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Raccolta di poesie di Carlo Ricci
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Paesaggi

e anche oggi

niente di nuovo

 

colline

 

sono sempre quelle

bordate d'azzurro, a volte ci sono

(le colline) per la nebbia

a volte scompaiono, e rieccole

d'inverno imbiancate

 

alberi

 

gli alberi, uno ad uno

spossati d'estate

loro hanno un nome, tutti

simile al mio

 

il fogliame

 

chiazzato di giallo

è rivolto a sud

ad asciugare dopo la pioggia

 

anch'io, come loro

 

suggo

la stanchezza

della terra

*

Il cielo

Il cielo

ha il celeste della Cappella Sistina

sopra le teste in fila al discount

fa bip il laser della fotocellula

le porte automatiche si aprono

entrano in una luce bianca

tra le cose da comprare

 

hanno chiuso la casa

il loro giardino è sgombro, mettono

le mani nel lattice il naso nell'ovatta, vagano

come fosse un giorno normale

nel carrello il cibo rimbalza

con la mercanzia da scontare con la carta-fedeltà alla cassa

 

in mezzo alla corsia

un uomo con lo scanner si sbraccia

alcuni li mette in posa da una parte, alcuni

quelli con poche cose

li separa dagli altri.

*

Sotterranei

Dal tunnel della metropolitana

le scale eruttano passi

 

che poi sciamano nelle tubazioni

del centro, a fare presa

nel ventre

della petroliera;

 

e in cambusa la tramoggia inghiotte

 

e smista, a sera

truci sacchi

sui convogli.

*

Finestre

Com'è piacevole

stare alla finestra -come fai tu-

che ti metti fermo

in un punto alto dell'universo

e da lì fissi davanti

vedi le cose scorrere

e come tutto faccia il suo corso

semplicemente, fa quello che deve essere fatto

senza bisogno di fare altro

e mentre tu sorvegli sembra

che il tutto si bei di questo.

*

L’autostrada

L'autostrada

già approssima la città

si fa periferia la prateria:

 

oltre l'ossido

i mattoni

 

la cordigliera di cristallo.

 

Ansando

il groviglio di lamiera

scivola sui muri.

 

Ansimando.

*

Alture di cristallo

Gli edifici

s'innalzano in verticale, alti

cristallini, con le facce scavate nella luce

o nel grigiore, e all'improvviso

ti senti subito a tre spanne dal selciato

ma prima ancora, così, al momento

come una minaccia dietro l'angolo

non sai cos'è, in un bosco di giganti.

Ma dura poco

un batter di ciglia, e tiri il fiato, poi

ti viene subito voglia di salirci sopra

 

come quando da bambino

giocavi in giardino, sotto quegli alberi

così alti, slanciati, come grattacieli.

Subito smaniavi d'arrampicarti

ma è passato tempo.

 

Così mentre cammini alzi il naso, comunque

rimani risucchiato da quelle altezze

e stai lì stupito a guardare la trasformazione:

ognuna come un'ombra che sorge, o un racconto

quando t'avvicina

e subito rientri, invischiato

senza parlare. -Guardali: sono gli Dei.-

Pensi.

*

Case

Dalla strada si vedono le case

gli alberi in fila nei viali

siepi curate, le ringhiere

i rampicanti. Poi, quando

le case finiscono, invece

questi tiepidi campi di marzo

non hanno ancora forma -sebbene

la pianura laggiù ora

allaga l'orizzonte

dei toni verdi di primavera- come

un mucchio di cose messe alla rinfusa

agl'angoli di case.

*

Jam

-A casa tutto bene- potremo

continuare a dirci

una volta raggiunto l'incrocio

sotto il ghigno verboso del semaforo

col finestrino abbassato sul bordo colmo del mondo

e il sole a lato, ridente, e folle

in rivoluzione antioraria per l'ingresso

al portale est: oggi il Mall

è intasato per il fuori tutto

si entra a gruppi di sei solamente

 

la soneria avverte l'ennesimo compleanno

occorre rispettare il rituale degli auguri

spalmare il cielo di tante faccine gialle

che ridono, entusiaste

entusiasmandosi

(e più ce le metti

meglio è)

 

già è mezzodì

ora il sole chiazzato

il traffico è jam

*

Effetti collaterali

(Però)

stare pure a guardare

forse nuvole, stagni di carta, impalpabili

panneggi, anche rasi

prima ancora trasparenze

quasi altezze

che non può essere deserto;

distendersi poi nel tratto senza scorporare

scivolare nell'incavo della fusoliera

fino all'apice degli eventi. Sospendersi

in lenti cerchi, o ritrovare

inattese solitudini

difformi movimenti, il muschio

i silenzi sopra la brughiera.

 

C'era

(ma più tenue)

il tumulto di sorgenti

fruscii d'erbe, il calpestio

foglie ingiallite d'autunno;

ed ora l'aurora ci racconta di cose perdute,

d'ulivi contorti sulla riva.

Se fossero

vissuti antecedenti

questo cielo le stoppie

o la città che collassò

nel carrello della spesa.

 

(O effetti collaterali

della contemporaneità)

*

Considerare se

(Considerare se)

addentrarsi nell'asfalto.

Uno spiazzo davanti, la rotatoria

prima di lamiere disporsi

in geometrie euclidee: forse

addensati parcheggi a raso.

 

Quasi andare in tentacoli di luci

scomporsi nell'assalto

poi ostruzioni nei paraggi: la condensa

sul condotto, in alto; in basso

a scandagliare il prodotto.

