I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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Non ho tutte le parole
Non ho tutte le parole per dire l’inspiegata felicità che dà la luce in equilibrio sul limite del cielo prima di alzarsi indistinta allagando il resto del mondo. Le frasi sempre uguali non bastano. . Fermare il respiro e aprirsi tanto quanto è smisurata la ferita rimasta tra le ciglia alla fine della notte. Non ci sarà più nome senza nome.
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Scrivere alba
Devo scrivere alba. I vasi messi in posa a chiamare gli uccelli invernali e una tenue albedo tra i rami. Devo scrivere alba dove gli alberi hanno atteso su un orlo di brina e i piccoli animali vaganti. . Sulla pagina aperta le parole che tengono tutto l’impronta precisa a cui tornare.
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Sia perfetta somiglianza
Da un finale vieni a cercarmi quando fa notte in luoghi comuni tu pagina bianca e io piccina poesia che ringrazia d’ogni riga nel silenzio della casa.
Che somigli a distese di stelle a buchi di luce, all’acqua del fiume l’anno buono già in cammino. Della chioma dei pruni in fioritura sia perfetta somiglianza.
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Dove più vero
Dove più vero si cela l’inverno vorrei gridare la parola che mi è precluso dire, sanare la ferita, custodire la foglia nel congedo delle rose; dove la morte morde coi suoi denti sottrarre al tempo lacerti di verde, alla neve, piangere per ciò che si è perso, radunare gli uccelli, credere alla loro promessa di cielo.
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Poesia d’inverno
Ti racconto i giorni bianchi d'inverno e la nebbia scesa a confondere un tempo affamato di luce. . Frugano i passeri nei vasi in cerca di tutto il possibile: anche noi come loro possediamo solo il dato e il giardino rimasto tra i rami è una patria poverissima.
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L’utilità dell’autunno
Rispondono a ogni breve raggio di sole le tremanti foglie rosse d'acero – il bosco è in fiamme.
È l'ora in cui ti avvii a contemplare ciò che resta di una stagione spogliata – sperpero di bellezza.
L'utilità dell'autunno l'hai capita nel suo ardere fino alla fine del fuoco – totale nudità del legno.
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Pioggia che non basta
Mi affaccio e tocco la pioggia. Pioggia che non basta a competere col sangue sparso.
Bagna e passa tra le dita, pioggia che non basta a rifare una nascita.
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Alba su Roma
L'autunno rivela i sogni, racconta a braccio gli anni trascorsi, i palazzi e le rovine.
Mette un verso, un miagolio o una risonanza d'insetti nella gola dei semplici.
Mostra la morosità delle nostre parole, con una sfumatura d'oro la nostra parentela con le foglie.
Roma, 16 ottobre 2022 Dedicata
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Una resistenza lieve
Qui è rimasto l'autunno tra chi conosce i nomi delle foglie e li ripete nelle luci della sera per non staccarsi dal ramo.
Appena una resistenza lieve all'abbandono nel vuoto nella cecità d'un tempo malfermo carcando mani e qualcosa che non finisce.
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La mia parola
Cosa è mai la mia parola se non sa distinguere il sogno dai rami verdi del frassino, se non toglie la spina alla rosa.
Questa mia parola spenta come i fiori addormentati sulle tombe, smemorata, di chi non ricorda più la destra e la sinistra.
Quanta fatica per una parola vera ancora da dire ai morti, a mio padre e a mia madre.
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Contare le foglie (Colori di notte)
Contare le foglie a una a una – le nate, le disperse – difficile sonno, bianca notte nel pianto d’assenze.
Come un inverno è l’attesa. L’edera e l’ombra, file di alberi sagome senza un colore. Tu sei il lampo nel buio, nel nero.
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Ottobre
Impronunciabile amore, parola vietata nell'autunno che sfoglia, che spoglia le mani dalla confidenza. Si dissolve ciò che manca, il luogo che è stato – mai abbastanza prossimo.
Non abbiamo vendemmiato. Non pianteremo semi.
L'alba resta riva e oceano, mare di ogni mio verso sceso in gola come un pianto – lacrima o ricordo che non lascia.
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Trovare la voce
La finestra socchiusa che sbatte è ricordare le calde pause estive, quando il vento breve dice il cielo, è trovare la voce per questo lutto d’alberi, questa lontananza d’ali, mentre su di noi scende il silenzio, scende dall’alto la foglia rossa.
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Continuano a durare le rose
Foglie e rami tra i capelli, gli schemi dell'autunno in cielo e qui la clemenza del giallo. Il rosso d'aceri è il sangue degli alberi. Giocare con le foglie cadute è un'infanzia senza fine ritrovata.
Continuano a durare le rose.
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La diminuzione della luce
Sei tu la mia visione, il cerchio d’occhi che imbocca la via degli uccelli. Si allarga il cielo. Li vedi i fiori rossi nelle mani? I garofani, che non dimenticano la solitudine dei morti. Sembra quasi scaldi questo debole sole d’ottobre tra i sentieri in pace. A vedere adesso obbliga la diminuzione della luce.
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Un caso di luce
La felicità è sui muri d'autunno – nell'edera eterna – riflessa in un caso di luce frutto di un grumo di cielo. Se guardi, ci sono fiori appena sopra ogni tristezza.
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Gazza ladra
Ridammi ciò che hai preso. Hai beccato tutto l’oro del mio pane quotidiano. Restituiscimi i miei sogni.
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La forma delle mani
L’alba è l’eccezione che infiamma, il superamento inequivocabile della notte – ricorrente prodigio.
Siamo ancora qui dove siamo stati, nel nostro parlarci da lontano con lingue che ci riguardano e la forma concava delle nostre mani.
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Alba
Tutto quello che nasce io lo bacio con gli occhi. Apro la bocca tra le foglie e in mezzo la preghiera.
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Il tuo stesso cielo
Benedici i nodi alle dita che hanno legato le rose scomposte, le ginocchia piegate, le spine, i sentieri nascosti nell’erba cresciuta a lato dei fiori. Guarda la sera contare le note cadute sui rami – le minime – i toni dell’acqua piovana.
Scendi in terra, anima persa, fiorisci di piume, poi torna a salire. Si specchia quaggiù il tuo stesso cielo.
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Per essere salvi
Una saliva di pioggia – un'orazione, un pianto – che potrebbe bastare a preservare i respiri nella gola dei papaveri, un modo per essere salvi ognuno dalla propria parte, noi, le foglie, il cielo.
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Aspetto che si sposti l’ora
Aspetto che si sposti l’ora cercando una quiete d’acqua e neve – tempo che ancora non si annuncia. Poco muta – anche d’estate. La strada costeggia sempre i giorni che viviamo.
È calma questa misura d’aria – si accendono fuochi nella sera per l’incanto dello sguardo. La brace conserva la memoria della fiamma, come il corpo il riverbero d’ogni lacrima versata.
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Con una lacrima
Assisto al gemere degli alberi afflitti, ai merli in cerca tra gli sterpi e i rovi in preghiera oltre i cancelli. C'è un sommesso implorare nell'eco lontana delle foglie, nel grido delle lanche secche dei fiumi. . Vorrei per tutti un sollievo, consolare il mondo con una lacrima.
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Tutto torna
Alba. Sicuro luogo vivo, cose nuove in cerca di luce. Essere qui per amore, acutamente, cercando il respiro. . Per la necessità d’infinito si va arando l’oltre dello sguardo. Tutto è già chiaro, tutto torna.
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Siamo soli
Ognuno sta coi suoi ricordi nel silenzio dei nomi. Circondati da remoti pianeti siamo soli.
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Non dorme la notte
Non dorme mai la notte tra le presenze misteriose e care di mondi inaccessibili. Il giardino parla un’altra lingua che non conosco – non c’è stagione dentro al buio. . Lasciami parlare di ciò che manca come qualcosa da portare alla bocca per farne pane. . Lasciami parlare con te quando la notte si addensa sulla fronte e tu resti dentro questa carne – unico sogno o vita che ancora m’insegna a essere viva.
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Farò pace
Farò pace con tutte le parole quelle mancate e quelle cadute nello strame dove raccolgo qualcosa che descrive il perduto come un desiderio inconsolabile o una solitudine.
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Se manchi
So che aspettarti è stare con un fiore in mano sull’abisso. È avere una ferita che chiede una cura.
È un vuoto fedele la tua assenza, se manchi è perché sei parte.
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Le belle cose rampicanti
Le belle cose rampicanti – le rose – hanno dentro un grido, rosse antifone nell’enfasi del verde, scavi continui di radici per salire contro tutto il paesaggio cercando la luce. Salire con lo sguardo – come loro – scegliendo il migliore appoggio, affacciarsi spingendosi in fuori fino a vedere le nuvole muovere il cielo e i piccioni che incorniciano le altane.
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La tua voce
Scrivevo poesie in tane oscure quando non era nata una voce. . Sei venuto ogni notte bruciando il sogno, sei acqua che incendia. . La tua voce, il tuo corpo-voce conosce per sempre il segreto.
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Una parola nuova
Il buongiorno e tutte le altre cose che ti dico sono diventate il mio pane. Sento la primavera nella mia bocca ora che nel vuoto sta tutto il verde.
Gli uccelli assaggiano l’aria come il miglio gettato sui davanzali. Dire albero è una parola nuova.
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Questa la tregua
Questa la tregua tra la vita impaurita e quella accettata per legge: le giornate varie di nuvole dove nidificano le parole in un istante di verde le mie estati messe in fila coi sandali ai piedi e gli abiti domestici lo smalto rosso alle unghie. Il libero pensiero senza resa.
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Non c’è altro
Non c’è altro per noi che questo sguardo d’alba immagini che si sfumano poche righe. Non c’è altro che questo scrivere di noi tra le calme riserve delle tende dove s’affacciano altre vite.
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Dare un luogo
Il fuoco feroce dei gerani assottiglia lo sguardo sotto un cielo sgualcito che annera. Ritirarsi è l’unica difesa contro la tempesta tirare le tende dare un luogo alla pena.
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Materia breve
Siamo materia breve sotto il mormorio dei pioppi – una fragile imbastitura sconosciuti fiori lungo il ciglio della strada.
Dormiamo ancora sotto la neve danzando la tristezza. Solo gli uccelli scrivono in alto quando fa giorno.
Per il bene dei passeri – per il nostro bene – è tempo che la pietra rotoli che la terra apprenda come fiorire.
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Sempre tu stai
Sempre tu stai nel fondo del mio occhio come l’impronta che non tolgo, il bagliore del vetro. . Ogni oblio conserva una luce – una silenziosa resurrezione – ogni albero un anno, la quiete il desiderio.
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Il cielo di Kiev
46o giorno Il cielo di Kiev sta su a malapena dove il mondo è girato a rovescio e i prati non tornano verdi in aprile.
