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Raccolta di saggi di Cosimo Abatematteo
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Letteratura

Septimius Felton

SEPTIMIUS FELTON, OR THE ELISR OF LIFE di NATHANIEL HAWTHORNE

Introduzione - Breve profilo della vita - Septimius Felton

Introduzione
E’ bene chiarire subito che Nathaniel Hawthorne è stato con John Milton, uno degli scrittori più belli della letteratura di lingua Inglese. Credo che il suo puritanesimo, il timore di Lucifero e del Peccato, abbiano reso alcuni suoi romanzi e racconti che avrebbero di contro potuto essere perfetti, ordinari. Ad ogni buon conto, il suo senso del peccato originale e quello di pudore, saranno di li a poco impensabili nell’America del dopoguerra, che è orami l’epoca della moderna America.
Hawthorne non era solo bello. Era squisito e gentile e da che mondo e mondo –prendo gli spunti da Henry James, essere giusti e squisiti non significa andare debitori della suprema distinzione; perché ciò accada, perché si sia felici, è necessaria la combinazione di incidenti, la presenza di certi valori che facciano apprezzare tali qualità. Qui mi fermo perché la complessità jamesiana potrebbe prendere anche me.
Con Hawthorne la letteratura nord americana prende le distanza, si rende indipendente dall’Europa ed in particolare dallo sviluppo che il novel ha avuto nell’Inghilterra. H. resterà fedele al romance. La scelta per il romance non dissociata dall’influenza religiosa e puritana in particolare, renderà per certi versi inevitabile il ricorso all’allegoria. Il fantastico e l’allegoria metteranno H lontano dall’esperienza politica e sociale di Brook Farm. H è convinto dell’impossibilità di riformare l’uomo su un piano laico, secolare; qui si parla di simbolismo, di archetipi. Per “qui” intendo gli scritti di H.
Osservazione la quale non pone certo H ai margini del cd. Rinascimento americano, tutt’altro, egli ne rappresenta un altro aspetto. Uno studioso: Matthiessen parlò per la prima volta di Rinascimento Americano fissando un canone letterario –da cui restò fuori Poe- che sebbene adesso sia criticabile resta un importante punto di riferimento per la storia letteraria degli Stati Uniti.
H è come se sfidasse il comune sentire del suo tempo fatto di buon senso, senso comune, quello che delinea un mondo ordinato, coerente. Egli arricchisce il Rinascimento americano rivelando come questi intellettuali siano i portatori puri di un travaglio nazionale. L’America sta cercando la sua identità nazionale e culturale. Fondamentale, mi permetto di dire, è la lettura di un operetta di Emerson: The american scholar del 1837.
Henry James in un suo piccolo saggio su Hawthorne così lo descrive: in verità per molti il suo tratto alto e più commovente resterà la sua estraneità, ovunque si trovasse. Egli sta fuori di tutto, è uno straniero in ogni luogo. È un solitario esteta. La sua fantasia leggiadra e lieve è l’ala che nella sua sera autunnale sfiora la finestra buia…egli era divertitamente e discretamente contemplativo e per lo più indugiava, fra gli aspetti prosaici, su quei punti meglio potesse giocare il suo senso delle sottigliezze. Ma fra tutti i cinici fu il più luminoso e gentile (il saggio è uscito nel volume di L. Edel The American Essays of H.J. New York 1956, p.23).
Hawthorne parla con gli altri quando ha possibilità di discutere del soprannaturale; era un sacerdote del fantastico, se così posso dire, allo stesso modo in cui Flaubert era il monaco dello Stile e della Forma (M.D. Conway, Life of Hawthorne, London, senza data).
C’è un distacco estetico nel bellissimo Hawthorne. La salvezza cui pensa non è quella collettiva dell’umanità concetti che dovevano apparirgli remoti: H tenta di insegnare a salvare l’anima individuale.
















