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Raccolta di poesie di Lucia Triolo
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

aria di gioventù

Aria di gioventù sbrigliata
impigliata a mattini insepolti
solo appoggiati
a fumo
a un profumo vivo cerchiato sulla pelle
a una scondannata sete:
scalzi è bello!

la sera dopo il vino
non ci sono mezze misure

*

ad Osip Mandel’stam

A OSIP MANDEL'STAM

O forse, compiuto il cammino,
scaduto il tempo, tornerò,
là--non ho potuto amare
qui--di amare ho paura
(Osip Mandel' stam: Detesto la luce da PIETRA)

L'area del quadrato è colma di stupri,
dalla nascita ho perso il conto dei miei pori
stupore violentato brandisce deliqui

Osip il dissolto
vuole ancora venire a trovarmi,
per parlare.

Sono io a volerlo

Viene da lontano
lo sanno le piaghe dei suoi piedi
intrecciate ai capelli
ai sensi avvelenati,
lo sa la sua fame,
i suoi erutti d'aria vuoti,
gas di scarico tra singhiozzi muti nella spazzatura.

Sono io a venire

Stracci addosso pesanti dei suoi giorni,
dei suoi luoghi
Occhi nel ventre, nel petto, nel dorso
in un' anima ormai come liofilizzata
occhi, occhi, occhi
Lacerata occhiuta paura!

Sono io completamente cieca

là--non ho potuto amare
rabbrividisce

là dove, là dove? incalzo, forse
là dove amore non perdona non-amore?

qui-- di amare ho paura
mi sbatte in faccia,

qui dove, qui dove? aggredisco,
dove paura di amare?
Siamo già al danno ultimo!

Non voglio imparare l'inferno:
imparare ad amare quando più non si può!
Non è per questo che,
come l'amore,
l'inferno è eterno,
ed è senza perdono?

*

la preghiera del tempo

E noi -oh! certo Paul tu sai e io soltanto ora non conosco una parola che riveli in tutta la sua pienezza cos'é che ci sostiene. Ingeborg: I. Bachmann-P. Celan, Lettere 1943-1973: Ingeborg Bachmann a Paul Celan, Napoli 16/7/1958



C’era qualcosa che
non avrei mai saputo
ne’ potuto dire.
Eri tu

ho messo un piede nel futuro
l'altro l'ho lasciato
nel passato
e il mio corpo oscilla
come una danza rossa
o un ultimo congedo:
vibra l' ora che ci imbozzola
nella sua incessante preghiera

gioco a rimpiattino
con i luoghi del tempo
in certi sei diverso
o sono i luoghi a farti un altro.
Dove è rimasto il miele?

Mi manca forse la sincerità
di quel tuo sguardo quasi spaventato
la bufera con cui mi hai coperto.
Ci sto dentro
e non so più cosa
ha in serbo per me:

nella mia vita zampilla
la tua ferita
ogni giorno
ogni volta

la scompongo tra le dita

*

smantellata

sono smantellata, senza
pensieri
nulla di Alice e del suo paese
in me
la guardo di traverso
la voce in
disordine e le parole:
l' Io fluttua in molti modi
di squilibrati assaggi
e altalene
tanti
quanti il padre e la madre
nel cartamodello
disegnato
sul lettino di Freud
il cartamodello il cartamodello
-suggerimento di Alice-
era lui il padrone.
mentiva
dentro piacevoli informazioni
di sogni cocciuti
e delizie di confusioni
avverto Alice di non andare con nessuno se
non lo conosce
e Freud che voleva farmi
crescere la barba,
per radere via qualcosa
da me
senza tagliarmi la testa!

*

la cavalcata del dolore d’esserci

La cavalcata del dolore d'esserci
Chi cavalca così tardi nella notte e nel vento?
W. Goethe, il re degli Elfi
......
Questa è la vicenda di un dolore impossibile
consumato al galoppo
nei campi a distesa di un cuore arso
come stoppia
tra file d’ alberi fantasma e
crepe di fantasmi che si concedono
a una boscaglia dopo l'altra
a voler disarcionare dalle tue ciglia
lacrime che non scendono ma salgono
.
Una storia che non c’è
-non c’è mai stata e mai ci sarà-
una stregoneria
che passa attraverso parole che trafiggono
veloci
il tempo che abbiamo
e solo quello
(era un inquisitore quel
pettine che mi baciò la spalla
e mi lasciò il suo marchio?)
e che vendiamo a poco prezzo
a una sorte d'accatto
-che tutto si piglia
nei luoghi comuni-.
.
Mi hanno beccata calva e spettinata
a contare le dita di una mano tagliata
poi dell'altra e a sbagliare,
a sbagliare a contare
perché non arrivavo a 10
e le mie dita invece le avevano le chiome degli alberi
E anche il cielo non c’era più
.
Solo i fantasmi non conoscono
esasperazione

*

foto

sui mobili di casa
foto tutte senza volto

somigliare a qualcuno
che non si conosce
flussi spietati di cornici senza stimoli:
la propria preistoria senza fattezze
come un quadro di Bacon

cucire un
vento di domande
come sudario
per la sepoltura

non è poi molto!

