I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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Di questi pensieri
Di questi pensieri non rimarrà nulla. Di una gestazione dolorosa parole storpiate costrette al confino. Domani, all’epilogo o nell’ inverso cammino s’imbatteranno in qualcuno in preda ad un somigliante tormento o forse passeranno in un lampo come attraverso un soffio di vento.
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Attendiamo ancora un mutamento
Attendiamo ancora un mutamento Ma già è accaduto ed il tempo ora è di assestamento e di rimembranze. Ed il passato scorre tra nostalgie e rimpianti.
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Non scriverò del tempo
Non scriverò del tempo e neppure delle mie stagioni Sono state spesso di gelo anche ad aprile Ed il tempo, il suo scorrere… non conta quando si vive di luce in differita.
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Del quotidiano tempo
La porta socchiusa nonostante l’insistenza d’un raggio impertinente Ho cercato un riparo nel moto ondoso del silenzio da quel gracchiare di voci tutte in coro _così stridente_ Una culla come quando in sogno mi ritrovo ad abbracciare il tuo pensiero per zittire la voce delle ombre, quelle più nere. Ma qui è diverso, è solo un divagare… Ho cercato d’immaginare un suono per meditare sul portare a compimento un mio lavoro e senza alcun errore.
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Giunge fin dentro questo guscio
Giunge fin dentro questo guscio il respiro affannoso del mondo E sfuma in inganno l’antica convinzione d’un riparo sicuro dai venti di bufera.
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Inquietudine
Un intimo travaglio. E il peso varia e la misura sfora l’estremo limite oltre i timori e le ipotesi e cova fermenta gorgoglia talvolta dilaga in ossesso si tinge di nero e genera rosse visioni. Tragedie? Scompenso di gesti e pensieri in un vivere col fiato sospeso sul filo. L’orizzonte, un precipizio.
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Del clamore mancato alle strade
Del clamore mancato alle strade non resta che l’eco nel respiro del vento come se il tempo nel suo consueto fluire volesse fuggire da una morte apparente. Un risveglio obbligato conduce i miei passi per strada. C’è un silenzio così impenetrabile che ad invocarlo commetterei un peccato. Solo io ed il becco d’un corvo... che fruga un gradino oltre la polvere d’un marciapiede. E il mio sguardo _distratto_ si posa sopra un ramo svestito.
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Abbiamo tentato cento vie
Abbiamo tentato cento vie prima dell’approdo in una saggia solitudine Ci rallegriamo dell'universo in noi mentre fuori gareggiano ancora per uccidere i più bei sogni.
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Quest’acqua cheta
Quest’acqua cheta ora minaccia un vero temporale grigia è l’aria ed il suolo nel boato che s’ode di lontano Benedici mio Dio ogni miseria umana il silenzio intorno ed il timore e la perduta allegria un volo bianca memoria d’un passato sepolto. Benedici anche noi, stretti nella morsa d’una tenue speranza sradicata dal sogno di quando eravamo ignari della nostra assenza e vivi altrove. Rami in perenne fioritura e nidi sazi di una diversa fame.
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Poi è venuto il tempo
Poi è venuto il tempo di dare le spalle alle chiassose acque abbandonare sentieri umidi di ghiaia e sassi il rivo nei suoi brevi suoni gutturali per una riva opposta incontaminata dove il silenzio_ soave_ è zefiro sull’anima e la vita ancora una speranza.
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La gioia narra sempre di un dolore sommerso o vinto
Da un gorgheggio o un trillo vorrei indovinar il tuo canto La gioia narra sempre di un dolore sommerso o vinto un attimo impresso a fuoco. Poi il vento mi porta dove vuole. Anche le mie parole. Ma sono innocue dopo aver guardato nei tuoi occhi. La primavera comincia da un nido che si rinnova e dal vestito rosa degli alberi. Poi un’altalena di silenzi e canti trastulla le ore. Luci ed ombre al tramonto sui nostri passi ed un monotono gufare al primo accenno d’afa.
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Il nonsenso della vita
La promessa di un sentire profondo come dentro le viscere della terra o gli oscuri abissi del mare Onde su onde nebbiose pieghe che celano e svelano un ritmo un suono o un semplice gong Sfiorare parole come sulla tavolozza i colori cancellare e riscrivere il tempo ed il suo inganno in una lingua che non giunga sui timpani come un colpo di frusta E ricucire l’anima come fosse un vestito. Sotto i lembi laceri antiche memorie nel non senso d’una vita fugace che domanda un cambio di rotta.
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Eppure il pensiero da nuovo impulso al giorno
Eppure il pensiero da nuovo impulso al giorno e sperimenta nuove vie per la speranza nonostante l’apatia del vivere e l’inquietudine che si propaga negli animi come un cancro. Non si ride ma ci si distrae da un pianto invisibile. Come chiamereste la tristezza quando esonda e l’infelicità al suo apogeo o l’umor nero all’apparenza immotivato? Si persevera nella sequenza dei gesti per un germoglio nuovo quando le nubi sgombreranno il cielo.
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Sbalzi d’umore
Avrà letto tra le pieghe, sul viso e negli occhi mesti di chi vive giorni tra attese e timori ami ed esche rimuginando fughe da amare sorprese? Avrà visto il riavvolgersi della pellicola fino ai paesaggi fioriti dell’infanzia o all’esplosione dei papaveri in età più matura tra ventagli di spighe? Avrà letto l’andirivieni di gesti le idee impresse a fuoco abbandonate sul ciglio in un attimo? Avrà visto il confine spezzarsi tra malinconia e prostrazione in quel lento oscillare di luci e di ombre?
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Domenica delle Palme
All’alba un pigolio sommesso d’uccellini nel nido tra le foglie sui rami preludio d’un tiepido mattino il respiro del cielo, appena un filo il pensiero lungi da ogni affanno quasi giulivo per un dì di primavera e quell’ala bianca foriera di pace e un verde ramoscello stretto nel becco.
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Tornano le notti fedeli
Tornano le notti fedeli a quel passaggio nel fuoco le mani trafitte dai chiodi. Non osa carezze il pensiero una corsa degli anni improvvisa sul viso colora gli sbalzi d’umore e l’ansia dei passi rotola senza più una meta. Un lago ora raccoglie tutte le acque le fresche e le impure torna un oblio che preserva da nuove ferite la luce smorzata il silenzio riparo la brama del vuoto che ferma il fluire del tempo il sogno agognato il mistero.
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Lamore così imperfetto
L’amore… così imperfetto ti dà gli occhi l’anima il segno d’una metamorfosi che non esiste Ti dà burrasche e mari ondosi ti toglie il fiato e ti toglie il peso d’una carezza quando sul fondo per tutte le malefatte ti maledici e per i progetti falliti e le promesse recise L’amore è così contraddittorio predica la libertà mentre incatena.
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Il pensiero un lampo
Il pensiero un lampo un attimo che muta. Noi talvolta distratti al riparo nell’angolo più buio tra le nebbie delle parole perdiamo il suo bagliore.
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Sono uscita per la porta principale
Sono uscita per la porta principale dinanzi a me un gran deserto ma nell’aria c’era un gran vociare di molteplici voci sovrapposte le “ruvarelle” erano gremite una folla dentro un drappo scuro.
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Non sfoglio mai una margherita
E’ deciso al nascere il numero dei petali come i raggi del sole alle prime luci ed ogni petalo è un attimo lungo un giorno oppure una stagione insieme sono una vita intera.
Tanta innocenza nella sua corolla. Invulnerabile. Gli eventi fanno la storia corsi e ricorsi nel nostro quotidiano La sua purezza intatta una colomba che le mani liberano nell’aria. Tornerà come per Noè_ ma il tempo è lungo_ con la novella buona che il diluvio per tutti è terminato. In omaggio ad Alda Merini
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Giuseppe
Hai creduto in un tempo remoto alla storia che ti hanno raccontato. Dubbi timori risolti Tanti col tuo nome sopportano la Croce tanti legati alla promessa di una nuova vita.
Gli uomini si odiano. Talvolta si uccidono ma oggi i figli onorano i padri
ed i padri sono fieri dei figli. Di default la luce rischiara la mia stanza.
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Stridono le ali mentre atterra
Sbigottito un passero s’arresta stridono le ali mentre atterra nel becco le note d’una melodia rapite da una raffica di vento. Il freddo incalza e dice che l’inverno ruberà i giorni _proprio sul finire_ all’imminente primavera.
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Allinizio pensi sia la luce
All'inizio pensi sia la luce a dare nuova vita alla speranza I pensieri si ricompongono compatti pezzi unici di un immenso mosaico Ma accade anche di notte che sia giorno in quei brevi viaggi in cui tu appari _che la mente compie ignara_ e di vite future mi novelli e del dolce naufragare nel mare calmo del silenzio.
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Tu che sei faro nella notte oscura
(preghiera dell’anima innamorata) Perché a sera io mi senta paga di questo calice senza domandarmi se un diverso elisir ridurrebbe l’amaro Perchè io possa ambire alla beatitudine della vetta tuffata nell’azzurro e perché non scacci mai dalla mente questo pensiero dominante di vederti nonostante tu valichi altre vie navighi altri mari.
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Gesti che si ripetono
Talvolta cambia la sequenza di gesti necessari mentre altre vie escogita il pensiero E’ ovunque acrobata che studia alternative per non rassegnarsi alla routine Abbandonarsi al sogno oltre l'istinto di sopravvivenza, un'incompiuta abilitá per chi s'arrende.
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E un augurio che stona la speranza
E’ un augurio che stona la speranza ora che contiamo i morti ed ammettiamo il nostro fallimento è un mistero la morte più della vita che almeno per definizione è dono senza considerar gli ostacoli ed i timori.
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Oltre l’apparenza
È solido riparo un apparente ostacolo il coraggio d’un nuovo orizzonte oltre il muro innalzarsi in volo o seguir la via d’arrampicata binomio d’eccelsa follia ed immaginazione audace Il pensiero scevro da ogni impurità in un cielo d’ovatta dove fa capolino l’azzurro celebra il silenzio e narra di una solitudine antica oracolo ambizione dell’Anima protesa all’inafferrabile.
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Vesti gli occhi di meraviglia
Quante domande arrese al silenzio sono finite in un burrone! Le pietre prima o poi temprano il passo Ora le ombre sorreggono il buio e la bocca in rare occasioni distilla parole. Vesti gli occhi di meraviglia dunque! Ora che le orecchie sanno tutto il peso dell’esilio dal suono.
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Mimose
Non amo queste pannocchie di morbidi capolini così intensamente profumate. Assomigliano a certe donne bellocce _non più in età fiorente_ seguite da una scia, al passaggio troppo persistente…
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Dove sono i poeti
Dove sono i poeti quelli coraggiosi quelli in ascolto del pensiero che quando parlano fanno fiorire i rovi e quando sognano corrono con i gabbiani dove sono i poeti quelli veri quelli che sanno risalire gli abissi che scavano tra le macerie del cuore e le pietre sanno mutare in perle dove sono i poeti quelli che scrivono senza penna e senza inchiostro in piedi al mattino o chiusi in un gomitolo di ore tra l’ansia e mille pene quelli che si svegliano di notte e stringono un patto con le ombre quelli che non si siedono a tavolino costringendosi a vedere cose che non vedono dove sono i poeti quelli per i quali ogni verso scritto è un premio ed ogni premio un battito del cuore in questa vita di angustie e solitudine.
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Osservo
Osservo come tutto hanno ammantato di sabbia cosí da rendere inutile il paraocchi come il vento ha cancellato quel manto destinato comunque a sparire
come sono rimaste intatte le cose tolta la crosta sottile
come gli uomini nulla hanno appreso
dai loro molteplici errori.
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L’ansia del risveglio
Il tempo non torna pur _se il lume dei ricordi acceso_ dall’oggi ti allontani. I vecchi sentieri seppelliti tra erba e ghiaia sono come binari abbandonati non vanno in nessun luogo non hanno dinanzi panorami ed il tempo d’oggi è una moneta svalutata un gomitolo di filo aggrovigliato un mercenario al servizio del potere del più forte Noi tra il desiderio del non essere mai nati e quello di chiudere gli occhi sull’immagine più cara fiaccati siamo all’alba dall’ansia del risveglio.
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Marzo
Di fare i conti con burrasca e neve ed il cielo lesto a mutare in volto o i viali a strati avvicendati _ora di brina ora di petali immacolati_ ( come nei prati le colture per migliorar la resa) di fare i conti con marzo io ero pronta quasi in attesa di sopportare dell’umor gli sbalzi e la sua rabbia. Ma ora tutto muore uguale a quando marzo non era entrato ancora ed altro è l’affanno altro il peso che sul cuore grava.
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Se dite la verità
Se dite la verità fatelo come non siano le vostre labbra a professarla ma sia un passaggio da altre bocche ricordate sarà un vostro traguardo un vostro premio un vostro sospiro di sollievo ma incontrerete ad ogni passo indifferenza quasi ribrezzo un’omertà silenziosa coglierete l'assenza improvvisa di chi c’era più parlerete con schiettezza più vi scontrerete con l'astinenza dalle parole che gli altri osservano con la latitanza dei cosiddetti amici. Al riparo sempre da tutto ed anche da se stessi.
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Azalee
Il tuo sorriso bianco m’appare ed il rosa delle labbra quando il silenzio dei miei giorni vesti con le parole t’amo. Le azalee sempreverdi cosi delicate così vivaci dicono che è di nuovo Primavera, qui dove le ombre scolorano ed il tuo pensiero germoglia. Perseveranza è l’altro nome che ti battezza. E tu conosci il tempo del tuo vivere prima, come al riparo.
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Non ci sono trappole
Le parole sono corolle che si chiudono. Un pugno di stelle mi costringe _ il naso in aria_ ad una lunga notte silenziosa.
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Riflessioni d’una domenica d’inverno
L’agnello intorpida l’acqua del ruscello è acerba l’uva a cui la volpe non arriva… Ma quante vigne demolite da uno sguardo quanti lupi a sgozzar gli agnelli per un nulla!
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Punti di vista
Più non distinguo le priorità prospettive diverse orizzonti vaghi Sono dove di me non giunge voce L’inerzia e l’iperattività, punti di vista mentre io m’agito tra opposti venti.
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I poveri di spirito imperterriti
I poveri di spirito imperterriti proseguono per il loro cammino e son convinti che perseverare possa alla fine dare buoni frutti Cambiamenti? Illusioni! Sorrido non potendo fare altro Ma voi amici miei più savi potenti d’intelletto, arguti non certo scellerati, voi che fate? Sapete leggere? Leggete! Sapete interpretare? Bene fatelo! Non vedete... i numeri sono gli stessi il contatore fermo ed il giro come impazzito di quattro commedianti Or dunque voi vi dite fieri, voi che pur vi distinguete in quella melma putrida e stagnante? La vetrina? Amici miei… anche i vestiti riciclati fan bella mostra sotto il vetro, come nuovi! Ma poi, indossateli! E mi saprete dire…
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E poi attendo
E poi attendo come un bambino attende che il palloncino voli alto nel cielo e non scompaia attendo come tu fossi una stella ed io sapessi il nodo nel punto preciso che ti sostiene al drappo e poi attendo come mi scordassi di attenderti quando l’aria s’illumina e non è giorno e forse è notte e più non mi domando la ragione di tanta luce che si rovescia come dall’orlo d’una brocca.
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Se volessi
Se volessi potrei barricarmi dentro quel mondo che ho creduto _fuori_ da qualche parte esistesse e fingere sia niente la sofferenza niente la vita o l’illusione zittire quei rantoli nel buio placare l’impeto d’una ribellione ancestrale se volessi potrei eleggere ad eremo questo luogo divenuto d’angoscia e di pena ed assurgere a verità inconfutabili senza le contraddizioni dell’uomo né le incrinature e gli squilibri del tempo Ma se potessi costruirei una piccola arca neppure dovrei contar sulle dita gli eletti e salverei quel mondo creduto esistente ed il pensiero di chi so che comprende questa mia migrazione.
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Zona rossa
Un’area dentro un cerchio, rossa un filo tutt’intorno… è scritto come legge sulla tavola invece ci si districa tra i calici ed insolenti i passi ancor risuonano di quelli che professano un’altra religione Una linea appena percettibile nascosta da formiche in doppia fila la strada da dietro la cornice là dove _assente l’uomo_ rimarrebbe il serpeggiare grigio dell’asfalto sgombro d’ogni corpo ora superfluo.
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Origami
Pensieri come ritagli pieghe anse ed angoli colori vivaci spiragli poi le parole cadono nell’acqua come bianchi sassolini e non resta che quel moto concentrico l’immagine che si perpetua nella notte. Annego sul fondo, è vero. Ma risalgo.
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Potrei cancellare tutte le immagini
Potrei cancellare tutte le immagini che si affollano dentro di me ed immergermi in questo quadro che ho dinanzi e domandarmi il senso di tutto questo fluire di luci poco familiari la mia stanza ha un lume i miei occhi una voce in una sfumatura che varia quando mi perdo tra le nicchie segrete dell’anima.
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Ora tutto è acquietato
Ora tutto è acquietato il freddo la coltre che pesa del silenzio e il dolore Come il lago che cessata la brezza pare fermo come ghiacciato Non ali malconce incertezze nel passo che ora pare come sospeso da terra La notte quando reca ristoro è un baleno che fulmina il cielo un incanto che sfiorisce in un sogno fugace Muovo ora i miei soliti passi imbrigliata alle cose d’un giorno normale _un gomitolo complicato nel suo dipanarsi_ Vorrei un tempo infinito per cambiare il senso alle cose e dipingere l’ozio come un vizio leggero e sentirmi appagata di aria e pensiero Chissà… forse tra un’ora o sul finire del giorno muterò anch’io atmosfera appena una nube vestita di scuro piomberà nel mio cielo.
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Struzzo
Relegato nella steppa uccello-cammello Inutile vanto la tua stazza e l’ampiezza delle ali floscio il piumaggio Del volo più che brama solo miraggio Natura volle preservarti dall’affondo nella sabbia in sole due dita Non hai compreso la tua fortuna immane.
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Cedimento
La mente imperterrita ancor s’adopra in mille esperimenti mentre il corpo spesso in avaria dà segni di resa
talvolta inascoltati finchè una botta più forte non si rivela provvidenziale.
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Come aquile
Ora voli silenziosi a marcare i confini A marzo la danza del cielo tra aeree evoluzioni e scambi in volo di preda. Propedeutici alla vita gl’innumerevoli giri della morte.
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Se tu non fossi vero saresti un sogno
Se tu non fossi vero saresti un sogno un sogno con le braccia che mi sostengono quando sento il suolo poco fermo un sogno con i piedi che mi camminano a fianco un sogno che lì dove si posa illumina di luce viva e dà voce anche alle ombre, a quelle densamente cupe d’un tratto così mansuete quando con gli occhi dentro agli occhi mi risollevi le membra stanche l'anima affranta.
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Come un’orchidea
Sopravvivo ad ogni intemperia perenne il mio equilibrio il viverti distante il sognarti Traggo nutrimento da te ovunque ma lontano dal deserto e dai ghiacciai in questa mia torsione sei in ogni mio pensiero. T’ho dato il fiore ad ogni stagione.
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Sto come la lucertola sul muro
Questo sole sul capo è incoerente col filo di luce tenue del mattino dietro le nebbie una promessa troppo vaga ed indistinta Sto come la lucertola sul muro tra il rumore dei pensieri e fuori il vortice del vuoto senza suoni Riascolto come in differita il pianto delle tortore_stamane_ sotto un gracchiare impetuoso di cornacchie come di grida di ragazzi che esondano d’improvviso, senza preavviso nel mezzo della piazza.
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Quali altri segni attendete?
Non v’è dubbio di questo cancro Le perle in gran parte migrate per vie salvifiche hanno serbato la primaria lucentezza. Le rimanenti, poche, mendicano una gloria inutile nella melma dove tutto ristagna, impuro.
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Lì sono i miei traguardi
Ora amo il nero il bianco così netti così decisi Altri colori troppo audaci o vivi o dinamici mi tradiscono mi confondono mi spauriscono. Oltre il nero c’è la luce oltre il bianco la leggerezza lì sono i miei traguardi lì i miei pensieri dove volano alto l’aquila ed i gabbiani.
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Uno strano sentire
All’improvviso il corpo cede la mente, incapace d’ogni pensiero… Una linea mi separa dal mondo invalicabile Non sono in questo mio stato provvisorio eppure esisto gran parte del tempo vedo ascolto parlo sento Nulla m’è impedito e dentro me il sangue scorre senza incontrare impedimento.
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Dove sei...
Tu che la mia immagine portavi stretta al petto e t’incamminavi per gli impervi sentieri dei miei occhi quando erano foschi per nubi inaspettate e squarciavi il velo riportando la luce tu che spiegavi vele sulle onde con la forza del pensiero e avevi progetti immensi nella mente e sognavi l’inafferrabile tu che avevi sempre una speranza ad ogni tramonto ad ogni luna nuova tu che come un’ombra mi proteggevi e come un faro rischiaravi la mia via tu che non t’arrendevi mai ad ogni mio vacillare ad ogni angoscia ad ogni affanno e mi portavi in braccio quando i miei piedi cedevano stanchi e mi narravi di te della tua vita tu che sei ovunque e sei per me l’Immenso dove sei? Mi sveglio sbigottita nella notte mentre sogno la tua voce udita raramente spesso immaginata la tua voce lenta e piena la tua voce calda.
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Avvezzi ad ascoltar le altrui doglianze
Avvezzi ad ascoltar le altrui doglianze si vince il giorno sopportando stenti e a sera non si confida nel miracolo ma in una forza nuova che sul viso sveli dell’anima il vigore ed in un agile pensiero risollevi con un fremito il corpo ignavo. Ma quando l’equilibrio prende a vacillare al culmine d’una goccia sopra l’orlo ed il cedimento affiora e si palesa in segni più frequenti e più marcati tra la folla d’anime cospicua _soccorsa con moniti e con sproni_ non c’è nessuno pronto ad elargire quel bene che a iosa ha ricevuto.
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Leco mi giunge
L’eco mi giunge della tua primavera stagione lunga e nel contempo breve ere differenti per noi di costumi e speme. Litanie ora s’alternano a melodici suoni gremite son le fronde mentre un fruscio al suolo tace sepolto tra il nero delle zolle.
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Non è ancora nostro il tempo
Non è ancora nostro il tempo abbiamo lasciato le nostre cose al chiuso
desiosi dell’altra sponda ma preparati al naufragio.
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Il colore nero del silenzio
E’ tutto uguale piatto Se inciampi è un’invenzione nessun rilievo nessuna falla Ti sostieni alle ombre fai appello al suono udito altrove dentro stagioni vive. Non lasci impronte Una stanza un campo nessuna differenza quando non piove nè soffia il vento quando la notte la luna latita e le stelle sono spente ed il giorno non è di fiori né di foglie.
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Come la mente fosse tabula rasa
Come la mente fosse tabula rasa solo i passi muovono frenetici in fermento in una strana inquietudine Il tempo questa trappola che inganna ora giunge come un’eredità inaspettata non voluta stiamo con il naso in aria fiacchi ogni occupazione svanita senza nessun mestiere senza ambizioni senza l’avidità di una parola di uno sguardo che si posi dove ora noi stiamo fissando il vuoto.
