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Raccolta di poesie di Rodolfo Vettorello
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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ELOGIO DELL’IMPERFEZIONE Silloge di 60 Poesie

ELOGIO  DELL’IMPERFEZIONE

 

Silloge di 60 poesie

 

 

 

 

 

ELOGIO  DELL’IMPERFEZIONE  

 

Aride stelle in cielo;

                                  geometrie

senza emozione, senza luce, senza

una semplice nota dissonante,

una parvenza minima che parli

della bellezza dell’imperfezione.

Questo universo immobile ci incanta

e l’ordine perfetto ci seduce

ma vivere è tutt’altro.

E’ il fango che produce

le fioriture magiche del cuore.

Si vive male, a volte, ma si vive

malgrado la follia degli assoluti.

Si spera il sole e intanto ci si appaga

del freddo di un inverno senza luce.

Il vento cresce

e porta neve all’uscio delle case,

risale le colline addormentate

nell’infinito sonno senza luna.

Come in letargo, la natura tace

e un tempo impercettibile trascorre

sull’orologio, al muro di cucina.

Non farei cambio della mia fortuna

di vivere una vita irrazionale

con l’equilibrio inutile dei saggi.

La geometria perfetta dei solstizi

genera mostri.

                        Solo il cuore,

la sua tachicardia disordinata,

dà il giusto ritmo al vivere una vita

di un’unica certissima nozione:

la meraviglia dell’imperfezione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1

 

 

 

 

L’INCAPACITA’  DELLA  PAROLA

 

Logora il cuore

quest’incapacità della parola

a dire l’indicibile,

                             a tentare,

solo a tentare almeno

di cogliere in un verso l’incantesimo

di ciò che accade, a volte, in un istante

e che sappiamo

nessuno al mondo potrà più rifare.

E fugge via di lato

e non sapremo mai come raggiungere

il lampo colorato tra le foglie,

il sogno d’aria,

del sole che traluce tra le case

in questo pomeriggio di città.

Nessun istante è uguale

a un altro e quando il cuore

è rassegnato al suo destino opaco,

qualcosa d’impossibile a ripetersi,

all’improvviso accade.

Tu mi sorridi da una lontananza

e il tuo sorriso emerge quasi come

da una nuvola bianca, 

                                   una colomba.

Come quel raggio pallido

di sole che traluce tra le foglie

in questo inverno freddo di città.

Ed è così

che per un giorno ancora non si muore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2

 

 

 

 

 

FOTOROMANZO

 

Tutto pareva svaporato, al tempo

e tu svanita, come alla memoria,

la pallida parola che fu detta

l’attimo prima di finire. 

                                      Fanno

come le foglie quando arriva il vento

le tende alla finestra della stanza.

Sembravi, dentro l’arco della porta,

quasi la forma della lontananza.

Spargeva il lume, come fa la luna,

un misero chiarore, quasi bianco.

In un istante la figura incerta,

come d’incanto, si è dissolta in nulla.

Siamo fantasmi, corpi inconsistenti,

monadi sperse della stessa storia,

siamo gli avanzi dello stesso pranzo

o solamente come bolle d’aria.

Siamo le frasi, chiuse in un fumetto,

di personaggi

                       da fotoromanzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3

 

 

 

 

 

E  VICEVERSA

 

Io sono ciò che penso

                                   e viceversa.

Che questo corpo sia cosa concreta

o sia semplicemente il mio pensarlo

a dargli vita, a farlo esistere davvero

e sia così per ogni sentimento,

per il piacere d’una musica che m’entra

fino al profondo, chi potrà dirlo mai,

chi potrà dirlo.

                        E quella tua bellezza

che mi seduce e mi fa credere che esisto.

Non ho certezze ormai, non so più niente

di quello che sia vero o che si inventi

la mia mente contorta e delirante.

Ti tocco con le mani e mentre avverto,

sotto le dita, la tua pelle liscia,

ho il dubbio che i miei sensi mi tradiscano

e che tu esista solo se ti penso.

Mi perdo in un delirio in cui capisco

di essere null’altro che il pensiero

di un altro che mi pensa.

                                        E viceversa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4

 

 

 

 

 

 

LE  POSSIBILI  INTESE

 

Impiego il tempo a ricercare intese,

complesse ed impossibili, alle volte

e metto in campo tutta la pazienza 

per ricercare un punto di contatto.

Mi snervo e mi esaurisco nello sforzo

di dirti, senza urtarti, ciò che penso.

Le mie parole cadono nel vuoto

perché non so trovare l’argomento

che possa condividere con te.

Tu sei testarda e irremovibile e mi pento

del mio tentare approcci inutilmente.

Finisco col pensare che non possa

esistere una cosa che ci unisca.

Porto pazienza un attimo,

                                          poi esco

ad incontrare il mare che conosco.

Oggi è infuriato e schiuma alla battigia

come un cavallo che abbia corso a lungo.

Iroso ed irascibile mi sembra,

almeno in apparenza

ma se socchiudo gli occhi e sto in ascolto

mi rendo conto che mi acquieta dentro

il suo respiro fragoroso

                                       e lento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

5

 

 

 

 

 

EPANALESSI

 

Il cerchio che si chiude.

L’inizio che riparte dalla fine,

come nel cane il muso con la coda.

Io conoscevo un tempo le parole,

non tanto quelle che si imparano sui libri

ma ciò che corrisponde al fiato e al cuore.

Parole come cellule viventi,

cose di carne e sangue ed escrementi,

messaggio esistenziale preesistente

a quel che sono  e al mio concepimento.

Parole intense e magiche

che il varco nella vita ci preclude.

Parole che si scordano esistendo,

come il male del nascere e il terrore

del viaggio nel canale vaginale.

Il necessario oblio della paura

è come ciò che accade alle parole.

Mi illudo a volte,

per via di qualche sprazzo di memoria

e luce dentro un buio prenatale,

che tutto torni al punto originale. 

Epanalessi, in fondo come dire

l’inizio che riparte dalla fine.

Le troverò cercando le parole

per chiudere quel cerchio che non chiude.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

6

 

 

 

 

 

 

LA  TRISTE  ALLEGRIA  DI  ALBINONI

 

Ho frenate allegrie, come adesso

che mi sento distante da me,

come un cielo in tempesta

su un paese soltanto intravisto

nella nebbia di un sogno.

Una nube sinistra ora incombe

sul villaggio alla cima di un colle,

prati verdi in salita

sulla costa di un nastro di strada,

una quiete perfetta che esplode

in bagliori di luce improvvisa.

Allegria di naufragi nel sogno

di qualcosa di inquieto e perverso,

allegria di non essere e stare

di lontano a guardare.

Ho frenate allegrie del passaggio

di una nave nei mari pacati

della luna, le notti d’estate.

Ho frenate allegrie d’abbandoni

a una musica dolce d’orchestra

sulle molli lagune.

 

Sto pensando

alla triste allegria di Albinoni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

7

 

 

 

 

 

 

UN’OMBRA  CHE  MI  SEGUA

 

La nebbia fuori ha soffocato il mondo.

Dalla finestra aperta sui cortili

osservo il poco cielo che traspare

come una scena dietro ad un velario.

Antenne di tv come fantasmi,

comignoli che fumano di bianco.

Un mondo sofferente si addormenta

in questa luce pallida che pare

un mantello pietoso che ricopra

una città che muore.

                                 Così perso,

mi lascio andare al sogno ricorrente

di andare via di qui, verso altri lidi

dove non muoia il sole nei tramonti,

dove la luna transiti sui colli

tutte le notti, luminosa e immensa.

Ormai non so resistere all’affanno

di questa nebbia, fumo di un incendio

che ottunde la mia mente e mi confonde

e mi fa fare cose senza senso

per rapinarmi il tempo che mi resta.

Voglio cercare il sole dove c’è 

e voglio avere un’ombra che mi segua

per farmi compagnia,

sola certezza mia

che sono vivo, esisto e lascio un segno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

8

 

 

 

 

 

 

L’INSIGNIFICANZA

 

Andare via da qui, come d’autunno

la nube spinta al filo d’orizzonte

da un alito di vento mentre il giorno

apre le porte a un brivido di luna.

Pallida e assorta lacera l’assurdo

precipitare lento nella notte.

Vorrei partire come l’aeroplano

che taglia il cielo col suo volo sghembo.

Vorrei lasciare il nulla alle mie spalle

e nessun segno del mio passo incerto.

 

E’ l’insignificanza il mio messaggio,

l’inesistenza il ruolo che mi tocca.

Farò di tutto, come ho sempre fatto,

perché mi si dimentichi al più presto.

Voglio andar via in un attimo e sparire

come la nube ch’è trascorsa adesso.

Rimarrà il vento e il chiaro della luna

e correranno il cielo per l’eterno.

La nube sparirà come sparisce

l’aria nell’aria 

                       e il giorno nella luce.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

9

 

 

 

 

 

 

FLUSSO  DI  COSCIENZA

 

Rifluisce dal mare alla sorgente

il fiume dei ricordi e la corrente

si fa violenta, a tratti.

Un uomo grande che respira fumo

esala dalle nari un’ira sorda.

Un cane ringhia alla catena breve.

un altro corre libero sul prato.

 

Ho già finito.

                      Non c’è spazio alcuno

per spiegazioni ai miei trasalimenti.

Il poco di memoria mi consegna

soltanto stralci di realtà diverse,

sprazzi di luce dentro un buio pesto.

Non so trovare alcuna spiegazione

ai miei processi onirici e mi lascio

portare via dal flusso di coscienza.

Non c’è nessuna scala di valori

tra tutto ciò che affiora lentamente.

Disordine mentale, confusione

e non si sceglie un metodo speciale

di catalogazione.

In testa allo scaffale un’etichetta

e ad ogni mensola soltanto un nome.

Non mi rimane più che questo poco,

un ridottissimo elenco di parole

e a ognuna il suo colore

per evocare l’ultima emozione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

10

 

 

 

 

 

COME  IL  SASSO  SULL’ACQUA

 

Se mi affaccio alla soglia del vento,

da quell’albero spoglio si stacca

anche l’ultima foglia.

                                  Brucia l’aria

di una polvere lieve di neve.

Verso sera,

come un’onda alla riva si placa

la tempesta che ha smosso i pensieri.

Solo ieri era quiete e la pace che torna

è più dolce di tutte le attese.

Da uno scoglio lancio sassi nel mare;

ho cercato i più piatti e sottili

che rimbalzino a lungo sull’acqua.

Io li seguo con gli occhi ed imparo

a ripetere il gesto

perché duri più a lungo ogni volta.

Ogni cosa che pesa, il mio corpo di pietra,

si solleva alle volte e galleggia

per un salto ed un altro

e alla fine precipita a fondo,

come il sasso.

                      E’ un destino che incombe

questo corpo che sceglie

la voragine blu che lo attende

mentre dentro ribolle la voglia

di restare sospesi,

rimbalzando ogni volta più a lungo

come il sasso sull’acqua.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

11

 

 

 

 

 

CIELITUDINE

 

Rubo a Zanzotto una parola sola:

Cielitudine

e poco dopo parto per l’ignoto.

Cielitudine come solitudine

e come nostalgia di cieli vuoti

o come assurdo ed algido colore

di perle di cristallo dentro il sole.

Cielitudine, cielo di colline,

di boschi e di dirupi sulle valli,

curve di strade, tracce di ferite

che salgono al San Boldo, come scale.

Soligo dorme sonni millenari,

Rèvine piange lacrime di lago,

San Pietro di Feletto sul crinale

sorride del sorriso delle vigne.

Cielitudine vasta come un mare,

latitudine, punto cardinale,

quarantacinque gradi, a metà strada

tra l’equatore e il perno del ruotare.

Cielitudine chiude la misura

d’un infinito tutto da esplorare.

Socchiudo gli occhi e dico: cielo

                                                    e vedo

una cupola azzurra e chiuso dentro

un orizzonte di montagne care.

Ridico cielitudine e mi siedo

per farmi seppellire

da questa assurda immensità di cielo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

12

 

 

 

 

 

NESSUN  SEGNO,  NIENTE

 

La strana idea che abbiamo

di ritrovarci un giorno

in un mondo diverso, un aldilà

che non sappiamo bene dove esista,

ci insegue dalla nascita, 

                                      da sempre.

E’ un’esigenza nostra insopprimibile

di alimentare, in fondo, la speranza

che tutto non finisca, come pare.

Ci piace immaginare

un paradiso nostro, un luogo dove 

si possa ritrovarsi un giorno insieme.

Ci sembra intollerabile il pensiero

che tutto si esaurisca in questo viaggio

e confidiamo

in vite differenti, in altri altrove.

Eppure siamo, 

                       come il fiore e il cane

e l’ape e la farfalla e il calabrone,

siamo materia e carne e pulsazioni.

La nostra fantasia, l’anima intera

vive di fede, d’ansia e di speranza.

Un infinito orgoglio si figura

che all’uomo spetti

                               un’altra dimensione, 

un mondo differente dove vadano

i morti che ci sono stati cari.

Io non vorrei per me nessun altrove,

mi basterà la vita che ho vissuto.

Io sono come il cane che mi ha amato,

il passero trovato  in un cespuglio.

Io sono come il fiore sul balcone

che vive il tempo che gli è stato dato.

Vorrei, per il mio giorno di commiato,

potermi cancellare dal registro,

vorrei poter morire 

                               integralmente

e non lasciare tracce,

                                   nessun segno,

                                                          niente.

 

 

 

 

 

 

 

13

 

 

 

 

 

 

IL PRIMO TRENO

 

Il primo treno passerà tra poco

e la luce velata del mattino

andrà crescendo come in un acquario.

La bianca luna svanirà nel cielo.

Lucifero é ormai quasi evanescente

e tante stelle sono impallidite.

Tutto é sospeso come in un'attesa

e l'aria tace ed il silenzio é greve.

 

Il primo treno passerà tra poco,

soltanto i vecchi sono già per strada.

 

Dormivo fino a tardi

nel mio lettino e poi nel letto grande

e non sapevo ancora

della luce velata e delle attese.

Occorrerà una vita per scoprire

che le speranze moriranno all'alba.

Allora sarà inutile aspettare

il triste primo treno del mattino

che le trasporta verso il mondo d'ombre.

 

Il primo treno passerà tra poco.

Soltanto i vecchi sono già per strada.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

14

 

 

 

 

 

A  MIA  INSAPUTA

 

La temo così tanto la mia morte

che a volte spero si sia già conclusa

la tragica avventura della vita

e tutto sia finito

e d’essere già morto 

                                 a mia insaputa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

15

 

 

 

 

 

 

NESSUNO  CI  APPARTIENE

 

E’ troppo complicato aprire il varco

nella tua mente che mi sta osservando,

entrarti dentro e sciogliere i legacci

che ti tengono avvinta ai tuoi fantasmi.

 

Non mi appartiene tutto ciò che senti,

ciò che hai provato  e messo tra i ricordi.

Nessuno ci appartiene veramente,

noi monadi nel mondo degli specchi.

Credevo di capirti ma da un vetro

mi dava ascolto un altro me riflesso.

 

Di fuori piove e viene giù dal cielo

un fiume di tristezza senza nome.

