chiudi | stampa

Raccolta di poesie di Stefano Pucciarelli
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Tramonto su Levanzo

Distante,

oltre l'isola scura,

fugge dietro una nube

orlata di fuoco:

è il sole che cede il passo

alla notte.

 

Corre incontro

ad altri cuori

in attesa di luce.

 

S'accende il mare

in argento

per due minuti.

 

Come un canto al cielo.

*

Alla notte

Tra me e l'infinito

solo un soffitto

su cui batte piano

la pioggia.

Notte ho bisogno

dei tuoi silenzi,

quanto i fiori dell'alba

e la terra dell'acqua,

mentre esausti

si arrendono al sonno

uomini vuoti.

Apro i miei petali

e aspetto che colgano

lampi di luce.

 

 

 

 

 

 

*

Tutto è bello (ogni cosa ha una storia da raccontare)

Il monte

staccò un masso,

il masso

frantumò la pietra,

la pietra 

divenne sasso,

il sasso

formò la  spiaggia,

la spiaggia

trattenne il mare,

il mare

creò la conchiglia,

e le onde

la condussero a me.

Io infine

scrissi questo

per te.

*

Alla pioggia

Quando non ci pensavo

- improvvisa -

una voce di tuono,

lunga e lontana,

ti ha aperto le porte.

 

Pioggia

che pulisci le strade

e ristori i campi,

lava ti prego

anche le mie ferite.

 

Mi espongo nudo

alla tua forza,

sicuro che ascolterai

la mia preghiera.

*

Lo spazio del mio respiro

Traettorie solcano 

il cielo scuro della sera:

portati da ali leggere

i gabbiani perlustrano

lo spazio del mio respiro,

e dai monti avanza incurante

un maestoso temporale.

Si riflette nel mare argenteo

una luce d'antica nascita:

mi accompagna, al suo scadere,

Il giorno.

*

Ditemi

Nubi che volate in alto

parlatemi

Voi che siete estranee

alle bassezze umane

ditemi

Nelle vostre forme mutanti

spiegatemi

Di chi o di che cosa

siete messaggere

mentre il vento vi spinge oltre?

Vi allontanate silenti e maestose,

angeli nei cieli.

*

Mascherine

Cosa dicono i tuoi occhi

a filo della mascherina?

Sala d'attesa

Silenzio irreale,

palpebre stanche

e sguardi in basso.

Un piede oscilla

una mano sventola

e vibra il laccio di una borsa,

in attesa di un nome.

A posti alternati

cerchiamo di scorgere,

l'uno nell'altro,

cosa è rimasto 

di noi.

*

Qualcosa per te

L'amore ci sfugge di mano

come la sabbia del mare.

Se solo potessi trattenerne

per me un granello,

venuto da una roccia

nata dalla terra.

O due, 

per fartene dono.

*

Eco lontano

Giungerà fino a te,

goccia su goccia 

onda su onda

brezza su brezza,

il respiro 

di questo pianeta.

Avrà con sé 

l'eco inestinguibile

di una antica voce,

dolce e pacata,

che parlerà 

al tuo cuore assetato:

"Ti voglio bene".

*

Nel cielo

Non mi stanco

d'alzar leggera la testa
ai gabbiani lontani,

alti sulla volta blu
graffiata di bianco.
La brezza lieve e potente
salmastra s'infila,
e m'alza a rincorrerli,
fino a vedere, finalmente,
la piccolezza dell'uomo,
e la grandezza del cielo.

 

*

La vetta

Infine è raggiunta la vetta.

Su cosa domini ora?
Perduta umanità, la tua scalata
è cresciuta sugli innocenti:
distrutti in guerra
dispersi in mare
spenti nei letti
disfatti dalla droga
annichiliti dalla noia
adescati per l'altrui gloria.
Ti daranno una medaglia al valore,
quello che hai dato al denaro,
dimenticando che nudi si nasce,
e che in questo miracolo
non abbiamo avuto parte.

