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Raccolta di poesie di Giuseppe Vetromile
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Noi quotidiani politi automatismi

Non sfuggire, mia cara: c’è da ascoltare fuori

il respiro del giorno, un soffio di primavera,

c’è da raccogliere nuovi amori ad ampie boccate

gioendo ai colori vivi del cielo, e l’azzurro del vento

tra i ciliegi, e la risacca del grande mare

c’è da sentire...

 

Ma tu non hai tempo di veder nascere il sole,

per dare un bacio, una carezza non c’è possibilità:

nelle nostre ampie terse caverne di vetrocemento

non abbiamo tempo: noi non abbiamo noi!

 

Chi sei, da dove vieni, o Signore, che fai qui dentro,

che cosa vuoi da noi quotidiani politi automatismi

ormai che fluiamo silenziosi, inerti,

attenti solo al ritmico regolare sicuro clangore

di queste fabbriche, così sudando olio in camice tecnico,

scrutando bei manufatti noi, sorridenti,

attaccati alle grondaie come grappoli

di colombi tubanti semifelici in attesa

in attesa, in attesa,

in attesa...


*

Colasanto Gennaro

1.

Indica ora il sole Colasanto Gennaro

un tutt’uno di calore luce brivido

gioia di vedersi infine alto quanto

un uomo qualsiasi desidera

e grande leggero aperto ad ogni

soffio d’amore che promana da lassù

Senza calma si distende subito

possiede la terra bacia la cenere le case

l’anima dei tram ora che è libero

avendo frutti di luce a fiotti da berne

a sazietà

 

Chiude quindi il lavoro in una

scatola debole di cartone pensando

forse di riprenderlo chissà domani

(ma urge il nutrimento di poveri

computers automatismi lì in fabbrica

a produrre programmati vani

astigmatismi di mercato) 

Libero dunque adesso su questa

piazza gremita di silenzio di estranei

amici fratelli colleghi in connubio col

sorriso del benessere a pensare

qualunque migliore morte da darne

a questi suoi altri mille uguali

Schiavo sei stato da sempre Colasanto

Gennaro due gradini alla volta

affannato per raggiungere il tetto ma

sei rimasto sempre nell’atrio

(qualcuno da millenni allunga

all’infinito la scala) Oh malignità

malignità e tu piccolo corpo

non potevi combattere tutto il mondo

stringendo i denti prima che la miseria

dalla bocca nel cuore dilagante

ti soverchiasse fino al cielo degli occhi ?

Non potevi piccolo sangue frammento

di passione amare finalmente da solo

imparare la vera poesia e le favole

senza alcun computer alle calcagna ?

E non potevi infine Colasanto Gennaro

vivere dentro la tua famiglia che schizza

da tutte le parti verso ogni periferia

in un casino di guai in un garbuglio

d’idee strapazze ma poi in fondo

giusto che si sopravviva così ?...

 

2.

Guai a te Colasanto Gennaro

che stai amando sotto la luce del sole

il filo d’erba il fiore innocente persino

i binari del tram che corre diritto nel

cuore della città sventrando immondizie

e sferragliando oscillando anticamente

nostalgicamente lungo la marina

Guai a te che stai amando tutto e

in silenzio e con la forza di Dio che

ti prende bevendo l’acqua della fontana

di casa semplice fresca pura come

mettere un dito nella colpa di sempre

<<non hai mai saputo vivere>>

hai lasciato fuoco e ardore dentro

nell’alba della tua morte

scrivendolo invano sulla targhetta

ben avvitata alla porta di casa

Ora che divampa quel fuoco devi

arginarlo in uno schema di parole

crociate incazzate ma che ti perviene

in fondo arrabbiandoti ?

 

3.