Breve profilo della Vita.
Nacque a Salem il 4 luglio del 1804. Il suo cognome era Hathorne in seguito venne modificato in Hawthorne che significa Biancospino. Salem è una cittadina del New England (ho visitato la casa di Hawthorne nel 2005, è una cittadina che mi è apparsa incantevole), regione americana nella quale nel Seicento fiorì la civiltà dei puritani, in sostanza i seguaci di Calvino che dall’Europa andarono in America alla ricerca della promessa e molti di loro credettero di averla davvero trovata.
Il padre dello scrittore (Nathaniel Hathorne) un militare morì nel 1808 di febbre gialla nella Guinea olandese e poté esercitare sul figlio maschio poca influenza. Hawthorne penserà spesso ai suoi ascendenti puritani, alcuni dei quali, magistrati, ebbero un ruolo importante anche nella famosa caccia alle streghe. Un suo progenitore William Hathorne, uomo di chiesa si era distinto nella persecuzione dei quaccheri e dei nativi indiani.
Quando il capitano Hawthorne morì la famiglia si chiuse in se stessa. Di più. La madre praticamente si recluse nella sua stanza e le sorelle del ragazzo avranno le loro camerette; questa allegra famiglia aveva membri che non comunicavano spesso tra loro e tale solitudine aiutò la vocazione di H che nella sua camera scriveva racconti fantastici. Un regime di vita –ovvio che sto saltando altre fasi- che durò più o meno 12 anni
Io suggerirei, per venire alla sua prima formazione culturale, che l’azione combinata da un lato, della finestra della camera della casa in cui si era trasferito con la madre e le sorelle dopo la morte del padre dalla quale poteva assistere impunemente alla grandiosità dell’oceano Atlantico il waterfront, e dall’altro dei libri: Pilgrim’s progress di John Bunyan e Faerie Queene del poeta rinascimentale Edmund Spencer –libro certamente religioso con una splendida apertura al mondo meraviglioso fatto di nobili cavalieri, principesse, maghi, draghi, dicevo questa combinazione, ha avuto un ruolo straordinariamente rilevante nello stile e nel contenuto delle opere di Hawthorne. Il bambino che leggeva queste pagine aveva solo 7 anni.
Queste letture di opere allegoriche tutt’uno con le storie di stregonerie, di superstizione, di misteri che avvolgeva e avvolge il New England, non poterono non esercitare un influsso duraturo sulla personalità sensibile di H. ma non si può dire “allegorie” e poi fare finta di niente.
Tutti sanno che Edgar Allan Poe accusava H del reato di composizione di opere allegoriche, genere che evidentemente a Poe dispiaceva e per certi versi anche a me che sto scrivendo queste ingenue note. Di la dell’illiceità o meno del genere “allegoria” genere che rischierebbe di distrarre dai fini veri di qualsiasi estetica letteraria (Croce), sorta di moltiplicazione inutile di un già di per se ricco reale, preme solo confessare come sia innegabile l’esistenza di certuni scrittori che adorano parlare per immagini, infino per pura astrazione.
Allora dove sta il male? Da nessuna parte s’intende. Alcune complicazioni sorgono quando lo scrittore si mette a scrivere per astrazioni senza essere un vero pensatore. Non mi pare che le cose si contraddicano. H ha una strepitosa immaginazione come tutti i veri solitari. È anche un pensatore? È anche un filosofo? Tenderei ad escluderlo lo è più Melville, l’irascibile Melville. H, così come la sua affascinante, dinoccolata camminata, amava scrivere i suoi racconti portandoli a danzare fra realtà e immaginazione cercando di trarre da tale incontro/scontro allegorie, simbolismi.
Septimius Felton è un’ininterrotta ricerca e rappresentazione di simboli (alchemici).
H. non è un grandissimo per quanto sono andato dicendo. Non appesantisco queste che sono e restano delle semplici note con dirette citazioni da The Marble Faun o da The Scarlet Letter, o da The Dolliver romance, o da Rappacini’s daughter –romanzo quest’ultimo prossimo al Septimius. Il fatto è che questo scrittore annotava tutto non per farne caratteri, cioè personaggi da romanzo ma per mostrare la sua posizione, per esemplificare un simbolo. Procedimento artistico che appesantisce una storia. H. è pesante per un romanziere. Per questo motivo Borges eleva i racconti e non i romanzi di H a rango di opere indispensabili per la letteratura americana. Un romanzo ha bisogno che i personaggi come dire si distendano, si sviluppino. Nel racconto il fine che si vuol dimostrare è più facilmente raggiungibile anche senza dare origine a personaggi dimenticabili.
Ma torniamo alla vita.
Per breve tempo il ragazzo nel 1818 si trasferì nel Maine, fece ritorno a Salem per continuare gli studi. Per poi addottorarsi in una università del Maine. Anche i suoi compagni universitari lo definiscono umbratile, misterioso, silenzioso. Pare che William Goodwin e specialmente i romanzi storici di Walter Scott abbiano guidato alcune delle sue prime prove narrative perché a questo punto l’uomo si è persuaso che il suo futuro, la sua vera vocazione è scrivere. Uno studioso italiano di Hawthorne ha notato come questi siano gli anni di vera maturazione artistica dello scrittore, quelli che vanno tra il 1825 e il 1837, i famosi 12 anni di solitudine. I solitary years di H. gli danno una precisa connotazione estetica.
La solitudine non come cupa malinconia ma un ritrarsi in se stessi per riflettere. Solo che tale solitudine deve aver ingigantito la tendenza al fantastico già pronunciata di H. e dunque si spiegano i suoi racconti. Non si deve immaginare un uomo passivo, refrattario al mondo. Il suo diario, iniziato nel 1835, mostra esattamente il contrario: un uomo dalla mente curiosa di tutto, dei più minuti dettagli. È ai dettagli della vita minima che H lega le sue intuizioni metafisiche.
Ha scritto Citati che H. viveva comportandosi da vero scrittore. Come in un mondo fatato egli vedeva delle cose, dei veri e propri spettacoli onirici. Citati riprende Borges e ritiene H. mancante di una più ampio sistema filosofico. Perché il punto è che date le premesse: racconti e scritti di respiro esistenziale notevole è naturale chiedersi quale è il pensiero, l’etica di H. Con Maugham, ad esempio ove il piacere puro della fabula è evidente non verrebbe mai di chiedersi quale possa il sistema etico dello scrittore.
H. è un romanziere certo, ma particolare. Le sue opere sono fatte di echi, di luce tenue, crepuscolare oppure notturna. I riferimenti storici ci sono nei suoi racconti, ma sembrano quasi espedienti per giustificare il fatto che il lettore “ode” le voci dei personaggi, voci che vengono di lontano magari da quell’immensa distesa d’acqua che si presentava davanti alla finestra di H.
Un po’ di titoli. Twice-Told Tales è quello che deve essere letto di H. oltre al diario che trovo estremamente rilevante anche dal punto di vista della formazione (che è sempre in itinere) dello scrittore. Poi ancora: Mosses from an old manse e ovviamente The Scarlet Letter. Poi ci sarebbe Septimus Felton che è un romanzo curioso nell’ambito della produzione curiosa di H. e del quale parlo dopo. Da leggere anche The House of the Seven Gables.
Intanto nel 1837 H aveva conosciuto Sophia Peabody. Sophia pare fosse una ragazza debole e colta e proveniva dall’ambiente intellettuale di Boston che in quegli anni andava elaborando la visione Trascendentalista. I Trascendalisti - la cui influenza enorme sulla cultura americana e dunque in seguito anche europea Elemire Zolla ha più volte spiegato in libri e saggi memorabili (come tutto quanto questo studioso è andato scrivendo)- questi intellettuali americani in altri termini (Emerson tra tutti) leggono Platone e Swedenborg, Kant e i romantici tedeschi ma sanno che possono elaborare un sistema di pensiero che si affranchi dall’egemonia culturale europea (e britannica in particolare).