Per esigenze quando ci perdemmo

senza compimento;

corridoi come rasoi e

questo labirinto

sono i solidi

prima della curva

che riduce a una luce innaturale

quasi un sopruso.

 

Condursi nel ritorno

in moti rettilinei uniformi.

In travasi osmotici infine

recuperare una monetina

per la sporta.

*

Vacanza

Non trovo cose

né porzioni di me da mettere in valigia

né abiti neanche

la valigia stessa se avessi

ampie visuali in questo cazzo di casino

che è la mia casa la mia estate la vacanza

però per oggi ascolto musica metal e faccio finta

di essere a Nord faccio foto

d'immagini surrogate

e screenshot del paesaggio sul web

e me li mando per email mentre sbircio di soppiatto

dall'altra parte del separé

stanno mettendo su una piscina componibile

anche loro cercano pezzi qua e là

riempiono l'attico di gridolini amabili di schizzi d'acqua hanno steso

il prato sintetico la tovaglia in quadrucci patchwork

al centro il cestino beige dei panini burro e salame

la lemon schweppes le patate croccanti i biscotti Ritz

fanno faccine felici e smile

come quando postano su What App

e un picnic dal retrogusto

un po' retrò.

 

-Oh Andromaca Enea Anchise

mi ricordo di voi!- faccio comparsate adesso

ho stinti flashback

navigo tanto

(o mi estinguo?)

*

Nuotare

Nuotare è come dissolversi

in una dimensione liquida,

lasciare il corpo

alla sua ossessione terrestre

a dire

 

-allontana un poco

le molecole da te

distanzia gli spazi, abbandona

il peso

che ti comprime.-

*

Dopo pranzo

Dopo pranzo

mi frugo le tasche

dev'essere rimasta una cicca di sigaro

poi la trovo nella giacca;

mi sforzo a non girare la testa

verso la finestra,

tanto valeva mettersi comodo

il divano si tramutò

in una ciminiera.

 

Osservo fuori l'aria densa

il silenzio come un macigno

sembra essersi posato sui campi.

*

Confinamento

Alle 8,00 fuori

l'albero di ciliegio stava sfiorendo

prendo la marmellata, i biscotti

travaso il mio profilo chino dai fornelli

dal caffè nel barattolo

alla moka

alla faccia caduta sul piano di lavoro.

Succede che la mattina mi sveglio

non so che faccio; poi

quando arrivo a metà del giorno

ricordo tutto. -Ecco chi ero!- La vestaglia

l'incavo nel divano

la pedina bianca degli scacchi.

 

La casa incombe come un rettangolo grigio

la strada di fronte

come un fastidio. La luce

la quiete il panorama

questa tenda senza ombra

gli abiti nell'armadio

una visita alla cancellata,

robe di questo genere.

 

Il primo pomeriggio

quando s'è incrinato

non gl'ho nemmeno dato peso

m'è sembrato fosse un giro di controllo

una sbirciata data a qualcosa,

questo fatto che il Tempo

è già passato.

 

Oggi la serà calerà alle 17,00

con la bruma celerà le forme

questa orizzontalità dei campi

quel qualcosa d'intravisto

fronde e pettini, cumuli di terra

i molti giorni delle piante; nei fossi

se non altro

avrà ancora un brusio

l'acqua che vi scorre

e quest'alveo, una via

percorsa dal Tempo

nel tramonto rugginoso.

 

*

Sebbene anche la città

Sebbene anche la città

(questi solidi antropizzati)

abbia la sua perfezione

un significato, qualcosa di originale

qualcuno dice alienazione

qualcun altro senso estetico;

se fosse chiamarlo battito, o forse

ritmo intrinseco, anche distonia

che però significa rumore

non proprio armonia;

e quanta complessità, quanti sottopassi

intesi come cunicoli, oppure anfratti

quasi verdura, facce come felci, umidità

tremolio come fibrillazione

cortine invece che corteccia

però troppi spigoli, non alveoli

più tentacoli, più meduse, scavi;

poi formiche dette umanità

tracciati tradotti in strade

forse tracce lasciate, fossero memorie

-ma chissà- Anche rovine, poi fumo

troppo fumo, e molte rovine.

Città nelle città. Molto strato.

(Questi incontri casuali)

*

Ti ho cercato

(Ti ho cercato nel sangue della città)

in fondo al giorno, uno slargo;

eri luogo distanza viadotto

forse indifferenza

pacco in un negozio

oppure quanta gente, semmai andatura

questo strato d'ossido, eri te?

 

Questa trincea o strada

gelo e neve lampioni in fila

sacchi di sabbia in frammenti, i torrenti

acqua che non può dirsi scorrimento

forse pantano, forse sbiadirsi

in consigli pubblicitari

un bisbiglio al bar della stazione.

 

Poi andarsene

per segmenti acuminati

quasi ingranaggio, ruota che gira

evitando spigoli

queste contraddizioni, tanti arredi

quanta bigiotteria, quanti rigoli;

quindi attraversarsi

senza sfiorarsi, guardarsi

come trasparenze, se fosse solitudine

oppure code al supermercato.

 

Tornarsene per sensi unici

senza più giorni, però Tempo bastante

a raggiungere questo capolinea.

Quanta marmellata, quanto traffico!

 

Tu dove eri

quando ti cercavo?

*

Immaginarsi

(Immaginarsi)

da dove viene il vento

le voci racchiuse in se

con l'inverno le tempeste

o la brezza estiva che solleva

il cielo (che) cambia

come gli anni

se neanch'io so

dove mi trovo,

se un punto a metà dell'orizzonte

che il vento sposta, la linea

-pensarsi-

la luna, o nient'altro.