 

*

Questi tuoi pensieri

Galleggi

nei tuoi pensieri.

Onde,

sono come onde

che ti rovesciano,

questi tuoi 

pensieri.

 

Correrti dietro,

passare avanti 

fermarti,

parlare.

La mia logica,

cemento

contro il vento.

 

Eccomi,

e dammi la mano,

senza scappare.

Chiudere gli occhi:

dormire

e dimenticare...

Per un pò.

 

*

Non crederci

Infine,
giorni e attese
sottoposi
il corpo
ubbidiente
a mani intruse.
Mi hanno bucato
scrutato,
solo sul duro letto,
luci e freddo.
Guerrieri
dall'elmo di carta
mi girano intorno
e armeggiano
su di me.

 

Così

è quando

l'onnipotenza
sale in te
non crederci:
dipendi
dagli altri
e da Dio,
infine.

*

Lampedusa

Lampedusa

 

 

Se avessi amato meno la libertà

i miei figli li avrei cresciuti

in terra d’Africa

 

Se avessi amato meno la pace

non l’avrei cercata lontano da casa

oltre questo mare

 

Se avessi avuto meno coraggio

l’avrei perso del tutto

aspettando che qualcosa cambiasse

 

Se avessi avuto qualcuno dalla mia parte

avrei conservato la mia dignità

la mia dignità

 

Se avessi saputo nuotare

ti avrei davvero raggiunta,

Europa.






*

Ad un passo da noi

Ad un passo da noi

 

bagliori lontani
che spezzano la notte
come urla disperse nel buio,
invocazioni elettromagnetiche.

umido di lacrime
foriero di dolore,
ambasciatore afflitto
da troppi doveri
arriva il vento.


geme la terra intera
e con essa il cielo.
nel rombo del tuono
appare
scompare
ritorna
e ci perseguita
la tragica follia psichedelica
di migliaia di voci:

è un grido infinito e ripetuto

ad un passo da noi:

per
ci
 ate
  est ?
Sia
   ini
    che
noi!




*

Poesia per una vecchia acida e grassa

Poesia per una vecchia acida e grassa

(Come sono belle le nuvole)

 

Guardale ancora

Sospese a metà del cielo

Evanescenti e leggere

Nostre riflesse esistenze.

Guarda le nuvole, Margherita.

Corrono immobili tra i lampioni

E le facce dei palazzi

Tra le cime degli ulivi

Scambiandosi il colore con il mare

Carezzando la luna.

Guarda ancora le nuvole,

per un po', Margherita.

Ho scelto di rallentare la mia corsa

Di assaggiare l'aria

Lo stesso vento che le spinge, in alto,

Ora soffia qui per me.

Guardale ancora, Margherita.

E se il tuo cuore è stanco

Affida alla prima nuvola

Una parola

Che si chiama desiderio

È un'altra che dice portami!

Guarda giù ora, Margherita

Alla piccolezza degli uomini

Vicini eppur lontani

Ricchi ma aridi

Poveri di emozioni

Alcuni vicini a Dio.

Guarda giù Margherita,

Alla bellezza del mondo

Alla vita che corre

Alle stagioni della semina

E a quelle della raccolta.

Hai visto la gente da una nube?

La loro vita è anche la tua

E tu,

Sei in mezzo a loro.

Piccoli, troppo piccoli per contare qualcosa.

Preziosi fino all'ultimo per non essere amati.

 

Chi è umile vede tutto dall'alto

Abbraccia il mondo e soffre insieme.

Innalzerà la sua gioia al cielo.

Come sono belle,  le nuvole.

 

 

 

Stefano Pucciarelli

Rossano 20 aprile 2015

 

*

La pioggia neppure lava

Acida la pioggia neppure lava

l’asfalto rosso dell’acciaieria. 

Dissolta s‘è la nube soffocante

che l’aria porterà

polmoni ad ammorbare distanti.