Non c’è differenza tra uomini e fiori: si lascia la terra in un vento feroce.
I morti parlano tutti un’unica lingua e tutti si chiedono come si cade, perché si muore in primavera.
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Quasi pioggia
Questa quasi pioggia è già una soglia di benedizioni per colmare una sete senza nome e i viali primaverili non ne sono immuni.
Temo solo per la tenuta dei fiori.
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Per poco fiorire
Indugia la meraviglia sotto la scorza degli alberi, sotto la pelle nelle vene, nei chiostri del vento. . È di enigmi il giorno, come le rose ancora ignote per poco cielo, per poco fiorire.
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Nella notte
Nella notte hanno abbaiato i cani destando la nostalgia di un corpo che mi accolga come fa una terra. La mia anima selvatica conserva come una cauta specie di dolore. Non esco mai indenne dalla notte.
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Voglio una parola
Voglio una parola che parli – la parola misteriosa e veggente – che riconosca galassie nelle venature delle foglie, le sfumature su cui poggia il cielo. . So dire poco, assai meno di quanto in vita ha fatto mia madre. Conosco i piccoli segni sui muri, ma il prodigio che fa sbucare le viole è un dondolio ignoto alle labbra.
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Sul confine
Tengo a bada i lupi notturni, metto in salvo il respiro. Nelle profondità che non vedo stanno insieme il silenzio e il suo grido. . La vita sta tutta sul confine tra la pelle nuda e la mano che l’accarezza, tra la corteccia e la gemma.
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Ogni mancanza
Ogni mancanza dovrebbe cedere alla primavera – che sia d’ala o di verde – le parole fiorire dai lunghi silenzi come un giuramento.
Esse sono qui, tu scrivile sulle punte gialle delle forsizie, spargile come semi di girasole. Abbandona il pianto, come le gemme presto saremo fuori dall’inverno.
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Bianco su bianco
Abbiamo questa non un’altra età possibile, la nostra vita scampata ai pericoli, al diluvio, agli anni senza amore. . Dobbiamo imparare a vedere – come gli occhi vedono belli i fiori anche in inverno – avere le giuste diottrie per una poesia che scriviamo bianco su bianco.
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La soglia che varchi
Voglio occupare tutto il tuo bianco entrare la sera nei tuoi perdoni nelle orazioni che chiedono pioggia. Voglio essere il seme dei tuoi versi il nome, il pensiero che non lasci la soglia che varchi per abitarmi.
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Una forma d’attesa
Osservare l’inverno è una forma d’attesa – impresa delle pause emblemi di silenzio, di respiro. Un inchino nel tempo dell’assenza.
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Spoglio l’abete (poesia d’amore)
Spoglio l’abete dopo il viaggio da Oriente – tolgo i decori, tengo a mente il verde.
Intero l’inverno si scioglie dentro scatole di luminarie.
Svesto l’abete e l’estate – nostra eredità – da calde lontananze mi assale.
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Orfana la sera
Orfana la sera, orfane le spalle – quel loro aspettare. Orfana e dolce tutta la mia pena nel desiderio nella smania di scandire le stagioni col tempo – le ricorrenze i capoversi – fino alla coincidenza. Orfane le mani – questo mai toccarti nella solitudine di un foglio bianchissimo. Gli occhi rimasti chiusi nella sovrana luce del mattino.
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Quasi alla fine di un anno
Tu sempre ti avveri – alba – dove si fa colore il cielo, lieve la vita nella tua mano piena di silenzio.
Quante volte siamo nati negli inverni bianchi, col caparbio desiderio dei fiori. Tu dici ci sarà gennaio ad accudire il mistero e poi aprile. Ci baciamo nel tempo breve. Ci baceremo ancora.
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Forse la neve
 Non so il motivo, forse la neve dentro gli occhi e poi il silenzio rimasto sui rami. Le parole si perdono – quelle infinite che si vorrebbero dire – negli istanti rappresi. Solo una piccola corte d’uccelli ancora racconta un inizio.
Buon Natale !
* acquerello di Silvia Molinari - dal web
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Dickinsoniana
Per la porpora dell’alba ha covato la notte – per il bisbiglio dei passeri – per la prodigiosa gioia – come accade agli uccelli in festa per poco pane.
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Poesia di tremore
C’è una poesia di tremore nell’attesa un continuo chiedere la pronuncia del nome – il tuo sigillo – quando si frantuma la notte e viene alla luce tutto il nascosto con la vita delle creature alate e noi che abbiamo dormito il sonno invisibile degli alberi nella neve. . Torna l’incedere del battito, il sangue a scorrere, il palpito comune, l’amore quando somiglia a ciò che non muore.
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Frammento d’autunno
La pioggia farà tacere le foglie e i nostri nomi al secolo nella bassa statura delle erbe. Tu dimmi come salvare le rose.
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Dovrei scrivere
Dovrei scrivere di tutto il giallo e di tanto altro rosso nel soffio di poche parole lungo il viale del tramonto. Scrivere delle vite le comparse le scomparse il nascere sempre in modo diverso ma ugualmente il finire. Di tutto il tempo vedere la nudità mentre si scrive per dire qualcosa delle cose sole di tutto ciò che non resiste.
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L’unica cosa che torna
L’unica cosa che torna dall’ombra è quest’alba, versando il suo rosa nel bianco di tutte le assenze. Qui suonano le campane e in cielo si stanno formando i larghi stormi per l’addio avvistato in controluce. Nessuna voce tra l’una e l’altra vita, solo un conversare acceso d’uccelli. I morti non parlano più del tempo.
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Dove si replica l’autunno
Da qui non è mai vana la sera, l’opera ultima che snuda l’orizzonte, il canto appartato nelle gole. Da qui venite, ospiti cari del ricordo.
Questa è la verità di quest’ora incerta sulle siepi e sulle case, questa è la sua misura – un palmo di silenzio e di memoria, l’addolorato trattenersi delle foglie.
Qui, dove si replica l’autunno, viene il giorno dei miei morti.
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Decàde ottobre
Decàde ottobre nel giallo dei crisantemi, nelle assenze incrostate di dolore. Eppure è autunno, tempo di piantare bulbi e semi, di scavare nella terra bagnata, ricoprire tutto di pietose foglie.
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Se lo sapessi
Se lo sapessi te lo direi. Ma non lo so. Non so perché sia così ardua la notte.
Io che dell’alba ho fatto una casa per sempre, una culla per neonati; io che mi vesto dell’autunno, conosco solo le foglie appuntite, la mia corona di spine.
Se io lo sapessi, ti direi quanto sia stretto l’inverno, il passaggio. La croce.
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Au nom de la rose
In nome della rosa piegata sullo stelo d’ottobre, che non dice niente della pioggia nelle ossa del dolore e delle spine acute, esposte, rosse del colore della sera il grande colore dentro le piaghe. È per questa rosa che si prega – che si resta vivi – quando il cielo viene giù e si sta come un prato sotto la grandine e non c’è strada diversa o sentiero in questa vita, in questa terra arata passata a ferro e fuoco.
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Essere rondine
C’è un discorso interminabile tra gli uccelli e il cielo, il volo una preghiera perpetua, un’intercessione che aggiunge oro al distacco delle foglie e al mio corpo disteso nell’aria che mi governa quando non sono bestia di bosco nella tana dei solitari compiti. . Essere rondine. Dove fioriscono i ciclamini sui balconi bagnati di pioggia sciogliere le ali, lasciare ogni cosa al suo niente credendo sempre in un’altra via.
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Ti presto la mia bocca
Ti presto la mia bocca come la foglia rosso acceso di una siepe familiare per il sorriso chiaro di chi ha visto Dio tra fili di gramigna; le labbra stupite del fiore che ancora non ha nome.
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Ogni cosa persa
Ogni cosa persa o trovata ha un dolore nascosto, se lo vedi, nel risvolto delle foglie smarrite tra i viali. . Quello che la luce insegna è la rivelazione dell’ombra in margini di cielo, dentro un fragile tempo. . Ad ogni alba sai che la vita è esposta alle intemperie, alla luce e al buio, alla prossimità della solitudine.
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Muove la sera
Muove la sera il suo sciame d’abbandoni e di ricordi. Sorgerà il sole un’altra volta, lo giuro tornerà la rosa rossa – eloquenza del fiorire – la parola dalla bocca dei miei morti.
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Verso casa
alla mia nuova casa Verso casa non crolla il cielo le nuvole sbiadiscono lontane. Sono tracce di rosso le ultime, come fili d’un’antica legatura. . Cosa dirà dei morti – mi chiedo – questo cielo. Dall’alto cadono i giorni, le stagioni, disegnano porte, passaggi da cui l’oltre può tornare dove vita è stata e vita è ancora.
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Autunnale
Riprenderemo a parlare dietro i balconi sfioriti nel tempo della luce nascosta dei bambini tornati all’asilo. . Riprenderanno a parlare di noi le poesie distese sul tavolo della cucina a ricordare i bagliori tra i rami le rosse code d’uccelli smarriti. . È l’autunno dei giorni prossimi al buio dove ascoltiamo le voci lontane dei morti (dei vivi) che chiamano da una terra dietro le nubi con mani rimaste ad aspettare i nostri ritorni.
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Il rosso si addice ai compleanni
Le cose hanno bisogno di terra: il rosso dei gerani si addice ai compleanni. Ho fatto radici nell’alba come un albero che beve la voce, l’amabile eloquio degli uccelli. C’è l’oro nel setaccio dell’autunno.
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Di nulla e di tutto
Passano i nomi: ti ricordi i nomi? Io sto ai tuoi occhi come il nome sta alle cose che diventano giorno. Fuori i gesti delle case dove la vita risponde al richiamo di settembre. Lunedì fittissimo di nulla e di tutto.
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Non lasceremo l’estate
Noi non lasceremo l’estate – non ancora – la sua luce e la rondine. Non ce ne andremo in un soffio lungo la siepe senza more. Non lasceremo il posto dove un tempo accoglievamo le parole orfane. Vedi, l’uva è quasi pronta maturerà in un attimo – nella notte – Noi non lasceremo l’estate il sole che bacia le mura di casa quell’azzurro improvviso dove passa la rondine e resta solo il cielo.
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Levami le lacrime
Levami le lacrime dagli occhi o piangerò tutte le acque del corpo con tutte le stelle del cielo. Asciuga il sale dai miei occhi – tu lo vedi – piango come l’inverno. Mi hai fatto conoscere l’estate mentre nascevo la seconda volta nel mezzo di una terra profonda. Levami le lacrime, ridammi le foglie: tutta quest’acqua mi ricorda l’inverno.