 

*

Stando

(Stando)

a mettere in fila parole deserti

inondazioni. Ma forse

mi vidi inadeguato andando

a scomporre emisferi suggestioni.

Seppur ad attardarsi ad un riquadro scritto

qualcosa che scrissi, e versai

in altitudini che non può essere

vetta, forse rarefazione, o guscio

oppure nubi al culmine di tempeste

queste poche lettere leggibili

per natura astruse, quasi inchiostro

su carta velina, l'incavo forato

l'alveo sorgivo prima di vacillare

un barlume, poi l'interpretazione:

se fosse soltanto possibilità.

Se ci fosse.

 

Restando

(se avessi in me)

a incidere illustrazioni

quando il liquido è luogo, conduzione

forse sguardo; se la strada

fosse flusso, quasi

via di comunicazione;

se la mente fosse provenienza

non soltanto ossi,

ma una vistosa impaginazione.

Come convogliare steli d'erba

in forma d'arcobaleno, forse

nelle città boschi.

Se fossi.

*

Anche se primavera

Vedersi più d'autunno (anche

se primavera) quell'essere

un po' ombra, qualcosa

dietro l'angolo, l'inconsistenza

o fosse casualità

sarà perché quando scrivo è sera

anche notte forse.

Forse al buio, o mentre piove

si vede oltre questo sole

quasi se nel lucore, stanare il qualcosa

di criptico che c'è.

 

Poi ci sono foglie

che non può essere solo caduta, stacco

seccume; ci sono sfumature

la colorazione, quanto stupore!

C'è il fruscìo quando ci vai, il suono

questo tremolio, lo stridore

poi l'intuisci come armonia, oppure

Tempo avanzante, quindi conseguenza

ineluttabilità; quasi un senso al tutto

se magari qualcosa ancora

non ce l'ha.

 

C'è decadenza, questa

vaga sensazione

che sembra esserci ora.

C'è anche tanta poesia

nelle foglie d'autunno,

quanta bellezza.

*

Ammucchiando Tempo

(Andare) per la via maestra, strettissima

dissipando, persino esondare su bianchissime statue

di marmo, se per impellenze

allontanarsi dal mare perduto, per allinearsi

allo stridore ferreo

delle cose che accadono, quasi

sospendersi su luoghi

prendendo tempo; questi paesaggi vaghi

come aurore orizzontali, il colore sbiadito dell'uomo

sono il bagliore del tramonto al solstizio,

se non sapere più capirsi. Poi

 

ho sentito la terra sbattere sotto i piedi

incrinarsi,

il sottosuolo aprirsi

i corpi precipitare;

rimanendo su

analizzavo la dinamica del salto

ma dentro, ero io

proprio io, che precipitavo

ammucchiando Tempo,

questa (immane) forza di gravità.

 

Nell'abitudine

forse ho perso l'abitudine

di domandarsi se esserci.

*

Ridefinire la quantità

(Ridefinire la quantità)

Se approssimarsi a (ac)cumulo,

poi detrito, tutte quelle esigenze

sotto il letto, quanto materiale

ecco l'articolo, ecco l'oggetto;

questa collina arsa

non si addice

alla fisionomia originale.

 

Potrei essere

molte cose, per ora vorrei essere

soltanto fine settimana, cioè stacco

forse quesito, soprattutto

impossibilità.

*

Bastasse per ora

(Bastasse per ora)

dal pantano

spingere fuori

il carrello della spesa, semmai

gettarlo in fossi -no, per carità!-

Ma prima riempirlo

d'infallibili presentimenti

la distrazione che rotola

le vicende, buttarci quel gesticolare

inadatto, le ruote

come inseguimenti

schivando spettri

con facilità; affianco

il conducente, o fosse

il navigatore da eliminare;

poi vuotarlo, appunto.

Il problema è vuotarlo.

*

Vedersi stratificato

(Vedersi stratificato) in mattoni

malta, poi conci

il coibente per intercapedini

una boccata d'aria

prima dell'asfalto

per l'impermeabilizzazione.

 

Scomposto, poi riunito

in assetti variabili

stabilizzato in uno slargo

in attesa d'utilizzazione.

 

Eppur mucchio di materiali

soltanto sfogliando il catalogo

per semplice consultazione

semmai volessi, ma quella volta

proprio non ti cercai.

 

Infine poggiato, questa volta

come pannello in sequenza

numerato nel fabbricato, anello

dopo anello che si fermò

quando finalmente il palazzo toccò

il soffitto del creato.

 

*

Se accorgersi perso

(Se accorgersi perso.)

Tutto questo Tempo

sentirsi alquanto passeggero

come comunicare inutilità

non interferenza, nemmeno

percorso, semmai

salire impalcature per sorridere al vuoto.

 

Se sentirsi sasso

non bastasse allora assuefazione

al massimo Tempo trascorso;

neanche immaginazione. Quante panchine.

Forse seguire da lontano un tramestio

ecco l'ordigno, questo alibi.

Ecco il parco.

 

Eppure, se anche

essere essenza bastasse

 

le lancette girano comunque.

*

Calcinacci

Calcinacci

e mucchi di mattoni

dov'erano muri saldi e voci di passaggio.

 

Se poggio il palmo sul corrimano sento ancora rincorrersi parole

nei laceri interstizi, e là fuori

il fischio delle bielle sui binari, echi

di ferraglie ritorte.

 

Su in alto

l'orologio sul frontone

è fermo

al treno di mezzanotte, l'insegna della stazione

oscilla nel vento desolato

in poesia di foglie morte.

 

Anche gli uccelli

hanno lasciato le gronde rotte.

Per altra sorte.