 

Hai chiuso l’occhio tuo padrone?

Così non vedi

l’operaio che muore di tumore

e il bimbo nato maledetto.

 

Gettali, i tuoi scarichi,

nella fogna della coscienza tua,

fino a quando

non alzerai muto la testa,

corridore fuori tempo al traguardo.

 

E tutto sarà stato vano ormai,

annullato, tranne il chiodo lacerante

del bene che hai mancato!

 

(2004)

*

Anche solo di un centimetro

Oh, se solo 

potessi affacciarmi 

alla vastità dei mari 

che racchiudono il mondo, 

e nella massa immobile 

delle loro profonde acque 

sia pure l'ultima molecola 

ne fosse il mio pensiero; 

 

se la mia mente cogliesse 

appena per un istante 

l’insieme dei silenzi

che colmano le valli, 

e se il coro dei sibili ventosi 

che sferzano le cime d’ogni altura 

giungesse da lontano

per sfiorare la mia 

indefinita inquietudine; 

 

se la migrazione 

di un grande stormo libero 

toccasse la verticale 

del mio cuore errante 

con il volo di migliaia d’ali, 

forse mi alzerei allora 

anche solo di un centimetro, 

da questa terra.

 

 

*

Quando ero bambino

Quando ero bambino

sognavo con i Lego,

costruivo case e macchine.

Perdevo conto del tempo,

e partorivo invenzioni

tutte pezzo per pezzo,

ognuno cercato, scovato

dalla grande scatola

rovesciata sul pavimento.

 

A volte ne mancava uno,

ma non mi arrendevo.

A volte non c’era del colore giusto,

ce lo infilavo lo stesso.

A volte per completare

ci voleva più tempo,

per finire però alla grande.

A volte disfacevo la cosa a metà,

per ricominciare daccapo.

 

Io sono rimasto bambino:

la parola sogno

ha cambiato solo quaderno:

la mia guizzante attenzione

mi corre sempre avanti.

Costruisco ancora ogni giorno

una storia con i piccoli pezzi

che trovo sulla strada della vita.

 

Anche tu non arrenderti mai!

Aggiungi alla tua creazione

la leggera poesia quotidiana

di ogni dono che trovi.

Siamo esseri in trasformazione:

abbiamo bisogno

del sorriso di un bambino,

delle calde parole di un amico

e dell’abbraccio di chi ami,

del volo alto d’un gabbiano

e di una conchiglia,

di una galassia

e di una fresca ombra,

di una preghiera ascoltata

e di uno sguardo lontano…

 

*

Confesso di credere in Dio

Scusami, se chiedo di non girarti,

perché  voglio parlarti di Dio.

Se ti avvicini potremmo guardarci,

ciascuno nella sua compiutezza

fatta di strade percorse

e di traguardi raggiunti:

ti faccio i miei complimenti.

 

Ma tu,

non sei tu lo stesso che un tempo 

nascesti inerme da una placenta,

dal grembo materno, dal seme di un padre?

Qual dono ebbero i due per darti la vita?

Tu: inerme e grandioso, poiché

saresti divenuto al tuo splendido oggi.

O nato dal caso? 

Figlio di Darwin, quindi non dell’amore.

 

Ti faccio i miei complimenti.

Probabilmente ti basti e mi tolleri appena,

per il mio puerile, inconcludente candore

nel mostrarti un Perché. 

 

Ma tu dimmi,

quale merito speciale ti rese tale?

Dirai: - Ho affrontato la mischia 

e sono uscito vincente! – 

Oh si, era tutto codificato (ma lo negheresti) 

in: “Denaro e Nient’ Altro”.

Su chi poggia quindi il tuo piede?

 

Se puoi affrontare 

i due specchi neri profondi

che riempiono il viso 

di un bimbo cresciuto a Goma,

se credi che la vita sia soltanto una gara, 

 

e se l’aquilone della tua presunta gioia

ha incontrato alisei che lo portano in alto, 

in solitaria vittoria, 

allora scusami ancora per la mia debolezza: 

io ti confesso di credere in Dio.

