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Raccolta di saggi di Francesco Isidoro Stassi
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Società

La Povertà

Elegante, nella mia maschera di vetro cammino fra volti di carne e sangue che non distinguo nella mia incessante fretta, il mio tempo non può essere mica sprecato, la mia “etica”, preconfezionata e demodé, non può mica abbassarsi a considerare semplici persone questi surrogati dell’umanità!
Preferisco avvolgermi in sciarpe scarlatte e strozzarmi nell’aria di Aprile piuttosto che rivolgere la parola a uno di loro, a uno di questi sgorbi senza dignità. Tale maschera tuttavia è troppo fragile, fievole in mezzo a questo effluvio di retorica, codici, di “leggi non-scritte” che mi tengono a debita distanza dalle sagome di mestizia rintracciabili in ogni dove. Sagome di mestizia perché verso loro avverto la stessa sensazione che proverei davanti a un “musulmano” di Auschwitz, la stessa sensazione che proverei davanti la pietra cieca e sorda. Ho paura. Paura che mi tocchino, paura che mi guardino, che si rendano conto di come li guardo, del mio atteggiamento di fronte l’indigenza, che stringo le chiavi della macchina nella tasca sinistra e non smetto di toccarmi la tasca posteriore destra per constatare che il portafoglio ci sia ancora; mi vedete?
Sono così leggiadro nel mio soprabito di indignazione e paura, se solo qualcuno mi chiedesse che effetto mi fanno costoro, non esiterei a rispondere: “indifferenza” ; eppure, da due anni a questa parte ho compreso che l’indifferenza citata non è menefreghismo, bensì un’attenzione particolare: esattamente due anni fa, l’incontro con il movimento mi fece capire che per essere indifferente ho avuto la necessità di cogliere lo sguardo di chi, di lì a poco, avrei ignorato, uno sguardo, capite? Ricordo la mia prima giornata nazionale della colletta alimentare, la prima vera occasione, grazie anche alla sincera amicizia ivi trovata, di uscire dalla mia crisalide di ipocrisia: una giornata di intensa fatica per invitare la gente ad acquistare pasta, latte, riso, non volevamo soldi ma prodotti a lunga scadenza, perché? Me lo domandavo durante l’intera giornata, perché?!
Dandoci dei soldi in fondo potevamo spenderli al posto loro, acquistare altro copioso cibo e metterlo da parte, ma mi dissero che così veniva propugnata l’indifferenza della gente, che così non si sporcava nemmeno le mani o degnava di uno sguardo il volantino cui sopra era indicato il motivo di quel gesto. Potrei stupirvi con una quantità industriale di citazioni di filosofi sulla povertà, potrei farmi bello parlando del concetto di alienazione di Marx e della sua ineluttabile scadenza di fronte a tale fenomeno, potrei dirvi di come, dalla Vandea a oggi, se non prima, la gente venga massacrata e privata dei propri averi per una semplice questione ideologica, potrei parlare di Nietzsche e prendermela con qualcuno o qualcosa in particolare imbastendo un’indagine, potrei parlare di Tersite, di come, sin da Omero, l’indifferenza verso la povertà fosse consona alla società, potrei parlare di Verga, De Roberto, Capuana, Sturzo, potrei…Ma tutto ciò, tutto questo parlare, non mi ha mai colpito nel cuore; lo ha fatto lo sguardo di un barbone: se ne stava nascosto dietro un pilastro malridotto e trasandato come i “vestiti” che portava addosso, ci spiava ma non si avvicinava, per capire quell’uomo non ci voleva certo un capitolo su Marx e Feuerbach!
Mi avvicinai alla coordinatrice della giornata e feci presente la situazione, al che: “ cosa aspetti? ” – mi disse – “ prendi un paio di sacchetti, riempili come meglio credi e portali a quel signore ”. Una puzza di sudiciume, tremenda, colse il mio naso non appena mi avvicinai, il mio essere neghittoso dinanzi la realtà veniva brutalmente stroncato dalle percezioni sensoriali e in un attimo protesi il sacchetto verso l’uomo, senza guardarlo: la mia maschera di vetro non era caduta del tutto. Quanti duri calli su quella mano che stringeva la mia e quanto calore, quanta profondità in quella voce che mi disse di guardarlo, si, mi chiedeva solo di guardarlo e io ero così sfacciatamente arrogante da non farlo, finché con due dita tramite il mento mi costrinse a vederlo, finché non mi costrinse a dare un giudizio alla realtà: quel giorno ho cominciato a credere, quello sguardo, ne sono certo, era lo sguardo di Cristo e lo avevo riscontrato in un uomo molto più degno di quanto lo fossi io. Aveva ragione il celeberrimo Alexander Supertramp di Krakauer: “ Cosa sono i soldi? Non sono loro o una nuova macchina a darmi la felicità! “ ; Supertramp, il soprannome perfetto per Christopher McCandless, morì in Alaska nel 1992, lasciando come ultime parole scritte nel suo diario la celebre frase “ la felicità è reale solo se condivisa ”. Chris si era reso conto che scappare da una società ipocrita non fosse la risoluzione al suo problema, condividere le proprie esigenze con qualcuno invece, forse lo sarebbe stato. Lo stato in tutto ciò sembra un bambino maldestro, ingenuo, volutamente o meno, questo ancora non l’ho chiaro, ma certamente nel modo sbagliato: dare assegni di sostegno alle famiglie numerose, indigenti, “ sotto la soglia di povertà ” aiuta davvero?
Mettiamo caso che un uomo si sia impoverito dopo aver sperperato i propri averi in alcool e gioco d’azzardo sfrenato, un assegno sarebbe la soluzione alla sua povertà? No, se tale importante contributo non fosse suffragato da assistenza sociale partecipe dei bisogni dell’uomo, intrinseci e reconditi; no, se tale prezioso sostegno non fosse supportato da un controllo rigido che permetta di capire se quella famiglia è realmente indigente o sostenuta da lavori in nero che gentilmente la società ci offre. È troppo facile dispensare assegni e dare poca assistenza all’uomo, è un atteggiamento paternalistico che, Manzoni non me ne voglia, non aiuta certo significativamente!
Secondo me sarebbe importante organizzare una fitta rete sociale di assistenza che parta dalle famiglie stesse e non dallo stato, una sensibilizzazione ai problemi altrui e non un’istruzione a sviluppare il proprio tornaconto. La storia ci insegna che un aiuto se non controllato affatto o controllato male non serve a nulla, ce lo insegnano le casse rurali di Sturzo finite in mano alla mafia, secoli e secoli di storia. Ho avuto la fortuna di incontrare uno sguardo, nel movimento di don Luigi Giussani, che mi ha fatto capire che alla base di un sostegno vi è un incontro, una considerazione vicendevole e non perbenismo, quello che troppe volte viene propinato dallo stato e inevitabilmente dalla società. Maggiore controllo, maggiore compartecipazione fra le due città descritte da de Vigan nel 2008, non è un’utopia, è ciò di cui necessita il nostro cuore: un incontro e nient’altro.

