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Giorgio Mancinelli
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

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Marcel Proust - ’Noir Désir’ un libro di Giorgio Mancinelli


Marcel Proust

«Il pensiero della morte s’insediò definitivamente in me
come se fosse un amante. Ma non che amassi la morte, io la detestavo.»
«La vita vera, la vita finalmente scoperta e tratta alla luce,la sola vita quindi realmente vissuta, è la letteratura.»

L'autore:
Retrospettivamente, i testi fin qui pubblicati accolgono l’eredità di un passato interiore affettivo della memoria dell’autore, che pure stenta nel cogliere in sé l’essenza della riflessione etico-narrativa, perché fin troppo auto-riflessiva. Come scriverà in proposito Marcel Proust, perché: «…di un altro mondo, di un altro ordine, d’idee velate di tenebre, ignote, impenetrabili all'intelligenza, ma che non sono meno perfettamente distinte une dalle altre, impari tra esse di valore e di significato».

Noir Desire è un libro Amazon.

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Al TorinoFilmLab, i film del futuro

TORINO 2019 TorinoFilmLab

Nella foto: La produttrice Michela Pini e il regista Cyril Schäublin con il loro TFL Production Awards per Unrest (© TFL)

Al TorinoFilmLab, i film del futuro
di Vittoria Scarpa

25/11/2019 - Oltre 300 professionisti del cinema si sono riuniti anche quest’anno al TFL Meeting Event, la cui 12ma edizione si è svolta dal 21 al 23 novembre a Torino
Un anno importante, il 2019, per il TorinoFilmLab. Alla sua 12ma edizione, il laboratorio torinese che supporta talenti da tutto il mondo nello sviluppo, la produzione e la distribuzione dei loro film (soprattutto opere prime e seconde), ha superato la soglia dei 100 lungometraggi completati dalla sua nascita nel 2008 (al momento sono 107), diretti da registi provenienti da 49 paesi diversi e pluripremiati nei festival internazionali. Soltanto al Locarno Film Festival, i riconoscimenti per i film targati TFL sono stati quest’anno 7.
Ma il 2019 ha portato anche dei cambiamenti al lab torinese. “È stato un anno speciale”, ci ha confermato Mercedes Fernández Alonso, TFL Managing Director, al Meeting Event che si è svolto a Torino dal 21 al 23 novembre. “Abbiamo ampliato la struttura e creato un Pedagogical Team composto da professionisti di alto livello da diverse regioni del mondo (Argentina, Croazia, Svezia, Israele…), ognuno con un diverso background professionale, che hanno arricchito enormemente la parte del disegno dei workshop, lo scouting dei partecipanti, il lavoro di sviluppo dei progetti. Il risultato è positivo: i progetti selezionati mostrano una varietà geografica e tematica molto forte”.

“Una struttura federalista e solidale”, la definisce Vincenzo Bugno, già responsabile del World Cinema Fund della Berlinale e nuovo membro del team TFL. “Ci conosciamo tutti da anni, c’è un rapporto di stima e fiducia. Puntiamo a lavorare sulla culture diversity a vari livelli, con un’attenzione alle culture extraeuropee e alla diversificazione dei ruoli gender nell’ambito delle varie produzioni”, ci ha spiegato.
Storie di giovani sciamani contemporanei (Ze di Lkhagvadulam Purev-ochir), di amori saffici proibiti sotto il regime comunista (Only Lola di Grzegorz Mołda), di donne di mezza età alle prese con nuove mansioni lavorative (The Permanent Picture di Laura Ferrés Moreno); e poi ancora, uno scienziato visionario e donchisciottesco sogna di salvare il genere umano in Novak di Harry Lagoussis, due imprenditori fraudolenti trascorrono le ultime 24 ore di libertà prima del loro arresto in Dust, sceneggiato da Angelo Tijssens (già co-sceneggiatore di Girl di Lukas Dhont), mentre in Madame di Dominik Locher (Goliath) una domestica vessata dalla sua anziana padrona comincia a mischiare erbe velenose all’omelette quotidiana della signora, fino a quando quest’ultima non le chiede di somministrarle la dose finale in cambio di una lauta ricompensa.

La varietà dei nuovi progetti presentati quest’anno al TFL Meeting Event è davvero notevole. Ma c’è un filo rosso che li collega? “C’è un grandissimo tema legato all’identità”, osserva Fernández Alonso, “sono tutti professionisti che hanno vite a cavallo tra più nazioni, c’è chi è nato in Thailandia, vive a New York ma poi per lavoro è sempre in viaggio in Europa. Sono esistenze che rispecchiano la trasformazione della vita di oggi, una mobilità che porta a interrogativi sull’identità, sia territoriale che sessuale”.
Birchanger Green di Moin Hussain, ad esempio, è “un film spaziale ambientato sulla Terra” – stando alle parole del suo autore – in cui il figlio di un immigrato, indagando sul passato misterioso di suo padre, comincia a sospettare che sia un alieno. Si interroga invece sulle conseguenze dell’adozione internazionale e sulla famiglia multiculturale The Quiet Migration di Malene Choi Jensen, mentre Panopticon di George Sikharulidze ritrae i desideri sessuali repressi di un teenager georgiano cristiano ortodosso.

“C’è anche una forte ricerca sul linguaggio audiovisivo”, prosegue Fernández Alonso, e infine, “un sottile senso dell’umorismo, che rende questi progetti ancora più profondi”. A tal proposito, Wild Encounters di Sarah Arnold è una black comedy che indaga gli istinti animali dell’uomo attraverso il personaggio di un cacciatore di cinghiali, e Three Days of Fish di Peter Hoogendoorn, un road movie con protagonisti un figlio e il suo anziano padre, tra accuse, insinuazioni e amore incondizionato. Si segnala infine The Swedish Torpedo di Frida Kempff, in cui una donna, nella Svezia del 1939, sfida la sua famiglia e le convenzioni sociali per compiere un’impresa straordinaria: attraversare la Manica a nuoto.

I progetti presentati al 12° TFL Meeting Event:
Script Lab

Anna Doesn’t Want to Be Seen Dancing - Gabriel Herra Torres (Georgia/Messico)
Produzione: Natura Film; co-produzione: Black Maria Producciones

Opera prima
Birchanger Green - Moin Hussain (Regno Unito)
Produzione: Escape Films

Opera prima
Dust - Angelo Tijssens (sceneggiatore) (Belgio/Paesi Bassi)
Produzione: A Private View; co-produzione: Viking Film
Flores - Ena Sendijarević (Paesi Bassi)

Produzione: Lemming Film
Madame - Dominik Locher (Svizzera)

Produzione: maximage
Novak - Harry Lagoussis (Grecia/Francia/Serbia)
Produzione: Heretic; co-produzione: Cinéma Defacto, Non-Aligned Films

Opera prima
Only Lola - Grzegorz Mołda (Polonia)
In cerca di produttore

Opera prima
Painless - Michael Wahrmann (Brasile)
Produzione: SANCHO&PUNTA

Panopticon - George Sikharulidze (Georgia/Francia)
Produzione: 20 Steps Productions; co-produzione: Arizona Productions

Opera prima
Rhino - Dubravka Turić (Croazia)
Produzione: Kinorama

Suddenly - Melisa Önel (Turchia)
Produzione: Vigo Film

Takotsubo - Miki Polonski (Israele/Francia)
Produzione: KM Production; co-produzione: KinoElektron

Opera prima
The Permanent Picture - Laura Ferrés Moreno (Spagna/Francia)
Produzione: Fasten Films; co-produzione: Le Bureau

Opera prima
The Quiet Migration - Malene Choi Jensen (Danimarca)
Produzione: Manna Film

The Songsmith - Bayu Prihantoro Filemon (Indonesia)
Produzione: KawanKawan Media

Opera prima
The Swedish Torpedo - Frida Kempff (Svezia/Danimarca)
Produzione: Momento Film; co-produzione: Toolbox Films

The Sweet Bitterness of Ripe Pomegranates - Andrey Volkashin (Macedonia del Nord)
Produzione: Veda Film Production

Three Days of Fish - Peter Hoogendoorn (Paesi Bassi)
Produzione: Circe Films

Wild Encounters - Sarah Arnold (Francia/Svizzera)
Produzione: 5 à 7 Films; co-produzione: TWOSA Films

Opera prima
Ze - Lkhagvadulam Purev-ochir (Mongolia)
Produzione: Guru Media

Opera prima
FeatureLab
A Male - Fabián Hernández (Colombia/Paesi Bassi)
Produzione: Medio de Contención Producciones; co-produzione: Fortuna Films

Opera prima
A Year Of Cold - Min Bahadur Bham (Nepal/Francia/Norvegia/Singapore/Myanmar)
Produzione: Shooney Films; co-produzione: Catherine Dussart Productions, Ape&Bjørn, Potocol, Green Age Film Production

About The End - Cristina Picchi (Svezia/Lituania/Italia)
Produzione: Fasad Production; co-produzione: Just A Moment, Kino Produzioni

Opera prima
Crocodile Tears - Tumpal Tampubolon (Indonesia/Francia)
Produzione: Tanakhir Films; co-produzione: Acrobates Films

Houses - Veronica Nicole Tetelbaum (Israele)
Produzione: Plan B Productions

Opera prima
Mizeria - Eva Michon (Canada/Polonia)
Produzione: Film Forge; co-produzione: Opus Film

Opera prima
Pilgrims - Laurynas Bareisa (Lituania)
Produzione: afterschool

Opera prima
Runner - Marian Mathias (Germania/Francia/Stati Uniti)
Produzione: Killjoy Films; co-produzione: Easy Riders, Man Alive

Opera prima
Still Here - Suranga D. Katugampala (Italia/Portogallo)
Produzione: Okta Film; co-produzione: O Som e a Fúria

Unrest - Cyril Schäublin (Svizzera)
Produzione: Seeland Filmproduktion

Victus - Andrei Tanase (Romania)
Produzione: Domestic Film


TORINO 2019 TorinoFilmLab

Assegnati i premi del 12° TorinoFilmLab
di Vittoria Scarpa

25/11/2019 - Diciassette i premi, a sostegno di sviluppo, produzione e distribuzione, attribuiti al termine del Meeting Event annuale ai migliori progetti di quest’anno, per un totale di 437.000 euro.

Anche quest’anno, i premi del TorinoFilmLab viaggiano in tutto il mondo, dalla Svizzera alla Colombia, dalla Germania al Nepal, passando per Francia, Italia, Romania e spingendosi fino in Indonesia e Mongolia. Il laboratorio internazionale che supporta talenti alla loro opera prima o seconda, e che ha chiuso la sua 12ma edizione il 23 novembre con il consueto Meeting Event a Torino, ha assegnato, tra gli 11 progetti di FeatureLab, i suoi due premi di produzione (per un totale di 80.000 euro) al progetto svizzero Unrest di Cyril Schäublin (una storia d’amore ambientata in una fabbrica di orologi nella Svizzera del 1872, vincitrice anche dell’ArteKino International Prize e dell’Amsterdam Post Lab Award) e al rumeno Victus di Andrei Tănase (storia tragicomica di una donna sull’orlo di una crisi di nervi che fa accidentalmente scappare una tigre dallo zoo e si lancia alla sua ricerca).

I tre premi di coproduzione, stanziati da Europa Creativa - MEDIA per un totale di 150.000 euro, sono andati invece al progetto colombiano-olandese A Male di Fabián Hernández (in cui un adolescente di Bogotà cerca di liberarsi dagli stereotipi machisti imposti dalla società; il progetto ha vinto anche il Sub-ti Award), il primo lungometraggio dell’attrice israeliana Veronica Nicole Tetelbaum, Houses (in cui il protagonista torna nella casa d’infanzia alla riscoperta di se stesso), e Runner di Marian Mathias (storia di un primo amore ambientata nel Midwest americano, che si annuncia di grande impatto visivo).

“Oggi che la pressione del mercato è alta e l’industria va tutta nella stessa direzione, è molto importante supportare filmmaker che si prendono rischi in termini di linguaggio cinematografico e di storie”, ha affermato a Cineuropa la cineasta rumena Adina Pintilie, membro della giuria FeatureLab di quest’anno insieme alla produttrice Isabelle Glachant, il delegato generale della Settimana della Critica veneziana Giona Nazzaro, l’esperta di produzione e televisione Julia Oh e il senior consultant di coproduzioni internazionali Katriel Schory. “Il TFL sostiene progetti molto coraggiosi. Senza il suo supporto in sviluppo e produzione, un film di ricerca come Touch Me Not [+], probabilmente, non sarebbe stato fatto”, ha aggiunto la regista vincitrice con questo titolo dell’Orso d’Oro a Berlino 2018.

I tre Audience Design Fund Awards del TFL 2019, mirati a supportare strategie innovative di coinvolgimento del pubblico al momento della distribuzione, sono stati attribuiti a Cuban Dancer di Roberto Salinas, La Nuit des Rois di Philippe Lacôte e Maternal [+] di Maura Delpero. Infine, novità di quest’anno, il primo TFL World Co-Production Fund Award, che sostiene la realizzazione di un film diretto da un regista esperto (da opere terze in su), è andato a The Sky Is Mine di Deepak Rauniyar.

I premi del 12° TorinoFilmLab:
2 TFL Production Awards
Unrest - Cyril Schäublin (Svizzera)
Victus - Andrei Tănase (Romania)
3 TFL Co-Production Awards
A Male - Fabián Hernández (Colombia/Paesi Bassi)
Houses - Veronica Nicole Tetelbaum (Israele)
Runner - Marian Mathias (Germania/Francia/Stati Uniti)
TFL Audience Design Fund Awards
Cuban Dancer - Roberto Salinas (Italia/Canada/Cile)
La Nuit des Rois - Philippe Lacôte (Francia/Canada/Costa d’Avorio)
Maternal [+] - Maura Delpero (Italia/Argentina)
TFL World Co-Production Fund Award
The Sky Is Mine - Deepak Rauniyar (Nepal/Norvegia/Germania/Paesi Bassi/Singapore)
Premi collaterali
TFL White Mirror
Wild Encounters - Sarah Arnold (Francia/Svizzera)
Hamilton Behind the Camera Award – Talent for the Future
The Songsmith - Bayu Prihantoro Filemon (Indonesia)
CNC Award
Painless - Michael Wahrmann (Brasile)
Menzione speciale della giuria CNC
Ze - Lkhagvadulam Purev-Ochir (Mongolia)
ArteKino International Prize
Unrest - Cyril Schäublin
Amsterdam Post Lab Award
Unrest - Cyril Schäublin
Sub-ti Award
A Male - Fabián Hernández
Sub-ti Access Award
A Year of Cold - Min Bahadur Bham (Nepal/Francia/Norvegia/Singapore/Myanmar)

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Festival dell’Essere diretto da Vittorio Sgarbi.

"FESTIVAL DELL'ESSERE" diretto da Vittorio Sgarbi.

QUARTO APPUNTAMENTO MARTEDì 29 OTTOBRE – SALERNO
Teatro Verdi, ore 17.30 – ingresso gratuito
prenotazione consigliata fino a esaurimento posti

IL BENE E IL MALE

Martedì 29 ottobre, il Teatro Municipale Giuseppe Verdi di Salerno ospiterà il quarto appuntamento del Festival dell’Essere, la manifestazione diretta da Vittorio Sgarbi che riunisce personalità provenienti da vari mondi e discipline, chiamati nei luoghi della Magna Grecia per confrontarsi ed “elaborare pensieri”.

Per questo incontro il cui tema è “Il bene e il male”, Vittorio Sgarbi ha invitato a partecipare il cantautore Roberto Vecchioni, il pilota motociclistico Max Biaggi, l’attore Alessandro Preziosi, le attrici Cristiana Capotondi e Serena Autieri, la regista teatrale Andrée Ruth Shammah, il Mons. Giulio Della Vite, Alessio Feniello e il conduttore TV Andrea Pezzi.

Il Festival è progettato da Sabrina Colle e diretto da Vittorio Sgarbi, prodotto da Angelo Tumminelli, finanziato dalla Regione Campania e realizzato in collaborazione con la SCABEC.

Essere cristiani, essere mussulmani, essere atei, essere poeti, essere attori, essere politici, essere precari, essere cantanti, attori, cuochi, architetti, sportivi, viaggiatori, esploratori, antropologi.

Un tema universale che definisce ciò che è da ciò che non è, attraverso il pensiero.
Dopo Velia, Paestum, Padula, il quarto ed ultimo appuntamento di questa prima edizione del Festival si terrà invece il 29 ottobre a Salerno, patria della più antica scuola medica europea, antesignana delle più moderne Università, diede una svolta epocale nello studio della medicina durante l’Alto Medioevo.

ATTENZIONE
La prenotazione sarà valida fino a 30 minuti prima dell’inizio dell’evento
Info e prenotazioni su www.festivaldellessere.net

Puracultura Comunicazione
339 7099353 | comunicazione@puracultura.it

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Brindisi (..per ogni occasione).

"Brindisi" (..per ogni occasione)

 

Messeri e nobil Dame, Cavalieri e Trovatori

è tempo di fare un brindisi

a questi Sposi Novelli e/o Giorni Belli

che or chiaman noi a far da testimoni.

 

Rallegriamoci dunque

per quanto dell’Amor e/o dell’Amicizia si da qui credito

orsù leviamo in alto i calici

e facciamo un brindisi in coro.

 

Seguite me in quel che or vi dico:

“Vino, vinèllo, quanto sei buono quanto sei bello!

A fidarsi di te resta l’inganno

che da solo vieppiù vo’ discorrendo.

 

Da una mano ti prendo dall’antra ti lascio

ogni volta due dita più in basso

e strizzo l’occhio all’oste:

"che porti un altro fiasco!".(*)

 

Pe questa vita che ci tiene al mondo

prima di cantar insieme uno stornello

di questo bicchiere voglio vedere il fondo!

Brindiamo dunque:

 

“Alla vita!”.

 

(*) (Tradizionale, elab. Giorgio Mancinelli)

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La poesia ’immaginale’ di Armando Bertollo

Armando Bertollo … o l’immaginale imperscrutabile del verso poetico.

Il tratto nero scorre rapido sul bristol bianco sparato a giorno, viceversa lo si direbbe graffiato sulla nera pagina imperscrutabile della notte che, pur senza apparente possibilità di congiungimento, nondimeno s’interrompe nella fuga oltre l’artato passaggio dall’Idea alla sua realizzazione:
“Ma va riconosciuto, la ribellione e la libertà (Ribeltà), sono di per sé arbitrarie, altrimenti tradirebbero la loro stessa esistenziale funzione”. (1)

Come di un ‘no-logo’ estremo in cui il tratto lineare è attraversato da migrazioni d’idee e immagini appena intraviste, nell’ottica di un caleidoscopio in bianco-nero che si sposta alla velocità della luce e che infine lo coglie, nell’irraggiungibile spazio dell’immaginale, per una psicologia dell’istante che s’appressa alla vertigine:
“…materializzando scariche di energia spaziale, oltre ogni processo, anche infinitesimale, di temporalità”. (2)

Potenziale il linguaggio avanzato da Armando Bertollo di una possibile/impossibile creatività artistica, quasi che la Poesia necessiti di una sua grafia esperienziale, altrettanto realistica della percettibilità sensibile quanto necessaria all’esigenza poetica, entro l’essenzialità di:
“Silenzi di speranze / ammutolite dal già vissuto. / Onde Si narra assente / l’occhio di un vecchio / bambino.”

Come di reticolo di linee spezzate in segmenti interrotti dalla dinamica della fuga, di rette che s’intersecano a delineare architetture future, imprevedibili di una realizzazione postuma, generata dall’attività visionaria dell’anima. In breve, tutto ciò che oltrepassa l’ordine di percezione empirica della visione personale, indimostrabile perché disconosciuta dalla facoltà sensibile o dall’intelletto razionale “…del presente, e forse addirittura nel suo futuro, che è il nostro presente” (3):
“…reticolo proteso a / pescare nel vuoto / nel tempo / […] Lì dove Accatastavo reti forate e grafie / contorte. / Le spezzavo con furore / per impugnare le rocche / di fuoco.”

Quella stessa sensibilità che, ricorrendo ai criteri della conoscenza metafisica, si dà forma ontologica di pura invenzione, pre-meditanti; quale limite di uno spazio imperscrutabile che solo l’immaginario riesce a estendere. Cosicché la grafica-poetica elaborata dall’autore, di fatto, s’avvale dello sguardo sensitivo dell’occhio osservante le linee frammentarie che ne compongono l’insieme, nel volgere di silenzi arcani che non riempiono il vuoto sospeso, la trasmissibilità della parola mancante:
“Fui bolla morbida impenetrabile / a lotta e urto / Pronta espansione per campi / e boschi che inventai / e conquistai. / Così fu / senza ferire / […] una fiammata ribelle / […] l’ira / le Sacre Spoglie di un mondo / caduto / che vorrei non segnare della mia ri-beltà.”

Congetture queste che tendono al vissuto, quello stesso in cui si riverberano esperienze del passato e interferenze del presente, sollecitate da sperimentazioni che traggono origine nel ‘movimento futurista’, datato ma mai risolutivamente scandagliato dalla poesia contemporanea, ed a cui la creatività di Armando Bertollo ritiene di poter dare continuità d’intenti:
“Attraverso i rumori / Della materia / (Strati e strade) / (Veicoli e vinti) / Avanguardie del senno compromesso / Dal troppo assenzio / Dove Incontrai il nulla.”

Allo stesso modo che in “Lo spettacolo inaugurale” l’elaborata alchimia grafica si concede al mancato congiungimento (di cui sopra) delle parole pur ad essa connaturate, per una fisionomia poetica che si consolida nella ‘de-costruzione del tratto e della parola’, e che dà ‘luogo’ (questo sì) a una visionaria quanto suggestiva forma d’Arte tout-court:
“…tra i piani visivi e i tempi sonori della significazione del pensiero.”
Arte non conforme a nessun altra nella poesia-lirica né nella poetica-narrativa che diremmo richiedente un’attenzione recitativa resa possibile solo sulla carta e/o nella fonetica propria della sperimentazione futurista; nondimeno arrendevole a quel ‘teatro dell’assurdo’ sperimentato da Samuel Beckett, in cui si concentra l’avvio di un comunicare al tempo stesso infinito e abissale, in cui cerca:
“…sulla scena madre il momento del pensato, posto, ripensato, relazionato, accudito significante.”

Quale momento clou di tutta l’opera proprio della ‘farsa’ popolare, la cui originalità, si riveste in enigmi inesplicabili “…come sono tutti gli enigmi che si spingono nella direzione del mistero”. (4) In quanto rimembranza del conoscere che potrebbe aver suggerito all’autore di questa raccolta, il suo peculiare linguaggio interpretativo in cui:
“…gli elementi del linguaggio affiorano sulla superficie, schermo della percettibilità, materia falleggiante (aerea e/o liquida) che si sostiene sul Nulla differenziandosi dopo una gestazione nell’ombrosità informe dell’energia primordiale.”

“Silenzio è quel prima che...” rifulge nel biancore vergineo della pagina, interrotto solo dall’iperbole parabolica della grafica che, a suo modo, deve comunicare la ‘terribile voce dell’intimo’ delle parole avite, rivelando l’insorgere di una possibile ‘geografia dell’immaginario’ dove tutto trasfigura in luce, significazione atemporale della memoria volontaria connessa col dopo che noi siamo, e che muta danza nel silenzio e nel mistero:
“…che è anche della luce, se sufficientemente radente: la visione sull’insignificanza luccicante del pelo dell’acqua.”

Dove l’autore, dimentico della costruzione di vuote ‘cattedrali’ si lancia a “Inseguire il filo / di un pensiero / sul filo dell’orizzonte / della mente / mettendo / a fuoco / proprio quel punto / che confonde / nave / gabbiano / naufrago / sul filo / del sentire / del comprendere / del dire / del chiedere / semplicemente / una Terra sgombra / dove lasciare un segno / appena / appena”.

“Cosa c’è tra la fine e il principio, soprattutto quando questi, fine e principio, si danno contemporaneamente? – si chiede il filosofo (5) – a voler dirimere il vero dal falso […] nello spazio occupato da parole, da frasi che s’intramano (kafkaniamente parlando) l’una con l’altra e che dicono al tempo stesso il vero e il falso, …perché in fondo tutto è vero”.

È qui che Armando Bertollo, pur senza abbandonare il segno che lo caratterizza, lascia maggiore spazio alla facoltà liberatoria / interpretativa del lettore che, sorpreso, smarrisce il suo andare all’interno di una scenografia interstiziale, congegnata in ampi spazi di magistrali silenzi e di pagine vuote che attendono ansiose la parola mancante, l’equivalente intellettuale:
“…si sospende il dato, l’ancoraggio (alla scena madre). Il cordone viene reciso alla nascita. I contatti successivi non devono degenerare in dipendenza, ma organizzarsi liberamente, per empatia , in campo solidale.”

È qui che la percezione del messaggio poetico assume la sua forma subliminale in grado di varcare la ‘soglia’ dell’inconscio condizionante l’altrui volontà , cioè eludere il tentativo filosofico, evidentemente paradossale, di coniugare le verità scritte con l’ausilio di figure, trasfigurate nel:
“…la dinamica segnica e sonora mappata in arcipelago o costellazione, in quanto unità di misura della dismisura del pensare: eccedenza di emergenza e convergenza in superficie, nello spazio”, che le circonda.