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Una mosca fastidiosa
C’è una mosca fastidiosa che ronza una di quelle mosche noiose sempre dattorno se apri bocca per respirare se parli se sorridi col panorama dei denti in bella mostra Ma finirà che quella mosca l’acchiappo prima del desinare prima della tovaglia a fiori prima della salsiccia alla brace Il tempo è strano è inverno eppure certi insetti fanno ancora la loro apparizione allo stesso modo ti ritrovi tizio intorno quando piove _così tedioso_ quando tira vento col suo fischio assillante quando tra le nuvole fa capolino il sole E brami la solitudine ogni giorno che passa ogni notte ed al mutare di ogni stagione.
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27 gennaio
Ditemi che oggi siete come ieri le vostre abitudini i vizi la routine che se ci pensate non è per un rintocco un flash televisivo una pellicola come i pensieri migrassero d’un tratto a frotte all’indietro tra sentieri e fosse verso l’umanità lacerata dalla Shoah.
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Poi non so se sarà Primavera
Stono note picchiando il pianoforte graffi sulla pelle mentre attende piume pungoli sul vetro scalfitture della pioggia fiamme e gelo narrano di incontri dissolti tra nostalgia e rimpianto una crepa fiorita guarderò la luce dai candelotti appuntiti quando sarà tutto bianco il grigio asfalto. Poi non so se sarà Primavera. Forse al primo chiurlo rincorso tra i rami ignudi.
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Potremmo non essere più vivi
Potremmo non essere più vivi quando ci domanderemo il perché di alfa ed omega in questo viaggio pensato eterno la meta fissata oltre ad ogni arrivo Potremmo non essere più vivi quando la speranza avrà indossato una veste nuova e noi sapremo riconoscerla in una parola lieve un silenzio profondo un suono nostro che abbracci terra e cielo Potremmo non essere più vivi quando penseremo il tempo ormai maturo per non aver bisogno più delle parole per bandire errori e limiti dal nostro quotidiano.
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Il cielo uno scrigno a me precluso
Ha di nuovo muri questa casa non più sentieri avventurosi Il cielo uno scrigno a me precluso quando la solitudine d’un tratto fingendo compassione mi abbraccia vittoriosa.
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Dio è uno
Ma chi è costui? Nessun simbolo da idolatrare Una voce un tono, lo stesso, per mestiere Dal ciocco ardente nel focolare la fiamma s’innalza tra queste quattro mura dove io godo di una solitudine apparente E l’unica voce che torna sempre, la tua tra le onde del silenzio senza intoppi senza finzioni senza alterazioni.
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Ora il vento è chetato
Ora il vento è chetato il cielo sopra il capo è denso ovattato. Più tardi forse una lama taglierà il grigio e affiorerà la luce o forse uno scroscio d’acqua ridurrà il peso del cupo sul mio cammino.
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Vorrei estirpare tutte le spine
Vorrei estirpare tutte le spine ma c'è cosí poco di divino in me e nel mio continuo affannarmi e tanto dell'uomo coi suoi limiti ed i suoi difetti. Vado talvolta su binari morti. Nessun miracolo dinanzi.
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Ho sognato
Ho sognato di spighe un mare mosso e tra le onde fazzoletti rossi vesti di carta e pelle di velluto Ho sognato il frinire delle cicale e lo scroscio della pioggia sopra i tetti il fruscio rumoroso delle foglie e delle piume l'alito soave dentro nidi dove si stava stretti e di becchi c’era un bel frastuono.
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Scelgo la tua via
Scelgo la tua via non per emulazione o fedeltà. Perché è quella giusta che nessuno si attende quella scomoda quella all’ombra quella passata al setaccio da cento pensieri quella dove il verbo non è pretenzioso non ha fronzoli non ha inganno, è sobrio.
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E poi ci sono le favole belle
E poi ci sono le favole belle di chi erra e di chi sempre accorre con una parola buona e poi ci sono gli occhi che si fanno specchio per raccontarsi il già vissuto e poi ci sono orecchie avvezze ad ascoltar solo rumori sicchè un melodico suono quando giunge desta il timore che un qualche tranello nei pressi si celi.
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Daver locchio tuo benevolo sul capo
D’aver l’occhio tuo benevolo sul capo ad ogni proferir parola mai ho mirato volentieri avrei rinunciato a questo dono quando l’altrui invidia ed ira funesta dardi scoccavano da ogni direzione.
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La tua voce lho udita raramente
Non dirò nulla parola alcuna che possa ferirti ho memoria d’uno sguardo distante, l’orlo d’un precipizio nei momenti di tempesta Ora come un’ombra gioco con la luce. Spesso sul davanzale s’arresta il volo ondulato d’un fringuello è uno scontro di becchi con la cincia acuti e gorgheggi. La tua voce invece l’ho udita raramente quando le parole avevano il peso d’una carezza ed il tuo accento era la dimensione dell’Universo.
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Oggi è lazzurro inondato di luce
Oggi é l'azzurro inondato di luce eppure io vago dentro nebbie lente a dissolversi col cuore nel gelo.
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Ora è difficile discernere
Ora é difficile discernere il buono dal cattivo Mischiate sono le perle e le ghiande Tutte in un mucchio.
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Lasciatemi come una cosa
Lasciatemi come una cosa in un angolo dove la luce giunge tenue nel posto più recondito tra la polvere lontano da tutte le altre cose.
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Stanotte
Torneranno a soffocarmi quelle strane palpitazioni con le parole ripetute all’infinito con le parole spezzate con le parole gridate in un calice amaro a contrastare l’arsura torneranno i muri abitati dalle ombre i silenzi sferzanti le voci a rincorrersi i labirinti segreti dove le emozioni si perdono dentro viaggi immaginari torneranno gli scogli insormontabili le memorie cancellate le vele strappate le pezze cucite maldestramente dalla memoria le ore di sabbia sul capo.
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Dolore
E poi senti il cuore come carne nudo sotto il cielo dove una goccia o un raggio fanno ugualmente male senti l'affanno del respiro in una corsa da fermi il vortice che si stringe intorno mentre cadi il corpo inerme come una cosa abbandonata. Né fame né sete mentre la vita s'arrende al patto con la morte.
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Come una foglia sul ramo
Stare come una foglia sul ramo nel respiro nero della terra ad un passo dal cielo dove ogni silenzio é quiete e la quiete Vita.
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Campo arato
Sono un campo arato il sole risplende sulle mie ferite.
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Passero
Un mucchio arruffato di piume cinguettando tra l’asfalto ed il cemento pare conti le briciole Accontenta la fame d'un giorno poi riprende a volare.
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Di cosa parla il blues
Un serpeggiare di monti vortici abissi milioni di gocce acqua che avanza come fuoco la luce si divarica sull’asfalto ha crepe il cielo nebbie il confine una voce melodica e struggente accompagna il mio tramonto verso la solitudine del mare bruci come neve e come fuoco le tue parole uniche fuori da un vocabolario superfluo in un calice anneghi mentre fumo nel tuo respiro tra mille desideri un bacio fa naufragio noi in attesa perenne a riva nel filo sottile delle note.
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E mi perdo i tuoi occhi
Ora la gente é a desinare ora appiana i dissidi o li acuisce ora dimentica epidemie e disastri ora si lascia andare all'inganno di un'improvvisa magia Io ho tempo ora In verità anche di notte ma mi circuisce il sonno fastidioso come una mosca Mi svilisce mi annienta poi mi restituisce ad ore interminabili di veglia
E mi perdo sillabe mani che abbozzano carezze suoni. E mi perdo i tuoi occhi.
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Risveglio
In un vagito o in un pianto tutto l’uguale sarà diverso Partenze e arrivi tatuaggi d’un tempo che vorremmo eterno.
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Silenziosamente
Scivolo tra le pieghe della notte Non s’ode alcun lamento L’anima anche quando si dimena ha un peso così lieve!
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Non devo scrivere una pagina di diario
Tito perché sei qui non devo scrivere una pagina di diario È un tempo ibrido fine attesa inizio omologato? C’è confusione I sogni sono salvi per ora in uno scrigno ( verrà un tempo più propizio) Custoditi come le perle come le foto dei figli o degli avi per diversi lidi migrati Le speranze? non seppellirle Tito Le immagino solo prorogate Rimani zitto ed ascoltami se il vento tace potremo udire il canto del silenzio Puoi sorridere con me come da mesi non sorride più nessuno. E’ un tempo più simile al calvario, lo so. ma le croci sono dentro le case ci sono sempre state E i botti pensi ci saranno? Forse, dalle finestre solo per chi ha la fortuna di dimorare dove c’è uno spiazzo aperto. Tito perché sei qui? Sei distrazione inganno visione di mezzo tra il bello e il brutto? Tu volevi scrivessi questa pagina di diario.
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Vento
Fischi ululi ti sfracelli per le vie tutto raccogli tutto involi. (L’animo è in tumulto tra fantasmi ed ombre la solitudine fa temere calamità peggiori.) Incalzi tutto muovi fronde tegole rami ed il cielo assiste al tuo moto irruento senza lacrime fisso pensoso inerme.
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L’odore del fumo pungente
L’odore del fumo pungente l’aria grigia fuori e dentro i carboni rossi sotto la cenere sazi di cibo di chiacchiere di televisione e di ore che passano uguali e lente imposte che si chiudono su strade vuote anonime spente note salgono al cielo alte il volume all’eccesso in piazza l’orologio rintocca discreto un fluire di tempi diversi attendo che il grigio sconfini nel nero non stelle né luna stasera ma un silenzio che lievita intorno e l’animo inquieto ribelle che cede alfine al tranello distrarsi in un lontano ricordo sbadito un vago sentire la vita tra scogli e orizzonti sereni preludio ad un prendere sonno a fatica.
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Un Natale antico
Ho il cuore dilaniato da mille sofferenze l’anima una porta che sbatte al furore dei venti e delle tempeste ricordo la morte di mio padre mentre chiedeva aria al mattino gelido penso a mia madre lo scricchiolio delle ossa ad ogni passo non temo più la notte come un tempo La notte ci risparmia al pensare ci sospende in una strana tregua ora abbiamo giorni di magra e promesse vacillanti ed io non ho parole per spiegare un Natale antico nudo perché venisse vestito Ora noi siamo cambiati, troppo inquieti per essere sereni.
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Un dolce naufragio necessario.
Siamo sopravvissuti al giorno ai suoi comandamenti al giorno fisso col suo ritmo celere ed i suoi cicli Muti stiamo ora nel manto della notte e non farebbe la bocca narrazione più fedele di quella degli occhi. Un dolce naufragio necessario.
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Ad un passo dallamore
E gli occhi hanno disegnato morsi rinvenendo boccioli tra le maglie d’una rete hanno affilato lame tra le scapole e la pelle le mani piume come foglie d’autunno planando hanno avvolto i corpi nel sudario issato vele scavato tra sabbia e neve promesse d’un tempo atavico mai spente gli occhi hanno disegnato baci tra gl’interstizi ami gettati a fondo tra gli abissi graffi di luce a scalfire crepe Poi hanno innalzato ponti sopra il mare.
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Ricordi come croci
Vi sono ricordi come croci da venerare a memoria di chi ora siede su di un trono poco ambito Preghiere mute e ceri tra l’intimità delle pareti ricordi da riscattare in un pensiero sublime
tenaci come le illusioni di un domani procrastinate all’infinito.
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Vi sono vie che la mente non percorre
Vi sono vie che la mente non percorre E pare assente talvolta apatica oppure spenta invero la sua sapienza è tanta che fingendosi d'improvviso distratta sospende la ragione per l’esperimento.
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Lettera dal fronte
Mi parli come scrivessi dal fronte ci sono tante guerre sai quella che stiamo combattendo ora è la più tremenda la più ingannevole la più feroce non sappiamo più per colpa di chi giacchè abbiamo dimenticato l’origine e non vediamo la fine all’orizzonte Mi parli come tu abbia un destino diverso dal mio ora siamo fermi sulla stessa barca tra le nubi e le bufere senza giorno né notte Ci sono tante guerre ma questa ci ha privati di tutto dicendoci che la prigione dove siamo rinchiusi è il nostro regno. E la cosa più assurda è che dobbiamo crederci se vogliamo pensare al domani.
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Vorrei dirti
Vorrei dirti con la luce negli occhi che so dove abita la felicità e ricondurre come agnello all’ovile ogni parola al riparo dietro monti innevati Vorrei dirti del girovagare in questo dicembre di gocciole e sole e d’una speranza ch’è viva di un sogno rubato alla notte e di un tiepido abbraccio alla soglia che segna il confine Vorrei dirti di una fede più forte d’una trama fitta e tenace che tesso da anni dove mi sorprende la fantasia
in uno stretto connubio con il pensiero Sono istanti. Istanti fugaci che il silenzio riscopre in un elenco di cose che non ho mai avuto sotto un cielo gremito di stelle quando manca così poco al Natale.
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Cercami
Cercami fra cent'anni quando non avrò una ruga e avrò tempo per gli aratri e le vigne Cercami quando il mare sarà calmo e noi bianche vele all'orizzonte Cercami fra cent'anni quando avrò la vista acuta di un'aquila e il passo svelto d'una gazzella quando disegnerò il cielo come gli storni o ti tenderò le braccia come un abete Ora corro soltanto, da mane a sera corro e mi dimeno in mille inutili acrobazie ora incontro barriere e abissi e vivo stagioni lente ed uguali,se non per le foglie sospinte lontano dai rami o per un garrito di rondini acuto sul capo o per i passeri a terra numerosi a preannunciare la neve o il frinire incessante delle cicale nei giorni di afa. Per il resto piove ed é bufera di venti. Per il resto sono nubi che mutano forme e spessore Talvolta anche quando l'alba promette un tiepido sole.
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Apparenze
Cambiare la cornice non dà al quadro un nuovo aspetto così come la scorza non cela a lungo il seme marcio La neve soffice ricopre le crepe finchè non si dissolve e la verità è un corpo che sta sul fondo finchè non viene a galla. Sapere queste cose ed altre ad esse somiglianti più non m’addolora ma m’istruisce riguardo a quei vassoi bene incartati che si rivelano poi di nessun valore.
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Pregiudizi e non solo
E poi c’è chi cade in un vortice seguendo torte vie e meandri pensando retto il suo pensiero e tutto il mondo inetto E poi c’è chi non vede dinanzi a sè beltà ( è acerbo il frutto che non si coglie ) e il fegato si rode per chi lo sguardo posa e si sofferma e loda un’opera di pregio.
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Aspettiamo, aspettiamo invano
Aspettiamo aspettiamo invano la luna piena nel cielo l’alta marea dei prati quando il vento porta lontano le margherite Ci prepariamo ci prepariamo inutilmente alla sera alla speranza al silenzio che ci sa capire quando più siamo avvolti nel mistero Sogniamo sogniamo ancora il principe azzurro un bacio che ci dia respiro un sentiero dove camminare adagio quando è autunno o quando la neve ricama i tetti e i balconi ed i lampioni hanno una luce più chiara trasparente.
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Il tempo è una morsa che ci attanaglia
E si diventa avari di parole Immani silenzi e pochi accenti la bocca appena schiusa al pari d'un bocciolo aria va domandando Sì, aria pura per più ampi respiri.
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Ci sono morti vivi e vivi morti
Ci sono morti vivi e vivi morti gli uni pungoli costanti mettono ordine al caos ci rischiarano il cammino posano stanchi con noi stanchi ombre fedeli nelle ore più meste e ci sono vivi morti che ci opprimono tralci sul sentiero nubi oscure nascono stanchi e noi desti non sanno dell’immensità del silenzio nè della vanità delle parole.
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Dicembre
In questi vicoli stretti di pietra grigia roridi al mattino e la sera cupi In questi vicoli dove si avanza piano gli occhi bassi per non inciampare dove anche il fumo s’allunga e cerca il cielo per respirare In questi vicoli pieni di stridule voci e suoni di zufoli rintocchi d’ore di gatti randagi e ruderi di case rimarrei ore in piedi ad aspettare ora che dicembre è inverno e che l’inverno accende lumi alle finestre e in fondo pare si sia anche accorto che tra un po’ è Natale.
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Conto le mattonelle nella mia stanza
Conto le mattonelle nella mia stanza le mattonelle chiare e le marroni perché altro non so vedere intorno se non le ombre in moltitudine sui muri e un fascio di luce quasi un faro a me dinanzi penso alle cose che non si sono avverate le imprese abbandonate le idee bruciate per pigrizia o scarsa perseveranza perché al traguardo ho smesso di lottare o sulla roccia la fune m’è mancata sogno la vita d’altri vissuta meglio perché alla mia ho posto troppi freni se non al difetto d’immaginar le mani colme quando invece erano vuote e di riempire abissi con i silenzi e le carezze smarrite nel percorso ed ora conto le ore che non dormo e che non amo le ore che non penso e che non vivo quando tra corpo e mente è solo guerra e nessun vinto c’è né vincitore E conto le volte che ancora piango perché gioire sarebbe inutil fasto.
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Poi giunge il sonno provvidenziale
Poi giunge il sonno provvidenziale e chiude il cerchio al giorno tramontato tutto si compie uguale senza la conta delle pene e delle tregue e senza l’affanno delle ore spinte in un vortice al declino Poi giunge il sonno quasi a sorpresa quando per clivi ameni t’incammini e quella mano tesa afferri e ti sollevi da ogni peso e l’impeto spegni d’ogni ardente desiderio o fantasia Poi ripercorri i soliti sentieri dove non s’ode che un rumor di foglie calpestate da un passo lieve e dove i rami non hanno più i nidi, nudi nell'aria, or che dei fiori il profumo aneli.
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Così pure il mio cammino
La cresta innevata non spauriva. Non più della terra quando tremava o il cratere era un ribollir di lava Il pensiero… un pargolo talvolta portato in braccio più spesso condotto per mano s’arrendeva all’erta stanco precipitando giù in prossimità del cuore dove non era mai inverno e dove la quiete regnava onorata promessa d’un tempo d’attesa. L’unico oro a risplendere assieme al sole il sorriso sbocciato a sorpresa un dono di attimi di spensieratezza sfuggiti al groviglio d’un gomitolo. Ma in quell’intrigo ostinata cercavo il filo che avanzava lento e senza spezzarsi. Così pure il mio cammino.
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Mutamenti
Ancora un altro mutamento luoghi verbi sogni nidi Passo come attraverso la cruna d’un ago mentre l’anima scrive un’altra pagina di sé.
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Ho raccontato sempre di te
Ho raccontato sempre di te di come la tua assenza ha guadagnato della medaglia ambedue le facce di come mi rabboniva la tempesta più della quiete che celava tra le sue pieghe tranelli o pericoli come fosse stata una sottana… l’orlo scucito e dentro tanti sassolini.
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Alla luna
Inutile domandarti ancora di quell’uomo curvo lungo la via e solo, l’eco d’un vagito alla soglia d’un mondo che saprà ostile nel tempo. Aveva scelta? Pensar sia un dono questo fardello di sofferenze e affanni è privilegio di chi vive ignaro ogni risveglio e non si duole di quel che muore a lato d’una strada, una foglia un fiore un ramo o un animale. E’ un ciclo che s’apre e si chiuderà giunto alla meta Dimmi qual è la meta? Lo spegnersi dei vizi giovanili in un pensiero maturo, saggio o rassegnato, il silenzio vincitor sulle parole incomprese fallaci illusorie? La vita un lampo nel buio immenso sarà polvere Tu sorridi. Quel ghigno uguale dopo secoli di storia… Tu sorridi agli amanti che credono l’amore sia in un bacio allo stolto che leva gli occhi al cielo e t’indica col dito al poeta che si dispera perché ha sete dell’inafferrabile. Sorridi pur sulle lacrime di chi tradito enumera fallimenti e chiede dove la condizione umana è felice e se a tale illusione l’animo assurge… quanto dura lo stato di grazia… Dimmi! Ti nascondi come un fanciullo dispettoso nel tirar sassi sul cammino del compagno perché inciampi Scompari dietro coltri di pece eppur resti uguale Non ti tange il dolore d’una terra ferita il sangue sparso il sudore d’ogni vana fatica e dell’umana sorte non hai pietà né della croce sul groppo d’un poeta chino, stanco dell’erta che a te volge lo sguardo domandando oblio Tu sorridi… Poesia pubblicata sull'antologia "Duecento anni d'Infinito 1819-2019 " poesia e pittura nel bicentenario dell'idillio leopardiano - AA.VV. a cura di Cinzia Baldazzi e Maurizio Pochesci.
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Pazienza
Ti aspetto sulla riva Ti leggerò negli occhi sorpresa o meraviglia quando sul silenzio si leverà la voce bianca della Verità
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Mi riassumo in poche righe
La comprensione trafigge anche i silenzi i respiri corti le sillabe tronche.
I miei passi dicono di me, d’un sonno che mi coglie al mattino quando le nubi scolorano in un raggio ed io spero in un sentiero senza mine un prato verde un cielo premuroso mentre i pensieri accendono risse nella mente. Non mi resta che optare sopravvivere o morire.
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Terreno sterile
Il seme piantato nelle zolle ha dato frutti scarni e i rami verdi sono rimasti stagliati al cielo nudi Di sole, un raggio a trafiggerli, feroce Loro impietriti come certe statue nelle piazze deserte quando è inverno.
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Innumerevoli giri
Gira a vuoto e non s’avvita Innumerevoli giri… Sempre lo stesso difetto: l’imperfetto (in)conscio del limite che punta ( o anela) all’infinito.
* Non è un indovinello
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Non voglio un giorno vuoto
Non voglio un giorno vuoto dopo questa notte d’incubi frammenti che tornano a comporsi pensieri migrati come uccelli verso altri luoghi non voglio un giorno morto di cose storte di idee confuse di intrighi di temporali violenti mentre rido (e raramente mi ascolto mentre rido) non voglio un giorno mesto dopo questo risveglio brusco di parole che più non ricordo e volti noti d’altri tempi e volti nuovi i morti uguali ai vivi non voglio un giorno incompiuto inconcludente dove si contano solo i passi spesi e le parole sprecate e le vie che non portano da nessuna parte.
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Che tamo è indubbio
Che t’amo è indubbio ma ho sprecato tempo per raccontare l’amore Ho forse bisogno di testimoni o di proseliti? Le folle gridano tutto e l’opposto di tutto Oggi il sole è spento e t’amo domani le nubi piangeranno con me e t’amerò ad ogni passo sul terreno umido di foglie La tua assenza è un pane amaro che continuo a bramare perché d’altro cibo non mi so nutrire e ti sento in me saldo come radice mentre allunghi i rami e domandi spazio Ma è così che t’amo libero tra le mura della tua prigione io prigioniera nell’idea della libertà.
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Melodia imperfetta
Un pianto disperato un gemito d’amore un sax che graffia l’aria E dà il ritmo ai piedi e alle mie mani mentre scava nell’anima i suoni d’ogni mia trascorsa stagione.
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La mia voce
Ora é come un vento che si va placando un canto mesto un filo flebile sulla crosta del silenzio un gemito che guaisce narrando d'altri tempi un dolore nuovo dove scolorano la fame ed il freddo in un vuoto immenso dove ci si perde e dove si sta stretti. Là il pensiero più non si cura di risalir l'abisso.
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Piove!
