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Raccolta di poesie di Sabino De Bari
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

Vertigini su Madrid

Un poema sugli ultimi occhi.
Ma non possiedo la devozione
alla bellezza
di Guido Cavalcanti.
Obbedisco semmai alle
più elementari aderenze
del mio spirito alla pelle

- i filamenti di limone
sulle tue labbra
conquistate dal gin tonic.
“Come si guarda un quadro?”  Ti domando –

La vocazione alle altezze
di Madrid
mi confonde.
Questa prossimità al cielo,
la magnificenza del cemento
angeli di pietra pronti
a spiccare il volo;
esposizioni su attici
di pittori ossessionati
da linee rette e abissi
di geometrie.

“Come? “

“Con el corazòn”
mi rispondi.
E mi chiedo quanti cuori
siano necessari per
contenere una Guernica,
se poi un tuo sorriso
spazza via dalla mia testa
quattro piani di museo
in un istante.

“Come si guardano
cinquecento quadri?”

L’incessante assalto
dell’aria gelida sulle tempie,
stinchi stremati
da gradini di chiese e
metropolitane,
e interminabili passi,
fame che irrompe,
vescica che contiene.
Come attraversano lo spazio
tutti questi esseri umani?

L’urgenza del corpo mi sottrae
alla contemplazione.
Quel che prevale,
alla fine,
non è forse sempre l’appetito?

- Un vapore di acqua tonica
raggiunge il tuo collo,
mentre ne versi ancora
sul ghiaccio che si assottiglia.
Sto per dirti in questo istante,
che sei l’immagine
più incantevole della città –

In questi giorni
mi hanno posseduto la malinconia
e la pace,
inaspettate intuizioni
e felici abbandoni.
Ho sentito questa lucida coscienza
divenire quasi inaccettabile.
E ora che conosco
altre cose di me,

[scopro adesso che Destinazione
è Destino
nel tuo mondo]
proprio adesso una carta d’imbarco
deve vincermi?

- ¿Volveras?-
mi chiedi.

 

Ma io non ho il coraggio dei saluti
e in questo istante la mia mente
è affollata come un trittico di Rubens.
Ti guardo come se potessi
fare ritorno a te,
in ogni attimo.

Tornare a questo istante.
- Atto quinto, scena seconda –
Quello in cui vai via stancamente,
poi ti volti e dici
“Cuando vuelvas, buscame”
Sentire quella cosa
che conoscevo così bene,
da qualche parte
e in qualche tempo,
ricomporsi in me
e dentro il tuo sguardo.
Quella cosa che fa così bene,
e così male.
E’ come quando all’imbrunire
non c’è più spazio per il giorno.

- Il tuo sapore di limone,
lattine di birra sparse
per la strada come forme di vita,
i semafori parlanti,
spalle che mi urtano,
biciclette riverse al suolo,
anime incustodite,
i tuoi ultimi occhi –

 

 

 

 

 

 

 

*

Calle San Marcos

Odio con tutto me stesso
la doppiezza delle concessive.
L’ipocrisia delle seconde scelte.
Eppure questo vino bianco spalanca in me
una molteplicità di rese.

Affiorare dalla metropolitana,
sulla Gran Via imbevuta di imbrunire,
raggiungere il civico numero 7
di Calle San Marcos,
salire al quarto piano
e farmi trincea dell’incomprensione,
mentre lascio fare tutto a questi tuoi occhi
verdi come foglie di vite,
come vetri di bottiglie di birra olandese.

Ora aperti.
Ora chiusi.
Colmi di desiderio e sollecitudine.

Come spiegarti che a un certo punto
di questo mio corpo,
incomincia l’anima?

Mi unisce alla tua stanza il silenzio,
mentre dentro di me,
ancora,
prende forma un’altra bugia.

Vorrei essere altrove,
sebbene io sia qui.

E accade che io vada,
sebbene io adesso venga.

*

Conversazioni con la Senna

Vestito di vento

ho respirato il fiume.