Forse, hai appena condannato il mondo.



23 agosto 2012

*

Compagna silenziosa

Queste ondine mattiniere

di cielo e sale

un po’ disordinate, spiegazzate

dall’aria che tira di traverso,

scandiscono il piccolo momento

che ho preso per me.

 

Mi muovo lento.

Il sole basso indugia ancora,

e lunga è la mia ombra:

compagna silenziosa

come un’intenzione,

muta effigie di presenza

che mi precede,

che non mi lascia.

 

Senza di lei

potrei non esistere adesso:

sarei solo un sussulto

o un pensiero errante

che si perde inerte  

nel suono ripetuto

e ipnotico dell’acqua.

*

Subacqueo solitario

Solitario in mezzo al mare del mattino,

con lento e controllato movimento

sospinge il sub le grandi pinne

di artificiale forgia e muscoloso cuore,

silenziosa coda di delfino.

 

Solitario in mezzo al mare del mattino,

in un conteggio che soffia di cetaceo

alterna il sub i suoi pensieri col respiro,

un apprestarsi al tuffo che lui soltanto sente,

per incontrare anche oggi il suo destino.

 

Solitario in mezzo al mare del mattino,

colmato d’aria il suo torace

in un assaggio e spasimo di vita, 

le pinne al cielo volge e al fondo il busto,

per sprofondare nel silenzio del turchino. 

 

Solitario in mezzo al mare del mattino,

la massa immensa che comprime

il sub abbraccia e fende in una prova

ch’è amore e insieme sfida di titani,

natura e uomo al lor declino.

 

Solitario in mezzo al mare del mattino,

di gravità la forza il sub non sente

ma la clessidra dei secondi è despota di luce,

per cui di tuffo in tuffo, di brama in brama,

dall’apnea il risveglio è vita al suo cammino.

 

Solitario in mezzo al mare del mattino,

dove il tempo più non conta niente

la mente s’incontra con la madre,

s’appressa al mondo ch’ella nutre intero,

per render dei suoi giorni il peso un pò più fino. 

 

(Dicembre2005) 

*

Senza saperlo

 

Se osservo un pescatore,

solo con la sua canna ferma

tesa verso il cielo,

e il mare che lo guarda,

mi viene di pensare a te.

 

E se una grande luna rossa

cammina tra gli ulivi centenari

ed io la cerco mentre guido,

mi viene di pensare a te.

 

Se allungo il mio scrutare

in lontananza, 

sin dove nel crepuscolo 

scemano i colli in scuro,

mi viene di pensare a te.

 

Se leggo sul giornale

di un passo avanti

e due indietro

sulla tua strada,

 

se intorno a me si muovono

a milioni, 

assorti, distratti, ostili, presi, 

ognuno col suo mondo chiuso in se,

mi viene di pensare a te:

 

Pace,

tutti ti cercano, senza conoscerti

in molti,

senza saperlo.

 

 

 

2/8/2012

*

Ode al sassolino di spiaggia

Da quale ignota e fondissima fornace 

(per il peso tuo leggero nella mano)

fosti tratto per fusione,

(per le vene congelate del tuo manto)

quali forze primordiali della terra

(per la pelle che rinnovi nel sentire)

ti han condotto fino a me, 

(per chiunque abbia voglia di giocare)

ignorato gioiello della rena,

(per il mare che entusiasma i tuoi colori)

stupore solido scelto tra milioni,

(per la voglia che mi viene di narrarti)

come un segreto custodito nella mano,

(per gli ingenui sognatori come me)

sassolino tondo di battigia?

 

Le sostanze stesse della terra sono chiuse dentro te,

(per la forza fantasiosa del creato)

sin da quando una antica supernova

(per il dono che tu porti fino a me)

seminò l’immenso vuoto di elementi.