Sissignore sempre e amen così sia

eccetera nella tua piccola dimora

piatta sbiadita rovesciata livello

d’ogni ardore

 

Sissignore sempre piccolo Colasanto Gennaro

le tue remunerazioni i tuoi soldi la tua spesa

i tuoi spiccioli per una sopravvivenza

innumerevolmente spicciola ma

l’apogeo di dentro è capirti

perché sei nato proprio così

Colasanto Gennaro già con i vestiti

della gente addosso a giusta misura

ma fastidiosi impaccianti ingombranti

così sempre abbiamo celebrato noi

la tua vecchiaia in questa casa sfitta

e se dicessimo tutti no adesso

saremmo poeti veri di quelli che

non stringono le mani a nessuno

né sorridono né abbracciano assassini

ma ammazzano con tutta l’anima

ogni storta disumanità

tu invece scrivi parli poco

la città cresce fuori e dentro ti rimane

questa piazza di squallore estraneo mentre

tutta la terra desidera un tuo abbraccio

tu camminando in cielo tra mille sogni

le neghi questo affetto sensuale

giusto il tempo di nascere e morire

poi si vedrà

4.

Di queste cose parlane ora Colasanto Gennaro

che sei disteso al sole il mare di fronte

il lavoro nel cartone ben chiuso

ogni pietra dimenticata e l’amore

sacrificato all’altare delle impossibilità

Alimèntati di pane e stelle Colasanto

Gennaro ogni tua passione ti proviene

dal fondo del bigbang oppure

da quell’ostrica di donna aperta

a tutti i desideri inconoscibili

e la tua memoria si fa vela

verso lidi orizzontali senza

il minimo dubbio che siano mai

esistiti

Parlane parlane al vento alle emozioni

fruscianti vibranti sul litorale

alle note di una chitarra mai suonata

ai colori di un quadro mai dipinto

parlane sottovoce sussurrando al tuo

cuore suddiviso in frattaglie di pochezze

urlalo al tuo camice bianco tecnico

appeso alla gruccia lì in ufficio

in attesa della tua deportazione

in quella oscurità giornaliera

senza prezzo urla la tua tristezza

infinita alla città balorda tutta

la tua pazzia fuori luogo dille

che vuoi tuffarti nel mare di Mergellina

ancora una volta alla tua ricerca

per trovarti per ritrovarti

insano germe di mistero nato non

per caso da una tua madre che non

sentiva ma sapeva sa a modo suo

amarti forse sola lontana dea

della tua fantasia

 

5.

Misericordia per te Colasanto Gennaro

Napoli è ormai sfatta sgualcita sbollita

inutile tenersela dentro da nutrirne

solo i ricordi e tu sei Napoli Colasanto

Gennaro muori e rinasci con lei quando

vi abbracci le vie il mare le case ma

in altri cieli celesti dovrai ora cercare

i tuoi sassi il tuo mare la tua spiaggia

il tuo globo il tuo cibo la tua passione e

ogni gloria che ti viene dal salire

le scale delle stelle

Ascolta allora presso il nido

delle voci segrete da un volo

all’altro del rondone i mistici

subbugli dell’anima aprendo

ogni alba inerte il tuo comò grigio

laccato per riporvi perle di sudore

tecnico lì nella pena che sfalda

l’allegria dai lunari appesi

alla bacheca aziendale

Ascolta attento Colasanto Gennaro

non udrai che dolori provenire

dai cassetti sparsi della tua scrivania

grigia sbiadita e dagli abissi del tuo

natale errando per mille strade

giungesti a questa Mecca ma

è su questa scrivania il tuo definitivo

destino di sacro fantasma d’ossa

e nel riepilogare tutti i tuoi capitoli

un’altra barca è trascorsa lenta

maestosa da lontane nebbie gremite

di sogni proveniva solo solo per te

invano che sulla punta estrema del molo

hai lasciato scivolar via per sempre

la poppa nella placida corrente

 

6.