Ma il tratto non produce ombre sulla pagina, l’attraversa leggero come di flamen:
“…un soffio / nulla / far bastare / la presenza / il respiro / coordinato / sul farsi dell’onda / più / prossima / alla linea congiunta / dall’incontro di occhi / d’intesa”.
È allora che la parola prende il passo che vuole, il ritmo segnato dal “Londulazione dei segni” (6), del segno che di volta in volta la conduce, e che ne permette una lettura diversificata, rimescolata dalle assonanze, dai suoni e dai rumori muti, dai segmenti indicativi che come frecce indicano la sequenzialità dei caratteri, dalle volute di una grafia lineare che nulla occulta sotto la superficie del verso:
“…sintomo di relativa leggerezza, dove lo specifico superiore non affonda, la sua gravità è distribuita nella struttura, come pure l’aria che attraversa il corpo della scrittura”.
Siamo solo all’anteprima di un linguaggio futuribile: al “Lo spettacolo inaugurale” di una mise-en-scene che richiede un pubblico più partecipe alla ‘geniale’ ipotesi speculare e concettuale di Armando Bertollo, di dare alla Poesia lo slancio necessario per essere al passo col tempo presente ...

Al “…l’incertezza dell’avvio / la certezza del correre / attraversare / penetrare / l’orizzonte / verificando / improvvisamente / la presenza dell’aria / la carezza del procedere / attraverso / l’e-----s—perienza / oltre / la visibilità / oltre / il richiamo / oltrepassando / il ricordo / maestro / della voce / del seno / accogliente”
… guardando al futuro: The show must go on!

Note:
(*) “Ribeltà” : Esperienza del linguaggio , in Via Herakleia – Cierre Grafica 2004
(*) “Lo spettacolo inaugurale” : Coordinate di galleggiamento, in Limina – Anterem Edizioni / Cierre Grafica 2014
1) 2) Gio Ferri, Postfazione in “Ribeltà”, op. cit.
3) 4) 5) Franco Rella, “Scritture estreme”, Feltrinelli 2005
6) Giorgio Bonacini, Postfazione in “Lo spettacolo inaugurale”, op.cit.

L’autore:
Armando Bertollo,
poeta, artista, video-autore vicentino, è nato a Thiene nel 1965, vive e lavora a Schio (VI). Un artista eclettico e polipotenziale che inoltre a rassegne di pittura, scultura e fotografia, attende ad esplorare le ‘forme del linguaggio’ con particolare attenzione alle loro relazioni, ibridazioni, interferenze.
Per Cierre Grafica ha pubblicato inoltre ai libri citati: “Il teatrino della scrittura. Attraverso i sintomi”, 2009.






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Massimo Recalcati … o ‘la ricerca imperturbabile di senso’

Massimo Recalcati … o ‘la ricerca imperturbabile di senso’.
“A libro aperto” : una vita è i suoi libri. Feltrinelli 2018

“Il libro vero parla sempre al momento giusto. Lo inventa lui, il momento giusto; con il colore della parola, con la singolarità della battuta, con il piacere della scrittura” - scrive Ezio Raimondi in “Le voci dei libri”, ed è così. Avviene tutto per sintesi, addirittura potremmo dire per simbiosi, data la necessità interiore che ci fa stendere la mano verso un libro e non un altro. Perché è proprio quello di cui necessitiamo in quell’istante e che funge da richiamo. Così accade per il colore o la mancanza di colore di quella copertina, della grafica che ci cattura lo sguardo, ci lusinga, ci abbindola. Quante volte abbiamo aperto un libro e scorrendo le sue pagine ci è sembrato di aver trovato proprio quello che volevamo leggere, o magari, solo sentirci dire?

Ogni libro ha un suo odore, non è forse così? Poco dopo che lo maneggiamo, riconosciamo nella carta e nell’inchiostro un sottofondo odoroso che lo fa nostro, per cui sappiamo dire finanche dove siamo arrivati a leggere senza l’uso del segnalibro. Altre volte, rammento, di aver sfogliato un libro e averlo subito riposto, perché non lo sentivo adatto a me; oppure averlo ricevuto in regalo e messo via, nel limbo delle attese. Come dire, in stand-by, aspettando il momento migliore per leggerlo e che talvolta è arrivato dopo anni, che quasi non ricordavo neppure di averlo. Invece era lì, come ho detto in apertura, aspettava il momento giusto, per imporsi alla mia attenzione, e accipicchia, quante volte l’ha spuntata Lui, il Libro e devo ammettere che ‘in qualche modo’ mi ha cambiato la vita.

È quanto accade a Massimo Recalcati in questo libro di grande attualità che pure nasconde tra le sue pagine un ché di nostalgico della giovinezza vissuta, degli studi perseguiti, degli amori ‘segreti’ per quegli autori che come lui, più o meno, in tanti abbiamo condiviso. Sui cui scritti, in questa consistenza di cambiamento epocale, oggi andiamo alla ricerca di ‘senso’. Perché un ‘senso’ è scontato che i libri ce l’anno, e spesso formano le nostre vite: «I libri sono tagli nel corso della nostre vite. Ogni incontro d’amore ha la sua natura traumatica del taglio. L’incontro con un libro è (sempre) un incontro d’amore.»

Così come anche ha detto un ‘profeta della parola’ Vinicius De Moraes (*): “La vita, amico, è l’arte dell’incontro”, «La lettura di un libro – secondo Recalcati - può essere un incontro che introduce in una vita un taglio che separa un prima da un poi … lo spartiacque nel cammino di una vita», una ‘essenza’ che avvertiamo oltre il ‘senso’ chiuso delle parole e che invade il nostro essere, finalmente libero di apririsi all’immaginario. Un po’ come, in chiave figurativa, dello sguardo che dopo aver superato un tratto di fitta boscaglia, all’improvviso si trova davanti la distesa incommensurabile del mare.

«Un libro sopinge all’apertura, si concatena sempre con altri libri … contiene sempre altri libri. […] La lettura è un’avventura non solo perché ci porta in una lingua e in un mondo che non conosciamo, ma perché ci separa da noi stessi, dalle nostre credenze, dalla nostra identità già costituita», ed è su questa specifica affermazione identitaria che intendo soffermarmi, nel parlare dell’esperienza che si fa ‘del leggere’ e che spesso ci invade, come lettori, mettendo a repentaglio le nostre convinzioni e i nostri sentimenti: «Sicché leggere implica sempre l’esperienza del perdersi nel libro, l’esperienza di una divisione», ma, ed anche, di una ‘condivisione’ pro e/o contro l’autore stesso del libro, oppure pro e/o contro questo o quel personaggio entrato nella storia.

«Cos’è in realtà un libro se non la narrazione di un’esperienza?», si chiede e ci chiede Recalcati, per poi avvenire all’unica risposta possibile da dare: «Non solo noi leggendo abbiamo la possibilità di leggere le nostre esperienze, ma facciamo attraverso il libro esperienza delle esperienze che vi sono raccontate.» Ciò che facciamo spesso nell’immedesimarci all’interno di un libro nel co-reagire alle intemperanze della trama, frapponendo in essa la nostra peculiare sensibilità, la nostra identità, i nostri talvolta ostentati sentimenti. Non va qui trascurata un altra essenza ‘del leggere’, forse ancora più sottile e ancor più nascosta, con la quale l’autore fa breccia nella psiche del lettore; ed è l’essenza della ‘musica’ con cui l’autore avvolge la parola, intrinseca della frase costituita.

Musica che ‘illumina d’immenso’ l’espressione poetica del canto e che diviene essa stessa ‘poesia’ quando non tramuta in ‘preghiera’. Annota Recalcati che: «Per poter leggere un libro occorre ovviamente conoscere la lingua in cui è scritto. Non c’è pratica della lettura senza alfabetizzazione della lingua. Ma la nostra prima lingua non è la lingua dell’alfabeto, la lingua sottomessa alle leggi universali del linguaggio. La nostra prima lingua (che non conosce alfabeto condiviso) è la lingua del corpo (*), è la lingua fatta da “schegge del corpo” che Jacques Lacan ha battezzata come ‘lalingua’ . .[…] Non è la lingua strutturata dalle leggi impersonali e universali (?) della grammatica, […] scandita e articolata dai principi della fonazione.» Bensì è una lingua … senza scansioni, fatta di significati staccati, di lettere (fonemi), di suoni (note musicali), di emozioni (poetiche) e di affetti (amori) confusi. E che quindi «Non è la lingua che esce come sorta di fluido organizzato dal corpo, ma è la lingua che si confonde con il corpo, che è essa stessa corpo.»

Di fatto, avverte Recalcati: «Lalingua non è fatta per essere condivisa, ma per definire singolarità incondivisibile di una vita e delle tracce uniche e irripetibili che l’hanno formata. In questo senso somiglia alla poesia. Come l’arte della poesia, infatti, lalingua fa valere il carattere traumatico della lettera singolare, irriducibile al carattere uniforme e già stabilito del linguaggio. Non a caso Paul Celan (il poeta a noi più vicino), definiva la poesia come una “catastrofe del linguaggio”. La poesia, infatti, traumatizza il codice universale del linguaggio, così come lalingua alluviona incessantemente il suo campo. La vita intaccata da lalingua è una vita immersa nella memoria antica, della voce, della lettera, dei fonemi, del gergo più arcaico (anima mundi) che ci ha formati sin dai nostri primi vagiti.»

Quindi in primis fu la lingua, la memoria condivisibile del nostro essere lettori, che ci porta a leggere questo libro di Massimo Recalcati con particolare apprensione, facendo delle sue molteplici esperienze le nostre stesse conoscenze e consapevolezze, al fine utilitaristico nella nostra individuale ‘ricerca di senso’, e che egli (l’autore) trova nella moltitudine dei libri citati, come se i ‘libri’ per l’appunto suddetto, gli fossero andati incontro nel momento giusto, per imporsi alla sua attenzione. È così che nel parlare di quel capolavoro della lingua italiana: “Il sergente nella neve” di Rigoni-Stern, egli affronta il tema della solitudine: «Per questa ragione, nella solitudine che nessuna appartenenza può ridurre, sembra riemergere dalla memoria antica dell’inconscio – dalla sua lalingua – una preghiera.»

Più insolito, ma inerente ai suoi studi filosofici, Recalcati ci parla di “La nausea” di J.-Paul Sartre: «..una di quelle letture che mi ero sempre riproposto di fare – dice sottintendendo che non aveva ancora fatto – appena in tempo, prima di partire per le vacanze estive. La sua tesi centrale “l’esistenza precede l’essenza”, era stata per me una vera e propria rivelazione. La filosofia - così la leggevo – non si occupa di essenze sovrasensibili, di idee, di strutture trascendentali […]. Un’esistenza non è definita per natura, non appartiene alla sua essenza, non è già stata nel suo eidos, non risponde a nessun logos, ma disegna se stessa nella sua stessa vita, nel progetto singolare della sua esistenza.»

Una rivelazione questa che è l’essenza di questo libro, impegnativo ma scorrevole quanto una biografia della vita dell’autore ridotta in pillole letterarie ben assortite, e come dice una nota canzone disneyana “con un poco di zucchero la pillola va giù”, anche noi lettori riusciamo a ingoiare i suoi lacaniani poteri interpretativi quando ci parla di autori come l’Heidegger di “Essere e tempo”; dell’ “Interpretazione dei sogni” o di “Al di là del principio di piacere” di Freud; del “La psicoanalisi” di Lacan e dei tanti, tantissimi altri, da riempire una biblioteca filosofico-psicologica che va da Elia ad Abramo, da Epicuro ad Omero, da Sofocle ad Agostino d’Ippona, da Croce a Kant, da Kafka a Kierkegaard, da Joyce a Barthes, da Flaubert a Stendhal, da Pasolini a Rella, a Ungaretti, a Roth, a Vittorini, a Wittenggestein ecc. ecc. fino a Cormac McCarthy e al suo libro “La strada” cui dedica un intero capitolo alla figura ‘del padre’, al rapporto ‘padre figlio’ e alla possibile interazione e trasmissione del ‘fuoco dell’esistenza’:

“Sapeva solo che il bambino era la sua garanzia.
Disse: Se non è lui il verbo di Dio
allora Dio non ha mai parlato.” (C.McCarthy)

Per tornare al leit-motiv iniziale ho trovato davvero interessante l’enunciato di Ginevra Bompiani (*) che in “Vari” ipotizza quanto segue: “Se i libri non ti cambiano la vita, certo la fanno. […] Direi piuttosto che i libri ti costruiscono la vita, la ondeggiano, la sprofondano e poi la sollevano, come un sentiero in cresta fra le colline. […] I primi libri, quelli letti da bambino, le danno la patina l’illusione specifica. […] I libri letti da ragazzi non hanno autore, sono sottomarini anonimi che colpiscono e affondano la corazzata bambina. Non c’è difesa da loro, non c’è protezione. L’emozione e la cattura sono totali. […] L’emozione non ha sempre a che fare con la qualità, piuttosto con la forza. Quando si invecchia, si scopre che l’emozione è una forma di malattia. Non sempre si guarisce, ma quando la malattia si spegne, si rimane svuotati, come in una mattina di ottobre, tersa, pungente, senza veli di nebbia, persi in un orizzonte che non ha segreti”.

Ed è questa malattia che spesso diventa ‘magia’ capace di stravolgere la vita con le parole. Una ‘magia’ che incanta e che lascia spazio ai sogni, alle illusioni, al canto lirico e alla poesia, quando ottimisticamente “credevamo altresì di trovarci all’alba di qualcosa di nuovo”, quel qualcosa che Enrico Brizzi (*) nel parlarci de “Il giovane Holden” di Salinger, ci ha condotti per mano nella sensazione d’incredulità irreligiosità e diffidenza che ci attraversa tutti.

Ma è a Romano Montroni (*) che per primo, forse, ha dato a questa nostra epoca, la dimensione di come davvero “I libri ti cambiano la vita”.

L’autore.
Massimo Recalcati è uno psicoanalista lacaniano e autoredi saggi. Si è formato alla psicoanalisi a Parigi con Jacques-Alain Miller. Tra i più noti psicoanalisti in Italia, è membro analista dell’Associazione lacaniana italiana di psicoanalisi e direttore dell’IRPA (Istituto di ricerca di psicoanalisi applicata). È stato direttore scientifico nazionale dell'ABA (Associazione per lo studio e la ricerca dell'anoressia e della bulimia) dal 1994 al 2002. Ha insegnato nelle Università di Milano, Padova, Urbino e Losanna. Oggi insegna Psicopatologia del comportamento alimentare presso l’Università degli Studi di Pavia e Psicoanalisi presso il Dipartimento di Scienze Umane dell'Università degli Studi di Verona.

Note:
(*) Si dice ‘lallazione’ quella fase pre-linguistica caratterizzata da coppie di vocali e consonanti definite con toni diversi che segna l’inizio dell’attività espressiva del neonato.
(*) Vinicius De Moraes, “Poesie e Canzoni” – Vallecchi editore – Firenze 1981.
(*) Romano Montroni, “I libri ti cambiano la vita” – Longanesi 2012
(*) Ginevra Bompiani, in “Vari” – in Romano Montroni op.cit.
(*) Enrico Brizzi, prefazione a “Il giovane Holden” di Salinger – Einaudi 2013














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Perché la poesia? ... una riflessione critica.

“Perché la poesia?”

È la tematica raccolta in “Anterem” (vol. n.98 - giugno 2019), un volume di grande rilievo, come già si può rilevare dal sommario della rivista letteraria che offre un aggiornamento costante sulle più significative tendenze poetiche e teoriche internazionali. Un volume destinato come i precedenti a promuovere un ampio dibattito, sia sui media, sia nelle università, legato com’è ai bisogni essenziali della vita autentica e alla sua espressione più pura: la parola poetica.

A tale proposito Flavio Ermini registra nell’editoriale: «La poesia ci offre l’idea esatta di un costante avvicinamento all’essenza naturale, dove tutto succede perché deve accadere. Ci segnala che dall’altra parte della lingua giunge un segnale di guerra e di sedizione che rompe i ponti con lo stato di esilio e porta ad assentire allo stato di natura: un modo di essere in cui giocano un ruolo importante tutte le facoltà interroganti della parola. Questo può accadere perché dall’altra parte della lingua è ancora presente una comprensione autentica della verità, non legata a una teorizzazione umana, ma a una rivelazione della physis».

Convengono al dialogo su questo numero poeti e filosofi di rilievo internazionale, in un succedersi avvincente di poesie e saggi. Anticipiamo per i nostri lettori i testi poetici del poeta viennese Michael Donhauser, tradotti da Gio Batta Bucciol, oltre che alcune riflessioni teoriche di Paul Éluard, tradotte da Adriano Marchetti. Questo speciale numero (che conta tra i saggisti Martinengo, Vianello, Castelli Gattinara, Delogu, Madrussan, Locatelli, Merlini) può essere richiesto direttamente alla direzione:

flavio.ermini@anteremedizioni.it

È per noi motivo di orgoglio segnalare ai nostri lettori che agli abbonati sarà riservato il n. 100 della rivista, un numero speciale di oltre trecento pagine, che già stiamo progettando per celebrare questo memorabile traguardo.

Premio Lorenzo Montano 33^ edizione (2019) - I vincitori.

La giuria, composta da Giorgio Bonacini - Laura Caccia - Davide Campi - Mara Cini - Flavio Ermini - Rosa Pierno - Ranieri Teti, ultimati i lavori, esprime un profondo ringraziamento a tutti i concorrenti.
Dopo attenta analisi, riletture, confronti e approfondimenti resi necessari dalla qualità delle opere proposte, è lieta di comunicare la fine dei lavori indicando le opere vincitrici per le sezioni “Raccolta inedita”, “Opera edita” e “Una prosa inedita”.

Tali opere si aggiungono alla già annunciata vincitrice per “Una poesia inedita”: Trasmette luce differente, acqua di Roberta Sireno, proclamata da una giuria critica di 35 componenti.Le premiazioni di segnalati, finalisti e vincitori si terranno a Verona sabato 12 ottobre 2019, sabato 19 ottobre 2019 e un sabato di marzo 2020, nell’ambito del “Forum Anterem 2019/20”.

www.anteremedizioni.it

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Roberto Fassina … o la vicissitudine comica della salute.

Roberto Fassina … o la vicissitudine comica della salute.

 

In "Historia Medica” - collana Via Herakleia - Anterem Edit./ Cierre Grafica 2019.

Dialogo semiserio con l’autore.

 

La causa della malattia come perturbabilità fisica, la salute come armonia ritrovata, l’equilibrio come resistenza morale a non lasciarsi andare, la medicina come cura d’insieme per la conservazione della specie.

La conservazione?

Sì, un metterci alla prova che, pur non risparmiando nessuno, ha condotto l’umanità da almeno diecimila anni a questa parte e probabilmente sarà così fino alla fine dei giorni.

E perché no per l’eternità?

Semplice, è la prima risposta che viene alla mente: perché c’è di mezzo una qualche ‘apocalisse’ più volte annunciata, che tutto il sapere e la conoscenza più recentemente acquisita potranno fermare.

La credulità dello scettico!

Forse, ma Fassina, come nei bei tempi antichi, s'appella quì alla Musa:

Dei figli d’Asclepio narrami o Musa l’historia peccatosa d’anime ribelli”.

Per cui tutto diviene lecito e vero anche al giorno d'oggi?

Presto detto.

A Epidauro infatti, nel santuario che d'Asklepios cinse il vanto, giungevano un tempo i pellegrini assorti e stanchi, che si conducevano, a ricercar nell'arte: (musica, danza, uso delle maschere nella tragedia), la cosmica armonia e il vigore d'una sanità preclusa, prima di spingersi dentro la pacata illusione dell'eterno.

Musa dici, o Fassina? Che poi è figura mitologica, o sbaglio?

Molto ancor può la Musa, basta saper scegliere quella giusta per ogni campo dello scibile sanitario, come ad esempio, ma non se ne conosce il nome, quella dedita a: “De optima corporis nostri constitutiones e de bono habitu”.

Senza possibilità di errore la ‘Historia Medica’ qui delineata non ne elenca nessuna, a meno che …

Nessun dubbio o ambiguità di sorta, si sa fin troppo bene come andavano le cose in quei primordi della storia.

No! Come andavano?

Dapprima c’erano il veggente, lo stregone, il guaritore errante, il cerusico, l’erborista e l’alchimista, finanche l’indovino e il santone, ma era il ‘medico’, il mago per antonomasia, predisposto alla sanità del corpo, così come il ‘sacerdote’ era addetto alla cura dello spirito.

Delle anime vuoi dire!

No, in quanto a quello, erano i filosofi e, in qualche caso, i poeti a prendersene cura. Ma è questo un aspetto che preferirei rimandare alla prossima occasione, in cui magari Fassina vorrà cimentarsi, facendoci così partecipi anche di questa sua conoscenza, voglio pensarlo …

E comunque avverte:

Or «Tu sai perfettamente che io non scrivo questo (libello) come altri trattati per il desiderio di diventare famoso fra le folle, ma per far piacere agliu amici.», (Galeno "De methodo medendi" X 456. C.G. Kuhn 1821).

Così Galeno di Pergamo (129-200 d.C.), medico famoso oltre che astrologo e filosofo, negli anni in cui a Roma distribuiva la sua saggezza, dando prova così che nell’antichità si curava l’uomo più che la singola malattia.

Quindi, non solo medicina?

“..medicale flebotomia / contraria contrariis / aere acque terracqueo foco / diuretico infuso d’umori / [...] autunnale miscuglio / d’infoiata melancolia”. 

Ma dall'oscuro viluppo delle illusioni e delle analogie affiorano, senza retoriche declamazioni, quelle che sono le reali necessità umane, la nostalgia d'una purezza interiore, il riscatto dalle impurità della vita e, non in ultimo, il desiderio di dare un senso al ritmo impetuoso dell'esistenza:

"Non vi è senso alcuno già consegnato nel cosmo, possiamo solo industriarci a inventarlo, provvisoriamente [...] poiché senza senso, non si dà esistenza alcuna". (P.F. D’Arcais)

Una sorta di assenza, dunque?

Quale quella di Ippocrate, per esempio.

Chi, quello del ‘giuramento’?

Esattamente, quello che viene prestato dai medici-chirurghi e odontoiatri prima di iniziare la professione, risalente attorno aI V secolo a.C.:

“..il passo della voce / lenisce il Tatto / la mano che affonda e dilaga ( e scruta / brontolii e reticenze / secondo le forze e il giudizio / a discoprire / naturalibus causis / (… mano sine magie)”. 

Di questo passo, e non siamo ancora al Medio Evo, mi chiedo quando arriveremo a parlare dello spirito e dell’anima, “… o de come lo inconscio tradisce lo conscio?”.

Per questo dobbiamo aspettare che arrivi Sigmund Freud:

Analista d’assalto / cocaina esperimenta / strafuglia per ipnosi / la mente inturbolata / diagnosta psicoanale / fallico e orale / […] strigato super io / nevrotico ossessivo / analitico compulsivo …”.

Non dirmi, perché Freud sta forse arrivando?

È già qui, nelle pagine di questa ‘Historia Medica’ che il diligente Fassina, tra frizzi e lazzi, va impunemente narrando, qua e là edulcorando molecole di ormoni ed enzimi, imboscando antichi rimedi curativi come impiastri e cataplasmi, con uso di unguenti e lavande, fino all’uso odierno di vitamine e antibiotici:

“..(libidica pulsione / frodata e sublimata / fellona trasognata / rimossa invereconda) / in quel di Albione esilio / cremato e incenerato”.

Non posso crederci … Freud dunque un fellone?

No, semmai Fassina.

Non ti seguo, è fin dall’inizio che lo nomini, mi dici chi è questo Fassina?

Come chi è, semplicemente l’autore di questa ‘Historia Medica’ di cui andiamo parlando, inoltre de "Il pensiero verticale" ed altri impegnativi scritti.

Mi sembrava strano, quindi un futurista?

Quando mai un futurista? Semmai …

Dicevo così, solo perché mi sembra disponga di uno sguardo autistico che gli fa levitare il pensiero in senso verticale.

Ma no, è un professionista della medicina che parla in latino volgare e in greco antico, in francese, in spagnolo e in tedesco, e che fa uso raramente dell’italiano in saggi e note critiche nella pagina culturale del Bollettino dell’Ordine dei Medici di Padova.

Comprendo, un dottor Balanzone che prende nomi diversi nelle diverse città in cui allunga i suoi bighellonamenti; tant’è che da Bologna lo troviamo a Padova col nome di Graziano, a Venezia con quello di Lombardi, e chissà in quanti altri luoghi ‘in altre faccende affaccendato’.