*

In un vecchio mulino a vento

Mi attardo casualmente quasi a notte (e forse penso

in un idioma neolatino) -Chissà

forse il congegno è sopravvissuto a Don Chisciotte!-

 

In un vecchio mulino a vento.

 

Ma

un rumore disfatto, ora

è il cigolio

d'un tavolame malandato.

 

Anche il perno

è marcio

 

e girano a vuoto le pale.

Il meccanismo

 

è rovinato

la ruota dentata s'inceppa;

 

l'ingranaggio che lo muove

è fermo.

*

E’ lì che sarò

E' lì che sarò alle decadi autunnali.

 

In questi angoli residuali di terra e foglie, anche qui

si racchiude un cielo

dove c'è un languore di fondo che chiama

come se sapesse,

come fosse un segreto che fatica a rimanere in ombra;

ma ora

non tornare lontano

anche se sai che quello che lasci, ti uccide.

 

E' soltanto un'eventualità

il buio di questa fenditura, sotto

il rumore sordo delle frasche nel giorno fosco;

eppure

occorre restare nello splendore delle foglie

che non finisce, ma cade

soltanto per ritornare.

*

Raccontateci

Scheletri avanzati al fogliame

raccontateci dunque l'epopea.

L'oscillazione e la caduta. E voi invece, la sorte vana

di essenza appesa. Il vostro essere estremità.

Voi foglie

che labili celebrate la poetica del distacco. Voi che soavi

traslate nel cammino del vento

narrateci l'empatia

che vi conduce lontano. Andate.

Andate, ma con tristezza alle alberature

parlate come mancanze.

Siete abbandono.

*

Novembre

Sulle fronde autunnali

si scambiano l'ultima carezza

le foglie, e il vento

ne conserva il lamento

al suono lieve

d'antichi violini d'argento;

tra ossa di rami

i ricordi si rincorrono inutili

e i richiami vani

mentre nella bruma pastosa

il sole si scolora ormai stanco della stagione

cercando riposo

fra corti respiri e frammenti di cielo.

 

Un batter sordo di zoccoli

riempie il sentiero di rumori stanchi,

e avari passi

lanciano fra i sassi un breve accenno; là

non lontano dal ciglio,

un tiglio

ritrae la stropicciata ombra

al pianto di gocce di rugiada, e ormai

dimenticata

da uomini e animali

svanisce tra le nebbie mandate dal Tempo.

 

E nel pallore

il giorno disperde parole,

nel silenzio.

*

La notte II

E buttiamoli giù

questi muri, questi assetti razionali

prima che tutto venga pensato

prima che venga asciugato dal maestrale,

e anneghiamoci nelle pinte dei pub, e avremo

i movimenti insicuri della terra. Avrai.

 

Avremo aspetti indecifrabili, cercherò poesie

che ci salvano

basterà solo sfiorarsi

e tutto sarà più colmabile;

prendiamoci una nota alta da questi resti

già i tamburi ci scandiscono i nomi, poi

urlando per le strade deserte

getteremo a turno le vesti. Ci daremo

i corpi, prima che le luci ci distraggano

prima che i semafori serrino gli incroci. Notte

 

ti portiamo due respiri

due labbra, un languore.

*

La notte I

Il mondo è la grandezza di un tavolo rotondo

tutte le sere ce lo giochiamo a dadi truccati.

Cadono dardi come mosche sui muri

mentre c'è stanchezza di ragnatele,

là in fondo. Allora

 

la notte fuoriesce dai locali -dicono

che il pub chiude- nettamente

si galleggia appesi per le strade

la vita sfugge -diventa perduta-

mi dicono infine.

*

Dall’alto lo vedi

               Dall'alto lo vedi

               lo vedi

l'impulso del grande meccanismo del mondo

      l'impasto d'oscurità e luce

        la trasfusione del sangue

       il lavorio degli organismi mitocondriali...il logorio

  delle cellule nel grande labirinto,

            dove sono i viventi

                   caduti nel sonno

   ciascuno ad accudire il proprio

        angolo buio

   racchiusi nei loro microscopici

                atti di distruzione

            le labbra sigillate

   sul pane quotidiano...

   in un equilibrio tra l'ombra e

       l'asticella che detta la misura

                         del sopravvivere.

         

          Ma c'è un unico odore lungo le strade

          un odore sordido che viene da sotto

          dove gli uomini danzano

                con i manichini.

                Sebbene noi li credessimo

                                          immobili.

*

Settembre II

Poi a sera

dietro la schiena del giorno adagiato sull'equinozio autunnale

getto lo sguardo curioso in quel giardino del vicinato,

nel tramonto che imbruna, s'abbandona.

 

Sullo steccato abbandonato

s'imbrunano i legni curvi, quasi

stati d'animo ormai spesi,

così appesi ora

si guardano come per conforto; poi

tracce del giorno nel prato, sparse

e linee funeree

di grasse formiche nere

sperse,

uscite dopo il temporale.

*

Settembre

Il mattino, il giardino

oltre il campo, il bosco

quei fraseggi di rami che conosco;

paesaggi di burrasca

prima del rabbuiarsi del cielo, presto. Fa fresco

esco, e li avvicino;

è come se volessero ricomporre il giorno

una lesione del vento, un sasso rotto

l'incrinatura del Tempo.

Li ascolto.

*

Il giardino dei germogli in fiore

I palmizi ormai hanno raggiunto il tiglio

hanno più o meno i miei anni. Come allora

nel giardino dei germogli in fiore

ogni siepe ha un eco

ogni angolo ha il racconto di un giorno. C'è ancora il nascondiglio appartato

il sentore dei giochi spericolati, il mormorio attenuato delle ortensie

le corse sfrenate oltre lo stagno delle ninfee. Il ciliegio

dove m'arrampicavo e mi sentivo invincibile.