*

l’ora

di fianco
dove prima c'eri tu
non c'è nulla:

il molto incontrò il poco
e lo derubò
anche di ciò che
non aveva

non occorre sapere
dove ho perso la facilità di me
dove l' ho gettata
mentre credevo di averla
in pugno

deragliano voli
d'ali
la vespa punge
mentre salta alla corda
sul mio difficile

come manca quell'ora!

l'ultimo gesto
attende l'ora che qualcuno
lo compia

*

fuori dalle cose

le amache
lasciano nodi
ormai
forse da non sciogliere

se poi qualcuno ti dicesse
che non ci sono
non insistere a cercarmi

paesaggio tagliente
affamato
vi si posano mosche
e la luce che muore

dall’altra parte della voragine
la piccola mano
accarezza Dio

fuori dalle cose

*

Io-ci-sono

Io-ci-sono
nel balbettio confuso
di ogni nuovo giorno
quando respirare è mormorare un si
ad attese d'ignoto mai interrotte
e chiedergli: mi vuoi?

Eccomi:
la tazzina del caffè
la prima sigaretta,
la quotidiana banalità
ad addentare lampeggianti voglie di
vele gonfie sul mare
e clandestina urgenza di reincarnazione.

Ero bella nell'estate
del 7 A.C..
Lo specchio mi rimanda ancora l'immagine
e gli ebrei che,
come me, avevano ascoltato i profeti
erano vittoriosi di speranze.
Parlavo anche il latino.
nelle bettole all'aperto
tra un sole di lucertole squamose
e boccali di vino.

Poi nacque Lui.
divise il tempo
come fosse gingillo.
lucertola bella, ora
ero DOPO.
avevo attraversato una voragine
con quella incalzante presunzione
di io-ci-sono
al netto di ogni ostinata indagine

E ancora io-ci-sono
tazzina di caffè fumante,
bisbigliando buongiorno alla mia sorte
che in questa nuova
essenza
ha trovato un modo caldo di
fare ciao alla morte

*

Sogno di bambola (quasi un ritratto)

sogno di bambola
(quasi un ritratto)

“Nemmeno porto un viso
con me, già trapassato in altro viso”
C. Campo, Passo d’addio

come a persona che
cuce pelle in altri

le bambole mi regalavano
pennelli e un viso
non mio
e mi sbalzavano giù
dal quadro
tirandomi
per l'orlo crespo di una gonna
non mia

mi avvolgevano nel
loro sogno
a raccontare storie
vestita di nuvole

ogni giorno avevo un nome
diverso
il nome di una o di un'altra
e ancora...

non superai mai l'esame
di ammissione
al disordine insoddisfatto del
loro letto

mi lasciarono
inutile
sul cuscino insonne
rubandomi le scarpe
per fuggire

*

complicità

fra te e me
chi ha più isole
da cui fuggire?

siamo
la lingua
di cui andiamo in cerca
la complicità
che ascolta
le ore

e delirio della parola
è l'ascoltarsi
nel duplice dardo del respiro
dove ci appart(en)iamo

io sono quella che segue
la partita con te

*

Il vestito disabitato: davanti a A. Kiefer, Vestito da sposa


E il vestito disabitato
sta in piedi,
senza un corpo,
trafitto da sottili lame di vetro
a sfinirlo

un'anima veglia la sua ora,
disabitata anch'essa, ormai
ed asciutta.
forse di sangue
scivola quasi nascosta
una goccia
dietro la piega
del seno

a tratteggiare il contorno
di un contatto
la febbre di
una quaresima

*

...e io mi nascosi

...e io mi nascosi dietro,
era un luogo che non accarezzavo
per paura,
un tempo sospeso
come tra morte e sepoltura.
Sedevo su una pietra vischiosa
abbarbicata a me
e il mio pallore
è giunto fino a te
a lame taglienti di luce.

L'amore
profuma ancora
di salvatico.