Ma non stiamo mica parlando della maschera del Teatro dell’Arte, bensì di una ‘Historia  Medica’ in cui, abusando (‘in nomine diagnosi et prognosi’) Fassina nega e/o approva (‘dalle cause divine alle cause naturali delle malattie), che ammorbano l’umanità tutta, accentuando ‘poeticamente’ il progressivo avanzamento della medicina attraverso i suoi autori. Infatti, oltre a quelli più antichi come Alcmeone (…o dei primi vagiti medicali); Democede (…o della medicina pitagorica); Ippocrate e Galeno, fino alla Musa/Sirena delle partorienti nella Scuola Salernitana, ed al “connubio islamico de fide cum ratione”, passa “dal logos all’experimento” attraverso gli studi di Paracelso, Vesalio, Fabrici, Falloppio, Santorio, Harvey, fino a Marcello Malpighi, anatomista e fisiologo (… o della discoverta de’ capillari et globuli rossi).

Quello «de’ bianchi e de’ rossi» della Commedia dantesca?

No, siamo già oltre, attorno al 1650, prosegue con Antonio Maria Valsalva (… o dello primo psichiatra basagliano), noto per l'indagine e il rigore scientifico e maestro del celebre Giovanni Battista Morgagni; nonché del Golgi (…o de come lo cerebello s’infigura), e del Semmelweis (.. o il 'santo’ delle donne):

Santo santo è colui / che il mite rito del lavabo impose ... che poi morì pazzo ed incompreso in manicomio." 

Fino a giungere ai giorni nostri: “Dall’experimento alla clinica, (dal cadavere al malato, dal conscio all’inconscio)".

Finalmente, era qui che ti volevo!

Aspetta, vado avanti: Trousseau, Murri (…o della verità al letto del malato); dalla “Psicosomatica” alla “Ermeneutica”; dalla “Medicina narrativa” alla “Fitoterapia”; dalla “Clinica alla tecnologia genetica” (…o de come li geni s’impisellano), alla “Ecotomografia e densitometria ossea”, alla “TAC et Magnetiche risonanze”, al “PC Personal Tormento”, fino “in meo parvulo horto” ...(dal metodo rigoroso all’empatia creativa)”.

Tanta roba!

Quanto basta, solo “Una gran parte di quello che i medici sanno, è insegnata loro dai malati” (Proust)

Peccato che i malati spesso muoiono!

Lu cancro se lo mangia / de fegato et pulmone / lu porcuto maligno / molesto pervenuto senza busso / vampiresco moderno terminetor / caballo lestofante / di Troia infidi Achei / s’ingroppano da dentro / [...] / corsa, esausta carne sfatta / marciuto frutto senza scorta / mi porge esami sanguinanti / di fede imperitura / cachettico lo sguardo / parola franca attende / le labbra oracolari / che smatassino il nulla della vita” …

“(Oramai ke voi che faccia / kisto povero dottore onnipotente?)”

Però tu parli maccheronico assai!

Beh, posso ben dire che dopo quest’elenco di presunte malattie, me s’è messo un certo languore nello stomaco che magnerei un bue con tutta la stalla. Come se dice: "I vecchi detti non sbagliano mai, se de ’na morte s'à da morì, preferisco d’avé quarcosa in dentro de lo stommico".

Come dire, ‘a pancia piena’!

E certo, "con po’ de vino bono drentro a la fraschella, e sempre all’erta l’erotica favella".

E il medico che dice?

Che vo' che dicere, s'accontenta: “Disegna ghirigori con la mente / imbalsamata e sfatta”, s’immagina ch’io dia seguito ai suoi consigli: “Juro et scongiuro no son mi kello! poco manduco ‘nnocenti verdurelle nu spizzico de pane porello e ‘ncensurato”.

Ma tu, ci pensi mai alla morte?

Eccome no, ma giunti ar dunque: “Pensa che t’aripensa, che nel pensar m’impazzo, ma giunto ar dunque, quanno c’hai pensato tanto, nun hai pensato a un c…!”.

 

Non c’è che dire, in Fassina il lato ‘comico’ è assicurato, il divertimento certo, se letto con un certo impegno reso ‘dotto’ da un tocco di umorismo screanzato, insomma della burla gogliardica, dell’accoglimento “del bisogno accorato di sentirsi vivi e nel gioco delle simulazioni” (Daniela Marcheschi - Introduzione a “L’Umorismo” di Luigi Pirandello), in cui “La coscienza – così scrive il grande romanziere - non è (di per sé) una potenza creatrice; ma lo specchio interiore in cui il pensiero si rimira”.

 

E'bbonanotte!

 

L’autore: Roberto Fassina, Curtarolo 1950 (Padova) è medico chirurgo in ginecologia (per questo gli vien facile di ridere), ha pubblicato sillogi poetiche, testi teatrali satirici, raccolte di racconti, e almeno un romanzo, citato nel testo, “Il pensiero verticale” (Ibiskos 2015) e ai molti riconoscimenti ricevuti, relativi inoltre alla critica letteraria che redige sulle pagine del Bollettino dell’Ordine dei Medici di Padova.

 

Nota: Tutti i corsivi non contrassegnati sono di Roberto Fassina, inoltre a quelli evidenziati di altro autore, tutti gli errori sono soltanto i miei.

 

Contatti: massimo.fax@gmail.com

direzione@anteremedizioni.it

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CinEuropa News - prossimamente al cinema.

CinEuropa News - i nuovi film in concorso

Bentornato Presidente
di Camillo De Marco
26/03/2019 - Il sequel di Benvenuto Presidente! segna il ritorno di Claudio Bisio nei panni dell’improbabile premier di un governo che è la copia di quello attualmente in carica.

Un uomo che vive in montagna, un po’ naïf e dal nome impegnativo, Giuseppe Garibaldi, che per errore diventa Presidente della Repubblica. L’idea di Benvenuto Presidente! [+] di Riccardi Milani funzionava e nel 2013 il film interpretato da Claudio Bisio ottenne tre candidature ai Nastri d'Argento, una agli European Film Awards e 8,5 milioni di euro al box office. Sei anni dopo Bisio veste ancora i panni di Garibaldi nel sequel Bentornato Presidente, diretto da Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi, ma questa volta per diventare improbabile premier di un governo guidato da due partiti populisti, che è l’esatta copia di quello reale.
Tornato, alla fine del primo film, nelle amati valli innevate dopo sei mesi di presidenza, assieme alla moglie Janis (Sarah Felberbaum), conosciuta al Quirinale, Giuseppe detto Peppino ha ora una bella bambina che ha chiamato Guevara (come il Che) e si dedica alle sue due passioni: la pesca e la raccolta di funghi porcini. Janis però scalpita per tornare alla vita politica (“mi sento come in una boccia di vetro con la neve”) e così molla il marito e torna al Roma a lavorare per il nuovo Presidente (Antonio Petrocelli), portando con se la figlia.
Il puro Peppino, che di politica non vuol sentire nemmeno parlare, per riconquistare l’amore della sua donna è così costretto a tornare nella capitale (ma il film è girato a Torino) , dove due giovani giornalisti free lance lo riportano alla notorietà. Tanto che i due leader politici che hanno vinto le elezioni lo individuano come possibile presidente del Consiglio da manovrare come un burattino. Mentre nel primo film c'era la dittatura dei sondaggi, in questa sorta di instant-movie c’è invece quella dei social: i due politici al potere, Teodoro Guerriero (Paolo Calabresi) di Precedenza Italia e Danilo Stella (Guglielmo Poggi) del Movimento Candidi - che sono i cloni degli attuali ministro dell’Interno e vicepremier - muovono la macchina del consenso esclusivamente attraverso Twitter, FB, Instagram e qualsiasi telecamera che sia accesa.
I due giovani registi - che hanno esordito al cinema con Metti la nonna in freezer [+] nel 2018 dopo essersi fatti un nome sul web con Inception Berlusconi - e lo sceneggiatore Fabio Bonifacci - che firma anche il soggetto con il produttore Nicola Giuliano - rivolgono la loro satira anche al partito di sinistra all’opposizione, chiuso in congresso permanente a discutere e litigare sul nulla.
Con l’aiuto di un ambiguo stratega politico (Pietro Sermonti) Peppino Garibaldi passa al contrattacco, a modo suo, facendo passare una legge che costringe tutti gli italiani a pagare le tasse, in modo da trovare la copertura finanziaria per far davvero funzionare il Paese. La cosa non viene presa troppo bene dai cittadini, e il finale, che potrebbe sembra una lezioncina di morale, nasconde in realtà un sottofinale divertente e non scontato. Gli autori la definiscono giustamente una rappresentazione leggera della politica italiana e della mediocrità degli elettori, un film contro l’odio reciproco che si respira nel Paese, rilanciato costantemente dai social e dai media.
Prodotto da Indigo Film e Vision Distribution, in collaborazione con Sky Cinema e Tim Vision, con il contributo di Piemonte Film TV Fund e sostegno di Film Commission Torino Piemonte, Bentornato Presidente arriva nelle sale italiane con Vision il 28 marzo in 500 copie.

FESTIVAL Italia / Irlanda
A Roma torna l’Irish Film Festa
di Camillo De Marco.

26/03/2019 - Dal 27 al 31 marzo la 12a edizione della rassegna con il meglio del cinema irlandese e un panel dedicato al documentario. Ospite d’onore John Lynch.
Torna il meglio del cinema irlandese alla Casa del Cinema di Roma dal 27 al 31 marzo con la 12a edizione dell’Irish Film Festa. Ospite d'onore di IFF sarà l'attore nordirlandese John Lynch, che terrà una masterclass, mentre il film d’apertura è The Drummer and the Keeper [+], premiato come migliore opera prima al Galway Film Fleadh, commedia che racconta l’amicizia improbabile tra un batterista rock con disturbo bipolare e un portiere di 17 anni con la sindrome di Asperger. Il film di Nick Kelly darà il via al programma dei lungometraggi tra cui l’anteprima italiana di Black '47 [+] di Lance Daly, il film irlandese più popolare del 2018 al botteghino.
Novità di quest’anno il panel “Isle of Doc”. “Segnaleremo lo stato di salute di un genere, il documentario, che in Irlanda è in indubbia espansione, con opere forti nei contenuti e originali nelle loro molte, varie forme”, commenta il direttore artistico Susanna Pellis. Al panel interverrà il regista e produttore nordirlandese Brendan J. Byrne, direttore artistico della Fine Point Film, sempre più attiva anche a livello internazionale, ad esempio con Gaza [+] di Garry Keane e Andrew McDonell, appena presentato con successo al Sundance Film Festival. Tra i relatori anche il dublinese Frank Berry, che partecipa al festival con un’opera di finzione, il dramma Michael Inside [+], e Seán Murray, filmmaker di Belfast, che presenta Unquiet Graves, con la voce narrante di Stephen Rea, sulla cosiddetta Glenanne Gang, responsabile dell’omicidio di oltre 120 civili innocenti tra il 1972 e il 1978.
Tra gli altri documentari proposti al pubblico, The Lonely Battle of Thomas Reid [+] di Feargal Ward, che mostra la battaglia di un irriducibile agricoltore irlandese contro la multinazionale Intel che vorrebbe acquistare i suoi terreni. Il film è stato selezionato dall’IDFA – International Documentary Film Festival di Amsterdam e da HotDocs a Toronto. Il docu-drama The Mam Trasna Murders di Colm Bairéad ricostruisce il brutale omicidio, avvenuto nel 1882, di un’intera famiglia della comunità rurale di Joyce Country, e il successivo processo a Dublino.
Tornando ai lungometraggi di finzione in programma, Metal Heart è l’esordio alla regia dell’attore Hugh O’Conor e ha come protagoniste due giovani gemelle molto diverse tra loro: l’insicura Emma (Jordanne Jones) e la disinvolta Chantal (Leah McNamara). Il thriller The Dig [+], diretto dai fratelli nordirlandesi Andy e Ryan Tohill, e interpretato da Moe Dunford e Lorcan Cranitch, ha vinto il premio per il miglior film irlandese al Galway Film Fleadh 2018.
Torna poi anche quest’anno il concorso riservato ai cortometraggi. Fuori competizione, sarà proposto in anteprima il corto sperimentale Bog Graffit, del veterano del cinema irlandese Bob Quinn. In chiusura, domenica 31, spazio alle produzioni televisive con Derry Girls, la brillante sit-com nordirlandese creata da Lisa McGee e andata in onda con grande successo su Channel 4.

Tante competizioni e Focus nordico al BIFFF
di Aurore Engelen.

22/03/2019 - La 37ma edizione del festival di Bruxelles sarà ancora una volta abbondante con circa 100 film in programma, tra cui una dozzina di film europei in lizza per il Méliès d'argento.
The 37th Brussels International Fantastic, Fantasy, Thriller and Science Fiction Film Festival will unspool from 9-21 April, and as usual, it will have a jam-packed programme that is sure to delight viewers hungry for genre films that will get their adrenaline pumping (and their blood spurting).
Almost 100 movies will be presented to audiences, including several eagerly awaited titles, such as Hellboy, Greta [+], the new effort by Neil Jordan, starring Isabelle Huppert, and Iron Sky 2: The Coming Race [+] by Timo Vuorensola. The International Competition includes just one European flick, Ireland’s Extra Ordinary by Mike Ahern and Enda Loughman.
However, the festival also organises a European Competition, at the end of which a Silver Méliès is handed out. This section includes the Spanish film 7 Reasons to Run Away (from Society) [+] by Esteve Soler, Gerard Quinto and David Torras, starring a top-notch cast (Sergi Lopez, Lola Dueñas, Emma Suarez and Francesca Orella), and I Am Back [+] by Luca Miniero (Italy), a loose adaptation of the Timur Vermes novel Look Who’s Back, which imagines what it would be like if Hitler were brought back to life, with the central character here changed to Mussolini.
Meanwhile, there is a dictator “based on a true story” featured in Iron Sky 2: The Coming Race (a co-production between Germany, Finland and Belgium). Also battling it out are The Room by France’s Christian Volckman (France/Luxembourg/Belgium), which is being world-premiered at the gathering, and The Sonata by Andrew Desmond. For a change, a Belgian film will be taking part in the competition and is also set to have its world premiere: Play or Die by Jacques Kluger, an adaptation of a thriller by popular author Frank Thilliez.
As is often the case, Nordic thrillers will take the lion’s share of the selection. There are three of them this year: Finale by Soren Juul Petersen (Denmark), The Unthinkable [+] by Swedish collective Crazy Pictures (which won three awards at the Gérardmer Fantasy Film Festival) and Zoo by Antonio Tublen (Denmark/Sweden). They will be at the core of the Nordic Focus that has been rustled up by the festival, which aims to shine a spotlight on the sheer vitality of the genre-film industry of the Scandinavian countries.

Bas Devos • Regista di Hellhole
"Il bisogno di trovare una casa è ciò che ci lega; è una parte forte della nostra storia condivisa"
di Hugo Amoedo
20/03/2019 - Abbiamo incontrato il filmmaker belga Bas Devos per parlare del suo secondo film, Hellhole, che uscirà nei cinema belgi il 20 marzo.
Nel suo premiato lungometraggio d’esordio, Violet [+], Bas Devos raccontava la storia di un giovane che non riusciva ad affrontare il suo stato di shock dopo aver assistito all'omicidio di un amico. In Hellhole [+], il regista traspone questo stato di confusione a una città, Bruxelles, dove gli abitanti non sono in grado di capire o comunicare come si sentono dopo gli attentati del 22 marzo 2016.
Cineuropa: Come è arrivato a tracciare questo ritratto della città, e perché il momento successivo agli attacchi è stato il momento perfetto per farlo?
Bas Devos: Avevo lavorato in modo chiaro sulla sceneggiatura di questo film, molto prima che gli attacchi fossero eseguiti. Era una storia priva di dramma e trauma su come queste persone abitano lo stesso spazio, ma non necessariamente condividono molto, in una città come Bruxelles, che è così complessa. Quando gli attacchi sono avvenuti, ero sotto shock; non potevo ignorarlo. Molto spesso la gente interpreta il silenzio dei personaggi e la loro solitudine sia come incapacità di comunicare che come segno di isolamento, ma non sono del tutto sicuro di essere d'accordo. Uso spesso il silenzio solo per sottolineare che c'è molta comunicazione emotiva che avviene senza parole. Penso che il nucleo della storia originale sia stato evidenziato dagli attacchi.
Perché ha creato questi personaggi specifici per il suo film?
Abbiamo il dottore, il traduttore e il ragazzo. Trovavo affascinante il modo in cui il medico può trascendere i diversi strati della società – se si vuole parlare di strati, cosa che trovo problematica. Non tutti possono avere accesso alle case della gente come un dottore. La donna che lavora per le istituzioni europee rappresenta le persone che vengono a Bruxelles con un obiettivo chiaro. Sono qui per lavorare ma non necessariamente per stabilirsi a lungo termine. I giornalisti a volte mi chiedono del ragazzo e lo chiamano "il migrante", anche se è nato a Bruxelles. È a casa, ma la società non lo percepisce per ciò che è. All'inizio della fase di scrittura, questo concetto di "casa" – che cos'è e come funziona la casa – è stato lo spunto. Il bisogno di trovare una casa è ciò che ci lega; è una parte forte della nostra storia condivisa.
Come ha stabilito questo particolare approccio ai piccoli oggetti e agli angoli delle strade, usando quelle lunghe carrellate?
Stavo pensando molto allo spazio e alla profondità e a come tradurli sullo schermo. Nell'ambiente urbano ci sono sempre tanti muri, che fungono sia da invito che da limite. Volevo implementare questa semplice idea nel film e, inoltre, attribuire significati agli oggetti. Volevo che queste inquadrature fossero momenti emozionanti. Anche se non c'è alcun personaggio coinvolto e non c'è una ragione narrativa per essere lì, solo guardando e ascoltando, possono entrare sotto la tua pelle e influenzarti in qualche modo. Per me, filmare gli angoli delle strade era il modo più bello e più semplice per descrivere lo spazio urbano. Siamo molto più abituati a una prospettiva più simile a Dio – lo skyline, ad esempio – che rappresenta la città come un insieme omogeneo e unito. Questo non è il modo in cui io e i personaggi viviamo la città, bensì come una raccolta di angoli di strada, piccole sorprese e così via.
È stato molto difficile girare nel Parlamento europeo?
Era impossibile. L'unico modo che abbiamo trovato per filmare è stato entrare con il gruppo stampa. Avevamo solo uno spazio limitato dove potevamo mettere la cinepresa e poi fare uno zoom. Era impossibile accedere all’area circostante. Dopo il 22 marzo, tutto è diventato inaccessibile. C'è sempre la questione della sicurezza.
Sentiva qualche tipo di responsabilità, visto che stava girando il film su questi eventi?
No, neanche per un secondo. Certo, come regista hai molte responsabilità. Se lavori con la realtà, ti muovi automaticamente in un mondo politico. Devi essere sfumato e attento. Ma non abbiamo fatto alcuna dichiarazione sulla politica o su questi attacchi; questo non è un film sugli attacchi. Perché normalmente, gli attacchi stessi non sono necessariamente i momenti più interessanti. I punti più interessanti sono ciò che accade dopo e dove andiamo partendo da lì.


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Anterem - novità editoriali nel Premio Montano

ANTEREM - Novità editoriali nel Premio Montano

Il Premio "Lorenzo Montano" notoriamente previsto per una Raccolta inedita, Una prosa inedita, Opere scelte, Una poesia inedita, rivolge quest’anno un particolare invito ai Poeti che negli ultimi tre anni hanno pubblicato un ‘libro di poesie’ e ai loro Editori, di partecipare alla sezione ‘Opera edita’ del Premio di Poesia Lorenzo Montano (XXXIII edizione) con attribuzione di uno speciale ‘premio’ afferente al volume che sarà inoltre presentato in autunno nell’ambito di una grande manifestazione pubblica nella Biblioteca Civica di Verona.

Per indicazioni a riguardo si invita a visitare il sito:
https://www.anteremedizioni.it/xxxiii_edizione_2019
Per qualsiasi altro chiarimento, o semplicemente per richiedere il bando:
direzione@anteremedizioni.it

Il Premio di Poesia e Prosa Lorenzo Montano rientra nelle finalità dell’Associazione culturale Anterem, per la diffusione e la conoscenza di forme stilistiche e di pensiero che trovano nella necessaria opportunità e nella bellezza le loro ragioni.
Le opere dei vincitori per tutte e quattro le sezioni in cui il Premio si articola vengono quindi immesse in canali distributivi e di conoscenza che fanno capo a critici ed estimatori, amanti della poesia e semplici abbonati alla rivista Anterem, nonché biblioteche civiche e universitarie. La loro vita non si esaurisce quindi nell’ambito del cerimoniale legato alla premiazione ma continua altrove, così come le ‘opere dei finalisti’ e/o segnalati che in ogni edizione hanno costituito e costituiscono la trama del Forum Anterem di poesia e prosa.
Con la dedica del Premio al veronese Lorenzo Montano noi di Anterem abbiamo voluto ricordare un poeta, un narratore, un critico che è stato uno dei fondatori della rivista letteraria “La Ronda” di celebre memoria, nella quale abbiamo trovato per molti versi la conferma del nostro concetto di ‘ricerca’, che per noi corrisponde alla originaria ‘tensione’, mai deposta, cui tendere. Una profonda tensione dell’essere in ascolto dei molteplici impulsi dell’esistenza, che tiene conto di tutti quei processi interiori dove luce e ombra indissolubilmente convivono nella “poesia del ‘900”, di cui segnaliamo gli Atti della giornata di studio dedicata dalla Biblioteca Civica di Verona e da Anterem a “Lorenzo Montano e il Novecento Europeo”. Pubblicati da QuiEdit, nei quali sono riuniti interventi di Giorgio Barberi Squarotti, Flavio Ermini, Gio Ferri, Claudio Gallo, Maria Pia Pagani, Tiziano Salari. Curatore degli Atti è Agostino Contò, a cui si deve l’introduzione al volume.

Si rammenta inoltre che tutte le opere pervenute al Premio saranno catalogate e conservate, insieme ai manoscritti e ai volumi dei poeti contemporanei più significativi, presso il Centro di Documentazione sulla Poesia Contemporanea “Lorenzo Montano” della Biblioteca Civica di Verona, a disposizione dei critici e degli storici della letteratura.

Info: premio.montano@anteremedizioni.it

Anterem si avvale inoltre della pubblicazione del pregiato volume della rivista, in corso di distribuzione, “Anterem” numero 97 - dicembre 2018 impreziosito dalle immagini grafiche di Giancarla Frare. Il volume, di grande rilievo, come si può rilevare dal ‘sommario’, è destinato come i precedenti a promuovere riflessioni e dibattiti, sia sui giornali, sia nelle università ed i social. Il tema cui il numero è dedicato è “Per oscuri sentieri” con il quale si è cercato di rappresentare l’intero caleidoscopio degli intenti, il lato oscuro e pur luminoso della poesia.

Ciò per quanto è detto, nell’ ‘Editoriale’ di Flavio Ermini, (direttore della rivista): «La parola poetica non può essere usata per portare qualche sollievo sull’arido cammino del pensiero. Il dire che le è proprio segue gli oscuri sentieri dell’interiorità, anche se i suoi abissi sono colmi di angoscia e di sofferenza; anche se nei suoi crepacci vige il nucleo del più profondo ammutolire».

Convengono al dialogo in questo numero poeti e filosofi di grande rilievo, come: Trakl, Llansol, Pizarnik, Ducros, Mansour, Cini, Hubin, Furia, Bonnefoy, in un succedersi avvincente di poesie e saggi, alcuni dei quali che vengono editati in anticipo sul sito della rivista, di cui: alcune poesie di Ranieri Teti, oltre ai testi poetici della scrittrice portoghese Maria Gabriela Llansol, tradotti da Paola D’Agostino.
Questo speciale numero, che consta tra i saggisti: Zaccaria, Vitiello, Giannetto, Jesenská, Berardini, Tatasciore, Teti, Tomatis, Pinciroli, Novello, può essere richiesto direttamente alla direzione: flavio.ermini@anteremedizioni.it . Allo stesso indirizzo possono essere richieste info per abbonarsi ad “Anterem”, in modo da avere un aggiornamento costante sulle più significative tendenze poetiche e teoriche internazionali.

È dunque per noi di Anterem motivo di orgoglio segnalare ai nostri lettori che agli abbonati sarà riservato il n. 100 della rivista, un numero speciale di oltre trecento pagine in fase di progettazione, per celebrare al meglio questo memorabile traguardo.
In attesa di leggere molti ‘vostri libri’ inviati anche via e-mail al Premio, in formato PDF , salutiamo con cordialità tutti i lettori tutti della rivista on-line La Recherche che sempre riserva ad Anterem un’attenzione particolare.
Grazie.

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I Grace in Town arrivano live al Monk ed altro



I “Grace in Town” arrivano live al Monk, una ricerca sul suono.
Il progetto autorale di Fabrizio Sferra e Costanza Alegiani arriva sul palco del Monk domenica 27 gennaio per presentare l’omonimo album “Grace in Town”, uscito lo scorso maggio per Parco della Musica Records e Jando Music.
Insieme a loro, un cast di musicisti d’eccezione. Ingresso gratuito.

“Grace in Town! è il nuovo progetto autorale del noto batterista Fabrizio Sferra e della cantante Costanza Alegiani, insieme in questa avventura di 10 brani originali. Un lavoro in cui Sferra è compositore delle musiche e nella veste inedita di cantante, e Costanza Alegiani è autrice dei testi in inglese.