 (perché è bello che il pensiero possa andare…)

 

Perché è bello

ch’io Lo possa immaginare, 

compongo questa lode alla materia,

alle acque, ai venti scolpitori,

ai moti di marea,

agli atomi del mondo,

all’aria intensa che respiro,  

e a te,

sassolino tondo della spiaggia

che adorni la mia mano 

di fanciullo. 

 


Dicembre 2005 

 

*

Cammino col vento

Notte inquieta d’autunno

-scorgo bagliori lontani -

ed io cammino col vento.

Le foglie s’inseguono in cerchio

tra lampioni impassibili

al mio assorto passaggio.

Un’auto, sola, insegue i suoi fari.  

 

“Compagno fedele, 

vuoi scambiare con me un pensiero? 

“Non son forse io che un istante fugace sul suolo

e la terra un  granello nel cielo,

ed il cielo…!

un prodigio nella mano di Dio?

“Tu che da lontano vieni, 

amico saggio, dimmi, 

son forse solo?

 

E nella notte il vento parlava:

“Se sai d’esser nulla fai bene, 

ma sappi che l’amore 

anche il nulla vede,

ed il Suo - d’amore - 

è il più grande.  

 


9/11/2010

*

Tutti i mari del mondo

Grande mare che guardi a oriente,

non ti solcano le navi 

ma lo stesso sguardo mio,

trasognato, muto ed errabondo.

 

Le tue deserte acque di cobalto

fecondano il cuore mio d’argilla,

col dolce tocco rinnovato

di queste liquide carezze alla battigia.

 

L’impronta appena si cancella

insieme alla condensa del mio affanno:

ed io mi chino, palpando la tua pelle 

con la mano.

 

Oceani lontani e correnti poderose, 

da voragini e distanze condotte al loro incontro, 

da Scilla, Gibilterra o Capo Horn, 

precisamente non lo so;

 

il riflesso delle aurore boreali, 

le solenni tempeste, il canto struggente 

delle megattere, e il salto di milioni di delfini:

dalla mia mano tanto ascende in me!

 

Questo chiamalo ora come vuoi, amico mio, 

suggestione o pathos, miracolo se puoi: 

misura irrilevante difatti ci appartiene, 

granelli nell’immenso intorno a noi…

 

Eppure un solo vasto oceano 

ha trovato posto in me, nel quale si fondono 

e respirano, s’agitano per poi placarsi,

tutti i mari di questo mondo.

 

 

 (Dicembre2005) 

*

A volte tutto rallenta

Ritmato struggente blues

il tuo canto allaga il rione 

ch’è ancora abbracciato al suo sonno,

lambisce il muro di tufo della fiumara.


Il sole licenzia l’aria notturna,

caldo stende il suo velo sull’azzurro;

una baracca  espelle rapida un fumo

prevale il viluppo di fichi d’india 

sulla scarpata di terra annerita: 

un'agitarsi di immobili pale.


A volte tutto rallenta:

mi è dolce l’attesa stamani, ch’è luglio:

sono in osmosi con questo minuto 

frammento di mondo.



(luglio 2012)

*

Un lampo in Chiaia

In questo caleidoscopio di Chiaia,

di gente distratta e di rumori,

di vetrine, fisarmoniche e cani,

 

a cosa stai pensando giovinetta,

con la fiaccola spenta in mano, 

prigioniera sotto un lenzuolo bianco,

e bianca la tua faccia stanca,

imitando la Statua della Libertà?

La tua latta è vuota, chissà da quante ore,

e il corpo ti fa male.

 

S’uniscono i tuoi occhi tristi 

con i miei, per un momento, 

e il lampo è già passato. 

*

Poesia per Carmela e Arcangelo

Ho appeso le mie lacrime alle stelle

ho gettato mille sassi in un ruscello

ho contato le foglie dell'inverno

ho spiato in ogni turbine di vento,

per tornare a quand'eri con me.