Parole buone non so dire ancora

per dare un senso al freddo che mi prende.

 

Domani spioverà, sarà sereno

il cielo sopra noi che ci protegge,

sarà più azzurro di un mattino a maggio.

Non conta ch’io capisca il tuo disagio,

conta di più la mano che ti tendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

16

 

 

 

 

 

 

COSI’  E’  MORIRE

 

Un cielo azzurro e fondo come un urlo

e un aeroplano col suo volo sghembo.

Una canzone dal jukebox d’un bar

e bimbi che si inseguono per strada

tra risa e gridi.

                        Dentro un ospedale

mia madre inizia il conto delle ore.

Finisce il mondo,

tutte le volte che qualcuno muore.

 

Si oscura il sole e i fiumi che traboccano

travolgono città, s’apre la terra

e inghiotte prati e boschi ed acquitrini.

Tutto si ferma ed anche gli animali

si annidano nel fondo dei rifugi.

 

Così nel cuore e non nella realtà.

 

Non ci sarà nessuno che si accorga

se griderò che non vorrei morire.

Il nostro pianto è nulla e si disperde

dentro il frastuono delle cose vive:

la musica lontana di un jukebox

e i canti e i gridi dei bambini al sole.

 

Si muore soli e senza far rumore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

17

 

 

 

 

 

 

SAREBBE  PIU’  FACILE  TUTTO

 

Sacrifico parte di me, piano piano,

mi faccio ridotto ed esangue,

mi strappo da solo brandelli di carne,

sparisco di un poco ogni giorno,

mi assento e mi annullo

così che nessuno si accorga che esisto.

Non occupo spazi e non reco fastidio,

mi faccio da parte se occorre,

mi anniento e mi oscuro.

Divento così trasparente

da farmi passare attraverso.

Non ho consistenza,

l’immagine mia nello specchio

si incrina al mio sguardo

e non riconosco me stesso

nel pallido esangue fantasma riflesso.

Ho speso il mio corpo pian piano,

nel centro del vento che corre

nel quale non conta il mio peso.

Se tu non mi amassi

sarebbe più facile tutto.

Potrei liberarmi dall’ansia di esistere ancora

per te, come sei,

per l’arco di luce negli occhi che hai,

per l’ultimo gesto che fai per tenermi

sul limite assurdo 

di questa scogliera di abbracci.

Se tu non mi amassi

sarebbe più facile tutto.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

18

 

 

 

 

 

 

VORREI  TU  MI  VEDESSI

 

Vorrei tu mi vedessi,

come mi vedo nel mio sogno, a volte.

Nel viaggio che mi porta alla sorgente,

al tempo andato e a quella giovinezza

che non mi ha amato.

Il mio castello avito, il dolce mito

io l’ho inventato con la mia pazienza.

Mi sono dato scopi mai raggiunti

e panorami d’isole segrete.

Mi sono visto, per un tempo breve,

come in un sogno quello che non sono.

Capelli sciolti ed occhi sorridenti

e tu che mi guardavi innamorata.

Sono passato innanzi ad uno specchio

e mi son visto, come sono adesso.

Un viso molle ed occhi d’alabastro.

Quello che resta, solamente un vecchio.

Vorrei tu mi vedessi

come mi vedo nel mio immaginario.

Ci aspettano altre strade di silenzi

ed altre piazze e viali di cipressi

ed altri luoghi e mari e cieli azzurri

ed altre vite, tante, dopo questa

ed altri corpi e volti e specchi d’occhi

ed altre giovinezze ed altre morti.

Ci aspettano altre tavole imbandite

ed altre case tiepide di fuochi.

Se mi vedessi per un solo istante

come mi vedo nel mio sogno, a volte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

19

 

 

 

 

 

LA  STRADA  DEL  NIENTE

 

E’ freddo stamane

ma il sole che filtra tra gli alberi spogli

ha strani barbagli di fiamma,

qualcosa che allude

ad un altro paesaggio.

Ricordo Camaldoli e i boschi incantati

di alberi fitti talmente

da fare pensare alla notte

e lame di luce tagliente ed avara

che passa nell’alto e si perde

nel rosso tappeto di foglie.

La strada si fa rumorosa di luce

e parla con voce suadente

di un altro universo

e di primavera imminente.

 

E’ solo la fine gennaio

ma incombe un presagio,

qualcosa mi illude che il freddo

stia già per finire ed arrivi

la festa di rane nei fossi

e la crudeltà dei ditischi,

i gridi di rondini a sera.

La vita che corre al finire

ha sprazzi improvvisi

e aspetta dal giorno che viene

un’altra promessa.

Dimentica a volte

che ognuno dei giorni che passa,

magari splendente di luce,

è un passo di più sulla strada

che va verso il niente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

20

 

 

 

 

 

 

ASPETTANDO  LA  SENTENZA

 

Come in attesa, stiamo qui seduti,

nel modo di chi aspetta una sentenza.

E’ solo questo quello che ci è dato,

è vita che si spende come il fiato.

Eppure, nonostante l’evidenza,

è troppo bello stare qui aspettando

che l’esistenza, un giorno dopo l’altro,

aggiunga un altro istante ad ogni attesa. 

 

Godersi primavere d’aria tersa

come i ragazzi e l’ipotesi del volo

per farci immaginare onnipotenti

o come l’incertezza dei tramonti

e i vecchi in una tenera demenza.

 

E’ bello stare qui che si galleggia

al modo di libellule sul lago

o come la cicala che dispensa

un canto che perdura fino a sera.

Tutto è già dato e niente più ci spetta;

abbiamo avuto dosi di veleno

e antidoti di gioia e d’abbandono,

profondi precipizi per cadere

ed ali nuove per tornare in volo.

 

Questo ci è dato e niente di diverso,

il resto che ci spetta ci è negato.

 

Inutile aspettare la sentenza,

tutto finisce come è cominciato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

21

 

 

 

 

 

 

IL  SOGNO  DI  VOLARE

 

Non so pensare ad altro che al perverso

senso di vuoto che mi prende, a tratti,

tutte le volte che mi lascio andare

al sogno di volare.

Librarmi in aria quasi senza peso,

come una foglia a un alito di vento

e come quella pagina di  libro

dalla panchina di un giardino al sole.

Una poesia d’amore vola lieve

come sorretta in cielo da parole

vuote di senso ma ricolme invece

d’un’emozione che trasporta il cuore

là dove vuole.

                       Mi ricordo un tempo

in cui pensavo di potermi alzare,

sopra le cose come levitando,

per osservare il mondo da lontano,

io, l’aeroplano nel mio sogno grande.

Si piomba giù di colpo nella vita

e si rimbalza a lungo

come una palla o come un sasso piatto,

sull’acqua troppo ferma di uno stagno,

per poi finire a fondo.

Non ho mai smesso credo di sognare

e sono ancora qui che spero, a tratti,

per un’ultima volta di volare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

22

 

 

 

 

 

 

COME  HO  TROVATO  LASCERO’

 

Non mi accomiato mai da nessun luogo

e da nessuno e sempre, ovunque vada,

accumulo ricchezze di paesaggi,

visioni mozzafiato di vallate,

immagini disperse e ritrovate

di luoghi amati e di persone e cose.

Amo ogni oggetto d’un amore folle

che non è voglia inutile di avere

e possedere ma soltanto il segno

che so capire il fascino che hanno

e la memoria che si chiude dentro

e che si incrosta, a volte,

su tutto ciò ch’è appartenuto ad altri.

Ed amo immaginare i volti ignoti

di chi mi ha preceduto,

l’intera umanità che ha già vissuto

ed abitato a lungo queste valli.

Le loro mani strette sulle cose

e gli occhi a carezzare i cieli azzurri,

i monti immacolati sullo sfondo

e tutto ciò che adesso vedo e tocco.

Amo la vita che mi tocca in sorte

e quella già trascorsa che ricordo

e l’infinito numero di quelle

di chi mi ha tramandato le sue cose,

le immagini racchiuse in un quaderno,

la pendola in salotto,

le posate d’alpacca nel cassetto.

Non mi accomiato mai da nessun luogo

e da nessuno e tutto,

come ho trovato lascerò 

                                      ed intatto

mi possa risorridere ogni volta

il sole che, riflesso da una pozza,

dopo la notte, come sempre torna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

23

 

 

 

 

 

 

A  ROGOREDO

 

Una tristezza di periferia,

in questi casermoni disumani

al limite di un mare di binari.

Stazione Rogoredo di Milano

una tristezza vaga d’abbandono,

lo stesso odore acuto di città

dei cessi desolati dei vagoni

e identico il colore,

il grigio delle case di ringhiera.

Milano alla mattina

è triste come il sogno che finisce

quando la sveglia ha già suonato l’ora.

Ho visto cose e so di storie strane

che si ascoltano stando in compagnia.

Scompartimenti colmi di sudore

quando si torna a sera.

Il treno fogna

fa soste brevi in tutte le stazioni.

Parole grasse e mani sul sedere

delle ragazze che si fanno fare.

Sono le otto ed è già buio fuori,

domani all’alba il buio è come ieri.

Le stesse case a ridosso dei binari,

le stesse luci alle finestre, accese,

le stesse storie, identiche le attese;

domani sarà un giorno come ieri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

24

 

 

 

 

 

 

FATA  MORGANA

(dedicata alla splendida Reggio Calabria)

 

E’ forse proprio qui che si consuma,

davanti a questo mare che respira,

su questa riva

                       il senso della vita.

Io l’ho cercato a lungo camminando

lungo sentieri in boschi di silenzi,

nelle radure dove si confonde

il verdeggiare delle canne al vento

e l’acqua quasi ferma dei canali.

Io l’ho cercato nelle vie traverse

delle città morenti e silenziose

e lungo i marciapiedi delle donne

che vendono l’amore.

Io l’ho cercato ovunque immaginassi

potessero nascondersi segreti.

Ho rovistato tra le cianfrusaglie,

negli angoli nascosti dei pensieri.

Non una frase o una parola sola

a dare un senso al vivere che vivo, 

inutile cercarlo dove credo.

Non è mai là, nei luoghi dei pensieri,

è in questo quadro che mi sta davanti,

nel mare troppo azzurro dello Stretto

dove si specchia una città lunare.

Messina in lontananza è una lampara

d’una catena innumere di lumi.

E’ tutto qua l’arcano che si cerca,

fuori di noi,

                   lontano dai pensieri,

nel grande gioco delle cose vere,

in quello cui assistiamo,

soltanto spettatori inebetiti

di questa verità cui diamo il nome

di questo lungomare d’illusioni.

Fata Morgana, un sogno. Solo ieri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

25

 

 

 

 

 

 

PORTA  ROMANA

 

Com’era triste la città nell’alba

e come, dai lampioni ancora accesi,

spioveva sul bagnato delle strade

una sottile polvere di luna.

Finestre lampeggiavano di giallo

sui viali della circonvallazione.

Porta Romana bella di canzoni

versava dai convogli pendolari

turbe di gente ancora addormentata.

Rigonfie quasi

                        come stie di polli

le filovie davanti alla stazione.

Presto si sveglia e presto si addormenta 

questo ritaglio grigio di città-

Di dietro a una parvenza disperata

c’è gente che distilla con fatica

da questa vita gocce di speranza.

E’ sempre triste la città puttana

ma nel chiarore pallido di luna

una canzone sale dai binari,

Porta Romana tu, 

                            Porta Romana

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

26

 

 

 

 

 

MILANO  VIA  GHIBERTI

 

Milano, via Ghiberti. E’ già febbraio

e il freddo della notte ha fatto bianchi

di brina i tetti rossi delle case.

Si accendono i camini e le caldaie

che fumano di nebbia e di vapori.

Il merlo ha già esplorato le grondaie 

e odori forti  come fiati caldi

raccontano di vita che riprende.

Io sono come il fumo del comignolo

che segna il cielo di volute gialle,

spirali che si inseguono danzando

inutilmente come tutto quello

che non richiede alcuna spiegazione.

Disegno fantasie nelle volute,

edifico castelli inabitati,

propongo strade che si perdono nel fondo

di scene immaginarie. 

                                   Poi mi sciolgo,

nel grigio del mio cielo di città,

a un alitare timido di vento

tra queste case strette  tra due strade.

Milano, via Ghiberti, è già febbraio.

Io sono come il fumo del comignolo

che inventa per un cielo inospitale

scenografie che durano un istante

e poi si perdono

come una voce che non ha parole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

27

 

 

 

 

 

 

LA  CIUMBIA

 

Milano degli anni sessanta.

Mi torna alla mente, se penso,

la piccola piazza deserta

e quella latrina di latta

dipinta di verde.

Pareti ricurve,merletti di ferro

e un certo tettuccio ad ombrello

di stile un po’ liberty o quasi.

E’ il punto obbligato d’incontro

dei militari che a sera

ritornano in via Mascheroni, in Caserma.

Si pisciano litri di birra,

si cerca qualcosa, se c’è.

La Ciumbia si nota per via del rossetto

che pare di fuoco

su fili sottili di labbra.

Nel buio si compra volendo

un poco d’amore di bocca,

un foglio da mille è anche troppo.

La sera rimbomba di suoni,

del cupo ronzio dei motori.

Poi tutto si spegne di colpo,

se tornano dentro i soldati.

Rimane  nell’aria soltanto

lo scroscio dell’acqua che scorre

in un pisciatoio di latta. 

La Ciumbia pian piano

si tinge di nuovo la bocca.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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LES  CHIMERES

 

Se dico Le Chimere, già trasalgo.

Subisco l’incantesimo  che viene

dalle parole.

E non importa il senso.

Chimere vuole dire un altro mondo,

promesse disattese,

profondità insondate della mente,

memorie cromosomiche irrisolte

e pura suggestione d’altri altrove.

“Les Chimeres”, un albergo senza stelle

davanti al Porto Vecchio a Saint Tropez.

Un piccolo edificio fatiscente

col fascino inquietante dei fantasmi.

Il mio fantasma vive qui da sempre,

è qui che sono morto il sei novembre

del millenovecentottantasette.

Era una sera lugubre di pioggia,

nessuno per la strada

e scegliere il mio luogo per morire

è stato così facile alla fine.

Les Chimeres,

cambiato è ormai da tempo il nome

nella piccola insegna sulla strada

ed il colore delle lampade del viale

ma  il mio fantasma

rimane sempre qui, comunque vada.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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PIAZZA  DUOMO  19

 

Ritorno a volte

in quel palazzo al centro di Milano,

in Piazza Duomo 19, al quinto piano.

Un portoncino in legno a due battenti

e serrature 

e pomoli d’ottone quasi a specchio.

Tre camere su strada,  un corridoio

e la cucina grande.

Ormai da tempo 

un gran silenzio dentro 

e l’aria vecchia 

e l’ombra di mia madre sull’acquaio.

Non resta un altro segno sulle cose,

né la sua voce nelle stanze vuote

e notte, dopo notte e dopo notte

si fanno bruni d’ossido e di morte

i rilucenti pomoli d’ottone.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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DAMASCO  BRUCIA

 

Acqua soltanto

                          il mare che separa

due spiagge uguali sulle opposte sponde;

aria che corre

                       il vento che ci sfiora

e che solleva solo sabbia, in fondo.