“Grace in Town” lo scorso maggio è diventato un album prodotto da Parco della Musica Records e Jando Music e presentato per la prima volta all’Auditorium Parco della Musica. Domenica 27 gennaio il progetto torna nella Capitale, per un grande concerto alle ore 21 sul palco del Monk insieme a band di eccellenza, composta da musicisti versatili e creativi, affermati protagonisti dell’area jazz contemporanea: i chitarristi Francesco Diodati e Roberto Cecchetto, il tastierista Alessandro Gwis, il bassista Francesco Ponticelli e il batterista Federico Scettri. A coronare la suggestione, i live visual di Loredana Antonelli.

Nei brani di Grace in Town vi è una varietà di influenze provenienti dalla grande stratificazione di esperienze e ascolti maturati da Sferra nel corso dei decenni (dalla musica italiana pop e d'autore alla grande Opera, dal rock progressive inglese alla canzone americana nelle sue diverse declinazioni). Il rock di matrice anglosassone e il pop raffinato si sposano con il carattere espressivo dell’elettronica, attraverso un lungo lavoro di pre e post produzione e di ricerca sul suono. Il titolo del progetto, "Grace in Town", vuole rimandare a un'idea di grazia e 'classicità' che pervade gli elementi compositivi ed interpretativi, calata in un contesto di sound contemporaneo.

L'effetto, amplificato altresì da un consistente uso delle voci, è di una musica corale, dal forte impatto emotivo.
L’ingresso al Monk è riservato ai soci ARCI tesserati 2018-2019. Per tesserarsi, è necessaria 24h prima dell’evento la registrazione online sul sito http://www.monkroma.it/registrazione/.

INFO E CONTATTI
Monk Club, via Giuseppe Mirri 35
Ingresso gratuito con tessera ARCI: www.monkroma.it
www.graceintown.com
Ufficio Stampa: Fiorenza Gherardi De Candei – tel. 3281743236 info@fiorenzagherardi.com

METJAZZ 2019
Storie e viaggi in jazz

COMUNICATO STAMPA.
Giunta alla XXIV edizione dal 5 al 25 febbraio si terrà la rassegna METJAZZ 2019, organizzata dal Teatro Metastasio di Prato.
“Forse non esiste musica più autobiografica del jazz. L’improvvisazione, il rapporto fisico con lo strumento, il gioco di interazione tra i musicisti, tutto palpita di una presenza totale e immediata dell’esecutore. La tradizione orale attraverso cui il jazz si è diffuso esalta l’esperienza diretta del fare musica, senza mediazione di spartiti o altri supporti visivi. In più, la possibilità di organizzare sul momento il flusso della musica esalta la qualità narrativa del jazz, la capacità di raccontare storie, di inoltrarsi in viaggi autobiografici o fantastici, in un continuo dialogo tra presente e passato con tutta la musica afroamericana che con la tradizione intrattiene un rapporto vivo, dinamico, creativo”.

Così il curatore Stefano Zenni introduce la rassegna di quest’anno, dedicata a Storie e viaggi in jazz e dunque alla natura narrativa del jazz e alla sua qualità autobiografica nel raccontare vite, desideri, immaginari. Il programma, forte della collaborazione con la Scuola di Musica Verdi, conserva la sua struttura classica e si articola nelle due consuete sezioni – official e off - proponendo a Prato cinque concerti, di cui uno doppio, una conferenza, un incontro e una mostra fotografica. Inoltre, ribadendo la sua sinergia d’intenti con il Pinocchio Jazz Club di Firenze, METJAZZ 2019 si fa promotore e sostenitore di un concerto nel capoluogo toscano.

Quattro i grandi eventi pratesi tra Metastasio e Fabbricone:
• Martedì 5 febbraio alle ore 21.00 al Teatro Metastasio va in scena Tempo di Chet, un originale spettacolo jazz che sovrappone la scrittura drammaturgica di Leo Muscato e Laura Perini e la partitura musicale curata e interpretata dal vivo da Paolo Fresu - gli attori e i musicisti - per rievocare in un flusso organico di parole, immagini e musica lo stile lirico e intimista di Chet Baker, uno dei miti musicali più controversi e discussi del Novecento, in bilico tra tragedia e leggenda, maledettismo e bellezza.

• Lunedì 11 febbraio alle ore 21 al Teatro Fabbricone, due diversi viaggi in trio mettono a confronto due diverse concezioni del racconto musicale: da un lato, al DEBUTTO IN PRIMA ASSOLUTA, Antonino Siringo, Andrea Tofanelli e Ares Tavolazzi rendono Omaggio a Sun Ra, rileggendo il suo sound fisico e trascinante in modo contenuto e controllato, da camera, facendo a meno della batteria ma conservando la forza ritmica della musica originaria; dall’altro Claudio Filippini, Luca Bulgarelli e Marcello Di Leonardo con Before the Wind fanno esplodere una macchina narrativa con arrangiamenti ricchi di svolte, cambi d’atmosfera, composizioni di ampio respiro o bozzetti fortemente caratteristici in un trio a parti equivalenti.

• Lunedì 18 febbraio alle ore 21 al Teatro Fabbricone Massimo Falascone Seven propone insieme al suo gruppo Méliès, un percorso musicale costituito da brani ispirati ai cortometraggi di Georges Méliès, poeta e inventore del cinema come sogno, precursore nella tecnica del montaggio e degli effetti speciali. Composizioni originali con grande spazio all’improvvisazione e omaggi ad alcuni grandi del recente passato, sempre nello spirito poetico e visionario di Méliès, con apparizioni, ripetizioni e metamorfosi, esposizioni e dissolvenze, giochi di prestigio, formule magiche e viaggi verso mondi sconosciuti.

• Lunedì 25 febbraio alle ore 21 al Teatro Metastasio Maria Pia De Vito insieme al suo trio porta in scena Core/Coração, una versione napoletana in chiave jazz delle storie del brasiliano Chico Buarque, tra i più noti autori e interpreti della Bossa Nova ma soprattutto poeta e genio assoluto della canzone contemporanea brasiliana. Mentre la lingua napoletana dona una profondità mitica al cantare gli ultimi, i marginali di una società spietata e egoista che trova redenzione solo nell’amore, il jazz è il veicolo privilegiato del riscatto di popoli aperti al dialogo: nel ritmo, nella danza, nel canto e nell’improvvisazione schiavi, reietti, esclusi tornano protagonisti grazie al meticciato, che investe culture e classi sociali. Un appuntamento realizzato in collaborazione con Musicus Concentus.

Ci saranno poi altri quattro appuntamenti realizzati in collaborazione con la Scuola Comunale di Musica Giuseppe Verdi di Prato racchiusi tra gli eventi di METJAZZ OFF:

• Domenica 3 febbraio alle ore 21 presso la Scuola di Musica Verdi trovano spazio le Storie di giovani talenti con la New Talent Jazz Orchestra diretta da Mario Corvini che si esibisce in Our Monk. Si tratta di un ensamble nato da un bando della SIAE e dalla collaborazione tra varie istituzioni italiane, tra cui il Teatro Metastasio di Prato, con dodici musicisti, un ospite emergente, un direttore esperto e un repertorio impegnativo e stimolante, quello di Thelonious Monk.

• Domenica 10 febbraio alle ore 11 presso la Scuola di Musica Verdi in un Incontro con Roberto Masotti - grande fotografo, ma non solo, un generatore di idee, uno stimolatore entusiasta di progetti, un connettore di esseri umani -, si esplorano le Storie in uno scatto entrando nelle pagine di Jazz Area, un libro fotografico edito dalla casa editrice Seipersei che racchiude quasi 50 anni di storia di musica jazz internazionale, con i ritratti di Miles Davis, Keith Jarrett, Archie Shepp, Carla Bley, Sam Rivers, Cecil Taylor, Charles Mingus, Ornette... Si tratta di un testo che si basa su una particolare e necessaria prospettiva autobiografica, parla della vita in musica attraverso i tanti incontri diretti e le infinite occasioni di musica dal vivo, analizza l’idea d’improvvisazione nel suo tipico esprimersi afro-americano e nelle sue trasformazioni europee, è la lente attraverso la quale Roberto Masotti ci parla della sua lunga storia con il jazz.

• Domenica 17 febbraio alle ore 21 presso la Scuola di Musica Verdi si intraprende un Viaggio nel suono con il concerto ST()MA di Cristiano Calcagnile, dove “stoma” sta per “bocca” in greco, ma anche per la fessura attraverso cui le piante respirano in botanica, quindi per intersezione, luogo di passaggio. E difatti, una fluidità di stati, dal solido al gassoso, dal liquido ancora al solido, contraddistingue il sound di Calcagnile, che utilizza vari strumenti oltre la batteria, inclusa la chitarra.

• Domenica 24 febbraio alle ore 11 presso la Scuola di Musica Verdi una Conferenza di Stefano Zenni sulle Storie e immagini del jazz al cinema illustra l’incontro non sempre lineare e felice tra queste due arti e, citando momenti di gloriosa fusione di musica e immagini e grandi equivoci sorti dall’utilizzo di una visione stereotipata del jazzista come artista maledetto (si pensi a Chet Baker) prova a analizzare il modo in cui il cinema ha veicolato una certa idea delle vite dei jazzisti e del significato della musica.

Inoltre, alimentando nel nome del jazz gli “Incroci tra Prato e Firenze”, METJAZZ 2019 ribadisce la collaborazione con il Pinocchio Jazz Club di Firenze e promuove come anteprima del festival il concerto di sabato 2 febbraio alle ore 22 nella sala dello storico locale con Roberto Ottaviano che presenta il suo ultimo progetto ETERNAL LOVE, un omaggio all’Africa, alla sua cultura, alla sua musica e al suo popolo, con una selezione di composizioni di Don Cherry, Abdullah Ibrahim, Charlie Haden, John Coltrane, Dewey Redman, Elton Dean, e brani originali.

E, anche, a corredo della rassegna, dal martedì 5 febbraio a lunedì 25 febbraio nel Foyer del Teatro Metastasio sarà visibile la mostra fotografica Jazz Poster/dieci variazioni serigrafiche, 1971-1972 di Roberto Masotti, con i poster realizzati e distribuiti nei festival del jazz egli anni Settanta, impreziositi dagli autografia dei protagonisti ritratti.

Il festival è organizzato dal Teatro Metastasio di Prato in collaborazione con Scuola Comunale di Musica Giuseppe Verdi, Musicus Concentus e Pinocchio Jazz Club di Firenze. Info Teatro Metastasio - tel. 0574.608501 - Cristina Roncucci 0574.24782 (interno 2) - 347.1122817

BIGLIETTERIA TEATRO METASTASIO
via Cairoli 59, Prato - tel. 0574/608501
Dal martedì al sabato 9.30/12.30 e 16.00/19.00
Per il periodo della rassegna, la biglietteria sarà aperta anche il lunedì
BIGLIETTERIA ON-LINE: http://ticka.metastasio.it

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Capuzzo - Guarienti insieme per un libro d’arte e poesia

Roberto Capuzzo / Carlo Guarienti … o il numero emblematico dell’infinito.
“Senza vera regola. Sparire … apparire” – silloge poetico-artistica – “2RC Edizioni d’Arte – Gli Ori 2018.

Parole che si rincorrono a formare frasi, come di voci che sfuggono all’incalzare di significazioni verbali possibili che, a loro volta, avvalorano le enunciazioni composite trascritte sulla pagina che di parvenza le accoglie; la cui pur vaga essenza è altresì apparente nel manifestarsi di ‘sinopie a-fresco’ che si frappongono tra la parola ‘dicta’ e l’espressività ‘picta’, come di figure esperienziali d’una realtà ‘altra’ che stanti, pur s’avanzano nel lento incedere della mano che le svela …

“Non siamo soli nello / specchio di madreperla, / in lunga fila allacciata / abbiamo attraversato il silenzio. Ciascun sobbalzo è una voce / - irridenti le più lontane - / …”.

Mano di chi ‘senza vera regola’ ne autentica l’impronta, così che nel loro ‘apparire’ si fissano nella retina dell’occhio che le scorge, seppure solo per un istante prima di ‘sparire’ nella corsa fuggevole del tempo, in cui l’effimero sottrae al dubbio (d’averle viste), nella pienezza delle forme, prima ancora della posa in-colore …

“Pallido ovale incredulo … / Verrà un amico / voce, intelligenza limpida, / i colori che danno corpo alla musica.”

Quasi che dalla patina del tempo riaffiori il calco sommessamente nascosto, ove l’indicibile lascia all’ipotetica finzione le parole di un segreto reiterato che allo stesso modo rivela ‘nel non dire’ una sua intrinseca avvenenza; come di un cantare muto che nel silenzio degli strumenti, si compone e scompone nella sequenza melodica di congiunte parole, tuttavia avulso da una realtà che ne svilisce il senso …

“Dapprima velato / dall’interno si riempie / non visto, il vuoto / trasferisce il suo luogo / anzi rinasce.”

“Tenue il sorriso / non visto tra maschere / a passeggio / […] Tocchi leggeri alla porta / quasi appena - / senza mani il busto / si avvita lento / e deboli voci richiedono. / Ora si ricompone (il tutto), / riacquista colore e forma.”

Siccome annovero di sentimenti assopiti dentro le pagine di carta fine, il poeta incontra l’artista, conscio d’avallare un ‘sogno’ privato delle parole nei giorni e negli anni finora susseguitisi, in cui la ‘visione interiore’ dell’individualismo poetico compenetra l’ordine ‘incommensurabile’ dell’arte …

Un “Fruscio di passi / nell’erba alta – cobalto / ad occhi che vedono - / in perfetto silenzio / scolora l’ombra.” […] figura e riflesso dell’altro.”

‘Senza vera regola’ è detto, in ragione di quel discreto cantare in cui il poeta, nell’estrapolare il verso da ciò che lo vincola nel parlare, rende la sua parola muta, allo stesso modo che lo specchiarsi (d’intonaco poroso), “… il volto è fermo, / tuttavia la figura s’incammina / le spalle distintamente / si riconoscono.” …

“Le mani … congiunte sfogliano i testi / illegibili, nella nebbia […] - grano per grano - / dentro quel vuoto. / Leggo i fondi abbandonati da allora, / la crosta dei segni / trattiene il senso e lì / il segreto si schiude / e consuma le parole / dette in quell’unica occasione […] «Verrà un amico / voce, intelligenza limpida…» / col piacere che ancora / condividono tra loro.”

Così, come spesso accade nella vana ricerca di una ‘verità’ assoluta, l’amico … “L’angelo è comparso più nitido / nel contorno, volge il capo / osserva la stanza, rientra; / non riflette l’ombra, / accenna tre passi / alla luce socchiusa degli sguardi” … e d’un tratto s’invola, mentre tutt’attorno, inevitabilmente, il mondo continua a girare nello spazio a vuoto per un perpetrato concetto di moto, nel frastuono del quotidiano vivere che l’insegue ...

“Il ferro a punta incide / la tela di minuscoli fori / […] non c’è nostalgia dei luoghi / conosciuti, (dei) volti tratteggiati” … nella solerte verbalizzazione di voci che si perdono nell’indicibile del proprio esistere, frutto d’una improrogabile ricerca interiore che ha il merito di aprire la strada a una successiva dimensione poetica di entrambi.

Qui, nell’ambito poetico delle parole, in questo connubio lirico-artistico che ne consegue, l’interpretazione dell’arte è pressoché compenetrata alla simbologia delle argomentazioni trattate, le quali, se vogliamo, premiano l’audacia del manufatto cartaceo, della calcografia redazionale, che vede entrambi assimilati in un doppio ruolo: quello del poeta raccolto nel fervore della ‘rappresentazione pittorico-verbale’; e quello dell’artista impegnato nell’esercizio della ‘creazione linguistico-pittorica’ …

“La traccia che scorgemmo / […] ci parve l’inganno del silenzio, come / accade talvolta nelle / ore …”, o forse, negli istanti che raccontano i sogni, nel passatempo costante di ciò che nell’ ‘apparire … sparire’ si gioca sul tavolo del Bagatto, (figura emblematica degli Arcani Maggiori), com’è rivelato nel numero simbolico dell’infinito, in quell’allineamento spaziale delle cose in cui tutto infine si ravvisa nell’impressione della tridimensionalità, così come nella percezione oscura della profondità. Nella cui disputa fra sinonimi e contrari, si convalida la doppia visione di quella verità che si determina nel poeta come nell’artista, alla medesima stregua, nella stessa forma e struttura dell’intero ...

“Le sentì provenire da sotto / facendo vibrare le braccia / le mani fino alle (punte delle) dita / uscendo poi da lì, dalla rigida figura / di modo che la scrittura iniziò. / Anche il graffio lentamente giunse / all’udito, si percepivano le / parole fluire liquide finché / una luce bianca le colpì / di traverso piegando le ultime / lettere, trasformando(ne) il senso.”

“Non è un gioco – avverte il poeta – nel ripercorrere a passo franco / il vuoto senza ricordo / nascosto tra le pieghe / della carne, / ben serrato”; per quanto (noi che lo leggiamo), apprendiamo la possibilità che le sue “ceneri siano sollevate / e ricomposte e nuovamente sollevate. / […] nel movimento, del tutto estraneo / al sopravvivere delle azioni / che oggi ancora mi(si) affermano. […] Nella irrilevanza del tempo / che la presenza / o l’assenza stessa / lungo il sentiero / a spirale attraverso(a) i gradi / della percezione” …

Ed è qui, nella “irrilevanza del passare del tempo”, che si determina la differenza con l’artista, nel suo non fare uso delle parole, assenza per il quale “Il tempo non sbiadisce la presenza. / Sono i giorni stessi, anzi / - dallo scuro al bianco candido di luna - / a favorirla. […] Sento l’umore della pelle / e il desiderio di sguardo è reso / più intenso dal mormorio / presto riconosciuto. / Attendo. / Ne percepisco(e) il ritmo / prima delle parole. / Non le sillabo(a), ancora, / lo stare mi(gli) è sufficiente. / Potrei(bbe) allungare la mano / e verrebbe subito sfiorata. / Così (come) ogni volta è accaduto.”

Una diversità d’intenti che relega l’artista, ‘che non fa uso di parole’, in ambito subliminale, in cui le “mani dure sfiorano gli odori / (nel mentre) l’aria è satura di profondo”. Egli ben sa che “Vi è luogo per l’abbandono / dove lo sguardo non fissa / il colore muove con lentezza, / il movimento s’acquieta / dentro il guscio / tessuto di vento”.

Come assomigliano a un desiderio d’assoluto le parole in cui ‘lo stare’ è sufficiente a suffragare il momento statico dell’illuminazione artistica, all’apparire sinopiale dell’essere che s’affaccia attraverso la materia; come ‘di marmo nel marmo’ nella scultura michelangiolesca (dei ‘prigioni’), qui imprigionati nel color seppia posto sulla carta, in cui “Il poeta è in ascolto del mondo, (mentre) l’artista lo ritrae” (*) …

“Scritte a matita / con mano ferma. / Alcune di quelle parole / scompaiono se vengono lette / altre perdono forza / dissolvono lentamente. […] Da lontano lo stesso luogo / è macchia, / oltre ancora, volto.”

“Ogni oggetto (presenza) proietta la sua / ombra (apparenza) e le ombre affilate (i sogni) / si dispongono (in lento incedere) in relazione / perfetta.” …

“L’ombra raggiunge la sua figura / la supera staccandosene / lontana dal fragore / del ghiaccio che in segni / di primavera frantuma./ Riposte con cura, / le tracce lasciate dalle cose / vi sopravvivono. / (sovrapposte l’una all’altra). (Quand’ecco
l’amico..) L’angelo è riapparso / si mostra, reclina il capo, / l’aria si fa più chiara. / Avevo creduto di udirne il suono / negli scarti del vento / o anche solo la schiuma attraverso / le fessure delle dita. […] Nelle ore che raccontano il mare.”

“Nell’angolo degli orologi, / muove preciso / il tempo. Di tanto in tanto / frazioni impercettibili / si frappongono tra alcuni / dei secondi concedendo / spazio al silenzio.” … è questo lo spazio interstiziale dei frattali, necessario a condividere l’emozione epidermica del segno sulla carta a rivelare (a noi lettori), che le parole non dette, nulla biasimano delle colpe che si consumano nella sovrapposizione …

“Non so dire – eppur dice il poeta nel guado – / se davvero esista / il luogo dove sarò l’ospite, / con le spalle lungo i muri / feriti dal nero terso della notte. / Preparo le poche cose / solo alcuni dettagli e mi avvio / senza fretta, attraverso. / Dei suoni che ancora riconosco / l’aria è satura / pure se le mani faticano / a trattenere … (il saluto).

Allorché le due figure, del poeta e dell’artista, si stringono in un ultimo abbraccio fecondo a “richiamare sguardi (sottesi) / attraverso fessure / che prima apparivano cieche”, la mano dell’artista ha disegnato “ombre nella stanza accanto / dietro la porta socchiusa, / (dove) la luce del crepuscolo / ha lasciato intravedere / la mano” … levata nel vuoto opale della carta; dove “la goccia del lavandino scandisce / il vuoto di quella stanza, il respiro / (che) ne ritma l’immobilità” degli intenti svelati …

“Sai, dire con le parole, / lette o solo scritte, / diventano rigo. / Quando la pagina è sollevata / consumano ogni carattere / mano a mano che il segno la trasforma. / Ne rimane il riflesso, (specchiato) continuo, / persistente oltre l’udito stesso / sino a che solo risuona. / … lì dove le mani si sfiorano, / nel silenzio.”

Oh no, “Non temo il temporale / né l’abbandono tormentato d’autunno. / […] Scopro parole che non conoscevo - rammenta il poeta - o che mai avrei pronunciato: / esserci, malattia, non più essere, / distillate con precisione / tanto da poterle leggere da lontano. / Ad ogni passo, nella sera avanzata ..” .

Siamo “Angeli che hanno scritto parole / senza nominarle / […] Segni a matita in luce radente. / […] Che rischiara l’impronta / lasciata senza peso. / Sentore d’assenza. / Ti osservo tenere alta la mano, / con movimento impercettibile delle dita / […] che rischiara l’impronta / lasciata senza peso. […] Il luogo è indifferente, così la stagione / o l’ora stessa. Non altrettanto il punto / da dove la luce muove.”

“Ha forma di mano / sul volto la maschera. / Del corpo colgo le spalle, / non la bocca, né la pupilla. / Nella discesa dentro / l’inchiostro / le dita lasciano che la luce penetri / attraverso i bordi. / Il corpo / riprende forma. […] Inspira, espira / esposta oltre il margine / ristabilizza l’equilibrio. / Per un solo attimo ha inseguito / la sagoma (sinopia) dentro il profondo, / quegl’istanti / (che) sospendono il respiro” …

Oltre … “Nessuna parola è più necessaria.”



Gli autori.

Roberto Capuzzo, veronese, esercita la professione di avvocato. Fa parte del Gruppo laboratorio poetico “Poesia in corso” con il quale ha partecipato a numerosi eventi e spettacoli di poesia e musica. Suoi testi sono presenti in antologie e volumi collettivi. Nel 2003 ha pubblicato la sua prima plsquette, ed.Cierre Grafica, Verona con la prefazione di Luigi Meneghelli; è del 2005 la raccolta “Il silenzio, le cose”. Nel 2011 la raccolta “Atto di pensiero”, premessa di Gio Ferri, entrambe per la Collana di poesia contemporanea Via Heràkleia a cura di Flavio Ermini.

Carlo Guarienti, trevisano, è considerato uno dei più grandi artisti italiani del secondo Novecento. Nelle sue opere troviamo quello che la pittura metafisica aveva voluto rappresentare fin dai propri inizi, con la ricerca di De Chirico: una dimensione essenziale, di puro pensiero che viene a distillare e quindi a distanziare l’emotività, con una pittura puramente mentale. “Sparire … apparire” – riprende nel verso Vittorio Sgarbi all’opera di Carlo Guarienti – Il suo intervento indica che il tempo è più forte di noi; e che ci sfida a resistere, come le parole scritte su quei fogli, che hanno perso significato, e ci ricordano altre mani che non ci sono più.»






*

Etnomusica: lo Zen e il tiro con l’arco - la via del samurai

ETNOMUSICA XIII - Alle Radici del Sole: ‘Lo Zen e il tiro con l’Arco’ / ‘La Via del Samurai’ / ‘Il Cinema di Akira Kurosawa’ e altro.

“La Via del cielo è simile a un ‘Arco’: ciò che è in alto viene abbassato, ciò che è in basso viene innalzato, ciò che è in eccesso viene diminuito, ciò che è insufficiente viene aggiunto.” (1)

“Otoko-doka no / “All’alba danziamo
akegata / l’otoko-doka (la danza dei ragazzi)
mizuumaya nimo / il vino di oggi
arajina / non è cosa di tutti i giorni
wata wo / e passandoci
kazuki-watashite / il diadema di cotone
banzeiraku wo / cantiamo
Utaeri “ / la canzone dei Diecimila Anni”
(Yamada Kengyo) (2)

Diecimila Anni. È il Tempo in cui si contempla l’avvenuta ‘illuminazione’ del “Tao-Teh-Ching” (Libro del Tao), di Lao-Tzu (3), l’opera più bella e più profonda in lingua cinese, definito uno dei più importanti testi di tutta l’antichità, sintesi della saggezza, della profondità del pensiero e della visione del mondo di questa cultura millenaria che abbraccia l’Oriente intero. In Giappone l’insegnamento della scuola Chán/Zen, in cui viene tutt’oggi praticata la meditazione buddista, si è fuso con alcuni precetti ‘illuminati’ del Taoismo attraverso una forma di comunicazione alternativa, non basata sulle parole. Bensì, sulla forza di pensiero, interagente tra le scritture buddiste del maestro Bodhidharma (483 d.C.), monaco persiano giunto in Oriente per diffondere l’insegnamento della ricerca del Dharma, e i giovani discepoli appartenenti alla corrente del maestro indiano Prajñātāra.