 

Ancora oggi ti vengo a cercare, e ancora ti trovo.

Ancora ti guardo. Ma

 

ora ti riguardo con la cautela del ricordo

ti sfioro con la leggerezza dell'orma:

ancora mi dice che ci sei passato, che non si è dimenticato

del tuo stare un tempo,

ora che il Tempo ci assottiglia e si fa insistente

mi ricorda che lì cresceva il tuo stelo esiguo.

Così ora ti guardo come si guarda la luna

dove tutto è nel medesimo languore.

E lo sguardo allora fugge l'ora che preme

e l'accorciarsi nella penombra, a sera.

*

Attraversiamo per i campi

Allora attraversiamo per i campi

senza lamentele

verso le colline accoglienti. Avessi l'accoglienza dell'erba

il suo dire di foltezza essenziale. Il colorato delle vigne. La sostanza.

Allora ti calpesto in semplicità

enciclopedica tribù di gambi mentre scoloro dentro nubi.

E ti sfioro nel verdeggiante: tu che tieni in grembo

i tuoi fiori, le gramigne. Infine ti onoro antica morbidezza,

antica sacerdotessa del crescere.

 

Tagliamo per i campi allora

senza cautele

a respirare il largo e il vasto del prato; l'erba ci chiama

a raccolta al nuovo vanto di primavera. Noi lemuri

nel massimo sole d'inverno. Allora

 

poniamo gli scheletri nella terra umida

nella goccia espansiva che sgorga alla pozza affiorante.

Nello scrigno originario. Ritorniamo dunque a essa

specchiandosi nel nostro essere sequenza corrotta.

 

Immoliamo le lunghe barbe bianche

per acclamazione.

Le chincaglie

i moti rivoluzionari dei pianeti

le spine dorsali rattrappite. Le anticaglie.

Con la gentilezza in mano, in equilibrio aneliamo.

Alla semplice erba. La saggia.

*

Magari pioverà

C'è una strana calma d'aria umida diffusa

magari pioverà

forse è meglio prendersi un caffè.

In punta di piedi camminando lentamente

il silenzio ci raggiunge, fa figure sul muro

ci pone nel geroglifico immoto di un ricordo

un fruscio dove restiamo come anime vaganti

sempre in attesa che succeda qualcosa.

Se usciamo fuori i rigagnoli della parete

un cielo ingombro ci parlerà.

Sono certo che un cielo come questo

ci parlerà.

*

Dove restare

Si cammina in bilico

verso un punto che chiama

schivando i silenzi di ogni cellula. Siamo rimasti qui per secoli

ai crocevia

nei bordi delle strade sui cofani delle macchine

a studiare le mappe per non precipitare

ai lati indizi d'esistenze fittizie, di nature morte.

Le curve sembrano cancelli chiusi verso l'oltre

come a dirci -su quali cardini viriamo?- Eppure

avevamo carte sicure a indicare i grandi laghi d'occidente

la posizione certa dei venti

ma i contorni stanno scomparendo;

adesso

ci sono ombre cadute sugli occhi.

In fondo un ponte come se si gettasse sul mare

dove vorremmo proseguire, dove

non saremo raggiunti. Dove restare.

*

Resti

Resta questa volta celeste

dove c'è un eco che si fa essenza

la giusta compensazione che dalla corteccia del mondo

giunge qui

e dissolve in una poesia che guarisce

acquieta il rumore delle cicale

che alza dallo stagno questa stagione spoglia.

Erano le undici

e si varcava il limite della notte

quando tutte le ombre tornano nel placato

s'appoggiano alla maniglia che gira le porte dell'infinito.

Restare lì, in quel luogo senza età.

*

Ringhiano le strade

Intanto ringhiano le strade

imperi di lamiere

scuotono i tombini i metalli tirando il freno a mano

scatta il rosso

ora si sta per un po' in agguato. Lo sbraito

dei semafori dirige l'orchestra, ma è

un giorno qualsiasi

anche oggi il benzinaio è aperto, l'edicola

sfodera i giornali. Anche oggi

puntualmente

va in onda il reality. In fondo

 

questa città ci ha voluto bene

ci ha dato tutto il suo asfalto -Io

vi ho inventato- dice -vi ho dato a tutti il numero

per la fila alla cassa.- Questa città

ci conosce, sa i peccati di gola -ognuno

avrà il suo turno- ci dice

con voce soft.

 

Ogni angolo di strada ha strappato qualcosa

ci sono occhi appiccicati dappertutto

tanto ormai a cosa servono

presto saremo bendaggi telecomandati

dalle nostre menti in esilio. Noi saremo in alto

supremi nell'elenco

pura elucubrazione

e da dietro i vetri vedremo i corpi lasciati a se stessi girovagare in tondo. E

senza rancore, li saluteremo.

*

Questa città

Queste strade ci hanno consumato le suole

tra i rivoli delle pedonali

in quell'antico profumo di basalto

qualcuno sbuca dai tombini e ci rammenda le facce, ci dice

che sta lì solo per caso a osservare il paesaggio

di sguardi che non si aprono. Ciascuno

porta dietro soltanto il suo allontanarsi, è un sabato qualsiasi

l'eco che ci porta uscendo dai muri

dove le sillabe alloggiano mute.