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Come guardare il cielo
L’acqua si confonde dentro l’acqua e la terra nella terra. Saremo un indistinto niente che è stato un giorno. Portavamo alta la rosa sopra il capo: l’autunno ha tolto il fiore e la spina è senza foglia. Abbassiamo gli occhi proprio ora che è più chiaro. Nessuno ci ha detto come guardare il cielo.
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Se ai santi diciamo
a P. Se ai santi diciamo i giorni riceviamo sulle labbra la salute e l’intenzione tra fessure d’aria consacra alla clemenza il grido delle rondini e le lingue rampicanti delle rose. Da tempo sappiamo che i miracoli non seguono i corsi d’un dettame umano: sono fonte libera che sgorga da un’argilla anche arida d’amore e sparge fiori rossi lungo i campi.
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L’inverno dei merli
Questi paesi sono rimasti soli su vie di erbe amare e pietre lucide di pioggia. Dai tetti sono migrate miriadi d’uccelli e la ruota del mulino non macina altro che il tempo. È vicino l’inverno dei merli spauriti, dei dettati di neve agli usci.
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Fino agli estuari
La notte ha lasciato intatta l’acqua della rosa, il tono del tuo respiro profondo; goccia dopo goccia si distillerà l’estate, concederà la sua temporanea immortalità, fino agli estuari del giallo.
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Chiedimi
Chiedimi un argento d’acqua tra le rive, il riverbero del sogno l’immagine attardata tra le righe in attesa di un verso nel declivio della voce l’ombra china sull’estate, il refrigerio tenuto in serbo per l’amore.
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L’afa sulle rose
Il dolore toglie la cornice ai giorni l’alba rimane un’inspiegata fedeltà. Hanno spine acuminate gli occhi spilli notturni per le labbra chiuse. Delle doglie ci si scopre prossimi. Il fuoco brucia l’avorio del tempo le rondini non restano per sempre. Che ne sarà di questi pochi versi? L’afa sulle rose mi ricorda il mese: anche la gramigna d’estate secca.
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La traiettoria degli uccelli
Esce dalla visuale la traiettoria degli uccelli in volo verso un altrove sconosciuto. In fondo è così, delle storie sappiamo solo l’inizio, il transito. Solo essere qui conta oltre il sogno e i pensieri sciolti sotto il melograno. O forse l’attesa – il suo profilo che tocca i margini del tempo – unico possesso per eludere l’impossibilità nostra di vedere oltre.
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L’ingratitudine dell’estate
Luglio, principio di arsura. La distanza dalla tua bocca dissangua i miei versi, la lontananza mi asciuga gli occhi. Vorrei vedere salva la gioia degli uccelli: forse anche loro temono l’ingratitudine dell’estate.
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Nessuno s’accorge del cielo
Può durare notti intere l’attesa di una parola, la foglia cadere o la neve gli occhi fissi nel punto in cui tutto è scomparso, la linea che ha inghiottito il giorno. È un privilegio d’occhi leggere tra i segni, dove nessuno s’accorge del cielo.
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Ancora voce
Il suono è nelle vocali. Proprio dove cade l’accento – un’emergenza segreta – la domanda trafitta nel tempo arato dal ricordo, l’artificio della memoria per salvarsi dall’assenza. Ogni ombra è spazio negato – tolta visione – ma dentro ancora voce non parola, voce che chiama dal buio, senza rimedio.
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Non c’è altro da fare
Non cessa l’assolo dei passeri all’alba come a espiare una mancanza che la notte ha reso più viva. Non c’è altro da fare che questo tornare a chiamare senza stancarsi, senza respiro. E scrivere lettere solo d’amore con le parole prese dalla tua bocca.
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L’erba parla
L’erba parla come parlano i morti dal basso fondo scuro cresce un respiro, una sembianza, una voce. C’è il fango, la neve, l’ombra, la pietra. Non occorre sapere dove il nome è scritto per sempre. Abbiamo confini in comune con l’erba dei campi, le radici affondate ma i morti nessuno li vede.
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Non passano i treni
Non c’è nessuno che viene a trovarci. Abbiamo steso zerbini sulla soglia di casa, lucidato maniglie d’ottone, ma nessuno ha bussato alla porta. Anche il vento se ne sta oltre le nubi. Non passano più i treni dalla Bullona. Avevamo scritto versi sui muri, erano sogni confusi in un prato di steli, erba secca tra i sassi è ciò che è rimasto. Siamo eterni soltanto se dura il ricordo.
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Credo alla tua parola
Credo alla tua parola quando si fa culla del nome – respiro speso lungo i margini del corpo a farne casa scrivendo l’età delle mie ossa il dolore dei piedi scalzi la ruga sulla fronte. Il giorno ha assoldato centurie d’uccelli per la profezia – perché io rinasca come l’erba. Ho sempre avuto il cielo a reggere la pioggia a dire il mio tempo vegliato. Ora attendo la pronuncia della tua bocca – un fiato o un belato su fogli bianchi – per tornare viva quasi da un al di là.
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Insonnia
M’accompagna insonne la notte, l’uniforme e inerte stato, l’oasi dove il buio si prende tutto il tempo e le cose hanno contorni invisibili. Non vedo mai gli uccelli dormire, non so dove riposano o se hanno ali mai ferme. Chi conosce l’etimo di questo stare pur essendo altrove, il giaciglio della mia consistenza? Chi mi dirà la durata? Invento segni per l’eternità.
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Il favore del vento
Passa il favore del vento nel volo dei pioppi – la semina resta incerta. Un fiato disperso tra le case attraverso i cortili. Su ogni cosa muore l’aria – sottovento la strada che mai accosta. Passa il favore del vento nel modo in cui tutto passa – come somiglia alla vita.
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Quasi senza morte
Ricordo il tempo, la stagione. Ricordo nato dallo sguardo a questo cielo che non fa mai ombra. Ecco cosa chiamo amore, amore che resta intoccato e che torna. Quasi senza morte.
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Sospesa la notte
È rimasta sospesa la notte nell’invisibile buio, tra la pioggia e l’attesa del bacio. Ho liberato parole come lanterne di carta o semi, luminose attecchiscono nel silenzio.
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Fedeli al giorno
Ogni alba impasta di luce il natale delle cose senza neve, in silenzio. È una piccola innocenza che viene avanti coi suoi chiarori diagonali
e la primavera all’angolo della via, lucente, fonde i colori al candore degli uccelli, a colloqui di passeri. Fedeli al giorno impariamo il battito.
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Lungo i margini
Lungo i margini delle pozzanghere scivola il paesaggio urbano frastagliato di alberi e case, bordi dentro cui immaginare il cielo. Si è bagnata la vita in segreto all’ora solita, quando la luce è uno stato di confine e puoi vedere una luna diurna nel verso rovesciato, senza alzare gli occhi, mentre tramonta la notte con la sua insonnia in un altrove fatto d’ombra e pioggia, estremo rifugio d’uccelli e immagini trascorse, inghiottite nelle gole ancora chiuse dei convolvoli.
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La notte ha acceso
La notte ha acceso una candela tra il pensiero e il sogno perché non scompaia il volto e il sorriso alato come una leggera ombra dove ripararsi dall’incuria del tempo.
Si mischiano le ore alla polvere al giro di foglie che riporta l’estate dentro gli occhi. Mentre dormi disteso sulla sponda del tuo fiume il tuo viso si accampa sul mio cuore.
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Poco sopra le viole
Recisa la notte, denudata del suo velo nero; a luci spente vedo salire la vita inquieta – realtà vestita di inni – una migrazione di colori in questa parte di cielo.
Le tuie del parco bevono a una sponda di luce. Gli occhi ad altezza d’orizzonte misurano la distanza dal giorno, il cuore poco sopra le viole.
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Prestami la tua bocca
Prestami la tua bocca per dire le parole – i bambini scalzi hanno la bocca rosa prossima alla meraviglia.
Dammi le parole sulla lingua i semi di tutte le parole che conosci – la voce, il tuo respiro – Se ti leggo le labbra tra le piccole soste imparo a memoria un canto bianco. Cuore dell’alba.
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Su sfondo verde
Non semplicemente l’alba, ma un uccello acerbo che parla di lei con note minime. Forse accadrà che ci accontenteremo di una piccola voce distante, del profilo in tenue luce delle case, o anche solo di vedere spuntare nell’erba un fiore, un quasi nulla su sfondo verde.
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Di notte vieni
Di notte vieni e vagli i miei sogni come la scorsa pioggia d’aprile. Non c’è spreco d’ore prossime né parole da dire apocrife nel tempo serrato tra i corpi dimenticando la distanza con occhi commossi alle acque. Le voci fuori, un richiamo di stelle.
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Arriva alla gola
Arriva alla gola il cuore come un torrente risalito, una stretta. Voglio fare presto, nel lento azzurro che sale trovare il senso. Scandaglio l’alba e il tempo, resta il mistero. Il domani esiste per fede.
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Voglio portare fiori
Andare per cimiteri non è poi così strano. Continuamente la parabola del giorno ci depone a occidente, nella conca dove la luce diviene la cenere delle ore nel braciere del cielo, in esercizi d’addio. Sarà la tua voce presente – o forse il sogno – che mi sospinge lì per guarire il silenzio, perché una poesia mi accolga ancora. Forse saprò cosa sono venuta a cercare, se le parole o la verità su ciò che passa oltre. A Roma voglio portare fiori alla Rosselli.
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Il pane da lontano
Sorvola quest’alba come fa l’allodola – o il passero. Sono il pane da lontano che sfama l’occhio magro. Sono l’erba scura e umida tra le ginocchia. Esserci nella distanza, noi, allattati dal desiderio. Contiamo case e ville e cancelli insieme ai nostri anni. Esserci visti rassicura. E siamo. Raccogliamo ancora in larghi bacili tutte le stelle d’agosto.
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Come dire
Come dire tutto questo? Sempre più vasto il cielo di marzo spalancato a voci acute di molti uccelli, e l’oro nascosto nell’erba tra miriadi di bocche, l’ora già prossima al tuo accadere.
Primavera.
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Le splendenti cose
Volteggia l’alba dei piccoli uccelli nei comandamenti celesti. Credo ancora a un’alleanza di piume a un soccorso di voci per salire.
Scelgo un davanzale da cui vedere quanto spazio c’è tra il cielo e il cuore. Per dire che non sono sole le splendenti cose inosservate.
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Il ritorno
L’alba mi guarisce dalla notte, dalla spina dell’assenza che affama con la sua miseria premendo in centro al petto. Il ritorno è segnato da riverberi e tracce nell’abbraccio del cielo, fili intrecciati, striature. La pronuncia della parola vieni.
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Lattesa di Emily
Nasce nell’attesa la parola che dice la gioia, sul filo sottile delle labbra, sospesa tra l’origine muta e il nome amato – tra il cielo e il prato fiorito. La pazienza è il coraggio dell’assenza, è la certa speranza del silenzio, una lingua che sa stupirsi d’un venire.