Pioggia che batte contro le persiane

è come un pianto lungo che trabocca.

Torce le mani

                       e piano si dissangua

quell’operaio che non ha lavoro

e sanno di tristezza e d’abbandono

le morti miserabili dei vecchi

dimenticati al buio degli ospizi

 

e muoiono i bambini di Damasco,

 

la gola divorata dal veleno

dei gas letali.

                      In fondo pure questo

non è che un modo antico di morire.

Non c’è stupore e non c’è novità,

quello che accade è come sempre uguale.

Fatico un po’ a capire

                                   se ci penso

e poi mi dico:

un giorno dopo l’altro una ferita;

ma è proprio tutta qui la nostra vita?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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IL  FIORE  GIALLO

 

Dormivo quieto

e non avevo sogni a risvegliarmi,

poi, sul mattino, un grido

e dentro una voragine di rabbia

quell’urlo di una donna,

                                       come un taglio.

So quasi tutto, so che le ferite

guariscono col tempo e la fatica.

Una cosa soltanto non guarisce:

il male dentro, il male e la coscienza.

La donna sa che cambierà 

                                          ma poco.

Prometterà che nulla sarà uguale,

che sarà buono e mite 

                                    e che le mani

saprà tenere al posto dove deve.

Violento e prepotente

                                    è solo un uomo

e a volte una voragine di niente.

La donna invece

                            è il prato dove cresce

ad ogni primavera un fiore giallo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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MORIRE  A  NATALE

 

Ho sognato una bimba sognare;

alla porta del cuore

ho avvertito il suo sogno bussare.

Non chiedeva un giocattolo nuovo

né un pupazzo di neve.

Nel suo letto di piaghe 

                                    aspettava,

con la musica dolce dei canti

della gente felice,

il tinnio dei sonagli alle slitte

di Babbo Natale.

L’ha aspettato per giorni e per ore,

per un’ultima notte stanotte.

Quando il canto s’è udito

ha potuto socchiudere gli occhi.

Sul cuscino ha lasciato, 

trattenuto sul bordo di ciglia,

un sorriso e uno sguardo dorato.

Si combattono al mondo battaglie

e si sparge del sangue innocente

e si perde una guerra ogni volta,

sul lettino di un angelo biondo

che si lascia morire per niente.

 

(dedica a Fernando Bandini, poeta, morto il giorno di Natale 2013)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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DOVE  CROLLANO  I  MURI

 

Visitammo deserti.

Le rovine sepolte

di città sconosciute che il tempo

ha scordato di scrivere dentro

alle carte segrete.

La memoria mi assista, ricordo

che con orbite vuote ho guardato

il cadere dei sogni, nel vento.

Sono entrato nei templi

ed ho aperto le porte

che la notte ha socchiuso.

Prudente

ho girato per strade deserte

e ho sorriso a fantasmi.

Porterò come dono agli altari

la mia anima inquieta

che si ferma a pensare nei luoghi

dove crollano i muri

di città che la sabbia sommerge.

Siamo qui che aspettiamo dagli anni

che ritornino verdi

tutti i prati all’intorno

e che nasca dal vento

la città che sperammo da sempre.

Visitiamo deserti

per cercare città sconosciute

dove crollino i muri del tempo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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A  UN’AFRICA  VICINA

 

Così violento il vento del deserto

che stanotte ha soffiato su Milano

e seminato sabbia, come fuoco, 

sulle macchine in sosta e i marciapiedi.

Quell’Africa lontana è più vicina

ed ha i colori

del bronzo sulla pelle delle donne

e il nero d’occhi accesi di bambini.

Non siamo soli più con quel che siamo,

villagi inespugnabili a un nemico

che immaginiamo.

Ora si sa che respiriamo insieme

gli identici profumi

nell’aria che ci giunge da lontano.

La sabbia rossa, come in sospensione,

è un’Africa che giunge come un dono

nell’alito del vento che ci sfiora

al modo del respiro di qualcuno

che dolcemente e inconsciamente amiamo.

Il vento espugna torri di castelli,

visita  chiese e non conosce muri.

Il vento è il fiato caldo che ci giunge

da un’Africa che abbiamo dentro il cuore,

pianeta perso dentro mille offese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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IN  TANTI  PORTI  ED  IN  NESSUNO

 

Andiamo via di qui. 

                                S’è fatto tardi

ed io non voglio stare dove stanno

le donne che patiscono in silenzio.

 

Io posso avere male, disperarmi

però voglio gridare, dare fiato

al mio tormento e che nessuno dica

che sono pazza e non so stare al gioco.

Passato è il tempo del silenzio,

                                                 quando

tu mi ferivi ed io tacevo inerme

e mi dicevi quello che si dice 

alle femmine isteriche che piangono.

 

Le tue promesse, come canne al vento,

hanno frusciato per le mille notti,

poi, come l’acqua, sono svaporate

in nuvole leggere dentro l’aria.

 

So già che dovrò vivere da sola,

che il sogno di tenerti all’infinito

è già finito.

                     Tu non sai restare.

Non ti trattiene il bene che c’è stato

né le promesse e il pianto che mi scioglie.

Neppure un figlio,

                              la magia d’amore,

il segno di un legame indissolubile,

ti obbliga a restare. 

                               Tu rinneghi

qualsiasi cosa ti trattenga a terra.

Sciogli ogni ormeggio e salpi ad ogni sera

da questo approdo verso ignoti mari.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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MANI  DI  CERA

(a mia madre)

 

Un giorno, un mese e un altro po’ di vita

hai speso a ricamare quella trina

eppure tutto il tempo e la fatica

dispare mollemente nella trama.

Le mani troppo a lungo hai logorato

alla fontana

e consumato gli occhi sulle righe

di pagine sgualcite

al debole chiarore di candela.

Avrai mani di cera, finalmente,

le stesse mani di chi dorme a lungo

e ci dirai: “ se ormai non servo a niente,

non voglio più svegliarmi.

                                         E vi saluto.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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VOLARE  VIA

 

Qui dove il giorno è stato prepotente,

la luce cede piano e si confonde

con l’avventura di una notte nuova

che dolce come l’acqua si propaga

e allaga questa valle d’ombre opache.

Questo era il mondo ed unica la scelta.

 

Figli da fare, case da abitare

e solo due pensieri da pensare.

Fu quella sera, innanzi a un fuoco acceso,

la voce rotta:

                      “vado via, mi basta

la vita già vissuta in questa casa.

Mi ha scelto un uomo e prendo la sua mano.”

 

Si sciolgono in un attimo catene,

si sceglie di non scegliere e di andare.

Si dice sia l’amore

ma forse è solo voglia di fuggire,

d’essere donna, fare figli e fare,

in una casa nuova un nuovo altare.

E’ di una donna la coscienza ardita

che sceglie di concedersi il respiro,

la sola cosa al mondo che possiede.

 

Qui, dove il giorno è stato prepotente,

è nata l’avventura di mia madre

e la sua storia è come mille, uguale.

Si dice che sia stato per l’amore

ma forse è stata voglia di volare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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GLI ADDII

 

Più forte del dolore la paura;

paura di provare altro dolore,

così ho taciuto a lungo senza dirlo

ed è accaduto troppo spesso allora

così ogni volta ho scelto di fuggire.

Mia “dulcissima mater” ora ho capito

che si diventa un uomo solo quando,

quando si impara a dire

                                      il primo addio.

E’ stato così dolce averti accanto

per tutto il tempo di una vita ed oltre 

ed ora è così triste la certezza

che non ci incontreremo, per l’eterno.

La mia sola speranza d’infinito

è in questo far durare più che posso

il nostro dirci 

                      lungamente addio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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MIO  PADRE  INVECE

 

Inquieta fantasia delle salite

e dopo invece,

discese mozzafiato senza freni,

su spire di serpente arrotolate

per strade ardite.

Sorride ancora da una vecchia foto,

la mano sul manubrio

e sulla maglia

il nome di battaglia.

I sogni non si appagano vivendo

ma solo dopo.

Inseguirai le ruote palmerate

di quelli in fuga,

avanti tre tornanti,

per prenderne la scia.

Sul lungo rettifilo dell’arrivo,

l’ultimo scatto.

                         E via!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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L’ESTATE E’ UNA STAGIONE UN PO’ CRUDELE

 

E’ stato quasi come se la notte

si fosse fatta bianca di lampeggi,

come se l’aria, a un brivido di foglie,

si fosse accesa di bagliori verdi.

L’estate che finisce ha riti assurdi,

burrasche in alto mare e mareggiate

che vengono a morire alla battigia,

groppi di vento sopra le lagune

e nebbia di salsedine nell’aria.

Fragore di una scena che si muta

ora per ora e toni di tragedia.

Non muore mai in silenzio, se ha ballato,

l’estate ardente nella sua calura.

Non muoiono le storie di prodigi

e d’avventure quando viene sera.

Rivivono al mattino, insieme al sole,

miracoli di sogni e d’emozioni.

Non rivivrò con te la meraviglia

del nostro stare insieme, silenziosi,

ad ascoltare il canto degli uccelli,

il brivido del vento tra i cespugli,

la musica lontana delle stelle.

Un’altra estate tornerà tra breve

con altri tuoni e lampi e nubifragi

ma il mio coraggio e la mia voglia folle

si va spegnendo come fiamma al vento.

Vado cercando spazi silenziosi,

angoli bui dove stare quieto.

L’estate è una stagione un po’ crudele.

Ormai più non resisto al sole pieno

e cercherò, in un angolo segreto,

l’ombra gentile che si addice ai vecchi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

41

 

 

 

 

 

 

FOULARD  DI  GUCCI

 

Mi guardi, mi vedi poi strepiti forte,

più forte d’un urlo dal fondo

mi gridi una frase d’amore.

Distesa di neve che brilla di stelle 

s’accende d’un tratto, alla luna.

Un sogno non mio; dalla tolda

d’un bianco vascello che affonda

mi dici parole di seta sottile,

 

foulard delicati di Gucci,

 

cavalli dipinti e staffe dorate,

tappeti di foglie d’autunno.

Non voglio raggiungerti,

                                        tanto

se io m’avvicino,

lo spazio si allarga di colpo

e s’aprono sotto

paesaggi di un’anta d’armadio.

La radica in noce disegna

abissi profondi 

e cime di monti,

voragini dove si perde la mente ed il cuore.

Poi basta che piano mi tocchi

perché mi risvegli di colpo.

Se guardo d’intorno

il sogno ha lasciato soltanto

le sete di Gucci

e quell’anta d’armadio

che come uno specchio riflette

me stesso, disperso,

che mentre ti cerco, 

                                ti perdo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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CI  TOCCA

 

Non piangere cara, ci tocca.

La vita di un figlio 

ci sfiora soltanto e non lascia

che un’ombra di se. Se non basta

avremo, per gli occhi,

la foto che ride,

il pupazzo di neve,

quel giorno d’inverno, ma dove?

Il posto in cucina,

la sedia ch’è vuota da tempo

aspetta che venga Natale.

Non resta che il poco che serve

e arriva ch’è stanco e svogliato.

Non parla e se dice,

capire è difficile a volte.

Contesta, protesta e si inquieta

con me, per le cose che dico.

Non piangere cara, ci tocca;

ai vecchi non resta che farsi da parte.

Le nostre parole non hanno più ascolto,

la voce che occorre non trova il coraggio

e piano sprofonda

così che alla fine il silenzio divora

l’estrema parola che affiora alla bocca.

Non piangere cara, ci tocca.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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UN  ABITO  A  FIORI  DI  CAMPO

 

Non era rimasto nell’aria che un segno,

la piccola traccia che lascia

la mano che piano ti sfiora

nell’attimo prima che tu non sparisca

giù, in fondo alla strada.

Ti ho vista arrivare, improvvisa,

la snella figura stagliarsi danzando

nel debole raggio di sole

che spiove tra i rami del viale.

Sei parsa volare

nel piccolo spazio tra noi, che separa

la viva farfalla che sei da chi sono,

un debole stelo piegato

dal vento leggero di maggio.

Vestivi la veste leggera

di tutte le donne del mondo

nei giorni di primavera.

Un abito a fiori minuscoli e vari

così che abbracciarti pareva

tuffarsi nel sogno in un prato.

 

Mi sono svegliato di colpo

all’urlo di un’autoambulanza

che corre furiosa per strada.

C’è stato qualcosa all’incrocio;

per terra, in un lago di sangue,

qualcuno travolto da un’auto pirata.

Lo vedo dall’alto,

il piccolo sacco di stracci,

quell’abito a fiori di campo,

venuto a morire stamani

sull’uscio di casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

44

 

 

 

 

 

 

L’ARCHETIPO  DI  CASA

 

Quanto più vivo e vedo

più si fa grande il vuoto dentro.

Facevo foto un tempo

creandomi un archivio,

per quando sarò vecchio, mi dicevo.

Ricordo poco ormai;

difetto di memoria ma non credo,

credo piuttosto a un modo originale 

di scegliere col cuore

quello che conta e quello che non vale.

Se dico “casa”

mi tornano alla mente

le case che ho abitate 

e tutte quelle ormai dimenticate.

Si radica di dentro come un male

la prima casa

in cui ci siamo accorti di abitare.

La casa rossa sulla ferrovia,

una piccola porta per entrare

e due finestre a lato,

il fumo di un comignolo che sale.

Un cielo azzurro ed una nuvola soltanto

e un sole tondo nell’angolo su in alto.

Ho seppellito dentro quella casa

l’archetipo di tutte le dimore,

così se cerco la mia idea di casa

devo scavare al fondo del mio vuoto,

dentro la tomba della mia memoria.

A quella casa non ho fatto foto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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MI  TIENE  VIVO  L’INCERTEZZA

 

E’ passato così, senza rumore

il tempo della vita che davvero

è stato come un lampo.

                                      Mi rammento

d’un’infanzia felice e inconsapevole

e d’altre età sprecate inutilmente.

 

Io l’ho buttato il tempo

della mia desolata giovinezza,

tutto il tormento dell’insicurezza

per ciò che sono e sono stato.

Ho avuto un corpo fragile e malato,

ho temuto di tutto e ho sperperato

giorni su giorni a compatirmi e a dirmi

che non avrei potuto stare al gioco.

 

Stando di lato, il mondo non si cura

di te che non ti adatti alle battaglie.

Ti isoli e ti culli

in fantasie d’estraneità dorata

e quanto più ti affondi nel silenzio

più godi del piacere d’esser solo.

 

Coltivi dentro

il seme di un fantasma

inadeguato a vivere nel mondo.

 

Sono approdato a questa spiaggia estrema

nudo e sfiancato e senza alcun bagaglio.

Il retroterra è un campo di battaglia,

ad ogni cippo solo una sconfitta.

Non ho memorie, punti di partenza,

quello che posso è cominciare adesso.

 

Nel mio futuro un’altra giovinezza,

un’altra storia e tanti nuovi approdi.

Mi tiene vivo, in fondo l’incertezza,

la mia precarietà, la voglia folle

d’altre bandiere da affidare al vento,

di nuovi porti ed altri approdi certi.

 

 

 

 

 

 

 

46

 

 

 

 

 

 

SEGNI

 

Io leggo segni sempre e ovunque vada

leggo la traccia piccola che c’è

del tuo passaggio lieve in questa casa.