Cadeva molle fra gli argini,

sorvegliato dall’attesa degli alberi.

Vedevo la sera abbandonare i colori,

nel nero versato.

 

Avevo una paura e una speranza,

qualcosa da dimenticare

e un nome da ritrovare.

 

Paura di tornare,

al dolore deserto dei risvegli.

Quella speciale qualità del tempo passato,

quando l’hai ri(n)chiuso dentro il sonno

e lui ritorna a te al mattino,

lucido come un delfino.

 

Speranza di sentire,

per una volta ancora un pulsare.

Un effetto che emerge

da una lontana causa di baci.

 

Dimenticare un volto,

quella precisa combinazione

di geni fatali,

che fa dei lineamenti una condanna.

 

Ritrovare un nome,
perduto quando ho dimenticato

cose che i miei sogni

invece ancora ricordavano:

il mio.

*

L’anima e la pelle

Così giungevo al mattino

nelle mie molte pelli,

il male sfiorato sui disegni casuali dei nei

e il bene calcato

- amai disperato il vetro gelido dei tuoi occhi,

arreso risalivo fino a loro, tacevo –

I miei mondi assediati da ogni lato,

una sola esistenza non bastava;

le notti tagliate sui binari,

stazioni raggiunte all’alba,

dove il sonno irrisolto sfiora la vita

tenera

che esplode.

 

Perché vivere è scendere da un treno,

spossato.

 

I miei destini respinti erano cavalli in fuga,

conchiglie asciutte,

nient’altro che rumore di sabbia,

solo rumore di sabbia residua

sottratta alle onde di vetro.

I brevissimi giorni,

relitti schiantati sul mio corpo,

dopo tutti i brividi cedevoli

e inspiegabili.

- la tua lingua era ruvida come quella dei gatti –

 

Ho attraversato le notti,

in file allineate sui binari insonni,

giungevo così nei mattini spezzati, spezzato.

Da te.

 

Le mie molte anime ti cercano ancora.

Ma la mia vita ti fugge.

E accade che io ti scacci, adesso,

dalla mia pelle e dalle poesie.

 

*

Passi Perduti in casa Batlò

Definire la perdizione.

Non vorresti mai sapere in quanti modi può smarrirsi la mia anima.
Né in quanti luoghi.
Pensi di avere abituato gli occhi al buio,

ma ce n'è ancora di più fitto, altrove.
E sai una cosa?
Alle volte è accogliente,

è una resa a geometrie di abbandono,

prive di calcoli.
Ma poi nella perdita

c'è sempre un'acquisizione.
Di forme inedite venute al mondo,

 di abitazioni raggiunte al principio del mattino,

 di idiomi che si mescolano in bocche arrese.
Di quello che un'altra notte ha potuto su di te.


- Poi ci si risveglia ciechi,

 il caffè ha il sapore di una pozzanghera,

si raccolgono chiavi, abiti, ricordi,

 si cammina sotto vertigini di palazzi, dentro il sole che a mezzogiorno

 è spietato come un arrivederci –


Puoi sempre fingere che l'uomo

non sia capace di tanta bellezza,

ma se apri gli occhi la città ti trafigge il cuore.


Hai toccato un pilastro nelle scuderie di Palau Guell,

 lui respirava, sotto le tue dita.
C'era un silenzio perfetto

che scendeva dentro di te,

ti riempiva.
Potevi ascoltare voci provenire da molto lontano.


Nel corridoio dei passi perduti hai guardato fuori,

 dal vetro sottile,

hai osservato la strada nei suoi vasti mutamenti.

Facce, baci, sorrisi, domande, fughe;

ipotesi di vite.
Ti sei chiesto quanto di te fosse perduto,

e cosa ritrovato, in questi placati mattini,

posseduto dalla pelle della metropoli.


Ti sei chiesto se nella bocca francese raggiunta ieri

nella notte,

la poesia l'hai persa,

o ritrovata.