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Se fosse questo marzo
E se fosse questo marzo con la sua inquietudine, il suo ritmo ancora avaro di fiori a somigliarci? O sarà il dolore, le lacrime trattenute tra le rime degli occhi – linguaggio privato – a dire la tristezza? Se una cosa ci accomuna è questo stare con l’anima trepida e il fiato corto domandando il senso di una primavera che stenta, alzando al cielo il nostro contorno di pianto.
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In forma di addio
Il passato è una notte aperta alle falene un vorticare di foglie accartocciate nelle dolorose ricorrenze il tuo ricordo assume sempre la forma di un addio.
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L’alba che mi dirà ancora
Baciami la fronte e apri in me la segreta notte, nei sottopassaggi, negli anditi del desiderato sogno – dolcezza sulle tempie, tempesta nelle vene. Insegnami l’arte, la tua parola sulla bocca, fino all’alba che mi dirà ancora la meraviglia di cui sono affamata.
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Il nome e la rosa insieme
Benedetto l’inverno che è passato (cadrà la pioggia, nascerà la viola). Oh, per carità, ora datemi i fiori da nominare uno ad uno – il nome e la rosa insieme. Voglio solo imparare la stranezza del volo delle rondini. Il mio passare per la finestra aperta su ritagli di cielo, sulle punte dei pini dove si infila l’anima.
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Un fremito
Un nuovo spiraglio offrirà l’alba con la sua grazia asprigna, un fremito, come un bulbo deciso a fiorire.
Tornerà il mondo e il suo ronzio nel taglio del vento. Ed è tutto qui il cielo, dove l’azzurro si incaglia. Si alza in volo la mia rondine.
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Quest’acqua che ancora piove
Quest’acqua che ancora piove – per poco, per molto – che farà ricrescere verde l’erba, col tempo i fiori.
È presto e cade da un angolo sbagliato la luce, la pioggia e il suo silenzio. Non so se restare qui aspettandomi qualcosa.
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Ciò che si ripete
Ieri sera è tornata l’estate – nel pensiero – e la luna si è adagiata sopra il dentro del cuore che so bello e vasto quanto il cielo quando attende un venire. È dolce anche febbraio nel segno umano del ritorno. E a ciò che si ripete noi crediamo.
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Quasi si avvera lalba
La notte stringe ancora coi suoi tralci d’ombra e assenze – figure d’alberi e sogni – al culmine del buio. Due ali fuggono via dal davanzale. Fermo sulle labbra il respiro. Quasi si avvera l’alba.
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Farfalle di cenere #GiornoMemoria
A Terezín i passeri tacciono. Piangendo, ancora li vedi – i bambini – aggrapparsi a ogni piccola luce, costruire una casa sull’albero con gli occhi innocenti nel tempo indistinto tra l’inverno e i fiori, smarriti morire tra la pioggia e il silenzio portati via – farfalle di cenere – da un soffio di vento. * Theresienstadt (Terezín) è nota per aver concentrato nel campo omonimo i maggiori artisti, il fior fiore degli intellettuali ebrei mitteleuropei, pittori, scrittori, musicisti e una forte presenza di bambini. Alla fine del conflitto, degli oltre 15.000 bambini di Terezín solo circa 1.800 saranno ancora in vita.
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Dietro i vetri (Alba con giacinto)
Dietro i vetri ancora l’inverno e l’immaginario dei voli
da una piega del cielo l’alba partorisce vergine la moltitudine
da una vena di terra il bulbo metterà al mondo l’azzurra luce.
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Si assottiglia il buio
Si assottiglia il buio fitto che l’inverno ha posto, varchi di una chiara certezza una memoria visitata la parola è prendersi cura di una qualche specie di uccelli, quando portano pagliuzze e canti di fame e gioia la casa è l’attesa del ritorno da trovare dentro gli occhi, nei braccialetti stretti ai polsi, se tra le ciglia mi somigli.
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Col passaggio dell’inverno
Gennaio ha un dogma di solitudine, la vita ne ha bisogno per conoscere l’attesa, per credere al ritorno. Tutto non è mai sùbito, c’è pazienza da vendere nel guardare il cielo finché canti segni d’alba o metta stelle. Proprio questo è il punto: che si colmi il vuoto delle foglie nel legno fermentato si sconta col passaggio dell’inverno.
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Creatura nuda
La tua voce inconfondibile – creatura nuda dell’alba – dolce sulla lingua, essenziale di me, forma che restituisce al silenzio la parola, la poesia per rifare il mondo nel verso più bello delle foglie che tornano ai rami.
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Trova il tempo
qui si è interrato il nuovo come un seme piccolo un bianco sole nascente l’adesso è memoria e vista involontaria poesia dell’istante un sillabario per analfabeti trova il tempo per annusare le rose – profonda essenza – ripeti la liturgia dello sguardo
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Per dire bellezza
Cercare il giusto termine per dire bellezza con l’ostinazione dei passeri quando scavano col becco la terra nei vasi, la parola – quella adatta, fuori clausola – che spieghi lo splendore mai uguale delle foglie, la loro danza indisciplinata sotto un cielo minaccioso di tempesta o nella domestica rivoluzione del sole. Trovare il verbo esatto che non trascuri i silenzi nella leva che spoglia i rami come gli anni mentre tutto va grave al rimbocco della terra.
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Dovrai ancora morire
a mia madre Scrivo attraversando l’autunno: non c’è verso o pensiero che non passi, diventando foglia secca. Forse dovrebbe piovere quell’acqua sottile che manca – le sue mille promesse di verde – ma vedrò prima l’inverno e il pane nascosto nel seme, il tuo corpo stretto dalla neve. Dovrai ancora morire negli occhi, lasciare andare uno sguardo coperto di pianto.
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La quiete del bianco
La quiete del bianco di una neve distesa su foglie accasciate e questo senso di assenza del conosciuto non so dire dove andranno i passeri su quali confini si poseranno nell’affanno dell’attesa di un pane oggi ogni gesto è devozione di mani, un’eccedenza uno spalancamento possibile come il cielo talvolta come una tenue provvidenza. 28 dicembre 2020 - neve a Milano
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Forse verrà la neve
…forse verrà la neve e ci stupiremo del bianco tra i capelli del bisbiglio affamato dei passeri del nostro candido toccare tra le radici il silenzio.
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Recita per me
Recita per me tutti i miei nomi con la parola – una semina tra le pieghe dell’alba. È richiamo la tua voce – segno nitidissimo che lascia sulla pelle un canto – nell’incanto. Ascolto: sono fiore mentre tu mi parli.
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Non sarò lontana
Non sarò lontana dal tuo inverno disegnato dai gesti diseguali e immaginati delle foglie, lì dove i rami mostrano il cielo. Nei giardini chiusi delle parole resti in cima ai pensieri, nella nudità del tempo e dei corpi, delle nostre mani posate distanti da noi, come in questa mattina di bassa stagione, quando scrivere è il solo modo per dirti di me, nella mia ancora intatta infanzia.
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Ancora il tempo (Monologo d’inverno con uccelli)
Ancora il tempo ci ha consegnato intero l’inverno con i pollini diventati neve e le notti che scivolano presto lungo i fianchi dei palazzi. Cortili di nebbia sfumano i pensieri, del mondo il finire, il ricominciare. Conosco il tuo nome – la tua nascita – ma ho bisogno della malinconia delle nenie in canti, della miseria di dicembre per sostare tra i ricordi e leggere la profezia delle sere. Non dovrebbe stupirci tutto questo che poi è accaduto mille volte, ma non mi rassegno a occhi che smettono di guardare dove il nuovo scava un solco netto, quella piega che fa luce. Un’adunanza d’uccelli ha allontanato il mio sonno, creature vaganti in cerca di tutto come anche io so di essere.
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Con la mano allacqua
Andare con la mano all’acqua a un tempo di pioggia a un’insistenza di nuvole. La tristezza del grigio che versa goccia su goccia sarà un rovescio di fronte se le lacrime non bastano a ridare il verde alle foglie in chiaroscuri: dove lo sguardo si perde in fondo, la mancanza è attesa.
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Silenziosi e invisibili
Le finestre hanno sfondi d’alberi e palazzi sempre meno foglie e cornici di autunni grigi. Silenziosi e invisibili grembi d’acqua piovana le nuvole e noi che in disparte attendiamo il soffitto celeste dei prossimi tempi, fra le tende di rovi, acuti e dolci.
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Poi è notte
Ti aspetto nella dolce sera quando la luce cala come un’incrinatura di voce. La piccola luna non ha età. È improvviso l’amore. Poi è notte.
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Oltre il cancello
Oltre il cancello un giardino. Arrampicano le rose legate – le strenue ultime rose – Oltre il ferro battuto un rosso brunito resiste ai margini stinti. Si mettono in salvo le parole tremanti, dall’inverno da un dire estraneo alla voce. Oltre il cancello l’altrove del vento.
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Credevamo fosse il vento
Credevamo fosse il vento che si lamenta tra gli alberi, nel cavo del corpo. Eppure sapevamo del dolore degli anni come una spina arrugginita nella carne, della troppa assenza d’acqua: ogni volto ha la sua ruga, una smorfia, un vento che segna. Ma torneranno gli uccelli di passo a dirci di un bene dimenticato. La bellezza talvolta è un controluce. Se già la notte stringe patti di speranza con il giorno, forse guariremo. Mentre scompare l’ultima stella c’è un assoluto che ne raccoglie i resti.
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I fili sottili dei tuoi capelli
I fili sottili dei tuoi capelli hanno la fragilità di un’imbastitura come i confini della pelle che non riconosci più quando si fa buio attorno. Tutta la vita è così senza difese, con tanti guadi da attraversare, passando ciechi da una riva all’altra, andando stranieri dovunque e a tutto.
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Come l’alba
Come l’alba. Da un soffio lieve si genera ciò che arde. Fuori, ogni cosa ripete il senso, il ritorno. Chiedi agli uccelli. Per natura, lo slancio del volo nelle ossa cave, nelle piume. Così, similmente, noi...
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Erba fradicia
Erba fradicia di luce l’alba rimargina l’aria consumata dalla notte. Venga il canto della pioggia a noi che conosciamo tutto il bene dentro l’acqua. Far conto sui rovesci d’un tempo invariabilmente uguale: ecco l’attesa.
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Poco importa
Poco importa delle colature gialle delle foglie, di colori che splendono, infuocati, se gli alberi non reggono la terra, se non siamo in pace.
La pioggia ha una cantilena che non convince. Non fanno rumore i gesti nei quieti rituali dei morti, nel loro crudo stare in silenzio.