Un segno appena, la tua tazza bianca

col bordo di celeste e sul cuscino

l’impronta ancora tiepida di te.

Un segno nei sentieri del giardino,

ciocche di fiori dentro i vasi appesi

nella pergola accanto alla fontana.

Un segno dentro me che mi affatico

a trattenere il filo di memoria

che mi tiene agganciato alla mia vita.

 

Ricordo segni sulle rocce rosse

dei  dirupi scoscesi all’Esterel.

Un segno piccolissimo su un sasso

tracciato con un guscio di conchiglia

per ritrovare, un giorno se si passa,

il luogo di un picnic tra le lavande.

Sul candido sepolcro di Chagall,

ho abbandonato un sasso levigato

e nero come un abito di scena

per la casa in collina di Gerard.

 

Sassi su sassi ed altri sassi ancora,

segni su segni in cumuli infiniti,

a erigere muraglie di difesa,

a fare case,

a lastricare strade di discesa.

E sopra i muri una parola incisa

per dire quanto valgano i pensieri.

 

Amo i sentieri dove è già passato

il cacciatore nelle aurore insonni

ed amo i porti

e tutti quanti i mari navigati.

Amo le croci al vertice dei colli

ed agli incroci

certe santelle povere di fiori.

Amo te che mi chiami da lontano

col segno della mano

e lascio tracce e inseguo tutti i segni

di chi mi piace e che mi incrocia a caso,

di quelli che mi amano e che amo.

 

 

 

47

 

 

 

 

 

 

TRA  ME  E  L’INFINITO

 

E’ un giorno di vento quest’oggi

e già dal mattino si annuncia

la bella ventata che spazza

le candide nubi di panna.

Il cielo diventa più azzurro

dei giorni di maggio,

dei tiepidi giorni 

che tutto si fa trasparente cristallo.

I prati, davanti alla casa,

si increspano all’aria

al pari di un mare sfiorato

da un volo di rondini, a raso.

La mamma mi ha fatto, con carta crespata

e stecche di canna

e colla di latte e farina,

un cervo volante più bello 

di un sogno a colori.

Cerchiamo nei prati ondulati

il punto più alto,

il sommo di un colle da poco

per dare lo slancio che occorre.

Ondeggia nell’aria poi cade

e questo una volta e poi mille.

Non cullo illusioni,

so già da gran tempo

che quello che spero

non capita mai. Mi accontento.

Per tutta una vita ho sperato

che tanti aquiloni 

potessero un giorno librarsi

nel cielo dei sogni.

Nessun aquilone ha volato 

per più di un minuto

così tra le mani mi resta nient’altro

che il capo di un filo.

Quel filo tra me e l’infinito

che inizia e finisce in un prato. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

48

 

 

 

 

 

 

PORTERO’  CON  ME

 

Li porterò con me, nelle pupille,

i palpiti di stelle,

lo scintillio delle fontane al sole

e i suoni della musica degli astri

e i canti delle donne nelle sere.

Non si disperderà nell’universo

la somma inenarrabile di cose

vedute e amate.

Io, come un recipiente,

un reliquiario sacro a custodirle.

Tu dentro me,

con la tua luce bella,

con gli occhi che saettano di sguardi

e con le mani lievi di carezze.

 

E poi se tutto o quasi tutto si perdesse.

 

La luce azzurra sopra la laguna,

il tremolare incerto tra le canne

del sole che si affonda all’orizzonte.

Se si perdesse il bene

di questa sera calda,

il desiderio di fermare il giorno,

fino ad un’ora tarda,

perché continui il gioco

di questa luce nelle tue pupille.

Se tutto si perdesse

e andasse via il ricordo

di rondini impazzite tra le case,

se mi morisse dentro

l’ansia di avere e cogliere nell’aria

la verità di Dio.

                           Se si perdesse

e se davvero tutto si perdesse,

 

vorrei finire ma finire adesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

49

 

 

 

 

 

 

POLVERE  SOTTILE

 

E si va via da questa superficie

come un segno di gesso alla lavagna.

Un gesto ci cancella in un istante,

resta di noi una polvere sottile.

Perché affannarsi allora a farci male,

a roderci di rabbia, a tormentarci

lasciandoci alle spalle anche l’amore.

Trattieni le parole che conosci 

e non lasciarti andare.

Parlale piano, dille che ti occorre

ancora un po’ di tempo per pensare.

Se non sorride mentre tu le parli,

è troppo tardi ed è lontana ormai.

Non trattenerla allora che un istante,

abbi il coraggio di lasciarla andare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

50

 

 

 

 

 

 

 

IL BATTITO DEL CUORE

 

Ho freddo dentro,

scaldo le mani al fuoco del camino

e illumino la pagina che ho aperto

al rosso della brace. Il gatto dorme

acciambellato sul cuscino. Tace

la pendola se osservo il suo oscillare.

Il tempo che trascorre nella pace

illude che appartenga alla mia carne

il po' di eternità di questa vita.

Se il cuore batte come rallentato

è bava d'esistenza che s'attarda

soltanto per illuderci che il tempo

duri per sempre se si sta in silenzio.

La vita vera invece si consuma

col battito del cuore che galoppa,

con la passione che ti brucia in faccia.

Ed ogni azzardo che si fa per gioco

ed ogni sguardo che rivolgi a un altro

lasciano segni come di ferite,

cicatrici di vita , un medagliere

da esibire sul petto, il testimone

di aver patito tutto quel che occorre

e aver vissuto insieme  tante vite.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

51

 

 

 

 

 

 

IL  TARLO  E  LA  MEMORIA

 

Sarà così per lungo tempo ancora

che ti verrò a cercare come fossi

ancora lì, ad accogliermi sull’uscio

della tua casa.

Attendere qualcuno che non viene

lascia sul cuore come una ferita;

non lo sapevo o forse non volevo

dirmelo allora.

                        Lo capisco invece

adesso che pian piano arrivo al punto

di non ritorno. 

                        Non c’è un modo solo

di riparare al male che ci opprime.

Il tarlo che ci rode avrà il suo tempo

e solo la memoria che si incrina

ci toglierà, col bene del ricordo,

il male che ci fa l’avere invece

dentro di noi la pena del capire.

Per lungo tempo,

                             poi con la memoria

si cicatrizza il cuore e la ferita,

svaporano nel nulla i sentimenti,

si attenua la coscienza della vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

52

 

 

 

 

 

 

ANCORA  VENTO

 

Vento di primavera, così improvviso

che arrivi e mi porti un soffio di paradiso.

Vento con il profumo di gelsomino,

che mi sollevi in cielo come un bambino.

Vento come farfalla 

                                che si gingilla,

e si fa bella

                  al bordo di una corolla.

Vento che sento forte e mi brucia gli occhi,

vento che ti balocchi 

                                 con mille foglie

che strappi al ramo in vortice e poi scompigli.

Vento che ti conosco come un fratello

dolce rabbrividisci sulla mia pelle.

Portami in dono il sogno che mi somiglia,

come il messaggio chiuso nella bottiglia.

Vento di tutti i venti di primavera

fammi sperare che oggi 

                                      non venga sera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

53

 

 

 

 

 

 

COME  GIUNCHI

 

Rivedo in questa donna che ho vicina

quella sua giovinezza rigogliosa.

Le sbocciavano i seni come fiori

che cercavano il cielo e il ventre esiguo

come un’anfora cava profumava

dei profumi dei prati sotto il sole.

 

 

Il tempo che ci piega come giunchi

mi toglie solo ciò che non ho avuto

e ruba la ricchezza, dove c’è.

Tu depredata, tu non sei più tu.

La tua bellezza andata

mi dice che è così che si finisce.

 

Noi naufraghi approdati alla battigia

di quest’ultimo scampolo di vita,

ci sorridiamo in questo parco di città

dai lati opposti dell’identica panchina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

54

 

 

 

 

 

 

PAPAVERI

 

Ti porterò un papavero rovente

di rosso fiamma e i petali di vento

se saprò trattenerli almeno il tempo

che occorre ad arrivare fino a casa.

 

L’ho colto adesso al bordo della strada

e prima che la polvere lo copra

di un velo sottilissimo di bianco.

 

I papaveri ridono di nulla,

come le tube in un concerto grosso,

nei campi di frumento

sventagliati dal vento della notte.

 

Solitario il papavero che ho colto

è quel sorriso che non ho per te.

Sono come una pietra del sentiero

che piange d’acqua solo quando piove

e poi si asciuga lentamente al sole.

Rido con gli occhi, a volte al tuo pensiero

ma rido sempre quando sono solo.

 

Ti porterò il papavero rovente

del riso rosso che vorrei per te.

Lo stringo tra le dita perché trema

dell’aria intorno che lo sfiora a tratti.

Cammino piano, sono quasi a casa.

A un angolo di strada una folata

e i petali si perdono lontano.

Il mio sorriso è andato e nella mano

l’esiguo stelo e un cuore quasi nero.

 

Non ho altro spazio e non so più che fare

eppure io ci devo riprovare.

Lo cercherò il sorriso da raccogliere

al bordo polveroso di una strada

di un fiore uguale.

Un papavero rosso come fuoco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

55

 

 

 

 

 

 

PREGARE  A  VOLTE

 

Pregare a volte è solo una metafora.

Come la donna fa, quando si leva;

spalanca le finestre d’ogni stanza,

crede che l’aria fuori sia più pura.

Accende il fuoco sotto al bricco d’acqua

poi rigoverna

                       e con la stessa cura

del giorno prima,

stende sui fili tesi del balcone

i panni in fila,

stira ogni cosa ed ordina precisa

nei piani giusti della cassettiera.

Prepara cena e rigoverna ancora

poi va a dormire prima.

Io mi addormento innanzi alla tv

affaticato

da un paio d’ore spese sul pc.

E siamo qui, noi uomini che siamo

ognuno col suo carico di se,

di  ma e perché.

La donna no, perché sa già

quel che si può o non può

perché così com’è

                              lei è

una preghiera vera,

fatta di quello che si fa

per una vita intera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

56

 

 

 

 

 

 

 

IO  SONO  LA  GRAMIGNA  TRA I  BINARI

(da una suggestione di Pessoa)

 

L’amore è come un bel ventaglio.

                                                       Aperto

sarebbe ben più bello certamente.

Più bello ancora invece è non aprirlo

per regalarsi l’intimo piacere

di torturarsi il cuore a immaginarlo.

Sono così, che prendo ciò che viene,

e se non viene penso che sia meglio

restare a coltivare il dispiacere.

Amo i castighi

e specie per le colpe non commesse.

Porto un cilicio in cuore

e mi compiaccio

del mio patire, come fossi un altro.

Patisco della vita

gli anni trascorsi in tutti i calendari.     

Io sono la gramigna tra i binari.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

57

 

 

 

 

 

 

 

NON  C’E’  UN’ETA’

 

Come ciascuno piango, a volte,

la gioventù perduta e piango insieme

per chi piange d’amore.

                                       Mi consola

il non dover patire, per età, pene del cuore.

Mi dico quindi d’essere al riparo

da tutto quello che mi ha resa amara

la giovinezza.

                       Mento a me stesso,

mi lascio andare all’euforia del vuoto,

poi se ci penso,

mi accorgo che si cambia ma di poco.

Non c’è barriera alcuna di difesa,

non c’è un’età che lasci indenne il cuore

e si ritorna a piangere d’amore

fino all’istante prima che finisca.

E’ in tutto questo il senso della vita. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

58

 

 

 

 

 

 

IL  SOGNO  NEL  SOGNO

(da una suggestione di Pessoa)

 

Io sono il mio sogno di me.

                                             Non esisto

e il tempo che passa è ciò ch’è trascorso,

la cosa consunta che adesso non c’è.

In questo momento io so che non sono

ed anche quel tempo che ho visto

è l’ora trascorsa che adesso non ho.

Se sono in un luogo e ignoro chi sono

è come se il tempo non fosse

                                                ed io stesso

non fossi nient’altro che un sogno nel sogno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

59

 

 

 

 

 

 

LAGER

 

Gli altissimi pioppi, alla curva,

proiettano bianchi cavalli

nel cerchio lucente di luna.

Cristalli di neve

riflettono un cielo di vette,

sequenze di candide gonne

che danzano al vento notturno.

Un’auto che passa, coi fari abbaglianti,

sventaglia di luce

le sagome scure

degli alberi ai lati.

I reticolati,

corone di spine per tanti calvari

raccontano storie

di treni diretti in Germania,

nei carri bestiame

la carne che piange.

Sui lager lontani è sospesa

la stessa valigia di luna

e reticolati malati di gelo e cristalli rappresi

e mani aggrappate a ferirsi.

Il bianco di neve si tinge di sangue.

La luna lucente si ammanta

di macchie roventi.

Nel freddo d’inverno 

trascorre nell’aria la mandria al galoppo.

Nessuno si accorge di nulla,

non s’odono gridi,

la morte che uccide

sa farlo anche senza rumore.

La luna riflette distese di neve, 

criniere di vento

e il gelo rapprende i silenzi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

60

 

 

 

 

 

I N D I C E

 

ELOGIO DELL’IMPERFEZIONE

L’INCAPACITA’ DELLA PAROLA

FOTOROMANZO

E VICEVERSA

LE POSSIBILI INTESE

EPANALESSI

LA TRISTE ALLEGRIA DI ALBINONI

UN’OMBRA CHE MI SEGUA

L’INSIGNIFICANZA

FLUSSO DI COSCIENZA

COME IL SASSO SULL’ACQUA

CIELITUDINE

NESSUN SEGNO, NIENTE

IL PRIMO TRENO

A MIA INSAPUTA

NESSUNO CI APPARTIENE

COSI’ E’ MORIRE

SAREBBE PIU’ FACILE TUTTO

VORREI TU MI VEDESSI

LA STRADA DEL NIENTE

ASPETTANDO LA SENTENZA

IL SOGNO DI VOLARE

COME HO TROVATO LASCERO’

A ROGOREDO

FATA MORGANA  (a Reggio Calabria)

PORTA ROMANA

MILANO VIA GHIBERTI

LA CIUMBIA

LES CHIMERES

PIAZZA DUOMO

DAMASCO BRUCIA

IL FIORE GIALLO

MORIRE A NATALE

DOVE CROLLANO I MURI

A UN’AFRICA VICINA

IN TANTI PORTI ED IN NESSUNO

MANI DI CERA

VOLARE VIA

GLI ADDII

A MIO PADRE

L’ESTATE E’ UNA STAGIONE UN PO’ CRUDELE

FOULARD DI GUCCI

CI TOCCA

UN ABITO A FIORI DI CAMPO

L’ARCHETIPO DI CASA

MI TIENE VIVO L’INCERTEZZA

SEGNI

 

 

61

 

 

 

 

 

TRA ME E L’INFINITO

PORTERO’ CON ME

POLVERE SOTTILE

IL BATTITO DEL CUORE

IL TARLO E LA MEMORIA

ANCORA VENTO

COME GIUNCHI

PAPAVERI

PREGARE A VOLTE

IO SONO LA GRAMIGNA TRA I BINARI

NON C’E’ UN’ETA’

IL SOGNO NEL SOGNO

LAGER

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ELOGIO  DELL’IMPERFEZIONE

 

Silloge di 60 poesie

 

 

 

 

 

ELOGIO  DELL’IMPERFEZIONE  

 

Aride stelle in cielo;

                                  geometrie

senza emozione, senza luce, senza

una semplice nota dissonante,

una parvenza minima che parli

della bellezza dell’imperfezione.