 

L'abbiamo attraversata tutta, per spigoli

per squadri

ci hanno detto i numeri degli anni che si compiono

a staffilate oppure arrancando. Ecco come

ci porge i volti

come strati di luce e ci siamo stati a mozzafiato

nel conto dei metri misurati con l'impazienza che ferisce. Perdurare

ci fa terrestri

in questo girovagare con il volto solcato dentro i fascicoli di ogni isolato.

Dai vicoli poi per finire impaginati. Una carta.

Una carta color opaco quello che ci resta.

 

Questa città potrebbe anche esserci clemente

abbiamo seguito le sue indicazioni, i suoi consigli pubblicitari

a carponi andando per i cunicoli

poi in cima alle rocche

come tante gocce

che innervano le svolte al sedimento. Forse

ci potrebbe anche sorridere

questo luogo percorso migliaia di volte.

*

Una goccia sul ramo sfiorato dal vento

Alloggiamo in un intermezzo infinito che scorre

da un terminale all'altro

un corpo tenue eroso dal vento

molteplici gesti e un riflesso acqueo sopre le foglie

il tormento dell'aria e dell'acqua nel vorticoso fiume. E rammendiamo facce

con decadenti linee nell'erba che ondeggia dietro ordini complicati

dove si avanza lenti.

 

Resistiamo in questa inesorabile accortezza mentre

attraversiamo pozzanghere ai bordi del marciapiede

come se tutto s'immobilizzasse nel fotogramma

dove ogni cellula che rimane impressa sfugge

e si disperde nelle direzioni tra il blu cobalto che fuoriesce dalle pietre

portando fiori, portando sibili

andature lievi.

 

Siamo dentro le cose come dentro cappotti

seduti sulle panchine a vedere la pioggia cadere

superfici lucide per ogni stagione che si ripete

impaginati sulle pellicole opache quasi come teoremi irrisolti e si vorrebbe

anche se non si può svanire

nel leggero tremore di una goccia sul ramo sfiorato dal vento

come il pallore festivo quando attenuato

scende.

*

Qui sempre si torna

Alla radice, qui sempre si torna

negli equinozi

nei cerchi d'acqua dissipati nel vento

spossati naufraghi del tempo

buttati dagli oceani resistiamo nei nostri racconti minori

sui muri di provincia. In fondo

sagome strette derubate di poco.

 

Ci fu consegnato, una volta

l'odore del mosto cinto nei casolari

dal grido dei papaveri. Erano sillabe

quelle stesse che ci hanno tenuto nel verso

e ci chiamano comne atti di forza. Qui

abbiamo preso parola. Qui siamo.

*

Sorgi aurora

Può bastare aprire la vetrata, scostare le tende

e aspettare. Allora

 

sorgi aurora

dalla vasta visione d'oro d'oriente

per la grande cavalcata. Cresci valchiria dalle chiuse dei monti.

Vieni a noi dal nero

dalla fiaba, dai giranti del cielo. Vieni a noi

al rosso, alla rugiada. Ai pascoli occidentali. Vieni

cavalcatura bionda

per la favola in attesa

bordata di luna. Adesso vieni per l'avventura e apri

le serrature del silenzio

con capelli folti.

In questo nascente giorno randagio

vieni indiavolata

con il fuoco delle comete.

Nel nostro andare sbandato, dea sanguigna

spanditi per le arterie del mio mantello.

In semplicità, vieni. Io ti vengo dietro.

*

La forma del Tempo

Può sembrare strano stare lì a caricare l'ora

ancora a girare la chiavetta nel segreto dell'orologio

a districarsi di soppiatto nel vecchio arnese art déco che ruggisce d'eterno

sull'impalcato. Ma forse è questo retaggio antico

d'introdursi nell'irrisolto del meccanismo cruento

che sta lì come in un nido al sicuro a covare dentro e lo vai a stanare

come un trofeo d'attaccare alla parete

lui che sta lì in disparte e scruta come un satrapo ottomano

come se con distacco reggesse il mondo, da oriente. Ma

ci tiene per il bavero e allora non ci resta

che sbirciare nell'atto

il problema irrisolto di noi abitatori d'occidente

impantanati sull'asse orizzontale, nei cruciverba tra lo Spazio e il Tempo.

E forse è questo

sadico e cruciale roteare nella piaga che non cicatrizza

l'enigma

che ci lega indissolubilmente al nesso.

 

Però se hai

il contatore digitale ti precludi il legame diretto

con questo assioma maledetto.

*

Lontananze

Devono essere mute le lettere che ho inciso

nella condensa della vetrata

visto che non è passato nessuno. Per indizio

ho lasciato un calzino sulla porta

come a dire qui c'è qualcuno

che sta facendo un caffè, prende una gassosa. Che

ha rimesso in piano i bastoni delle tende

ha ridato un po' di smalto alle prese del citofono spente

mentre sopra si sente un rumore di doccia e sbattere qualcosa

ma forse

è il quadro del mare sul muro che risciacqua un grumo di sabbia erosa.

Al disco poi passano un brano che non si capisce niente

forse è solo un po' di polvere sulla testina del grammofono

forse è solo un rimasuglio d'afasia. In ogni caso

non aggiunge nulla al dunque della contesa

la questione è che forse non voglio essere collegato al mondo

in lentezza di connessione o forse

c'è un principio d'amnesia.

O forse non so. Infatti

 

avevo scritto HELP anche se un po' sbiadito

ma soltanto alla fine del giorno ho pensato che abito in campagna

dove è raro che passa qualcuno

per il lungo del prato.

*

La notte

Eccola la notte, divarica le gambe

può sembrare una cosa buia, un luogo

appartenuto ai sepolti

stesa sulle tempie dei fantasmi

dove batte il cuore dei perduti. Siamo dove

 

non ci guardate in un abbraccio lungo senza luce

consegnati a una rovina irresistibile

l'unica che ci comprende e ci aspetta. Dove

precipitare. L'unica.

