I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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La lettera
(Quando non c'era Internet per comunicare).
LA LETTERA La lettera che aspetto mi porterà i tuoi segni io li conosco e riconosco ogni volta e vorrei abbandonarmi all’idea che in essi sia chiaro il suono della tua voce.
È un desiderio infantile io credo leggendo che il segno porti alla voce e questa a un gioco ripetuto di parole.
Sempre la grazia di te mi riempie Guardando il foglio teso e segnato Da parole cariche della tua fiducia il rapporto tra noi e lo spazio ed il tempo.
È questo il desiderio che leggo nelle linee veloci e angolose a cui affidi sicura i suoni lenti ed ampi del cuore.
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Specchio di notte
SPECCHIO DI NOTTE
Pensieri come specchio su un vetro buio di notte. A un tratto strani presagi e tutto si muta. Forme visioni parvenze incompiute perfette nella loro inconsistenza.
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Deserto
DESERTO Tenda immensa di fumo di canto di sguardi sfuggenti o attenti glissando, meandri di musica ignota a Descartes in ritmi non ricevuti per grazia, ma venienti da profumato e antico giardino che notti portatrici di fiabe crearono lievi per Ravel o per Grieg. Movenze di sensualissimo flesso, illusione a occhi inadatti a capire i lascivi e obliàti abbandoni assetati di primitivi piaceri. Si avvicina, mi guarda, mi ascolta, mi sfiora con artigli dolcissimi, privi di sangue, lievi e leggeri lontani da laceranti ferite, ma usi a languide tumide labbra. Giri di vesti, colori di erbe di rosso e viola, il fuoco che brucia rivela a me Zoroastro, a me solo, iniziato in periferico cerchio, umile eppure sfrontato a cercare ombre stordenti di complici odori in una glabra e umida seta, impudica offerta con sguardi di brace. Ed è dolce affogare – farò a meno di ogni respiro, mi nutro di umori –. Un solo strumento in armonico suono accompagna la fiamma danzante, mentre il mondo intorno si offusca e si scalda vagando come assenzio stordente in languide ingovernabili ebbrezze che si svelano per dire sì sempre sì.
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Oriente
ORIENTE
Questo spazio infinito questo odore di sabbia questa luce accecante questa spada di Allah questa Aden lontana questa morte di Paul. Non salirà sino al cielo l’immeritevole scritto solo mia l’emozione imperfetta coscienza.
Dasht-e-kavìr, dove l’acqua svanisce di timida vergogna per non offendere il sole, la terra segnata, l’agnello sgozzato e un’ombra nera di donna iterante, incerta e sicura in marcia ed immobile.
Questa strada a Marùn questa origine vaga di fuochi eruttati dalla terra profonda manomessa dall’uomo malusata nel mondo. Notti abbaglianti guida per le stelle i nomadi ignorano la strada è già nota.
Villaggio di pietra dove vita è silente, dove il creato ebbe il suo inizio non detto, non avvenuto ma senza dubbio creduto, l’entropia nelle parole in sequenza acquieterà le afasiche credenze di tanti.
Quelle volte sonanti quell’odore di erbe quel pavimento invisibile quella porta nascosta quel portone immanente. Un sottile confine d’argilla che la strada ferisce dal bazàr sino al sole da rumori indistinti al suono certo del vento
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Le facce della notte
Aprirai la finestra E vedrai nella notte Come attonite mummie facce bianche di morti che dalla fossa parlano immobili al buio.
Ebbero un’anima Che in silenzio attese credule felicità e provvisori affanni?
I loro occhi ciechi Ignorano degli altri Il silente dolore. Ridono quelle facce Notturne sfigurate nell’attimo di un vuoto che fu ultima paura
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Segreti. Gelosia
Segreti. Gelosie. Vezzi da collezionisti di masochismi e bugie intrecciati a confondere tracce labili d’amore. Affari d’amore. Languidi romantici sms a inseguimento o biofisici approfondimenti? Chiedo: la solitudine dell’anima può convivere con la frequentazione di sensi assetati? Impari è la lotta tra le parole viaggianti nell'aria e gli sguardi e le carezze di corpi protesi e vicini a toccarsi ognuno a offrire il proprio pudore all’impudore dell’altro.
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La notte
Era troppo tempo che non uscivo di notte a percorrere strade note solo a memorie irreali. Ho scritto, una volta, che i nottambuli sono sempre gli stessi. Non so, più nessuno conosco, se il mondo è deserto hanno avuto paura anche loro, gli ultimi della mia razza.
E mentre il tempo è indolente un altro mondo esiste, asciutto e pulito, in cui vivono ora e forse, tutti quelli che furono sconosciuti compagni, se chiedono ancora, se sognano, se le passioni guidano i gesti, se le membra e il cuore hanno dolcissime la culla ed il letto.