Questo universo immobile ci incanta

e l’ordine perfetto ci seduce

ma vivere è tutt’altro.

E’ il fango che produce

le fioriture magiche del cuore.

Si vive male, a volte, ma si vive

malgrado la follia degli assoluti.

Si spera il sole e intanto ci si appaga

del freddo di un inverno senza luce.

Il vento cresce

e porta neve all’uscio delle case,

risale le colline addormentate

nell’infinito sonno senza luna.

Come in letargo, la natura tace

e un tempo impercettibile trascorre

sull’orologio, al muro di cucina.

Non farei cambio della mia fortuna

di vivere una vita irrazionale

con l’equilibrio inutile dei saggi.

La geometria perfetta dei solstizi

genera mostri.

                        Solo il cuore,

la sua tachicardia disordinata,

dà il giusto ritmo al vivere una vita

di un’unica certissima nozione:

la meraviglia dell’imperfezione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1

 

 

 

 

L’INCAPACITA’  DELLA  PAROLA

 

Logora il cuore

quest’incapacità della parola

a dire l’indicibile,

                             a tentare,

solo a tentare almeno

di cogliere in un verso l’incantesimo

di ciò che accade, a volte, in un istante

e che sappiamo

nessuno al mondo potrà più rifare.

E fugge via di lato

e non sapremo mai come raggiungere

il lampo colorato tra le foglie,

il sogno d’aria,

del sole che traluce tra le case

in questo pomeriggio di città.

Nessun istante è uguale

a un altro e quando il cuore

è rassegnato al suo destino opaco,

qualcosa d’impossibile a ripetersi,

all’improvviso accade.

Tu mi sorridi da una lontananza

e il tuo sorriso emerge quasi come

da una nuvola bianca, 

                                   una colomba.

Come quel raggio pallido

di sole che traluce tra le foglie

in questo inverno freddo di città.

Ed è così

che per un giorno ancora non si muore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2

 

 

 

 

 

FOTOROMANZO

 

Tutto pareva svaporato, al tempo

e tu svanita, come alla memoria,

la pallida parola che fu detta

l’attimo prima di finire. 

                                      Fanno

come le foglie quando arriva il vento

le tende alla finestra della stanza.

Sembravi, dentro l’arco della porta,

quasi la forma della lontananza.

Spargeva il lume, come fa la luna,

un misero chiarore, quasi bianco.

In un istante la figura incerta,

come d’incanto, si è dissolta in nulla.

Siamo fantasmi, corpi inconsistenti,

monadi sperse della stessa storia,

siamo gli avanzi dello stesso pranzo

o solamente come bolle d’aria.

Siamo le frasi, chiuse in un fumetto,

di personaggi

                       da fotoromanzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

3

 

 

 

 

 

E  VICEVERSA

 

Io sono ciò che penso

                                   e viceversa.

Che questo corpo sia cosa concreta

o sia semplicemente il mio pensarlo

a dargli vita, a farlo esistere davvero

e sia così per ogni sentimento,

per il piacere d’una musica che m’entra

fino al profondo, chi potrà dirlo mai,

chi potrà dirlo.

                        E quella tua bellezza

che mi seduce e mi fa credere che esisto.

Non ho certezze ormai, non so più niente

di quello che sia vero o che si inventi

la mia mente contorta e delirante.

Ti tocco con le mani e mentre avverto,

sotto le dita, la tua pelle liscia,

ho il dubbio che i miei sensi mi tradiscano

e che tu esista solo se ti penso.

Mi perdo in un delirio in cui capisco

di essere null’altro che il pensiero

di un altro che mi pensa.

                                        E viceversa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4

 

 

 

 

 

 

LE  POSSIBILI  INTESE

 

Impiego il tempo a ricercare intese,

complesse ed impossibili, alle volte

e metto in campo tutta la pazienza 

per ricercare un punto di contatto.

Mi snervo e mi esaurisco nello sforzo

di dirti, senza urtarti, ciò che penso.

Le mie parole cadono nel vuoto

perché non so trovare l’argomento

che possa condividere con te.

Tu sei testarda e irremovibile e mi pento

del mio tentare approcci inutilmente.

Finisco col pensare che non possa

esistere una cosa che ci unisca.

Porto pazienza un attimo,

                                          poi esco

ad incontrare il mare che conosco.

Oggi è infuriato e schiuma alla battigia

come un cavallo che abbia corso a lungo.

Iroso ed irascibile mi sembra,

almeno in apparenza

ma se socchiudo gli occhi e sto in ascolto

mi rendo conto che mi acquieta dentro

il suo respiro fragoroso

                                       e lento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

5

 

 

 

 

 

EPANALESSI

 

Il cerchio che si chiude.

L’inizio che riparte dalla fine,

come nel cane il muso con la coda.

Io conoscevo un tempo le parole,

non tanto quelle che si imparano sui libri

ma ciò che corrisponde al fiato e al cuore.

Parole come cellule viventi,

cose di carne e sangue ed escrementi,

messaggio esistenziale preesistente

a quel che sono  e al mio concepimento.

Parole intense e magiche

che il varco nella vita ci preclude.

Parole che si scordano esistendo,

come il male del nascere e il terrore

del viaggio nel canale vaginale.

Il necessario oblio della paura

è come ciò che accade alle parole.

Mi illudo a volte,

per via di qualche sprazzo di memoria

e luce dentro un buio prenatale,

che tutto torni al punto originale. 

Epanalessi, in fondo come dire

l’inizio che riparte dalla fine.

Le troverò cercando le parole

per chiudere quel cerchio che non chiude.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

6

 

 

 

 

 

 

LA  TRISTE  ALLEGRIA  DI  ALBINONI

 

Ho frenate allegrie, come adesso

che mi sento distante da me,

come un cielo in tempesta

su un paese soltanto intravisto

nella nebbia di un sogno.

Una nube sinistra ora incombe

sul villaggio alla cima di un colle,

prati verdi in salita

sulla costa di un nastro di strada,

una quiete perfetta che esplode

in bagliori di luce improvvisa.

Allegria di naufragi nel sogno

di qualcosa di inquieto e perverso,

allegria di non essere e stare

di lontano a guardare.

Ho frenate allegrie del passaggio

di una nave nei mari pacati

della luna, le notti d’estate.

Ho frenate allegrie d’abbandoni

a una musica dolce d’orchestra

sulle molli lagune.

 

Sto pensando

alla triste allegria di Albinoni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

7

 

 

 

 

 

 

UN’OMBRA  CHE  MI  SEGUA

 

La nebbia fuori ha soffocato il mondo.

Dalla finestra aperta sui cortili

osservo il poco cielo che traspare

come una scena dietro ad un velario.

Antenne di tv come fantasmi,

comignoli che fumano di bianco.

Un mondo sofferente si addormenta

in questa luce pallida che pare

un mantello pietoso che ricopra

una città che muore.

                                 Così perso,

mi lascio andare al sogno ricorrente

di andare via di qui, verso altri lidi

dove non muoia il sole nei tramonti,

dove la luna transiti sui colli

tutte le notti, luminosa e immensa.

Ormai non so resistere all’affanno

di questa nebbia, fumo di un incendio

che ottunde la mia mente e mi confonde

e mi fa fare cose senza senso

per rapinarmi il tempo che mi resta.

Voglio cercare il sole dove c’è 

e voglio avere un’ombra che mi segua

per farmi compagnia,

sola certezza mia

che sono vivo, esisto e lascio un segno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

8

 

 

 

 

 

 

L’INSIGNIFICANZA

 

Andare via da qui, come d’autunno

la nube spinta al filo d’orizzonte

da un alito di vento mentre il giorno

apre le porte a un brivido di luna.

Pallida e assorta lacera l’assurdo

precipitare lento nella notte.

Vorrei partire come l’aeroplano

che taglia il cielo col suo volo sghembo.

Vorrei lasciare il nulla alle mie spalle

e nessun segno del mio passo incerto.

 

E’ l’insignificanza il mio messaggio,

l’inesistenza il ruolo che mi tocca.

Farò di tutto, come ho sempre fatto,

perché mi si dimentichi al più presto.

Voglio andar via in un attimo e sparire

come la nube ch’è trascorsa adesso.

Rimarrà il vento e il chiaro della luna

e correranno il cielo per l’eterno.

La nube sparirà come sparisce

l’aria nell’aria 

                       e il giorno nella luce.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

9

 

 

 

 

 

 

FLUSSO  DI  COSCIENZA

 

Rifluisce dal mare alla sorgente

il fiume dei ricordi e la corrente

si fa violenta, a tratti.

Un uomo grande che respira fumo

esala dalle nari un’ira sorda.

Un cane ringhia alla catena breve.

un altro corre libero sul prato.

 

Ho già finito.

                      Non c’è spazio alcuno

per spiegazioni ai miei trasalimenti.

Il poco di memoria mi consegna

soltanto stralci di realtà diverse,

sprazzi di luce dentro un buio pesto.

Non so trovare alcuna spiegazione

ai miei processi onirici e mi lascio

portare via dal flusso di coscienza.

Non c’è nessuna scala di valori

tra tutto ciò che affiora lentamente.

Disordine mentale, confusione

e non si sceglie un metodo speciale

di catalogazione.

In testa allo scaffale un’etichetta

e ad ogni mensola soltanto un nome.

Non mi rimane più che questo poco,

un ridottissimo elenco di parole

e a ognuna il suo colore

per evocare l’ultima emozione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

10

 

 

 

 

 

COME  IL  SASSO  SULL’ACQUA

 

Se mi affaccio alla soglia del vento,

da quell’albero spoglio si stacca

anche l’ultima foglia.

                                  Brucia l’aria

di una polvere lieve di neve.

Verso sera,

come un’onda alla riva si placa

la tempesta che ha smosso i pensieri.

Solo ieri era quiete e la pace che torna

è più dolce di tutte le attese.

Da uno scoglio lancio sassi nel mare;

ho cercato i più piatti e sottili

che rimbalzino a lungo sull’acqua.

Io li seguo con gli occhi ed imparo

a ripetere il gesto

perché duri più a lungo ogni volta.

Ogni cosa che pesa, il mio corpo di pietra,

si solleva alle volte e galleggia

per un salto ed un altro

e alla fine precipita a fondo,

come il sasso.

                      E’ un destino che incombe

questo corpo che sceglie

la voragine blu che lo attende

mentre dentro ribolle la voglia

di restare sospesi,

rimbalzando ogni volta più a lungo

come il sasso sull’acqua.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

11

 

 

 

 

 

CIELITUDINE

 

Rubo a Zanzotto una parola sola:

Cielitudine

e poco dopo parto per l’ignoto.

Cielitudine come solitudine

e come nostalgia di cieli vuoti

o come assurdo ed algido colore

di perle di cristallo dentro il sole.

Cielitudine, cielo di colline,

di boschi e di dirupi sulle valli,

curve di strade, tracce di ferite

che salgono al San Boldo, come scale.

Soligo dorme sonni millenari,

Rèvine piange lacrime di lago,

San Pietro di Feletto sul crinale

sorride del sorriso delle vigne.

Cielitudine vasta come un mare,

latitudine, punto cardinale,

quarantacinque gradi, a metà strada

tra l’equatore e il perno del ruotare.

Cielitudine chiude la misura

d’un infinito tutto da esplorare.

Socchiudo gli occhi e dico: cielo

                                                    e vedo

una cupola azzurra e chiuso dentro

un orizzonte di montagne care.

Ridico cielitudine e mi siedo

per farmi seppellire

da questa assurda immensità di cielo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

12

 

 

 

 

 

NESSUN  SEGNO,  NIENTE

 

La strana idea che abbiamo

di ritrovarci un giorno

in un mondo diverso, un aldilà

che non sappiamo bene dove esista,

ci insegue dalla nascita, 

                                      da sempre.

E’ un’esigenza nostra insopprimibile

di alimentare, in fondo, la speranza

che tutto non finisca, come pare.

Ci piace immaginare

un paradiso nostro, un luogo dove 

si possa ritrovarsi un giorno insieme.

Ci sembra intollerabile il pensiero

che tutto si esaurisca in questo viaggio

e confidiamo

in vite differenti, in altri altrove.

Eppure siamo, 

                       come il fiore e il cane

e l’ape e la farfalla e il calabrone,

siamo materia e carne e pulsazioni.

La nostra fantasia, l’anima intera

vive di fede, d’ansia e di speranza.

Un infinito orgoglio si figura

che all’uomo spetti

                               un’altra dimensione, 

un mondo differente dove vadano

i morti che ci sono stati cari.

Io non vorrei per me nessun altrove,

mi basterà la vita che ho vissuto.

Io sono come il cane che mi ha amato,

il passero trovato  in un cespuglio.

Io sono come il fiore sul balcone

che vive il tempo che gli è stato dato.

Vorrei, per il mio giorno di commiato,

potermi cancellare dal registro,

vorrei poter morire 

                               integralmente

e non lasciare tracce,

                                   nessun segno,

                                                          niente.

 

 

 

 

 

 

 

13

 

 

 

 

 

 

IL PRIMO TRENO

 

Il primo treno passerà tra poco

e la luce velata del mattino

andrà crescendo come in un acquario.

La bianca luna svanirà nel cielo.

Lucifero é ormai quasi evanescente

e tante stelle sono impallidite.

Tutto é sospeso come in un'attesa

e l'aria tace ed il silenzio é greve.

 

Il primo treno passerà tra poco,

soltanto i vecchi sono già per strada.

 

Dormivo fino a tardi

nel mio lettino e poi nel letto grande

e non sapevo ancora

della luce velata e delle attese.

Occorrerà una vita per scoprire

che le speranze moriranno all'alba.

Allora sarà inutile aspettare

il triste primo treno del mattino

che le trasporta verso il mondo d'ombre.

 

Il primo treno passerà tra poco.

Soltanto i vecchi sono già per strada.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

14

 

 

 

 

 

A  MIA  INSAPUTA

 

La temo così tanto la mia morte

che a volte spero si sia già conclusa

la tragica avventura della vita

e tutto sia finito

e d’essere già morto 

                                 a mia insaputa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

15

 

 

 

 

 

 

NESSUNO  CI  APPARTIENE

 

E’ troppo complicato aprire il varco

nella tua mente che mi sta osservando,

entrarti dentro e sciogliere i legacci

che ti tengono avvinta ai tuoi fantasmi.

 

Non mi appartiene tutto ciò che senti,

ciò che hai provato  e messo tra i ricordi.

Nessuno ci appartiene veramente,

noi monadi nel mondo degli specchi.

Credevo di capirti ma da un vetro

mi dava ascolto un altro me riflesso.

 

Di fuori piove e viene giù dal cielo

un fiume di tristezza senza nome.

Parole buone non so dire ancora

per dare un senso al freddo che mi prende.

 

Domani spioverà, sarà sereno

il cielo sopra noi che ci protegge,

sarà più azzurro di un mattino a maggio.