Sopra il solaio la pioggia è un’orchestra E se i miei piedi non fossero dolenti e le ossa crepitanti potrei chiudere gli occhi sulla voce del vento mentre accorda il suo fiato all’acqua che scroscia dal labbro d’una grondaia Ed abbracciare la quiete!
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Sul grigio immoto
Sul grigio immoto … il nero Solo un accenno d’onde di morbida ovatta al vibrar d’uno stormo che tratteggia il cielo in nuove geometrie Pure il mio pensiero in vetta al pari si sparpaglia ed or più diretto s’appropinqua al tuo.
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I desideri
La vita cambia con i suoi comandamenti Ma i desideri sono grappoli sui rami han fatto il vezzo al limbico cielo sono gli stessi, sono lontani Eppure sono nuovi gli afflati, non le movenze e spesso pure le lusinghe nel tempo acerbo come in tarda etá. I desideri han fatto un patto con la morte sposando ovunque l’eternità.
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Bandiere
Non dicono nulla passano indifferenti quelli che hanno il vuoto dentro fuori di legno o di carta vulnerabili ai venti sono canne con la musica d’altri bandiere… di quelle che chinan la testa piegano da un lato e dall’altro cadon come le vesti ai piedi di chi si lascia spogliare.
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Frammenti
La luna sospesa nel cielo non ambiva che al quadrato d’ una finestra prima che un muro s’innalzasse d’improvviso a baluardo contro il sapere ragioni incomprese speranze svanite abissi di silenzi infiniti ed accenti talvolta scappati dal labbro timoroso di pronunciare parole complete.
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La brutta copia della vita
C’è un tempo che giace come morto che io non so riempire né svuotare che mi comanda e mi tiene stretta un tempo buio anche quando è luce di desideri sempre numerosi e di sventure che sono come in bilico e si mischiano talvolta ai miei pensieri Un tempo dove la sfortuna mi accompagna e molto spesso mi precede mentre mi dondolo sopra l’altalena ipnotizzata da lunghe litanie di cui il senso non so e neppure il suono Cullata dal silenzio trovo pace quella apparente mentre a gran voce la vita urla che la vita è altrove dove a noi manca l’ardore ed il coraggio e in mano abbiamo la sua brutta copia.
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La forza del pensiero
All’alba il mio giorno è già maturo. E sono in cima nell'attimo che _sul fondo_ io cerco un varco per uno spiraglio di luce.
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Il quotidiano viaggio
Scorre il tempo a sera imbrunito breve al pensier dell'immenso Il mattino è fugace l’istante che basta a riempir la bisaccia pel viaggio. M'incammino con lo scarno bagaglio Dentro, non le cose che amo chincaglie all’apparenza di valore mediocre ma poco più del necessario. E sogni invisibili veli a mascherare gli strappi.
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Fitte di dolore nel corpo e nellanima
E’ una gestazione difficile il pensiero di quest'umanità che s'allontana sempre più dal divino.
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Dove non ci sono più spine
Lì dove non ci sono più spine sarà penuria del verbo Avrò fame del nulla nella memoria perduta del mio senso d'esistere.
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Dove non osano fermarsi
Hanno oscurato il sole troppe volte ed immaginato cieli plumbei senza domandarsi la ragione delle nubi e dei temporali ma lì i gabbiani hanno gridato l’ acuto planando sopra il mare e l’uccello del tuono ha abbracciato il suolo in picchiata e poi alto nel volo.
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A novembre
A novembre l’orologio c’inganna dice ch’è giorno quando l’ora è scura ci si arrende ad un tempo lento di strane attese e al traguardo il sonno, un orizzonte che si fa più lontano quanto più nel cammino s’avanza. Dopotutto il giorno si annuncia una brutta copia del dì tramontato nessuna speranza che nel trapasso in volto esso sia un po’ mutato. E lo spirito ha l’aria d’un cane fuori dell’uscio abbandonato.
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Il male minore
Il tentare ogni via o l’abbandonar l’impresa non sempre ha origine dall’ostinazione o dal coraggio inadeguato Si accantona la sofferenza e della gioia si pensa è uno stato di grazia ormai mutato Così tra due cose o anche tre, si sceglie con saggezza il male minore.
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Accidentalmente
Ho perso giorni di brezza e viali di foglie chiome spettinate le rughe di mia madre sotto l’argento dei capelli il disordine della stanza il cesto autunnale gli attimi del mare colti a volo ho divorato abbracci visi pensosi emozioni traguardi brindisi ho mischiato nel buio nuvole e sole ho cancellato lune giardini gesti smorfie ho chiuso libri ho spento fiori sotterrato perle.
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Al mattino
L’orizzonte è un umido velo non case davanti non strade ma un fumo che si sparpaglia da una pentola enorme tutto pesa gli occhi guardano il suolo anche le foglie arricciate fradicie ieri, hanno calcato
l’impronta nel loro cammino.
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Primo novembre
Nel luogo dei morti un dì andremo tutti Oggi per loro nulla è mutato, hanno sorriso in passato ai fiori e ai ceri ma oggi ravviviamo le nostre case che per il luogo dei morti c’è tutto il tempo e loro sanno la pena dei vivi. Non ha predilezione la preghiera camposanto o chiesa
o in una stanza, nella penombra
quando il giorno è spento e con esso l'affanno quando il ritmo frenetico non è più una curva.
Gli occhi non cercano più altri occhi sono un riflesso dell'anima stanca.
Pensosi bramano solo la quiete prima di cedere alle lusinghe del sonno. Fuori la notte è un manto nero
che tutto avvolge e più non spaura.
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Fantasia
Dovremmo avere nuove abilità scivolare sul fondo come sabbia da un bulbo all’altro Rimanere in piedi capovolti e tornare poi nel primario stato il capo sotto il cielo, credendolo mutato.
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Due voci
Attratta dall’onda, il suo apice, come a volerne misurare l’altezza sì che non udivo il fracasso nel successivo schiantarsi sul fondo. Alle spalle, lontano il profilo d’un colle, la vetta innevata o tale pareva alla luce del giorno quell’aspra bellezza.
"Due voci possenti ha il mondo: la voce del mare e la voce della montagna." - William Wordsworth -
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Fuori la luna splende
Eppure sotto la cenere i carboni erano accesi Dove il filo si fa più sottile lo ignoro mentre l’attesa mi logora allo stesso modo Dentro di te codici indecifrabili. Fuori la luna splende nella sua fase crescente e so di essere nessuno fino al sorgere dell’alba.
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L’arcobaleno è solo un attimo
Ora non capiresti dove il ramo cede dove il nodo è consunto dove cadono più foglie e perché. Lega i vuoti del tempo gli attimi in bilico le mancate risposte della vita e tieni il conto delle burrasche. L’arcobaleno è solo un attimo che inganna i giorni bui.
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Sogno il vermiglio dei papaveri
Sogno il vermiglio dei papaveri in un mare d’erba quando tutto muta e cade il sipario ed io sono ballerina di neve dal vestito di carta.
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Una gara tra pensieri e ricordi
E’ una gara tra pensieri e ricordi, in bilico fatica la bilancia L’oscurità spesso si ammanta dei colori ridenti d’un tempo Immagini vive affiorano appena un filo di fiato solleva il velo copioso di polvere Vivo sovrapponendo ai vecchi i nuovi binari. È così che il domani si prende gioco di ieri.
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Un tempo infedele
E’ un tempo morto che si frappone tra il giorno e la notte tra luci ed ombre che non ha nome non ha senso non ha suono. È un tempo infedele un testimone comprato un custode di false verità. È un tempo che non chiede e non fa sconti, che ha scordato la melodia degli attimi.
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Vorrei che il dolore fosse pioggia
Vorrei che il dolore fosse pioggia. E dopo, io vorrei essere la pietra grigia lo scoglio aguzzo una tegola del tetto levigata Invece ho questi occhi che sembrano fiammelle al consumarsi della cera questi laghi torbidi questi fondali gremiti di carcasse Vorrei che il dolore divenisse nebbia quel velo madido che il mondo acquieta di sera e al mattino si leva e tra le nubi che van diradando mostra un sole acerbo.
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Tormento
E corro spesso dentro labirinti tra gli specchi il pensiero al filo un filo che frena ad ogni ansa l’orizzonte vago le immagini un albero in piena fioritura un’esplosione folle e dimentico la ragione del mio andare persa nell’affanno e nel timore di ombre remote e future e vivo il turbine d’un sentimento un impasto tra tempesta e fiume e scavo la mia carne le mie ossa brucio nell’ira e nella rabbia. E attendo nuovi equilibri da una calamità o da un miracolo.
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Non ti parlo se non attraverso gli occhi
Non ti sento se non attraverso chi viene a visitarti e ti parla della terra delle fasi lunari di una notte di stelle così remote e dei miei passi del percorso dell’indice delle mie fatiche dei miei pensieri messi alle sbarre non esisto se non attraverso la tua voce che suona e canta e svela intimità profonde all’altrui orecchio che mi maledice invidiando persino il mio inquieto esistere non ti parlo se non attraverso gli occhi spesso smarriti in altre galassie spesso al riparo dentro lunghi silenzi spesso spenti mentre guardi altrove.
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Sono solo un uomo
Vorrei essere il cane il cane che corre fino all’uscio che m’accompagna per un tratto di strada e fiuta l’aria al mio ritorno vorrei essere il gatto il gatto sulle mie ginocchia il gatto che ronfa o sbuca in un vicolo di notte che salta da un tavolo alla sedia vorrei essere il gallo il gallo sull’aia con tutte le galline intorno cantare tre volte prima d’un ripensamento rinnegando il mio tempo di noia e la mia disperazione vorrei essere l’uccello l’uccello migratore l’uccello che sta sul ramo e non discorre col timido canarino nella gabbia l’uccello che starnazza nella pozza e non sa di tramonti e mutazioni vorrei essere un sasso un sasso levigato dall’acqua un sasso che rotola in discesa un sasso bianco come il foglio che ho davanti come il pugno d’un giglio in mezzo al verde come l’ala d’un gabbiano appeso al cielo vorrei essere tutte queste cose e cento e mille altre ancora ma sono solo un uomo, un uomo solo, l’essere più infelice sulla terra.
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Una stagione indefinita
Si attendono soluzioni che d’un tratto si fanno distanti un cambio di rotta un disegno svanito una svolta e si raccoglie la stella perdente scivolata in una crepa certezza ancora vivente su tante chimere. Non è reale la scia luminosa nell’aria che imbruna non cambia il destino non muta l’attesa di chi al traguardo non trova che sterili terre siepi infestate dune di sabbia. Al dissolversi non c’è che polvere e nebbia e il sentiero sottile percettibile appena ora sepolto. Non ceri non luna potranno allumare la notte. Le ombre sui muri il verbo delirante gli occhi sbarrati e il torpore di un’anima affranta testimoni di una stagione ora indefinita.
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Ed ora dobbiamo vivere per tornare liberi
In questa stanza tutto tace anche i pensieri c’è un tempo qui che non ha misura chiuso nel buio un mondo dentro un cerchio una musica che culla quasi un letto di foglie uno stare indecisi tra colori e suoni un silenzio che non domanda voci Le presunte verità gareggiano fuori sulle bocche di ignari e di folli ci sarà un giorno nuovo quando sorrideremo con gli occhi e non solo quando conteremo i passi che ci separano le volte che andremo ripetendo amore le lacrime versate per un malinteso In questa stanza c’è ordine nel caos consueto c’è fatica e riposo c’è deserto e clamore di strade festose. Ed ora dobbiamo vivere per tornare liberi con ostinazione, senza contare gli addii.
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Capita sovente
Capita sovente che in mille faccende indaffarati ci fermiano per distrarci l’attimo che basta al pensiero di una “ cosa prelibata “ e il desiderio della pietanza preferita accende un languorino ed incita la fame. Allor conviene volgere la mente altrove perché il tempo di desinare è ancor distante per risparmiarci almeno quel supplizio giacchè sugl’imprevisti non abbiam comando. A sera invece la vita ci dà una tregua ed il tempo pure scivola abbattuto non c’importa della nebbia che discende ed il buio non ci opprime, è un guanto di velluto. Vorremmo accanto chi c’empie il cuor di gioia e c’intrattiene con vezzi e con moine gustando un piatto allegro quanto il vino che se bevuto di poco oltremisura non reca danno alcuno ed anzi acquieta l’ansia ed invoglia ad un salutare “sonno”. Eppure quando il giorno è terminato e con esso pure l’affanno e la fatica crolliamo su una sedia e non più pensiamo
all’agognato piatto e al vino rosso. Chi c’empie il cuor di gioia, troppo distante, ci appare solo in sogno, sempre che il sonno giunga puntuale e non ci burli.
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L’amore è un orbo che non può vedere
Credono di conoscere l’amore quelli che mano nella mano vanno per le dritte vie e sognano oltre il sogno estranei al profilo delle ombre sopra i muri e che non sanno dell’asperità degli scogli loro hanno di fronte il mare azzurro appena mosso da mille incrinature e vivono di vele e luce e canti di sirene ma l’amore è quello che s’ostina a remare dove c’è burrasca ad agitare le acque con le braccia da sponda a sponda fino ad un nuovo approdo è quando non siamo a bordo né sul fondale l’amore è un orbo che non può vedere le impetuose inaspettate turbolenze le vele issate e quelle ammainate né contare le scialuppe in acqua ma sa sempre dove finisce il mare.
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Mischiando le parole
Quella battaglia immane! Il nostro tempo non è lo stesso insieme per il mondo, seguendo gli schemi si rimane a piedi la festa non è festa. Luna, my star, se solo sapessi raccoglierti in un vaso di vetro per dipingerti d’immenso! La piccola foglia la valigia Icaro l’umanità chiusa dopo il silenzio… Ecco: il trenino dei desideri.
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Visioni
Enfasi – disperazione. In anomalie del vivere traduco quel morbo antico gioia che si divide tra smarrita e sognata. E un tarlo mi corrode. Sanguina il sole all’orizzonte. Dove io non sono tu non sei Vittima di visioni dove cado restando rannicchiata. E tutto da me è staccato. L'aria mi trapassa tra corteccia e carne senza l'aderenza al corpo d'un vestito. E non c’è spazio tra me e la terra tra me e una sedia tra me e la vita. Forse sto già migrando per morire in qualche posto ignoto diverso da questo dannato suolo. Io ho radici nel vuoto, non come la quercia.
*
Ottobre
Ed oggi sento il vento le raffiche sul collo dopo le folate tiepide del dì dinanzi E guardo il cielo terso spazzato dalle nubi proprio a me di fronte. Alle mie spalle invece, levo il capo e l’aria è cupa e muta e sbigottita pare fermenti in improvvisi scrosci. Ma forse il bianco impastato dentro il grigio, va diradando fino a dissolversi. Noi, distratti per un attimo colti di sorpresa dall’azzurro in fioritura. Dicono di marzo che s’incapriccia per le vie, scapestrato monello, chiudendo e aprendo ombrelli. Ma ogni mese vuole imitare il pazzerello quand’anche per un lasso di tempo molto breve. Il ronzio di un’ape dagli acini migrato m’attraversa la strada la mano scansa in viso un invisibile passaggio poco più di un solletico, uno scatto all'indietro. Per fugaci istanti l’anima dimentica le sue impervie vie, è un’ombra che s’allunga nella magia del sogno. Ed io penso al fuoco ai carboni accesi alle caldarroste a due dita di novello. E all’imminente inverno al buio più propenso all’agognata quiete in cui le rimembranze più in fondo custodite
tornano alla vita in quel rimuginare dei miei pensieri, lento, un logorio che spesso non approda a niente.
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Io no
Io non ascolto le parole ma so capire se muovono dal cuore se il cielo indirizza i venti e placa le bufere per il filo di brezza io non ascolto le parole vado oltre il suono dove l’emozione è il freddo e caldo insieme ed una sedia mi sorregge perché in piedi cederei, le gambe molli gli occhi dentro scavi fondi d’un vivere sofferto custodito come reliquia. Io ascolto i silenzi, quei lunghi ponti che vestono le attese di speranza e piango per ogni desiderio abortito per ogni viaggio pagato ed interrotto per ogni stazione imprevista io non ascolto le parole non sono il mare fermo non m’abbandono a riva nel miraggio del sole non cedo alle illusioni amo l’aria fosca quanto basta per agognare il sereno ma non vivo senza onde.
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Non c’è nessuno
E’ inutile bussare lì non c’è una porta né una casa forse un dì vi daranno una tenda dicendovi… ecco la vostra nuova casa tutto è come prima mobili vettovaglie e suppellettili. Ma i quadri l’han venduti tele e cornici e i cassetti sono sgombri d’ogni cosa. Un dì vi diranno di pazientare chiedendovi ancora un sacrificio ma per una casa vuota per un sogno da tempo tramontato.
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I loro orizzonti sono di nebbia
Da questa sponda non giungono sono nascosti dietro siepi e muri come a dover stanare il nemico sentono l’odore dei pampini il profumo dell’olivo ma stanno al buio dentro le case dietro le loro ragnatele tramano per ore hanno progetti efferati e qui vengono di notte solo per spiare, alcuni da molto lontano si soffermano sulla riva da tanta quiete attratti, gli artefici delle bufere. I loro orizzonti sono di nebbia.
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Nella stagione della vendemmia
E’ un silenzio che sa di fumo e polvere come fossero tutti sotto le macerie è un silenzio vuoto senza voci dentro senza racconti senza memorie è un silenzio che cade come nebbia e cancella ogni nome ogni vita ogni volto. Nella stagione della vendemmia hanno raccontato menzogne.
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Serenata
Il tempo giovanile ormai è passato d’una chitarra sotto la finestra di note che stridule giungevano pur dopo tante prove mal riuscite. Erano strimpellate d’un innamorato alla fanciulla che col cuore in pena andava avanti e indietro per la stanza prima d’affacciarsi sulla soglia tra un vaso di gerani e una barchetta che costruiva sempre con la carta ad ingannar l’attesa e la luna lo sguardo un po’ maliardo sopra il tetto. Ora nero un gatto sbuca dentro un vicolo e l’ombra s’illumina e scompare spenta è la finestra e pur deserta di vasi di gerani e di barchetta.
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E penso a quando eravamo unisola
E penso a quando eravamo un’isola e ai soli, tutti con la pretesa di una luce intensa gare inutili nastri barriere voli pianeti intorno talvolta impazziti nell’aria brusii scrosci crepitii schiocchi silenzi improvvisi parole travisate maschere per ogni dì della settimana e penso… E penso a quando all’isola approdarono in tanti e i corvi stonarono sul coro dei pennuti anche le palme smisero il canto sebbene il vento le spettinasse con tenacia.
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Settembre, l’autunno
Un tempo strambo tra sole ed ombre i passi leggeri come le vesti di fiori un’esplosione sotto i raggi tra le maglie di ferro e i rampicanti a uniformar lo sfondo quando più l’occhio addentro si sospinge, una specie di nicchia
l’effigie d’una madonnina nella pietra. Ma ecco le piogge insistenti i tetti lucidi le strade mondate dalla polvere e dai rami ecco gli ombrelli rovesciati il battere delle imposte sui muri le mani infreddolite il passo svelto le finestre chiuse e settembre, dopo l’afa l’azzurro cielo i corvi le biciclette i pantaloni corti le frotte di ragazzi in piazza, è autunno col vestito scuro il volto cupo il suo momento brutto la sua mestizia l’ira come per qualcosa andato storto.
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Canto oltre il delirio
Hanno il suono flebile dei pensieri lassi desiosi di pace i miei passi lenti noncuranti della strada è uno strano ritorno la soglia dopo l’erta in un sospiro rubato al silenzio quando un altro giorno muore e la sera t’accorgi d’una strana avarizia delle poche parole tante sono morte negli anni tante le abbiamo pronunciate bendati quelle leggere il peso d’una carezza trascurate per l’inclemenza crescente delle stagioni Ti sovviene la morte col suo gelido fiato a cancellare il torpore del tuo ordine inverso tornano gli sguardi allo specchio riflessi come lampi incrinati nell’aria come scie meteoritiche fuggenti è un abisso diverso quello in cui scivoli al riparo dal rumore del giorno dove sai che la poesia salverà il mondo ( è più di uno slogan è una fede ) ma è vera nell’attimo che sfiori l’eterno poi impallidisce e tu tramonti col capo reclinato d’un fiore. Il suolo l’ultima cosa che sfiori stremato lontano dal ricordo di quando carponi brucavi la strada Comprendete ora la forza d’ una fiammella nel buio universo tra i venti e quel suo ancheggiare per resistere ancora all’ignoto I passi lenti nella mente erano celeri e i campi arati e i frutti caduti nel fango le foglie ingiallite e i rami irti come armi sguainate ci hanno fatto scordare il percorso la sua immane fatica e i passi percettibili appena nel loro avanzare si sono fermati una sosta soltanto una panchina deserta l’orologio fermo ad una bieca stazione la sera vestita di qualche vaga promessa per placare le insidie del giorno e fermare la morte e quel silenzio che divideva il fruscio della seta dal cigolio della porta poi con qualcuno abbiamo indossato la luce sfiorandoci nel bacio più casto abbiamo pregato inginocchiandoci perché il dolore non fosse privilegio dell’anima abbiamo immaginato traguardi con l’occhio d’un folle e siamo tornati indietro nostalgici a guardare i binari viaggi mai intrapresi scogli i passi fruscianti la stessa voce dei nostri pensieri così uniti e così distanti quando le mani operose davano vita alle cose e i nostri piedi andavano lenti sotto cieli diversi abbiamo coltivato fiori mietuto le spighe irrigato la terra ed atteso il maturar delle vigne abbiamo vissuto più di una vita la nostra e quella dei cercatori di sogni.
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Lorizzonte
Parole, accartocciate come foglie, cadono Un sole malato nascondo dentro gli occhi un sorriso che non svelo muore in un filo L’anima ha cambiato la sua dimora tra i pensieri che mi annichiliscono e memorie scolorite Hanno le grinze delle rose le labbra al tramontar del giorno Un gatto intona un miagolio in un vicolo cieco duettando con la mia voce insicura, un lamento che al confronto stride.
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La vita
E poi si lascia il giorno fuori l’uscio accelerando il passo dove il cielo allenta la bisaccia seminando diamanti a destra e a manca, luce a iosa
Si danza sopra l’acqua e tra le fiamme si accendono promesse che resistono il fuoco d’un cerino eppur si avanza con forza e con coraggio Si crescono speranze si combatte per dare al mondo quasi un bell’aspetto un corpo più compatto un’armonia ch’è sintesi d’amore ed è rispetto Si sogna ma quando mente e corpo cadono molli in grinze e scoramenti col peso d’una piuma come un trave si approda ad un’amara cognizione d’aver perduto tempo assai prezioso sottratto ai propri cari e a se stessi, quegli esseri sì avvezzi a stare zitti nel sopportar la croce con fierezza.
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Quel sorriso di remote stagioni
L’assenza ha un linguaggio che non si dimentica così il perseverare in stranezze e fughe premonitore di un’oscurità da cui non si risale ha indossato panni diversi la solitudine prima di mentire a se stessa indifferente agli occhi di una folla (invisibile) mentre sulla riva tramontava il giorno e la notte scendeva, eterna. "Si tessono le lodi, da morto, di chi nella vita è stato spesso ignorato." - Rosetta Sacchi -
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E rido
E rido di come le opinioni cambiano. Vittima o carnefice? Le bocche tacciono alfine quando il pensiero illumina. Tra la folla il fariseo addita i suoi adepti, ora false amicizie.
