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Raccolta di poesie di Sunshine Faggio
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

xxxix

Ancora una volta,
cuore in putrefazione.
Ancora una volta,
è un'illusione spezzata
che me lo sta strappando,
mettendo su di un piedistallo
a terminare la sua marcescenza.
Ancora una volta,
zappo nei sentimenti,
scavo e rivolto
cercando invano la fonte di quest'amarezza.
Ancora una volta,
affondo dentro
non sapendone il perché.
Provo a sorridere,
ma dentro ho una tribù
di mille lillipuziani
che con minuscole corde
acchiappano la mia felicità
e la massacrano,
la prendono a calci
per poi sputarci sopra.
Muoio nel gridare,
ma nessuno, neppur io,
le mie urla sa ascoltare.


*

xxxviii

In viaggio.
Voglia di riflettere su questa Spagna
che è diventata la mia terra
e chissà per quanto ancora lo sarà.
Su questa lingua
che si è fatta mia
senza che glielo chiedessi.
Su questa Castiglia arida e piana,
su questa musica di radice
che accomuna.
Voglia di riflettere
su quanto tutto ciò mi abbia penetrata,
quanto sia mio ora,
quanto mi trattenga qui.
Quando andrò via,
quanto trascinerò con me?
Sarà il mio cuore pieno di Spagna?

*

Il mercoledì notte

Il mercoledì notte
Lavapiés profuma di libertà,
l'aria è piena di parole magiche
ed il suolo si muove a ritmo di chitarra.
Neppure le macchine fanno rumore,
a volte mi sembrano grilli
e gli ubriachi
saggi professori di chimiche campestri.
I bidoni sono bauli di legno
che nascondono ricchezze dimenticate,
foulardes con campanelli
e lettere di amicizie antiche.
I filtri delle sigarette
mi raccontano la storia di Pollicino
e mi guidano al mio piccolo rifugio di caramelle e cioccolato.

Il mercoledì notte
Lavapiés mi ricorda i sogni
che sognavo da bambina,
dove le streghe erano buone,
tutti andavano nudi
senza indossare gli strati della civilizzazione,
dove crescevano fiori tra il cemento
e con un solo tocco l'asfalto diventava multicolore.

Il mercoledì notte
torno a casa più leggera,
sogno di più e dormo meglio,
penso a voi,
sorrido
e divento più bella.
M'accoccolo sotto le coperte
ed il mio cuscino
diventa una giostra di ricordi ed emozioni.


*

xxxvi

Non ti conosco,
silenzioso uomo armato di chitarra;
nulla so di te,
eppur ti cerco.
Ti cerco tra i colori di Lavapiés,
le facce di mille conosciuti.
È stata la fortuna a portarmi a te,
Dea malvagia,
nemica della Pace,
saccheggiatrice di speranza.
Mi ha portata a te
occhi neri di pece,
creatore delle mie più recenti impazienze.
Lascia che parli con te un'altra volta,
galante pirata delle mie passeggiate;
lascia che ti spieghi
ciò che mi provoca la tua presenza.
Non voglio che, pensandomi,
rievocherai quelle altrui parole
spedite in un messaggio elettronico.
Lascia che ti conosca,
strumentista mediterraneo,
che scopra la fusione di culture
che regna sulla tua pelle;
lascia che ti doni
il più bel ricordo di me
e non quelle quattro parole slacciate
in una domenica alcolica,
incapaci di descriverti la mia intimità
di zingara allegra.

*

xxxv

Sono arrivata a sentire
con una tale
intensità
che ora
tutto
mi scorre sulla pelle.
Le cose, gli avvenimenti,
le persone
mi hanno penetrata talmente tanto
che ora mi lasciano fredda.
Sono una scarpa usata,
un lobo dilatato,
un paio di pantaloni vecchi,
un cane maltrattato.
Sono la vagina di una puttana.
Quando tutto filtra in profondità,
dopo,
è necessario avere ogni giorno di più
per tornare a percepire la realtà con tanta forza.

*

xxxiv

Dopo il Marocco,
tutto sembra silenzioso
e freddo.
Gli sconosciuti
non mi salutano per strada
ed i bambini sono di nuovo annoiati.
Dopo il Marocco,
cammino più lenta
e mi guardo di più attorno.
Dopo il Marocco,
vivo in una bolla di sapone
nella quale nessuno può penetrare.
In metro
ascolto la parola shukran
e sorrido.
Sono stati solo due giorni,
ma ora mi sento appartenere al mondo un poco di più.

*

xxxiii




Sono in un altro continente
e mi sento a casa.
Io, che appartengo a un luogo
solo durante il viaggio.
Sono nomade,
zingara apolide,
con sangue viandante nelle vene,
irrequietezza che mi è organica,
spostarsi una mia necessità fisiologica.
La mia aria,
i chilometri percorsi;
il mio cibo,
le altre razze;
mi disseta la diversità.
Sarò mai sazia?
Non credo,
non voglio riempirmi,
preferisco trascinarmi questo spirito errante e pellegrino
fino alle colonne di Ercole,
fino alla fine del mondo,
fino alla fine del tempo.