*

sosia

In ogni piazza giacqui
con il sosia dell'universo
sfregava la mia pelle
al mio corpo suggeriva
i luoghi della morte
i suoi bizzarri occhi
sfuggenti
fissavano sempre la parete di fronte

non ho creato io
la mia memoria

*

vengo

vengo dal tuo corpo
un grado a est del
mio passato

rete
di minuti è l' oggi
gracili, minuti
di delicata
costituzione.

unico, tu
cospargi infiniti di luce
sull'indicibile
noi

*

rosso



che la gioia sia grande fino alla morte
...
che resti solo la luce, la dolcezza
anche quando mi cola tra le gambe
un esile rivolo di sangue

Barbara Korun, Canti di morte 2
-----

Vorrei dare calore
alla notte

Io non dormo come gli altri
il mio sonno è rosso
attraversa le gambe
come un filo caldo di sangue
increspa la pelle
i suoi monti, le valli

l' han tessuto
devote follie senza
culla al sogno

piuma rossa di colombo ferito
non si scusa col tuo
cuscino
sordo

vuole dare calore
alla morte

*

Non c’é attesa

Non c’è attesa
tutto è già accaduto?
non è successo nulla

e manca
nei depositi ingombri
di ciò che non siamo riusciti
ad essere

serpenti?
si intravedono serpenti tra gli alberi

baci?
solo calci alla tristezza

chi ne aveva bisogno
s' inzuppò
di domande inginocchiate

ora le mie bugie sono stufe?
non ho mai detto bugie

delle mie verità?
non ho mai detto verità

Sospetto di me stessa
per non tradirmi

Oggi ho visto Dio
posteggiato al mio posto:
in divieto di sosta

la polizia non fa multe
quando piove

*

zia Concettina

Zia Concettina

Contro le date,
andava per abitudine contro le date
indossando ciò che
non si ha

e non cresceva mai
e non rimpiccioliva:
pioggia, sole, poche
amiche

era uno stop
uno stop vivente
come un’illusione:

toglieva i giorni pari
al calendario
e li appallottolava in bocca
riempiendoli di saliva

poi li sputava per strada
cioè su se stessa
era lei la sua strada
che conosceva:

lasciava che la sua strada la percorresse

niente problemi di identità
-era nata di dispari-
nuda le bastava sentire il calore
del suo corpo

tutta la sua fiducia nell'artificio
di riempire i giorni pari di saliva
senza sbagliare
la commuoveva a sera rientrando a casa:

era una commozione diligente

*

Dislocazione in V tempi

(per una fenomenologia della solitudine)


DISLOCAZIONE IN CINQUE TEMPI
e un epilogo



RISVEGLIO

la spoglia che dorme nel mio letto
era! dislocata

come una foto malriuscita
il volto della sua notte
il trasalire di un’ ecchimosi il suo giorno:
un crak fragoroso

una trappola il nome
una trappola in stato di grazia
come un fiore velenoso si schiude sull’osso
esistono ragioni? per essere risparmiato:
attento
non caderci
non caderci!

Ah quei burloni!
cosa guardano cosa guardano?
(gli occhi di que)gli specchi
di chi? sono quegli occhi
perchè? voi qui
non si perdono gli anni come fossero sguardi affilati
cosa c’è? cosa c’è
da vedere
no non
si guarda oltre lo sterco!


AFFRONTARSI


La spoglia che dorme nel mio letto
era! dislocata

affrontarsi -corpo sbarrato a croce da punti interrogativi-
diventava sempre più un
accendere la dinamite ad un atto di pirateria
ci aveva quasi fatto il callo
sbattere
sbattere sul fianco della
nave affondata
coltello
coltello tra i denti:
all’arrembaggio all’arrembaggio!

appena sveglia
cuscino vuoto al suo fianco:
una masturbazione sulla tua impronta
si accoppiava alla sua concupiscenza
mezzo giro su se stessa
a malapena
in una trasparenza opaca da sfoglia di cipolla

a chi rassomiglio? a una gazza ladra
e gli altri come sono? gazze ladre anch’essi
dove sono io: la mia scimmia
dove sono ancora?

EVITARSI

La spoglia che dorme nel mio letto
era! dislocata

frammento di un’ombra:
come fare per evitarsi
restava il problema:
lei il belvedere da cui
si osservava!
Orgogliosa umiltà: l’ anima viaggia a piedi
a piedi nudi a tentoni
sbattendo il membro sul cuore
ben poco le sfugge
-si sgraffia-
nemmeno ciò che
è stato cancellato a malapena
sul suo vecchio schermo

La spoglia che dorme nel mio letto
prendeva sempre più
le incerte sembianze di quell’
a malapena

e tutto era
immensamente
estraneo




PENSIERI

La spoglia che dorme nel mio letto
era! dislocata

chi ha pensato chi ha pensato
i miei pensieri
e adesso? chi li pensa
quei pensieri non possono!
stare da soli

il suo solito ritardo oggi ha ritardato
perseguitato dall'idea che
lo stipite della porta avrebbe avuto la meglio
sulle sue prestazioni /impressioni
non ce l'avrebbe fatta
altri avevano vinto i suoi concorsi
prima che li bandissero

la morte che si dava
era un mitra e
il suo bersaglio:
era quella da! evitare

complottava con se stesso
contro di sé
frasi spezzate
la spoglia dislocata
(si) diceva:
non cedere di amare
mi sono allontanato
solo per un momento