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Frottole
Mancano segmenti alla retta il nome non può essere lo stesso. Cosa può saperne un punto, direte un minuscolo punto sperduto nell’oceano… ma voi ostinati a rimanere a galla affonderete nella melma. Frottole, frottole non c’è nessuna luce in fondo al tunnel solo nomi destinati a sparire. E sarà notte nonostante l’obolo.
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E un luogo morto
È un luogo morto Qui si portano i fiori tra loro si guardano in viso al lume dei ceri Qui sono le impronte le une sull’altre uguali monotone vuote indistinte Qui il vento talvolta reca olezzo di fiori ma in questo luogo si compongono solo fiori di carta e si scrivono i nomi di chi in fila attende lo scambio dei doni. E’ un luogo di morti.
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Lasciatemi divertire, disse il poeta
Lasciatemi divertire disse il poeta gioco con le parole scavo con le mani traggo suoni faccio rumore mi zittisco come se d’improvviso toccassi il sacro suolo Sono poeta? Scrivo, passo il tempo domandando di me alla coscienza quando il cuore è in letargo per difesa per avaria per esperimento scarabocchio l’anima celo i suoi segni giusto il tempo di distrarmi l’attimo di quiete prima del vento perché quand’è bufera i miei occhi narrano di ogni timore di ogni speranza caduta di ogni tramonto di cose lontane ma lasciatemi divertire ora le parole sono come le farfalle sui fiori e i miei pensieri non hanno spine sono come le medaglie sul petto per una buona azione come sul naso i fiocchi quando c’è neve e il bianco vince il cielo e il bianco è un giorno nuovo lasciatemi divertire è il mio passatempo ingannare la vita perché non m’illuda ancora.
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La vita talvolta
La vita talvolta smette di guardarti in viso divaga si distrae si nasconde cerca riparo al buio per vie diverse giunge dove già sei l’anima inchiodata da stenti e patimenti. E non ti vede e tu non vedi Lei. E non ti ascolta e non ascolti Lei nel travaglio che lascia il mondo fuori e dentro tarla ad ogni nuovo giorno.
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La lucertola
Ha disertato il muro screpolato per il cemento levigato mutando direzione. Orizzontale è un verme una lumaca un grosso insetto non importa quale. Non una foglia o un ramo nei suoi pressi non una pietra o una crepa nella crosta. Lontana dal rosso dal verde dall’ocra delle foglie lontana dal fosso dal mormorio dell’acqua dal rigurgito del fango. Immobile tra l’ammasso di polvere tra il grigio ed il colore nell’angolo in fondo. Il tempo di destarsi, l’ombra d’un piede che annaspa. Scompare.
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In memoria di te.
Discreto lo sguardo si posa per l’ultima volta su ciò che hai amato: le opere i pensieri i segreti dell’anima tua ora fiaccata ed il verbo solo per dare spessore al silenzio compagno di sempre. Rimembranze nel cuore di chi ha saputo comprendere il tuo essere libero fino alla soglia d’un vivere nuovo. Otri gonfie di vento hanno ingrigito il cielo di maldicenze e in cento volti t’hanno dipinto ma un rapido sguardo è bastato per capire che là tu non c’eri. Si può far tacere la propria vita ma non la propria morte
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E penso
Ha strani meteorismi questa sera boati che si rincorrono nell’aria prolungati sordi cupi un borbottare conscio del suo rumore. E penso a quando il vento scuote le fronde e lascia solo poche foglie ai rami o a come tu spesso scuoti il capo scrollando a terra i ricordi belli. E guardo il cielo la luna che svapora dietro un cumulo di nubi. E m’accompagno anche questa sera ad una notte popolata e insonne.
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E quando
E quando taglieremo il nastro vittoriosi avremo sempre dinanzi nuovi scogli e non ci sarà tempo per lucidar le armi che altre battaglie ci metteranno a dura prova. L’orizzonte sarà nei nostri occhi per un attimo poi tornerà effimero talvolta nebuloso. La vita è così. Un respiro profondo tra un affanno e l’altro.
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Per altre vie
Per altre vie conduce il pensiero sulla china c'è una luce che trema. Si spegnerà travolta dall’ennesima burrasca. Eppure le stelle presagirono un diverso epilogo quando la luna per un attimo fu distratta dal sorvegliar la terra.
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Uno strano sapere
Sapevo del filo teso nel vuoto del titubare del passo insicuro del tornare indietro ai primordi dell’eco di corde un pizzicare di suoni tintinnii lontani tra l’erba brucata. Sapevo del mutare dei giorni di un desinare in silenzio di braccia conserte la sera prima di isole o approdi. Sapevo di cumuli d’anni senza segni ad incider la pelle di aritmie ed affanni timori di perdere il dì seguente ogni sudata conquista sapevo di ombre e segnali di cieli per metà oscuri di dadi nell’aria di lune nere di fuochi nelle case degli altri e di bracieri dormienti ovunque ho avuto dimora.
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Settembre
Più corto il giorno più triste il mio cammino. Accelera il passo prima del tramonto per la desiata quiete. Promessa che si rinnova tregua all’affanno del quotidiano vivere. Le fatiche smesse chiuse nel sacco torneranno domani come carboni tra la cenere. Vincono le allodole sul frinire delle cicale nelle ore d’afa, ma la brezza mitiga le sere in questo strascico d’estate prossimo a morire.
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Non c’è di che gioire a questo mondo
Quel ramo è troppo dritto o troppo curvo la rosa è aulente sì ma ha troppe spine la margherita ha un petalo piegato Lei ride, gli occhi belli e i denti storti. Non c’è di che gioire a questo mondo. Il brutto è brutto e il bello è bello...ma non lo è troppo. Si cerca ovunque un neo specie se il ramo insiste sul terreno che non è nostro e la rosa affaccia all’altrui cancello o il vento spettina la margheritina perfetta... se non per il petalo piegato.
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Il tempo nel suo scorrere lento
L’attesa alla vita toglie spazio ed il tempo nel suo scorrere lento non è che un supplizio senza fine.
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Noi
I mondi lontani son tanti di passi e richiami sonanti tra fredde pareti su un trave il corpo non trova riposo non erano tutte certezze le vaghe promesse visioni di luoghi più ameni forse mete di giorni pensati reali. Non resta più traccia del tempo che fluente discreto scorreva e ci accomiatava concordi seppur del distacco dolenti. All’alba sono solo tramonti a narrare le nostre vicende noi lembi scostati di labbra in attesa di suoni più allegri noi sponde in eterno divise d’un fiume sempre irruento.
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La notte più lunga
Quando al crocevia ho perso i tuoi occhi ciecamente ho continuato a camminare. V’erano siepi muraglie pali scogli a separarmi dal giorno. E’ stata la notte più lunga, sì, quella senza i tuoi occhi!
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A ritroso
Non per giungere al punto di partenza quando dinanzi avevamo solo la strada ma per riesumare istanti magici pensati ovvi obliando l’affanno dell’erta asperità di scogli abissi. Eppure abbiamo issato bandiere ad ogni meta insperata abbiamo sorriso con gli occhi bassi ad ogni riappacificazione ostinati nel nostro viso deformato. Abbiamo azzardato voli sfiorando rami irti e cupole di foglie oltrepassando il velo delle nubi. E questo spiega perché non si cancella in un attimo tutto il tempo trascorso. Si riscrive con le promesse cadute le speranze mutate e le certezze tenaci, abbarbicate all’anima.
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Se il silenzio ora fosse suono
Se il silenzio ora fosse suono giungerebbe a te come violino in una notte di luna piena della nostra voce non resterebbe che l’armonia e delle parole cadrebbe l’affanno come un vestito ai nostri piedi delle nostre bocche non rimarrebbe che il fremito dei baci ed il respiro smanioso di sempre nuovi approdi.
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Il dolore che non si racconta
E poi c’è il dolore che non si racconta quello che scava dentro con un bisturi e rievoca sguardi mani tese bocche ridenti suoni. Ora tutto è fermo una linea piatta senza sobbalzi solo il dolore graffia attraversandomi come fossi una pista di ghiaccio.
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Bacio
Un bacio saetta scivola sul petto quando la notte giunge e in dormiveglia m’appari radioso in viso. E quella luce improvvisa sulle ombre è un pugno carezza sferrato di sorpresa. Poesia nata da un esercizio con le parole : bacio, pugno
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Caos
L’ordine sovvertito ed il caos regnante al chiuso come pure in ogni spazio aperto fanno pensare si sia toccato il fondo. Accadono eventi di una tale gravità indefiniti ed inclassificabili ad opera di folli e d’ignoranti di presuntuosi ed irriverenti. Non si conoscono le mezze misure. La voce alta oppure quasi assente il silenzio assoluto o il frastuono il fare spasmodico o il rimanere inerti. Spesso si dice che non esiste ora più scura della mezzanotte. Ed a torto si pensa che esiste un apice che nessuno può oltrepassare. Nulla di più sbagliato! E’ sconcertante... ma quel che accade è lungi da ogn’ipotesi e da ogn'immaginare.
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Una parola che cade
Talvolta lo schianto è abnorme d’una parola che cade il rimbalzare ha un suono altro il tonfo. Del cupo dentro, fuori inoffensiva ironia. Genesi del verbo spesso non è il pensiero ma lo spirito turbato dalle vicessitudini. Un tarlo invisibile. E nasce deforme ogni parola, diviene feroce in un attimo.
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Hanno dimenticato
Hanno dimenticato il bene fatto le pennellate dentro la cornice perché uno scarabocchio apparisse opera d’arte hanno cancellato le lotte e i compromessi per il traguardo d’un quieto vivere le attese eterne di veder errori rimediati e ravvedimenti per i limiti e gli eccessi hanno dimenticato il lavoro speso per fare d’una baracca una casa accogliente e di un terreno sterile un verdeggiante prato. Hanno dimenticato in fretta trascurando il peso delle ombre e dei fantasmi. Chi ha issato le vele non s’è accorto dei troppi rimasti a terra per indolenza o per inettitudine.
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Vecchi incontri che sembrano nuovi
Si cambia paese città e ogni altro luogo e s’incontrano spesso volti che non sono nuovi che fecero altrove comparsa ed ebbero vita più o meno breve. Nomi mutati diversi per esseri che s’appellavano in uno o due modi e forse anche tre. Ricorrendo a un’iperbole potrei dire ch’erano cento. C’è sempre chi serba memoria di tempi trascorsi persone comportamenti. Pensandoci bene potrei anche affermare che nulla è più normale dell’essere strani. Bisogna ora solo prestare attenzione chè non tornino attuali vizi abitudini rudi ambizioni modi vicende scambi e percorsi già noti.
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Vorrei correre al mare
Vorrei correre al mare come fossi fiume e vestirmi di vento e sentire al passaggio un murmure antico farsi canto quando levo lo sguardo e ti cerco nel firmamento e farsi nenia quando scivolo sul fondo e non ti sento chiusa nel vortice della mia sofferenza. Vorrei suonare le campane come fosse festa quando invece le mani stringono mondi di carta e il mio bicchiere non fa rumore levato in aria e il vuoto ha memorie potenti come boomerang. Vorrei spegnere i pensieri e chiudere gli occhi rimanendo in equilibrio sopra un asse il tempo d’un’alba che non tenga conto dell’ora e che colga l’eterno in un attimo breve.
Vorrei riscrivere i sogni se ai sogni dispersi si può dare un nuovo indirizzo e prevedere i viaggi dove tu viaggi ed io t’attendo e il traguardo è lo stesso. Vorrei correre al mare come fossi fiume felice d’essere nel divenire senza domandarmi se c’è differenza tra il vivere e il morire vorrei essere mare ora che non sono più fiume.
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Dimentico di dirvi che son morta
Non conosco tregua né riposo in mille cose m’adopro e mi dimeno supero ostacoli smusso angoli e limo la mia rabbia per appianarne le asperità raggiungo ogni traguardo coi miei mezzi. Sudore e sangue segnano l’effigie resisto alle brutture d’una vita distratta e disattenta o forse spenta. Dimentico di dirvi che son morta.
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Quei chilometri di via
Quei chilometri di via dalla prigione alla finestra al vento alla sua danza tra le tende al tuo sguardo mosso alle smorfie in cui piegava il viso ogni qualvolta la voce con un tintinnio di campanelli spezzava il silenzio incredulo a quelle pause inattese, quei chilometri ora non sono che un tratto di matita cancellato ammasso di polvere d’una strada chiusa. Ora lo spazio è angusto piantonato. Un nicchio che un faro di sorpresa alluma.
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Saturazione
È il rivolo sul viso al vibrare d’uno spiffero d’aria sentirsi stretti in un involucro incollati confusi dissolti. Anche la luce opprime… oltre al filo teso del pensiero e noi muti appesi al tempo nostalgici e desiosi d’ogni cosa che varia dall’attuale fermento. Morire in quest’apnea... prima dell’immersione in mare o in un bicchiere.
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Ora è il silenzio
Ora è il silenzio e tutto è ricomposto anche i pensieri hanno un nuovo assetto e quel che giunge da accanita sorte ha l’aria d’essere persino razionale. Fuori la canicola è opprimente dentro un vento gelido che sferza. Racconta di altri soli e lune nuove ed ora di una solitudine più amara.
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Solo meteore
M’investi dirottandomi verso oscuri abissi. Nessuna stella cade. Ancora un’illusione… il fragore è lo spasmo d’una risata che mi salva dal perdere il senno.
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10 agosto
Pensieri silenti intimi desideri in una notte di lacrime o carboni? Resteremo a rincorrere lo sciame e a dare nuovo afflato alla speranza.
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Lacrime del cielo
Saranno ancora lacrime del cielo tra sfavillanti fuochi? Nuovi supplizi? Come quando una rondine giacque riversa al suolo e le bambole non varcarono mai l’uscio?
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Così è la morte
Cancella e riscrive lascia progetti in sospeso promesse incompiute riapre scrigni e dentro sigilla sogni segreti e le cose più belle riesuma antiche memorie canta le pecche dei vivi denuncia le assenze ogni effimera comparsa la vanità d’un vivere vuoto le finzioni e menzogne i pensieri taciuti. E ride... di chi piange eredità inesistenti beni mai posseduti.
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Tra occhio e piede
Spesso l’inquietudine ho incontrato quando ambivo andare oltre l’orizzonte ma l’occhio s’arrestava al muro all’angolo di strada allo scorcio di panorama alla finestra alla siepe alta che invadeva sul ciglio la polvere e la strada. Dal suo sommo osservava il piede, stanco dopo tanto peregrinare e senza meta, oltre l’angolo di strada e tra le spighe in un mare verde oltrepassando il muro e quella siepe così fitta di foglie e così cupa. Dire non so chi è più bravo e se è una gara una tale meraviglia!
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Cè ancora qualcuno che ti parla di morte
Scegli un angolo al buio per ricomporre memorie. Chiudi le imposte spranghi la porta spegni i rumori e riaccompagni le croci al loro calvario tra pianto e preghiere. Piovono fiori poi foglie poi neve passano mesi che sembrano uguali tornano istanti di vita fugace. Tornano solitudini sempre più amare premature partenze indefinite paure. E poi quando il tempo si finge tuo amico c’è ancora qualcuno che ti parla di morte.
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Calura
Oggi tace il vento. Il dì trascorso sputava fuoco spietate fauci come di belva nell’aria il fumo di bruciate stoppie pungente alle narici. Il passo il trainar d’un carro, in salita l’affanno d’un infruttuoso tempo decapitato l’insofferenza all’apice il ventilatore una mitraglia il cervello come in avaria l'urlo in gola fermo per non destar sospetto ma c’era da uscir di senno. Oggi un caldo sfatto macera la stanza la foga affievolita come dopo l’incendio l’arso fuori l’aria fresca una zattera nel mare ondoso e dentro… un alito tra le tende alla finestra auspicio di una tregua forse d’un giorno solo forse più duratura ma oggi piove… lo dicevano da ieri. Allora pioverà.
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Ho sceso gradini d’acqua
Ho sceso gradini d’acqua specchio torbido di foglie morte fino al leccio e al castagno e fino alle pendici del vulcano cratere infuocato bocca di lava spenta. Ho dormito sulle sue sponde tutta la notte.
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Quel limbo infinito
Non tra quelle vive pagine segrete ed inesplorate s’è compiuto il mistero sospeso è ancora il filo il viaggio il destino di parole seminate per le vie altre vendemmie m’attendono filari meno radi che non lasciano intravedere il cielo e le sfumature del viola verso il nero a dar pensiero a chi è lungi dal penetrare la verità ecco… possedere è un’inquietudine che non appaga ma crea labirinti dove anche le attese si spingono troppo lontano quelle pagine vive erano una sfida (vinta?) senza competizione un narrare incessante senza alcuna intenzione. Pensando al mio libro che porta il titolo di "Quel limbo infinito"
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Agosto
Nulla è mutato siedo l’attimo di una stella cadente sul torrido muro assordata dalle cicale è un frinire che sale anche il coro di voci che mi tarlano dentro Altri passi rincorro per vedere indelebili orme più chiare al tempo d’un percorso sospeso a fuochi mai spenti sotto la cenere grigia e barcollo di solitudine nelle notti di luna tra l’abbaiare d’un cane ed un faro avaro di luce Memorie che sfoglio nostalgie di strumenti stonati e piazze fino all’orlo riempite, rimbombo, della goccia l’inatteso stillare che sempre tradiva nell’istante distratto.
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Attimi di te
Tramava alle nostre spalle il domani e nuovi timori covava nel suo seno ma la speranza ci raggiungeva sempre come brezza sull’imbrunire dal tuo labbro ascoltavo il verbo tanto atteso non il ripetersi di parole stanche lasciate cadere come per inerzia ma il silenzio che mutava in canto per scemare poi in dolce nenia quando tu eri l’attimo di vita vera tra visione e meraviglia.
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Il segreto per vivere felici
Spesso le parole sono aborti del pensiero così distante dalla corporea sofferenza. La luna in cielo osserva sbigottita una terra insoddisfatta, mai stanca de suoi cicli e un uomo sogna più morbidi giacigli per sopportare la ruvidezza delle pietre. Spesso le speranze sono vane e luna e terra ci appaiono lontane in egual modo ci si consola col profumo d’una rosa quando il giardino ci è precluso laddove altri hanno ereditato solo spine.
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Tiro alla fune
Ad un estremo la vita coi suoi grovigli e le sue impellenze e sorprese e lo stupore di attimi fugaci ad allentare la morsa della fatica. All'altro una forza che scema e svela la cieca rassegnazione alla sorte (buona o cattiva). Ogni richiamo messo a tacere è un soldato che ci cade dinanzi e noi sconfitti nell’ultima battaglia già avviati alla meta sediamo sul ciglio, la memoria ad enumerare sventure obliando medaglie ed i tanti traguardi felici.
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Slow and sexy blues
Ora m’aspetto di vederti ora che il tempo s’è distratto e non ci domanda di correre né di fermarci ora che non è necessario distinguere tra albe e tramonti ma l’orizzonte è così ampio e grondante di luce. I miei piedi battono il ritmo il cuore flette sul ritornello musica e voce graffiano il silenzio come il tuo pensiero gli abissi dell’anima come i tuoi occhi il buio più nero. Lento e sexy il tuo respiro giunge alla mia nuca e posso sentire le tue mani sui fianchi e dopo tanto immaginare notti di luna piena e calici silenziosi aspettare ancora di vederti come sempre pensoso reduce da un giorno pesante. Ma tu sorprendimi con un sorriso che abbia il sapore d’un sogno anche se non sappiamo se è vero un sorriso tenace come un morso alla terra prima del paradiso. In ascolto di slow and sexy blues
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Attendevo un miracolo
Attendevo un miracolo una stella buona una pioggia benefica sul capo mentre immaginavo a fatica un percorso dritto un riparo di legno o di rami e foglie o di braccia quasi un nido. E c’erano occhi accesi la sera come fari ed un silenzio assoluto a far sì che la mente percepisse più di un miraggio non un’illusione ma una promessa.
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E mi domando
Sei forse tra le cose che non scrivi le parole troncate le sillabe farfugliate per confondere il silenzio? Questo tempo che passa prende ogni energia ed allontana dal nostro essere liberi non ci dà più attimi per un pensiero che non sia un’ambascia, avulso da timori e dubbi un pensiero che sia una pausa la sosta su uno scalino una carezza indefinita un sorso d’aria pura. Sei forse tra le cose che fanno rumore le speranze seppellite i desideri zittiti per circoscrivere il dolore? Questa vita domanda incessantemente ci consuma nell’attesa non dà tregua non fa sconti ha sorprese amare non regala più niente.
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Traslocare
E poi si cambiano le case e non solo. Ed i sogni finiscono nel cassetto dei pegni da pagare, quasi per errore, mentre si tenta di porre ordine al caos e le abitudini generano nuove abitudini i pensieri mutano si dividono i problemi aumentano. Finchè vivere non diventa solo una corsa ad ostacoli finchè l’affanno non ci ferma il respiro mentre la vita continua a correre senza di noi.
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Panchine
Ora cammino su di un filo spezzato più a memoria che in equilibrio le parole divelte dal pensiero _come foglie d’autunno_ pendono dal labbro vanno a morire sugli umidi sentieri e sulle panchine vuote lavate dalla pioggia o cosparse di polvere quando il tempo è secco.
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Oltre le illusioni
Una pioggia d’oro nella sfera di vetro nasconde e svela il paesaggio flash si susseguono allo sguardo luce ed ombre (noi sobbalzati da un ritmo serrato) balenii d’un esistere allegro oltre le illusioni o i miraggi e più su del monotono vivere, nel suo scorrere lento.
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Vorrei anchio parlare ad una capra
Vorrei anch’io parlare ad una capra e in quel belato far giungere il lamento d’un dolore che più non racconto tanto è antico e tanto ha infastidito l’altrui orecchio o parlerei forse ad un cane zoppicante che meglio saprebbe dire come ci si sente dietro l’uscio in un’attesa vana e al freddo anche quando l’atmosfera fuori è ardente. Dicono dell’uccellino in gabbia, specie se non accompagnato, che per amore non canta bensì per rabbia, io tra quattro mura sconto il monotono canto che nell’aria delle tortore si diffonde. Ecco giusto un verso che ha il vizio d’essere un lamento e che troppo spesso mi dà noia. Questo tubare senza tregua che rievoca la pena del viverti distante.
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Ha troppe notti il giorno
(Addii) Sorgono soli e tramontano in questo giorno interminabile che scaccia nuvole e rivela tetti ed alture in lontananza che sente affanni e s’interroga su chi accusar dei sospiri Muoiono lune in questo tempo di rumori assiepati e discordi pensieri di naufraghe speranze e miraggi mentre nell’aria si diffondono note d’archi e di fiati Ha vie opposte la solitudine fughe ed esili vele strappate e binari morti ha falsi giacigli soste e riprese ha finzioni che interpretano stati di quiete Ha troppe notti il giorno senza intervalli soli che muoiono al sorgere giù per le valli tempo che rotola e lascia il peso delle memorie.