In un primo tempo H è attratto dai trascendentalisti anzi nel 1841 si stabilisce nella celebre comunità di Brook Farm a West Roxbury (nei pressi di Boston) fondata da un certo George Ripley che con alcuni amici voleva sperimentare un sistema di vita comunitaria. Una sorta di comunità di Figli dei Fiori. H farà il contadino. H è un intellettuale e questo tipo di vita l’annoia. Si allontana dalla comunità (scriverà il romanzo The Blithedale Romance nel 1852 e non sarà tenero con la comunità di Brook Farm).
H sposa Sophia nel 1842 andandosi a stabilire a Concord, casa che nel tempo diviene punto di incontro per gli intellettuali americani del New England: Margaret Fuller, James Russel Lowell, Ellery Channing e naturalmente Thoreau ed Emerson. H manterrà nei confronti del più importante di questi intellettuali Emerson un atteggiamento di scetticismo.
Da Concord sarà costretto a spostarsi di nuovo a Salem e qui tornerà a lavorare all’ufficio doganale. Tra il 1844 e il 1851 gli nascono tre figli: Una, Julian, Rose. Per motivi politici H perderà l’impiego alla dogana e nel 1849 muore la madre. E in questo stesso anno comincia la composizione di The Scarlet Letter che verrà pubblicato l’anno successivo dando allo scrittore una certa sicurezza economica.
Volevo dire che in questo 1850 H. incontra il suo maestro Melville. Che gli resta superiore per forza simbolica.
Nel 1941 uno studioso Francis Otto Matthiessen parlò in un libro di Rinascimento Americano riferendosi in particolare ai due amici. Melville descrive l’epica di un individuo al cospetto di forze a lui superiori, H. cerca di costruire una coscienza americana moderna affrancata dal fanatismo puritano. Da un lato abbiamo Moby Dick e dall’altro The Scarlet Letter.
Quando Pierce suo vecchio compagno d’università verrà eletto presidente degli Stati Uniti H nel 1853 è nominato Console Americano a Liverpool e Manchester. Con la famiglia andrà in Inghilterra. Incontrerà anche in Inghilterra Melville. Si dimette dall’incarico di console e viaggia tra l’Italia e la Francia. Nel 1859 torna a Concord. I suoi amici trascendentalisti sono felici di riaverlo ma lui non li ricambia con lo stesso affetto, troppa la differenza nell’affrontare il concetto di Male. E di conserva di Bene.
Ha scritto Henry James che H. coglieva il male alla sorgente della profonda coscienza umana. Per H il male è dell’anima, è un disagio esistenziale. Era lontano, lontanissimo dall’utopia trascendentalista. Emerson e gli altri inclinavano a trattare il male della vita come un problema risolvibile sul piano politico, con le riforme sociali. Un sorta di tecnicismo risolvibile con applicazione! H. trovava in genere i trascendentalisti tediosi e poi essendo immerso lui nel concetto di peccato originale era costretto a vivere con persone convinte che l’uomo possa modificare la realtà: sicché la sua solitudine non poteva essere più totale.
Muore nella notte tra il 18 e il 19 maggio del 1864.






















Septimius Felton
C’è un fiore in questo romanzo. Un fiore cremisi che forse è qualcosa di velenoso. H. nel suo sterminato simbolismo adopera spesso una pianta per condannare l’umanesimo scientifico; come fa per i fiori del giardino di Rappacini. Il principio del bene è quello di accettare il proprio destino, con la quiete che ciò comporta. Dice il teologo al protagonista. Ma il ragazzo gli fa notare che accettare quietamente la vita porterebbe ad un inganno maggiore poiché i dubbi e le paure si manifesterebbero con maggiore virulenza quando le incertezze emergono: la questione è che il ragazzo è incerto se iniziare o meno a studiare teologia. Il romanzo come le opere ultime di H. tende a confrontarsi con il dilemma: quiete o inquietudine, il prezzo è la pace dell’anima. O la sua perdita.
Nel 1860 come detto H torna ad abitare a Concord che fornisce lo sfondo ambientale a questo romanzo che nella sostanza parla del problema della morte, cioè dell’immortalità. L’immagine dell’orma insanguinata H l’aveva presa durante il soggiorno in Inghilterra e precisamente nel Lancashire aveva visto la pietra dell’orma insanguinata, una pietra cioè macchiata da una forma di piede marrone che si diceva stampata dall’eretico John Marsh mentre veniva condotto al supplizio. E da questo momento nella fantasia di H la figurazione di una storia sull’orma insanguinata non cesserà di seguirlo. Perché al centro del romanzo sta l’immagine dell’orma e l’idea dell’immortalità. Probabilmente queste due idee combinate dovettero ossessionarlo ed erano alquanto riluttanti ad ordinarsi in trama.
H infatti stese diverse canovacci prima di dare forma al racconto e da uno di questi nacque addirittura un libro stampato poi con il titolo The Ancestral Footstep che è la storia di un americano che visita un castello inglese in cui si trova l’orma di sangue, il visitatore capirà in seguito di essere lui erede del castello e il proprietario lo perseguita. Pare che solo nel 1861 H cominciò a dare ordine sul foglio all’idea di Septimius Felton. L’idea di comporre una storia sulla ricerca dell’immortalità cessò ad un certo punto di spaventarlo. Fu la figlia Una in verità a pubblicare il romanzo nel 1871. Di passaggio dirò che del romanzo esistono ben undici manoscritti diversi.
Come tutti i racconti simbolici tracciare la trama di questo racconto è difficile. Il libro ha una racconto al suo interno che è quello noto dell’orma insanguinata. La leggenda dell’orma insanguinata si lega a resoconti alchemici: la vita dell’omicida dovrebbe essere garantita dal sacrificio e la vittima deve essere una creatura amata. Septimius Felton questo singolare romanzo che non è difficile reperire in inglese mostra un personaggio ossessionato dalla vita eterna, deve garantirsi la vita perpetua. Il desiderio folle di vivere per sempre all’inizio dell’evo moderno era cosa frequente. Si parlava dell’elisir della lunga vita e lo stesso Cagliostro veniva creduto detentore di questo segreto.
Cagliostro consigliava di andarsene a dormire in una casetta di campagna per ottenere il Rinnovamento. E cosa era questo rinnovamento? Per 40 giorni bisognava stare in questa casetta a dieta e ingurgitando lassativi per tenersi occupati con qualcosa e magiare qualche dolcetto. Dopo 17 giorni il malcapitato doveva salassarsi e quindi mettersi a letto e c’è da chiedersi se aveva la forza per mettersi pure a letto. Dopo 32 giorni doveva mangiare qualcosa di non ben identificato che avrebbe dovuto impedirgli di parlare e lo avrebbe messo in uno stato di convulsioni. Sudate e perdite organiche lo riducevano ad una larva. A questo punto gli si dava un brodo che gli avrebbe procurato deliri e febbri. Quindi la perdita di denti e capelli e il trentacinquesimo giorno un bagno che lo avrebbe messo in uno stato di semi coscienza durante il quale i capelli sarebbero ricresciuti e anche i denti si sarebbero riformati. Quindi nasceva una nuova persona Rinnovata.
Si tenga conto che questi deliri vennero spacciati in pieno XVIII, il secolo del Razionalismo. Septimius eredita questa volontà di onnipotenza e questo Lucifero Hawthorniano in realtà non vuole vivere solo un suo illimitato destino, vuole vivere tutti destini possibili. Septimius vorrebbe passare per tutte le vite e per tutte le esperienze vuole essere tutto e tutti. Non so che valore abbia questo romanzo specie perché non sono uno studioso di alchimia. Esso tuttavia è rilevante perché è uno dei più delicati romanzi della narrativa di lingua inglese che tratta l’alchimia, esistendo una corrente nella letteratura anglo americana che ha una sua storia ed è la poesia e la narrativa di soggetto alchemico.