“Il vero sentiero”. Storia Zen (4).
Subito prima che Ninakawa morisse, gli fece visita il maestro di Zen Ikkyu: «Devo farti da guida?», domandò il maestro. Ninakawa rispose: «Sono venuto qui da solo e da solo me ne vado. Che aiuto potresti darmi?». Ikkyu rispose: «Se credi veramente che vieni e che vai, questo è il tuo errore. Lascia che ti mostri il sentiero dove non si viene e non si va». Con queste parole Ikkyu aveva rivelato il sentiero con tanta chiarezza che Ninakawa sorrire e spirò.”

Alcune correnti di critica non individuano in Bodhidharma una persona realmente esistita, ma piuttosto la combinazione di varie figure reali esistite nel corso di più secoli, il cui insegnamento ha avuto grande influenza nella formazione di alcune regole religiose confluite nel Buddhismo Zen. Come, ad esempio, la dottrina del ‘vuoto’, la ‘vita monastica’, la ricerca del ‘dharma’ e la composizione di ‘scritture tripartite’ (in tre fasi distinte). Trasferito in Giappone da monaci missionari, il Buddhismo Zen diede origine a due principali scuole di pensiero, quella detta ‘Tendai’ poi confluita in quella ‘Rinzai’, e quella detta ‘Shōtō-shū’, operata dal monaco giapponese Eihei Dōgen nel 1227 in seguito ad un pellegrinaggio in Cina, ed oggi considerata la maggiore scuola Zen giapponese.

La scuola Shōtō-shū, anche detta Shōtō, incentra la pratica sulla meditazione seduta detta ‘zazen’, che deve essere totalmente silenziosa e senza oggetto (dunque senza alcun sostegno). In ciò, particolare attenzione è dato al rapporto maestro-allivo che permette la trasmissione ‘da mente a mente’ o ‘da cuore a cuore’, senza l’uso di parole, fondata su quei particolari sproni atti al raggiungimento della ‘illuminazione profonda’ o ‘satori’. Sinonimo di ‘comprensione interiore’, lampo di ‘improvvisa consapevolezza’ e di una personale ‘esperienza intuitiva’, riferita a un più profondo e permanente stadio di Illuminazione. Per questo motivo quello della scuola Shōtō è anche detto metodo ‘mokushō zen’: lo Zen del ‘risveglio silenzioso’.

“Imparare a stare zitti.” Storia Zen (5).
Gli allievi della scuola ‘Tendai’ solevano studiare meditazione anche prima che lo Zen entrasse in Giappone. Quattro di loro, che eano amici intimi, si ripromisero di osservare stette giorni di silenzio. Il primo giorno rimasero zitti tutti e quattro. La loro meditazione era cominciata sotto buoni auspici; ma quando scese la notte e le lampade a olio cominciarono a farsi fioche, uno di essi non riuscì a tenersi e ordinò a un servo: «regola quella lampada!»’. Il secondo allievo si stupì nel sentire parlare il primo: «Non dovremmo dire neanche una parola», osservò. «Siete due stupidi, perché avete parlato?», disse il terzo. «Io sono l’unico che non ha parlato», concluse il quarto.

Ecco quanto rientra negli insegnamenti della pratica Zen: “Non lottare eppure saper vincere, non parlare eppure saper rispondere; non chiamare eppure far sì che gli altri accorrano da soli; essere lenti, ma saper progettare. La rete del cielo è immensa, le sue maglie sono larghe ma nulla sfugge” (6). È anche detto che: “la diversità caratteristica tra lo Zen e tutte le altre dottrine religiose, filosofiche o mistiche, è il fatto che lo Zen non esce mai dalla vita quotidiana e che, nonostante tutta la gamma delle sue applicazioni pratiche e tutta la sua concretezza, ha in sé qualcosa che lo pone al di fuori della contaminazione e del tumulto del teatro del mondo” (7).

Va con sé che in una società di tradizione il corrispettivo dell’insegnamento trova comunque un adeguamento a una qualche formula ormai consolidata nella propria cultura. Tuttavia, nel momento in cui la quotidianità viene messa in gioco da profondi cambiamenti, subentra una consapevolezza maggiore dei valori del proprio passato individuale e comunitario, e nelle possibilità di apportare un ulteriore contributo per un futuro diverso. Al contrario, finirà per essere di totale chiusura verso l’esterno e verso l’altro che, nel caso del Giappone, dopo la sconfitta della guerra atomica che l’ha visto soccombere e la relativa chiusura al mondo esterno, ha potuto risollevarsi proprio facendo appello alla sua millenaria cultura e al proprio spirito di conservazione.

Nonché, come abbiamo avuto modo di vedere precedentemente, conquistando il globalizzato panorama contemporaneo con le sue arti uniche e originali: dall’estetica dell’arte, al teatro e alla musica; dalla letteratura alla poesia, all’arte dell’intrattenimento fino alle arti marziali, che oggi formano l’intero patrimonio della tradizione e della cultura giapponese. In questo procedere, infatti, troviamo spunti e temi che ci aiutano a comporre una trama innovativa formatasi su quella più antica profondamente radicata nella realtà, nelle visioni e nelle suggestioni degli artisti giapponesi odierni. Capaci di suggerire e re-interpretare il proprio popolo non solo attraverso il ‘vissuto’ della propria storia e nella comprensione di quella natura che lo circonda e che ancora oggi, lo emoziona; ma, ed anche, in quanto strumento di impegno sociale e politico, nel senso più nobile del termine, che dopo i disastrosi eventi bellici, sembrava aver smarrito.

“Ose ada naru / “Invano ci incontriamo
Omoigawa / nel fiume della Memoria
iwama ni yodumu / pensieri come erbe d’acqua
mizoguki no / impigliate fra le rocce
kakinagasu nimo / lottano per proseguire, inutilmente (?)
sode nurete / solo le mie maniche sono fradice
hosu hi mo itsu to / quando si asciugheranno (?)
Shiranami” / Non so”
(Anonimo XVII sec.)

Ma ecco che, con la sua pluralità di sguardi, di forme e di estetiche, il programma del Giappone post-moderno ci propone percorsi ed esperienze da vivere con entusiasmo e passione, partecipando a un rito collettivo che si ripete da millenni fedele alla propria identità, nel rinnovato incontro con il resto del mondo e, allo sguardo del futuro avveniristico che l’aspetta. Sul fronte musicale, dopo aver celebrato il noto compositore Toru Takemitsu (8), vanno citati inoltre quegli artisti che hanno dato nuovo impulso alla musica contemporanea, quali, solo per citarne alcuni: Yuji Takahashi, Hiroshi Wakasugi, Toshiro Mayuzumi, Ichiyanagi, Ryuichi Sakamoto. Musicisti questi, oltre che compositori e straordinari direttori d’orchestra, che si sono misurati con le diverse arti teatrale e cinematografica, così come nella danza e nella musica e nell’intrattenimento giapponesi, a ricordarci che il futuro dell’arte si evolve con tutti noi che ci approntiamo a conoscerla ed a valorizzarla, attraverso la ricerca di noi stessi.

“La Grande Strada (verso il nirvana), è senza ingresso,
ma ad essa portano migliaia di sentieri.
Una volta che ne individui la direzione
ci si incammina, soli, nell’Universo.”
(Wumen Huikai)

L’insegnamento del Buddhismo Zen si aggancia alla vacuità del passare del Tempo, indica il fine ultimo della vita, in cui ci si libera dal dolore, con riferimento al raggiungimento del ‘nirvana’. Una ‘stato’ questo che non può essere espresso con il linguaggio o con il pensiero razionale, bensì con la vera percezione del Sé e dell’Universo, che si ottiene con la raggiunta ‘Illuminazione’ attraverso l’esecuzione di un ‘mantra’. È questo un suono in grado di liberare la mente dai pensieri, nell’intendimento di ciò che può essere anche costituito da sole sillabe, parole o frasi ripetute ritualmente un certo numero di volte, al fine di ottenere un effetto di allontanamento mentale. Il più conosciuto è indubbiamente il mantra ‘OM’ usato durante la meditazione per raggiungere la graduale quanto necessaria concentrazione.

Al ‘mantra’ è affiancato il ‘sutra’, una breve frase, un aforisma in cui alcuni concetti filosofici vengono sintetizzati, ripresi per lo più dall’elaborazione di testi sacri che descrivono in modo succinto la metafisica, la cosmogonia, la condizione umana e i metodi per purificarsi e ottenere la propria beatitudine; per così raggiungere la meta della definitiva ‘Illuminazione’. Va qui ricordato che nello Zen: “La consapevolezza di qualsiasi gesto, di qualsiasi parola, di qualsiasi accadimento, è di per sé una forma di meditazione tendente ad acuire i sensi, fino a renderli partecipi del fluire dell’Universo. […] Le azioni diventano così opere della vera natura dell’uomo solo se egli è in grado di percepirla dentro di sé. La convinzione di essere nella condizione di poter svolgere un determinato compito porta al superamento di qualsiasi ostacolo” (9).

“Nell’arte il presente è eterno”
“L’arte dell’oggi è quella che davvero ci appartiene: è il riflesso di ciò che siamo”.
(Riflessioni tratte da “The Book of Tea” di Okakura Kazuzō op.cit.)

Ma non si pensi che tutto ciò possa essere raggiunto con la sola forza di volontà, ciò che viene richiesto è molto più profondo e faticoso, necessita perseveranza nella disciplina e il perseguimento di uno determinato ‘stile di vita’. Insegnamento che bene si apprende nella ‘Introduzione’ di Daisetz T. Suzuki al libro di Eugen Herrigel “Lo Zen e il tiro con l’arco” (10):

“Uno degli elementi essenziali nell’esercizio del tiro con l’arco e delle altre arti praticate in Giappone, è il fatto che esse non perseguono alcun fine pratico e neppure si propongono un piacere puramente estetico, ma rappresentano un tirocinio della coscienza e devono servire ad avvicinarla alla realtà ultima.” Questa, che può essere considerata una qualche contrapposizione con quanto da me espresso fin qui sull’estetica giapponese, in realtà avviene alla sua relativa affermazione; cioè al principio che l’estetica di per sé non è negativa o positiva, bensì è il frutto naturale di una cultura retrostante che ha plasmato quella che oggi possiamo definire nel suo insieme, ‘una inequivocabile sensibilità estetica’ del popolo giapponese che tutti gli riconosciamo.

“Così – prosegue D. T. Suzuki – il tiro con l’arco, o ‘kyudo’ (nella lingua giapponese), non viene esercitato soltanto per colpire il bersaglio, né la ‘katana’ (spada dei samurai) s’impugna per abbattere l’avversario; così come il danzatore non danza soltanto per eseguire certi movimenti ritmici del corpo ma, anzitutto, perché la coscienza si accordi armoniosamente all’inconscio”. Intendendo con ciò che per essere veramente maestra nel tiro con l’arco, la sola conoscenza tecnica non basta e che quindi va superata, così che l’appreso diventi un ‘arte inappresa’, che sorge dall’inconscio. A significare che nel ‘il tiro con l’arco’ il tiratore e il bersaglio non sono più due cose contrapposte, ma una sola realtà e che l’arciere non è più consapevole d’essere uno che ha da colpire il bersaglio davanti a lui; che la condizione di inconsapevolezza egli la raggiunge solo se perfettamente libero e distaccato da sé, se diviene tutt’uno con la perfezione della sua abilità tecnica. Una cosa questa, tutta diversa da ogni progresso che potrebbe esser raggiunto nell’arte del ‘tiro con l’arco’” (11).

“Ascoltiamo l’inesprimibile, ammiriamo l’invisibile”.
(Okakura Kazuzō)

A sua tempo, la musica giapponese si accordava in forma armonica con l’abilità tecnica raggiunta nella disciplina del ‘tiro con l’arco’, così come nella forma classica del ‘gagaku’ in cui la musica si uniformava alla struttura portante della composizione strumentale tramandata dalla tradizione. Sia con ciò che di volta in volta era gradito alla corte e che veniva rappresentato sulla scena teatrale; sia con il modo in cui l’artista accordava lo strumento secondo l’umore e il sentimento che lo ispirava. Ma è qui forse il caso di rammentare che il ‘gagaku’, la musica di corte tradizionale rimasta per lo più invariata nella sua forma originaria da almeno 1500 anni, è il risultato della fusione tra antiche musiche giapponesi e generi melodici di provenienza asiatica, oggi ancora eseguita come musica liturgica nei principali santuari shintoisti e templi buddisti. Della cui testimonianza si è avvalso un viaggiatore d’eccezione, Pierre Loti (12), che tra il 1885 e il 1901 si recò in Giappone e di immergersi nella sua cultura:

“Dall’interno del Tempio, di grande ampiezza, proviene una musica religiosa, dolce e lenta, interrotta di tanto in tanto, da uno spaventoso colpo sordo. […] Alcuni bonzi stanno salmodiando in un angolo, seduti in cerchio intorno a un tamburo da preghiera che potrebbe contenerli tutti. Cantano delle specie di strofe, incessatemente riprese sulla stessa aria malinconica; ognuna, prima di concludersi, si prolunga in una specie di agonia, trascxinandosi come un lungo sospiro, un sospiro tremante da moribondo, mentre le loro teste si abbassano sempre più verso terra; poi termina bruscamente, a un colpo del gigantesco tamburo. E allora le teste si rialzano e comincia la strofa seguente, del tutto identica e destinata a sua volta a finire nello stesso modo sorprendente”.

Al genere ‘gagaku’ è spesso affiancata la presentazione dell’arte del ‘budō’ cui è solitamente affidata una spettacolare dimostrazione delle arti marziali ‘aikidō’ (lotta difensiva) e ‘kenjutsu’ (arte del combattimento con la spada), assegnata a maestri di riconosciuta fama, come quelli formati dallo Shiseikan, il ‘dojo’ del Santuario Meiji, e che si prefigge di fortificare lo spirito e il corpo, considerando il primo non meno importante del secondo. Si dice che tale spiritualità trovi la sua origine in antiche credenze giapponesi profondamente legate allo shintoismo, quanto al buddismo, entrambi intrisi dello spirito altamente educativo che queste discipline hanno sviluppato nel corso dei secoli.

“Al magico tocco del ‘bello’ (estetico), gli accordi segreti del nostro essere vengono risvegliati … noi vibriamo e fremiamo in risposta al suo richiamo.”
(Okakura Kazuzō)

La possibilità di cogliere l’anima più profonda e autentica della cultura giapponese è straordinariamente assecondata nell’uso della musica da combattimento nelle arti marziali, che si vuole derivata da quella impiegata nelle parate militari e verosimilmente subordinata all’incitamento delle truppe in battaglia, con sovrabbondanza di trombe e tamburi. Inoltre usata nelle rappresentazioni del teatro ‘Kabuki’, in cui si utilizzano tamburi tradizionali ‘taiko’ e strumenti a fiato, quali il ‘ryuteki’ (tipo di flauto traverso) e lo ‘sho’ (strumento cilindrico con 17 canne di bambù di lunghezze diverse), per l’accompagnamento delle danze popolari. Come in questo passaggio narrativo tratto da “I mille ciliegi di Yoshitsune” (13):

“Dicendo che la danza vuol provare,
affretta del tamburo la cadenza.
Ecco la mischia dei Genji e degli Heike,
ecco le barche su strade terrestri,
ecco che i campi si mutano in acqua
e il tamburo dà il ritmo ai rematori.
Nuovamente quel suono lo rapisce […]
Col tamburo che lo incalza, ripetendo
‘La verità, dimmi la verità’.
Ma l’altro, prosternato, in silenzio rimane.
Alquanto il capo sollevando, poi,
per mano prende Hatsune-no-Tsutsumi.
Con gentilezza, con reverenza,
di Shizzuka Gozen lo spinge ai piedi”.

“Qui tocchiamo il rapporto esistente tra lo Zen e le altre arti come il ‘tiro con l’arco’, il ‘tirare di spada’, il ‘disporre i fiori’, la ‘cerimonia del tè’, la danza e le arti figurative. La “Via dello Zen” si esprime attraverso tutti questi ‘strumenti’, che sono importanti come forme della sua manifestazione” (14).

Nel caso specifico delle arti marziali, l’accompagnamento musicale utilizzato si fa risalire al 1867, allorché l’imperatore Meiji, volendo costruire una nazione aperta al resto del mondo, diede inizio alla modernizzazione del Giappone abolendo il vecchio regime feudale, senza però, mai dimenticare la sua cultura originale. Ciò detto, egli affermò la multidisciplinarietà degli eventi che sarebbero seguiti, e che abbracciano la musica, il teatro e la danza, incluse tutte le arti marziali presenti sul territorio. Un esplicito invito per il giovane popolo giapponese di allora, a riscoprire l’anima più profonda e autentica della propria cultura, attraverso l’eccellenza del ‘Noh’e del ‘Kabuki’ (teatro), del ‘gagaku’ (musica) e del ‘bushi-dō’ (arte marziale), profondamente intrise dello spirito e della storia millenaria del Sol Levante.

Fra le ‘arti marziali’ più accreditate troviamo il ‘bushi-dō’ 武道? (15), anche detto ‘budō’ in caratteri kyūjitai, che possiamo tradurre in ‘Via’, e "Via della guerra", oppure "Via che conduce alla pace". In sintesi, la ferma disciplina che si prefigge di fortificare lo spirito e il corpo, considerando il primo non meno importante del secondo. Una determinata forma di spiritualità che, secondo la tradizione, è profondamente legata alle arti marziali più antiche, trasmesse dalle generazioni precedenti, nel Giappone del VI secolo.

Il ‘budō’ trova infatti la sua applicazione spettacolare in due forme dimostrative: l’ ‘aikidō’ 合氣道, praticato sia a mani nude sia con le armi bianche tradizionali del ‘budō’, di cui principalmente ‘ken’, ‘jō’ e ‘tantō’ che danno il nome ai suoi praticanti, appunto chiamati ‘aikidoka’. L'altra forma è quella del ‘kenjutsu’, l’arte del combattimento con la spada, evolutasi dalle tecniche di combattimento con la ‘katana’ anticamente utilizzata dai Samurai nel ‘kenjutsu’ 剣術, con specifiche sequenze tecniche dette ‘kata’, e che prendono nomi diversi. A iniziare dal ‘laidō’ o ‘iaidō 居合道?, che previene il momento della ‘estrazione’ della spada dal fodero e il suo uso nel combattimento.

Il ‘jujutsu’ 柔術, anche detto ‘jūjitsu’, è invece l'arte marziale giapponese per eccellenza, il cui nome deriva da ‘jū’ (o ‘jiu’ secondo una traslitterazione più antica, che significa flessibile, cedevole o anche morbido); e ‘jutsu’ (arte, tecnica, pratica), praticato dai ‘bushi’, i guerrieri samurai che se ne servivano a mani nude o con armi da taglio, per giungere all'annientamento fisico,dei propri avversari, provocandone la morte.

Recita un antico verso ancora oggi ricordato: “Tra i fiori il ciliegio, tra gli uomini il guerriero”. 花は桜木人は武士 (hana wa sakuragi, hito wa bushi), ovvero: “Come il fiore del ciliegio è il migliore tra i fiori, così il guerriero è il migliore tra gli uomini”.

Il ‘kendō’, dal giapponese ‘ken’, spada, e ‘dō’, via, che invero indica la “Via della spada”, si è sviluppato in Giappone attorno al XV sec. nelle scuole di ‘kenjutsu’, sul codificato uso della ‘sciabola a due mani’ cosiddetta ‘katana’, ad oggi trasferito in tecnica di combattimento sportivo che adotta al posto della spada, lo ‘shinai’, un attrezzo formato da quattro stecche di bambù e provvisto di un puntale di pelle (kensen) a una estremità, mentre all'altra da un’impugnatura (tsuka), protetta da un'elsa rotonda (tsuba). I due estremi dell’asta sono uniti da una corda, detta ‘tsuru’, che rappresenta il dorso della spada. Infine, un legaccio di pelle tenuto a un quarto circa di distanza dal puntale, segnala all’attenzione la parte dell'attrezzo utilizzato per ‘tagliare’ (con riferimento alla spada vera). Lo ‘shinai’ ha lunghezza massima e peso minimo e varia secondo l'età e il sesso dei praticanti.

La tecnica del ‘kendō’, elaborata in un famoso libro di Yamaoka Tesshu (1836 -1888) dal titolo “La via della spada” (16), è oggi praticata soprattutto in Giappone e in Corea, dove viene insegnata ai ragazzi fin dalle prime classi della scuola dell'obbligo. La sua pratica si è comunque diffusa anche in Europa e negli Stati Uniti, dove è fatta richiesta agli insegnanti di mantenere inalterati gli antichi rituali del ‘kendō’, nel rispetto e nel riguardo sia della spada, sia dell'avversario. Yamaoka Tesshu, autore di questo famoso libro, è stato inoltre il fondatore della scuola di ‘Kendo - Itto Shoden Muto Ryu’, rimane in assoluto la figura di primo piano nella tecnica del ‘kendō’ moderno, il cui scopo precipuo è quello di assestare fendenti con la massima precisione per imprimere la direzione del colpo, seguendo direzioni verticali, diagonali od orizzontali.

Colpi di punta si possono portare solo alla gola dopo aver alzato lo ‘shinai’ fin sopra la testa con un'azione combinata di spalle, gomiti e polsi (caricamento), e dal caratteristico grido ‘kiai’ di incitamento allo spirito guerriero, pronti però a portarsi fuori misura con la tecnica di attacco e copertura nota come ‘zanshin’, per sfuggire alla reazione dell'avversario ed eventualmente proseguire l'azione offensiva. Come per altri sport derivati dalle arti marziali giapponesi, anche nel ‘kendō’ i praticanti sono distinti in allievi ‘kyu’ ed esperti ‘dan’, ma non recano nessun segno esteriore per indicare il loro livelli. Le formule di gara sono tre: eliminazione diretta, torneo di tipo olimpico e l' ‘aka to shir’, nel quale rimane in gara lo stesso atleta finché non viene battuto. È questa una sobrietà formale di rappresentare al meglio quelli che sono i valori tradizionali e la distintiva estetica dell’arte marziale, così come è praticata in Giappone.

“Le porte del paradiso”. Storia Zen (17).
Un soldato che si chiamava Nobushige andò dal maestro Hakuin e gli domandò: «C’è davvero un paradiso e un inferno?». «Sono un samurai» rispose il guerriero. «Tu un soldato!» rispose Hakuin. «Quale governante ti vorrebbe come sua guardia? Hai una faccia da accattone!». Nobushige montò così in collera che fece per snudare la spada, ma Hakuin continuiò: «Sicché hai una spada! Come niente la tua arma è troppo smussata per tagliarmi la testa». Mentre Nobushige snudava la spada, Hakuin osservò:«Qui si aprono le porte dell’inferno!». A queste parole il samurai, comprendendo l’insegnamento del maestro, rimise la spada nel fodero e fece un inchino. «Ora si aprono le porte del paradiso» disse Hakuin.

Le discipline marziali del ‘budō’ e del ‘kendō’ insieme alle altre elencate senza soffermarci sugli ideogrammi giapponesi ma solo sul loro significato intrinseco, trovano un’autentica affermazione nell’odierno ‘bushi-dō’, dove ‘bushi’ e ‘dō’, sono due elementi che si sovrappongono in quanto inscindibili. Il guerriero (bushi) è la persona, l’essere che vive e che attraverso l’esercizio delle previste ‘Virtù Etiche’ interpreta situazioni, circostanze contingenti e, di conseguenza attraverso questa sintesi, costruisce una relazione che porta alla realizzazione ultima dell’Illuminazione. Mentre il ‘dō’ è il luogo metafisico in cui questa verità di vita, esercita un ‘diritto naturale’ (in senso aristotelico), che è anche il luogo fisico del ‘percorso’ da afrontare, onde per cui il ‘sentiero’ che si ha davanti è al tempo stesso la traccia che ci lasciamo alle spalle: luogo in cui la giustizia non si esaurisce nella positività della legge umana, né nell’autodeterminazione assolutistica.

“La vita stessa perde di valore intrinseco, nel senso che se si è in tutte le cose si è immortali, nell’attimo in cui tutto si concentra. Così cambia anche il modo di vedere: i germogli non sono più ‘nel fiore della vita’ ma stanno tutti ‘morendo’. Ed è proprio in questa idealizzazione estetica della morte che si può riconoscere la vita in ogni respiro, in ogni tazza di tè e in ogni vita che togliamo: questa è ‘La via del guerriero’” (18).