Non conta ch’io capisca il tuo disagio,

conta di più la mano che ti tendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

16

 

 

 

 

 

 

COSI’  E’  MORIRE

 

Un cielo azzurro e fondo come un urlo

e un aeroplano col suo volo sghembo.

Una canzone dal jukebox d’un bar

e bimbi che si inseguono per strada

tra risa e gridi.

                        Dentro un ospedale

mia madre inizia il conto delle ore.

Finisce il mondo,

tutte le volte che qualcuno muore.

 

Si oscura il sole e i fiumi che traboccano

travolgono città, s’apre la terra

e inghiotte prati e boschi ed acquitrini.

Tutto si ferma ed anche gli animali

si annidano nel fondo dei rifugi.

 

Così nel cuore e non nella realtà.

 

Non ci sarà nessuno che si accorga

se griderò che non vorrei morire.

Il nostro pianto è nulla e si disperde

dentro il frastuono delle cose vive:

la musica lontana di un jukebox

e i canti e i gridi dei bambini al sole.

 

Si muore soli e senza far rumore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

17

 

 

 

 

 

 

SAREBBE  PIU’  FACILE  TUTTO

 

Sacrifico parte di me, piano piano,

mi faccio ridotto ed esangue,

mi strappo da solo brandelli di carne,

sparisco di un poco ogni giorno,

mi assento e mi annullo

così che nessuno si accorga che esisto.

Non occupo spazi e non reco fastidio,

mi faccio da parte se occorre,

mi anniento e mi oscuro.

Divento così trasparente

da farmi passare attraverso.

Non ho consistenza,

l’immagine mia nello specchio

si incrina al mio sguardo

e non riconosco me stesso

nel pallido esangue fantasma riflesso.

Ho speso il mio corpo pian piano,

nel centro del vento che corre

nel quale non conta il mio peso.

Se tu non mi amassi

sarebbe più facile tutto.

Potrei liberarmi dall’ansia di esistere ancora

per te, come sei,

per l’arco di luce negli occhi che hai,

per l’ultimo gesto che fai per tenermi

sul limite assurdo 

di questa scogliera di abbracci.

Se tu non mi amassi

sarebbe più facile tutto.  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

18

 

 

 

 

 

 

VORREI  TU  MI  VEDESSI

 

Vorrei tu mi vedessi,

come mi vedo nel mio sogno, a volte.

Nel viaggio che mi porta alla sorgente,

al tempo andato e a quella giovinezza

che non mi ha amato.

Il mio castello avito, il dolce mito

io l’ho inventato con la mia pazienza.

Mi sono dato scopi mai raggiunti

e panorami d’isole segrete.

Mi sono visto, per un tempo breve,

come in un sogno quello che non sono.

Capelli sciolti ed occhi sorridenti

e tu che mi guardavi innamorata.

Sono passato innanzi ad uno specchio

e mi son visto, come sono adesso.

Un viso molle ed occhi d’alabastro.

Quello che resta, solamente un vecchio.

Vorrei tu mi vedessi

come mi vedo nel mio immaginario.

Ci aspettano altre strade di silenzi

ed altre piazze e viali di cipressi

ed altri luoghi e mari e cieli azzurri

ed altre vite, tante, dopo questa

ed altri corpi e volti e specchi d’occhi

ed altre giovinezze ed altre morti.

Ci aspettano altre tavole imbandite

ed altre case tiepide di fuochi.

Se mi vedessi per un solo istante

come mi vedo nel mio sogno, a volte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

19

 

 

 

 

 

LA  STRADA  DEL  NIENTE

 

E’ freddo stamane

ma il sole che filtra tra gli alberi spogli

ha strani barbagli di fiamma,

qualcosa che allude

ad un altro paesaggio.

Ricordo Camaldoli e i boschi incantati

di alberi fitti talmente

da fare pensare alla notte

e lame di luce tagliente ed avara

che passa nell’alto e si perde

nel rosso tappeto di foglie.

La strada si fa rumorosa di luce

e parla con voce suadente

di un altro universo

e di primavera imminente.

 

E’ solo la fine gennaio

ma incombe un presagio,

qualcosa mi illude che il freddo

stia già per finire ed arrivi

la festa di rane nei fossi

e la crudeltà dei ditischi,

i gridi di rondini a sera.

La vita che corre al finire

ha sprazzi improvvisi

e aspetta dal giorno che viene

un’altra promessa.

Dimentica a volte

che ognuno dei giorni che passa,

magari splendente di luce,

è un passo di più sulla strada

che va verso il niente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

20

 

 

 

 

 

 

ASPETTANDO  LA  SENTENZA

 

Come in attesa, stiamo qui seduti,

nel modo di chi aspetta una sentenza.

E’ solo questo quello che ci è dato,

è vita che si spende come il fiato.

Eppure, nonostante l’evidenza,

è troppo bello stare qui aspettando

che l’esistenza, un giorno dopo l’altro,

aggiunga un altro istante ad ogni attesa. 

 

Godersi primavere d’aria tersa

come i ragazzi e l’ipotesi del volo

per farci immaginare onnipotenti

o come l’incertezza dei tramonti

e i vecchi in una tenera demenza.

 

E’ bello stare qui che si galleggia

al modo di libellule sul lago

o come la cicala che dispensa

un canto che perdura fino a sera.

Tutto è già dato e niente più ci spetta;

abbiamo avuto dosi di veleno

e antidoti di gioia e d’abbandono,

profondi precipizi per cadere

ed ali nuove per tornare in volo.

 

Questo ci è dato e niente di diverso,

il resto che ci spetta ci è negato.

 

Inutile aspettare la sentenza,

tutto finisce come è cominciato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

21

 

 

 

 

 

 

IL  SOGNO  DI  VOLARE

 

Non so pensare ad altro che al perverso

senso di vuoto che mi prende, a tratti,

tutte le volte che mi lascio andare

al sogno di volare.

Librarmi in aria quasi senza peso,

come una foglia a un alito di vento

e come quella pagina di  libro

dalla panchina di un giardino al sole.

Una poesia d’amore vola lieve

come sorretta in cielo da parole

vuote di senso ma ricolme invece

d’un’emozione che trasporta il cuore

là dove vuole.

                       Mi ricordo un tempo

in cui pensavo di potermi alzare,

sopra le cose come levitando,

per osservare il mondo da lontano,

io, l’aeroplano nel mio sogno grande.

Si piomba giù di colpo nella vita

e si rimbalza a lungo

come una palla o come un sasso piatto,

sull’acqua troppo ferma di uno stagno,

per poi finire a fondo.

Non ho mai smesso credo di sognare

e sono ancora qui che spero, a tratti,

per un’ultima volta di volare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

22

 

 

 

 

 

 

COME  HO  TROVATO  LASCERO’

 

Non mi accomiato mai da nessun luogo

e da nessuno e sempre, ovunque vada,

accumulo ricchezze di paesaggi,

visioni mozzafiato di vallate,

immagini disperse e ritrovate

di luoghi amati e di persone e cose.

Amo ogni oggetto d’un amore folle

che non è voglia inutile di avere

e possedere ma soltanto il segno

che so capire il fascino che hanno

e la memoria che si chiude dentro

e che si incrosta, a volte,

su tutto ciò ch’è appartenuto ad altri.

Ed amo immaginare i volti ignoti

di chi mi ha preceduto,

l’intera umanità che ha già vissuto

ed abitato a lungo queste valli.

Le loro mani strette sulle cose

e gli occhi a carezzare i cieli azzurri,

i monti immacolati sullo sfondo

e tutto ciò che adesso vedo e tocco.

Amo la vita che mi tocca in sorte

e quella già trascorsa che ricordo

e l’infinito numero di quelle

di chi mi ha tramandato le sue cose,

le immagini racchiuse in un quaderno,

la pendola in salotto,

le posate d’alpacca nel cassetto.

Non mi accomiato mai da nessun luogo

e da nessuno e tutto,

come ho trovato lascerò 

                                      ed intatto

mi possa risorridere ogni volta

il sole che, riflesso da una pozza,

dopo la notte, come sempre torna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

23

 

 

 

 

 

 

A  ROGOREDO

 

Una tristezza di periferia,

in questi casermoni disumani

al limite di un mare di binari.

Stazione Rogoredo di Milano

una tristezza vaga d’abbandono,

lo stesso odore acuto di città

dei cessi desolati dei vagoni

e identico il colore,

il grigio delle case di ringhiera.

Milano alla mattina

è triste come il sogno che finisce

quando la sveglia ha già suonato l’ora.

Ho visto cose e so di storie strane

che si ascoltano stando in compagnia.

Scompartimenti colmi di sudore

quando si torna a sera.

Il treno fogna

fa soste brevi in tutte le stazioni.

Parole grasse e mani sul sedere

delle ragazze che si fanno fare.

Sono le otto ed è già buio fuori,

domani all’alba il buio è come ieri.

Le stesse case a ridosso dei binari,

le stesse luci alle finestre, accese,

le stesse storie, identiche le attese;

domani sarà un giorno come ieri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

24

 

 

 

 

 

 

FATA  MORGANA

(dedicata alla splendida Reggio Calabria)

 

E’ forse proprio qui che si consuma,

davanti a questo mare che respira,

su questa riva

                       il senso della vita.

Io l’ho cercato a lungo camminando

lungo sentieri in boschi di silenzi,

nelle radure dove si confonde

il verdeggiare delle canne al vento

e l’acqua quasi ferma dei canali.

Io l’ho cercato nelle vie traverse

delle città morenti e silenziose

e lungo i marciapiedi delle donne

che vendono l’amore.

Io l’ho cercato ovunque immaginassi

potessero nascondersi segreti.

Ho rovistato tra le cianfrusaglie,

negli angoli nascosti dei pensieri.

Non una frase o una parola sola

a dare un senso al vivere che vivo, 

inutile cercarlo dove credo.

Non è mai là, nei luoghi dei pensieri,

è in questo quadro che mi sta davanti,

nel mare troppo azzurro dello Stretto

dove si specchia una città lunare.

Messina in lontananza è una lampara

d’una catena innumere di lumi.

E’ tutto qua l’arcano che si cerca,

fuori di noi,

                   lontano dai pensieri,

nel grande gioco delle cose vere,

in quello cui assistiamo,

soltanto spettatori inebetiti

di questa verità cui diamo il nome

di questo lungomare d’illusioni.

Fata Morgana, un sogno. Solo ieri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

25

 

 

 

 

 

 

PORTA  ROMANA

 

Com’era triste la città nell’alba

e come, dai lampioni ancora accesi,

spioveva sul bagnato delle strade

una sottile polvere di luna.

Finestre lampeggiavano di giallo

sui viali della circonvallazione.

Porta Romana bella di canzoni

versava dai convogli pendolari

turbe di gente ancora addormentata.

Rigonfie quasi

                        come stie di polli

le filovie davanti alla stazione.

Presto si sveglia e presto si addormenta 

questo ritaglio grigio di città-

Di dietro a una parvenza disperata

c’è gente che distilla con fatica

da questa vita gocce di speranza.

E’ sempre triste la città puttana

ma nel chiarore pallido di luna

una canzone sale dai binari,

Porta Romana tu, 

                            Porta Romana

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

26

 

 

 

 

 

MILANO  VIA  GHIBERTI

 

Milano, via Ghiberti. E’ già febbraio

e il freddo della notte ha fatto bianchi

di brina i tetti rossi delle case.

Si accendono i camini e le caldaie

che fumano di nebbia e di vapori.

Il merlo ha già esplorato le grondaie 

e odori forti  come fiati caldi

raccontano di vita che riprende.

Io sono come il fumo del comignolo

che segna il cielo di volute gialle,

spirali che si inseguono danzando

inutilmente come tutto quello

che non richiede alcuna spiegazione.

Disegno fantasie nelle volute,

edifico castelli inabitati,

propongo strade che si perdono nel fondo

di scene immaginarie. 

                                   Poi mi sciolgo,

nel grigio del mio cielo di città,

a un alitare timido di vento

tra queste case strette  tra due strade.

Milano, via Ghiberti, è già febbraio.

Io sono come il fumo del comignolo

che inventa per un cielo inospitale

scenografie che durano un istante

e poi si perdono

come una voce che non ha parole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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LA  CIUMBIA

 

Milano degli anni sessanta.

Mi torna alla mente, se penso,

la piccola piazza deserta

e quella latrina di latta

dipinta di verde.

Pareti ricurve,merletti di ferro

e un certo tettuccio ad ombrello

di stile un po’ liberty o quasi.

E’ il punto obbligato d’incontro

dei militari che a sera

ritornano in via Mascheroni, in Caserma.

Si pisciano litri di birra,

si cerca qualcosa, se c’è.

La Ciumbia si nota per via del rossetto

che pare di fuoco

su fili sottili di labbra.

Nel buio si compra volendo

un poco d’amore di bocca,

un foglio da mille è anche troppo.

La sera rimbomba di suoni,

del cupo ronzio dei motori.

Poi tutto si spegne di colpo,

se tornano dentro i soldati.

Rimane  nell’aria soltanto

lo scroscio dell’acqua che scorre

in un pisciatoio di latta. 

La Ciumbia pian piano

si tinge di nuovo la bocca.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

28

 

 

 

 

 

 

LES  CHIMERES

 

Se dico Le Chimere, già trasalgo.

Subisco l’incantesimo  che viene

dalle parole.

E non importa il senso.

Chimere vuole dire un altro mondo,

promesse disattese,

profondità insondate della mente,

memorie cromosomiche irrisolte

e pura suggestione d’altri altrove.

“Les Chimeres”, un albergo senza stelle

davanti al Porto Vecchio a Saint Tropez.

Un piccolo edificio fatiscente

col fascino inquietante dei fantasmi.

Il mio fantasma vive qui da sempre,

è qui che sono morto il sei novembre

del millenovecentottantasette.

Era una sera lugubre di pioggia,

nessuno per la strada

e scegliere il mio luogo per morire

è stato così facile alla fine.

Les Chimeres,

cambiato è ormai da tempo il nome

nella piccola insegna sulla strada

ed il colore delle lampade del viale

ma  il mio fantasma

rimane sempre qui, comunque vada.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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PIAZZA  DUOMO  19

 

Ritorno a volte

in quel palazzo al centro di Milano,

in Piazza Duomo 19, al quinto piano.

Un portoncino in legno a due battenti

e serrature 

e pomoli d’ottone quasi a specchio.

Tre camere su strada,  un corridoio

e la cucina grande.

Ormai da tempo 

un gran silenzio dentro 

e l’aria vecchia 

e l’ombra di mia madre sull’acquaio.

Non resta un altro segno sulle cose,

né la sua voce nelle stanze vuote

e notte, dopo notte e dopo notte

si fanno bruni d’ossido e di morte

i rilucenti pomoli d’ottone.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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DAMASCO  BRUCIA

 

Acqua soltanto

                          il mare che separa

due spiagge uguali sulle opposte sponde;

aria che corre

                       il vento che ci sfiora

e che solleva solo sabbia, in fondo.

Pioggia che batte contro le persiane

è come un pianto lungo che trabocca.