Riferimenti Bibliografici essenziali:
Septimius Felton or the Elisir of Life, Nathaniel Hawthorne, Aegypan edition, 2007; Agostino Lombardo, Il simbolismo nella letteratura nord-americana, Firenze, 1965, p.155; Elemire Zolla, Le origini del trascendentalismo, Storia e Letteratura, 1963; Philip Mcfarland, Hawthorne in Concord,Grove press, New York, 2004; Nathaniel Hawthorne Journal, 1972, Edited by C.E. Frazer Clark, Jr., Washington, 1973; Benedetto Croce, Problemi di Estetica, Bari, 1940; Henry James, Hawthorne, Tutis Digital pub, 2008; Borges, Tutte le opere, Milano, Mondadori, 1984, pag. 953; Francis Otto Matthiessen, American Renaissance. Art and Expression in the age of Emerson and Whitman, Kessinger publishing, 2007;
Cosimo Abatematteo

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- Letteratura

The Painted Veil di Somerset Maugham

NOTE SU: The Painted Veil di Somerset Maugham

I. Breve Profilo della vita.
II. The Painted Veil –a) Breve profilo del romanzo; b) Osservazioni sul libro; c) Lo scetticismo di Maugham.


I. Breve profilo della vita.
Somerset Maugham visse per quasi 92 anni e scrisse 78 libri. Una vita personale e professionale intensa e varia. La sua vita trascorre dall’età tardo Vittoriana per spingersi fin nel cuore del ‘900. Ha scritto non solo romanzi e racconti, ha scritto opere teatrali e sceneggiature, libri di viaggio e saggi di critica letteraria. È stato un medico, un agente segreto, un consulente governativo, un raffinato collezionista di opere d’arte e un generoso filantropo sebbene fosse molto attento al modo in cui spendeva la sua ricchezza.
Maugham è un artista costantemente preoccupato che l’opera che va costruendo non sia colta nel suo ampio significato. Era ossessionato dalla sua reputazione letteraria e fino alla fine non riuscì a capire l’entusiasmo della critica inglese per Katherine Mansfield. Dal punto di vista narratologico i due artisti erano alquanto differenti. Ma di là di Free indirect speech o di omniscent narrator, il fatto più semplice ed evidente è questo: William Somerset Maugham è stato un magnifico racconta - storie con uno straordinario talento a far soldi con il suo lavoro. Dettaglio non trascurabile.
Probabilmente il suo capolavoro è Of Human Bondage anche se, a dire il vero, il libro che gli fece guadagnare milioni di dollari fu The Razor’s Edge. Per quanto la storia presenti vari aspetti inverosimili pregevole è Up at The Villa.
Maugham è stato un uomo di mondo e un cosmopolita; la sua personalità non era di quelle che mettono a proprio agio l’interlocutore. In Maugham, nei suoi scritti, si nota sempre un cinismo e una sobrietà che non escludono una comprensione dei difetti umani. Sapeva dell’imperfezione degli uomini (lui stesso era molto imperfetto, e non solo fisicamente) e forse per ciò teneva in forte antipatia Henry James che giudicava pressappoco una caricatura dal punto di vista umano.

William Somerset Maugham nacque nell’ambasciata inglese a Parigi (per evitagli la coscrizione militare nell’esercito francese), il 25 Gennaio del 1874. In quell’anno gli Impressionisti francesi organizzavano la loro prima mostra, il Requiem di Verdi va in scena, Flaubert pubblica La tentazione di Sant’ Antonio e Thomas Hardy pubblica Far from the Madding Crowd. In questo anno nascono altri importanti scrittori: G.K. Chesterton and Robert Frost. Stilisticamente Maugham verrà influenzato dal tono satirico di Flaubert e scriverà un romanzo su Hardy.
Non gli piaceva il nome William e per tutta la vita incoraggerà gli amici a chiamarlo Willie.
Il fatto triste che sia rimasto orfano ad una giovane età segnerà il suo sviluppo psicologico profondamente. Willie è basso e soffrirà di questo per tutta la vita (alcuni suoi biografi malignamente dicono che M. tentava infatti di circondarsi di amici bassi quanto lui). Maugham, uno dei più grandi narratori del ‘900 Inglese balbetta. Willie si lamenterà anche del suo aspetto fisico ma ingiustamente. Un suo amico dirà dell’aspetto fisico dello scrittore: an unobtrusive, rather wary, unusually good-looking man. Un ritratto di M. che trovo perfettamente rispondente all’anima di questo grande artista lo ha fatto Graham Sutherland (Portrait of Maugham, 1949).
Ovviamente la sua omosessualità guiderà tutta una serie di scelte importanti. Per celare l’omosessualità Maugham si sposa e ha una figlia; la sua vita sentimentale non è tranquilla. Né il suo matrimonio lo è. Fare la storia delle sue amicizie maschili è molto interessante ma porterebbe i limiti delle presente note troppo lontano.
Maugham come W. H. Auden pensava che la scrittura è un lavoro serio, e che scrivere richieda reclusione e non certo l’aria aperta; fedele a ciò, M. si sedeva per scrivere di fronte ad un muro bianco. M. non capiva quegli scrittori i quali dichiaravano di scrivere sotto ispirazione quando erano di fronte ad una vista incantevole. Sobrietà e semplicità forse sono anche questo. M scriveva (questi erano i suoi standard lavorativi) tra le mille e le millecinquecento parole al giorno e scriveva ogni mattina per circa tre quattro ore quando era a casa.
Con questi ritmi per circa sessant’anni ha prodotto molto ottimo lavoro. Scriveva a mano su dei quaderni e lo faceva sul lato destro. Le correzioni le faceva con una penna ad inchiostro rosso e le revisioni erano fatte sul lato sinistro.
Per scrivere con tale sicurezza è necessario essere convinti di essere uno scrittore nato e M. era convinto di questo. Per lui scrivere era naturale: I sit down with a fountain pen and unlined paper and the story pours out. Scrisse: when you are writing, when you are creating a character, it’s with you constantly, you are preoccupied with it, it’s alive. Da questa totale immersione nella letteratura nascono ritratti vividi dalla sua penna. M. non soffrì mai del “blocco dello scrittore”. La sua scrittura è fatta delle cose e delle persone che osservava. M. non era interessato all’Esistenzialismo né alle analisi freudiane; M. detestava la complessità fine a se stessa. M. era interessato alle persone e alle cose che dicevano, ne osservava il comportamento e i desideri.