*

In questo andare sparso per le ore

E' così residuo il tuo persistere

sulle stese dei colli che ti fanno circo

e sottovoce ti parla il torrente di vertigini

e tenebre? Qui dove

 

nascondo i volti e sfuggono le cose

ho accatastato giorni

tra questi suoli solidi e immoti. Dove le contemplazioni

sono alberi immensi

perfette le atmosfere e le stazioni.

 

Sono lontano, lontana

è ormai la strada delle luci

e m'inoltro per gli sterpi; sono nei rami ora

 

tutto il mio esistere

è di queste gore

 

e in questo andare sparso per le ore

 

soltanto foglie: sento i prati

i papaveri, i temporali.

*

Parlami con voce umida

Parlami con voce umida

con i tuoi barattoli

travasa per le crepe delle anfore. Vieni

pioggia

 

conosco la tua lingua. Lo sbuffo

il tonfo lo strillo

la mistica argilla che porta. Sto al gioco battagliero

alla folle corsa precipitata. Allora

 

sto nella pioggia

nel suo odore avido. Voglio stare

nel tuo essere subbuglio

e da dentro la mia acqua ti reclamo. Ti reclamo

dal mio sangue placato. Allora tu vieni  in alchimia liquida

a saturare il taglio

con aghi di stilla. In accoglienza

per te aprirò sempre la mia dimora

alla danza battente.

Alla furibonda venuta.

 

*

Questo giorno che arranca

Questo giorno che arranca

è come annegare nel fisso del muro

in un cantone di luce che raggruma. Rovistare

per ragnatele a scardinare

serrature di buio. La spaventosa fissità

dei rottami.

 

Questo giorno che arranca

è come frequentare luoghi chiusi di stanze. E

non ci sono distanze

nei buchi delle cantine, ora navigo nei rifiuti di vento

del mio vascello fantasma. Annego di Tempo. Oggi

sciacquo il vasetto dell'olio. Faccio e disfaccio il guardaroba.

Mi rimetto a parlare col pescetto rosso. E'

 

questa poltiglia collosa la gronda

dove ammucchio il fogliame. Poi d'improvviso

si alza il vento che dice -Non temete, vi porterò via.-

Disse il vento che s'alzò dal greto del fiume.

 

*

La primavera che tarda

La primavera che tarda

è un esilio di finestre chiuse. Le pareti

del caseggiato sono un po' scrostate

una voce da sotto chiama. Va sù per la grondaia

ma c'è un rispondere nascosto. Dov'è il rampicante

che ricuce le crepe del trascorso? Nessuno

 

esce a sgrossare il silenzio

in un rinascere che smuova le cose. Il glicine

è ancora un rameggiare lento

e stiamo qui a raccogliere un accenno. A lanciare

un sasso sul vetro. Sei tu, aspettanza

 

quel lume sull'abbaino

che brucia così piano?

*

In quel lasso che l’imbrunire

E sto qui, a te frontale

a osservare il tuo enigma di ombra.

 

In quel lasso

che l'imbrunire volge a sera

e gli alberi diventano neri

e la collina una sagoma minacciosa. Forse

è per questo che c'è voglia di scappare e gli animali

tornano alla fossa e l'ora

si fa disadorna

e il paesaggio inospitale. Nel lieve stacco

 

siamo a vacillare

nel corto di noi

con passi di tedio e niente più ci consola.

Per fortuna

il crepuscolo è un durare breve.

*

E intanto il vento

E intanto il vento

si fa sentire con voce grossa.

Sbatte con l'artiglieria di montagna

le alberature, le prende a secchiate. Calpesta d'acqua

la campagna e la scuote. E questo

rumore di vento

è come una mura di procella che spiana boschi

atterrisce animali

sciupa gli addobbi delle case.

 

E mi fa fare pensieri di nuvole annerite

ora che la notte scende dalle alture

e con dita di ghiaccio snerva l'erba e spaventa

le primule appena nate.

*

Universo

Perché sei così lontano?

 

Vorrei parlarti

racconta il tuo arcano

-ce lo devi!- Sono qui

prostrato, all'ascolto.

Questa polvere

così vicina

straziata

non ha più ombra,

è già scritto.

 

Vengo a cercarti

la notte

su questo prato desolato

nel tuo rumore

che mi accolga

al vago errore, e

seppur corto

duri abbastanza

da illudere un altro giorno

che avanza.

*

Marzo

Guardo al passaggio invernale

là in fondo nell'aria c'è un bosco

contenuto nel suo volto di velluto, fosco.

 

Vi cerco foglie che non ci sono

impagino brani ancora spogli di me, che non conosco

 

bianco è questo foglio, dentro

non escono parole, ma rami del tempo vuoto.

 

E ancora tracce d'inverno

nei prati rilassati dal silenzio

dietro strami di foschia, al centro

il mio paesaggio e malinconia

 

dove vorrei crescessero parole e arbusti

mentre lo sguardo s'allontana su quel foglio

che fugge

nel transito, verso l'ora nuova.

 

Ascolta allora il rumore del bosco.

Ascoltalo con gli occhi dei rami

è come un singhiozzo; la luce, a Marzo

non è ancora un taglio nell'ombra

e quanto cielo d'inverno è passato

fra fronda e fronda, se il cielo è una ferita

ancora aperta, tra radice e foglia. Ma ora ho riunito

tutte le foglie nel vento

e guardo al ricordo dei giorni del freddo

del sole velato, dei graffi ruvidi e d'ogni spiegazione raccolta.