Torce le mani

                       e piano si dissangua

quell’operaio che non ha lavoro

e sanno di tristezza e d’abbandono

le morti miserabili dei vecchi

dimenticati al buio degli ospizi

 

e muoiono i bambini di Damasco,

 

la gola divorata dal veleno

dei gas letali.

                      In fondo pure questo

non è che un modo antico di morire.

Non c’è stupore e non c’è novità,

quello che accade è come sempre uguale.

Fatico un po’ a capire

                                   se ci penso

e poi mi dico:

un giorno dopo l’altro una ferita;

ma è proprio tutta qui la nostra vita?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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IL  FIORE  GIALLO

 

Dormivo quieto

e non avevo sogni a risvegliarmi,

poi, sul mattino, un grido

e dentro una voragine di rabbia

quell’urlo di una donna,

                                       come un taglio.

So quasi tutto, so che le ferite

guariscono col tempo e la fatica.

Una cosa soltanto non guarisce:

il male dentro, il male e la coscienza.

La donna sa che cambierà 

                                          ma poco.

Prometterà che nulla sarà uguale,

che sarà buono e mite 

                                    e che le mani

saprà tenere al posto dove deve.

Violento e prepotente

                                    è solo un uomo

e a volte una voragine di niente.

La donna invece

                            è il prato dove cresce

ad ogni primavera un fiore giallo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

32

 

 

 

 

 

 

 

MORIRE  A  NATALE

 

Ho sognato una bimba sognare;

alla porta del cuore

ho avvertito il suo sogno bussare.

Non chiedeva un giocattolo nuovo

né un pupazzo di neve.

Nel suo letto di piaghe 

                                    aspettava,

con la musica dolce dei canti

della gente felice,

il tinnio dei sonagli alle slitte

di Babbo Natale.

L’ha aspettato per giorni e per ore,

per un’ultima notte stanotte.

Quando il canto s’è udito

ha potuto socchiudere gli occhi.

Sul cuscino ha lasciato, 

trattenuto sul bordo di ciglia,

un sorriso e uno sguardo dorato.

Si combattono al mondo battaglie

e si sparge del sangue innocente

e si perde una guerra ogni volta,

sul lettino di un angelo biondo

che si lascia morire per niente.

 

(dedica a Fernando Bandini, poeta, morto il giorno di Natale 2013)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

33

 

 

 

 

 

 

DOVE  CROLLANO  I  MURI

 

Visitammo deserti.

Le rovine sepolte

di città sconosciute che il tempo

ha scordato di scrivere dentro

alle carte segrete.

La memoria mi assista, ricordo

che con orbite vuote ho guardato

il cadere dei sogni, nel vento.

Sono entrato nei templi

ed ho aperto le porte

che la notte ha socchiuso.

Prudente

ho girato per strade deserte

e ho sorriso a fantasmi.

Porterò come dono agli altari

la mia anima inquieta

che si ferma a pensare nei luoghi

dove crollano i muri

di città che la sabbia sommerge.

Siamo qui che aspettiamo dagli anni

che ritornino verdi

tutti i prati all’intorno

e che nasca dal vento

la città che sperammo da sempre.

Visitiamo deserti

per cercare città sconosciute

dove crollino i muri del tempo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

34

 

 

 

 

 

 

A  UN’AFRICA  VICINA

 

Così violento il vento del deserto

che stanotte ha soffiato su Milano

e seminato sabbia, come fuoco, 

sulle macchine in sosta e i marciapiedi.

Quell’Africa lontana è più vicina

ed ha i colori

del bronzo sulla pelle delle donne

e il nero d’occhi accesi di bambini.

Non siamo soli più con quel che siamo,

villagi inespugnabili a un nemico

che immaginiamo.

Ora si sa che respiriamo insieme

gli identici profumi

nell’aria che ci giunge da lontano.

La sabbia rossa, come in sospensione,

è un’Africa che giunge come un dono

nell’alito del vento che ci sfiora

al modo del respiro di qualcuno

che dolcemente e inconsciamente amiamo.

Il vento espugna torri di castelli,

visita  chiese e non conosce muri.

Il vento è il fiato caldo che ci giunge

da un’Africa che abbiamo dentro il cuore,

pianeta perso dentro mille offese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

35

 

 

 

 

 

 

IN  TANTI  PORTI  ED  IN  NESSUNO

 

Andiamo via di qui. 

                                S’è fatto tardi

ed io non voglio stare dove stanno

le donne che patiscono in silenzio.

 

Io posso avere male, disperarmi

però voglio gridare, dare fiato

al mio tormento e che nessuno dica

che sono pazza e non so stare al gioco.

Passato è il tempo del silenzio,

                                                 quando

tu mi ferivi ed io tacevo inerme

e mi dicevi quello che si dice 

alle femmine isteriche che piangono.

 

Le tue promesse, come canne al vento,

hanno frusciato per le mille notti,

poi, come l’acqua, sono svaporate

in nuvole leggere dentro l’aria.

 

So già che dovrò vivere da sola,

che il sogno di tenerti all’infinito

è già finito.

                     Tu non sai restare.

Non ti trattiene il bene che c’è stato

né le promesse e il pianto che mi scioglie.

Neppure un figlio,

                              la magia d’amore,

il segno di un legame indissolubile,

ti obbliga a restare. 

                               Tu rinneghi

qualsiasi cosa ti trattenga a terra.

Sciogli ogni ormeggio e salpi ad ogni sera

da questo approdo verso ignoti mari.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

36

 

 

 

 

 

 

MANI  DI  CERA

(a mia madre)

 

Un giorno, un mese e un altro po’ di vita

hai speso a ricamare quella trina

eppure tutto il tempo e la fatica

dispare mollemente nella trama.

Le mani troppo a lungo hai logorato

alla fontana

e consumato gli occhi sulle righe

di pagine sgualcite

al debole chiarore di candela.

Avrai mani di cera, finalmente,

le stesse mani di chi dorme a lungo

e ci dirai: “ se ormai non servo a niente,

non voglio più svegliarmi.

                                         E vi saluto.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

37

 

 

 

 

 

 

VOLARE  VIA

 

Qui dove il giorno è stato prepotente,

la luce cede piano e si confonde

con l’avventura di una notte nuova

che dolce come l’acqua si propaga

e allaga questa valle d’ombre opache.

Questo era il mondo ed unica la scelta.

 

Figli da fare, case da abitare

e solo due pensieri da pensare.

Fu quella sera, innanzi a un fuoco acceso,

la voce rotta:

                      “vado via, mi basta

la vita già vissuta in questa casa.

Mi ha scelto un uomo e prendo la sua mano.”

 

Si sciolgono in un attimo catene,

si sceglie di non scegliere e di andare.

Si dice sia l’amore

ma forse è solo voglia di fuggire,

d’essere donna, fare figli e fare,

in una casa nuova un nuovo altare.

E’ di una donna la coscienza ardita

che sceglie di concedersi il respiro,

la sola cosa al mondo che possiede.

 

Qui, dove il giorno è stato prepotente,

è nata l’avventura di mia madre

e la sua storia è come mille, uguale.

Si dice che sia stato per l’amore

ma forse è stata voglia di volare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

38

 

 

 

 

 

 

GLI ADDII

 

Più forte del dolore la paura;

paura di provare altro dolore,

così ho taciuto a lungo senza dirlo

ed è accaduto troppo spesso allora

così ogni volta ho scelto di fuggire.

Mia “dulcissima mater” ora ho capito

che si diventa un uomo solo quando,

quando si impara a dire

                                      il primo addio.

E’ stato così dolce averti accanto

per tutto il tempo di una vita ed oltre 

ed ora è così triste la certezza

che non ci incontreremo, per l’eterno.

La mia sola speranza d’infinito

è in questo far durare più che posso

il nostro dirci 

                      lungamente addio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

39

 

 

 

 

 

 

MIO  PADRE  INVECE

 

Inquieta fantasia delle salite

e dopo invece,

discese mozzafiato senza freni,

su spire di serpente arrotolate

per strade ardite.

Sorride ancora da una vecchia foto,

la mano sul manubrio

e sulla maglia

il nome di battaglia.

I sogni non si appagano vivendo

ma solo dopo.

Inseguirai le ruote palmerate

di quelli in fuga,

avanti tre tornanti,

per prenderne la scia.

Sul lungo rettifilo dell’arrivo,

l’ultimo scatto.

                         E via!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

40

 

 

 

 

 

 

L’ESTATE E’ UNA STAGIONE UN PO’ CRUDELE

 

E’ stato quasi come se la notte

si fosse fatta bianca di lampeggi,

come se l’aria, a un brivido di foglie,

si fosse accesa di bagliori verdi.

L’estate che finisce ha riti assurdi,

burrasche in alto mare e mareggiate

che vengono a morire alla battigia,

groppi di vento sopra le lagune

e nebbia di salsedine nell’aria.

Fragore di una scena che si muta

ora per ora e toni di tragedia.

Non muore mai in silenzio, se ha ballato,

l’estate ardente nella sua calura.

Non muoiono le storie di prodigi

e d’avventure quando viene sera.

Rivivono al mattino, insieme al sole,

miracoli di sogni e d’emozioni.

Non rivivrò con te la meraviglia

del nostro stare insieme, silenziosi,

ad ascoltare il canto degli uccelli,

il brivido del vento tra i cespugli,

la musica lontana delle stelle.

Un’altra estate tornerà tra breve

con altri tuoni e lampi e nubifragi

ma il mio coraggio e la mia voglia folle

si va spegnendo come fiamma al vento.

Vado cercando spazi silenziosi,

angoli bui dove stare quieto.

L’estate è una stagione un po’ crudele.

Ormai più non resisto al sole pieno

e cercherò, in un angolo segreto,

l’ombra gentile che si addice ai vecchi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

41

 

 

 

 

 

 

FOULARD  DI  GUCCI

 

Mi guardi, mi vedi poi strepiti forte,

più forte d’un urlo dal fondo

mi gridi una frase d’amore.

Distesa di neve che brilla di stelle 

s’accende d’un tratto, alla luna.

Un sogno non mio; dalla tolda

d’un bianco vascello che affonda

mi dici parole di seta sottile,

 

foulard delicati di Gucci,

 

cavalli dipinti e staffe dorate,

tappeti di foglie d’autunno.

Non voglio raggiungerti,

                                        tanto

se io m’avvicino,

lo spazio si allarga di colpo

e s’aprono sotto

paesaggi di un’anta d’armadio.

La radica in noce disegna

abissi profondi 

e cime di monti,

voragini dove si perde la mente ed il cuore.

Poi basta che piano mi tocchi

perché mi risvegli di colpo.

Se guardo d’intorno

il sogno ha lasciato soltanto

le sete di Gucci

e quell’anta d’armadio

che come uno specchio riflette

me stesso, disperso,

che mentre ti cerco, 

                                ti perdo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

42

 

 

 

 

 

 

CI  TOCCA

 

Non piangere cara, ci tocca.

La vita di un figlio 

ci sfiora soltanto e non lascia

che un’ombra di se. Se non basta

avremo, per gli occhi,

la foto che ride,

il pupazzo di neve,

quel giorno d’inverno, ma dove?

Il posto in cucina,

la sedia ch’è vuota da tempo

aspetta che venga Natale.

Non resta che il poco che serve

e arriva ch’è stanco e svogliato.

Non parla e se dice,

capire è difficile a volte.

Contesta, protesta e si inquieta

con me, per le cose che dico.

Non piangere cara, ci tocca;

ai vecchi non resta che farsi da parte.

Le nostre parole non hanno più ascolto,

la voce che occorre non trova il coraggio

e piano sprofonda

così che alla fine il silenzio divora

l’estrema parola che affiora alla bocca.

Non piangere cara, ci tocca.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

43

 

 

 

 

 

 

UN  ABITO  A  FIORI  DI  CAMPO

 

Non era rimasto nell’aria che un segno,

la piccola traccia che lascia

la mano che piano ti sfiora

nell’attimo prima che tu non sparisca

giù, in fondo alla strada.

Ti ho vista arrivare, improvvisa,

la snella figura stagliarsi danzando

nel debole raggio di sole

che spiove tra i rami del viale.

Sei parsa volare

nel piccolo spazio tra noi, che separa

la viva farfalla che sei da chi sono,

un debole stelo piegato

dal vento leggero di maggio.

Vestivi la veste leggera

di tutte le donne del mondo

nei giorni di primavera.

Un abito a fiori minuscoli e vari

così che abbracciarti pareva

tuffarsi nel sogno in un prato.

 

Mi sono svegliato di colpo

all’urlo di un’autoambulanza

che corre furiosa per strada.

C’è stato qualcosa all’incrocio;

per terra, in un lago di sangue,

qualcuno travolto da un’auto pirata.

Lo vedo dall’alto,

il piccolo sacco di stracci,

quell’abito a fiori di campo,

venuto a morire stamani

sull’uscio di casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

44

 

 

 

 

 

 

L’ARCHETIPO  DI  CASA

 

Quanto più vivo e vedo

più si fa grande il vuoto dentro.

Facevo foto un tempo

creandomi un archivio,

per quando sarò vecchio, mi dicevo.

Ricordo poco ormai;

difetto di memoria ma non credo,

credo piuttosto a un modo originale 

di scegliere col cuore

quello che conta e quello che non vale.

Se dico “casa”

mi tornano alla mente

le case che ho abitate 

e tutte quelle ormai dimenticate.

Si radica di dentro come un male

la prima casa

in cui ci siamo accorti di abitare.

La casa rossa sulla ferrovia,

una piccola porta per entrare

e due finestre a lato,

il fumo di un comignolo che sale.

Un cielo azzurro ed una nuvola soltanto

e un sole tondo nell’angolo su in alto.

Ho seppellito dentro quella casa

l’archetipo di tutte le dimore,

così se cerco la mia idea di casa

devo scavare al fondo del mio vuoto,

dentro la tomba della mia memoria.

A quella casa non ho fatto foto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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MI  TIENE  VIVO  L’INCERTEZZA

 

E’ passato così, senza rumore

il tempo della vita che davvero

è stato come un lampo.

                                      Mi rammento

d’un’infanzia felice e inconsapevole

e d’altre età sprecate inutilmente.

 

Io l’ho buttato il tempo

della mia desolata giovinezza,

tutto il tormento dell’insicurezza

per ciò che sono e sono stato.

Ho avuto un corpo fragile e malato,

ho temuto di tutto e ho sperperato

giorni su giorni a compatirmi e a dirmi

che non avrei potuto stare al gioco.

 

Stando di lato, il mondo non si cura

di te che non ti adatti alle battaglie.

Ti isoli e ti culli

in fantasie d’estraneità dorata

e quanto più ti affondi nel silenzio

più godi del piacere d’esser solo.

 

Coltivi dentro

il seme di un fantasma

inadeguato a vivere nel mondo.

 

Sono approdato a questa spiaggia estrema

nudo e sfiancato e senza alcun bagaglio.

Il retroterra è un campo di battaglia,

ad ogni cippo solo una sconfitta.

Non ho memorie, punti di partenza,

quello che posso è cominciare adesso.

 

Nel mio futuro un’altra giovinezza,

un’altra storia e tanti nuovi approdi.

Mi tiene vivo, in fondo l’incertezza,

la mia precarietà, la voglia folle

d’altre bandiere da affidare al vento,

di nuovi porti ed altri approdi certi.