Non ha goduto di una fama critica pari a quella popolare. “Those searching eyes could see all the concrete things, but not the deeper emotions; he could describe man’s human bondage, but not the bondage of hidden psyche. For a long time this made him a dull subject for literary criticism – there seemed little to say about him except that he was competent, professional and really slick” (Leon Edel).
Un altro eminente studioso Lionel Trilling ha scritto di M.: he does not undertake to engage our deepest feelings or to communicate anything new about the nature of human existence…Maugham does not sound our depths or invite us to sound his, and quite possibly he has no depths to be sounded”. Questa critica è davvero crudele.
Ma in generale le critiche negative su di lui si sono incentrate sul sottolineare quello che lui non è né sarebbe mai potuto essere. M. non è Henry James. M. resta un puro e per certi versi unico talento narrativo.













II. THE PAINTED VEIL

a. Breve profilo del romanzo.
Kitty Fane è una donna molto bella ma superficiale. Corteggiata da un batteriologo alquanto serio e posato lo sposa. Il marito Walter Fane lavora a Hong Kong e la coppia si trasferisce in oriente. Kitty è annoiata in generale e il marito così diverso da lei l’annoia ancora più profondamente. Date le condizioni è quasi naturale verrebbe da dire che la donna cerchi un altro uomo. Questo è Charles Townsend, uomo di potere. Charles è affascinante e la sua personalità estroversa ovviamente attrae l’altrettanto esuberante Kitty. La relazione adulterina (anche Charlie è sposato) viene scoperta da Walter –questo è l’inizio del romanzo- il quale escogita una vendetta terribile: Kitty deve seguirlo in un remotissimo luogo della Cina per curare il colera e l’uomo spera che la moglie ne venga infetta. Ma la storia prenderà una piega differente.


b. Osservazioni sul libro.
I romanzi e i racconti di Maugham nascono dalle persone che lui osservava. Il personaggio del dottor Walter Fane nel suo romanzo “cinese” The Painted Veil (1925) si basa sul fratello di Willie: Frederic. Frederic Maugham diverrà Lord Chancellor. Maugham descrive così Walter Fane: a restraint, cold and self-possessed man…He thought himself so much better than anyone else, it was laughable; he had no sense of humor; his wife hated his supercilious air, his coldness, and his self-control. I rapporti che Somerset Maugham ebbe con questo fratello alto, freddo, distaccato, controllato non furono facili. I fratelli si ammiravano da lontano per i successi che raccoglievano nelle rispettive carriere professionali.
Maugham deve aver consultato il fratello, illustre giurista, per problemi legali allorquando gli venne intentata una causa da un certo mr. Lane che era vissuto nella stessa parte di Hong Kong nella quale si svolge parte del romanzo. Infatti il nome dell’eroe era Lane. A seguito del processo Maugham fu costretto a cambiare il nome del suo eroe da Lane a Fane e il setting del romanzo divenne la colonia di Tching-Yen (nelle edizioni successive venne comunque riportata la versione originale del romanzo che prevede Hong Kong).
Nella sua prefazione al romanzo Maugham scrisse che l’idea del libro gli era venuta leggendo il Purgatorio di Dante mentre soggiornava a Firenze nel 1894. In particolare il brano al quale lui si riferisce è il seguente:
Quando tu sarai tornato al mondo,
E riposato della lunga via,
Seguito il terzo spirito al secondo,
Ricordati di me che son la Pia:
Siena mi fè; disfecemi maremma:
Salsi colui, che inanellata pria
Disposando m’avea con la sua gemma.
Venne spiegato al giovane Maugham che Pia era una nobile donna di Siena la quale era sospettata dal geloso marito di adulterio. Temendo la vendetta della sua famiglia nel caso egli l’avesse ammazzata portò la moglie nel suo castello in Maremma allora una zona malarica dove egli sperava che l’aria insalubre del posto uccidesse la consorte. Il suo piano fallì e la fece uccidere precipitandola da un’alta finestra. In verità Dante non parla di castello maremmano. Ad ogni buon conto, nel romanzo The Painted Veil, il dr. Fane costringe la moglie adultera Kitty, a rischiare la vita per accompagnarlo in una zona infettata dal colera.
The Painted Veil è probabilmente uno dei migliori romanzi di Maugham. L’apertura è brillante e coinvolgente. Gli amanti adulteri, Charlie e Kitty, sono interrotti mentre fanno all’amore, dal marito di lei. Walter Fane tenta di aprire la porta ma solo per rendere evidente la sua presenza infatti non entra nella stanza. Dopo tale scoperta, Charlie tenta di convincere Kitty che è meglio interrompere la relazione ma ormai la crisi che porterà Kitty nel cuore del colera è stata innescata. Walter Fane, medico che studia le malattie infettive, si prende non poche rivincite sulla moglie. I knew you were silly and frivoulus and empy-headed, dirà Walter alla moglie, I knew your aims and ideals were vulgar and commonplace…i knew that you were second rate…I knew how frightened you were of intelligence”.
Kitty crede che Charlie non l’abbandonerà e che lascerà la moglie chiedendo il divorzio per poterla sposare, ma Walter che sa più della moglie in merito all’egoismo dell’amante, è certo che Charlie voglia evitare uno scandalo. Ed infatti questo è quanto Charlie farà. Walter e Kitty partono per la zona malarica.
Nel Mei-tan-fu Kitty fa amicizia con Waddington, un ufficiale doganale che è rimasto nella zona per aiutare gli infettati. Maugham descrive il colera in termini allegorici: the great city lay in terror; and death, sudden and ruthless, hurried through its tortuous streets.
Quando la coppia si sistema nel bungalow Kitty all’inizio rifiuta di aiutare il marito, mentre Waddington guadagna la fiducia e la stima di entrambi. In particolare Waddington insegna a Kitty ad amare la cultura cinese ed è allora che Kitty vedrà la realtà di dolore e sofferenza intorno a lei con nuovi occhi e solleverà the painted veil which those who live call Life, che è un sonetto di Shelley che fornisce il titolo al romanzo.
Kitty aiuterà delle suore a prendersi cura degli orfani. Waddington fornirà anche parole che illuminano il significato del Tao, la concezione orientale della rinunzia al desiderio. Some of us look for the Way in opium and some in God, some of us in whisky and some in love.
Walter non pensa più a uccidere Kitty la quale invece di essere uccisa dal colera è come se venisse curata dal suo amore per Charlie. Kitty è incinta. Confessa a Walter di non essere certa di chi sia la paternità. Walter morirà colpito dal colera.