Ma oggi sono fuori Per cercare ancora di me, guardando riflessi confusi ascoltando rumori argentati, forse veloci, forse brillanti: sarò bersaglio da colpire di fronte o da ferire, uomo in quel mondo, con dardi come strali di parole.
Era tempo dunque che uscissi di notte a percorrere luoghi già usati in ritorni d’inverno, e non importa se i nottambuli più non sono gli stessi, ecco, qualcuno mi è attorno nella strada che è segno di attese, è desiderio di vivere il loro, - quelli di una nuova razza -.
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Sera dinverno
Mai è stata sera d’inverno così Immobile ansia sulla mia pelle Io sono l’ombra che si allaccia in silenzio Quasi compagna che illude e corrompe.
Mai è stata sera d’inverno così La luce è debole e fredda nelle mie mani Usta di sudario in lattiginoso celarsi Speranza e salvezza ai miei sensi in attesa. Non ho freddo perché in me nasce Un greve dominio di gelo in agguato E non mi copro perché sono il vento Che come materia riveste gli oggetti.
Io sono infine gli oggetti creati nel nulla E che dal nulla ritornano al mondo Nell’ora di nebbia densa e avvolgente Che si affanna a velare il tramonto. Allora mi perdo in un’ombra tranquilla Mentre non ho più la coscienza Del corpo tediosamente assopito Un nulla, un irrefragabile sogno Che a volte silenzioso mi vince.
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Il buio nellanima
IL BUIO NELL’ANIMA
Nell'uggia d'inverno Piove frusciando Sul mio volto segnato Da una smorfia ghignosa. Nella cornice di nebbia La pelle tremula e nuda strozzata dalle spire del tempo Pallida sparge il suo pianto. Un affanno, un richiamo Una voce che trema e che aspra minaccia Mentre roca m'insulta.
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Omaggio a Léo Ferré
OMAGGIO A LÉO FERRÉ
Ti ho incontrata per caso - in un dove o in un quando questo non importa - senza sapere se ci si è sfiorati se ciò risponda al vero. Si è portati a credere o a sognare di una storia antica. Ma se quando parli sorridi quel dove e quel quando vivono di propria e leggera sensualità di bellezza creatrice. Non dirò dunque di bohème non dirò della mia vita d’artista ben altro lirico sguardo ne ha cantato un dolce violento e anarchico irraggiungibile vivere. Io per te amando te ne ho scoperto il sognare il suo costruire uno stampo per i mortali che cercano e che forse troveranno se fede albergherà nei cuori
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I portici scuri
Mi perdo sotto portici scuri specchio ombroso del cuore. Un’altra notte mi aspetta: fantasma che agita il sonno della voce muta nel petto eco al mio andare ansia di poter dire di me nell’altalena tra nebbia e chiarore.
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In assenza di suoni
IN ASSENZA DI SUONI
Torno ancora e non vedo Il paese mi accoglie con attonito inverno. Qui vivrò il mio non detto Il mio non avvenuto Sogni fermi in attesa Delle voglie sospese. Torno ancora e non vedo Nel paese che aspetta Il suo tutto incompiuto E col tutto i morbosi Vagheggiati piaceri Del corpo e dell’anima. Mentre vita fluisce in assenza di suoni.
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Andando, correndo
ANDANDO CORRENDO
Andando Correndo in tondo Sospinto dal vento Stordendo i pensieri Derviscio anelante Fanciullesca vertigo Per un riso innocente Aperto e sognante Di ebbrezze future Di irraggiungibile Perfetto assoluto Falsificabile vero Segno obliàbile Di rarefatto sentire Che quel vento Consunto di sé Implacato violenta.
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canto quinto Nuovo meretricio
CANTO QUINTO
(NUOVO MERETRICIO)
A volte le parole, per vanità Meretrici, si svendono in enfasi Sottomesse a lacrimevoli sensi Invano tesi a commuovere cuori Con velleitari e pretesi languori. Esse, mostrando artefatti belletti, Posson tradire ogni amorsofia, Avvilire ogni dodeca, ogni Epta, ogni decaritmica sillaba, E pendule di romantici trimetri Infiascarsi in alessandrini d’accatto. Sì che il Cielo d’Alcamo, in tanti, e Con invidia esiziale, proverebbero A umiliare con barbare rime In calligrammiche infìde fattezze. Ma può accadere che la notte infine S’accenda, Polimnia danzi con Clio, decapiti gli ecolalici suoni, S’inveri in nuove inattese armonie Allor che la vanità parolaia, Fluente nell’accattonaggio dei like, offra un’utile morte a se stessa. Si ruppe infine la diga e il torrente Increspato di candida spuma E padrone invece del proprio fluire Mai rassicurante decise per sé. A vera poesia s’arresero Gli scortesi profanatori dell’essere, Allor che i versi sviliron le rime Tra cuori e lacrimevoli amori, Per cercare una nuova modernità. Quella tornante da ere passate, Come accadde per l’oca felice Che i parisiensi modi permise, (Furon le penne a uccidere il calamo). E tempo arrivò che un nuovovecchio poeta chiese a un ultimo sogno Se mai Jack da backroad sarebbe tornato A fustigare i cultori dell’enfasi, Color che rimano mare con cuore, Che usano il pallore lunare per Sedurre e ingannare le anime illuse.