RAGNATELE

La spoglia che dorme nel mio letto
era! dislocata

se ne era alla fine accorta:
delle ragnatele nel cervello
-dico-
gli tenevano assieme i frammenti
il suo cervello l'aveva
presa male
cercava di riderci sopra
di parlarne (con chi?)
ma per la verità
non sapeva che fare
nei momenti di
invisibilità
-gli capitavano spesso-
col libro in mano
cercava un ragno di cui
innamorarsi
ma quelli tra i suoi frammenti
erano
tutti occupati a tessere odiose tele bucate
da bucare ancora di più
tanto che lei ormai
faceva fatica a distinguere
tra banalità e follia

da dove giungevano
le notizie?



EPILOGO:

Solo le maschere sanno
quante varianti
può avere un lapsus

*

il primo libro, l’ultima utopia

Io sono il mio primo libro
sono anche l'ultima utopia
in mezzo
non so
qualcosa di simile a una sillaba
che come un uccello
urtava la voce
contavo i granelli di
polvere che
mi davano vita.
Non seppi mai (di)
essere madre né figlia
né carne
di una parola.

(L’azzardo è nella metamorfosi).

*

Lucida follia



In punto di lucida follia
mentre stringo tra le mani
uno scheletrico io
e scarico una lacrima in latrina
riesco a dire esattamente
ciò che penso

inconcepibile come una gaffe

*

gettiamo i dadi

Gettiamo i dadi
sui depositi ingombri
di ciò che non siamo riusciti
ad essere!

serpenti? si intravedono serpenti tra gli alberi
baci? solo calci alla tristezza.

Chi ne aveva bisogno
s' inzuppò
di domande inginocchiate

ora le mie bugie sono stufe? non ho mai detto bugie
delle mie verità? non ho mai detto verità

Sospettiamo di noi stessi
per non tradirci

Oggi ho visto Dio
posteggiato in divieto di sosta:
al mio posto
è il suo modo
di trarsi d'impaccio:

ancora un attimo di me!

*

pezzi della tua morte

parlavi
a pezzi della tua morte
abitavano il tuo corpo giallo:
l' allampanato condominio
dove lo sbruffone si diverte a suonare
i citofoni

la tua esplosione di rabbia come vento
continuava a girare a girare
a spazzarne via
i risvolti dall'ultima pelle che ancora li ricopriva
neanche fosse erba secca

restavano solo pezzi della
tua morte
scaglie dei tuoi discorsi

e la tua inutile fame
di vita

*

l’idea e l’attesa

L'idea l'ho caricata
sulle spalle
ho incipriato l'attesa
sul ventre
ho diviso in due la mia passione
accoccolata
su quella parola che non pronunciavi mai

simile all'urlo.

*

nessuno sa

Nessuno sa quante
volte al giorno
mangiano i peccati

I fiori di rabbia
odorano di assoluto

*

città lenta

La città è lenta
stasera
non passa mai.

Il tempo sembra addormentato
ma solo “sembra”.
Non è come la città.
È desto, silenzioso e finto
respira.

È solo segno a vuoto
tempo finito:
ricordo

verso ...
....il perduto
capitale di silenzi

chiudo.

La città è lenta
stasera
dentro il mio cassetto chiuso.

*

ciò che non ricordiamo

ciò che non ricordiamo
sa qualcosa di noi
il colore delle nostre vesti
l’arancio aggredito dal rosso ciliegio
quel lieve sentore di bugia
l’emozione sgualcita a pezzi
nel tappeto
le fusa del gatto
un gesto: l’ adagiarsi del corpo
il suono della porta
sul più bello

io non ricordo
ancora guardo

*

un punto nelle parole


c'è un punto
nelle parole
riservato alla morte
uno scandalo fragile
silenzioso
che poche lingue conoscono

lì sfregiati
ci destammo
dissotterrammo
i corpi come ascia di guerra!
un piede dopo l'altro

raccogliemmo
le cose
i soffi
le ore

ciò che mancava
si riempì
di noi

*

burro fuso

La mia Cartolina per Leopardi

BURRO FUSO

la tua giovinezza mi precipita in bocca
è burro fuso
nell’aria sospesa quasi un’attesa
e nei volti
e c'è un bel luogo
dove stare vuol dire
stare insieme

perché i poeti
si ricordano
dei morti?

*

burro fuso

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