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- Filosofia

Bobbio-Popper : analisi rapporto fra democrazia e guerra

Da Erodoto a Hegel, passando per Protagora, Platone, Locke, Machiavelli e tanti altri, la domanda di senso di fronte alla democrazia è sovente stata tenuta in considerazione e di non poco conto; tuttavia l’inquietante fantasma della guerra, presente in ogni epoca, sembra sorprenderci al suo avvento dinanzi a tale fenomeno, dando origine a una misteriosa contrapposizione fra democrazia e guerra stessa: perché?
la democrazia, nel significato moderno in cui la intendiamo oggi, assume un incredibile valore, quasi utopico, nelle definizioni di due filosofi contemporanei quali Norberto Bobbio e Karl Raimund Popper: il primo focalizza nel “demos”, che compone la democrazia, non una massa, bensì una maggioranza, quindi un potere decisionale parziale e non globale, con conseguenza di dissidi interni che sorgono spontanei e quindi sottolineando una notevole differenza fra decisore soggetto e decisore passivo che subisce la decisione; il secondo ritiene che la democrazia sia una forma di governo sbagliata nel momento in cui si limiti ad essere un governo della maggioranza (dato che quest’ultima può governare in maniera tirannica), precisando che domandarsi “Chi debba esercitare il potere dello stato” è molto meno importante rispetto a domande sul “Come” e sul “Quanto” il potere dello Stato debba essere esercitato.
Bisogna uscire dalla stoppa e capire che uno “spin doctor” moderno non serve più a nulla: un bilancio positivo della democrazia moderna pare impossibile; sempre più spesso viene definito democratico uno Stato che poi nei fatti non lo è per nulla, qui Bobbio pone come soluzione l’isegonia socratica, espressa con la fusione fra eguaglianza di nascita ed eguaglianza legale, tuttavia, questa via appare difficile nel momento in cui, già nel mondo greco antico, la via democratica impostata su questa base trova appoggio solo nella politica di Pericle, restando pressoché ignorata in altre tappe storiche. Bobbio applica la soluzione socratica ai giorni nostri, comprendendo che l’eguaglianza naturale, da contestualizzare nell’ambito politico moderno, oggi si trova nei sentimenti di fratellanza di ispirazione cristiana e nei diritti giusnaturalisti che animarono la rivoluzione francese; tuttavia nella sua attuazione, tale fusione si rivela un fallimento e il filosofo stesso approda a un’idea di “illuminismo moderno” necessario, per raggiungere nuovamente un equilibrio e uscire dall’ “end phase” della democrazia, una fase nuova di quest’ultima, che tenga conto dei difetti e dei limiti di sé stessa ma che trascenda da questa e approdi a un’idea universale di evoluzione di tale concetto politico.
In sostanza per Bobbio la democrazia non è soltanto una forma politica che incontra ostacoli interni ed esterni a sé stessa, bensì una forma politica che incontra come ostacolo sé stessa e che deve cercare un rinnovarsi costante: nel momento in cui ciò non avviene, la conseguenza sarà logicamente un’eterna aporia interna del concetto di democrazia e al contempo un vantaggio per gli interessi dei governanti e di una ristretta cerchia di uomini che approfitteranno di tali dissidi per scopi personali.
Popper invece, dopo la critica allo storicismo, individua, nell’antitesi fra il sistema di “società chiusa” e quello di “società aperta”, l’origine del contrasto fra democrazia e totalitarismo; la società chiusa è organizzata su norme rigide e soffocanti di comportamento, quella aperta, invece, sulla salvaguardia dei diritti naturali dei suoi componenti tramite istituzioni democratiche che si possano autocorreggere (come le elezioni). Secondo Popper la società chiusa trova la massima espressione nelle ideologie di Marx (con il collettivismo totalitario) ed Hegel (in una sorta di statalismo antidemocratico), accompagnandosi a posizioni politiche foriere di atroci dolori per l’umanità, con l’inevitabile sfogo nella guerra per il sovvertimento di quest’ultime.