Il ‘dō’ è quindi il luogo che richiama all’eternità ogni azione umana: il passato, il presente e il futuro, lo spazio tempo e l’infinito. Il tempo fisico in cui l’azione assume un valore lineare, una dimensione che indica un fine. Nel ‘dō’ c’è l’intenzione che l’essere ‘persona’ nutre nell’azione (agire), e che per la sua intelligenza è collocata in una posizione superiore alla temporalit. Infatti, essendo la ‘persona’ l’unico essere consapevole del passare del tempo, la cui peculiarità lo rende conscio del passato, ciò gli permette di anticipare, con previsioni, i tempi futuri con progetti e scelte. Per il Samurai è questo un fondante motivo per vivere da ‘bushi’, ovvero da guerriero, per il quale ‘l’unità interiore’ e il ‘pensiero non-discriminante’ sono considerate due condizioni determinanti il valore e il coraggio.

Alla pari, nel ‘bushi-dō’, la ricerca dell’ ‘uno’ nel ‘bushi-dō’ sussiste nell’amore donativo e nella dedizione verso l’ ‘altro’ o di un fermo ideale, nel modo in cui l’accesso alla catarsi individuale consente la rigenerazione del proprio ‘status’ di guerriero in una successiva esistenza. È questa una ‘religione’ dell’arte del vivere oggi la propria vita intensamente, dacché affrancato dai ceppi della materialità, il proprio spirito guerriero si libra al ritmo dell’essenza, nella meravigliosa insenzatezza delle cose. Cosicché, “nel tentativo di compiere qualcosa che crediamo posibile, scopriamo d’esserci affidati a quell’impossibile domani che chiamiamo vita: l’arte di suggerire a noi stessi, ciò che non osiamo rivelare” (19).

Molti sono i registi d’assalto nella cinematografica giapponese, ed altrettanti quelli occidentali che nelle loro pregevoli pellicole di storie ambientate in Giappone, hanno utilizzato, e continuano a farlo, musiche espressamente composte da musicisti giapponesi di altissimo livello e di dichiarata fama. Oltre al già citato Toru Takemitsu, altri come: Shinichiro Ikebe, Toshiro Mayuzumi, Joe Hisaishi, Yuchihiro Takahashi, Fumio Hayasaka, Masaru Sato, Takeshi Kitano, Keiichi Suzuki, sono tutti più o meno impegnati a evedenziare i momenti salienti delle ‘arti marziali’ che si disputano sui ‘set’ dei loro film, al suono dirompente delle percussioni dei tamburi ‘taiko’, dei ‘gong’, dei ‘battagli’ e delle ‘tubular bells’ dal suono di metallo lucente. Non di meno nell’utilizzo di musiche riprese dalla tradizione narrativa e canzoni popolari come, ad esempio, quella che segue, di anonimo autore giapponese:

“Dojoji” (20).
L’aria della città è addolcita dai ciliegi in fiore.
Chi vorrebbero vedere e con chi vorrebbero giacere
le ragazze che lavorano nella Casa del Tè di Shimabara?
Quanto è intrigante lo scenario che s’apre sul Fuji-yama,
montagna di neve,
e la neve come petali di fiori cadono
cadono nella tormenta.
Offrendo la vista del sole al mattino
la vista poetica del tempio di Ishiyama.
Viaggiando attraverso Matsuyama, fino
al monte Ohe.
L’amore è come le nuvole di un vulcano e la luna
sul monte Mikasa.

Sebbene non manchino significativi momenti di contrasto nell’utilizzo pressoché costante di sonorizzazioni di tipo naturale, come ad esempio: lo scorrere dell’acqua, il battere della pioggia, il nitrire e lo scalpiccio dei cavalli, il vento tra le foglie o gli schiamazzi della gente ecc.. In molte pellicole di genere epico-medievale, ad esempio, l’utilizzo della musica serve a ricreare, per così dire, l’atmosfera dell’epoca (new-age). Per quanto, infine, è il ‘leit-motiv’ (musica di ritorno) che, in certo qual modo, agisce nel film come entità a sé stante e in continua evoluzione. Degno di nota anche in ambito cinematografico è indubbiamente l’eclettico Ryūichi Sakamoto, musicista e compositore giapponese, considerato tra i pionieri del genere ‘fusion’, per la fusione appunto tra la musica etnica orientale e le sonorità elettroniche occidentali.

La sua vasta discografia (che include oltre settanta titoli) spazia in numerosi generi, quali: pop, musica elettronica, ambient, bossa nova, world music e musica neoclassica. Dapprima membro degli Yellow Magic Orchestra, gruppo seminale per la musica elettronica giapponese e il j-pop, Sakamoto ha successivamente inaugurato la carriera solista ed è diventato compositore di note ‘colonne sonore’ per il cinema, come: “Furyo” (1983) di Nagisa Oshima , “L'ultimo imperatore” (1987) e “Il tè nel deserto” (1990) entrambi di Bernardo Bertolucci che hanno ottenuto fama mondiale e premi prestigiosi. Nelle ‘colonne sonore’ di sua composizione, il sonoro segna drammaticamente l’immutabilità dello scorrere del tempo, lì dove il Tempo è spesso condizione statica d’immobilità che si perde nello sguardo riflessivo dei protagonisti.

È quanto accade anche con la musica di un altro compositore, Keiichi Suzuki, che in “Zatoichi” (21) film del 2003 del regista Takeshi Kitano, tratto da un racconto di Kan Shimozawa, in cui la ‘colonna sonora’ sottolinea acutamente la contestualizzazione storica proiettata nel film da una dimensione che sembra sospesa nel tempo cui continuamente allude e, i cui i protagonisti sono congelati nel rito di una narrazione epica, fatta di eroi pronti a morire. Non si tratta però di una banale ricaduta nel realismo della Storia, bensì di lasciare delle tracce, dei segni che permettono al protagonista ‘Zatoichi’ di fare della finzione, o meglio, della virtualità che lo costituisce (e che costituisce da sempre il cinema), un mezzo per attualizzare le immagini, proiettarle contemporaneamente dentro e fuori dal Tempo.

“Qui le tracce si moltiplicano. Ai margini (apparenti) della narrazione si collocano le danze che sono disseminate lungo tutto il film. Zatoichi, il ‘ronin’ cieco, attraversa lentamente un campo dove dei contadini stanno zappando la terra. I loro movimenti ritmici entrano immediatamente in armonia con la musica che accompagna la scena, sono parte integrante della colonna sonora, con la stessa intensità, con la stessa importanza. Il suono si fonde armonicamente pur proveniendo contemporanemente dal fuori campo e dall'interno della scena. Ancora una volta i due piani, due dimensioni dello spazio e del tempo si fondono, si intersecano pur mantenendo la loro autonomia. È lo spazio della finzione dunque ad emergere con tutta la sua forza, anzitutto con la caratterizzazione dei personaggi: Zatoichi (lo stesso Kitano) si muove con una spada nascosta dentro un fodero di bambù dipinto di rosso.” […]

Il colore brilla nel film come effetto di finzione; le ferite sanguinanti esplodono in irreali fiotti di colore rosso (ricreati grazie alla grafica computerizzata). Nello splendido finale tutta la costruzione filmica (dei corpi, dei colori, della narrazione, della danza e della musica) si sintetizza nel tip-tap del gruppo di ballerini giapponesi The Stripers, a cui si aggiungono tutti i protagonisti del film (tranne Kitano). Gli sguardi rivolti in macchina e i volti sorridenti alludono ad una dimensione ludica (e serissima) del cinema a cui Kitano sta ormai lavorando da tempo. Ma il film non finisce. Con un ultimo scarto, il regista attesta ancora una volta che ciò di cui si sta parlando, ciò che va mostrando è qualcosa che ci riguarda e ci riguarda ora: uccidendo l'ultimo dei cattivi, Zatoichi, che è cieco, apre gli occhi sorprendendo l'altro, che gli chiede: "Perché fai finta di essere cieco?", "Perché i ciechi sentono meglio". Un sentire come approccio ad un nuovo modo – avverte il regista – intendendo più attuale di fare e vedere cinema, modo che permette di penetrare più a fondo e più intensamente, perché, come è detto nell'ultima battuta del film: "anche con gli occhi aperti non riesco a vedere niente!".

Ma un altro film s’affaccia repentino alla memoria, “L’Impero dei Sensi” (22) del 1976, del regista Nagisa Oshima, basato su un fatto di cronaca che ha destato scalpore e scandalo in Giappone negli anni ’30, in cui la musica di Minoro Miki è co-protagonista sulla scena, cioè fatta oggetto del desiderio sessuale che consuma i due protagonisti: la passione fisica, il piacere sessuale, il gusto della trasgressione e la morte appaiono, come nella realtà sono, indissolubilmente legati. Dal punto di vista figurativo, le scelte registiche danno un carattere marcatamente erotico al film che, molti critici hanno tacciato di pornografia.

La scelta degli ambienti, che fanno pensare al teatro (o addirittura al Giappone feudale, se non fosse per i treni, le sigarette e i soldati in partenza per la Manciuria), i pochi personaggi, i colori, le musiche con buon uso di canti tradizionali, riescono ad esaltare l'aspetto drammatico della relazione più che l'aspetto strettamente sensuale. È vero che l'obiettivo della macchina da presa mette a fuoco ogni dettaglio della nudità dei corpi impegnati in rapporti in cui non c'è finzione cinematografica, ma è anche vero che la storia è incentrata sull'enorme potere che i sensi possono esercitare sulla vita di due persone, sino a prenderne il sopravvento.

Molti sono inoltre i registi cinematografici giapponesi (ma anche occidentali) che nelle loro opere più o meno famose, hanno per così dire, reso ‘visibili’ i principi dell’etica e dell’estetica applicate alle ‘arti marziali’ o riferite alla specifica figura del Samurai di letteraria memoria. Sono questi film che, in certo qual modo, hanno finito per accrescerne e la figura del Samurai all’interno di quell’alone mitico-favolistico che trova oggi la sua affermazione su più vasta scala globale, con migliaia di realizzazioni filmiche avveniristiche quanto tecnologiche tra le più avanzate: dai cartoons ai video-giochi, dal design all’arte figurativa, ai serial-tv che continuano a macerare consensi e riconoscimenti a livello internazionale. Malgrado contengano numerosi elementi magico-superstiziosi entrati nell’iconografia giapponese, come draghi e serpenti mostruosi, uccelli dai colori fantasmagorici e altri animali esotici; nonché gnomi e figure spaventose che tutt’oggi caratterizzano l’arte e il costume tradizionali. Come riporta ancora una volta Pierre Loti (23):

“Nei dintorni delle piccole frazioni, un po’ discosto dalle abitazioni, si può stare sicuri di incontrare un luogo consacrato agli spiriti, alle anime dei morti, all’impescrutabile, spaventoso aldilà. In un boschetto di alberi antichi, in qualche anfratto ombroso, duo e tre gnomi di granito siedono su scranni a forma di loto, oppure sorgono piccole nicchie di legno di carattere funerario, estremamente singolari e inquietanti”.

Per quanto tutto ciò sia un aspetto del costume giapponese che più desta meraviglia, sia per i suoi contrasti esagerati: sia perché, in qualche misura, rivela una sottile estraneità di questo popolo di fronte a un vivere misurato sull’essenzialità del quotidiano e, del concetto filosofico dell’apparente ‘silenzio’ che pervade la perfetta armonia del creato. Così come lo ritroviamo, per esempio, nelle sequenze intimistiche di certi film, in cui l’azione appare, per così dire, stereotipata all’interno di ambienti quasi asettici, pregni di ‘vuoto’, mentre in altre è subordinata al clangore delle faide e delle battaglie, con ridondanza di suoni e di colori.

Al riconoscimento della cinematografia mondiale si attesta la sfolgorante presenza del regista giapponese Akira Kurosawa (24), il quale, in particolar modo nei suoi primi lavori di stampo intimistico, e negli ultimi di più grande respiro evocativo, ha elaborato una sua peculiare quanto esclusiva visione narrativa, in cui la condizione umana e l’etica epico-storica della figura del ‘Samurai’ prende vita, offrendone una visione a tratti immediatamente riconoscibile per la sua orientalità o, viceversa, intimamente legata al mondo occidentale così ben conosciuto dal regista. Sperimentatore e acuto intellettuale nonché sceneggiatore, produttore e scrittore, Kurosawa è una delle personalità cinematografiche più significative del XX secolo che ha influenzato con la sua opera generazioni di registi in tutto il mondo e certamente tra i principali soggetti di studio e fonte di ispirazione.

Nondimeno si è imposto con lavori complessi, densi di parabole grottesche sulla stupidità della violenza, senza mai abbandonare il mito dei Samurai, visto come simbolo di virtù ed etica e penetrandone i significati più reconditi che appartengono al comportamento umano, nei suoi diversi aspetti di forza e fragilità, utilizzando il paradigma etico quale elemento essenziale per spiegare la verità nella vita dell’uomo che si realizza pienamente se diretta verso una morale di relazione personale e dono di sé. Nel 1945, sotto le bombe gira tra difficoltà di ogni genere il suo primo film di samurai “Gli uomini che camminano sulla coda della tigre”, una innocente rivisitazione in chiave parodistica di un celebre fatto d’armi medievale del XII secolo, ispirato a un celebre dramma del teatro Nō che celebra la storica beffa di Ataka.

È il suo primo film in costume, un film poverissimo dove mancavano perfino i cavalli nella Tokyo bombardata e la foresta è un parco pubblico della capitale, rappresenta un piccolo gioiello (dura solo 58 minuti) che anticipa gli altri film sulla stessa tematica: “Rashomon” (1950), “I Sette Samurai” (1954), “Il trono di sangue” conosciuto anche come “Il castello del ragno” (1957) , un ‘jidaigeki’ ispirato al ‘Macheth’ di Shakespeare; il grandioso “La foresta nascosta” (1958), “La sfida del Samurai” (1960) e il sequel “Tsubaki Sanjuro” (1962), ai quali si è ispirato Sergio Leone per realizzare il suo “Per un pugno di dollari”; lo spettacolare “Kaghemusha: L’ombra del Samurai” (1980), basato sulle lotte del XVI secolo per la conquista del potere a Kyoto, e “Run” (1985) il cui tema è ripreso da un’altra tragedia, ‘Re Lear’ di Shakespeare, in cui si rappresenta in termini realistici il contrasto fra la casta guerriera e la classe contadina nel Medioevo nipponico, film che molti critici considerano il massimo raggiungimento artistico della carriera di Akira Kurosawa.

Il regista così si è espresso in una celebre intervista rilasciata in occasione della Mostra a lui dedicata: “Non ho voluto fare dei film sociali. Quello che mi interessa è il dramma, sia esso interno o esterno di un uomo e di fare il ritratto di quest’uomo attraverso il dramma. […] Ovvero presentando la storia di un uomo nella sua realtà.” […] “Ai miei tempi si pensava che la più grande qualità dei giapponesi, per quanto riguardava l’arte in generale, fosse un certo tipo di sobrietà, di semplicità, l’assenza di qualsiasi artificio, insomma. Lo si pensa ancora oggi. Mi si rimprovera una certa ‘esagerazione, ma vi sono (nel cinema) alcune cose che devono essere ‘esagerate’. […] Tutto è soggetto a progresso. È questa cosa che fa la differenza nei miei film” (25).

La spettacolarità dei suoi ultimi film e la sua capacità di alternare toni lievi e grotteschi ad altri gravi e tragici, hanno contribuito alla creazione di un cinema epico e privo di retorica e dunque classico e innovativo allo stesso tempo. Seppure contestualizzando alcune riflessioni di argomento comune la principale lezione dei film di Kurosawa si attesta su una massima del ‘bushi-dō’ cui il Samurai afferma la propria disciplina: “di non combattere se non quando è davvero necessario e che il valore di un uomo si manifesta nella capacità di contenere il proprio istinto piuttosto che dall’abilità della lotta”. Ma chi erano in realtà i Samurai? Quale importanza hanno avuto nella storia politica e sociale del Giappone? Le loro idee, la loro etica, il loro stile di vita hanno influenzato fortemente il costume e la società giapponese. I Samurai infatti non adottarono il formalismo dei nobili di corte, ma tradussero nel loro codice etico, il ‘bushi-dō’, attraverso la cui disciplina la fedeltà personale al proprio superiore, si faceva esasperata al punto di poter morire in suo nome.

Nella ferrea disciplina del ‘bushi-dō’ e, in ossequio al ‘codice d'onore’ dei Samurai, rientra la ‘morte esemplare’ del protagonista di una pellicola del 1962, importante quanto sconvolgente, dal titolo “Harakiri” 切腹 , dall’originale “Seppuku?” (26). Un film diretto da Masaki Kobayashi, vincitore del Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes 1963. La complessa trama narra di Motome il quale, in ossequio al codice d'onore del samurai, era stato costretto a compiere un harakiri atroce e disonorevole con l'arma con cui si era presentato: una spada di bambù; il che gettava un'ombra sulle reali intenzioni del giovane guerriero. Emerge allora che egli conosce molto bene Chijiiwa. Ne aveva assunto la protezione alla morte per ‘seppuku’ del padre, suo grande amico, e poi, già durante l'esilio a Edo gli aveva dato in moglie la propria figlia Miho. Da loro era nato l'amato nipotino Kingo. Ma prima lei, poi il bambino, si erano ammalati, vittime della fame e degli stenti. A nulla erano valse le ricerche di lavoro di Motome, che era giunto sino a vendere la propria spada, "l'anima del samurai". Era vero che si era presentato al palazzo per denaro, ma solo per salvare moglie e figlio, che senza alcun sostegno qualche giorno dopo lo avevano seguito nella morte. E per questo, per restituirgli l'onore perduto, era giunto Hanshiro. […]

L'intendente della casa Iyi non è però disposto a mettere in discussione i vuoti riti formali su cui è costruito il "suo" ordine sociale. Non vacilla neppure quando Hanshiro svela completamente il suo gioco gettando ai suoi piedi i codini dei tre guerrieri che aveva richiesto come assistenti e che avevano tutti avuto un ruolo importante nel cruento harakiri di Motome. Il ronin descrive i duelli vinti coi tre e denuncia l'ipocrisia di un codice d'onore in ossequio al quale essi, per nascondere la propria vergogna, si rifiutano di uscire di casa, dandosi per ammalati. Il consigliere lancia contro di lui gli uomini della casa. Hanshiro si difende valorosamente. Uccide quattro avversari e ne ferisce altri otto, prima di profanare i resti imbalsamati del fondatore della casa Iyi e di darsi la morte. Ufficialmente, per salvare le apparenze, le vittime, cui vanno aggiunti i tre bugiardi cui l'intendente ha imposto di fare harakiri, risulteranno vittime di un'epidemia di influenza. L'onore e il buon nome della stirpe sono preservati.

A chi durante un’intervista gli chiedeva ragguagli sul suo film presentato a Cannes e premiato con il ‘Palmares’, il regista Masaki Kobayashi (27), ha rilasciato quanto segue: "Per me ‘Seppuku’ non è affatto un film sulla figura del Samurai. No, egli è un ‘gendai-jeki’, un soggetto direttamente contemporaneo. [...] In ogni epoca, nella nostra come in quella del XVII secolo in Giappone, la pacificazione violenta ad opera dello shogunato, ha provocato la caduta di molti signori della provincia e la conseguente creazione di un esercito di capi autoritari del tipo contro il quale lotta il nostro ‘rōnin’ (protagonista del film), un Samurai caduto in disgrazia, privo di impiego e costretto a muoversi verso le città. È quindi attraverso la storia antica che in esso si vuol parlare per arrivare alla storia contemporanea".

È quanto apprendiamo dalla recente tesi di laurea di Buccisan, alias Roberto Bucci, dal titolo: “Akira Kurosawa e l’Etica del Bushi-dō” (28), in cui non mancano riferimenti alla ‘estetizzazione della morte nel bushi-dō’, sul tema del ‘seppuku’ e all’esaltazione della famiglia come istituzione al centro della vita, mettendo in evidenza la relazione tra le virtù familiari e le virtù del guerriero, per una ‘comune etica’ nel rapporto tra individuo e collettività. Tuttavia non come si pensa debba essere allorché la riferiamo a un Samurai nel momento in cui questi si avvicina al luogo in cui compiere onorevolmente ‘seppuku’, ovvero l’estremo gesto ‘hara-kiri’. Ciò nonostante una ricerca sull’etica va avviata attraverso quelle che sono le nozioni chiave, come il ‘uchi’ (dentro), ‘soto’ (fuori), ‘tanin’ (l’altro), ‘giri’ (dovere) e ‘ninjo’ (sentimenti), da quali si rileva l’affiorare di forme di pensiero e comportamenti tipici dello spirito del Giappone, nel conflitto costante tra forme e modelli della tradizione e quelli più tardivi, affermatisi attraverso l’influenza dell’Occidente.

“Chiamato volgarmente ‘hara-kiri’, era il modo più onorevole che il Samurai sceglieva per morire e per diventare la dimostrazione finale del coraggio che aveva caratterizzato tutta la sua vita. Veniva inoltre considerato manifestazione di padronanza assoluta del proprio destino ed era un privilegio riservato soltanto a lui. In Giappone il ventre, ‘hara’, è ritenuto la parte centrale dell’uomo, sede delle emozioni, della volontà, il centro dell’essere fisico e spirituale, per cui compiere ‘hara-kiri’ significava uccidere totalmente l’essere ch’era in sé”. […]

“Non si conoscono le origini di questo particolarissimo tipo di suicidio comunemente detto ‘hara-kiri’, ma sappiamo che veniva usato dai Samurai in occasioni diverse: in caso di sconfitta, per evitare di cadere nelle mani nemiche, per seguire la morte del proprio signore, per contestare una decisione del superiore. La scelta di questo tipo di morte particolarmente atroce è senza dubbio da mettere in relazione con l’atteggiamento che il Samurai aveva maturato nella vita. Il ‘seppuku’ era infatti la dimostrazione di un coraggio inusitato sempre pronto a sacrificare la propria vita che diventava quindi una continua preparazione alla morte, in cui il Samurai dimostrava la più alta padronanza del suo destino, verso il quale dimostrava la più alta padronanza del suo destino. Ad esso infatti si preparava sin da giovane a una fine improvvisa e sicuramente violenta, e per aiutarlo a superare la paura della morte veniva addestrato a considerarsi un uomo la cui vita non gli apparteneva. Il suicidio quindi era contemplato nel codice del Samurai onde evitare il disonore in battaglia. A questo proposito si hanno vari resoconti negli annali di suicidi di massa prima di essere catturati dal nemico” (29).

Come scrive lo storico del cinema Donald Richie in “The Films of Akira Kurosawa”: “La scelta di una tale sofferenza fu senza dubbio relata al fatto che era obbligatorio per i samurai mostrare il proprio coraggio e determinazione nell’affrontare una prova che la gente comune non poteva sopportare. Il ‘seppuku’ è senz’altro uno degli aspetti più sconcertanti del codice dei guerrieri Samurai, ma se considerato parte integrante del loro comportamento, ha una sua logica. Del ‘bushi-dō’ infatti si dice che la ‘via del guerriero’ significa morte, per cui il Samurai penserà alla morte ogni mattina come ogni sera. In questo modo sarà sempre preparato a essa, derivata verosimilmente dall’impegno della disciplina Zen in cui la vita e la morte sono messe sullo stesso piano, per cui: “la morte esiste in quanto c’è la vita”, nel modo in cui l’atteggiamento giapponese si pone in modo positivo verso entrambe, come consequenziali l’una all’altra” (30).

Il ‘seppuku’, iniziò probabilmente come un atto di autoannientamento sul campo di battaglia, compiuto per non essere catturato dal nemico, in seguito diventò una vera e propria cerimonia in cui il samurai dimostrava la più alta padronanza del suo destino, ed era sempre pronto a sacrificare la propria vita che diventava quindi una continua preparazione alla morte. Secondo l’etica del ‘bushi-dō’ che infatti non concede a un Samurai distrazione alcuna dal fine che si è proposto e per il raggiungimento del quale deve sfruttare ogni propria risorsa:

“Gli orgogliosi sono effimeri come il sogno di una notte di primavera e i forti saranno spazzati via come polvere dal vento”.

In questi versi ripresi dal grande poema epico giapponese dal titolo “Heikè Monogatari” di autore anonimo del XIV secolo, tratto da storie trasmesse oralmente e cantate con accompagnamento del liuto ‘biwa’, si racchiude la morale epica dei Samurai, espressa nel “Hagakure. Il Codice del Samurai” (31), redatto da Yamamoto Tsunetomo nel XVII secolo in seguito ritualizzato, in cui sono codificate le regole estremamente complicate del ‘seppuku’: “Era necessaria la presenza di un assistente e di testimoni per evidenziare la natura sociale, non individuale di questa cerimonia. Le ferite che il samurai si praticava facevano conservare la padronanza della propria mente e fu per evitare una lunga agonia che venne introdotto l’assistente, che in pratica divenne con il tempo il carnefice ufficiale in quanto molte volte tagliava la testa al suo compagno ancor prima che praticasse il ‘seppuku’. Quando le circostanze lo permettevano, il suicidio era preceduto da un bagno purificatore e da un banchetto offerto agli amici durante il quale il Samurai mostrava serenità e controllo. Si ritiravano poi in una stanza accompagnato dal suo amico più fidato che aveva il compito di decapitarlo onde evitargli un’atroce e lenta agonia.