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Non piango lassenza
Non piango l’assenza del verde, ma il tuo volto nascosto per sempre, questa mancanza in più come di frutti che cadono a terra. Sembravano voci i cinguettii perduti in mezzo alle fronde, sono diventati memorie per vivere. Il vento rivendica solo un sussurro, noi il ricordo dei nomi, la raccolta di mani insieme alle mani, i lividi caldi nelle sequenze del cuore.
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Visione terrestre in linea d’ombra
Rare silenziose umane parole in un tempo discontinuo, sperduto se ne va lo sguardo posandosi ora qua ora là tra gli ultimi ori d’autunno, cercando una breve meraviglia e appigli che trattengano ciò che tremando muore – visione terrestre in linea d’ombra – Senza verticale non c’è prodigio.
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Guardare l’alba, il suo viso
Guardare l’alba, il suo viso pallido di partoriente toccando luce ovunque – comunque – anche se rovescia pioggia o un sole avvilito. Nascere o tornare a vivere è per-dono.
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Guardare le foglie
Guardare le foglie in autunno è esercitarsi all'abbandono: ci lasciano le cose, tramonta la bellezza, si posano stanchi gli uccelli. E noi lasciamo i fiori ai morti, sui marmi coi nomi, i morti che non tornano nei giorni muti di passaggio, i fiori che nessuno mai disseta.
Solo i cipressi più alti hanno confidenza con il cielo.
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Bisbigliami una parola
Bisbigliami una parola distinta dai silenzi che l’alba porta accanto, seme di tutte le parole dentro il fiato delle bocche. Parola straniera della straniera terra che mi compone in tutti i versi che fa il vento sull’erba, senza sapere da dove viene e dove va. Le solitudini non si toccano, la parola è voce e corpo che supplisce – essenza, linfa. Non puoi toccarmi senza dirmi.
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Mi ha svegliato il rumore
Mi ha svegliato il rumore del cielo caduto in frantumi. Hanno abbaiato i cani, gli uccelli stanno nascosti. Questa abitudine di scrivere l’autunno partorisce assenze e distacchi. Piccole solitudini. Quanti sono i miei anni? Forse non lascerò impronte quando andrò via. Mi mancheranno le foglie.
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Ogni rovescio di foglia
Scruto ogni rovescio di foglia – ogni mutato colore che fa luce sui rami ad ottobre – e ancora poco so dell’autunno, di quello a cui siamo assegnati: un riparo, altrove, non qui.
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Quelli che diciamo andati
È un espatrio di foglie l’autunno, in un vento che sfronda il cielo; solo gli uccelli che restano traducono l’aria in versi conosciuti, – una scrittura le loro scie – mentre qui si fa la conta degli assenti, quelli che diciamo andati, i giorni.
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Ti sei accorto
Ti sei accorto dell’autunno, delle foglie che hanno un verso steso? La vista ha un limite sensibile nell’oscuro mistero della notte, eppure teneramente nasce ogni giorno che viene amando la fragilità della carne, delle foglievive nei tappeti d’amore. Dolore è il disseccare dei margini nel vivo del sangue, quando si sceglie di ricordare tutte le cose che tramontano nel rosso, come le rose.
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Ancora non distese ali
Il crescente autunno insegna come si inclina la luce nella sera senza tregue e la nostra origine straniera.
Qui si coltiva la speranza come i campi da arare, qui e altrove tra le foglie ancora non distese ali.
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Lalba ha un silenzio
L’alba ha un silenzio che protegge la schiettezza della luce e le mie spalle curve d’autunno nella sveltezza del tempo. Questa carta è un ospizio di parole e foglie gialle la prova che scrivo poco o tutto e il tremare dell’ombra.
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Se allimprovviso
Se all'improvviso non viene la parola, resta il pensiero di finestre alte affacciate sull’oro delle foglie in controluce, del vento che smuove l’aria lucida d’ottobre e nei cavedi sospinge quelle secche. Si abbassa il cielo dell’autunno per gli uccelli e le partenze, l’aria azzurra e profonda, senza fine e così vicina da toccarci...
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Lascia che ti porti
Dedicata Lascia che ti porti con me dentro l’autunno, ora che l’estate ha lasciato il posto ad altro stupore. Posa la tua mano di foglia tra il costato e il respiro, lì dove preme il battito che ci ripete il cielo. Ci toglieremo le piume per restare, quando gli uccelli navigano il cielo intero e nulla lasciano d’intentato. Saremo pioggia di verde trasfigurato in oro, appoggiate le schiene, i respiri alti sopra i rami.
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Liberammo le nostre foglie
Liberammo le nostre foglie di carta nell’autunno: l'ora d’oro rosso ci chiamava. Parole accese sulle labbra negli occhi i semi di stelle che l’estate aveva sparso. Fummo senza nome un tempo, ma non più. Noi eravamo fiori di cielo, una forma di gioia luminosa attecchita sulla nostra tristezza.
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Obbedisce all’autunno
Obbedisce all'autunno il desiderio che brucia come febbre e l'arrossire delle foglie nello smosso d'aria tra i rami nel lascito di tante partenze di ali distese al vento non più qui.
Ancora piccoli fiori nell'erba le parole siano benedette se portano a vedere il cielo spingendo in alto le assenze e il tempo ciò che con accordi diversi sempre si versa e si riversa uguale. Nota: la musica di sottofondo alla lettura è tratta dal web Hauser: 'Alone, Together' from Dubrovnik
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Lascia i tuoi occhi
Lascia i tuoi occhi sulla mia bocca per imparare l'amore quando si tace – come si deve –
Le parole hanno bisogno di suoni, i corpi di essere pelle. Le rose chiedono carezze d'acqua.
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Consolazione
C’è un piccolo uccello sul davanzale, spalanca il becco, dice la sua poesia: è un canto, un filo di voce che va da una ringhiera all’altra proprio lì dove ogni mattina stendo ad asciugare le lacrime della notte.
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Un soffio di vento
Ancora non tramonta la luna e scrivere è il rito iniziatico soffiato nella bocca agli infanti è vedere il tuo corpo seguire la linea dei fianchi fino a saperti.
Cerco un soffio di vento che si insinui tra le grate che ci sollevi come le ali degli uccelli che vanno in un punto irraggiungibile agli occhi.
Abitare l’altrove ci restituisce vivi al presente a quell’adesso di sguardi e di mani che fa di ogni parola una casa degli occhi un destino.
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Tutto ha un posto
Tutto ha un suo posto anche la sera che si raccoglie nel silenzio delle cose quando il buio smargina la terra su cui cade
un diluirsi di luci al tramonto profonda radice dell’imperiosa notte.
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Non so descriverti
Non so descriverti il verde buio del bosco e nemmeno l’agosto caldo e spoglio di quest’anno incomprensibile. Dovrei usare suoni non appropriati al canto delle miriadi di piccoli uccelli venuti a rallegrare il mio tempo interiore. Sarebbe un peccato sprecare i segni con la tristezza incisa nella memoria. Solo vorrei un profondo scambio d’amore.
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Il nostro passare
Non fioriranno più le montagne dei tuoi sguardi, non daranno dopo la pioggia quel profumo acuto gli abeti senza colpa, troppa la tua fretta d’andartene, di scavalcare i calendari futuri. Oggi il cuore è da rifare. Non chiede se non continuare a fare una strada verso il mondo e la sua capienza di alberi, stelle e uccelli – nostra parentela – e vicoli di passaggio da percorrere interi. Paesaggio amato, il nostro passare.
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Vorremmo a sera
Vorremmo a sera fare ordine tra i libri e le foglie nell’aria appassita, allineare le ore in cui le domande si accrescono, sistemare il tavolo e ascoltare l’umile melodia senza strepiti del tramonto.
Congedarsi è un tempo lentissimo con rami di poche parole e i gerani ai balconi ancora rossi nelle prime ombre.
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Sarà il lieve malore
Sarà il lieve malore di lasciare casa le poche voci nelle strade i fruscii delle tende spostate dal vento o forse l’infelicità di non poter più dire.
C’è un senso di abbandono nell’erba nel passaggio da un cielo a un altro le finestre chiuse su una ferita d’aria. Solo le rose a guardia del presente.
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Mare e poi cielo
Quando avrò imparato a memoria il nome degli alberi, degli uccelli conoscerò tutti i voli.
Saprò che parte del reale salda a terra e quale si fa pioggia, inondazione, mare e poi cielo.
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Nutrimento primo della voce
La solitudine nasce nella notte tra le mani rimaste senza le parole – fuochi accesi nel buio – il loro suono inconfondibile che varca lo spazio della lontananza.
Nei capelli poco prima del chiaro il bisogno delle dita di carezze dei nostri fiati nel respiro unico quando guardo questo cielo d'alba come a un manto che ci copre con il senso del dire o del non dire. Nutrimento primo della voce.
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Basterà il giallo
Per dire di oggi basterà il giallo che fa dell'estate una stagione perenne e le labbra digiune d'acqua. Di me capirai il desiderio dentro gli occhi, sulle mani ardenti l'attesa della pioggia estrema carità accordata ai fili d'erba.
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Kintsugi
Scopri le fratture sul corpo le ferite da rimarginare, le piaghe. Quel tuo corpo è il mio – coppa scheggiata – quel sacro corpo che lacrima anima che nel sonno impara l’abbandono. D’oro vorrei i sigilli liquide vene nei polsi alle tempie, i solchi riempiti da vivo splendore. Se esiste il miracolo, è questo. Se esiste il miracolo, è oro tra le dita.
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Tu, Amore
Tu, mio pensiero notturno nella fioritura della rosa ferita dell’alba acqua nel palmo trasparente bellezza del vuoto e del pieno delle cose nate interminato viaggio. Amore.
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Sul ramo nudo cercare
Sul ramo nudo cercare il punto d’origine delle foglie o delle onde sorvegliare il nascere dell’increspatura, la schiuma bianca di un’infanzia ventilata che ci spingeva oltre da qui, un modo per fuggire la sponda arida del dolore quando non viene la pioggia (o l’amore) a consolare.
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Mi prendi in braccio
Ancora l’alba spande i suoni della vita vegliata nelle piccole ore di quiete.
Tu sei già qui e mi prendi in braccio come una donna piccola – appena nata – da allattare con le tue parole.
Se mi tocchi la bocca col respiro parlerò la lingua dell’estate quella che sanno gli alberi e gli uccelli e in cielo le nuvole quando migrano.
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Il tuo essermi padre
In tutto questo bianco di muri asettici, di lenzuola sterili stese sull'umidità del corpo stanco dal dolore - la fame e la sete - guardo i tuoi occhi di prato verde, senza nuvole, con quella luce oltreconfine che pare la mia stessa. Non c'è moneta che possa pagare di più del tuo essermi padre. Ti tengo nella stanza più segreta una mano sulla fronte, per questa figliolanza mai dimenticata che così grande forse non sapevo di avere.