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canto quarto I cammini del desiderio
CANTO QUARTO
(CAMMINI DEL DESIDERIO) Musici sognatori concertano In flautati e incrociati accordi, fantasie che l’anima accarezza In attesa che fiamma lunginante Ecciti, in un vagheggiato fuoco, Lo stupore di bendisposte vaine, peraltro non eiaculate ancora. Libertà di scendere o bruciare, Tertium non identificabile, Sarebbe illusorio salvavita. Intimità di sospirati amori E irreprimibili ingenuità del cuore Ansiose chiedono risposte invere, ma a quale richiedente grazia? Diffida o vanìloqua dialettica? Ora, l’ermeticamente usata lingua, Tra desideri materialmente Mutanti e cadenze artificiose, tocca e usa con sale e lacrime un indagare vacuamente invaso. Vedere per godere, guardare per Capire, come delacroce fece Allor che in Sardanàpalo morente Mostrò un annoiato ghigno rivolto Alle sue donne nude e in lacrime, Allacciate a eunuchi e nuovi amanti. Ma tutto potrebbe rivelarsi come un finto seducente happening, un universo che dal nulla erompe, specchio di umane e risognate ombre. Musicale trio in blu maggiore Accompagna l’onda del desiderio Là dove febbrilmente aspettano sensuali sguardi e casuali amplessi, Morbose pulsioni erotizzanti, E voglie di epitelici abbandoni.
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Vorrei dirtelo stanotte
VORREI DIRTELO STANOTTE Vorrei dirti stanotte Parole che non ti ho mai detto Erano dentro di me E non le conoscevo ancora Per dire che ti cercavo E non potevo più aspettare. Vorrei dirti stanotte Che volevo sentirti vicina Per affidarti i pensieri Che oggi ho scritto per te E ricordarti che cercare e pensare Possono vivere insieme. Mentre i nostri passi notturni Raccontano di noi E vorrei dirtelo stanotte Con parole a fior di labbra.
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Canto terzo
CANTO TERZO
(PANTA REI)
Inverato in sinusoidali e impazienti curve L’ entropico orizzonte di euristico trovare albeggia in vagheggiati compimenti. Allor che poesia fecondò intatti grembi invalso fu il fondato immaginare che l’anima racchiuda l’intelletto e destinata sia a soffrire se glissando dimentichi l’offerta d’un intenso affetto. Ma l’abitudine può ucciderne l’afflato preferendo un oscuro male senso allo stile d’un’onesta conoscenza, sì che l’anima nel rogo d’una pira bruci e in aria si dissolva come fumo in attesa che il freddo la riaddensi e l’irruvidisca in stoffa sulla pelle. Passa il tempo e il work s’attarda nel suo progress Mentre l’ansia può generar sconforto e a volte il malinconico supporre che sia un vuoto sospettare il vostro, mad words miei cari e mai perduti masters! È così che il tempo fuggendo passa Ineffabile in un muto divenire allor che cerca in ricordi amati la desiderata promessa del fluire.
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Omaggio ad Archiloco
γλαΰκ` ορά βαθΰσ γαρ ήδε κΰμασίν ταρασσετάι. (Omaggio ad Archiloco)
Guarda Glauco il ribollire del mare dal suo imo invisibile dove un immobile buio dalle inerti sonanze ancora può unire Creta con Lectis, là dove il tempo si erge a mito e memoria di un labirintico andare in altri sognanti viaggi.
In quel mare violato da nuovi profananti rumori forse ancora resiste un silenzio e un ricordo di umanità non corrotta da luccicanti bisogni, eppure ancora protesa a conoscenza e virtù, inobliabili guide per futuri creatori di abbagliante poesia.
Guarda dunque Glauco, dal tuo mondo di antica lirica e poetica voce, guarda là dove quel mare ostinato sembra fermo in attesa di nuove speranze e di accecanti ritorni, e che il tuo sguardo, inconoscibile ai più, sia infine senza perdono.