Senza di te morirò sussurrasti

in una sera di pioggerellina sotto il

lampione fioco arabescato del borgo

marinaro ed era un’affettuosa follia

ma negli occhi e nel cuore c’era

il canto eterno dell’amore altissimo

sopra il bofonchio della città assente

solenne più delle luminose antiche

chiese e più romantico delle

infinite stelle immaginate

nell’umidità nebbiosa e antracite

di quel cielo velatamente nascosto

Ricordasti poi Colasanto Gennaro

di essere solo un atomo fra tanti

bisognoso come altri di pane e

soldi per navigare in queste acque

incerte e burrascose a volte nei

pantani e negli stagni

dove la luce dell’amore è solo

una lampada sopra il comodino

da spegnere alle ventidue e trenta

per dar luogo ai rassicuranti sogni

di stagioni a venire calde e

sensuali fino a rimanerne solo

E solo sei sempre Colasanto Gennaro

solo nel contare i tuoi libri i tuoi versi

le tue ore i tuoi perché e anche

parlando e riparlando non dici che

superficialità programmate mentre dentro

s’ingigantisce il tetro vuoto del tuo

mistero

Dicesti senza di te morirò ma

non sei morto veramente sopravvivi

sagomato appiattito al tuo lavoro

come fosse una zattera slegata

abbandonata alle correnti

 

O camminando per via Caracciolo

sorprendendo la tua origine lì

al numero due casa d’altre dimensioni

ormai sepolta sotto una maceria

di ricordi forse mai esistiti

ti piacerà per un poco essere più forte

sentirti sollevato fino alla luna

e provare nascoste vibrazioni

d’amore

 

7.

Lontano da quel mondo ora che è tutto

un enorme meccanico scherzo di quelli che

ti combinavano piccoli dispettosi

negli androni dei palazzi benestanti

quando ignaro delle verità dei forti

correvi verso le braccia aperte

di un grande protettivo genitore

Lontano Colasanto Gennaro ora

che è notte da televisione sprimacci

il tuo guanciale prima dell’addormentarti

poco soddisfatto del tuo creare vano

fra una traiettoria d’automa e

una valvola che perde il suo fluido

goccia a goccia in un mare di pvc giallo

come la tua angoscia

Lontano quel mondo che non è tuo

acquistato con mille sacrifici

calpestando il tuo sorriso ogni

minuto freddo e vuoto e non

ti piacerà domani ingoiarlo dopo

colazione farne comunque monumento

di orgoglio agli occhi del resto del mondo

che sa che non combini niente di buono

chiuso stretto lì tra il fiato d’una

scrivania collega e l’altro tra

un armadietto grigio ed una sorridente

banale autorità parallela alla pazzia

dell’organigramma inconsultato

(tu che sei fatto segretamente di spirito

stridulo hai l’inerzia di un cuore

analogico che realizza solo schedari e

digitali eventi) scheletro tu Colasanto

Gennaro alla vita che immagini

volare sull’azzurro mare e sopra i campi

verdi i fiumi placidi e i boschi solo nei

sogni dopocena avendo se possibile

mezz’ora da pensarti così come

angelicamente vorresti (sai poi conoscerti

pezzo d’anima sfangata fuori

dal trastullo dei giorni sempre

sempre uguali ?)

 

8.

Una croce prima di dormire e prima

di partire è sempre la stessa tre volte

mormorata a mezzavoce chissà che il

miracolo non sia questa improvvisa

morte e rinascita senza tutto il peso

della superficie del mondo ? Colasanto

Gennaro la tua preghiera è già questo

inventariato vivere da una parola

all’altra senza sorrisi né

pianti in equilibrio perfetto sulla cresta

del campare quotidiano ultima storia

tu di questa puntata radiotelevisiva

 

9.

