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Raccolta di saggi di Giuseppina Iannello
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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- Storia

Giovanni Pascoli tra Urbino e Messina

Gli impegni universitari mi davano la sicurezza di adempiere agli oneri che rientrano nelle competenze ministeriali, ma sentivo il bisogno di un rapporto più vivo e diretto con i discenti.
I miei colleghi mi invidiavano perché avevo avuto dal preside, Prof. Alvise Lunigiani l'incarico di presiedere alle riunioni di Facoltà. Il docente di Greco, Domenico Giffoni diceva di me, ed in mia presenza che ero il beniamino del preside; a volte lo diceva con un sarcasmo tale, che avrei voluto dirgli: “Ti cedo il posto mio, con relativi obblighi, purché tu la smetta di provocarmi.”
A volte, ritornavo a casa amareggiato; nonostante l'alta considerazione, nella quale ero tenuto, mi rammaricavo al pensiero che ci fossero degli invidiosi; un gruppo di colleghi mi ostacolava per inconsce rivendicazioni personali, rifugiandosi nel pretesto che i miei oneri non avrebbero dovuto uguagliare quelli del Vice Preside.
Era il mese di Gennaio, del 1891; era trapelata la voce che un professore di Filologia Romanza, Carmine Rao, anelava ad avere la docenza nella Facoltà di Lettere.
Non ebbi remore e lo andai a trovare all'Istituto Aleardi. Il Professore Rao, mi venne incontro sentendosi onorato, della mia visita. Quindi, mi disse: “Non ci son smentite; anelo veramente ad ottenere un posto di docente all'università, ma non per ambizione. Dico sempre ai ragazzi che quanto prima, io li lascerò... E, al buon intenditor, poche parole. Sappia, Professor Pascoli, Le dico, col cuore in mano, quel che non vorrei rivelare ad alcuno: di quei ragazzi, non ne posso più; mi fa star male non poter reagire, quando mi chiamano per nome, aggiungendo a dileggio un aggettivo, suggerito dal loro immaginario. Ella deve sapere, Professore, che son malato; è una malattia, che a lungo andare, e a diretto contatto, potrebbe generare, anche il contagio... Dio non lo voglia. Loro non sanno...Continuano a chiamarmi, goliardicamente “Il tubercolotico” perché ignorano che quella malattia ce l'ho davvero. L'abbracciavo e gli dicevo: Professore mio, spero che i suoi problemi avranno fine; le cedo la mia cattedra, al posto della sua. Immagino si chieda che cosa mi abbia indotto a venire da Lei. Sappia che ho dei colleghi molto invidiosi, per il fatto che sono presidente delle riunioni... Però se viene un altro, tutto ritornerà come era prima; ho cercato... ma è stato sempre vano ogni mio tentativo ogni mio tentativo di sciogliermi dall'onere.
Il Professore mise le scarne mani al capo: ”Professore Pascoli, Iddio, La benedica... Sappia che mi rammarica codesta invidia; vorrei che avesse il meglio dalla vita. Rifletta a lungo... e, se il problema non si risolve, allora, accetterò la sua proposta.
Fra poco, a chiusura della scuola, ritornerò, a Messina, ovvero quel paese che mi diede i natali. E' lì, che son sepolti i genitori; vi ritorno ogni anno e sol per loro. Quel paese è Novara; tra il verde degli ulivi, ho una piccola casa. Venga a trovarmi e se non teme, la mia malattia, l'ospiterò.”
Risposi: “Non lo pensi che tema il suo contagio; ben altri mali sono da evitare; se si presenterà l'occasione, verrò a trovarla. La sua provincia non mi è nuova, perché da ragazzino feci un viaggio con la mia famiglia... E ci fermammo a Capo D'Orlando.”
“Capo D'Orlando...” Disse, il Professore… “È un paese bellissimo, ritrovo dei più insigni intellettuali. Io conosco Pitrè, che è di Palermo ma quando viene si ferma a casa mia, e, dopo, insieme, si va a Capo D'Orlando, alla caffetteria.”
Uscivo rinfrancato, perché sentivo d'aver fatto bene a confidarmi con il Professore Carmine Rao.