*
Il mare
Non torno più a guardare il mare ondoso nuvole in fuga su scogli flagellati e scrosci d’impeto che giungono fino a riva. Bramo il silenzio e sulla sua coltre il fitto cinguettio tra i rami il vento quando spettina le chiome col suo passo leggero dentro i vicoli. Il silenzio e il mare... quando è un fluire di lucciole mentre annotta.
*
Vivere
Ti consegnano la chiave e cambiano la serratura quando sei già sul punto di sciogliere l’enigma. D’improvviso tutto muta in un sepolcrale silenzio. Agonizzante e sudato accogli la luce del giorno o la sveglia d’un’ora qualsiasi che urla. E' solo un breve passaggio e sei di nuovo perpendicolare al suolo, a decidere il passo o la sosta.
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Del tuo viso
Del tuo viso, dello sguardo immoto so il traghettare dei pensieri il virare i gorghi il limaccioso fondo l'apnea. Il riaffiorare in superficie il carezzar le sponde.
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Nelleco di lacrime silenti
Ora il pensiero gela nell’eco di lacrime silenti nodi al petto a tenere stretti gli istanti più recenti e già distanti. Il pensiero riascolta quella voce che divenne muta prima che le stelle diventassero ceri nello spasmo della notte. - un 13 di luglio -
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Ognuno ha il proprio calice
T’appropinqui alla soglia dell’invisibile in ogni limite l’apogeo dal cielo tocchi il fondo i suoi abissi incolmabili le sue gravidanze il mutar delle attese. Un sorriso trafigge la ragnatela l’umana impotenza in ogni desiderare si gode il podio ognuno ha il proprio calice e addosso solo la nuda verità.
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Dun tronco so
D’un tronco so l’incavo e il dosso di come credendo dritta l’ansa si cade o di come si affonda deficiente in equilibrio di come a stento s’attraversa un dorso grezzo ipotizzandolo spianato so di asperità ed increspature di sobbalzi passi singultanti virgole in volo bruschi approdi. Ho l’indice di chi caduto giace e il nome di chi risale ardito l'esempio d’un differente andare dal vivere uguale in una stagione lenta d’un tronco so l’incespicare tra i nodi il zigzagare scostante le lunghe file fino ai rami il trascinarsi come per inerzia il gonfiarsi ed il ritirarsi tra le crepe.
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La signora misteriosa
Non piovono solo foglie pure rami esili fili spinosi nel nodo che divarica spazi e mulinelli di terra e sabbia Imbrattato il passo sulle orme antiche in alto un cielo volubile nuvole copulanti nuvole spesse su nuvole rade Muto quel rintocco manchi di un tono in più mentre ti preannuncia tra sfumature ed assenze. La signora misteriosa da lassù scruta oscura in volto questa terra inquieta.
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Mastro Geppetto
Non sa del mio dolore mentre mi scolpisce ed io conto ad una ad una le mie giunture. Qualche lacrima ristagna nell' incavo dell'occhio nonostante questo mio sguardo fisso
di burattino.
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Uno stato provvisorio
D’improvviso il nero torna chiaro l’opaco un velo i colori netti, confini e non grovigli come se una mano avesse avuto occhi ed intelletto ripristinando l’ordine prima disfatto. Uno stato provvisorio che però mi giova. Le case sono case gli alberi alberi e la strada solo l’ultima fatica prima della sera.
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E’ giorno
Solo un trillo empie l'aria più tardi, roco un tubare di tortore. M'assedia. Di cornacchie, improvviso uno stuolo sul capo. Lo schiamazzo interrompe dei passi la quiete.
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Sentieri
Erano i sentieri di polvere e sabbia di terra battuta e sassi le pause fugaci di un tempo sottratto alla dritta via e allo stare attenti al percorso dove si guardava solo avanti perdendo il panorama ai lati della strada.
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E poi ti scrivono
E poi ti scrivono dal nord e tu a sud hai l’afa sulla pelle il fuoco acceso il pranzo d’obbligo i tuoi affanni che non vuoi elencare perché sai che così è la vita e poi ti pensano in altri lidi che sei padrona del tempo che non hai figli non hai camicie da stirare non hai doveri non hai valigie da disfare case da pulire file per le spese e poi sorridono e vorrebbero tu sorridessi fanno progetti e vorrebbero ti entusiasmassi gioiscono e vorrebbero tu varcassi la soglia della tua tristezza una seconda pelle a cui hai fatto il vezzo ordinando ai tuoi occhi di non commuoversi perché sarebbe inutile come dire alle stelle di non cadere in mare quando vogliono rimanere in cielo.
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I tuoi occhi
I tuoi occhi sono il mare bruno quando accoglie la notte e la luce pare assente sono due sponde nude dopo l'onda sono le labbra mute che disegnano il vuoto.
I tuoi occhi sono giardini fioriti sono zefiri che profumano di zagare ed abbracciano il vuoto quando é pieno di quel che occhio estraneo non vede. I tuoi occhi sono i monti all'imbrunire un profilo fragile quasi assente
quando un velo appanna l'orizzonte. I tuoi occhi sono lumi. I tuoi occhi sono fari quando la tempesta strappa vele al mare. I tuoi occhi sono arcobaleni quando il maremoto in me si placa per un gesto non gradito un tuo spontaneo errare senza meta un pensiero che si posa dove non dovrebbe stare. I tuoi occhi sono eterni, l'infinito dove naufragare.
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I sogni
I sogni non hanno nido spiccano il volo quando il momento è più propizio planano come a fermare l’aria quando è truce s’imbattono in cupe chiome o irti rami trafiggono le nubi affiorano in un lembo di sereno sono silenziosi quando cantano e fanno rumore quando tentano di sopprimerli. I sogni sono viaggiatori senza bagagli.
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Stanchezza
Non è per l’erta il passo troppo svelto l’afa. E’ questo pensiero che oggi ha abbracciato mille cose che ha dato vita a timori e speranze che ha intrapreso un cammino lo ha sospeso è tornato indietro ha cambiato programma è questo pensiero che era lì poi qui che correva inciampando e tornava rimuginando, più di un nodo più di un affanno più di un’ansia… il timore che il tempo passava invano e che del giorno una volta trascorso non sarebbe rimasto più nulla.
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Amore
Entrasti in chiesa forse un istante dopo forse ore per camminare sul mio stesso suolo. Altra prova d’amor non reclama l’anima né attende.
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Nellanima
Forse la gioia è passata per la croce qui l’origine non muta crea e i colori sembrano smentire il candore che cancella il buio qui risiede l’amore ci son le prove solo i poeti credono che l’amore dimori nel cuore. E’ per la rima. Ma qui è il passo ed il cammino l’esplorazione le tracce il premio il velo rubato alle farfalle le vele in mare le sfumature delle perle. Forse il silenzio è passato per la voce qui le stanze sono vere e i pavimenti non sono di vetro i fari sono gli occhi che hai avuto di fronte quando hai incontrato l'anima gemella.
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Pensiero
Sei dove domandi d’essere i tuoi spazi sono dappertutto i tuoi passi invisibili i tuoi piedi inesistenti. Senza proferir parola parli senza vedere vedi senza toccare tocchi non sei vicino né lontano.
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Ascoltando l’Adagio di Bach
Lasciai un dì andare una barchetta gambe gracili sotto un vestito di carta e l’osservai sparire all’orizzonte. I piedi nudi oggi nel solletico dell’onda nel fluttuo affiora una bottiglia e approda a riva la sua anima un mistero stinto in un rotolino.
Attendo sempre il giorno al suo tramontare il chiasso scema e la luna tonda stampata in cielo il passo mi rischiara. Adagio il mio pensiero muove plana dove l’aria è un velo sopra il mare e dove la tua visione è amore, promessa che s’avvera.
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Non ho alternativa alle tue corde
Io amo il sax te l’avrò detto mille volte ma non ho alternativa alle tue corde se non questo silenzio sovrumano che mi confonde alle tante ombre danzo sui muri al pizzicare e vibro come sul fiore una farfalla un motivetto riesumo dal tempo mentre penso a te amore mio lontano e vorrei dirti dormi che nel cuore ogni nota è gioia ed è dolore e vorrei dirti approda che non è tempo di cavalcare il mare, dove una vela accoglie promesse già mature.
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Primavera ormai passata.
Primavera di fragole acerbe ciliegie succose di erba tagliata ai cigli odore di pioggia su zolle riarse e rami spogliati dal vento improvviso. Rosa lo sciame nell’aria di petali all’alba un trillo festoso e balconi di luce nostalgia di gerani screziati. Rintocco di ore campanile che taglia le nuvole rade caldo il profumo alle nari del pane sfornato sale la verde collina capriccio di rose e di spine ai cancelli nuova vita che sboccia.
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Quando guardi l’orizzonte
E’ lunga la via e poco sicura la meta per via del tempo così indefinito e così breve quando guardi l’orizzonte e non ti domandi più nulla. Una mano ti ferma e tu arresti il respiro un pensiero ti invita al silenzio e tu taci la tempesta che ti scuote, non è ferma l’aria ma il vento è dalla tua parte e vai noncurante di chi ti dice fermati e taci e ascolta. La tua voce non è la tua voce è l’eco di tanti traguardi falliti di voli interrotti di ali bruciate di attese tradite è il grido soffocato dentro notti fioche quando la luna è uno spicchio immaturo smarrito distratto e non c’è più uno stolto ad indicarla col dito, così lontana dall’essere piena e dall’essere nuova così vuota del suo gravido corpo sospeso nel vuoto.
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Paure
Poli dove non voglio stare anomalie del vivere aspettative che cadono come foglie dai rami sintesi di quel morbo. Un tarlo che mi corrode. Fossi di legno non sanguinerei né avrei lacrime per panorami tramontati. Oltre le mie paure non so andare... di perdere il tuo cuore, la mia dimora dove ho radici ben salde, ora.
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LAurora
Sorge dal mare ridente il sole. Si libra Aurora, nel cielo tenebroso per l'ora e fosco di nubi, tra le mani recando di rose una ghirlanda, solleva di fiori piccoli serti, a inframmentare del velo notturno la cupa oscurità, prima dell’alba nuova e tenue di colori. Fosforo dinanzi il cammino rischiara la torcia nella mano egli conduce al seguito il carro trainato da cavalli, agili e ardenti, quattro animali, diversi nel manto per nuances di colori a significar della luce il grado ad ogn’istante differente, prima dell’apparir del sole. Apollo d’aureola incorniciato alla guida del carro d’oro l’aria scuote, in un balzo leggero e nel suo drappo avvolto. Si scompone la luce calda nei colori luminosi dei veli a riparar giovani corpi di fanciulle, le ore, danzanti intorno al sole in un trionfo di luce. E il drappeggio di nubi appare, una scena leggera che cala sul blu della notte. Poesia pubblicata il 23/04/2015 sul sito "Scrivere" - ispirata al dipinto di Guido Reni-
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Le tue labbra erano ciliegie
Le tue labbra erano ciliegie e quel dettaglio che sfuggiva quando il risveglio lasciava solo strascichi del sogno nei giorni di magra e il desiderio forte mi torceva le viscere. Noi ad opposti poli ed io a domandarmi se il tuo cielo fosse anche il mio mentre le tue labbra insanguinavano l’aria quando il vento s’alzava ed io chiudevo gli occhi per un istante in più del tuo sapore. Orfana del ramo pendevo da te così maturo nei miei pensieri.
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Effervescenza
Punti minuscoli si legano tra loro ha il colore del mare l’infinito e quel lucore abbaglia forse più dei lumi che le notti accendono quando gli animi ben disposti a sognare cedono all’oblio. Effervescenza lievita schiumando, nel profondo v’è un abisso oscuro cripta di suoni e di tesori, distante dalla vita che esplode in superficie. Trasparenza che rapisce la luce e si veste di bianco e l’azzurro sovrasta va poi diradando in gocciole e scie che tremano alla brezza.
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Sofferenza
Dirò che mi fai soffrire? Mai! Chè della sofferenza c’è chi gode chi dal suo evolversi trae giovamento. Hai mai visto qualcuno gioire per i tuoi successi? Hai mai sentito qualche altro dolersi per le tue sventure? Forse sì con parole menzognere e moine con sorrisi compiacenti… davanti ma alle spalle quante trappole quanti inganni e tranelli. Dirò che mi fai soffrire? No! Chè dalla sofferenza risalgo, traggo insegnamento e semmai affino l’arte di sopravviverti.
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Incompreso
Volevo fare il pilota non mangiavo mi procuravo il cibo solo per continuare a volare volevo un posto tranquillo per le mie acrobazie volevo andare lontano. Espulso incompreso mi sono fermato dove pensavo fosse la mia meta ultima. Chiang mi ha insegnato a volare con il pensiero mi ha spiegato che oltre c’è solo l’Amore.
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Narciso
Del brutto anatroccolo serbo il timore quando il ventre materno m’era nido e scudo stemperato ora è l’originario grigio un argenteo riflesso alla luce che cala. Sull’ombra cupa il candore d’un ventaglio che s’apre s’impenna come onda del mare, fletto appena lo sguardo... pendo solo per amore del collo flessuoso.
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Alla luna ho domandato
Spesso l’inquietudine amara ha fermato i miei passi ha bruciato le parole sulle labbra come stoppie in mezzo al campo mi ha restituito pensieri monchi. E le ali sono rimaste lì, come un sogno precluso alle mie notti. Ho guardato il vuoto come si guarda un foglio vergine senza segni o immagini e percorsi e poi come si guarda un foglio nero senza luci né ombre né colori ed ho atteso senza sapere cosa avrebbe spazzato via la mia inquietudine ed ho atteso che il giorno al suo declino mi promettesse la luna in un profilo vago e che la notte le raccontasse storie per trattenerla in cielo. Alla luna ho domandato se sono più gli amanti che i poeti a farfugliare parole incomprensibili a prendersi per mano come bambini a confidar segreti o a sognare.
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Io lisola e il mare
Ed era lì al limite ed io al largo la meta agognata e misteriosa ed era ferma selvaggia ed inesplorata ed io paziente nell’immenso mare ed era approdo alla terraferma ed io lo sguardo avanti l’ombra distante ed era tutto nel mio orizzonte io planante, i miei pensieri altrove.
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Lattesa
C’è bonaccia nei miei pensieri mi fiancheggia un mare fermo mentre scruto il vuoto colmo di te dei tuoi passi delle tue mani delle tue assenze. Il tempo passa. Passa e non muta tesse una tela che io disfo a sua insaputa. L’attesa, una mezza condanna che amo e che bramo… eterna.
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E piovve manna da te
Piovve manna da te ed io saziai ogni mia interminabile fame passata straripò il torrente e nell’impeto della corsa fino al mare portò via con sé pelle e cellule e sangue e nel respiro crescente calmò la furia della sua passione. Fu buio d’intorno in oscure cavità celai lo scrigno dei miei tesori penetrasti di luce le mie tenebre e crebbe il fermento nella terra.
Ritrovai l’attimo d’eterno nella tempesta di fiamme e brividi aggrappata allo scoglio e ai tuoi vestiti là dove il cielo sconfinò nel mare là dove la parola abortì il silenzio.
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Momenti dellessere
Correre come volare. Tra cielo e terra un mare mosso d’erba. Si sfrangia la criniera nel respiro del vento, un vortice di pensieri improvviso s’acquieta. Sono momenti dell’essere lontano dal frastuono del mondo.
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Giugno non ti riconosco
acrostico Giusto te aspettavo al varco Immaturo ti presenti dopo maggio Ultimo mese che t’ha preceduto Giro per le strade solitarie e il vento Non promette alcun cambiamento Oso una veste leggera ma è inverno Nonostante la cattività pensavo Ormai a passeggiate nel bosco Non lontano dal paese o a viaggi in mare Tu sei in combutta col virus Irremovibile insisti col tuo monito Resto dentro e scrivo poesie e sogno Instancabile l’ispirazione mi sorregge ancora Come quando fuori imperversava la bufera Ostacolando ogni mio progetto Non avevo che i miei pensieri Ora gli uccelli trillano alla mia finestra Sono in festa anch’io per metà tempo Coloro la mensa l’attesa le pareti ma poi Oscura è la mia notte senza luna e senza te.
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Rosso ed oro
Dov’è la luce e dove l’ombra poco importa ma che un raggio non bruci fragili corolle sì che importa. Il vento, assente, non agita ali di carta così le mie vesti cucite addosso nulla dicono della mia fragilità. Rosso ed oro… cosi vicini alla terra e così distanti!
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Di che pelle sei
Di che pelle sei quando sorridi e il sole bacia i fiori sopra il muretto di che pelle piangi quando il cielo è un abisso al contrario dove vorresti lanciare un sasso ma non puoi di che pelle sogni quando dormi poche ore e le altre pensi a chi non mangia a chi muore ai bordi della strada a chi è solo con un calice che trema tra le mani bianche o nere o gialle o arancione…
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Biglia
Il pensiero di un istante, sferico disegno a catturare icone di mondi immensi. La cupola del cielo cade come fosse sabbia, era all’origine l’occhio azzurro d’un bambino ora una lama che taglia sottile la collina e sotto il mare maschera un fondo dove s’inabissa un sasso. Colpa del filtro se una biglia prende colori e luce ed interpreta il suono tornando ad eco e rotola in uno sfondo che varia mentre l’anima entra in silenzio nel nero della notte.
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Una scia di luce fino a te
E’ uno dei momenti rari in cui non bramo un vivere diverso da questa continua corsa in salita. Nuova linfa m’attraversa e di speme s’illumina la via dove il passo muove leggero sempre più addestrato alla fatica. Ma ho il cuore gonfio di pena per non trovarti sulla porta ad aspettarmi come nel recente sogno dopo anni di magra, mentre il palmo d’una mano posa sui miei occhi leggera una carezza ed il pensiero, così imprendibile, è una scia di luce fino a te.
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Chi non è più
Il tempo scalfisce ad ogni passo la mente di chi resta. Chi non è più esiste in assenza di gesti parole moti del cuore. Immutabile eterno danza in un vortice di foglie o nel volo s’innalza in acrobazie tra bianche scie ed incroci d’aquiloni o gabbiani. I tanti luoghi scrivono di scenari apparentemente diversi. Chi non è più vive ogni partenza senza l’affanno nel cuore sapendo d’essere ovunque noi siamo. Vivi ed eruditi d’un sapere che lievita inutile finchè placheremo l’arsura apprendendo un nuovo alfabeto.
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Vorrei promesse vere per te
Vorrei promesse vere per te, d’un passo allegro mentre la radio suona e tu l’occhio fino, le mani operose artefice di sempre nuove magie ma odo un cigolio, uno stridere improvviso ed uno sbadiglio confuso nel lamento per questa vita che si sta riprendendo tutto e l’affanno del tuo respiro ad una minima fatica. Un altro anno ancora a ricordare insieme i tempi passati di mietiture e floridi raccolti mentre lo so, avverti il mio pensiero baciare il candore della tua chioma nel riflesso pallido del sole. A mia madre nel giorno del suo compleanno.
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Da tempo non mi volto indietro
Come in una bisaccia tengo strette le mie cose poche stavolta, ho rinchiuso i miei pensieri barattando col caso un cervello vuoto per un po’ di quiete non avverto che il peso del corpo ma cessa se i piedi all’improvviso si fermano. Un albero secolare un muro la strada sterrata una panchina l’orologio in piazza, oltre... la chiesa. Ma non in questo ordine… Da tempo non mi volto indietro ora i miei occhi ascoltano solo i tuoi silenzi e agognano un sorriso dopo ogni bufera.
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In quella casa
Perché torno sui miei passi non so e in quella casa dalle persiane rotte dove il tetto stride sopra il capo e il pavimento vacilla sotto il piede. Il vento muove il mare sugli scogli e il mare lascia perle nella sabbia io vado incontro al mare e incontro al vento e sbatto sugli scogli mentre cerco la luce del sole quando è giorno e delle stelle il brillio quando le ombre affollano le vie i muri e i miei pensieri. E poche perle rinvengo sulla riva, parole ritraggono fedeli immagini reali o fantasie di tempi ormai passati puliti veri mentre ora il fango è ovunque e affonda il passo anche dove il verde illude e ondeggia come un mare nella brezza e reca la tacita promessa del frutto che (necessariamente) segue al fiore.
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Guardami ancora prima del buio
Non lenisce la solitudine un canto alla radio, più simile ad un gracidare di rane che nel vento si leva, in una stagione senza promesse. La cantilena di giorni che pesano anche da fermi e mille espedienti per rimanere svegli la sera quando le palpebre sbattono come imposte. Accade anche a me di cancellare il mondo per interminabili istanti e migrare lontano. Guardami ancora prima del buio mentre scivolo come una stella nel mare! Rimani, nell’onda che mi avvolge voluttuosa. Ha il sapore di te e del tuo abbraccio le rare volte che sogno ed intorno regna la quiete.
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Ricorrenze
Doveva finire un venerdì la tua tribolazione, di maggio, l’aria fredda d’una finestra spalancata a spegnerti il respiro? Non amo i fiori dai colori allegri quasi a smentire un funesto giorno. La memoria è piena di fiori rossi e gialli e di foglie a stormi e di stagioni tristi. Esonda come un fiume in piena ed io travolta dall’impeto mi dimeno. Non so nuotare. Altro guaio, altro affanno. Giungerò al sospirato giorno? Del ringraziamento, dico … per essere ancora viva, così sarcastica e spesso isterica, e lamentarmi della casualità? Dovevo nascere anche quell’anno a maggio, dopo l’infausto interminabile venerdì? Odio i fiori. Anche le rose rosse, tre, appassite, il cimelio d’un altro viaggio, per altro borgo, da me distante.
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Nel giorno del mio compleanno
Abbondanza di parole e fiori reca il giorno immagini allegre quasi il sunto d’un pensiero istanti in cui la vita cessa il ritmo e la dura lotta per una pausa ma anche il gioco annienta mentre promette divertimento e quiete mi nutro ma non mi sfamo il cielo sta barattando nuvole con pochi raggi, alieno un viaggio dove tra cime verdi e rami si levano gorgheggi. Sei come in una nicchia, in fondo, oltre le siepi sì da apparir distante ma in questa assenza sei il trillo che mi desta e muta l’ore sul finire e ad ogni attesa che non ha nome imprime nuovo sigillo. Un bacio in volo o il segno d’una mano che scava un foglio abbozzando carezze.
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E superbia?
Spesso per non parlare di qualità evidenti si cerca negli altri il minimo difetto. Ma un viso sì perfetto al nostro sguardo cessa d’essere bello per un neo? Forse per tale dettaglio è unico e particolare e aumenta in noi ammirazione e stima. Mi viene giusto in mente la superbia, un lato messo in evidenza da chi incline alla critica generalizzata mal sopportava un “giudizio” assai cortese espresso in modo schietto al suo riguardo.
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Sono passate le nubi
Sono passate le nubi sopra il capo erano scure e di pioggia erano gonfie. Tu non le hai viste? Eri a me daccanto tra uno spiraglio di luce e quel velo così opaco e alquanto misterioso. Carovane sospinte dal libeccio a bordo draghi e fantasmi e strani personaggi che spesso io mi figuro quando il tormento ha un peso che mi sfianca nella fuga e reca affanno al mio respiro. Sono passate le nubi e la pioggia è scesa copiosa su di me soltanto sottile e persistente mentre ho atteso dopo il baluginio un arcobaleno. Inutilmente ho atteso ed ho trovato la luna sfatta in cielo e il tempo insonne e la notte avara di sogni e di speranze.