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Orizzonte chiaro
Imprevista alba la tua voce mi attraversa, la tua mano senza più attesa mi percorre un fiato leggero sulla pelle.
Dove sei – a volte ti domando – per immaginarti, per trovarti cielo negli spazi tra le foglie orizzonte chiaro dei miei occhi.
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Quando viene l’alba
Quando viene l'alba che separa – le cose dal nulla, la notte dal giorno – tu vieni a farmi intera.
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Mentre piove l’alba
Mentre piove l’alba d’estate imbastisco poche righe chiare – segni minuscoli, scalzi – ti parleranno delle spine bagnate dell’euforbia, di lacrime che lavano il viso e le mani e le ferite nel pianto della resina…
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Il respiro a sigillo
L’alba torna per ricordarci quanto chiaro hanno gli occhi anche quando è sera e il posto dove posare le mani. Sale sulla pelle un filo d’aria ci accarezza senza disturbare quello che nell’intimità accade, la voce, il respiro a sigillo.
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Terrapieni e viole
a Patrick Kavanagh e ai suoi terrapieni di acetosella Ti ho portato a vedere le altitudini dove è usanza immaginare i morti
dove la pioggia si scioglie con la tristezza e straripa nella conca delle mani fino alla gola aperta dei fiori, nei gusci nei nidi
una pietà che fa salvi i terrapieni, gli orti di confine le viole.
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Come non dormono i poeti
Questo lutto serale che vede consumarsi in essenze di meraviglia la luce, mi rovescia gli occhi e li interra nel solco della notte come talenti da conservare intatti, che non vadano smarriti cercandoti dove non riposi il capo, come non dormono i poeti e tutta la stirpe degli esseri che hanno ali.
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Se mi chino
Se mi chino a toccare terra con le ginocchia stanche, fradice, sento frusciare le spighe d'erba dove si spandono i soffioni, il rumore della radice che affonda.
Resta a misura di una pioggia e del fango il mio stare nel dialogo tra alto e basso che fa di ogni fiore un giardino e di un'aria di cielo la spartizione delle nuvole, dei rami di poche parole il crescere di un bosco.
*
Tutto il verde
Metto a dimora un'azalea, come quando si semina una speranza quieta o un respiro che somigli appena a una preghiera affidata al passaggio delle nuvole.
Sapere cosa veramente dura oltre l'alba infante, dando margine al vento e al seme, se darà fiori da radici sottili, come l'erba che mi ricorda tutto il verde che c'è.
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Pensieri-uccelli
arrivano e poi se ne vanno in un batter d'ali senza lasciare traccia se non un'ombra rimasta nella coda dell'occhio
fuggono verso luoghi che non conosciamo come fossero i nostri anni spesi semi in cerca di una terra dove ancora fiorire
li vediamo andare oltre i nostri confini allargandoci gli occhi portandoli ad altezza d'infinito
*
Mi canti nella bocca
mi canti nella bocca la tua estate, la rotta ariosa delle nuvole sopra la bonaccia, l’assolato sogno che si mostra intero – sempre luminoso –
il fabbricare delle api dentro il favo, una febbrile danza che va da fiore a fiore, nell’ombra della sera il lusso concesso della rosa – il suo profumo –
*
Eppure danzo
Cosa sa di noi la rosa indecifrabile nella luce che ci sfugge? Cosa ne sanno dell’amore i cieli segnati d'ali di nuvole passanti e rondini?
È muta la sera come un’espiazione di troppe parole uno sguardo lento che si allunga sul limpido tramonto.
Sono immobile, eppure danzo.
*
Amo tutti i nomi
Abbiamo avuto in dote la gioia e insieme la pena o un desiderio che non cede, non sfuma nell’occhio d’un tempo singolare. Cosa c’è stato di mio nel tuo?
So che se potessimo voleremmo d’abbracci e saremmo come i sorrisi quando nascono – il centuplo in terra –
Sei l’acqua nella bocca di chi ha sete, il laccio stretto al mio polso e il sollievo. Rimani la mirra appoggiata sul respiro. Amo tutti i nomi che mi hai destinato.
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Arrossano i boccioli
...tutta questa vita screziata è una gloria d'acqua risentita nei corsi di maggio
dentro il richiamo delle sere umide nella danza sospesa del glicine o il tremore di labbra sulla fronte per cui alzarsi a trascurare le notti
timide arrossano i boccioli le rose.
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Mossa
La vita alla porta senza rimedio come un lavorio lento d’api
tiene banco l’eccelso pieno dell’estate – interminati spazi del giallo nell’erba –
la gioia è una fontana che brilla mossa.
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Non ho visto i liriodendri
Le voci si indovinano degli uccelli in un silenzioso stare che consuma il tempo nella dipartita della primavera. Non ho visto fiorire i liriodendri alla conca del mercato dismesso ogni evento di strada. Si sono persi i giorni variopinti e bradi delle passeggiate ospiti dentro stanze voraci di misure a preparare le buone maniere degli incontri. Fuori la straripante pretesa dell’amore sprecato. Nota: la musica di sottofondo alla lettura è tratta dal web Juan Antonio Vargas y Guzman - sonata VIII per chitarra
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Se mi guardi
dedicata Sempre se mi guardi sono nuda
tu che con carezze navighi l’onda dei miei capelli e i pallidi stagni dei miei occhi riempi di vita tua.
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Il cielo fa la spola
L'alba ha infiniti passaggi, porte invisibili dove il cielo fa la spola tra la stanza e il glicine, incessantemente si attorciglia alla vita a questo minuto concreto.
E io che non so nulla se non il verso dei passeri e i fiori annegati nel verde, vorrei annusare dalle tue mani il profumo del mattino, la piccola aria che respiro, la tua voce.
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Lanima imita i fiori
Dalla bocca butta un canto verde un getto come all'orchidea che non sai se sia radice o stelo fino all'inarcarsi salendo un poco soltanto più scuro il tono cercando in cielo la conferma del fiore.
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Ianua coeli
Responsorio il canto solo scambiato coi fringuelli – naturale voce che non si dà per vinta. Come uccello di confine carteggio in cielo nuovi voli – parabole minime scritture sacre. Trattengo un verso nella gola – parentela d’infinito. Sarà giusto farne uso? … Che misura hanno le mie ali?
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Solo noi siamo rimasti
La stagione è andata avanti coi fiori dolci – nascondigli delle api – e le uova azzurrine dei merli.
Solo noi siamo rimasti come alberi ancora ingombri delle foglie secche, dietro vetri in stanze troppo strette a comprenderci, ammalandoci di luce il poco che basta per dire oggi.
Ogni giorno spostiamo in là il domani e non parliamo più del tempo. Riposti gli orizzonti, con le parole facciamo una culla per la notte scura. E la luna, madre di costellazioni, si fa a noi più grande. Vicina. Nota: la musica di sottofondo alla lettura è tratta dal web
Giuseppe Tartini – Concerto in Re maggiore per violoncello e orchestra
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Arso legno
“Il cervo è dato ai denti dei cani” (François Mauriac) Tutto è compiuto, giunta l’ora terribile che raggela il cuore. La pretesa umana ha consumato il crimine, ha spento l’incendio. Straziato il corpo, della gola ammutolito il grido e chiuso l’imbocco, messa la pietra a sigillo. Niente più osa varcare il silenzio. E noi... come formiche disperse intorno ad arso legno ormai freddo.
*
Restando noi
Mi attengo ai fatti variando il punto di vista la sommità da cui mi sporgo per vedere gli alberi fermi fiorire
e in basso il grido minuto dell’erba che rimane per terra anche quando il vento la implora
non si snoda da qui la strada ora che nessuno la percorre
perché le cose stanno così restando noi vivi.
*
Sono pochi i luoghi
Sono pochi i luoghi dove non nidifica la primavera. La speranza è in questa terra, nel suo aprirsi a chi la sfiora per caso, come un’aurora o un seme. Come un perdono. Io vorrei dismettere la mia pelle secca, avere nuove foglie da indossare – magari colori – e una voce, il suo saper migrare oltre, ma c’è un silenzio da custodire e la presa in carico del dolore.
*
Innaffio i fiori
Innaffio i fiori la giusta dose d'acqua quotidiana quanta ne prende la terra non di più. Una sola misura per due di farina nell'impasto come il respiro profondo a gonfiare il petto non si può oltre il giusto. Vorremmo tutto e altro ancora qui dove manca lo sguardo per quanto lo si spinga tra le case strette, vicine che s'appoggiano l'una all'altra quasi a dire il modo di stare e forse basta già il dato e guardare il poco o il molto quanto avremo in questo giorno che non sappiamo.
*
Uno spreco d’acqua
Vola via il piccolo uccello venuto a beccare nella terra dei vasi come da una ciotola di riso dolce offerto ai poveri. Siamo dentro una malinconica distanza. Uno spreco d’acqua ha germogliato il selciato – un tarassaco da marciapiede – e le mie primule così vicine alle cose quotidiane.
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Ho ripreso a leggere
…che vi è di nuovo in tutto questo, oh me, oh vita ! Risposta: Che tu sei qui, che la vita esiste e l’identità, Che il potente spettacolo continui, e che tu puoi contribuire con un verso. - Walt Whitman - Sui rami della betulla improvvisamente le foglie. Ovunque ormai la primavera non è più una cosa ricordata. Ho ripreso a leggere Whitman. Credo in te, anima mia… sorella dell’infinitamente altro. Ignoro a quanto ammontino le perdite e quali i perché confusi nelle pieghe delle solitudini domestiche. Tutto si tiene nell’amore. Un’ape accorta si è fermata sui giacinti. La magnolia fiorisce a oltranza.
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Il cielo è solo
Sarà ancora la primavera prossima di fiori e altri splendori e un convento d’api? I carrubi della piazza hanno lunghi baccelli scuri. I bambini giocano ovunque con niente, scherzano con la lucida solitudine dell’acqua. Bisbiglia tra le gramigne e il favagello solo un brivido di vento. Tutto è quasi un nonnulla ignorato di bellezza.
Le piccole cose sono piccole cose. Senza, il cielo è solo.
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Più luce
Uscire dalla porta come prima senza incertezze né distanze. La mattina è solo un altro bollettino. Ci sono i fiori ma non li frequento e l’assenza fa ricordare la bellezza. Reclamo le mani, un legame saldo che mi ricongiunga al tutto, non questa volontaria rinuncia che precipita le cose nel silenzio di un respiro che si abbrevia. È come quando cala lenta la sera e si vorrebbe più luce. 4 marzo 2020 - tempo di lentezza e solitudine
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Ore acerbe
Nel cuore della camelia ci sono stanze tutte da percorrere con le dita in margini d'erbari vivi e misteri infiniti se il cielo è uno spazio senza cancelli dove sconfinano gli uccelli e i respiri dei biancospini in queste ore acerbe di luce e di primavera.