Avveniva così che il Samurai si inginocchiasse, seduto sui talloni, su un cuscino bianco; posto a un metro di distanza si inginocchiava il ‘kaishakunin’, l’amico. Il Samurai introduceva il suo pugnale o la spada corta poco sotto la cintura sul lato sinistro del ventre, poi si tagliava lentamente procedendo verso destra e se gli rimanevano le forze continuava verso l’alto. I servitori seppellivano o bruciavano il corpo e consegnavano le ceneri alla famiglia”. […] “In tutte le case dei samurai in giardino venivano messe lapidi anche se il corpo non c’era. Il più noto caso di ‘seppuku’ collettivo è quello detto dei “ Quarantasette Rōnin”, celebrato anche nel dramma di Takeda Izumo “Chushingura” (1748) , mentre il più recente è quello dello scrittore Yukio Mishima, consumato nel 1970 in diretta TV . In quest'ultimo caso il ‘kaishakunin’ Masakatsu Morita, in preda all'emozione, sbagliò ripetutamente il colpo di grazia e pertanto dovette intervenire Hiroyasu Koga, che decapitò lo scrittore. Con il nome di ‘Jigai’ il ‘seppuku’ nella tradizione della casta dei Samurai, era previsto, anche per le donne; in questo caso il taglio non avveniva al ventre bensì alla gola dopo essersi legate i piedi per non assumere posizioni scomposte durante l'agonia” (32).

Ma tralasciamo questa pagina dal triste epilogo per restare sbalorditi dalla ricchezza dei toni, dei registri narrativi, dall’incontenibile energia che si sprigiona dalle immagini, stilizzate ai limiti dell’astrazione, dei film di Akira Kurosawa , affidate alla penna del critico Max Tessier (33): “Kurosawa fa certamente parte di quel gruppo di registi in grado di conferire alle immagini dei propri film una tensione visiva e una forza dinamica che finiscono col ricordarci che una delle essenze del cinema è e rimane quella del movimento: il cinema come (e)motion picture. Nel cinema di Kurosawa, infatti, l’emozione nasce non solo dalla storia narrata ma anche dal modo in cui il regista riesce a permeare questa storia di tensioni, conflitti e contrasti, in un generale dinamismo dialettico che fa sì che in ogni momento dei suoi film, anche quelli apparentemente più distesi, la tensione narrativa non venga mai meno. Il dinamismo insito nel cinema di Kurosawa è indubbiamente una delle più evidenti caratteristiche del regista giapponese che molti hanno interpretato come un ennesimo segno delle influenze del cinema occidentale”.

L’ultimo livello su cui Kurosawa costruisce la tensione dinamica dei suoi film è quello più propriamente narrativo. Anche qui da una parte siamo di fronte a una continuità spezzata e a un intrigante gioco di variazioni e dall’altra alla pratica della costruzione di movimenti di contrasto tra toni e sentimenti dominanti un determinato segmento. La violenza dell’ambiente del cinema di Kurosawa è definita – ancora da Max Tessier (34) come “l’espressione simbolica di un mondo violento e degradante da cui gli eroi di Kurosawa devono uscire per accedere a una condizione superiore dove deve regnare, se non la perfezione, almeno una certa coscienza morale”. Sono queste virtù, insieme “all’unità interiore e il pensiero non-discriminante”; considerate invero condizioni del valore e del coraggio del Samurai, come appunto le ritroviamo nel libro “Hagakure”, che significa ‘all’ombra delle foglie’.

Nel ‘bushi-dō’, alla pari, la ricerca dell’uno può esistere solo nell’amore donativo:
“Queste due differenti, ma fondamentali entità rendono quel medesimo movimento fisico di dare l’offerta una azione morale (virtù) o un esercizio del proprio ego (viziato). Comunque l’azione intenzionale richiede intelligenza, volontà e conversazione interiore, interessi di fine esistenziale che costituiscono il motivo principale dello stesso agire. La dimensione in cui la tecnica del ‘bushi-dō’ diviene esperienza e unicità di vita, l’intenzione si concretizza mediante l’azione libera e la volontà. Anche quest’ultima per essere determinante e non fallimentare si realizza nell’autodominio, ossia nella conoscenza e nel possesso di sé” (35).

“Il grande guerriero Nobunaga” (36). Storia Zen.
Il grande guerriero giapponese Nobunaga voleva attaccare il nemico, anche se il suo esercito era solo un decimo di quello avversario. I suoi soldati erano dubbiosi. Perciò durante la marcia si fermò presso di un tempio shintoista, pregò e una volta uscito, disse ai suoi soldati: «Ora getterò una moneta in aria. Se uscirà testa vinceremo, se uscirà croce perderemo». Uscì testa e i soldati (rassicurati) si batterono con tanto ardore e convinzione che vinsero. Dopo la battaglia Nobunaha disse al suo aiutante: «Nessuno può cambiare il destino!». Poi, gli mostrò la moneta che aveva testa su entrambe le facce.

È anche detto che: “la legge naturale, che promuove l’azione morale è scritta nel cuore dell’uomo ma a volte per fragilità l’uomo non riesce ad attuarla”. Infatti è nel carattere valoriale dell’amore umano che avviene la ‘guerra dei bushi’; al contrario, quando la regola positiva o la scelta autodeterminante umana è contraria e prevale su quella naturale, ècco che il ‘guerriero’ che è in lui si allontana dalla sua dignità antropologica perdendo di vista il motivo della propria esistenza. Se è vero che “nell’essenza tutti gli esseri umani sono identici e che siamo tutti parte di uno; allora siamo uno”. L’amore dovrebbe essere essenzialmente un atto di volontà, di decisione di unire la propria vita a quella di un’altra persona. “Nell’amore erotico per essere nella verità dell’amore richiede una condizione “che io ami dall’essenza del mio essere, e senta l’altra persona nell’essenza del suo essere”.

Il Samurai era legato anima e corpo al suo signore (daimyo) e a chiunque decidesse di proteggere, ma soprattutto, al legame forte e saldo verso i genitori quasi quanto quello che aveva verso la ‘via’ che aveva scelto. La fedeltà del Samurai non si fermava a questo. Nonostante lo spezzettamento feudale i guerrieri, i samurai e gli altri, conservavano nei riguardi dei loro capi forti sentimenti di lealtà e di fedeltà, ed il rispetto delle istituzioni e della legalità. Come scrive Joun des Longrais (37), i Samurai pensavano, al di sopra di tutto, che il loro primo dovere fosse militare. Il guerriero deve, per l’onore della sua famiglia e della sua casta, per non essere disprezzato dai suoi, fare il suo dovere di guerriero. L’intera sua vita era influenzata da questo principio e dal sentimento profondo ed essenzialmente buddhistico, della transitorietà di tutte le cose.

“Di ciò che sempre non è / ora vedremo i portenti; di ciò che sempre è, ora vedremo i confini”.
(Lao-Tzu)

“L’ Etica del “bushi-dō” (38), che letteralmente significa la via (do) del guerriero (bushi), si intende una serie di codici etici, spirituali e comportamentali elaborati nel corso dell’epoca Togukawa (1600-1886) quando, attraverso quasi tre secoli di isolamento dal resto del mondo, il Giappone visse un lungo periodo di pace e prosperità nel fiorire delle classi dei mercanti; ma, soprattutto, assistette al profondo modificarsi della vita dei Samurai. Periodo in cui essi persero gradualmente le loro qualità di ‘uomini di spada’ per trasformarsi in funzionari del regime dello Shogun e in intellettuali, e l’austera classe militare sostituire al potere, la raffinata aristocrazia della corte imperiale. I suoi spartani modelli di comportamento che trovavano nello Zen, nella sua immediatezza e semplicità, una più efficacia filosofia di vita, si rifugiarono in malinconici sentimenti di rassegnazione che non gli impedivano affatto di godere la vita quando ne avevano l’opportunità, di gozzovigliare e di celebrare nell’euforia il successo, i guadagni e le venali ricompense.

Come pure ha scritto Scott Wilson: “Senza più guerre, il Samurai si ritrovò sotto un certo aspetto privo di un reale impiego e gli ideali spartani per così a lungo tempo associati alla sua classe vennero a perdere il loro senso d’immediatezza” (39).

Si vuole che il testo del ‘codice etico’ sia stato dettato da Yamamoto Tsunetomo a un giovane Samurai nel corso di sette anni fra il 1710 e il 1716 e che all’inizio venne fatto circolare segretamente tra i samurai e che solo nel 1906 sia stato stampato e reso pubblico. Il ‘bushi-dō’, di cui il libro dà una visione idealizzata, non comporta solo uno spirito marziale e la necessità di essere abili nell’uso della spada, ma anche l’assoluta lealtà al proprio padrone, un forte senso dell’onore personale e di casato, la devozione al dovere, il senso della modestia, il sapere stare in disparte, la capacità di sacrificarsi, il totale controllo di sé, il coraggio di rinunciare, se necessario, alla propria vita in battaglia o col suicidio, nonché il coltivare nobili ed elevati sentimenti spirituali. Una delle doti più importanti del samurai doveva essere il giusto equilibrio tra azione e riflessione. Si legge nell’ “Hagakure. Il Codice del Samurai” (40), che: “I Samurai vivono due tipi di vita, quella privata e quella pubblica; vivono nelle loro case in un modo e nel campo di battaglia in un altro, ma è un vero soldato soltanto chi vive sempre come se fosse su un campo di battaglia”.

Se il termine ‘bushi-dō’ sembra essere piuttosto moderno, i valori e le norme a cui si ispira fanno parte sia del più profondo patrimonio del Giappone, che di altre componenti quali elementi taoisti, confuciani, buddisti, militari. Allo scintoismo si devono elementi quali lo spirito fiero e bellicoso degli antenati, l’attaccamento al clan e alla stirpe, il senso sacro della spada, il simbolo del fiore di ciliegio che verrà adottato da tutti i samurai. Dal confucianesimo i Samurai apprendono invece l’integerrima lealtà verso i superiori; dal buddismo tecniche e spiritualità che rivestono di dignità le arti marziali. La formazione del samurai ideale fu comunque il risultato di varie componenti, religiose, filosofiche e sociali che interagiscono determinandone le regole comportamentali. Sarà infatti il buddismo Zen a rendere lo spirito del Samurai forte come la sua spada; per il guerriero che aveva innata la semplicità scintoista non fu difficile assimilare le dottrine essenziali dello Zen che avrebbero contributo al raggiungimento dell’autocontrollo e dell’impassibilità di fronte alle proprie emozioni, la perfezione dello spirito, l’utilizzo non soltanto della mente ma di tutto l’essere.

Ed è qui che trova il suo senso la scelta del Samurai nell’epoca Sengoku, quel XVI secolo dilaniato da guerre civili fra i vari signori feudali che porterà all’unificazione del paese e poi alla grande pace dell’epoca Tokugawa. L’era Sengoku vide diffondersi massicciamente la figura del ‘ronin’, il Samurai senza padrone che, essendo stato parte di un esercito sconfitto, si trova senza lavoro, costretto a vagabondare lungo il paese, nella speranza di trovare un nuovo signore che lo possa prendere a servizio. E a partire da questa condizione che il Samurai rischia la sua vita per aiutare altruisticamente e senza nessun vantaggio le classi più umili; è la disperazione dei tempi a permettere ad essi l’agire al di fuori delle codificate relazioni feudali e del loro mondo prestabilito.

“Il Samurai che ha appreso fino in fondo l’essenza del ‘bushido’ è come “nascosto dietro una foglia”: la modestia, l’umiltà, il silenzio, la riservatezza, la capacità di stare in disparte sono infatti tutte caratteristiche essenziali all’agire e all’essere di un autentico samurai. Ancora una volta l’ ‘Hagakure’ si rivela una fonte piena di indicazioni a riguardo: “comportati sempre con quella riservatezza che si addice al primo incontro”, dove il senso del dovere prevede che, qualora gli venga ordinato di attingere acqua e cuocere il riso per un suo pari in più gravi faccende impegnato, egli non solo non prenda la cosa in malo modo, ma esegua tale umile lavoro con grande energia e devozione. Per quanto un Samurai non si separi mai dalla sua spada, simbolo supremo della sua dignità e del suo onore; l’etica del ‘bushi-dō’ previene a questo compito al solo scopo di preservare la sua integrità fisica. È un perenne monito ‘per l’uomo che governa gli altri uomini’ e che cerca, in tal modo, di seguire la ‘Via della Vita’. Pertanto, addestrarsi nell’uso della spada è un modo per avanzare verso l’illuminazione morale e spirituale dell’individuo.” […]

“Ed è così che il Samurai si incontra con lo Zen; che la spada, in quanto espressione della propria anima, è qualcosa da cui non ci si deve separare e che non va utilizzata se non quando è assolutamente inevitabile”. Sono questi alcuni insegnamenti imprescindibili del ‘bushi-dō’ che un Samurai deve tenere sempre presenti Come pure: “dimenticarsi di chi e cosa ti circonda, l’assumere atteggiamenti che a una persona normale sembrano di una agghiacciante freddezza; liberarsi dalle passioni; mantenere la mente serena e imperturbabile prima della battaglia, vanno presi come simboli ideali di questa ‘arte’. Nella tradizione Zen questo è il principio del ‘mushin’, letteralmente traducibile con assenza (mu) di anima o sentimenti (shin). Nel buddismo tale espressione designa chi è libero dai desideri e dagli attaccamenti mondani, per esempio chi è ‘Illuminato’. Il ‘mushin’ è frutto di un lungo processo di esercitazione fisica e spirituale che deve liberare la mente dal corpo e da ciò che la circonda, la mente non deve essere disturbata da nessun tipo di affetto, deve fluire senza fermarsi su nulla. Quando essa è raggiunta un uomo diventa un uomo Zen e un perfetto ‘uomo di spada’” (41).

“Tempo di morire” (42). Storia Zen.
Ikkyu, il maestro di Zen, era molto intelligente anche da bambino. Il suo insegnante aveva una preziosa tazza da tè, un oggetto antico e raro. Sfortunatamente Ikkyu ruppe questa tazza e ne fu molto imbarazzato. Sentendo arrivare i passi dell’insegnante, nascose i cocci della tazza dietro la schiena. «Questo è naturale» spiegò il vecchio. «Ogni cosa deve morire e deve vivere per il tempo che le è destinato».

Ed è così che: “al giungere della fine, ricordi a lungo dimenticati tornano a farci visita con un significato del tutto nuovo. / Speranze soffocate dalla paura , desideri che non osiamo riconoscere si mostrano in tutta la loro gloria. / La nostra mente è la tela su cui gli artisti stendono i loro colori, i loropigmenti sono le nostre emozioni, il loro chiaroscuro la luc della gioia e l’ombra della tristezza. Il capolavoro è parte di noi, come noi siamo parte del capolavoro. / Deve però sempre contenere la bellezza assoluta. / Nel frattempo, prendiamoci un sorso di tè. Lo splendore del pomeriggio fa scintillare i bambù, le fontane zampillano di piacere, lo stormire dei pini risuona nella teiera”.
(Massime di Okakura Kazukō) (43).





Bibliografia essenziale:

Michael Hardwick, “Discovery of Japan” – The Hamlyn Publishing Group – London 1969.
Martin Palmer, “Il Taoismo. Conoscenza e Immortalità” – Xenia 1993.
Lao-Tzu, “Il Libro del Tao” – Newton Compton Editori 1995.
Alan W. Watts, “La Via dello Zen” – Felrinelli 1960
AA.VV. “Sentieri di Luce – Storie Zen” – Edizioni del Baldo 2009.
Okakura Kazuzō, “Lo Zen e la Via del Tè” – Lindau 2018.
Sun-Tzu, “L’arte della Guerra” – Mondadori 2003.
Miyamoto Musashi, “Il Libro dei Cinque Anelli”, Edizioni Mediterranee 1984.
Yamaoka Tesshu, “The Swordsman’s Handbook” – Universe 2002.
Yukio Mishima, “La via del samurai” – Bompiani, 2000.
Yukio Mishima “Lezioni spirituali per giovani samurai” – Feltrinelli, 2003.
I.Nitobe, “Bushidō” -Sannō-kay, 1980.
M.Polia, ‘L’etica del Bushidō’ - Il cerchio, 1997.
T. D. Roshi, “Zen e arti marziali” - Il cerchio1990
AA.VV. “Encicloperia del Cinema” – Treccani alla voce ‘Kurosawa Akira’, http://www.treccani.it .

Note:

1) Daisetz T. Suzuchi, Introduzione a “Lo Zen e il tiro con l’arco” – Adelphi, 1985.

2) Yamada-Kengyo, “Prima canzone dell’anno”, in “Koto Kumiuta”, Ciclo di canzoni di maestri giapponesi del XVII – XVIII sec. – Albatros, 1979.

3) Lao-Tzu, “Tao-Teh-Cing”, in “Il Libro del Tao” – Newton Compton Editori, 2013.

4) 5) Nyogen Senzaki – Paul Reps, “101 Storie Zen” – Adelpi, 1973.

6) 7) Lao-Tzu, “Il Libro del Tao”, op.cit.

8) James Siddons “Toru Takemitsu: A Bio-bibliography” Greenwood Publishing Group, 2001.
9) 10) 11) Daisetz T. Suzuchi, Introduzione a “Lo Zen e il tiro con l’arco”, op.cit.

12) Pierre Loti, “Alla Sacra Montagna di Nikkō” – Lindau 2018.

13) T. Izumo, M. Shoraku, N. Senryu Ichikaa Ennosuke, “I mille ciliegi di Yoshitsune” – atto III, in “Teatro Kabuki” - CRT 1985.

14) Alan W. Watts, “La Via dello Zen” – Feltrinelli 1971.

15) Junzo Sasamori – Gordon Warner, “Kendo. La Via della Spada” – Edizioni Mediterranee 1994.

16) Nyogen Senzaki – Paul Reps, “101 Storie Zen”, op.cit.

17) Yukio Mishima, “La Via del Samurai” – Nuovo Portico Bompiani, 1983.

18) Japanese Kabuki Nagauta Music, “Dojoji”– Albatros 1979

19) in Wikipedia, l'enciclopedia libera: “Zatoichi”, un film diretto da Takeshi Kitano, Leone d’Argento alla Mostra del Cinema di Venezia, 2003. Japan Academy Award per la migliore ‘colonna sonora’ a Keijchi Suzuchi, 2004.

20) in Wikipedia, l'enciclopedia libera. “L’Impero dei Sensi”, un film diretto da Nagisa Oshima, regista e sceneggiatore giapponese. Sperimentatore e precursore di novità espressive, diverse sue realizzazioni destarono scandalo sia a livello nazionale che internazionale per il loro aspetto politico, oppure trasgressivo. Vincitore del Premio Speciale al Festival di Chicago nel 1976.

21) Pierre Loti, “Alla Sacra Montagna di Nikkō”, Lindau 2018

22) “Rassegna di film di Akira Kurosawa” – Istituto Giapponese di Cultura – The Japan Foundation – Roma, Feb./ Mag. 1980 .

23) “Intervista con Akira Kurosawa”, in Cahiers du Cinema n.182 – Istituto Giapponese di Cultura – The Japan Foundation – Roma, 1980.

24) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. “Harakiri” (切腹 Seppuku?) un film del 1962 diretto da Masaki Kobayashi, vincitore del Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes 1963.

25) Intervista a Masaki Kobayashi , da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

26) 27) Buccisan, alias Roberto Bucci, Tesi di Laurea: “Akira Kurosawa e l’Etica del Bushi-dō” – Università degli Studi di Teramo, 2018.

28) Donald Richie, “The Films of Akira Kurosawa”, University of California Press, Berkeley 1965.

29) 30) Yamamoto Tsuretomo, in “Il Codice del Samurai” – una delle opere letterarie più significative tramandateci dal Giappone, pubblicata nel 1906 benché sia stata composta due secoli prima. Wikipedia Enciclopedia libera.
31) 32) Max Tessier, giornalista e critico cinematografico francese, ha scritto, fra l'altro, per “La Revue du Cinéma” e “Positif”, è autore di numerosi volumi sul cinema giapponese: “Images du cinéma japonais”, “Storia del cinema giapponese”.

33) Buccisan, alias Roberto Bucci, Tesi di Laurea “Akira Kurosawa e l’Etica del Bushi-dō”, op.cit.

34) Nyogen Senzaki – Paul Reps, “101 Storie Zen”, op.cit.

35) Jan des Longrais, scrittore francese, “La condition de la femme au Japon au XIIe et au XIIIe siècles d'après le Iwashimizu Monogatari”, Recueils de la Société Jean Bodin.
36) Mario Polia, “L’Etica del Bushi-dō”, Edizioni Il Cerchio, 1980.

37) W. Scott Wilson, “Hagakure, Il libro dei samurai”, Tokyo Press, 1979,

38) Yamamoto Tsuretomo, in “Hagakure. Il Codice Segreto del Samurai” – Einaudi, 2001.

39) Buccisan, alias Roberto Bucci, Tesi di Laurea “Akira Kurosawa e l’Etica del Bushi-dō”, op.cit.

40) Yamamoto Tsuretomo, in “Hagakure. Il Codice Segreto del Samurai”, op.cit.

41) Nyogen Senzaki – Paul Reps, “101 Storie Zen” –op.cit.

42) Okakura Kazuzō, “Meditazioni sul Tè” - Lindau2018.








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Quaderni di Etno: il linguaggio musicale del Giappone

QUADERNI DI ETNOMUSICOLOGIA XIV – seconda parte
Il linguaggio segreto della tradizione musicale del Giappone. (1)

Secondo Zeami, maestro incontrastato del dramma ‘Noh’, la parola indica la bellezza che si cela nello scatenarsi incontrollato della passione. Solo la ‘bellezza’ è infatti capace di ‘trattenere l’uomo là dove l’orrore e lo sgomento lo farebbero fuggire’, ed è questo uno dei segreti del Noh, l’espressione più completa dell’estetica tradizionale giapponese. Autori celebri quali Artaud e Beckett, Grotowski e Brook vi hanno ravvisato l’unità fondamentale tra parola e gesto che la drammaturgia del nostro secolo persegue. Gian Carlo Calza (2), nel libro “Il fiore del dèmone”, rintraccia nel Noh una via per la conoscenza di sé, per il recupero degli archetipi che la psiche occidentale ha smarrito, dilaniata com’è da infinite scissioni tra spirito e materia, mente e corpo, sentimenti e intelletto.

“Ama-no hara / “La luna che vedo
furisake mireba / nel deserto del cielo
Kasuga naru / può essere la stessa luna
Mikasa no yama ni / che saliva sulla collina Mikasa
ideshi tsuki kamo”. / del mio paese Kasuga?”
(Abe no Nakamaro)

In “Alcuni nobili drammi del Giappone” che Ezra Pound (3) ha redatti e scelti dai manoscritti tradotti da Ernest Fenellosa, apprendiamo, che “L’Europa è molto vecchia e ha visto sfilare molte arti, ha imparato a conoscere i frutti di ogni fiore, e il sapore di ogni frutto. Ora è tempo di copiare l’Oriente e di vivere risoluti. […] Poesia, rituale, musica e danza, associati all’azione, richiedono che i gesti, costumi, mimica, scenografia, aiutino ad avvicinarsi alle profondità della mente, a ciò che è più umano e più delicato nell’incontenibile spirito che ci appartiene.”
Siamo nel 1961, allorché W. B. Yeats (4), nella sua ‘Introduzione’ al testo (sopra citato), riguardo al Noh scrive: “La parola «nô» significa «perfezionamento» - degli attori e di alcune persone colte che capiscono le allusioni mitologiche e letterarie e le antiche liriche citate nei discorsi o nel coro, la loro disciplina – fa parte dell’ammaestramento. Gli attori stessi, al contrario dei disprezzati attori del teatro popolare, hanno tramandato con orgoglio un’arte elaborata, di padre in figlio e ancor oggi un attore renderà noto il suo albero genealogico per provare il proprio talento.”

“Yamakawa ni / “Sul fiume fra le montagne,
kaze no kaketaru / la chiusa costruita dal vento
shigarami wa / è di foglie rosse cadute
nagare mo aenu / che non riuscendo a scorrere
momiji nakikeri”. / insieme si radunano”.
(Arumici no Tsuraki)

Anche noi lettori, per così dire, volontariamente ‘radunati’, comprendiamo la lezione (forse un po’ snob?) di Yeats per l’arte aulica del Noh e, sebbene con spirito rinnovato, possiamo dire che il ‘teatro popolare’ di ogni popolo, incluso quello giapponese, ha una sua valenza affatto sconsiderata. Soprattutto se consideriamo il fatto che Kimitake Hiraoka, noto con lo pseudonimo di Yukio Mishima (5), uno dei più famosi scrittori giapponesi degli ultimi tempi, ha sentito la necessità di rinnovare l’antica tradizione teatrale; riscrivendo in chiave moderna alcuni dei più famosi Noh facendosene al tempo stesso brillante interprete, per quanto il Noh sia una forma di teatro ben lungi dall’esaurirsi nel suo difficile rituale.
Con “Cinque Noh moderni”, rievocati nell’accessibilità drammaturgica contemporanea, Mishima ne ha conservata tutta la ‘drammaticità’ contenuta dei testi più antichi. Un’operazione che oggi definiremmo di ‘restyling’ di drammi più antichi, ripresi dalla tradizione verosimilmente orale e rappresentati per la prima volta negli anni ’50 del Novecento. Nessuno meglio di Mishima avrebbe potuto resuscitare l’antica fama della tradizione e riallacciare con rinnovata sagacia l’interrotto dialogo con il passato e con la raffinata arte drammatica giapponese.