Hai costruito invano uno specchio

tutta la vita riflettendo e volando

all’orizzonte l’immagine del tuo cuore

aperto ma le parole uscivano piccole

incerte glabre e non avevano il glamour

dell’altissimo mondo che progetta i giorni

il tempo e le carezze da farteli indossare

sopra il pianto e l’allegria e tu mai

sei allegro portando a spasso

la tua voce e i tuoi occhi nessuno

saprebbe di che viverne lì nella

città degli ordini perfetti

Mai puoi essere allegro Colasanto

Gennaro neanche adesso che sei qui

dentro le tue quattro pareti pronto

a spegnere il tuo giorno numero

17155 sul comodino senza aver

raccolto una luna un cielo un minimo

fiore un frammento di calore né

l’amen proveniente da lontane

silenziose celesti soglie

Ricordando le tue preghiere di essere

in fondo al campo estremo piccolo

grumo di polvere e amore cerchi

d’annientarti nelle braccia della tua

compagna vesuviana in un cratere che

ti dia almeno un poco di conforto

familiare e poi dormi russando

appagato

 

10.

Ripidità della notte rapidità d’un sospiro

nell’arco breve indolore del buio paura

angoscia tremore misericordia padre

e madre della tua pochissima terra

ed è così l’improvvisa consumazione

delle tue ali Colasanto Gennaro

ogni cosa ricomincia ora scialba

e il sapore è uguale a ieri bisognerà

togliere tutto il dolce dalla bocca

cedere questi sogni gratis e

guadagnare la tua porzione

d’amarezza e salario aprendo

il lavoro partire ancora una volta

verso l’antica disaffezionata

fabbrica del pane

 


*

Ancora si spiega la luce del cielo »
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*

Dio è apparso stamattina

Chi di voi apostoli della buona novella blatera nel sottoscala
parole inusitate che scuotono gli addormentati nella casa opaca
e bidimensionale?

Un sussurro che s’avanza sulle ali dei passeri fino a
questo davanzale di marmo grigio un inedito grido
che sovrasta l’informe parlottio dei condòmini un sibilo
e guizzo di suono che s’incarna nel cuore bypassando
lo sgretolio dell’animo che cade in un limbo di piattezza
insensata?

Dio è apparso stamattina sullo scaffale numero nove
a dirmi le cose come stanno in un segreto che scorre
come acqua di ruscello limpido ed evidente come
il grano delle stelle in una notte affamata di luce

Bisognerà credergli e andando verso l’orizzonte non portare
monili e altre cianfrusaglie e rumori molesti pietre
di materia contaminata dal tocco impuro del desiderio
o dal conto degli atomi impossibile da accettare

Proseguire nudi e senza soste verso Damasco
incontro ad un fulmine che la parola rinnovi
ad altre possibili speranze

quella che ultima si dirà prima che tutto taccia
in un unico silenzio che si consuma fra le stelle

Ed io starò attento a questi passi :uno dopo l’altro
affinché venga tutto compreso lì al confine

dove spesso il pianto si confonde col sorriso

*

Dall’altra parte del cielo

Dall’altra parte del cielo è iscritto un amore che tu ancora non sai
e se prendi un raggio di luna nel volo dissolvente del tramonto
vedrai come d’asciutto sa ogni parola che ne viene e vuota di luce

Così il tempo che ogni giorno rimetti nella borsa della spesa
mia cara è un’eco d’attesa che ti stordisce solo il cuore mentre
tu trapassi tutte le molecole d’aria senza mai più sentirle accarezzare
la tua pelle Oh e tu che dirai al tuo foglio rinchiuso
ancora intonso nello scrigno di quell’unico romanzo? Bisognerà
mia cara raccogliere tutte le dolcezze e i baci e il candore
ancora vivo dei nostri antichi fiori per riscrivere la parte chiara
di questo cielo ancora avvolto dalle nebbie dei potenti annunciatori

Ci è concesso uno spazio privo di memoria rachitico e indecente
il giorno si rottama spesso nei fondi di bicchiere cangianti
e allucinati dal sentore di petrolio che tutto avvolge e spinge
verso l’eldorado e tu mia cara sei seme di sorriso imprigionato
nella terra dei tuttòfagi al centro del palazzo dei motori

schiuderai gli occhi sull’ottano degli spot erogato al quorum del
punteggio stabilito in un album con diecimila bollini da incollare

con saliva produttiva o con chimica ad hoc e tu sarai

sazia delle dita così operose tanto da concludere ogni parola

nel repertorio sfatto della sera