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A piazzale Baracca
In quell’angolo di piazza dove vendono fiori ai passanti torneranno gli anemoni viola nei vasi tra i ricordi in cui ancora mi perdo di tempo in tempo un profumo diffuso nell’aria essenziale e una forma che si addensa nella memoria – parola insillabata – un canto già di primavera una lingua imparata che riconosco.
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Oltre i tetti
Oltre i tetti l’andare e venire degli uccelli e scie d’aerei si incrociano in un cielo dissestato – quasi un rammendo malfatto –
Troppo stretto tra i palazzi quest’alito di sera. Un filo rosso mi attraversa – residuo della quotidianità – sullo sfondo un’illuminazione che pur spegnendosi ancora abbaglia.
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Sapendo di trovarsi
Nel rifugio di compieta il mio cuore è ancora un uccello che canta sebbene la sera, un usignolo venuto a fare il nido nell’orecchio buono in cerca di una terra lontana.
Basterebbe sentirlo il vuoto dell’assenza – portarne in due il peso – la mancanza di ciò che morendo nella piega del mondo ci consuma gli occhi e le parole, abbandonarsi al buio sapendo di trovarsi.
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Poesia dell’assenza
Febbraio porta un vuoto tra le mani – mese avaro – e nelle vene il pulsare d’un ricordo che ferma il respiro. È violenza quel rosso disperso dei tramonti tra i vasi spogliati delle rose, poesia crudele dell’assenza.
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Nel posto semplice
Il cielo lassù, io lì sotto, in basso a destra – perfetta distanza, doverosa – nel posto semplice dove mi hai lasciata, tra i tuoi gerani amati fino a sera ora rossi fiori d'altre latitudini.
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Guardando dalla finestra
Una donna alla fermata del tram e un uccello che canta insistente. La promessa ancora taciuta dei fiori. Tutto ha sul volto un’attesa. Ascoltare il passare del tempo, i minuti cresciuti imboccandoli. Contare i nodi, scioglierne uno. Non mi dà pace il tuo mancarmi, incontenibile preziosa inquietudine.
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Esistenza in vita
Infine ha piovuto e forse pioverà ancora, in questo tempo di malinconia e di nebbia, in un’ora tarda che smonta ormai spoglia di luce. Eppure in questo palmo di terra – mio corpo e dimora – fertile mi ha resa un’altra semina, un fidanzamento di sguardi, un’impensata rinascita, quel battito – nascosto nei pensieri – così prossimo al respiro delle rose. Una nuova prova di esistenza in vita.
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Il tuo silenzio
Se così fosse, il tuo silenzio aprirebbe improvvisa una faglia dentro il mio corpo, uno smembramento, una scissione. Tutto andrebbe in pezzi. Le mani, il cuore, i fianchi: continenti alla deriva. Il pensiero, la voce, il viso, gli occhi e le palpebre dove, a che distanza da me stessa? Più nessuna notizia di me qui né sui giornali del mattino.
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Ancora non sappiamo quando
Ancora non sappiamo quando, come accadrà, troppo pochi indizi e il disarmante nulla dell’inverno che il vento ha trasportato a suo piacere.
Forse basterebbe domandare – tu che fai, primavera? – senza una risposta, ma solo quell’inquieto stare dei bambini che non vogliono dormire la vigilia di Natale.
Stare. Finché qualcosa in un filo di luce colpirà il nostro occhio inetto, quando saranno i fiori ormai aperti l’impeccabile riscontro e andremo a dormire scordando cosa abbiamo atteso.
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Ancora è gennaio
Da quest’erba viene la vita, dalla terra, dalle foglie cadute e rinate. Oh, gli anni trascorsi, quelli che hai, che abbiamo! Tutto torna nelle vene degli alberi – linfa dov’è vuoto tra le mani, curvo, nella conca dei palmi – anche se nulla è qui adesso nel colore sfumato della sera. Ancora è gennaio.
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Raccoglievi la brina
Con le mani raccoglievi la brina nel palmo del dolore tra la dafne fiorita e gli ellebori, dove l’orizzonte non ha case tra gli occhi e l’infinito. Sei andata oltre con la pazienza del giorno che succede al giorno. Era l’inverno delle cose chiare – la neve rimasta appesa ai rami – e ti sei fatta piccola, così piccola... Ma cresci ancora, madre mia, cresci nel cuore rosso dei gerani, tra i fiori a cui parlavi come a figli. Continuano a durare le tue rose.
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Frammento prima della sera
…forse ora dovrei scrivere dei versi quanti bastano a dirti come finisce il giorno nel filo rosso dentro gli occhi consumandosi nel fuoco come brace mentre mendica un ultimo canto d’uccelli una voce soltanto udita nel tantissimo orizzonte...
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In luci di addii
Si soffre della gioia – della vita – il troppo breve passare come di uccelli tra i rami sfogliati nella stagione che tutto consegna in luci di addii.
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Dire dell’inverno
Dire dell’inverno e degli alberi del pensiero di vento che li attraversa e la luce sul tremore dell’erba.
Dire dei cieli chiari appoggiati sui rami del seme di neve che abiterà nel cuore dei frutti.
Con le stesse parole non tacere il miracolo leggero come l’ala di un passero umile apparenza nel fiato di bestie. Santo Natale 2019
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Biglietto d’auguri per Natale

painted by Dawn Stacey - dal web La neve, si dice, verrà presto. Tu mandami un biglietto per Natale. Vorrei quei biglietti dai colori chiari – niente oro e argento, neanche il rosso – amo quelli con le tinte più sfumate dei paesaggi che immaginano l’inverno. E un volo di cigni bianchi in alto appena sopra l’orizzonte sopra i nidi abbandonati dall’autunno sugli sterpi resi rigidi dal gelo. Scrivilo per tempo che mi giunga nella Notte alla Vigilia quando ogni cosa ha il trepido stupore dell’attesa. Sarà come sentire la tua voce pronunciare la promessa che nulla più ci mancherà domani.
Cura tutte le parole trattienile un poco sulla lingua, scaldale col fiato della bocca. Lo sai che come me soffrono il freddo.
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Come i rami sciolti
Sono qui i passeri del mattino sul davanzale beccano poche briciole e un ricordo di neve. Basta l’aria alle gole, alle voci: è la natura degli uccelli essere canto senza domanda.
Questo battere d’ali da niente, il brivido che attraversa la pelle fin dove trova riparo il silenzio, serve come i rami sciolti dalle foglie a meravigliarci dell’inverno.
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Un sentimento lieve
Il tremare estenuato delle foglie, gli alberi soli – radici impastate d’acqua e terra – col vento tra i rami la stagione si riprende il silenzio che le spetta. Non resta che indugiare nel tramonto segnato appena di fragili stupori. Comprendere la necessità di una sola poesia è un sentimento lieve, in fine un abbandono.
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Allude alle rose
Piove, niente di nuovo. È un mondo avviluppato di rampicanti spogli e sterpi. E quelle fioriture autunnali - verticali, fragili - da portare in salvo.
Devo a te, l’esiguo lembo tra la casa e il cielo, ciò che lega la foglia al ramo con venature fin dentro al cuore. Cosa vuoi che scriva? Cerco il dettaglio che m'innamora, che ancora allude alle rose.
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Da qualche parte
Da qualche parte, come qui, è autunno: le foglie disperse la pioggia e un minuto di sole. Altrove e qui sono lunghe come scale antiche le memorie e le ombre parlano ai vivi. Ti scrivo e il silenzio si annida tra i rami, si bagnano le parole qui dove sono, lì dove sei.
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Foglia d’autunno
È notte, finché non odo il verso dei passeri, la lingua presa a prestito dall'alba per dire il colore del cielo dove la luce viene irrevocabile fa nel movimento l'intaglio del mondo cominciamento, traccia d'alberi e foglie
sono foglia anch'io, ardente d'autunno.
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Nellinfermità dellautunno
I palmi rivolti alla sera alla solitudine di palpebre chiuse e scrosci di pioggia nell’infermità dell’autunno si infilano i giorni come perle di legno che cingono i polsi losanghe di luce al tramonto scie nere d’uccelli qualche ignoto passante che si perde per via la notte acquattata tra le foglie cadute.
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Ancora cogliere fiori
Tutta la vita in queste righe d’aria tra segno e segno. In una scrittura lieve la forma della rosa. Nulla resta dentro il solco a noi stranieri in questa terra – qualche traccia sulla carta pochi versi detti sottovoce – se non curiamo le parole. Ciò che non ami non dura. Dirlo e ancora cogliere fiori.
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Sui pensieri quel bianco
Come allora torna novembre – senza malanimo – disegnando i tuoi paesaggi in luce fioca e spoliazione. Forse ancora non so - ti dico - non ho compreso che l’assenza non è questo abbandono di foglie o un silenzio di parole – semenza d’inverno – ma sui pensieri quel bianco eterno di neve di pietra che più non rende forma.
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Il brulicare infinito
L’universo è un fatto piccolo
Basterebbe una leggera curvatura della schiena, chinarsi, accarezzare i fili d’erba di novembre, in silenzio, ascoltando tra la ruggine di foglie un vento mai di poco conto o un canto tra le righe della pioggia. Curare delle rose rampicanti la crescita lenta lungo i muri, tra le crepe. Riconoscere l’infinitesimo, trascurabile, nutrito di polvere e di fango, il brulicare infinito che nella zolla muove l’universo intero.
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Con le mani nude
Con le mani nude nella terra scura all’invaso dei bulbi
per un attimo ho sentito l’autunno nelle dita l’imbrunire dentro il verde
poi il grigio ad infoltire il cielo e le intuite piogge.
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Come un’annotazione
In giorni fatti come questo odo il pianto tenue del legno – esodo di foglie – una continua cantilena che recita agli alberi la nudità, l’assenza prossima in luoghi comuni in tanto rosso che torna, torna a sbiadire il verde sempre. Torna nel segno estremo del tramonto – a un tratto acceso – come un’annotazione per mai dimenticare la bellezza.
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A motivo dell’autunno
A motivo dell’autunno torna nelle foglie l’oro il lato nascosto delle pagine una lingua silenziosa la parola essenziale del commiato. Il verde ha segni inguaribili macchie rosse come stimmate inchiostro sciolto sui palmi una scrittura imprecisa. Gli uccelli trovano altre vie.
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Migrazioni
Sono pur vere queste mattine, la costanza del cielo malgrado la pioggia. Io seguo le vie degli uccelli e le nuvole mi conoscono bene. Se ne va la rondine a rivedere i confini dell’Africa. Resta qui la mia parte terrena – in questa casa d’autunno – con la caparbia impronta del volo, nel distacco di foglie abituate al vento.