c. Lo Scetticismo di Maugham
Maugham non aveva molta fiducia nell’Amore. Nel romanzo, specie durante i soggiorni in Hong Kong e nel Mei-tan-fu, si pone con evidenza il processo di dissoluzione di una passione –quella di Walter per Kitty- per certi versi umiliante, che si trasforma in odio. Lo stesso processo che attraversa il rapporto tra Kitty e Charles. Quando Kitty torna ad Hong Kong dirà al suo vecchio amante che lo odia. Salvo poi andarci a letto di nuovo e odiarsi per averlo fatto.
Con Kitty M. ha voluto esprimere tutto il suo titanico scetticismo per il matrimonio che lui vedeva sotto questi termini: a man may want to sleep with a woman so much that he’s willing to provide her with board and login for the rest of her life.
M. mi piace per la sua asciuttezza, la sua cattiveria. Qui però il finale del libro è troppo buono. Sentimentale addirittura. Rapidamente volgiamo il capo a tale errore emotivo.
Le ultime righe concludono così: perhaps her faults and follies, the unhappiness she had suffered, were not entirely vain if she could follow the path that now she dimly discerned before her, not the path that kind funny old Waddington had spoken of that led nowhither, but the path those dear nuns at the convent followed so humbly, the path that led to peace.
Questo finale edificante, o comunque ottimista è in contraddizione con il più volte segnalato scetticismo di M sulle possibilità dell’amore umano ma piacque (e credo piace ancora adesso) ai lettori.

Bibliografia essenziale:
The Painted Veil, London, Vintage, 2001; Connon Bryan, Somerset and the Maugham Dynasty, London, Sinclair-Stevenson, 1997; Graham Green Some Notes on Somerset Maugham, in Collected Essays, New York, Viking, 1979, pagg. 197-205; John Whitehead, Maugham: A Reappraisal, London, Vision, 1987; Jeffrey Meyers, Somerset Maugham, A Life, New York, Alfred Knopf, 2004; Christopher Isherwood, Diaries: Volume One, 1939-1960, New York, Harper Collins, 1997;
Cosimo Abatematteo

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- Letteratura

Note su Jane Austen e le True Good Manners

Note su Jane Austen e le True Good Manners

Le buone maniere sono il principio della santità.
San Francesco di Sales

If I could persuade myself that my manners were perfectly easy and graceful, I should not be shy
(Sense and Sensibility, capitolo 17)

She had the comfort of appearing very polite, while feeling very cross (Emma, Capitolo 14)


Sommario: Introduzione - 1 Good Manners tra semplicità e artificio; 1.a Good Manners, 1.b Semplicità, 1.c Artificio – 2 Good Manners e la politica; - 3 Good Manners come Christian Duty


INTRODUZIONE

Il punto che si vuole chiarire in questo breve studio è il seguente: le buone maniere per Jane Austen non sono un mero codice comportamentale, di contro sono il segno esteriore di autentiche qualità interiori. O sono questo o non sono buone maniere.
Il fascino di Jane Austen risiede ovviamente anche nel ruolo che hanno parole come: gentilezza, cortesia, buone maniere. Guardiamo i film tratti dalle sue opere anche per godere di un ordine sociale che raramente potremmo vivere nella realtà. Una rappresentazione del passato al limite dell’oleografia ma che fa sognare un mondo in cui predomina l’ordine nelle relazioni sociali e nel quale, la cattiva educazione, è vista come un grave difetto e l’informalità di comportamento e di discorso come mancanza di controllo.
Un mondo in cui il modo in cui ci si veste, ci si muove, si parla, ci si inchina, assume un preciso significato semiologico che dovrebbe segnalare la presenza di determinate qualità interiori. Va anche detto che, giusto a causa di tale rappresentazione, quasi fuori del tempo, della società, molti autori denigrano e hanno pesantemente denigrato Jane Austen. Celebri sono i giudizi negativi e offensivi di Charlotte Bronte, di Emerson, di Twain. Il passo ulteriore, sotto il profilo interpretativo, è stato quello di creare una Jane Austen politicamente conservatrice, anglo-centrica e per certi versi provinciale.
Si spiegano dunque i tentativi autorevoli (Nokes, Battaglia) tesi a disancorare la scrittrice da visioni reazionarie e conferirle all’opposto posizioni del tutto avanzate al limite della trasgressione. Alcuni critici hanno ritenuto semplicemente corretto attribuire ad Austen, alle sue opere, una visione radicale, sovversiva, post-coloniale e sessualmente ambigua. Pare doveroso citare il film di Patricia Rozema Mansfield Park che da questo punto di vista s’espone a una tale quantità di osservazioni sulle quali non è il caso di soffermarsi. Basta dire che il film -fra le altre cose “sovversive”- adombra una relazione ambigua tra Fanny e Mary Crawford. Di passaggio si menziona come l’Austen Canon, con poche eccezioni, considera Mansfield Park il libro capolavoro di Jane Austen, quello in cui il celebre stile allusivo, parodico, ironico, indiretto, doppio, tocca il suo apice.
Le buone maniere nei romanzi di Jane Austen non sono una cosa sola e fissata per sempre. Del resto la caustica Austen si sarebbe ben guardata dallo stilare una sciocca e atemporale lista di atti classificabili come buona maniera. Buone maniere sono l’insieme di comportamenti tesi invariabilmente a rispettare la dignità altrui senza alcuna distinzione di ceto, sesso ed età. Discende che buone maniere e moralità sono inscindibili. I discorsi che L’Autrice mette in bocca ad Edmund Bertram in Mansfield Park esemplificano tale unione, sebbene Edmund ritenga che sono i clergymen che hanno the guardianship of religion and morals and consequently of manners which result from their influence.
Il filo che Edmund vorrebbe tessere a unire buone maniere, moralità e religione è un ideale che difficilmente si manifesta nei libri della scrittrice inglese, e del resto ottenere un mondo in cui tali valori siano, pur nella loro indipendenza, comunicanti sarebbe davvero un mondo perfetto e come si sa i ritratti della perfezione erano intollerabili per Jane Austen.
Occorre pur ammettere che i valori morali di cui è portatrice sana Austen appartengono come è naturale che sia al suo tempo e alla sua classe la small gentry.
Tutto ciò confessato resta la sua arte. Cioè: la capacità attraverso le buone maniere, attraverso i codici di comportamento, di individuare quei principi morali sulla cui base ci si può comportare recando beneficio a sé stessi e dunque al nostro prossimo.