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Nostalgia
Era terra di aiuole, ai piedi di tempestose cime, e di papaveri rossi tra le spighe prima che tutt’intorno crescessero rovi e cardi ed ortica e la mucillagine attecchisse ai muri tra le crepe. Era terra di sogno e di speranze il nido di nuove partenze e dove il cuore faceva ritorno, era uno schizzo a matita ora un foglio sbiadito.
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Le ore lente e celeri
Cessato il ritmo delle cose intorno che detta azioni e priorità il tempo poi s’arresta d’improvviso e l’ore han più minuti e lente vanno al declino, ad una ad una. S’accompagna a tale sensazione una quiescenza che non è riposo ma innesca l’iter di pensieri dolorosi e tristi eventi, di fatti che han lasciato in noi profondi solchi, ricordi che si pensavano sepolti ma son riemersi forti. E ci si accorge che il ruminare il bolo è fatica che strema. Ed il ritmo di cose nuove, che all’inizio paventa, è minor stento ed allontana silenzi che fan rumore.
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Padre
Nubi all’alba minacciose e boati in lontananza, innocui. Non mi sorprende tale esordio padre, era previsto. Ma il lievitare nel cuore della pena mi annichilisce. Dovrei sapere ormai che la terra non ti da affanno ed il tuo viso dentro la cornice mi rasserena quando il pensiero cede e gli occhi hanno di te più urgenza. Perché so che non è solo dal cielo che mi guardi. Non udirei quella voce domandarmi: perché piangi? Son qui nella stanza accanto e so della tua croce. 16/08/1920 11/05/1984
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Giuda
E poi ti chiederanno se mi conosci e tu sapendo di mentire dirai di no. Del mio tempo infinito dirai che è passato in un istante mentre io ancora parlo prego divago sogno creo cancello e lascio segni di me e mi consegno ad una nuova alba. Ti chiederanno quante stagioni ho vissuto in questa vita che è un nido dove covano gioie e dolori e dove il pianto, se per le spine o per le rose, non fa più differenza. E tu sapendo di mentire dirai che non mi hai visto piangere mai. - Allegoria di un tradimento -
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Sono andati via scontenti
Sono andati via scontenti a torto o a ragione per capriccio o in preda alla rabbia portando il conto delle pecche altrui minimizzando i propri errori ed ora tornano a capo basso stessi vizi, visi nascosti tra le bende nomi uguali o diversi. In petto una nuova medaglia, il rumore dei tacchi sul tappeto rosso, interminabile... convinti di dividere il trono con chi eccelle in stupidità ed arroganza. Ma quale mente sana piantando fiori nel fango può sbalordirsi se muoiono?
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Questo coro di mosche improvviso
Questo coro di mosche improvviso ora distrae i miei pensieri sul filo di latte del fico. Intenti traditi soste impreviste e la curiosità di guardare indietro oltre l'angolo, dove l’attesa si deforma scivolando dal suo riparo.
Guardo l’aria come fosse sul punto di svuotarsi dopo l’avverarsi delle cose inutili per le quali non mi dibatto tra tristezza e noia. Nell’indecisione riscrivo viaggi sull’altalena. Sei nel punto più alto quando mi sospingo sulla punta dei piedi
volando tra squarci d'azzurro.
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11 maggio 1984
La pioggia sottile al rintocco dei passi e della campana ha sempre un che di mestizia Tu nella nuda terra … sei un brivido nei nostri pensieri ad ogni passaggio del vento tra i foschi cipressi la nostra pena è sentire la tua sofferenza tra i ceri ed il marmo. Ma è la pena dei vivi. E i morti hanno altre missioni. Sbagliavamo a cercarti di giorno a poca distanza da casa, con accanimento. Stranamente, la quiete giungeva la sera mentre tu ci guardavi in un tripudio di stelle. E sorridevi... a mio padre
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Una bella cover
Scorri l’indice di fretta mentre immagini volano appropriate ardite strane consuete. Interpreta il lettore questo disordine incorniciato, all’apparenza nuovo? Disarmonie di parole suoni, falsi arcobaleni. Volti noti estranei nostri violano ogni regola di chi dietro le quinte tace. E le promesse sempre lontane come il sole all’orizzonte mentre tramonta l’ultimo sogno.
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Maggio mese mio prediletto
Muove il vento ancora le nubi Avanzando furioso per le vie Genuflette giunchi e spettina Grigie chiome di donne anziane Indaffarate ad affrettar il passo Ostacolato da raffiche più forti Ma è primavera nell’aria e s’avverte E sul coro consueto del mattino S’eleva il grido acuto delle rondini E stridono i pensieri sulla cessata quiete Mi rammento il tempo infantile quando Immersa nel verde coglievo margherite O inseguivo le farfalle su odorose aiuole Poi fu la stagione dei premi e delle ammende Risvegli dopo crudi rigori e letarghi Escogitati per limitare i danni d’una vita Disposta più a prendere che a dare Immancabile a maggio ritornava La voglia di viaggi e nuove mete E la vita in una nuova fioritura Tutt’intorno a me e dentro il cuore Torna ancora e al tempo che avanza Oppone un fiore recato dal giardino. Poesia pubblicata su "Scrivere" il 04-05-2018 col titolo di "Maggio"
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Le parole che da me non odi
Quando il mattino è un trillo e il sole un gioco tra le nubi e il caldo infante di pochi giorni già si distrae in innumerevoli capricci ed io tenendoti per mano, vorrei dirti le parole che da me non odi quando a sera spesso anche l’aria è veleno, con la sua quiete impudente come fosse ignara della nostra pena mentre il sonno gareggia con l’attesa e la notte reca altri timori, quando il mattino è vero, la tristezza scava segni sul viso. La lentezza mi assale in quel vago peregrinare per solitari sentieri ed il pensiero solo t’accoglie come fosse un nido tiepido e gaio. Ed il pensiero mi redime dal peso di parole ingiuste inadatte insensate, quelle che ascolti in silenzio quando la notte ci cade addosso... esausta.
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L’oblio una meta concessa a pochi
Annoiati e stanchi poniamo freno ad una corsa inutile. Ci sovvien alla memoria il tempo spensierato dell’incoscienza quando ogni conquista ci allietava. Abbiamo accresciuto il ritmo fino al desiderio del letargo. La vita un disegno su un foglio cancellato più volte ora ci opprime come un groviglio di scarabocchi, la vista persa in quell’inganno. E i compleanni così attesi quasi fossero miracoli di sogni sostenibili, spesso son chiodi fissati al muro a ricordarci pericoli e fallimenti. L’oblio una meta concessa a pochi fluttuanti tra terra e cielo ignari del vento sottile e dell’orlo del buio.
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Ultimo giorno daprile
Mesi che corrono lenti monotoni spenti distinti dal nome diverso le stesse ombre la fatica di convogliare il pensiero verso itinerari di verde e di luce mesi rimuginanti parole progetti lontani confusi dentro una stagione ibernata l’oppressione di un nemico che vaga non visto letale che dove s’annida prolifera ed è innaturale pensare di starsene quieti in attesa perenne mesi frenati di eventi sospesi di speranze or più fioche or più accese che torni lo stato chiamato normale. Sarà estate o forse d’autunno o ancor più lontano quando avremo compreso che l’anomalo è il corso ordinario.
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E penso al mare
E penso al mare al suo irrequieto viaggio a come s’erge sugli scogli e giunge a riva, la solitaria riva dove la luna splende indisturbata in questa differente primavera. E penso al mare al mare immenso qui confinata tra le pareti stinte protesa alla finestra ad annusare l’aria, l’orecchio ripagato da un suono più canoro dopo il grugare delle tortore. E penso al mare al suo silenzio cupo quando il vento muore, l’anima mia fremente il corpo lasso nella notte di sogni brevi un lampo.
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Dovè la mia terra?
Qui il clima è freddo sebbene si sudi ad ogni passo che avanza qui si vive emulando chi di vizi ha opulenza qui le parole sono sbuffi di vaporiera ed i pensieri treni deragliati, i sogni praterie bruciate. Qui alla vita stanno cambiando il nome.
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Migrano a sera i miei pensieri
Un grido di rondini ha zittito l’aria gremita di più sommessi suoni e dopo il tiepido sole del mattino il tempo è presto mutato. Sul silenzio si levano le note ora d’un violoncello migrano a sera i miei pensieri verso l’oblio e la mitezza del tuo sguardo.
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Verso lInfinito
Come distingueremo vita e morte se uguale sofferenza strazia l’anima. Mai ti spauriva il pensiero del distacco dalla materia. La tua anima sempre leggera come brezza al morir del giorno, quando narravi di visioni e della quiete profonda del tuo mondo pulito. Verrà l’autunno un dì, di foglie allegre e della rimembranza di tutte le gioie vissute e in cui diremo alla luna, noi savi ricchi di spirito e senza più affanno, “E pur mi giova la ricordanza, e il noverar l'etate del mio dolore”. In memoria di B.G. scomparso la notte scorsa. I versi in grassetto sono tratti dalla poesia "Alla Luna" di Giacomo Leopardi.
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Cambiamento
Vorrei avere parole nuove ma a nulla varrebbe fissare il vuoto ascoltando il silenzio altrove e in tempi andati scavo per vedere affiorare tra le mani emozioni più vive lontane ora la quiete fa male più del rombo dei motori per la strada più dello schiamazzo selvaggio dei ragazzini quando fanno a gara a chi grida più forte. Ho sete e nulla che plachi l’arsura ho fame e cibo indigesto nel piatto ho parole che intorbidiscono il mio pensiero.
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Rassegnazione
Talvolta la verità di un fatto è inconfutabile benchè ostinatamente ricusata e non servono ipotesi né analisi o spostare i tasselli nel mosaico. Non v’è speranza di mutar la sorte, nessuna secondaria via e non v’è scampo. Sicchè altre sembianze assume, dopo l’ultimo esperimento escogitato, la resa, quando in preda allo sconforto non più si oppone resistenza e della quotidiana lotta della mente in bilico tra poli d’opposti segni, non v’è traccia se non in quel setaccio che oscillando riporta i grani in superficie.
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Una pena che non s’acquieta
Domanda di vivere il pensiero, discorde dal corpo traviato da un dolore che non vuol testimoni né più brama la luce ma vorrebbe porre fine al supplizio. Non stringono un lembo le mani, del lenzuolo, una piuma che pesa una trave… Promette la notte un inganno meno crudele. Menzogna! É una pena che non s’acquieta, col solo morire del giorno.
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Abbiamo vissuto il miglior tempo
Abbiamo vissuto il miglior tempo sapendo che poi non avremmo potuto chiedere la luna. Pur fra diversità di opinioni attese esacerbanti, abbandoni pensati come le burrasche che giungono improvvise, taciti compromessi e quello che non è mai accaduto è stato il più bel sogno. Ora non abbiamo che istanti piogge di petali e sentieri di foglie e brezze dalla nostra parte a sospingere i nostri passi nella stessa direzione e un bacio ad ogni congiuntura. Abbiamo vissuto il miglior tempo, quello fantasticato sul gioco delle ombre quello conquistato nell’irrequietezza quello non ereditato mai scritto sui muri mai in volo su striscioni colorati mai dimenticato.
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Chi ti pose in castigo?
Interminabile il tempo quando il dolore annienta il corpo e la mente affossa. Vuoto orizzonte dinanzi come pure scavando affannata col desio di rianimare istanti felici nello scrigno colmo solo di antiche amare memorie. Un giorno ancora, espiato, talvolta vissuto come fosse l’ultimo Un lume consunto che uno spicchio appena rischiara di tutto l’oscuro. Chi ti pose in castigo, rammenti, riprendendosi il dono?
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Spesso gli inetti chiamano popoli in raccolta
Vola l’asino e l’elefante nasce da un uovo, la proboscide scava nella sabbia e rinviene tesori. E’ vero, qualcuno grida e chi mette in dubbio una simile verità è condannato al rogo. Così è se vi pare, bla bla bla sul rimescolio di parole, cancellando per riscrivere le stesse futili canzoni. Qualcuno dice io no ma indossa la museruola, le orecchie penzoloni, guaisce inascoltato. Spesso gli inetti chiamano popoli in raccolta allineati e coperti in un solo grido. L’imbecille di turno, la corona di carta sul capo, circondato dal fumo dell’incenso.
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Tu non scrivi poesie damore
Tu sei balsamo sulle ferite dell’anima distilli parole in un calice e scaldi il cuore col nostro elisir tra desideri e sospiri negli occhi non vani miraggi ma ostacoli vinti per sempre nuovi traguardi. Tu sei la forza che innalza ali troppe volte spezzate il vento che insiste e scansa quel velo di noia e la tristezza accendendo il sorriso dove il buio non lascia presagire spiragli. Tu sei il rimpianto di cose mai avute nostalgia di un rito conosciuto a memoria e non celebrato tu segui caparbio i tuoi itinerari dove io mi penso assente ed imperfetta. Tu spiani ogni via perché anche la croce si trasformi in delizia e non scrivi poesie d’amore perché non direbbero il bene profondo che hai nel cuore e che il pensiero non svela anche quando il fuoco dilaga di un’immensa passione.
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Il tempo indefinito
E’ questo il tempo di un bacio di labbra che farfugliano sillabe e benedicono intime emozioni è questo il tempo di una carezza pensata mutata affidata alla notte di mani come ali e pennelli e lingue di fuoco è questo il tempo di allontanare paure procrastinare abbracci costruire speranze il tempo indefinito barattato tra un si ed un no in bilico tra un’ipotesi ed un sogno il tempo ostinato fatto per noi per il nostro domani chiaro da sempre.
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Ali bianche
Ali bianche ha la mia notte perché un gabbiano è il sogno di un bambino che non ha mai visto un treno ed il suo fischio gli assomiglia anche se il bambino sa che il cielo non è il grigio rumore delle rotaie. Ali bianche ha l’alba che non ha visto salpare barchette di carta sull’acqua o su tele incompiute quando le speranze avevano un nome diverso. Ali bianche ha il tempo quando è luce e si rallegra dell’assenza delle ombre o di aver vinto la tempestosa notte Ali bianche il sudario che accoglie l’anima mia flagellata dal male.
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Lamore distante
Passi che s’affrettano fino alla soglia dentro ancora l’odore di fritto e l’aroma del caffè mi distraggo fissando i quadri alla parete e pensando già ad un calice di rosso ed un tost e a quell’attimo d’immensità accarezzando il silenzio con le mani e con le labbra un mare che si tuffa nel buio cercando le stelle il pensiero lontano da numeri e bilanci e curve. Nessuna ipotesi o previsione io la sera e la tua distanza, un vestito che indosso da tempo.
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Piove
Ben interpreta il cielo l’urgenza della terra. Ogni stilla scivolando al suolo è un pianto che la mestizia nel cuor rinnova. Avevamo lasciato il giorno e la sua quiete per l’aria tiepida serale ed ora siam svegli in quest’alba smunta di una acerba primavera. Come ci avessero sottratto il panorama, rubando il quadro dentro la cornice!
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La notte
Le mie mani operose sono morte e le mie braccia pesano come tronchi quando non sono rami spogli. É quando senti i miei passi ed io sono lontana. É quando senti la mia voce ed il silenzio urla il mio dolore. É quando pensi di abbracciarmi ed il nulla accogli col suo corpo mutevole e sfuggente.
La notte vago tra parole che non ricordo mentre i pensieri tessono indisturbati una fitta trama. E’ la tela dove
cadono i miei sogni. Ed è quando sento la tua voce
mentre ti allontani. É quando sento le tue mani ed il tuo risveglio mentre non ci sono. É quando l'alito di un bacio mi sfiora ma l’alba é un fiore che il vento sfoglia e disperde nel nulla.
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E una primavera silenziosa
E’ una primavera silenziosa così sospirata e tanto attesa giunta come all’improvviso dopo un inverno lungo più di una stagione, un inverno non certo di rigore ma di sorprese amare ed insospettate, che ancora resta nelle case quando coi gomiti sopra al davanzale si guarda il sole fuori, nitido nel cielo senza delle nubi il velo e degli uccellini si insegue il coro prima di scorgere più alto un armonioso trillo l’acuto d’un fischio o un gorgheggio ascrivibile ad una specie. Ma il tempo allegro è solo un flash sulla lentezza d’una mestizia che ora ha più solide radici. Si sta come incartati nei gesti e nelle parole, i passi svelti e nel contempo lenti per respirare una natura in fiore. Un risveglio che sembra non ci appartiene.
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La parabola
Chi è costui? Muta forse il corso delle acque? Devia il sentiero dai suoi binari? Ordina al mare d’innalzarsi turbolento o di contrarsi fino all’appiattimento? Costretto al Pianeta ed alle sue brutture e ignora l’universo spaziale... se lo ignora è per il limite, ha in sé una minima porzione che discende dal “divino”. Costui è folle, dicono. Un pazzo visionario. Ma non sarà forse un saggio lungimirante, un eccelso cultore del libero pensiero? Ascoltatemi, nella taverna stanno desinando in quattro o cinque tra risate e schiamazzo generale. In mezzo a loro c’è una toga. Ad un tavolo un po’ distante, qualcuno con un piatto di minestra. Il pazzo visionario (o forse il saggio lungimirante ) attratto dal tavolo in penombra si ferma. Se ne disconosce la ragione. Quel che accade tra i due non reca noia agli altri commensali nè li offende. Il resto tutto da interpretare!
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Input output
In bilico tra regole e trasgressioni tra chi dice si e chi dice no. Un tiro alla fune sotto un cielo nero. Respiro una terra vergine ed un’aria vuota. Il corpo stanco cede
abbagliato dallo schermo, sotto lo sciame dei pensieri. Un lieve brusio sembra un grido. M'inceppo. Memoria piena. Partenza da zero.
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Se la notte fosse un drappo di velluto
Se la notte fosse un drappo di velluto, senza uno spiraglio, non distinguerei quegli occhi che mi scrutano. Un gatto nero in armonia con le mie ombre. I sogni ora hanno un altro nome, per sintomi son simili ai desideri. Vedo fumo denso e non arcobaleni. Ma non dispero. Ho provato a ripercorrere all’indietro quel sentiero. Ho udito i passi di mia madre. Correva nel mentre ripeteva del tutto incredula, non posso camminare.
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Laugurio della domenica delle Palme
Quanti ramoscelli nel becco d’una colomba e quante palme spezzate a predicar la pace e la speranza! Immagini non necessarie appena l’anno trascorso, oggi che tutto ci è negato, le nostre parole sono così scritte ed i nostri baci ed ogni abbraccio tra le pagine d’un social. E noi senza alternativa. Ma col coraggio e la speranza del domani. Promettendoci rametti d’ulivo ogni qualvolta ci troveremo gli uni di fronte agli altri vincendo la presunzione dei nostri pensieri e la superbia dei nostri gesti.
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Guerra nella guerra
E penso al turbamento dei singoli alle abitudini d’una vita già grama, di fallimenti ed ostacoli e di patimenti, un dì dimenticati anche se per breve, in piazza. Chiodo su chiodo il peso spinge il corpo nel baratro chi più non si domanda quanto male discenda dalla sorte quanto dall’ira d’un dio cieco o forse stanco, o solamente distratto.
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Siamo ora invisibili
Siamo spariti dallo spiazzo tanto amato dalle folle che schiamazzano siamo al confine. Il nostro volto la nostra identità. Liberi da chimere e inganni. Non avevamo tempo per l’aria un correre febbrile un diniego ai nostri bisogni. Non avevamo tempo per la terra i nostri passi al tramonto una cadenza muta dopo aver dato voce alle emozioni e mitigato silenzi con equità. Non avevamo tempo per l’acqua né per il fuoco. Elementi in noi dal nascere. Siamo ora invisibili come abbiamo sempre desiderato senza suggelli ed etichette scevri da invidie e congetture siamo puri come siamo nati perciò irraggiungibili. Ed il cammino è nostro come il tempo come il diritto alla noia e alla tristezza e la paura è nostra come il coraggio e come la speranza d’una vita diversa oltre i cancelli.
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Viaggiare in cartolina
Muoversi senza spostarsi fingere d’essere stati in cento città attraversare antichi borghi per viuzze e mercatini, segrete nicchie e panorami. E visitare castelli e chiese ma arginando ogni capriccio, vivendo d'ogni scoperta lo stupore. Saranno così anche le feste, per un tempo indefinito, le palme non benedette, la colomba segregata in chiesa e le nostre case senza un filo di polvere sui mobili dall’aria sacra come luoghi solitari di preghiera. Domanderemo cieli di speranza, rifugiati nell'oscurità per sognare e cercando quiete nello scrigno della memoria quando il clamore dei pensieri ci restituirà una mente stordita.
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Se non fosse un foglio
Se non fosse un foglio, un foglio bianco, ancora per poco bianco, a narrarti di me dell’insondabile, dello scoglio del suono su questo silenzio di parole lontane dal primitivo senso. Se non fosse un foglio, non più bianco, imbrattato di matita o d'inchiostro o di sangue o sudore o del nulla che stilla da un’attesa incorporea... Se non fosse un foglio sarebbe un campo arato scuro, una fila di solchi uguali dopo il travaglio del vomere tra le zolle. Un campo arato, fecondo in ogni fenditura toccata dal cielo e da benevola sorte.
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Nell’erba incolta ecco una calla
Si può andare uno per volta, chi al meriggio chi prima del tramonto per la via silenziosa e dritta che costeggia la ferrovia. Di metallo è pregna l’aria che promette nebbia al calar del giorno. E dell’odore dell’erba sul ciglio, oltre le selvatiche radure ed il pattume. Ho udito un fischio all’improvviso quando al treno io non pensavo nè al mondo che corre ed al panorama in posa. Rotto il silenzio, la trama dei pensieri, qualche ricordo d’altre sortite a piedi, per attutire della vita il frastuono. Ora solo pochi passi, quasi contati e facendo attenzione a rimaner da solo. Dopo esser rientrato potrai fare anche tu lo stesso mio tragitto, avremo così quasi l’impressione d’essere stati insieme a passeggiare, mano nella mano e senza proferir parola, com’è nostro ormai antico vezzo. Però ti racconto perché l’ho amato questo breve lasso fuori, lungi da casa. Camminavo a passo svelto, gli occhi bassi, mi chino al suolo, e con gran stupore, nell’erba incolta tra gli sterpi, ecco una calla. In prossimità della via ferrata. Sarà un segno? Tu cosa mi dici?
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Non vedo nessun cane sotto il lampione spento
La strada non è che un segmento, da una porta che si chiude fin sulla soglia di casa. E per il prato nessuna indicazione. Hai visto mai un prato per le vie del borgo? Eppure il verde è un mare che lievita da giorni nella mente oppressa da un vago dolore. Ed anche una capra legata e solitaria, tu l'hai mai vista? Nel silenzio è uguale un belato al guaire d’un cane, fermo nell’angolo più remoto e poco illuminato. Solo una voce che geme, monotona ed invisibile. Eppure non vedo nessun cane sotto il lampione spento.