Il concetto di democrazia è vuoto, dice Popper, se non integrato con la possibilità, da parte dei governati, di controllare i governanti: bisogna costituire delle istituzioni politiche in modo da evitare che governanti dispotici o incapaci facciano eccessivo danno; per questo è necessario stabilire una possente linea di demarcazione fra democrazia e dittatura, dove il cambiamento sia pacifico, dove la guerra sia assente nel momento in cui la minoranza vuole uscire da una sorta di “spirale del silenzio”, se così non fosse infatti si accederebbe a un governo tirannico.
La democrazia, per Popper, offre un preziosissimo campo di battaglia per riforme ragionevoli, dato che permette l’attuazione di riforme senza violenza; per questo bisogna preservarla da pericoli ed evitare di estendere la protezione delle minoranze a coloro i quali violano la legge o che incitano al rovesciamento violento della suddetta: bisogna farlo perché se la democrazia viene distrutta allora tutti i diritti sono andati perduti!
Quello di cui la nostra società moderna necessita non sono uomini nuovi, bensì una maggiore coscienza di sé, dei propri limiti e quindi di un maggiore autocontrollo, come ci viene suggerito da Popper; la presunzione, spesso derivata da un atteggiamento conservatore, che la maggioranza abbia sempre ragione, porta inevitabilmente al conflitto con quella minoranza latitante che invece è costretta a subire la decisione: manca dunque un accordo vero fra le parti e ci si rende conto che un’ideologia non basta più, la realtà è in mutevole fieri, mentre concezioni e idee, per quanto possano essere moderne, rappresentano staticità e contrasto alle necessità, sempre diverse nella storia, dell’uomo.
Con un pretesto si fa guerra per la democrazia, un leit motiv di questi anni, tentando di portare, in luoghi dove la tirannia ha preso il sopravvento, “luce” senza fonti di quest’ultima, missione da sempre fallimentare dato che la concezione stessa di democrazia, nella storia, si è rivelata una sconfitta: solo allora la guerra appare come l’unico mezzo possibile per uscire dall’ end phase e portare chiarimento, lo strazio delle genti e il dominio psicologico, diretto a far comprendere chi sia nel giusto o chi in errore, prende il sopravvento a scapito della coscienza della realtà, inneggiando alla morte come fosse la panacea per la democrazia; purtroppo però i bilanci ci mostrano, solo alla fine, come la guerra poco di buono porti, e come l’uomo esca comunque sconfitto dall’uso della violenza come sfogo di un mancato compimento dell’eguaglianza sperata.
Qui appare più che attuale l’opinione di Popper, di costruire uno Stato cosciente di sé stesso, della umana possibilità che uomini posti come governanti, in quanto uomini, possano sbagliare: la soluzione vera allora qual è?
A parer mio, il fantasma della guerra, come l’Elena di euripidiana memoria, è un timore da sconfiggere, l’unico mezzo possibile non è certo la guerra, animata dalla disperazione più assoluta dell’uomo, quanto la consapevolezza che la democrazia si fondi sull’uomo, sia costituita dall’uomo e quindi debba tenere conto di quest’ultimo necessariamente, nella sua totalità e non parzialmente; i mezzi su cui puntare per fondare uno stato che rispetti interamente l’uomo, sono certamente le istituzioni democratiche autoregolate di cui parla Popper: elezioni, cultura, informazione, e tutte quelle modalità attraverso cui l’uomo prende coscienza e atto della realtà circostante, da fruire all’uomo in maniera genuina e non interessata, pura e non schierata, affinché l’uomo non venga condizionato ma sia costretto a stare dinanzi a una realtà che cambia costantemente, da uomo, coi propri pregi e i propri difetti.