1. Good Manners tra semplicità e artificio
1.a Good Manners
Le good manners per Jane Austen altro non sono che l’aspetto esteriore di qualità prima ancora interiori. I suoi romanzi hanno come continuo legame l’importanza dell’education e dell’appropriatezza di certi comportamenti nella misura in cui gli stessi rappresentino autentiche qualità spirituali. Si tenterà di delineare brevemente come il principio cardine su cui la scrittrice inglese edifichi il suo concetto di good manners sia il seguente: rispetto della dignità altrui. Da tale concetto scendono due principi applicativi: semplicità e artificio nella misura in cui degli stessi si abbia la sapienza di calibrare la dose.
Pare anche superfluo dire che il significato di good manners è labile. Le buone maniere che devono essere osservate, come già detto, in fin dei conti poggiano invariabilmente sullo stesso principio: sono buone maniere quei comportamenti che contribuiscono al benessere e alla dignità dell’altro.
La società in cui è vissuta Jane Austen è anche conosciuta come Polite Society. Manners, che potremmo anche tradurre con la nostra “buona creanza” sono le fondamenta di qualsiasi società civile e a maggior ragione lo devono essere di una comunità sociale che si definisce Polite Society. L’errore o la pigrizia mentale in cui spesso si incorre è quello di scambiare la buona creanza appunto con le mere formalità. La buona educazione o, per semplificare: certo formalismo, rappresenta un codice di comportamento che deve governare la vita di tutti i giorni.

1.b Semplicità
La buona educazione, le “true good manners” sono fondate sui principi solidi della cortesia, della proprietà e, perché questo è il punto: sul rispetto per quello che sentono gli altri. Quando la sorella minore dell’eroina di Mansfield Park sta per provare l’esperienza di vivere in una grande casa aristocratica per la prima volta, è eccitata e spaventata dalla visione di silver forks, napkins and finger glasses; il suo timore è senza fondamento. Quello che incontrerà a Mansfield Park è questo ma altro. Incontrerà un luogo di cheerful orderliness dove everybody’s feeling were consulted. La semplicità dunque deve sempre essere presente perché vi sia traccia di good maners.
Troppa perfezione nell’apparenza e nei modi è segno di un carattere difettoso sembra dire in tutti i suoi romanzi Jane Austen, e più di una sua eroina è temporaneamente attratta da un uomo il cui bell’aspetto e le cui buone maniere non sono però sorretti da qualità interiori quali: moralità o disinteresse. Di Edward Ferrars in Sense and Sensibility scrive: He was not handsome and his manners required intimacy to make them pleasing. Ciò in contrasto con l’affascinante Willoughby che con il suo charme, con le sue open and affectionate manners si rivelerà un villain. Edward si dimostrerà più eroe di Willoughby nel tenere fede all’impegno che ha preso fidanzandosi con Lucy Steele.
Un altro eroe, forse l’esempio più fulgido di gentiluomo inglese nei romanzi di Austen: Mr. Knightley del romanzo Emma, si dimostra gentile con una donna di classe inferiore, cosa che indurrà Emma a riflettere sull’uomo che fino ad allora non ha considerato sotto l’aspetto fisico. Leggiamo nel romanzo: he is not a gallant man but he is very humane one. Emma alla fine del romanzo avrà imparato molto su come distinguere la semplice galanteria dalla vera umanità.
Mr. Knightley è un uomo razionale, paziente, sincero. Per quanto uomo di potere, ricco e di classe sociale elevata non gli interessa la Society, anzi lui preferisce camminare piuttosto che usare la carrozza (simbolo di arrivismo nell’arrampicatrice sociale che è Mrs. Elton) e indossa abiti comodi e stivali che facilmente immaginiamo non del tutto immacolati in perfetto contrasto con gli abiti scintillanti, lindi, puliti che veste il furbo, ambizioso clergyman Elton.
Sicché la semplicità. Ma c’è anche l’artificio nelle buone maniere.

1.c Artificio
Naturalmente si sono molti casi ed esempi in cui un certo grado di artificio è necessario proprio per la salvezza delle stesse good manners. Marianne Dashwood in Sense and Sensibility dice di odiare i codici di condotta ma questo nel romanzo spesso sfocia in egoismo e grave maleducazione fino a danneggiare gli altri: Upon Elinor therefore the whole task of telling lies when politeness required it always fell.
Solo capendo le regole sociali è possibile poi eventualmente romperle. I dearly love a laugh! Dice Elizabeth Bennet di Pride and Prejudice, eppure aggiunge seriamente: I hope I never ridicule what is good or wise. Elizabeth Bennet è per molti aspetti una donna non convenzionale: è felice quando può correre e se ne infischia di arrivare a casa dei Bingley con un’aria almost wild. Pur possedendo un’irriverente senso dell’umorismo e delle lively and playful manners che ammaliano Darcy, ella unisce alla sua intelligenza, vivacità, al suo wit e indipendenza di giudizio un profondo rispetto per tutto ciò che ha un senso morale e corrisponde ad un comportamento corretto. È una donna in pieno controllo di sé. E’ coraggiosa come una leonessa quando deve affrontare l’aristocratica Catherine de Bourgh e anche in casa della nobildonna è sicura di sé poiché conosce e rispetta tutto l’artificio della buona educazione, delle regole di condotta che debbono osservarsi. I am a gentelman’s daughter dirà nella grandiosa scena di confronto con la De Bourgh.
Obbedire ai codici di condotta, mantenere il necessario grado di artificiosità che ci si aspetta da una gentlewoman o da un gentleman, con tutta la grazia e la cortesia e le vivacità che ciò implica, non può significare che qualcuno abbia a subire torti sociali.