 

 

 

 

 

 

 

46

 

 

 

 

 

 

SEGNI

 

Io leggo segni sempre e ovunque vada

leggo la traccia piccola che c’è

del tuo passaggio lieve in questa casa.

Un segno appena, la tua tazza bianca

col bordo di celeste e sul cuscino

l’impronta ancora tiepida di te.

Un segno nei sentieri del giardino,

ciocche di fiori dentro i vasi appesi

nella pergola accanto alla fontana.

Un segno dentro me che mi affatico

a trattenere il filo di memoria

che mi tiene agganciato alla mia vita.

 

Ricordo segni sulle rocce rosse

dei  dirupi scoscesi all’Esterel.

Un segno piccolissimo su un sasso

tracciato con un guscio di conchiglia

per ritrovare, un giorno se si passa,

il luogo di un picnic tra le lavande.

Sul candido sepolcro di Chagall,

ho abbandonato un sasso levigato

e nero come un abito di scena

per la casa in collina di Gerard.

 

Sassi su sassi ed altri sassi ancora,

segni su segni in cumuli infiniti,

a erigere muraglie di difesa,

a fare case,

a lastricare strade di discesa.

E sopra i muri una parola incisa

per dire quanto valgano i pensieri.

 

Amo i sentieri dove è già passato

il cacciatore nelle aurore insonni

ed amo i porti

e tutti quanti i mari navigati.

Amo le croci al vertice dei colli

ed agli incroci

certe santelle povere di fiori.

Amo te che mi chiami da lontano

col segno della mano

e lascio tracce e inseguo tutti i segni

di chi mi piace e che mi incrocia a caso,

di quelli che mi amano e che amo.

 

 

 

47

 

 

 

 

 

 

TRA  ME  E  L’INFINITO

 

E’ un giorno di vento quest’oggi

e già dal mattino si annuncia

la bella ventata che spazza

le candide nubi di panna.

Il cielo diventa più azzurro

dei giorni di maggio,

dei tiepidi giorni 

che tutto si fa trasparente cristallo.

I prati, davanti alla casa,

si increspano all’aria

al pari di un mare sfiorato

da un volo di rondini, a raso.

La mamma mi ha fatto, con carta crespata

e stecche di canna

e colla di latte e farina,

un cervo volante più bello 

di un sogno a colori.

Cerchiamo nei prati ondulati

il punto più alto,

il sommo di un colle da poco

per dare lo slancio che occorre.

Ondeggia nell’aria poi cade

e questo una volta e poi mille.

Non cullo illusioni,

so già da gran tempo

che quello che spero

non capita mai. Mi accontento.

Per tutta una vita ho sperato

che tanti aquiloni 

potessero un giorno librarsi

nel cielo dei sogni.

Nessun aquilone ha volato 

per più di un minuto

così tra le mani mi resta nient’altro

che il capo di un filo.

Quel filo tra me e l’infinito

che inizia e finisce in un prato. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

48

 

 

 

 

 

 

PORTERO’  CON  ME

 

Li porterò con me, nelle pupille,

i palpiti di stelle,

lo scintillio delle fontane al sole

e i suoni della musica degli astri

e i canti delle donne nelle sere.

Non si disperderà nell’universo

la somma inenarrabile di cose

vedute e amate.

Io, come un recipiente,

un reliquiario sacro a custodirle.

Tu dentro me,

con la tua luce bella,

con gli occhi che saettano di sguardi

e con le mani lievi di carezze.

 

E poi se tutto o quasi tutto si perdesse.

 

La luce azzurra sopra la laguna,

il tremolare incerto tra le canne

del sole che si affonda all’orizzonte.

Se si perdesse il bene

di questa sera calda,

il desiderio di fermare il giorno,

fino ad un’ora tarda,

perché continui il gioco

di questa luce nelle tue pupille.

Se tutto si perdesse

e andasse via il ricordo

di rondini impazzite tra le case,

se mi morisse dentro

l’ansia di avere e cogliere nell’aria

la verità di Dio.

                           Se si perdesse

e se davvero tutto si perdesse,

 

vorrei finire ma finire adesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

49

 

 

 

 

 

 

POLVERE  SOTTILE

 

E si va via da questa superficie

come un segno di gesso alla lavagna.

Un gesto ci cancella in un istante,

resta di noi una polvere sottile.

Perché affannarsi allora a farci male,

a roderci di rabbia, a tormentarci

lasciandoci alle spalle anche l’amore.

Trattieni le parole che conosci 

e non lasciarti andare.

Parlale piano, dille che ti occorre

ancora un po’ di tempo per pensare.

Se non sorride mentre tu le parli,

è troppo tardi ed è lontana ormai.

Non trattenerla allora che un istante,

abbi il coraggio di lasciarla andare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

50

 

 

 

 

 

 

 

IL BATTITO DEL CUORE

 

Ho freddo dentro,

scaldo le mani al fuoco del camino

e illumino la pagina che ho aperto

al rosso della brace. Il gatto dorme

acciambellato sul cuscino. Tace

la pendola se osservo il suo oscillare.

Il tempo che trascorre nella pace

illude che appartenga alla mia carne

il po' di eternità di questa vita.

Se il cuore batte come rallentato

è bava d'esistenza che s'attarda

soltanto per illuderci che il tempo

duri per sempre se si sta in silenzio.

La vita vera invece si consuma

col battito del cuore che galoppa,

con la passione che ti brucia in faccia.

Ed ogni azzardo che si fa per gioco

ed ogni sguardo che rivolgi a un altro

lasciano segni come di ferite,

cicatrici di vita , un medagliere

da esibire sul petto, il testimone

di aver patito tutto quel che occorre

e aver vissuto insieme  tante vite.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

51

 

 

 

 

 

 

IL  TARLO  E  LA  MEMORIA

 

Sarà così per lungo tempo ancora

che ti verrò a cercare come fossi

ancora lì, ad accogliermi sull’uscio

della tua casa.

Attendere qualcuno che non viene

lascia sul cuore come una ferita;

non lo sapevo o forse non volevo

dirmelo allora.

                        Lo capisco invece

adesso che pian piano arrivo al punto

di non ritorno. 

                        Non c’è un modo solo

di riparare al male che ci opprime.

Il tarlo che ci rode avrà il suo tempo

e solo la memoria che si incrina

ci toglierà, col bene del ricordo,

il male che ci fa l’avere invece

dentro di noi la pena del capire.

Per lungo tempo,

                             poi con la memoria

si cicatrizza il cuore e la ferita,

svaporano nel nulla i sentimenti,

si attenua la coscienza della vita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

52

 

 

 

 

 

 

ANCORA  VENTO

 

Vento di primavera, così improvviso

che arrivi e mi porti un soffio di paradiso.

Vento con il profumo di gelsomino,

che mi sollevi in cielo come un bambino.

Vento come farfalla 

                                che si gingilla,

e si fa bella

                  al bordo di una corolla.

Vento che sento forte e mi brucia gli occhi,

vento che ti balocchi 

                                 con mille foglie

che strappi al ramo in vortice e poi scompigli.

Vento che ti conosco come un fratello

dolce rabbrividisci sulla mia pelle.

Portami in dono il sogno che mi somiglia,

come il messaggio chiuso nella bottiglia.

Vento di tutti i venti di primavera

fammi sperare che oggi 

                                      non venga sera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

53

 

 

 

 

 

 

COME  GIUNCHI

 

Rivedo in questa donna che ho vicina

quella sua giovinezza rigogliosa.

Le sbocciavano i seni come fiori

che cercavano il cielo e il ventre esiguo

come un’anfora cava profumava

dei profumi dei prati sotto il sole.

 

 

Il tempo che ci piega come giunchi

mi toglie solo ciò che non ho avuto

e ruba la ricchezza, dove c’è.

Tu depredata, tu non sei più tu.

La tua bellezza andata

mi dice che è così che si finisce.

 

Noi naufraghi approdati alla battigia

di quest’ultimo scampolo di vita,

ci sorridiamo in questo parco di città

dai lati opposti dell’identica panchina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

54

 

 

 

 

 

 

PAPAVERI

 

Ti porterò un papavero rovente

di rosso fiamma e i petali di vento

se saprò trattenerli almeno il tempo

che occorre ad arrivare fino a casa.

 

L’ho colto adesso al bordo della strada

e prima che la polvere lo copra

di un velo sottilissimo di bianco.

 

I papaveri ridono di nulla,

come le tube in un concerto grosso,

nei campi di frumento

sventagliati dal vento della notte.

 

Solitario il papavero che ho colto

è quel sorriso che non ho per te.

Sono come una pietra del sentiero

che piange d’acqua solo quando piove

e poi si asciuga lentamente al sole.

Rido con gli occhi, a volte al tuo pensiero

ma rido sempre quando sono solo.

 

Ti porterò il papavero rovente

del riso rosso che vorrei per te.

Lo stringo tra le dita perché trema

dell’aria intorno che lo sfiora a tratti.

Cammino piano, sono quasi a casa.

A un angolo di strada una folata

e i petali si perdono lontano.

Il mio sorriso è andato e nella mano

l’esiguo stelo e un cuore quasi nero.

 

Non ho altro spazio e non so più che fare

eppure io ci devo riprovare.

Lo cercherò il sorriso da raccogliere

al bordo polveroso di una strada

di un fiore uguale.

Un papavero rosso come fuoco.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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PREGARE  A  VOLTE

 

Pregare a volte è solo una metafora.

Come la donna fa, quando si leva;

spalanca le finestre d’ogni stanza,

crede che l’aria fuori sia più pura.

Accende il fuoco sotto al bricco d’acqua

poi rigoverna

                       e con la stessa cura

del giorno prima,

stende sui fili tesi del balcone

i panni in fila,

stira ogni cosa ed ordina precisa

nei piani giusti della cassettiera.

Prepara cena e rigoverna ancora

poi va a dormire prima.

Io mi addormento innanzi alla tv

affaticato

da un paio d’ore spese sul pc.

E siamo qui, noi uomini che siamo

ognuno col suo carico di se,

di  ma e perché.

La donna no, perché sa già

quel che si può o non può

perché così com’è

                              lei è

una preghiera vera,

fatta di quello che si fa

per una vita intera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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IO  SONO  LA  GRAMIGNA  TRA I  BINARI

(da una suggestione di Pessoa)

 

L’amore è come un bel ventaglio.

                                                       Aperto

sarebbe ben più bello certamente.

Più bello ancora invece è non aprirlo

per regalarsi l’intimo piacere

di torturarsi il cuore a immaginarlo.

Sono così, che prendo ciò che viene,

e se non viene penso che sia meglio

restare a coltivare il dispiacere.

Amo i castighi

e specie per le colpe non commesse.

Porto un cilicio in cuore

e mi compiaccio

del mio patire, come fossi un altro.

Patisco della vita

gli anni trascorsi in tutti i calendari.     

Io sono la gramigna tra i binari.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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NON  C’E’  UN’ETA’

 

Come ciascuno piango, a volte,

la gioventù perduta e piango insieme

per chi piange d’amore.

                                       Mi consola

il non dover patire, per età, pene del cuore.

Mi dico quindi d’essere al riparo

da tutto quello che mi ha resa amara

la giovinezza.

                       Mento a me stesso,

mi lascio andare all’euforia del vuoto,

poi se ci penso,

mi accorgo che si cambia ma di poco.

Non c’è barriera alcuna di difesa,

non c’è un’età che lasci indenne il cuore

e si ritorna a piangere d’amore

fino all’istante prima che finisca.

E’ in tutto questo il senso della vita. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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IL  SOGNO  NEL  SOGNO

(da una suggestione di Pessoa)

 

Io sono il mio sogno di me.

                                             Non esisto

e il tempo che passa è ciò ch’è trascorso,

la cosa consunta che adesso non c’è.

In questo momento io so che non sono

ed anche quel tempo che ho visto

è l’ora trascorsa che adesso non ho.

Se sono in un luogo e ignoro chi sono

è come se il tempo non fosse

                                                ed io stesso

non fossi nient’altro che un sogno nel sogno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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LAGER

 

Gli altissimi pioppi, alla curva,

proiettano bianchi cavalli

nel cerchio lucente di luna.

Cristalli di neve

riflettono un cielo di vette,

sequenze di candide gonne

che danzano al vento notturno.

Un’auto che passa, coi fari abbaglianti,

sventaglia di luce

le sagome scure

degli alberi ai lati.

I reticolati,

corone di spine per tanti calvari

raccontano storie

di treni diretti in Germania,

nei carri bestiame

la carne che piange.

Sui lager lontani è sospesa

la stessa valigia di luna

e reticolati malati di gelo e cristalli rappresi

e mani aggrappate a ferirsi.

Il bianco di neve si tinge di sangue.

La luna lucente si ammanta

di macchie roventi.

Nel freddo d’inverno 

trascorre nell’aria la mandria al galoppo.

Nessuno si accorge di nulla,

non s’odono gridi,

la morte che uccide

sa farlo anche senza rumore.

La luna riflette distese di neve, 

criniere di vento

e il gelo rapprende i silenzi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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I N D I C E

 

ELOGIO DELL’IMPERFEZIONE

L’INCAPACITA’ DELLA PAROLA

FOTOROMANZO

E VICEVERSA

LE POSSIBILI INTESE

EPANALESSI

LA TRISTE ALLEGRIA DI ALBINONI

UN’OMBRA CHE MI SEGUA

L’INSIGNIFICANZA

FLUSSO DI COSCIENZA

COME IL SASSO SULL’ACQUA

CIELITUDINE

NESSUN SEGNO, NIENTE

IL PRIMO TRENO

A MIA INSAPUTA

NESSUNO CI APPARTIENE

COSI’ E’ MORIRE

SAREBBE PIU’ FACILE TUTTO

VORREI TU MI VEDESSI

LA STRADA DEL NIENTE

ASPETTANDO LA SENTENZA

IL SOGNO DI VOLARE

COME HO TROVATO LASCERO’

A ROGOREDO

FATA MORGANA  (a Reggio Calabria)

PORTA ROMANA

MILANO VIA GHIBERTI

LA CIUMBIA

LES CHIMERES

PIAZZA DUOMO

DAMASCO BRUCIA

IL FIORE GIALLO

MORIRE A NATALE

DOVE CROLLANO I MURI

A UN’AFRICA VICINA

IN TANTI PORTI ED IN NESSUNO

MANI DI CERA

VOLARE VIA

GLI ADDII

A MIO PADRE

L’ESTATE E’ UNA STAGIONE UN PO’ CRUDELE

FOULARD DI GUCCI

CI TOCCA

UN ABITO A FIORI DI CAMPO

L’ARCHETIPO DI CASA

MI TIENE VIVO L’INCERTEZZA

SEGNI

 

 

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TRA ME E L’INFINITO

PORTERO’ CON ME

POLVERE SOTTILE

IL BATTITO DEL CUORE

IL TARLO E LA MEMORIA

ANCORA VENTO

COME GIUNCHI

PAPAVERI

PREGARE A VOLTE

IO SONO LA GRAMIGNA TRA I BINARI

NON C’E’ UN’ETA’

IL SOGNO NEL SOGNO

LAGER

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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