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Il bagno del mago
IL BAGNO DEL MAGO Bagnandomi nudo nella vasca ho bevuto dell'acqua saponata Verdolivastra all'apparenza Nutriente rituale Magia sperimentale. Stupori sensoriali di bolle in rapporto di pressione, mi solleticano arcane e qual gorgoglio di temperato magma mi fan trattenere la voglia d'orinare. Allora Acquezzando i voluttuari Sogni di banale transitorietà, e di acidula pienezza colorati, ridicolizzo l'immacolata umidità. Così mi vidi, Occulto e riservato, uscendo (non più in braccio) freddo gocciolante di un giorno di piacere di un uomo di piacere: il mio. Così lo vidi: Alto taglio da sotto le ginocchia nella specchiera ovalizzata esperto bagnerciante di vapore saturato indugiante e intemerato. L'ora richiedeva, il tempo ripressava. Stanco dell'abbraccio mi decisi e scavalcai la vasca maledicendo infine i benparlanti. Blu nell’accappatoio, e in procinto di spiccare il volo, (tarocco d'ovvietà), spalancai le braccia e nell'ora occulta palesai l'intimità. Distratto dal diletto Sono scivolato sul sapone Sono morto così risorgerò presto.
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Canto secondo
CANTO SECONDO
(AMPLESSI)
Allor che furono umide e parlanti le profuamate ed assetate sticchie di gemmate e desiderate amanti, perbenismi equivoci tornarono nel nulla umiliati dall’amore, chiuso essendo il passo che svilir vorrebbe, con le ombre di conformismi triti, il piacere che vive il suo bruciare. Inverato fu il segreto dell’onda, Fluente e increspata di spuma, Esondante da febbril natura E da stordenti e risognate voglie. Tatti morbosi esploran l’epitelio, Accorrono ai desiderati sguardi, All’oscenità di flautati spacchi, Ai non mai abbastanza diletti varchi. Furono infrante le difese aduse A negare l’estasi possibile Per sensi avvezzi a morbosi sogni Armonici all’ampiezza del fiottare. Scrisse il poeta ti offrirò la bocca, E la musa ne modellò l’aspetto. Figure iteranti dalla luce all’ombra Apparvero in una marcia immobile Verso un illusorio creato inizio, Forse avvenuto e, in un morente dubbio, da fumose connivenze immaginato. Ma dall’ inanimato pressappoco Può accadere che un preciso turbinoso Amore possa avvolgere ogni cuore, Ogni pulsione d’ irrefrenati Desideri in apnea di cieca attesa.
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Canto primo Epifanica
Dal mio quaderno dei Canti.
CANTO PRIMO EPIFANICA
Giovane luna, madre di tutte le storie Vecchio sole, antenato di origini ignote. La terra sembra vivere avulsa dagli astri Che ciechi vanno in cerca di ombre opaline Da violare con bagli di luce diafàna. Tronchi bui nascono da parti silvani Come da fesse anali mondate dal sangue. Sono alberi scuri in sottoboschi di rovi, Epigoni di inverni appena piovosi. La parola indomata è garante di vita, Rugge e muggisce contro guardi villani, Distillando ferocia a irresponsabili Falsari di incertezze inverate. Gli uomini aspettano eccentrici amori Fusi in liquidi occhi preludio dell’eros, Oscura coloritura di piaceri sognati, Umido solco tra fottibili natiche. Saccheggiando la rostandiana poesia, Qual Cyrano che scrisse segrete parole Per sedurre l’alter di Roxanne esitante, Il nuovo poeta canta rare eleganze, Mira la diavolangela grazia di un sogno, Recupera voglie d’ un indomo fluire. Ma vaghi imitatori tornano a sognare, Inseguendo la bellezza come pretesa Di sensi assonnati per conformismi Che si arrogano illusori diritti. Quelli che per abbagli e riti a consumo, S’affannano a seguire ogni foia, a dire L’indicibile, seguendo ubbie irreali. Poeta si mosse verso letteratura Dubbiosa di vera materia indagata. Oscura è la faccia nascosta della luna Che si protegge da sentimentalismi solo All’ apparenza seducenti per anime E cuori pronti a ogni moda. Enfasi si perde, fine ingloriosa, E con quella il mercato del Brown detto Dan, Dove tra mondi celati alla luce ineffabile la terra mostra il suo fango. Sperando l’uomo guarda il poeta Ahspirando ahlitando a immobile luna Cui l’acne facciale non vieta il rimando A languidi sensi già deliquianti. Per il poeta bellezza allora fu il sogno E segreto nutrì il suo candido amore.
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Oriente
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