2. Good Manners e la politica
Per Jane Austen per l’osservanza delle buone maniere non è una semplice questione legata a cortesia di una classe: è un modo di fare politica.
Ci sono “true” good manners, ma come fare ad individuarle? Good manners possono significare cose differenti a personaggi diversi o cose differenti allo stesso personaggio nel corso del tempo. Si citeranno due scrittori famosi del tempo. Nelle sue celeberrime Letters to His Son del 1779 Lord Chesterfield si esalta all’idea che “pleasing” è la qualità cui dovrebbe aspirare ogni gentleman. Willoughby, Wickham, Frank Churchill sono figli di Lord Chesterfield: le loro good manners e le loro apparenze ingannano. L’altro scrittore è Edmund Burke. Scrive Burke: Manners are of more importance than laws. Upon them in a great measure, the laws depend. The laws touches us but here and there now and then. Manners are what vex and sooth, corrupt or purify, exalt or debase, barbarize or refine us. They give their whole form and color to our lives. According to their quality they supply them or- they totally destroy them. La frase rilevante in questa interessante osservazione è la prima: Manners are of more importance than laws. Ora, come è noto, questo periodo (la seconda metà del Settecento Inglese) è un periodo nel quale molte laws sono approvate e in gran parte laws a tutela della proprietà individuale concepita come diritto assoluto del proprietario; la Rivoluzione Francese spaventa la classe dirigente inglese. Se Burke afferma la superiorità delle good manners sulle laws ciò significa che onorare e salvaguardare le good manners non è semplice questione di decoro sociale. Buone maniere e morale sono considerate qualità essenziali per preservare l’ordine sociale quasi che la stabilità e l’ordine sociale, la stessa continuità della società inglese, dipendessero dalle good manners. Le Good Manners, è stato osservato, sono la risposta inglese alla Rivoluzione Francese.

3. Good Manners come Christian Duty
Altri studiosi hanno già messo in evidenza la vicinanza di Jane Austen e John Locke. John Locke nel suo libro Some Thoughts Concerning Education (pubblicato nel 1693 e del quale si fecero 25 edizioni fino al 1777) adopera espressioni che mettono luce sulle pagine della scrittrice inglese. Locke ha detto: of all men we meet with, nine parts of ten are what they are, good or evil, useful or not, by their education. Locke quando parla di education pone sempre enfasi su quella che definisce inner civility e, come è uso in molti suoi libri nei quali adopera la tecnica dell’antitesi, pone in confronto da un lato le qualità della good nature, della courtesy e dall’altro gli attributi esterni che condensa nella frase: good manners.
Altra cosa. Locke mette in guardia contro i pericoli della conversazione. Il brillante oratore –e nei romanzi di Jane austen i brillanti oratori sono di solito dei villains- è colui il quale ostenta una courtesy del tutto superficiale e i giovani (le young minds cui pensava Locke) potrebbero a mezzo di un linguaggio “pleasing” scivolare verso una civility esteriore e quindi fittizia. L’antitesi che presenta Locke è quella fra civility e cerimony, laddove la civility è per il pensatore a Christian duty che conduce alla true art of living in the world; per contrasto, un eccesso di cerimony potrebbe anche segnalare un difetto non solo nelle buone maniere anche nel carattere di una persona.
Ma qui si giunge al punto: come fare a distinguere la vera civility dalla mera cerimony? Per questo vale quanto accennato sopra in merito al rispetto per l’altrui sentire. Ciò che mette il nostro interlocutore a proprio agio è good manners ciò che lo mette a disagio è puro formalismo quando non crudeltà.
Ultima nota. In ogni suo scritto anche nelle lettere, Jane Austen, ha mostrato che ricchezza, rango, status sociale, non sono garanzia di buona educazione. Jane Austen ha riso e noi con lei soprattutto a spese di coloro che si credono importanti. Jane austen non è mai stata radicale nelle sue opinioni, ma con piacere ha mostrato repulsione per chi si reputa solo per nascita importante. La parola gentelmanlike torna spesso nei suoi romanzi. Had you behaved in a more gentelmanlike manner è il rimprovero di Elizabeth a Darcy quando questi le fa la prima indegna proposta di matrimonio ed è un rimprovero che ha un peso che va oltre la semplice lettera ed è talmente pesante da indurre Darcy a ripensare a tutto il suo precedente comportamento.

NOTE: per i romanzi di Jane Austen si rinvia alle molte versioni in Italiano esistenti in commercio; per le citazioni in Inglese esse sono prese da: The Novels of Jane Austen, ed. R.W. Chapman, 3rd ed., 5 vols. Oxford, Oxford University Press 1982.

I principiale libri cui si è fatto riferimento nello studio sono:
Briam C. Southam, Jane Austen: The Critical Heritage, New York, Barnes and Noble, 1968; John Wiltshire, Recreating Jane Austen, Cambridge, Cambridge University Press 2001; Norbert Elias, La Civiltà delle Buone Maniere. Le Trasformazioni dei Costume nel Mondo Aristocratico Occidentale, Bologna, Il Mulino, 2009; Tony Tanner, Jane Austen, London, reissued edition, Palgrave Macmillian, 2007; Richard Jenkyns, A Fine Brush on Ivory –An Appreciation of Jane Austen, Oxford, Oxford University Press, 2004; David Nokes, Jane Austen, A Life, London, Fourth Estate, 1997; Edmund Burke, Letters on a Regicide Peace, Liberty Fund, 1999; John Locke, Some Thoughts Concerning Education, Nuvision Publications, 2007; Lord Chesterfield, Letters to His Son, Kessinger Publishing, 2008.
È doveroso sottolineare come questo studio come qualunque tentativo di scrivere su Jane Austen in Italia, non prescinde dagli studi colti, profondi e innovativi (tra i tanti studi si cita: B. Battaglia, La Zitella Illetterata –Parodia e Ironia nei Romanzi di Jane Austen, Napoli, Liguori, 2009) della professoressa B. Battaglia alla quale si deve attribuire il merito di aver introdotto in Italia la figura di una Jane Austen subversive, e quindi di tentare di togliere alla scrittrice la maschera vittoriana.
Cosimo Abatematteo