Ho chiesto al sole di baciarmi

e alle onde del mare di cullami

ai fiori di sorridemi leggeri

e agli uccelli di cantar la nostra storia,

per sentirti ancora innamorato.


E abbellirò col colore dei tuoi occhi

la dolce tristezza dei miei giorni

e griderò alle nuvole che t'amo

e a Dio che si ricordi ti te,

perchè tu sei me.

*

San Giacomo D’Acri

In queste valli di Calabria 

che guardano al Pollino,

la campagna si mischia 

col bosco e la montagna, 

la gente con la terra, 

e le case sono semi di famiglie

sparpagliate per le strade della vita.

 

I vigneti sono bolli riciclati 

sulla busta dei declivi;

riposa il poeta contadino 

dal suo dimesso interpretare,

alla natura, il ruolo più vicino.

 

Oh, querce dalle foglie gialle 

continuate a mischiar le vostre tinte

di quest’immensa tavolozza 

coi mandorli, i ciliegi, i peri e i meli

e gli alti pioppi che son nello scosceso.

 

Gioisci allegro fumo tollerante, 

nel giocar col vento fresco dicembrino:

se non t’affacci dal camino 

a disputar le tue curiose giostre, 

triste sarà la casa e fredda e spoglia.

 

Incontro donne dalle braccia nude

e mani esperte, di coltelli armate e di sorriso,

affaccendate sul maiale macellato da due giorni, 

per consentir dell’abbondanza il rito 

a tutta questa laboriosa gente.

 

Pace al cuore e sostanziosi sonni poi, 

nel passeggiar per queste valli,

con l’amico che ripete 

i suoi sentieri giovanili, 

la vecchia scuola elementare 

di classi cinque in una, 

senza bagno e presto chiusa; 

 

e la sorgente lì vicino 

che i pioppi in basso annaffia, 

placando agli uomini una sete 

non soltanto d’acqua.

*

Il Teatro Delle Apparenze

Si avvicinino, signori,

e anche voi inquieti giovanotti e signorine belle!

Ma dove andate? Smettete di girare:

non avete visto che va in scena oggi?

“QUI TROVERETE LA FELICITA’!”

 

Cosa sognavate di inseguire, l’aria?

Vi siete accodati ai proclami

di qualche abbacinato profeta dell’eterno?

Agli appelli di un visionario pronto al sacrificio

che chiede al mondo

di emendarsi dal suo feccioso egoismo?

 

Vi siete fatti sedurre

da qualche invasato apostolo della pace,

che grida siete tutti fratelli?

Che cosa pensate di indagare?

Vi han forse detto (ah!)

che la felicità già dimora in voi, inconsapevoli?

 

Ascoltate: l’arte e la poesia

son fiori che durano un momento,

lo spirito è una evanescente lusinga

e la coscienza… un oneroso espediente!

Solo qui troverete, o erranti,

il vostro placido porto e una poltrona

per tanto svergognata mollezza.

 

Saziatevi di leggerezza, ubriacatevi

di questo fantasmagorico presente,

ché i giorni son dannatamente brevi.

Non vi offro di trovar voi stessi

ma la FE-LI-CI-TA, avete inteso?

impacchettata e pronta all’uso,

di pronta consumazione.

 

Si avvicinino, signori,

e anche voi, inquieti giovanotti esignorine belle!

Accostatevi prego, all’ingresso

del Teatro Delle Apparenze…

 

E se vi siete chiesti: “Cos’è la vita?”

...ah! non sprecate il vostro breve tempo

per pensarci!

*

Il cuore di Athanas

Cosa sognava il tuo cuore, Athanas,

nei giovani  anni dei tuoi lavori forzati,

quando vedevi allungarsi il porto a Durazzo? 

Sognavi di vedere quelle banchine 

dal mare, il giorno che le avresti lasciate?