Così torno nel rumore del vento, da dentro

sfoglio il lento soffio d'Aprile.

*

Passaggi invernali

E' deserto chiarore dentro quest'alba d'inchiostro

come una valle chiusa di silenzio; fuori

il giorno giace, germoglia lenti confini

di vacue brine, è brusio fugace.

 

Lembi di prato, il telo del gelo e oltre

un velo di bruma

il bosco ritagliato; più in alto

un taglio di cielo, l'odore del risveglio nel profilo del borgo, poi

più in là grovigli di colline

ancora un po' accigliate, e molto più in là

oltre il margine del foglio

lamina il mare.

 

Poi convogli di solitudine

le nuvole, forme di silenzio, nere.

Scende. E' pioggia oggi.

Cadono le ore sulla schiena del giorno

che s'incurva

ed è un suono sordo, sottile

e gocce, cadenze di parole nel rumore.

Il prato intanto si riposa, ascolta.

L'erba, le foglie in un walzer di vento là

nel passaggio stretto

un faggio colto impreparato s'adegua

si attiene alla forma dell'acqua, si piega;

nel fiore nell'attimo un insetto

misura la saggezza dell'acqua

modifica l'assetto, riaffiora.

Come in un paesaggio netto, anch'io fuori

nel passo dopo il passo che misuro;

allora smetto, rientro in me

e in questo momento

in questo miraggio, in questa pioggia, resto.

*

Laghi mari oceani

Il lago sta nella forma circolare, specchio

del momento in me e dentro

il cielo è un riflesso essenziale. Poi isole

al centro, nel silenzio

come forme affievolite di se stesse

talvola nuvole lattee, talvolta

linee brevi, di onde.

 

Il mare è come un modo di essere

solo, bastante; sta in me

attraverso gli occhi, incagliato.

Tra me e il vento, solo il molo

e ogni onda è un attimo preso

al tempo, e allo stare, io dentro

come una terra emersa dal giorno

senza nome, tra abisso e il cielo.

 

Il mare è una dimensione orizzontale: si sta

appena sopra la superficie, rarefatti.

L'oceano invece

non è solo un'acqua più grande, è uno spazio

denso, massivo, inconcepibile. Ed è

spessore, come un luogo

delle cose grosse, uno spazio eroico

più difficile da attraversare.

*

Il segreto era chiuso nel labirinto

Perfetta era l'era dei cunicoli oscuri,

 

delle piramidi.

Il segreto era chiuso

nel labirinto. Là antiche divinità celavano

il segreto del Tempo e

dello Spazio. Gli Dei saggi

non l'avrebbero mai concesso ai mortali

in gioco c'era il potere sul Mondo.

 

Ti avevano lasciato il Tempo invariante

senza complessità, scorrere immobile

nei giorni inesatti.

 

Nei cerchi di pietra il monolite

era la cruna dell'universo.

 

Ti avevano concesso la linea simbolica

la superfice piatta

la semplicità senza profondità.

 

Tutto è cambiato poi. Quando

 

hai ucciso il Minotauro

risolto l'enigma del labirinto.

Così sei diventato il sovrano del Mondo.

*

Gennaio

Solo forme rilassate e l'aria è densa, fuori

l'inverno ha tracciato i confini con gli occhi della neve

 

ha preso il posto delle cose

 

e le ha messe sotto, nel silenzio

e un foglio bianco.

 

Dentro la stanza l'aria è ferma, e c'è silenzio

come un giorno senza nome; le cose stanno lì

tra me e la neve

senza accento.

 

C'è un foglio bianco anche sul tavolo

e il futuro,

e altre cose semplici;

cerco di dare un senso, scandaglio

la geometria del luogo

in ogni dettaglio: un libro aperto

 

il portacenere occupato, righe e righelli

libri chiusi, la serie delle penne

messe lì a ventaglio,

e l'ombra tagliata

 

della luce

vicino al sigaro fumato.

*

Sui viali dell’inverno

Così il Tempo s'invola

nei tanti minuscoli stridori

 

e ora che l'erba accosta le rovine

d'un estraniante dopo,

 

quali ripari vado cercando

sotto l'ombra grande dei ciliegi

se i passi sono

 

rami

foglie

e massi

 

dove patteggio il mio elidermi

 

casualmente.

E sui viali dell'inverno

 

cui poggia eroso il Mondo intero

procede esatto

 

lo sguardo millenario

della pioggia.

*

Guarda quei giorni

Guarda quei giorni

estinti

 

parcheggiati tra le rovine.

 

Poi

questi strani giorni

verso

una casuale fine; e il tavolo

 

è levigato a notte.

 

Segui ancora il torrente

intatto

che avanza luminoso nella boscaglia;

 

questa carne, e questo corpo

vegeta sinuoso

nella sterpaglia.

*

Immutabilità (nella terra desolata)

Le meridiane non hanno più ombra

da effondere

nelle dune consumate e inerti

nelle spiagge erose

nei labirinti ancora aperti;

 

le clessidre non hanno più polvere

da sparpagliare

su sabbie immobili,

nei labili ritagli

in atonici deserti

 

e avverti

 

attoniti orologi d'oniriche torri d'argento

non aver più ruote dentate

da dissipare

negl'immaginari ingranaggi

di un asfittico laconico movimento.

 

L'essenziale organismo meccanico

non ha più pesi da lasciar cadere

nella staticità

di un etereo magmatico insabbiamento,

 

e non vi sono più parole

da disarticolare

all'avanzare di un esistanziale enigmatico Tempo.