*

xxxii

Voci di mujaheddin.
Piastrelle.
More principesse
che ti scrutano di soppiatto.
I bambini urlano felici,
piccole bande di frenetici pirati
che scagliano lame al suolo,
che hanno creato dal nulla la loro passione.
Li guardo incantata,
li registro per serbare un minuscolo ricordo
di questa breve permanenza qui.
Popolo accogliente,
che profuma di spezie
e pane appena sfornato,
che ti saluta con malizia,
ma ti abbraccia con onestà.
Il silenzio non esiste a Tangeri,
brulichio di voci e musica;
l'oscurità non esiste a Tangeri,
sfumano i colori del giorno
e s'accendono, scintillanti,
le insegne dei negozi,
le luci delle case.
La nostalgia non esiste a Tangeri,
l'Africa è troppo viva
per struggersi nel ricordo,
troppo vera
per annegare nel passato.


*

xxiv

In metro
ero seduta
vicino
ad un uomo anziano.
Ho sentito
l'odore
di mio nonno.
Non credevo di conoscerlo,
non credevo
che l'olfatto
potesse avere
una memoria
più saggia della mia.

*

Sono donna

Ho taciuto:
sono riuscita
ad ascoltare il mio corpo.
Gridava,
strillava,
gemeva
per quelle mutilazioni inflittegli.
Credevo di curarlo,
lo stavo reprimendo.

*

xx

Voglio vivere
dove
si respira
meticciato;
sentirlo
nella pelle,
nelle vene.
Dimenticare
il concetto di razza
in un'esplosione di colori.

*

xix

Se il più grande timore
è quello d’esser derubati,
sarà perché non avete nulla dentro?
Le vostre esistenze
sono talmente vane
che ce ne si può appropriare
in un soffio.

*

xviii

Rapita
da un'orda di rom balcanici,
che ballano,
cantano,
flettono sinuose fisarmoniche.
La loro fobia
è il mio sogno.

*

xvii

Una finora breve esistenza
nell'intento d'afferrare parole aliene,
per poi scoprire
che nella tua lingua
ti penetrano di più,
squarciano,
invadono i capillari.
Sono altrui,
ma diventano come tue.
Voglio fare mie
le parole
di quest'universo.
Voglio berle,
sentirle nella gola,
scinderle con i miei enzimi,
digerirle
per poi sputarle,
decantarle
per ammaliare
questo mondo che scappa da me.

*

xv


Ora
con i miei
miseri
venticinque anni
di esperienza
su questa terra
deduco che
l'unica
maniera
per sentirsi bene
è lasciare tutto
e seguirsi.
Andare dove
solo
l'anima conta,
dove
ciò che è esterno
al nostro io
è superfluo
e dove
ci si completa
nell'altro.

*

xiv

Morte legalizzata,
genocidio.
Conseguenza di un sistema
costruito sul denaro,
sulla razza,
sulla paura.
Povero
e non bianco
e lì marcisci.

*

xiii

Opposizione
a questo canone imposto.
Scheletrica,
ribellione alla vostra ideale
femminilità
e vi fa paura.
Estremismo da voi voluto
che portato all'estremo diventa insurrezione.
Reazione
all’opulenza che mi circonda;
stanca della malattia
di quest'universo malato
con le mie mani m'ammalo.
Sfuggire alla depravazione
facendosi del male.

*

x

Un'altra volta a getto,
non c'è pietà.
Vorrei dormire,
non pensare,
fermare il battito di questo muscolo scomodo,
allentare la morsa nel petto,
maturare le mie parole,
vomitare questo nocciolo che preclude il respirare
per sapere che lì qualcuno mi aspetta.

*

v

V


Parole, versi e gemiti.
La scrittura mi caratterizza.
Tornando, la paura.
Di perderti,
di perdere tutto questo.
Brucia lo stomaco,
appetito insaziabile di carne umana,
mi inumidisco.
Voglia di amore,
di quelle mani.
Sfuma il suo viso,
si ficca il tuo nella mia mente.
Altro inchiostro,
la musica l'ho solo ascoltata,
ma anche le orecchie servono,
altrimenti tu non saresti nulla,
solo l'interruzione di questo lungo silenzio.

*

iv

Maledettamente pensare a te.
Repulsione.
Emicrania.
Encefalo che schianta.
Ti sento qui, ancora.
Ti voglio vomitare.

*

ii

Regna il silenzio.
Solo il latrare di un cane,
veicoli lontani.
Sole tiepido,
vento lieve che sfiora la pelle.
Sospiro, respiro.
Scappo da me.

*

i


Voglia di averti dentro.
Profumo dolce. Corpi avvinghiati.
Cielo grigio, terra rossa,
ben chiaro il tuo volto.
I tuoi sorrisi abbozzati, le tue fughe,
la mia impazienza.
Sto scappando da te
quando sei tutto ciò che voglio.
Ma soffoco.
Nodo alla gola il tuo ricordo,
brividi e umori caldi il pensiero di te.
Lo sto facendo per sopravvivere,
per difendermi,
per conservare un po' di amore per me stessa.
Organi che soffrono.
Il corpo è livido.
Gli occhi umidi.
È sofferenza ciò che mi dai,
bruciore violento, implosione di sangue che sgorga.
Eppure solo anelo un altro attimo di te.