 

Figlio senza colpa ti tolsero tutto,

solo il tuo cuore ardeva 

nel gelido campo della diffidenza,

dove non spunta il fiore dell’amicizia.

 

Oh sì, quanto avresti desiderato

un vero compagno, un amico sincero 

con cui parlare del tuo sequestrato paese, 

di poesia, di libertà e di Dio.

Solo silenzio e sospetto fiorivano.

Tacere e aspettare.

 

Un capo ti riconobbe: - Vai - disse,

- la tua istruzione portala in campagna,

ma stai attento, maestro… -.

Divenisti  maestro in agri lontani.

 

E intanto ansimavi per quelle banchine,

e per l’Italia, al di là della sponda,

dritta davanti alla prua dei tuoi sogni.

Scegliesti la strada della dignità,

uomo libero in un paese d’oppressi:

mai nessuno divenne padrone dei tuoi pensieri.

 

Passasti la vita in composto silenzio,

finchè per la figlia in Italia 

ottenesti un breve permesso.

C’incontrammo per caso d’estate, 

in Calabria, in un estraneo accalcarsi di gente.

 

Predicavo laBibbia ai turisti,

e i tuoi occhi s’accesero:

volevi ascoltare, volevi parlare, volevi imparare,

desideravi amicizia,

volevi amare con l’amore dei veri amici,

prima di morire.

 

E fummo amici, per un breve

e intenso frammento di tempo:

Athanas l’albanese di sessant’anni,

e il suo amico italiano che gli parla di Dio.

 

Athanas amico mio, che dovevi venire in Italia 

per curare quel tuo coraggioso cuore malato.

In corsa dietro al treno del tempo, 

quel cinico tempo che non t’aspettava più.

 

Leggi e corruzione a volte

son nemiche della brava gente.

Quanto furono fredde amico mio

quelle notti, aspettando

sui gradini dell’ambasciata Italiana

il tuo umile e disperato turno? 

 

E il tuo dolce cuore, non ardeva 

di dolore e comunque d’amore 

per quelle banchine che avresti tra poco lasciato?

L’amore e il sogno ti tennero in vita,

compagno mio, che volevi conoscere Dio.

 

Non ci sono sogni impossibili 

nel cuore degli uomini giusti.

La prua dei tuoi sogni infine salpò,

per quella breve, immensa traversata

di mare e di vita: mare blu, sangue rosso

e cuore debole di Athanas, desiderio vivo.

 

Sarei partito amico mio, per venire a trovarti, 

per stare ancora insieme, dopo le telefonate.

E una telefonata ci fu, ancora, 

ma non eri tu,

e troppo lontana Livorno da Brindisi.

 

Forse fu l’emozione o l’attesa,

la gioia o l’intenso ardore:

ma giunse la nave all’approdo

e con essa anche il tuo umile cuore 

terminò il suo stanco durare:

 

solo poche ore ti rimasero allora 

per sognare, per abbracciare la libertà

e per sussurrare alla fine:

“Chiamate il mio amico…”. 

 


*

Ultime luci

L’oriente spinge la sua notte avanti

là dove un cielo spento si fonde con il mare;

si scioglie verso l’ovest un manto scuro d’acque,

le bianche frange sulle sponde:

anche per l’onde greche è l’ora di calare.

 

Volgendo dove il sole imbuca nella terra,

di là dai corni e le vallate del Pollino,

s’oppone e smorza lento la sua luce il giorno

che di spalle s’allontana quieto:

per poco il mare che lo segue sarà acceso.

 

Le luci della costa guizzano tremanti

nel diafano sfiatare della terra;

atterrano gli ultimi gabbiani

le barche son tirate a secco,

l’incendio ch’è lontano sarà spento.

 

I cani han smesso d’inseguir le moto,

s’adagia nel silenzio della vita il corso

e di chi guarda 

ogni pensier è assorto al vespro:

sale nel petto una calma tra i viventi.