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Una domenica bestiale
Milano è presto non ti svegliare nonostante il cambio del fuso. Canta sottovoce sulle note di questa dolce canzone… ma che domenica bestiale la mia domenica senza te! Sogno di mangiare un fiore sfogliando le tue dita mentre ti parlo d’amore. Nostalgia o rimpianto di cose perdute ( o mai avute ). Parole sussurrate all’orecchio in riva al mare o sul lago. La vittoria d’un pigro pensiero sul risveglio forzato, nel senno di poi, si rivela un errore… Amore, ti ricordi Concato? Sto pensando ad un giro in barca, per questo sorrido… magari domani, quando Milano riprenderà a sognare. Sulle note della canzone di Fabio Concato Domenica bestiale – anno 1982 -
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Un sabato qualunque
Oggi non voglio udire numeri di passaggi e di mete ultime, nessuna categoria o distinzione. Sono nella mia casa, le pareti dipinte di speranza e nuova vita. Il mio amore ha occhi ed orecchie, braccia immense ed una bocca che parla di te solo e di te domanda. Ma tu sorridimi: sarà di nuovo primavera quando sarà risveglio da questa morte ora necessaria.
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Ho incontrato Nino
Ho incontrato Nino su in paese tutto affaccendato e pensieroso. È mio amico, sebbene in modo vago… chè a parlar d’Amicizia non si può qui, aprendo una semplice parentesi. Ma di lui so le cose salienti senza che mai le abbia in giro domandate. Ha tirato dritto, poco tempo aveva...
o si trattava invece di fretta immotivata? L’ho incrociato qualche mattina dopo per le vie d’un borgo non lontano, a pochi chilometri dal nostro. Un sorriso largo sulla bocca e mille domande a fior di labbra… tanto che se gli avessi dato retta il tempo sarebbe così trascorso fino a quasi l'ora del tramonto. Un elenco di cose avevo con me ed i minuti contati e le mie tappe già tutte con criterio disegnate. L’ho salutato perciò con fare assai cortese, come s’addice alle buone maniere, rinviando la grande chiacchierata alla calma mortale, su in paese.
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Senza titolo
E sulla neve piove stagione d’acqua pare l’infante primavera. S’infradiciano i muri quelli già malandati. Lo scrocchio delle ossa ad ogni passo racconta travagli e vecchi patimenti. Sul fiume, leggere vanno le barchette di carta di altre primavere.
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La solitudine della margherita
Quel che vedo è un cerchio e tutti dentro quelli che fingono di ridere e di piangere che si baciano e si salutano con calore che applaudono le loro nefandezze. Sollevandomi sul gambo ho provato a guardare oltre il cancello il cielo, così sereno ed irraggiungibile. Uno stuolo di fedeli dalla terra ripeteva m’ama non m’ama… in una margherita tutto si conta, anche i petali e al pari, di me, c’è chi si gloria di conoscere i pensieri i desideri i gesti.
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Il cielo è grigio e nevica
Il cielo è grigio e nevica, la musica al pc e navigo. Lavoro, pausa. Rifletto, evado... il gioco non rilassa ma impiega della mente energia, inutile espediente. Il pensiero ha altre vie. Non è inverno e non è primavera è un tempo morto di ricordi persone sepolte amori finiti scrigni: un tesoro di perle ed appunti. Conchiglie rinvenute nella sabbia in stagioni diverse di sole all’aperto. E' un tempo morto che corre un martedì che pare domenica e domani non è lunedì.
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E profumo di te
E' profumo di te in una lacrima che solca le ciglia e gela carezze sul viso, di un amore finito in un tunnel freddo ed oscuro nel silenzio di attese lontane. E' profumo di te nei miei occhi che incontrano i tuoi pensosi mentre la pelle mi sfiori senza toccarmi. E' profumo di te che non osi baciarmi ma respiri il mio viso spaccandomi il cuore. Sta tremando il mio corpo sotto stelle sparute.
Sono un fiore reciso sul tuo ventre chinato. Ed è profumo di te dentro il palmo dischiuso.
Pubblicato su "Scrivere" il 03/05/2014
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Ed io che non sono poeta
I poeti parlano di guerre e carestie di drammi sociali e disastri ambientali. Li pensate in un’arca in attesa che il diluvio si plachi. Li pensate su di un’isola a sognare, dondolandosi sull’amaca. Li pensate sulle nuvole tranquilli, come al bar a giocare a carte. I poeti parlano di droga e di Alzheimer di eutanasia ed oblio e di follia e di fame, sono tra noi talvolta piangono consolando talvolta cercano conforto. Ed io che non sono poeta leggo i poeti che raccontano l’amore.
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E quando avremo cambiato abitudini
E quando avremo cambiato abitudini ridefinito il concetto di libertà imparato che l’amore sta nella rinuncia e nel sacrificio, comprenderemo anche perché i figli ora sorvegliano i genitori da lontano e perché i genitori sono sempre in apprensione per i figli . Quando i giornali parleranno di cose diverse e vedremo i numeri azzerarsi e torneremo a morire di vecchiaia o d’altro morbo avremo vinto questa guerra. Ricorderemo il contagio e la cattività. Le strade vuote e i negozi chiusi le chiese deserte e gli alberi spogli, anche se fioriti. E ad ogni abbraccio e ad ogni bacio ritornerà la voce dell’astinenza e i tanti sguardi appesi al silenzio e a un granello di speranza.
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I navigli
Sotto il tuo sguardo scorrevano botteghe ed osterie, mentre passeggiavi per il canale, la sigaretta tra le labbra. Finchè non scomparivi nello spazio ristretto del tuo "disordine necessario". Oggi forse diresti “non l’amo più Milano”, come allora, al tuo ritorno alla città, quella "grassa signora piena di inutili orpelli". I tuoi navigli oggi sono pieni di gente, di gente che corre e cammina, mentre il contagio stermina vite. Non l’amo più Milano. È diventata una belva che non è più la nostra città. Adesso è una grassa signora piena di inutili orpelli. - Alda Merini -
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Amore, noi eravamo abituati alle distanze
Amore, noi eravamo abituati alle distanze, su di esse abbiamo edificato i nostri sogni costruito speranze ed immaginato ponti. Ma ora sappiamo che un bacio costa un prezzo troppo alto così come un abbraccio e non troviamo le parole giuste. Ci raccontiamo silenzi profondi evitando il calore d’ogni gesto e dirottiamo il pensiero altrove, come a disegnare per noi il futuro.
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Il tempo forse ha lavorato di notte
Il tempo forse ha lavorato di notte tra ombre ed assenze e all'alba ha appeso al muro un nuovo dipinto. Un diverso sentire ora punge come fossimo solo un groviglio di spine e chiude groppi alla gola. E' un gareggiare del corpo con la mente, inquieto, fino all’ultimo fiato. Intorno, un sepolcrale silenzio.
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Lo scorrere lento dei minuti
Lo scorrere lento dei minuti, quando la stanchezza giunge e gli occhi non vedono che un giaciglio e le parole muoiono prima della soglia delle labbra, è indicibile tormento un cadere senza preavviso in un tunnel senza pareti. E spesso i due estremi s’assomigliano.
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Un orizzonte troppo lontano
Non v’era sentore in autunno del dilagare del nuovo male un mare di foglie sussurrava nel vento che nasceva piano all’alba per lievitare fino a sera. Nostalgia di quelle ore turbolente e delle nuvole in cielo come carovane. Quando il pensiero falliva l’intento mi traghettavano al tuo mesto sentire. Ora il sole cancella le nebbie e s’impone al giorno che avanza. Sfiora le case bacia l’asfalto. Fuori… E noi, dentro a sospirare come avessimo dinanzi soltanto un orizzonte troppo lontano.
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Dovrà bastarci un raggio tra le tende
Dovrà bastarci un raggio tra le tende, mentre il vento danza e solleva la polvere nel viale. E l’aria... al riparo delle case.
Vorremmo correre lungo il ciglio della strada ed inebriarci dell’odore dell’erba tagliata e di acerbe corolle dentro un mare verde... ma dovrà bastarci chiudere gli occhi per un po’ e volare, dimenticando il male che serpeggia per le vie. Siamo soli, così distanti, ma uniti in un oscuro silenzio che pesa eppur insegue promesse buone e nuovo bene.
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Tra pochi giorni sarà Primavera
Un chiacchiericcio sommesso giunge dalla strada chiuse le serrande dei negozi chiusa la chiesa deserta la panchina nella piazza. Un coro d’uccelletti empie l’aria e risuona il richiamo delle allodole come a celare il tedioso tubare delle tortore. Il vento è lieve, una carezza appena sulla terra ancora nera ed arsa. Tra pochi giorni sarà Primavera.
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State a casa
Rovistate nei cassetti se volete o ponete ordine, leggete versi o il vostro autore preferito sulle note di un “adagio” o di un “silenzio”. Raccontate favole ai più piccoli chè loro sentono la pena dei grandi ed interrogate le mamme silenziose e preoccupate per i figli fuori, le mamme che sanno di altre guerre ed ora ascoltano, tacendo il loro affanno. Sorridete chè il sorriso vale cento abbracci e per i baci c’è tutto il tempo ancora. Vi bacerete sulla soglia e per le strade per ogni occasione e ad ogni incontro. Ma ora state a casa, e state quieti come ad aspettare un premio, chè la vita vale non uno ma cento, mille sacrifici.
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Paura
Cammini per strada, un giorno normale di vento chetato di aria che odora di cespi fioriti e di pane sfornato. Cammini da solo, silente serpeggia un timore come se all’improvviso tutto potesse cambiare. E’ un tumulto che cresce e viaggia sospeso tra angoscia e speranza ad un arcano silenzio. E’ un solo pensiero che invade la mente cercando più lievi risposte ad un fatto che pesa.
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Se minterroghi, ti spiego
Tu mi parli di spine di rovi, di cespi d’ortica. Sono la rosa deliziosa ed intensa dal profumo inebriante ma ho aculei disseminati sul gambo. E non per ornamento… Se m’interroghi, ti spiego. E ti narro di pro e di contro di disattenzioni di mani di sguardi di voci. Ma dell’altrui spine, mi spiace, io non ho competenza.
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Donna
Se potessi nascere di nuovo sarei ancora donna più di quanto io sono. Ti lascerei la rabbia la superbia la maledetta tua ostinazione. Ti lascerei godere dei tuoi vizi. Ti lascerei alla tua disperazione. A me basta dei modi la grazia la dolcezza innata e quel candore con cui disarmo le tue ostilità. Non chiamarmi con un altro nome. Cinque lettere dell’alfabeto mi definiscono alla perfezione.
Nel giorno della Festa della Donna propongo questo testo pensato e scritto con una certa ironia. Pubblicato sul sito Scrivere in data 08/03/2012 Nel 2019 sempre su Scrivere un altro autore ha pubblicato un testo sulle donne, ma impostato diversamente, dal titolo "Cinque lettere dal gran significato", che richiama, ma solo nel titolo, riassumendola, la mia poesia.
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Una casa non ho
E c’era un albero e tra i rami un nido ed in quel nido talvolta un tal frastuono che io scordavo del pensier l'affanno. E c'era un bel giardino intorno, oltre la soglia del vento tra le tende, il glicine i ranuncoli al cancello
e il gelsomino e il suono d'una voce che giungeva anche se di rado a redimere da parole scivolate, discordi da un sentire assai gentile. E c'era una mano sulla sfera,
la lampada famosa d'Aladino, artefice d'uno spirito che era afflato ed era gioia ed era vita e spinta nel proseguir il cammino periglioso ed irto verso l'agognata meta. Non corpo non ombra ma presenza,
nel nulla il tutto ed un connubio di mutua appartenenza… E c'era un nome, una favola moderna, che m'accompagna ora nei prati dell'infanzia tra viole e margherite ed aquiloni che sfidano gli angeli ed i gabbiani. Un nome che era solo mio e non toccava l'altrui terra né solcava mari e cieli. Era il tuo nome… che era anche il mio.
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Senza titolo
Ti scrivono dal fronte parlandoti di un’altra guerra ma il tuo conflitto è diverso. T'accompagni con le ombre mentre sogni solo di vivere. Non c’è alba né tramonto nel tempo che t'attraversa ma una mano che d'improvviso strappa i colori all’orizzonte.
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Sono tra le cose che sfuggono
Sono tra le cose che sfuggono non lancio richiami non ho appelli da fare non nutro illusioni. So che a me la montagna non viene ma io non andrò alla montagna. Non cerco parole, le uniche salvate nell’arca sono quelle d’amore, appartengono al sogno e alla luce. Oltre la soglia ho solo silenzi. Onde che s’innalzano ed avvolgono e che si ritraggono, onde che s’assestano e svelano nuda la riva.
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Tra il dire e il fare
Sempre è così nell’ignoranza d’un limite. Si rompono gli argini e si straripa… altro ingombro dinanzi a sommarsi al peso d’un’ordinaria fatica. Regole che appartengono ad un sempre trascurato ora minano l’equilibrio in chi è più fragile. Tangibile una libertà assottigliata sottomessa ad una realtà mutata. Tra il dire e il fare occorre restare coi piedi ben saldi distinguendo il superfluo dall’essenziale né deviare per sentieri che celano altri pericoli oscuri.
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Pensando all’isola felice
I numeri sono fermi anche la mente di chi si ostina a camminar bendato. Se impervio è il cammino si prosegue solo se all’orizzonte nitido rimane il profilo di quell’isola felice dove tutti ristoro hanno trovato. Ma ahimè questo riparo ora è una bolgia tra percorsi contorti ed in uno stallo che perdura. Col voler fare di tutta l’erba un fascio, l’odor di fradiciume ora si è sparso
e persiste nell’aria così a lungo… Li vedo spesso in sogno i mendicanti di briciole e di parole false, di applausi e di lodi e di sorrisi al buio che la luce svela in un digrignar di denti. Chi è stato un umile viandante per vie predestinate al sogno, amante d’un pensiero mai contaminato, si duole di tutto il tempo speso e approda sconsolato? (ma non credo…) tra il genere umano, quello incompreso.
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E bello amarti
E mentre compi mille acrobazie e passi da un argomento all’altro la mano sull’orecchio l’indice destro in un nervoso gesto a scansare il colletto della polo e lo sguardo fuori, ad un uccello in volo… (quel passaggio ci distoglie dalla noia o dal coraggio che manca a certe nostre azioni). Sorridi ed il contagio è presto giunto alle mie labbra ora appena schiuse. E mi commuovi dicendomi d’un tratto è bello amarti. Sei un raggio che dritto mi trafigge ed ad abbassar la palpebra costringe celando la tiepida discesa d’una lacrima.
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E breve il tempo mio stasera
Potrei ora sbalordire la platea e con termini d’effetto dire del mio giorno cruento del giogo del sonno come morte del dubbio del risveglio e di questo mio stato lasso raccontare cose esorbitanti. Ma il tempo mio stasera è troppo breve quanto una sosta sopra una panchina o un cenno di saluto con la mano quanto un sorso per chetar l’arsura o il pensiero d’un bacio dato all’aria. Sì breve è il tempo mio che il sogno avvertito si tiene già lontano e le membra vinte cadono e stordite, sopra un giaciglio, in questa notte buia.
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Si muta ad ogni soffio
Corto il respiro, affanno d’innumerevoli passi. Non si tiene il conto di scalfitture nè di sillabe e singhiozzi sulla rima delle labbra, sola necessità il silenzio tra alternanze di luci ed ombre mentre i pensieri nati liberi sono stuprati al primo approdo. Ogni speranza è vana, passa per troppi filtri. Diversità perseguite ora sepolte in un mare troppo monotono ed uguale. Si nasce ad ogni alba mutilati nel desiderio con arti consapevoli di moti e gesti, la mente spesso avulsa, protesa in altri lidi. Si muta ad ogni soffio. Fragilità di vetro. Nessuna appartenenza a quell’afflato, sul filo teso nel vuoto in lotta perenne d’equilibrio.
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Sotto un vestito di carta
Vorrei accendere speranze come stelle ed avere chiaro in mente piano viaggio meta. I sognatori hanno mani vuote e a volte ali di cera. Hanno parole che restano incomprese e croci a rievocar battaglie. Vorrei amarti sfiorando i tuoi palmi distesi, con gli occhi nel tuo viso la bocca sulla pelle, fremente sulle tue ginocchia. Vorrei essere leggera come brezza e cingerti nel ritmo d’una danza… Ma non sono che una ballerina di neve sotto un vestito di carta.
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Non ho udito che il vento
Oggi non ho udito che il vento la sua voce il fischio il borbottio il lamento... ed ora che è sera un petalo arso s’infradicia al suolo con l’acqua che il cielo rovescia, d’improvviso veemente.
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Uno strano inquilino?
Non è per il bassorilievo sul portone che sostano e scrutano l’androne. L’occhio ha il suo limite specie se vestito d’opaco, dell’anima non ha alcun riflesso. Non per le stanze sontuose avanzano, per le preziose nicchie i drappi alle finestre e le parole che suonano come un carillon. Ma per quell’inquilino che libero s’aggira e tanto più caparbio quando più è additato pel suo comportamento. E’ per il pensiero di quell’inquilino che non teme mai l’altrui giudizio.
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Un ramo sul mio cammino, già fiorito
(Riflessioni di febbraio) Un ramo sul mio cammino, già fiorito che era febbraio appena cominciato, aderente a quel senso unico di sbieco m’indica ogni dì la meta: il quotidiano mio sostentamento ed insieme pena non poco lieve per non riuscire bene come una volta giovinetta, la voce sempre incline al canto. Ma ora la vita evolve ed il tempo scorre pur tra dolori fisici (usure?) che l’anima spesso sotterrano sospinta nello strapiombo dal suo elevato cielo. Come non avesse abbastanza affanno tra diatribe varie e scorni costretta ad accomodamenti di vedute in tante diversità incomprese. L’inverno al mio paese poco s'è fermato E’ stato di passaggio cinque sei giorni? Ed il sole di febbraio è già un inganno... tra pochi giorni poi saremo a marzo assai noto per far danno e capricci. Spero però d'avere ascolto chiamando in causa il suo buon senso. È scapestrato e birichino, ma un ragazzo e nel veder la terra già traviata da mali nuovi e così oscuri, avrà clemenza.
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E poi è come dopo una burrasca
Ed è come essere attraversata da venti opposti. Come la terra gemi ad ogni passo, ancora, quando tutto sembra essersi acquietato. E poi è come dopo una burrasca raccogli cocci di te li assembli, ti levi in piedi e cammini a fatica tra rantoli e respiri affannosi. La luce tutto ciò che domandi.
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Se fossi tu la via?
Se fossi tu la via? Ed io le orme distratte sulla sabbia il capriccio dell’onda la brezza sul collo il pensiero fisso lo specchio distorto la fuga? Se fossi tu la via? Ed io un appunto conficcato al chiodo un fiore reciso un nido vuoto un mendicante di parole un sogno infranto? Pubblicata su "Scrivere" il 07-09-2012
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Un demone in me
Darei sfogo solo all’ira, permarrebbe l’incomprensione. V’è un percorso ciclico per gli uomini e per le cose. E sfociare nella monotonia è inevitabile. Non mi duplico non mi ripeto non domando. M’aspetto lumi nella notte più oscura ma se anche tardassero o io attendessi invano, rimarrei al buio nella mia fede atavica. Mi racconto proprio quando sono restia ad incontri-scontri. C’è un demone in me perspicace ed attento che mi salva dalle “buone intenzioni” del genere umano. Il resto è niente: tentativi falliti desideri incompiuti ed una verità travisata. Mi amo per l’ostinata coerenza.
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Prestami gli occhi
Prestami gli occhi che i miei guardano il suolo arido freddo grossolano e la sottile crepa e l’abisso (immaginato) oltre la falla. Scendono nel cuore della terra dove tanti han trovato già la pace. Prestami gli occhi che i miei sono muti e se puntano al cielo pensano agli aquiloni perduti ai palloncini sgonfi caduti da una nube alle ali di cera ai voli dirottati. Prestami gli occhi sto per salire, ora che la strada è vuota, fin sulla vetta, sul ramo, nella zittita chioma, per quella porzione di stelle che appartiene solo alla mia notte.
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Cinque pensieri tristi e un breve canto damore
Trilla l’aria alle prime luci. Fa opaco il vetro il fiato. Giacigli scomposti deserti, memorie di solitudini. Acerbo pensarti: tu già ai tuoi affanni io nell’ennesima battaglia che non ti racconterò, dopo. Il sole sul capo, sul tuo sentiero piove? Non dirmi… mi parli attraverso le ossa, scricchiolante ad ogni mio movimento. Avanzi. Mi ascolto. Questo bacio al tramonto è giunto così inaspettato. Forse il premio per la pazienza? Forse al coraggio per tessere un ordito di attese, sfogliando pagine spesso al contrario? La luna ha già invaso il cielo. È immensa. Ci osserva: noi piccoli, in egual modo. Non fa differenza il peso. E poi, quando tocco i tuoi pensieri m’accorgo di nicchie inesplorate e di sentieri impercorribili. Nascondo gli occhi tra le anse. Come appari mutevole ad ogni postura… il mio stato è limbico. Quando muovi le labbra odo come il silenzio di te parla e m’accorgo di necessità cadute e del tempo sprecato in aridità. E poi, quando allarghi le braccia sento come si popola il vuoto ed io cado ai margini ebbra dell’odore dell’aria che tu respiri. Quando guardo il tuo viso ogni linea è una via già attraversata, m’appartiene. Leggo ogni fioritura, ogni autunno. Sei la terra da cui amo guardare ogni notte il mio cielo!
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A mia madre
Quanti passi tutt'insieme ho udito di te. I tuoi. I tuoi e un tripode. I tuoi e il sibilo d’un girello sul pavimento. E i tonfi e le cadenze strane d’un corpo magro che fa peso e che vacilla. Ma la leggerezza del tuo piede e il ritmo come di danza, improvviso, ecco la sorpresa! Nel dormiveglia d’una stanza schiudo una conchiglia vecchia d’anni e la perla è intatta!
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Vorrei alzare gli occhi al cielo
Vorrei alzare gli occhi al cielo e ringraziare Iddio per questo giorno giunto alla fine. E raccontare alla luna d’altri tormenti e d’altre pene, d’un desiderio che lievita a dismisura d’un amore che chiede strade nuove. Ma il tempo a volte è un treno che corre portandosi via il panorama. Me ne sto penzoloni gli occhi bassi stanca di parole e di silenzi, amara... solo sperando nella clemenza della notte.
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In amor chi più ama più s’affanna
In amor chi più ama più s'affanna l'altro di compiacer per cui se l'altro disdegna le effusioni e s’allontana senza una vera ragione vuol dir che non ama in egual misura o forse avverte d’avere come un cappio al collo. Ma chi ama soffre e fa mille esperimenti e quando non lacrima s'arma di pazienza. Modifica persino il suo comportamento
e s'adegua al modo d’ essere dell'altro. Chi più ama si sa che infine cede
e non s’accorge che nel cuor tutto è mutato. Il tempo però che passa e non tanto il fato a zoppicanti storie pone fine. E il fuoco non più alimentato carbone tra la cenere è domato.
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Un mare piatto
Sono cadute vite e sogni e speranze su di un mare piatto troppo simile alla terra. C’è puzza di marcio in ogni zolla e in ogni rivolo. Venti antichi cori atoni occhi che non vedono.
Nell’aria polvere. Burrasche che spingono le folle. Amici sulla carta, ora stanno in quarantena muti nascosti dietro l’angolo o una siepe prossimi a migrare persi in congetture e spesso in letargo (apparente) seminando zizzania.
