non dirla: la risposta potrebbe non essere

sufficiente per ammansire questo diluvio.

Scardina le difese.

La tormenta mi strapazza e appaga. Appaga

la morte. Quella morte per morire.

In questo. In quello. La morte. La morte muta.

Il silenziatore perennemente in canna.

Precisa.

Rassicurante.

Ahimè, ahimè, ahimè!

Credere perché così è richiesto dal copione.

Come farfalla schiacciata da un carro armato.

Come il distacco dai tuoi occhi.

                         Occhi:

differenze standard: uno verso il cuore,

l’altro verso la clavicola. Rotazione del sistema

orbitale racchiuso nel linguaggio ermetico

                            della ciglia.

 

<<Chi avrà mai la verità?>>

<<Chiedilo alla mia tecnica.>>

<<Chi avrà mai la verità?>>

<<Le versioni sono contrastanti. Ognuno

accondiscende a quella più consona

al suo invertebrato piacere.>>

 

3.

Così va la stagione al crepuscolo.

In sera riprenderà a palpitare la luna e noi

correremo nudi masturbandoci a vicenda

senza mai chiedere perdono – se questo è peccato.

Saremo gli eroi che la filantropia non enumera.

Unti e sinceri, schioderemo quei feti e li

accatasteremo edificando una statica torre

che sfidi ancora il cielo. Annoteremo

sui nostri dispiaceri: “Qui sempre parla una sola

lingua: la morte, la morte muta.”

 

E se il nostro giudizio si moltiplicherà,

creeremo una culla.

 

Dormiremo tu io. Ci ameremo e la luce che

partorirà da noi sarà orologio e altro me te

che viva il futuro che non, mai avremo.

 

E se questo non fosse semplice, creeremo un orto.

Lo coltiveremo tu io, seminando cuori per germogliare

minuscole zolle di passione venata.

Apriremo un bar.

Le serviremo come zucchero per il caffè.

Saboteremo il sistema orbitale.

Con queste. Con quelle. Ora,

nell’ora giusta.

 

D.

Come autotrofi. Come fotosintesi clorofilliana. D.

Non ho voglia d’altro, stasera.

*

.Amaro Sorriso.

Come fai a sorridere?

Passeri fumanti precipitano

su di una terra già scottata

e tu come fai a sorridere?

 

Certo: sei bellissima, ma

tenue il tuo respiro mentre

la cenere si lascia trascinare via.

Li hai visti: prima erano corpi;

prima erano, come te.

Forse ci avevi pure fatto due chiacchiere,

chissà; ormai sono solo polvere

per la tua gialla scopa.

 

Ci hai fatto il callo,

neppure più ti cambi,

   (Ormai adori restare come sei

  e, piccola,

arrossisci di fronte ai loro rimproveri,

              ai loro complimenti.)

 

Sei nata quando tutto era già iniziato –

ognuno di noi lo è: figlio di un

presente pregiudicato.

Quindi hai imparato il linguaggio

del tuo popolo. Quindi

sei diventata una foglia o

un chicco di sale o

un altro crepuscolo.

 

Di sogni ne hai avuti e ne covi ancora,

ma hai appreso la pazienza del

“si vedrà, se mi viene permesso”.

 

Certo: ora dovrei strapparti le orbite

per mostrarti da vicino

il proiettile che ci governa.

Certo: la conosci già.

E sai di non esserne la sola,

la sola a ritagliarsi dei limiti,

a biasimare il sangue versato,

ad accettare le teste di capra

sul portone di casa.

A sentirti protetta dalla paura di parlare.

 

Li vedi lì, seduti a quel tavolo?

Ognuno ha il suo anello e il suo cognome.

Ognuno ha il suo onorevole ruolo.

Senti come ridono, come si divertono,

come violentano Maria, come si gestiscono

la nostra terra e il nostro silenzio.

(Anche Satana, all’inferno, ha più rispetto)

 

Siamo il loro mantello.

E tu scopi il vuoto,

tu ramazzi polvere che domani

si ripresenterà sul ciglio della porta

a renderti parte del suo incessante giocare.

 

A te non importa, certo: ci hai fatto il callo.

Come agl’arresti.

Come all’apparenza.

(Le rondini tornano sempre a primavera)

 

Ora non mi stupisco se sorridi invece di

nascondere il volto tra le tue scure cosce.

Conosco con ripugnante sicurezza

quel movimento: è consapevolezza.

Amaro, puntuale, incatenato,

sorriso di consapevolezza.

 

Di volto in volto.

Di casa in casa.

 

Non uno a coltivare più sogni.

Tutti lo proclamano al gufo, postino della luna.

Ed è una sensazione bruttissima.

Davvero.