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- Storia

Giovanni Pascoli, professore a Matera

In osservanza all'articolo degli autori Walter Teti e Germana Piccone, trovato nel sito internet: http://www.torricellapeligna.com/Amici%20Article136.html mi ritengo in dovere di fare le mie contestazioni:
Giovanni Pascoli, in qualità di docente di Lettere Latine e Greche al Liceo-Ginnasio Statale
di Matera, nell'anno scolastico 1882/1883, non avrebbe mai chiesto favoritismi al preside, professore Vincenzo Di Paola, qualunque fosse stato il rapporto con lui, di amicizia o confidenzialità.
La scuola, presso cui insegnava il poeta, era la struttura di un organismo statale; il preside era, allora, colui che presiede all'organo collegiale, e non il padrone della scuola, come comunemente, oggi. I professori non erano servitori, e quindi, dipendenti del preside... Ma si era tutti servitori dello Stato. Pertanto, il professor Di Paola, in qualità di preside, non avrebbe potuto prelevare somma alcuna dalla cassa scolastica per anticipare lo stipendio agli insegnanti in deficit finanziario; sarebbe incorso in un grave reato nei confronti dello Stato. La cassa scolastica conteneva soltanto, il denaro indispensabile per le spese di cancelleria.
È da rilevare inoltre, l'incongruenza con la finalità didattica del professore e poeta.
Sappiamo tutti che Pascoli era sostenitore ed ispiratore di valori morali e civili e che la sua poetica non era scindibile dalla concezione dell'insegnamento. L'insegnamento di Pascoli non era, soltanto, trasmissione di testi antichi, attraverso la metodologia e la tecnica dell'insegnamento, ma era Umanesimo e, in quanto tale, corrispondeva all'esigenza di cogliere i messaggi spirituali degli scrittori: l'individualità della persona, tradotta in globalità di sintesi, ossia nel contesto di una società universale. E' risaputo che l'idealismo di Pascoli è un idealismo, libero dai condizionamenti della società. Ed è per questa ragione essenziale, che in caso, di precarietà delle proprie condizioni economiche, Pascoli non avrebbe accettato una condizione di ripiego, chiedendo prestiti, perché sarebbe andato contro la propria morale che non ammette la vergogna del proprio status per chi opera secondo i dettami della coscienza. Il documento, riportato nel riquadro, con la scrittura del poeta che chiede un prestito al professor Di Paola, preside del liceo, è falso: lo si può appurare, effettuando una perizia grafologica. A sostegno della mia tesi, dico che la scrittura di Giovanni Pascoli, era piana e riposante, come emerge dai testi, conservati negli archivi, dell'Ateneo Magistrale di Messina. La “ti” di Giovanni Pascoli ha un taglio rivolto verso l'alto, mentre quelle del supposto documento, hanno un taglio trasversale amorfo. I segni amorfi sono quelli che rivelano la falsità di un documento. I segni particolari, evidenziano le peculiarità dell'indole e della personalità dello scrivente e per questo motivo non vengono imitati dal falsificatori; basterebbe una piccola disattenzione per smascherarli. Essi imitano preferibilmente, le aste in lungo: alte e basse, tralasciando la rotondità dei caratteri che convaliderebbe la falsità del testo.
Per un'approfondita indagine, basterebbe guardare il rigonfiamento di ogni singola lettera: le lettere palesemente tondeggianti, evidenziano alta spiritualità, desiderio di chiarezza e semplicità; sentimento di fratellanza che si evince anche dalle aste in lungo verso l'alto.
Le lettere poco gonfie, evidenziano, altresì, una spiritualità alta, poco legata alle cose terrene e sono peculiari delle persone proclivi alle scienze matematiche. Le lettere, infine, caratterizzate da spigolosità, come nel caso del supposto documento, né rotonde, né ovali, sono indicative, invece, di personalità false ed ambigue.
La mia finalità è quella di far emergere la verità sull'indole, sulla personalità e sull'operato di Giovanni Pascoli, partendo da tutto ciò che ad un'indagine intellettuale, grafologica e logica, appare poco chiaro.
Molta importanza darò anche alle foto, molte delle quali ad una attenta osservazione, ma anche a colpo d'occhio, risultano contraffatte.
Giovanni Pascoli si ritiene offeso dalla “Soprintendenza archivista per la Toscana dei Beni Culturali", per non aver essa presa in esame, la richiesta di una perizia grafologica delle lettere, custodite nell'archivio della sua casa di Castelvecchio di Barga. Le lettere, in questione, sono quelle di Giovanni Pascoli, professore a Ma