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Ti penso assai lontano
Un fischio ed un garbato trillo fuori stamani io tra le pareti e i miei pensieri, un po’ stonati. Sulla sinistra nei pressi d’una casa un ramo nudo mi desta dal fermento e mi sgomenta. Non vedo la ridente fioritura solo quel ramo dal vento devastato. Ti penso assai lontano e mi rattristo ma tra l’orecchio e il collo muove un bisbiglio. Non odo che una sillaba straziata. E poi, il tepore del tuo fiato.
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Poi torneremo dentro il sogno
E ci lasciamo scivolare tra le vesti leggere della notte sedendo sui gradini del silenzio. Tace anche l’allocco appollaiato tra i rami, poco più in alto i nostri sogni hanno fatto il nido. Riposeranno le ali prima d’aprirsi al cielo ad inseguire un luccichio di stelle. E sarà brina al mattino sopra il prato dove il passo sosterà interrogando il giorno. Sarà clemente il tempo e prodigo di speme. Ci abbandoniamo lievi nella nenia chiusi nei nostri corpi, noi soavi come piume, in un turbine o in altalena, innestando braccia come rami. E un bacio ci parrà vero caduto tra le dune rotolando fino alla soglia del mattino. Poi torneremo dentro il sogno nell’oscura cripta della notte.
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I poeti incompresi
Quelli che raccontano l'Infinito quasi Leopardi abbia gettato solo le basi quelli che non si limitano a sognare ma urlano alla luna e se ne stanno col naso in aria a contar le stelle. I poeti che indossano Montale ad ogni affanno. E ad ogni feritoia incontrano il male di vivere camminando piano, sulla groppa il peso dell'universo. E i poeti taciturni persi
nei pensieri e nei loro amori che scrivono un poema in tre parole trafitti da un raggio che è già sera. I poeti amanti delle contraddizioni
e i poeti maledetti tre volte e quelli che scrivono normale e di tanto in tanto nei vocabolari rinvengono termini antichi, poco usati taluni, altri poetici. I poeti che scrivono bla bla
drin drin tri tri o fru fru fru e forse si vogliono solo divertire in questo tempo in cui tutto è stato detto. I poeti di cantilene e filastrocche e delle odi per ogni cosa inanimata o astratta ma che non sono felici come Neruda "fino all'ultimo profondo angolino nel cuore”… sono forse i poeti incompresi?
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Senza più tarli
Ho un legno nuovo e senza tarli. Ascolta … ora il silenzio è vero ed è assoluto. E non ha peso come l’aria – un vuoto - senza uccelli, senza lo sciabordio del rio e lo stormire delle foglie e con la solitudine che non fa più paura. Su bianche pareti dipingerò le stelle per me per te per chi vorrà capire ma sarà amore e sarà vita. Sarà solo pensiero? Un legno senza tarli non ha voce. Un legno senza tarli è un legno vuoto o pieno?
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Colmo il vuoto col coro dei pensieri
E’ facile smarrirsi nel dubbio nei limiti nel vizio e quasi in bilico tra l’essere e il non essere. Non conto mai le assenze, il tempo è oro… ma colmo il vuoto col coro dei pensieri. Si prestano il verbo e gli occhi a chi è di fronte perché varchi la soglia dell’anima. Nessuna chiave. Solo i fantasmi hanno piedi scalzi, sono senz’anima perché non hanno occhi.
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Canto damore per te
Ho sempre scritto per te per quello che non hai mai detto per come mi guardi per i tuoi gesti sempre troppo cauti per i tuoi baci così casti e l’ardore dei tuoi silenzi. Ho sempre scritto per te che sai ascoltare le parole che non hanno suono e gli acuti sopra ogni coro per te che m’accompagni ad ogni istante e sei ombra e respiro per te che t’innesti nei miei pensieri e mi sei veglia e sonno. Scrivo per te che d’ogni mia sillaba conosci il senso, per i tuoi occhi e la tua bocca, per le tue mani così lievi. Scrivo per te che mi ami e mi dai le ali e m’inventi in mille forme ed accendi i miei tramonti, per te amor mio che sarai sempre quel che ora sei e sei stato per tutto il tempo che non ti ho avuto.
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Il primo bacio
Il primo bacio forse sarà l’ultimo. L’ultimo il primo, per noi che viviamo aspettando ancora di nascere.
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Passi al ritmo d’un lento ruminare
Arriverà forse un giorno nuovo di vie diverse di passi attenti che muovono al ritmo d’un lento ruminare. Ancora siepi a baluardo delle nostre case e ignote mete d’un passato che torna ad eco nel vizio dei pensieri che sfidano il filo spinato. Ma i desideri... sediamoli per un attimo ancora, prima che prendano il sopravvento, mentre cresce la marea.
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Riscrivendo scenografie
E le parole chiedono parole come gli applausi altri applausi. Abbandoniamo il panorama riscrivendo scenografie, gli occhi distrattamente narrano di similitudini. Appagamento relativo. Nascono indovini e fattucchiere e tutti han percorso le stesse vie. Chi può dire quanto ingannevole sia la verità e quanto la bugia…
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Un dì
Un dì pregavo ad ogni affanno o pena ed un sorriso a sera come un lampo breve tagliava ogni traguardo. Or se la bocca soccombe alla parola quel farfugliare è un blasfemo. Così taccio e sopporto un peso che ad un esile corpo non s’addice. La fine del giorno è la mia resa con la lusinga d’una magra quiete Eppur la notte è un fermento… quanto rumore fanno i pensieri mentre il corpo è già vinto!
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Frammento
Tornerò a te nel turbine del vento e nel rigurgito dell’onda, giungerò a te per ogni angolo su sentieri di polvere e fiori e foglie. Nelle ore colme di malinconia ti vedrò riempire anfore di sogni - i nostri sogni taciti e lievi – E sarò una stella sopra i tuoi silenzi un frammento di luce nel buio della notte.
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Non ho mai smesso di volare
Posso tornare a questa terra piangere stagioni inclementi e tasselli mancanti e trame fitte e nodi stretti, aprire l’otre di speranze nuove su vie deserte. Ho caviglie come ali. M’addestro al passo del pensiero. Posso toccare il cielo ed incontrarti in un bacio, uno di quei baci che schioccano come becchi nei nidi tra le fronde e vanno tra le nuvole, bolle che mutano forma colorando la luce. Sfumando l’orizzonte... non ho mai smesso di volare.
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Mi cresco un male che a dirlo sembra lieve...
Mi cresco un male che a dirlo sembra lieve e mi annovera tra i folli o gl'infelici. Tale é il tormento che non trovo quiete… tra ipotesi pensieri e fantasie. Se é dono quell'attimo di un vagito e tale convinzione prende forza nella breve stagione spensierata, ogni conquista poi é dura lotta e ad ogni trionfo piccolo o importante del dono non v’è memoria ma coscienza di quel vago peregrinar per triste meta.
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Vedo che mi stai guardando
Vedo che stai guardando sotto le lenti quel baffo un po’ marcato sopra il labbro... Lo sguardo sempre fisso, poi ti domandi dove é finito quel dente sì macchiato, memoria di una caduta dal castello. Sai, quel baffo io ce l'ho lasciato per non toglierti il divertimento E con gli occhi a sorridere ho imparato… che tutti mi dicono: son cosi belli! Tu invece da acuto osservatore avrai notato sul pallido mio viso quella rughetta che, se rido, si allarga intorno alla palpebra inferiore. La parola “castello” nel quinto verso è riferita a “letto a castello”
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Il tempo perduto
E' un ghigno sulla bocca, non ha voce l’emozione approdata all’amarezza. Vanno visi di cui non ricordi gli occhi e mani di cui si son persi i gesti. E l’attimo regge tutto il peso di nostalgie e rimpianti. Bisogna fermarsi per capire che correre è un affanno inutile. E l’inquietudine è solo nell’animo di chi si preoccupa del panorama. Ora tutto è mutato, anche le scene. La memoria è un’onda che ritraendosi restituisce la riva intatta.
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Scrivo di cose futili
Scrivo di cose futili di ignoranza conclamata di verità negate e cori di maschere. Scrivo di angeli senz’ali e di santi, di regni di sabbia e tempo speso male. Scrivo per uscire da questa fossa dove sono rimasta a lungo senza cibo e senz’aria.
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Senza titolo
Chiuso è il castello, le chiavi in fondo al pozzo ma le finestre han le imposte rotte e i muri crepe e falle e dal soffitto piove acqua e vento. Il ponte levatoio, ormai abbassato, l’accesso ora consente in egual modo ad agnelli e lupi. Tu guardi... e non distingui alle pareti gli obbrobri dagli affreschi.
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E un macigno ora che spingiamo
È un macigno ora che spingiamo con l’aiuto di mani e piedi. Vinceremo questo tempo morto e il male dentro, necessario. È un macigno che non ci legheranno alla caviglia. Tornerà alla memoria come un’ombra, in una forma indistinta, spinosa agli angoli. Il senso c’era e il sogno era nella forza del pensiero. Finchè dall’orlo non scivolò una goccia di cui s’è persa traccia tra le crepe.
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E fuggito via il giardiniere
E’ fuggito via il giardiniere forse per mare o forse in volo portando via le primule e le rose lasciando tra le viole un non ti scordar di me. E’ in viaggio e non risponde al cellulare le chiavi del cancello dentro un vaso o sotto un prato o forse sono in casa tra le lattine e i chicchi di caffè. Ha portato via il sole ed il temporale e l’arcobaleno con tutti i suoi colori a passi celeri è fuggito ed in silenzio coi progetti i sogni e le sue mani, un dì operose forse ora tremanti nella nebbia fitta e nella notte buia chiudendo dentro il vuoto solo il nulla. Tutto tace e tutto pare fermo. Passa un guardiano ora di tanto in tanto e osserva intorno quella strana quiete. Vagano in terra anime già spente talune smarrite e senza più una meta. Lui passa, osserva e scuote solo il capo. Pubblicata su "Scrivere" il 10/12/2019
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Ha il tuo nome la vita
Spesso i miei passi seguono il vento e le foglie, nel loro ignaro peregrinare. Invocare il tuo nome mi resuscita dal rosso e dal giallo scrollato addosso alla terra. E divengo Luce.
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Non volevamo la luna
Le parole hanno perduto ogni senso per troppo tempo inascoltate, pendono mature nel vuoto cadono come foglie ormai secche dai rami. Siamo rimasti troppo a lungo ad aspettare sognando un mondo che non esiste ormai da tempo. Non volevamo la luna ma camminare allegri fischiettando le mani in tasca e i nostri sogni nel paltò. Non volevamo la luna, sta bene lassù, in cielo, così come un lampione sul ciglio della strada e un faro sulla torre.
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Non aggiungete un posto a tavola
C’è troppo ordine nei vostri posti le vostre regole sono una trappola. Camminate a passi lenti e studiate ogni parola, nessuna inflessione nella voce e le vostre risate non risuonano fragorose, lo sguardo basso sui piatti. La vostra mensa è piena ed io non più fame da tempo né voglia di ascoltare menzogne. Fuori l’onda flagella la riva. Com’è vicino al mio dolore lo sciabordio del mare!
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Di chi è quel passo silenzioso?
Di chi è quel passo silenzioso di chi la mano? Quando han deposto un bacio sulla fronte quando hanno colto le primule nel prato? Odo una voce che non conosco e sento il fiato di un’ombra dietro al collo. Ho un nome addosso che non m’abbandona come un vestito e a volte come un velo.
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Ci vuole un albero
Tra i rami il cielo è uno specchio e le stelle si possono toccare. E i nidi tra le fronde han pigolii sommessi. E acuti, fischi e chiurli. Tra i rami volano piume, stridono becchi e s’agitano ali, in un fruscio lieve. E’ così che sono le case quando son vive... amore, non sogni anche tu una casa così dove la fame è saziata con poco, una casa che non pesa, sospesa, come gli aquiloni tenuti da un filo, mentre i bambini corrono, corrono dissennati, nel verde?
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Quelle cose d’importanza marginale
Vi sono cose d’importanza marginale che se perdute ci lasciano un gran vuoto come fossimo d’un tratto d’aria privi o delle vesti ci trovassimo sguarniti. E ciò accade a maggior ragione se quel ch’è stato giudicato secondario spronati ci ha nel quotidiano vivere e d’ausilio ci è stato per "le altre cose" che, sempre a parer nostro, rappresentano
il vero fulcro della vita. Noi con le pause il relax e il diversivo abbiam vissuto senza avvertire il peso di qualche azione che, fino alla meta, s’è rivelata, strada facendo, dura impresa. E senza neppure quella noia in cui incappiamo inevitabilmente
nelle attività che sono di routine.
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Come intorno ci fosse solo il vuoto
Chiodi seminati sul sentiero ed ombre nascoste dietro l’angolo parole false, torbidi sguardi... La nebbia si è diradata all’orizzonte ed ha restituito ogni cosa ai nostri sguardi. I piedi fermi s’interrogano smarriti. E’ come essere giunti alla fine della strada e accorgersi d’essere nudi, senza casa senza sogni senz’aria. Come intorno ci fosse solo il vuoto…
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Nei miei rari approdi all’Isola
Nei miei rari approdi all’isola ho visto morti che credevano d’esser vivi e molti uomini coi paraocchi ed altri che sapevano il loro giorno a memoria. Odo litanie nell’aria, vuota di suono del fischio dei merli e del gracchiare dei corvi o del trillo d’un pettirosso. E vedo lapidi e nomi che si ripetono, quelli dei morti e quelli dei morti che pensano d’esser vivi.
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La speranza
E resti con un piede dentro e un piede oltre la soglia tra le cose che non dimentichi e i fiori in volo con le stelle sotto un cielo dove sai che non accadono miracoli. Ma la speranza è un lume che talvolta resiste alla pioggia e a venti bizzarri ed ardimentosi.
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Rivelazione
Di quei sentieri, impercettibili quasi tra pietre e terra e cespi, ora è chiaro il disegno. Passaggio prediletto di chi con ridicoli camuffamenti ha sempre evitato la strada maestra, agevole e non adombrata da rami.
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E poi... i nodi vengono al pettine
E poi i nodi vengono al pettine cadono maschere dal viso. Amici di cui la mente già aveva sospetto di condotta non retta, ora restano nudi. Come son brutti! Pure la morte li scansa… Son sempre tra i piedi, ma han cura di tenersi distanti. Il caso, è vero, tesse spesso la trama ma poi, a volte, il destino incastra i furbi a dovere!
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Le avversità
Le nostre menti sono le stesse lì il tempo non è giunto nessuna incrinatura abrasione piega. Le avversità ci hanno scalfito forse in modo diverso. E chi con nuovo entusiasmo ora mira a cieli lontani, chi teme il nero dietro un’aria tersa.
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Passaggi
Voli bassi in cerca di briciole, punti che dopo poco macchiano il cielo. Gli unici passaggi che non destano sospetti. Mani protese lungo il tragitto. Trappole. Sulle disgrazie altrui si calca sempre il piede e la parola, se giunge, attraversa fiumi d’ipocrisia.
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Altrove nel momento sbagliato
Inconsciamente la vita ha domandato un attimo perchè il caso non decidesse un diverso traguardo un rumore udito in sogno presagio di un’esplosione: pietre e schegge e ruggine e polvere. La salvezza: trovarsi altrove nel momento sbagliato.
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Verità
Vi sono muri alti e assai massicci e scogli ad alture somiglianti onde di cui non si vede il picco abissi che non mostrano il fondo col semplice abbassare dello sguardo. Ma vi è chi valicando muri e scogli e sulla sommità delle onde e degli abissi alto si leva e libero sorvola cieli che narrano di grandi verità, inoppugnabili.
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La cruna
In quella cruna spessa tutto passa il filo d’erba il fusto ed il capello. E tutto sembra avere il suo rilievo se il varco nominato è il solo noto.
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Il nuovo anno
Ed ora che tutte le parole sono state spese ed ho invocato parole nuove e constatato che non v’è una sola sillaba che spieghi il mio pensiero ora che negli occhi hai letto lo smarrimento ed io il dolore e tu il pentimento e noi la disperazione per non aver saputo vincere il delirio di azioni insane ora che tutto è compiuto e nulla riesce a convincerci d’essere in buona fede quando pensiamo tutti di avere ragione ora che avremmo bisogno di un istante lungo un anno ecco che il tempo muta, è solo un foglio staccato alla parete il movimento d’una lancetta il vibrare d’un’ala un letargo inaspettato che giunge provvidenziale. E l’alba nuova è tutta lì, in un respiro.
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Impossibile ora è sognare
Non v’è obbligo a camminare per vie sterrate o alberati viali. Cambi di rotta o parallele vie spesso definiscono il male minore. Impossibile ora è sognare per chi monco delle ali non scorda le rare perle disseminate in un mare di ghiande.
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Il pomo marcio
Come son giunti al torsolo in tanti e per un foro minuto, un dietro l’altro? Come? Erano lì annidati. Da sempre. Cresciuti col seme e invadendo la polpa. Ecco come mutan le sorti ed una quasi certezza arretra in elusa promessa…
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Ti ritrovo lì, dove tutto è in ordine
Ti ritrovo lì dove tutto è in ordine anche lo scialle dimenticato sul divano le ciabatte nell’angolo più recondito nel raggio di un lume in una stanza piena di troppi vuoti e troppi affanni. Ti ritrovo dove i pensieri vanno e s’eclissano dal mondo ed io attendo letarghi o sogni mentre la luna splende sui tesori di questa terra e sulle sue magagne. Ti ritrovo lì dove improvviso nasce il vento ed incalza e nuovo impeto infonde al canto che mi figuro in questo tempo santo di giovani donne e di pastori. Odo lontano tra un suon di campanelli lo stormir delle fronde e un rumore di passi sul pietrisco e come in sogno il bisbiglìo discreto della tua voce.
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Dicembre
Uno schiaffo in viso il vento del mattino ed un raggio di sole è lo scherzo inatteso d’un bimbo monello. Malandrino lo sguardo ed un ghigno di lato mentre penso ad amori sepolti o lontani. Son le note nell’aria d’un bianco Natale e lo stormire dei cipressi tra il grigio delle nubi in cammino.
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Senza titolo
Inutile rimuginare e tra innumerevoli ipotesi figurarsi miracoli troppo a lungo attesi... Quel pane amaro lasciato incustodito è ora così duro ch'è pasto indigesto persino ad un mastino!
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Non so dove vanno a morire i miei passi
Non so dove vanno a morire i miei passi penso a lidi antichi miraggi ed oasi nel deserto e penso a floride siepi. Non so cosa chiedono i miei occhi stormi passano celeri e non mi domando se si tratti di corvi o gabbiani. Né levo lo sguardo. L’acuto grido non è il gracchiare grave che l’aria graffia ed il bianco nitore è preferibile al nero. Testimone di tanto clamore l’orecchio il pensiero distratto un istante assai breve ritorna allo svago consueto. Così può apparire a chi a me dinanzi legge assenze e non viaggi nei miei occhi attratti da più quieti orizzonti.
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Solo un disegno a matita
L’altra casa, sonno d’amaca ed ombre cinesi alle pareti, di lume fioco e veli e calici in alto... allegri di giochi d’acqua e voli, di visioni e speranze sottese l’altra casa di schizzi di inchiostro e fogli accartocciati di parole balbettate ed occhi accesi dal desiderio, di acquerelli sparsi a terra, l’altra casa giaciglio di verde onde miranti al cielo tra fischi di merli e quarti di luna, di stelle cadenti e castelli di sabbia l’altra casa senza chiavi senza grate alle finestre di sole e di vento di ali sospese, di mutamenti e di tesori nascosti, ora è svanita nel nulla. Non era che un disegno a matita.
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Se tu comprendessi il timore del fallimento
Se tu comprendessi l’incomprensibile ora potrei dire di amarti non come chi seppure in modo ignaro riflette, l’occhio fisso ad una bilancia che pende da un lato, su ogni deficienza o carenza. Il peso d’una groppa spezza l’equilibrio, facendo cadere ogni altezza. Eppure so distinguere piuma e trave un’ala che sfiora una rosa da un volo sospeso sull’intero giardino. Eppure so capire una mano quasi distratta in un gesto gentile ed il turbine d’emozioni d’un palmo che serra dell’altro le dita per trattenerne in petto il respiro. Se tu comprendessi il timore del fallimento di chi pur discernendo tinte forti da tenui e tempeste da brevi piovaschi, non sa far differenze ora potrei dire di amarti non come chi folle scaglia saette nell’aria seppellendo il sorriso d’un tratto nell’abisso più oscuro.
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Ora s’annega
E’ stata un’attesa vaga ed inutile. I dadi lanciati in aria come per gioco. Possibilità sprecate in promesse mute, d’aria e d’acqua. Ecco ora s’annega oppure è un nodo a serrare la gola, la sorte mutata per mano di esseri inetti e di filistei.
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Ogni tanto tadombri
Ogni tanto t’adombri come la luna a sera tra i nembi e scrivi stringhe, non attendi repliche, non domandi non neghi. Ogni tanto delle stelle ti appropri lasci il cielo sbrecciato e il lume spento alla finestra che da sulla strada. Ogni tanto dimentichi la pena d’istanti senza canto né vele e le ombre che affiorano e vanno il passo svelto come l’altr’anno. E lasci vuoti che incutono timore e cose che cadono e fanno fragore. Ogni tanto mi ami senza la luce negli occhi con lo sguardo abbassato che vorrebbe spogliarmi di una vita sì grama ed inerme. Ed osservi il cammino percorso di spine e di sassi e di gocciole sparse di brina e di pianto. Ogni tanto mi ami oltre ogni umano sentire l’amore. Ed è sublime!
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E freddo allimprovviso
Rimugina il pensiero su binari chiusi e deviazioni su quei voli sopra fili spinati e gira la lama nella piaga Inutile affaccendarsi sulla retta via agguati nei vicoli ombre dietro l’angolo dicono che il tempo è mutato Vorrei dire di provar sollievo ma è un fallimento questo trave piazzato di traverso sulla via E’ freddo all’improvviso. Ed è come essere nudi.
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Piove a dirotto
Lo sguardo chino sorveglia i passi per le vie tra le pozze nel mezzo ed i cigli straripanti di terra e rami. E sempre penso a quella casa muta, le tegole rotte e le finestre chiuse. E busso…ancora busso all’uscio anche se conscia di tante stanze vuote. Piove… E i miei pensieri son tristi, ma non per quel cielo grigio sopra il capo.
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Via dal nido
Scoppia di rosso l’aria al vibrar d’uno stuolo. Nero su bianco. Stridulo il coro non intona canto ma un lamento scava l'aria. La vita nuova è oltre le nubi sorvolando chiome coni grumoli. Approdi che sembrano lontani.
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Inutile è stato fermarsi al largo
Ore interminabili d’un tempo che non ha più scritture. L’aria ha suoni gemiti silenzi un alfabeto nuovo per altri itinerari. Inutile è stato fermarsi al largo ed aspettare col cuore stretto dalla pena. Veder di tanto in tanto prue toccar la sponda udire voci frammiste al grido dei gabbiani. Breve illusione sul crescere dell’agonia. V’è un deserto in mare aperto ad intimorir gli animi più che sulla terra.
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