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Ritrovo le parole
Quando mi accovaccio sulle gambe e faccio il verso agli uccelli domestici o respiro nel respiro di un bacio in braccio a un dormiveglia
allora ritrovo le parole che sfamano briciole sparse sul davanzale e un'avvisaglia di luce attesa al mattino risposta perfetta al mio bisogno di cielo.
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Un ricordo d’azzurro
Oltre i vetri un lieve maltempo – io coi miei nuovi malanni – e soltanto un ricordo d’azzurro precipitato nei fiori dell’ipomea. Presto mancherà anche il verde. Forse per vie misteriose di sottilissima cura qualcuno raccoglierà i petali sparsi delle rose inchinate, quasi come si guarisce l’infelicità di parole non dette, di poesie abbandonate che più non si leggono.
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Voglia di pioggia
Milano è asciutta. Volere la pioggia mette la sete. È affidato a settembre spegnere i fuochi d’estate. Dice chi ha fede che il tempo cambi domani, ma il bisogno di piovere è oggi. Basterebbero lacrime o anche solo un presagio da una breve mossa di vento. Sono donna d’acqua, lo sai. Tu dentro me sei diluvio.
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Di certi luoghi
Di certi luoghi conosci le storie. Io non so se questo posto mi appartenga, se sia mio o di altri, sommerso da vite già state. La vita divora le cose che mai farai in tempo ad amare se non t’affretti. Per questo ti amo dalla distanza, quando mi aspetta la sera, da dove sempre mi manchi.
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Dentro ogni giorno d’attesa
Svegliarmi ancora al buio e amarti da lontano tra il lamento infantile dei gatti e la sfumatura rosa che sale sui tetti quando l’alba si apre sul letto di un’altra notte e parlare con te come fa il vento che incontra le foglie verdi del bosco pensare a te – il desiderato – che quando non vieni si ferma il tempo dentro ogni giorno d’attesa.
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Ti direi delle foglie
Arriva fin qui l’odore di pioggia mentre ancora è nascosta nel bosco: le volpi corrono, gli uccelli tacciono e le montagne, mio cuore, le montagne hanno pesi di nuvole. Se fosse sera ti leggerei un libro che racconti l’infanzia che nulla sospetta del nulla e sa immaginare com’è il Paradiso. Se fosse autunno ti direi delle foglie.
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Delle rose l’appassire
Il tempo spoglia con uno sgarbo di pioggia a disperdere i petali – o un vento avido che toglie e non rende – Primavera è già stata coi suoi unici fiori addosso cadrà l’addio delle foglie. Delle rose è l’appassire d’essenza solo un respiro.
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Tra le dita di un saluto
Rivedo la bellezza tua propria nella controluce del sole – alba d’agosto – Sei qui solo per me evocata dal tempo dal luogo. Tu dolorosa assenza – spina della rosa – tu ora chiarore tra le dita di un saluto.
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Nostalgia
Arriva l’alba, lascio tutta l’insonnia sul davanzale come fuori si lega un cavallo che ha corso poso lì l’andare dei pensieri e il loro affannarsi dentro il silenzio delle stelle tengo per me la nostalgia – cura dell’assenza – qualcosa come una garza lieve stesa sulla ferita conto gli anelli degli alberi per misurare il tempo passato per sapere del ritorno.
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L’aria dell’alba
È limpida l’aria dell’alba, netta. Niente di ciò che è stata la notte è rimasto. Le finestre di fronte aperte o ancora chiuse sono segni che raccontano. È un dono credere a quello che appare. Tra poco tutto si aprirà, si farà luce e suono. Io non ho più sonno.
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Appena un cenno
Appena un cenno di canto del piccolo uccello una ripresa timida della pioggia – poche larghe gocce sui tetti – solo un accenno di voci incerte se durare.
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Sono rondini
Stamattina sono rondini, una traccia scura nel cielo sul ciglio bianco dell’alba. A desiderarne il volo si può compiersi ala, corpo leggero nel vuoto. Levare il viso all’aria fa spalancare gli occhi, come al buio. Ma la luce, la luce che sale, fa vedere. Allora guarda. Guarda.
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Dove dormono gli uccelli
Dormirò dove dormono gli uccelli – un solaio, una gronda – la finestra affacciata e la quiete di tutto sotto lune di memoria. Io, figlia scalza andrò bianca dentro il sogno la meraviglia nella bocca. Silente poesia tu restami, notte.
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Civico 19
Sono certa del posto. È stato casa mia e la sua tutta la vita con me. Che qui ancora sia nota ai rimasti è fatto sicuro. Così non mi serve salire le scale, bussare alla porta: nello spazio dov’era, è. Passo per il giardino, mi volto, lei mi saluta.
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Voi, gli amati
Voi, gli amati andati via, siete ciò che viene a riva nel ricordo, come onda che sempre va e ritorna e lascia bianca schiuma, umida lingua che ancora mi parla.
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Si consuma lestate
C’è un prato nello sguardo, i fiori spontanei, acceso il verde d’erbe e i gialli soli del tarassaco. Tra larghe malve le infinite pagliuzze per la costruzione dei nidi.
Lì si consuma l’estate, Amore, come mi consuma il tuo silenzio nelle ore di pianura assolata. Il silenzio è un deserto di polvere se le lacrime restano dietro agli occhi. Per tre volte ho pianto e sono rinata terra umida di rugiada.
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Il pensiero affiorato
a Chi un giorno mi ha scritto che l’innocenza ‘vede’ Dio Il pensiero è affiorato anche stanotte tra le rose e il gelsomino quando eravamo io e il giardino soltanto. Come accade ogni attimo? Lì dove i nostri desideri si toccano è notte, è giorno, non esiste il tempo. Mi fai dono d’una vista nuova. Ho un privilegio, solo io lo so: mi affaccio alla finestra e posso guardare. Guardo. E penso: ‘Sì, ora vedo’.
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Disincanto
Voli di passeri sparsi, la voce sgraziata delle cornacchie che cercano resti, l'odore amaro dell'oleandro e il profumo stanco dei fiori quando l'afa li sciupa: in un attimo è colma la stanza d'un sentore acre d'estate. Quel fiato caldo e la tua assenza già mi consumano, come un dolore.
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Nella prima estate
È chiaro il cielo ai voli spiegati di rondini altissime grida biondi brusii d'api tra l'oscillare di spighe d'erba e il silenzio in penombra di foglie. Abbeverata d'azzurro la terra.
A quest'amore nuovi eravamo. Nel sottovoce della notte la carezza di parole per saperci.
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Giugno
Matura il fervore dell’erba, ondeggiano le spighe dei forasacchi al vento – scorre lieve, prende e lascia. Il blu della veronica in terra sparge un volto di cielo, il giallo accendersi dei prati impollina gli occhi di splendore. Lucente estate che avanzi, ogni atomo di polline sparso è divenuto un mondo, tra galassie e galassie di verde vibra docile a invisibili cause – sgombro l’azzurro da nubi. Noi con in bocca steli agrodolci oggi assaggiamo miracoli.
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Oltre il vetro desideri
Oltre il vetro desideri l'odore dell'erba tagliata e giugno nuovo – l'effluvio dei tigli lungo la via. Ti prende la nostalgia di gerani rossi affacciati, la cura di mani anziane, da stringere nell'addio terrestre e un ritrovarsi. Nel cercare i nessi della vita ti perdi nella fedele linea dell'alba – è lì che sfuggono? Ti rimane l'attimo e respirare per risalire con le creature alate in fondo al cielo che schiarisce.
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È lo stesso verde
È lo stesso verde che fiorisce – le bocche di leone ai lati del giardino – lo stesso profumo carico di luce del caprifoglio affollato d’api – le api consacrate di Emily – che tornano – ritornano – per vocazione come parole dimenticate e riaffiorate alle labbra miele amoroso di poesia. Incessante ciclo di benevolenza. Ogni volta resurrezione. Sento il mio polso, il medesimo battito.
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Come un salmo devoto
Come un salmo devoto al mattino una preghiera d’ore antiche e nuove l’amore è una dedizione costante l’assiduità di uno sguardo al quieto saltello del passero la carezza alla scabra corteccia degli alberi, la dolce venatura di foglie nate le lacrime di resina dei pini è la silente attesa di una parola che tarda non nostra che pure mai si comprenderà intera come la vita tutta la vita e i suoi istanti i segni presenti la piccola zolla di terra dove tu resti stanza infinita che abiti.
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Le riconosciute
Quando posso, ti porto qualche fiore fresco dai prati, margherite per lo più, o se so che non tornerò a breve – i fiori appassiscono presto – metto in quel piccolo vaso qualche ramo verde o una piuma che ricordi a noi qui la bellezza del cielo. E poi parole ogni volta nuove, eppure ogni volta le stesse, le riconosciute.
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Sguardi
A volte la visione d’orizzonte sconfinato oltre lo sguardo è distolta d’altro più infinito – né cattura l’anima il chiarore – tra l’erba fitta un brulicare bianco di margherite dall’aroma lieve miriadi d’occhi aperti all’ora il cuore giallo che ricalca il sole.
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L’ora degli uccelli
L’alba è bianca come greto di fiume quando l’estate asciuga – carta velina di cielo – L’alba è un’ora sottile che non riconosci. Se non fosse per quei passeri – ospiti amati – insistenti e felici fatti solo di bisogno d’aria – la loro voce che sa – tu non vedresti come risorge il mondo. L’alba è l’ora degli uccelli.
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Portami a vedere
Portami a vedere la primavera lungo i fianchi del giorno, un vago polline, un profumo, sui rami il nudo ancora e il pieno... Non ci sono altre frasi o versi che rimino di bellezza come quella sfumatura imprevista del cielo, la gioia perfetta della luce che non so trattenere.
È questa la poesia che cerco, quasi invisibile a questa vita mia solo in figura d’apparenza. Poesia che viene e prende casa come una forma conosciuta d’amore o forse se ne è già andata poche righe sotto, come quando non hai più parole e ti restano solo le mani.
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È viola la quaresima
È viola la quaresima degli alberi di Giuda e preme alle finestre. Perché, primavera, continui a fiorire, cieca al mio morire, incurante della luce che in me si spegne? Potrà esserci ancora, qui tra le giunchiglie e il muro, la smisurata dolcezza del sole d’aprile o sarà il dolore l’ultima forma del mio amare? Fuori la stagione semina colori nell’ovario dei prati e la rondine porta rametti di qualcosa che non so più.
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Quasi un pudore
Profondo di desiderio il venire a te, un restare vibrante in attesa che risponda all’appello la voce. In nome di una fame ti cerco, Amore. Fermo il corpo nel silenzio notturno degli alberi trafitti dal buio, dove solo bisbiglio è il suono. Come una mano mi apro al tuo tocco, piano, come il salire dell’alba, luce appena accennata, quasi un pudore prima del sole.
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Una porta
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