Allo stesso modo che Lafcadio Hearn (6), conosciuto anche come Koizumi Yakumo, giornalista e scrittore irlandese naturalizzato giapponese nel 1904, famoso per i suoi scritti sull’Oriente, in “Kwaidan: storie di spettri giapponesi”, invero ha cristallizzato un Giappone immobile, nel sorriso ineffabile dei suoi dèi, con i propri enigmi, e le proprie usanze e costumi. Un paese ‘saturo della più strana magia’, con tutto quanto concerne le sue fatalistiche e immaginarie storie di spettri e di fate. “Da un punto di vista artistico – egli scrive – questo paese è un immenso museo; da un punto di vista sociale e naturale, un vero regno di esseri magici dotati della più squisita gentilezza, […] qualcosa di infinitamente tenero , commovente, ingenuo, bello”.
Il Giappone che vi compare descritto non è l’antica Cipango, né un paese sulla soglia di radicali trasformazioni: è semmai una metafora dell’eterna memoria collettiva, il mitico Reame di Horai, la cui atmosfera è capace di riplasmare le nozioni spazio-temporali e travalicare i limiti della memoria individuale, di duplicare l’esistenza, di fondare il primato del paradosso. Le storie che danno forma al suo libro sono per lo più volte a complicare i paradigmi dell’arte stessa di ‘narrare storie’, a immettersi nell’incoerenza propria dei sogni, a imbastire come in un gioco continue e ironiche simulazioni.

“Okuyama ni / “È triste la stagione dell’autunno
momiji fumiwake / quando si cammina cercando sentieri
naku shika no / fra le foglie rosse cadute
koe kiku toki zo / e si sente la voce del pianto dei cervi
aki wa kanashiki”. / nelle montagne profonde.”
(Sarumaru Taifu)

È scritto che: “Le azioni dell’uomo diventano opere della sua vera natura solo se egli è in grado di percepirla dentro di sé. La convinzione di essere nella condizione di poter svolgere un determinato compito porta al superamento di qualsiasi ostacolo” (8). Nulla di meglio di così utile a questa ricerca per tornare a parlare di musica, e nel modo migliore. Riprendendo dal lontano passato narrativo del Giappone, uno dei romanzi (monogatari) più fantastici, la: “Storia di Genji il principe splendente” di Murasaki Shikibu (7), scritta da una donna. L’opera, conosciuta fin dall’XI secolo, viene definita come “una delle maggiori saghe dell’umanità, tra i massimi capolavori della letteratura mondiale”.
Si tratta di uno dei più delicati racconti d’amore di tutti i tempi, sbocciato da una civiltà raffinata e coltissima sviluppatasi in Giappone intorno all’anno 1000, eppure vicinissimo alla moderna sensibilità. Conteso tra ‘Le mille e una notte’, ‘La Recherche’ di Proust e l’opera di Shakespeare, la ‘Storia di Genji’ narra delle fortune e delle avventure di questo ‘principe splendente’, e della sua favorita, gli intrighi amorosi, le passioni, le sfarzose ceronie, i giochi e le cacce della corte imperiale. Scritto secondo l’arte della grande poesia. La lirica poetica s’avvale qui di una scrittura musicale costruita sulle corrispondenze dei ricordi, in cui il riferimento magico ad alcuni strumenti gioca un suo ruolo importante, come ad esempio nel capitolo IX intitolato “Il flauto”:

“[…] Gli fu data una cetra, ch’egli riconobbe per quella di Kashiwagi. Dopo averne tratto alcuni accordi, disse alla madre Ochiba: - Conosco il timbro di questo strumento, è quello che usava Kashiwagi, o mi sbaglio? Come vorrei che vostra figlia ce la suonasse un poco. Si dice che il tocco di un defunto indugi sugli strumenti ch’egli ha suonato, e vi si possa riconoscere anche dopo la sua scomparsa. – Temo che in questo caso non sarà così, - rispose la madre, - perché dopo la sua morte le corde sono state tolte e sostituite con queste nuove. Negli ultimi tempi, Ochiba ha suonato molto poco e anzi, mi spiace dirlo, rischia di dimenticare tutto quanto le ha insegnato suo padre,[…] e insistette affinché la cetra rimanesse appaggiata accanto alla sedia di lei. […] Si era fatto asssai tardi, egli si preparava ad andarsene . proprio quando era sul punto di uscire, la madre gli porse un flauto - Apparteneva da anni alla famiglia di Kashiwagi, - disse; ma non serve che rimanga ozioso in questa casa deserta. Lui aveva l’abitudine di suonarlo mentre sedeva in carrozza, e la sua musica si mescolava coi gridi degli staffieri. Vorrei sentirlo suonare ancora così, anche se da altri.
In un altro passo, è detto: “Yugiri ne trasse alcune volate, ma poi subito smise. […] Ancorché siano immutate le note che il flauto emette, foro per foro, che altro possono evocarne queste dita, se non la soffocata voce del pianto? – […] Quindi cavò dalla tasca il flauto, e ne trasse alcune note. Potesse, come il vento fra le canne, soffiare dove vorrei, allora la voce di questo flauto andrebbe tra le dita di un giusto erede. [… ] Domandò, e per dimostrare il proprio interesse, prese a spargere manciate di riso e a recitare formule di protezione: tutte cose che, se erano di ben poco aiuto,servivano almeno a scacciare da lui il turbamento di quel sogno”.

“Asaji-fu no / “Come mai pensa il mio cuore
ono no shino hara / così intensamente alla persona amata
shinoburedo / pur provando ad opprimere
amarite nadoka / e di nascondere il mio amore
hito no hoishiki”. / da non poter più resistere?”
(Sangi Hitoshi)

Ma un altro libro si sporge sfacciatamente dalla scaffale della mia libreria: “I racconti di Ise” (8), scritti in buona parte e secondo la tradizione da un poeta di corte di discendenza imperiale, Ariwara no Narihira (8) attorno al 850-880, definito ‘un romanzo fatto di poesie’, e forse non c’è definizione migliore per delineare i contorni di un’opera che, comparsa anonima tra la fine del IX e l’inizio dell’ XI secolo, rappresenta un momento di estrema importanza per la letteratura giapponese, segnando la fine dell’asservimento della lingua cinese e la creazione di una letteratura autoctona. La narrazione è un susseguirsi di episodi amorosi e di romantiche avventure ambientate sia nella nitida bellezza del paesaggio nipponico, sia nella geografia fantastica delle leggende e del soprannaturale: “..una sorta di canzoniere d’amore dunque, ma che molto di più, il manifesto di un nuovo codice estetico corrispondente alle esigenze di una giovane nobiltà che prende coscienza della propria indipendenza dal peso culturale e che ha il fascino di ‘un fiore morente, il cui colore è svanito ma la cui fragranza rimane inalterata.”

I tre ‘haiku’ (9) meravigliosi qui di seguito trascritti, sono contenuti nei diversi scritti da Aiware no Narihira, in forma di ‘intermezzi’ del testo narrativo:

“Kasuga no no “Oh, campi di Kasuga
wakamurasaki no delle cui giovani erbe
surigoromo quest’abito è tinto!
shinobu no midare Limiti non conosce
kagiri shirarezu” l’intrico del mio cuore”.

“Oki mo sezu “La notte è finita
ne mo sede yoru o senza poter né vegliare
akashite wa né dormire.
haru no mono tote Il giorno trascorso con il pensiero vagante
nagamekurashitsu nelle lunghe pioggie di primavera”

“Shiratama ka “Ella mi chiese
nani zo to hito no se erano perle
toishi toki o cosa fossero.
Tsuyu to kotaete Oh, se rispondendo ‘Sono gocce di rugiada’,
kienamashi mono o” anch’io fossi svanito!”

Per giungere fino ai nostri giorni, anche se datati, appartengono alla letteratura alcuni romanzi di famosi scrittori contemporanei, come Yasunari Kawabata (10) Premio Nobel per la letteratura nel 1968. Uno dei maggiori scrittori del Giappone. Ha pubblicato il suo capolavoro, “Il paese delle nevi” (1937) e, successivamente, “Il suono della montagna” (1949), “La casa delle belle addormentate” (1961), romanzi questi, in cui si fa spesso riferimento alla musica, nell’atmosfera onirica di ‘stanzi’ in cui i suoni e i rumori sono ovattati e lontani.
Mentre si deve a Banana Yoshimoto (11), la riproposizione in chiave narrativa di “L'abito di piume”, dall’originale romanzo "Hagoromo" (ricordate?), qui trasformato in un particolare tipo di kimono leggerissimo, con dei lunghi nastri indossato dalle ‘tennyo’, sorta di donne-angelo, che serviva per volare tra il mondo terreno e l'aldilà. È il quindicesimo romanzo della scrittrice giapponese pubblicato nel 2003.

Riprendiamo dunque il discorso avviato in questa ricerca muovendoci sulle note della musica, con “Alle radici del sole” che nel lontano 1983 il Centro di Ricerca per il Teatro (12) nell’ambito dei programmi di Milano Estate, in collaborazione con Japan Foundation, EEA – Extra European Arts Committee e le edizioni ERI-RAI, che produsse l’ampio catalogo della rassegna dedicato alla musica e alla danza col sottotitolo “Forme e figure della scena giapponese”. Come anche affermato da Sisto Dalla Palma in “Della scena, dei segni, dei sensi” l’articolo che squarcia il velo misterioso sull’arte del Giappone:
“La quotidianità è il regno dello spirito giapponese. Su questa quotidianità vi è un contagio continuo di alta levatura artistica che spazia dalle convenzioni ai processi di elaborazione stilistica. Il quotidiano giapponese è quanto di più formalizzato ci sia nelle trame della comunicazione umana e tutto tende a inscriversi in una pratica rituale costante. Anche il teatro, dunque, come tecnica dello spirito e forma dello spirito, perché solo sulla scena questa idea così astratta raggiunge il massimo della concretezza. Da questo punto di vista la scena (non solo teatrale) giapponese è il luogo dove il senso ultimo delle cose si rivela non oltrepassandole od occultandole nella loro significazione prima, ma spingendo questa significazione agli estremi limiti delle sue possibilità.”

Ciò che vale anche per tutte le altre arti che rientrano nell’ambito del teatro, come appunto la musica, sia quella utilizzata per l’accompagnamento negli spettacoli; sia quella cosiddetta ‘classica’ utilizzata per l’intrattenimento delle corti, o per il semplice piacere dell’ascolto privato. Tant’è che la musica in giappone progredì di pari passo con il teatro, nell’uso degli strumenti tipici, come il ‘samisen’ (una sorta di balalaika) suonato con il plettro d’avorio, divenuto lo strumento tipico per l’accompagnamento delle ballate nel teatro delle marionette ‘Jôruri’, oggi detto ‘Bunraku’ (13), la cui diffusione più acclarata avvenne nei quartieri di divertimento di Yedo, e portata alla perfezione dell’arte nella rappresentazione dei drammi storici o legati all’intimità, alte circa la metà di un uomo, cui accudiscono almeno tre operatori altamente specializzati, lavorando all’unisono con abilità incredibile, da far dimenticare d’essere soltanto delle marionette.
I drammi rappresentati sono spessi stati scritti appositamente per esse dai maggiori commediografi giapponesi, e spesso adottati nel ‘Kabuki’, derivato sia dal ‘Bunkaro’ che dal ‘Noh’. Di fatto il Kabuki comprende sia drammi che forme di danza popolare che balletti mimati, insistendo soprattutto sulla bellezza del colore e delle figurazioni che vengono ritmate da un piccolo complesso musicale formato da un ‘koto’un’arpa orizzontale con tredici corde, per lo più impiegata nelle cerimonie di corte, e di cui abbiamo avuto occasione di parlare; uno ‘shakuhachi’, un sottile flauo di bambù, un tempo usato dai sacerdoti vaganti e solo successivamente entrato a far parte della scena teatrale, utilizzato d’accompagnamento nelle parti idilliache e nei soliloqui amorosi.

“Kare-eda ni “Un corvo solo
Kare asu no tomari keri su un ramo senza foglie
aki no kure” . vigila d’autunno”.
(Basho)

Sembra incredibile come nella musica tradizionale giapponese, ricolma di tante sottigliezze sonore, sia più importante il ritmo della melodia, benché all’ascolto questa superi di gran lunga l’effetto orecchiabile nel contesto dei suoni, sempre così molteplici, oppure talmente esclusivi, per dire puri, tali da condizionare l’ascolto. Fra gli altri strumenti tradizionali il ‘biwa’, una sorta di mandola a quattro corde che si suona con le dita, occupa un posto tutto suo come solista nella musica d’intrattenimento; lo ‘sho’, una sorta di zufolo pastorale, usato nelle feste e nelle scene campestri; mentre per la parte riservata al ‘ritmo’ vero e prorio esistono diversi tipi di tamburi ‘taiko’ percossi da bacchette ‘bachi’, oltre a vari tipi di gong e tubular bells. Uno spettacolo particolarmente apprezzato è offerto dai “Tamburi ‘Kodo’ dell’Isola di Sado” (*) impegnati in a-solo in diverse tournée nei teatri europei.
Attestato al Kabuki è anche “Yoshitsune Senbonzakura” ovvero “I mille ciliegi di Yoshitsune” di Takeda Izumo, Miyoshi Shoraku, Namiri Senryu (14), portato in scena dalla Compagnia di Teatro Kabuki di Ichikawa Ennosuke III, al teatro Lirico di Milano in occasione della rassegna ‘Milano Aperta’ nel 1985, con il patrocinio della Japan Foundation e il CRT Centro di Ricerca per il Teatro – Milano. Dal cui ‘catalogo’ apprendiamo quanto segue:

“Una parte importante nella popolarità del Kabuki è sostenuta dai suoi attori, che hanno un largo seguito di appassionati ammiratori e sono tenuti in grande considerazione nel mondo teatrale giapponese, per la loro capacità di recitazione totale. Il Kabuki è infatti sostanzialmente un teatro d’attore, in cui le funzioni di regista, direttore artistico, capocomico e coreografo ngono svolte tutte dal primo attore, cosiddetto ‘Kabuki-haiyû’, costituiscono una speciale categoria professionale, la cui arte è tramandata di generazione in generazione secondo il tradizionale sistema di insegnamento personale diretto dal maestro ad allievo. […] La carriera di un attore inizia in genere all’età di sei anni, il giorno sei del sesto mese dell’anno. Gli elementi basilari della sua formazione sono costituiti da musica, danza e recitazione. Soltanto chi riesce a padroneggiare perfettamente tutti e tre gli elementi costiotutivi del Kabuki viene riconosciuto come attore e può arrivare ad occupare un posto centrale nel mondo dello spettacolo” (15).
Ma veniamo allo spettacolo. Il dramma storico “I mille ciliegi di Yoshitsune” ripreso dall’epopea medievale, è di un genere classico di straordinaria raffinatezza, rappresentato per la prima volta nel 1747, ancora oggi una delle opere più amate e popolari del repertorio Kabuki: la ricchezza dei costumi, i movimenti di massa, gli innumerevoli colpi di scena, ne fanno una delle messinscene più spettacolari di questa elaboratissuima forma di teatro:

“Minamoto-no Yoshitsune è l’eroe giapponese per eccellenza: sulla sua vita avventurosa, sulla sua rivalità con il fratello maggiore Yoritomo, sulle sue vittorie e soprattutto sulle sue sconfitte la tradizione ha intrecciato una sconfinata serie di leggende, offrendo alla letteratura e al teatro un ricchissimo materiale narrativo. […] La leggenda ha amplificato le diversità di carattere dei due fratelli, facendone i due poli di una contrapposizione drammatica: Yoshitsune è gentile, generoso e audace quanto Yoritomo è subdolo, cauto e machiavellico. […] Allorché tra i personaggi che accompagnano il dolente eroe, costretto a fuggire dopo alcune controversie per il potere con il fratello, compare una romantica figura di donna Shizuka Gozen, presentata come la più bella donna del Giappone e la più esperta nell’arte della danza, capace di ammaliare la stessa natura oltre che gli uomini. È l’amante prediletta, la compagna fedele, tenera e appassionata di Yoshitzune che la porta con sé nella fuga, trasferendosi in incognito in Mongolia, dove inizierà una nuova vita con il nome di gengis Khan” (16).
Elemento importante di questa rappresentazione è il ‘taiko’ un tamburo celeste dal suono magico; legiamno insieme un passo molto significativo ripreso dall’atto III, scena 1, di questa bella leggenda:
“Nella terra di Yamato, al tempo in cui Kammu regnò, mai non cadea la pioggia. Viveva là già da mill’anni, unita una coppia di volpi. Prese e uccise, con le loro pelli si costruì un tamburo. Di faccia al sole, la Dea della pioggia fu con questo chiamata. Il suono del tamburo è suono d’onda, come la volpe, animale sfuggente, è la signora dell’oscurità. Fu quello il primo suono che s’udì, e lo strumento n’ebbe perciò nome Hatsune-no-Tsutsumi: il tamburo del suono primordiale. Questo strumento è mio padre e mia madre, io di questo tamburo sono figlio” (17).


“Mikaki mori / “Come il fuoco che accendono
eji no taku hi no / i guardiani notturni della Corte Imperiale
yo wa moete / la notte s’accende d’amore il mio cuore
hiru wa ktetsutsu / e di giorno si spegne dal dolore
mono o koso omoe.” / come si spegne il fuoco alla porta del Palazzo
(Onakatomi Yoshinobu)

La musica e gli effetti sonori che accompagnano la rappresentazione: (16)

“Il suono di due tavolette di legno di quercia ‘ki o hyôshigi’ simbolo del Kabuki, avverte gli spettatori dell’inizio della rappresentazione: invito alla concentrazione e segnale di confine tra il mondo reale e il mondo del teatro. La sequenza ritmica inizia con un battito che si intensifica progressivamente fino ad un’acme segnata da due tocchi secchi, seguita da una pausa e quindi da un decrescere del suono, che, all’apertura del sipario, termina con un singolo colpo isolato. Suono che viene ripetuto in senso inverso alla fine dello spettacolo. Un suono più grave di quello dei ‘ki’ è prodotto da altre due tavolette di legno battute su una apposita tavola di legno: sono gli ‘tsuke’, elemento ritmico di fondamentale importanza”.
Negli spazi intermedi subentra la musica eseguita dall’orchestra ‘geza’,il cui ruolo, è quello di rafforzare l’azione con un accompagnamento in carattere con l’atmosfera emotiva della scena; la quale inoltre, produce gli effetti sonori che nel Kabuki spstituiscono le suggestioni prodotte in altri tipi di teatro dai giochi di luce. Un tipico esempio del simbolismo sonoro del Kabuki è il suono della neve che cade: non si tratta certo della riproduzione di un suono reale, perché la neve cadendo non produce rumore, ma è piuttosto un’idea di suono, che accresce la suggestione della scena; viene ottenuta con il grande tamburo ‘o-daiko’, capace di produrre una vasta gamma di toni. Nel repertorio più realistico, non mancano gli effetti di rumori naturali: vento, pioggia, canto degli uccelli e degli insetti che vengono però riprodotti non dall’orcherstra ‘geza’, ma da appositi rumoristi che si servono di diversi strumenti e apparecchiature sonore”:

“Yoru no ame ni / “Cede la voce
Koe o yazurite / alla pioggia notturna
Yu-kaze o / il vento della sera
Yo zo ni natatsuru / è celebre nel mondo
Karasaki no matsu”. / il pino di Karasaki”.
(Hiroshige)

Il volto dell’attuale Teatro Kabuki si delinea nel 1970 quando, in occasione dell’ Expo di Osaka conobbe una spettacolare esplosione di modernità sulla scena dell’Osaka Festival Theatre della prima presentazione pubblica di “The Man fron the East” (*), un’opera rivoluzionaria con la quale il giovane autore Stomu Yamash'ta, creatore insieme ad altri del Red Buddha Theatre, con il quale venivano infranti i sacri canoni del teatro Noh e della musica classica Gagaku, entrambi convogliati nell’espressiva arroganza della Rock-music, a sostegno di espressioni più comunicative dello statico spettacolo tradizionale.
Con ciò, il Giappone spalancava definitivamente le porte della tradizione infrangendo la sua riservatezza, rivelando all’Occidente attonito le meraviglie della sua cultura millenaria, nel tentativo riuscito di rendere popolare la sua esperienza musicale e teatrale, così poco valorizzata in ambito internazionale, aprendosi a una nuova esperienza conoscitiva che aspettava di essere ‘vissuta ex-novo’ dalle future generazioni, allo scopo di raggiungere un equilibrio costruttivo tra il vecchio mondo dei pochi ‘cultori nazionali’ e la nascente ‘free-generation’ giapponese.
Ma fu “The Man fron the East” del compositore Stomu Yamash’ta, a portare sulla scena quell’esplosione di forze, che altrimenti sarrebbero rimaste inespresse, e creavano un effetto d’insieme illusionistico: “quasi sospeso al di sopra di un’orizzonte d’acqua”. Eppure così realmente ‘vissuto’ da far saltare in aria tutti i canoni fissati dalla passata cultura, nello spriginarsi infuocato di un vulcano in piena attività, e il rumoreggiare del mare di Hokusai, l’onda magnifica che sovrasta tutto e tutti.

“Yo o komete / “Seppure tutta la notte
tori no sorane wa / con il falso canto del gallo
hakaru tomo / tenti di imbrogliarmi
yo ni Osaka no / non te lo permetterò
seki wa yurusaji”. / alla porta di Osaka”.
(Sei-shonagon)

Ma è questa anche l’immagine che si evince sulla scena di Stomu Yamash’ta, figlio d’arte, suo padre è stato direttore d’orchestra della Philarmonic di Kyoto, egli stesso compositore, ideatore e virtuoso percussionista, nonché mimo e attore nello spettacolo, allorché giunse in Europa per la prima volta all’European Festiva di Avignone e successivamente in tournée a Roma e Milano che gli conferirono un successo strepitoso. Tutta l’antica bellezza ancestrale e un’arcaica maestà di silenzi e di spazi musicali innovativi fanno di “The Man from the East”, un’opera prima senza precedenti nell’ambito del ‘musical’ nostrano inglese e statunitense, proponendosi come la vera novità del momento in una spettacolare esplosione di modernità.
I toni talvolta aspri e violenti, la forza sprigionata nelle danze circensi, i fantasmagorici colori dei costumi, la forza espressionistica delle maschere stupendamente orrende, la genialità del gesto ripreso dalle percussioni che Stomu agita fino all’inverosimile, gli effetti fumistici e luminosi, i fuochi accesi, si scontrano sulla scena con il rumoreggiare del mare ora calmo e disteso, ora agitato e sprezzante, che “il sole levatosi nel cielo, disegna e illumina di tanti arcobaleni”.
È facile immaginare che lo spettacolo offerto dalla compagnia del Red Buddha (*) è il frutto di una stretta disciplina e di una passione incontrastata per il teatro che viene di lontano, e non solo in senso geografico del termine: “al pari di una fiamma vivificata dai colori e dalle trame di un’esperienza maturata sul campo”. Mi chiedo dove ancora ho visto, o creduto di vedere in un volto, quell’impassibile imperiosa certezza di un uomo quale Stomu Yamash’ta, ricordo, ha assunto durante tutto il tempo dello spettacolo e nel finale della sua prorompente dimostrazione alle percussioni, così racchiuso in una forza che non era fisica, ma interiore. Muovendosi col corpo come sospeso in un fluido che sfiora appena il tatami e disegna nell’aria linee avvolgenti, spirali, ellissi, plasticamente perfette.

“Hitodama de / “Anima senza corpo
yuku kisanji ya / va libera
natsu no hara”. / nel campo d’estate”.
(Zen Hokusai Manji)

Il movimento scenico studiato in un susseguirsi di eventi è dato dagli ‘uké’ dello stesso Stomu proiettati in aria, mentre egli sembra restare immobile davanti al ‘tamburo celeste’ nel respingere ogni attacco di forza esterna (infernale), inesorabilmente. Mentre la Compagnia da dimostrazione delle proprie capacità individuali e coreutiche nella danza rituale, un misto di arti marziali e movenze da combattimento, che si svolge secondo un ritmo sacrale, prestabilito in un tempo al di là del nostre tempo.
Sul finire, il silenzio invade la sala come per un possibile tangibile pericolo in cui noi spettatori ci sentiamo prigionieri nel mistico cerchio dell’incantesimo, fin quando, la magia nascosta della nostra illusione evapora nel suono di un a-solo per violino che la grazia ‘poetica’ di Hisako Yamash’ta, co-autrice, compositrice ed esecutrice di alcuni brani per orchestra contenuti nello spettacolo, lascia svanire l’incantesimo sotto i nostri occhi, nel prodigioso effetto della sua musica. Allorché l’applauso irrompe nel silenzio prolungato che scrive la parola fine.

“Koma tomete / “Fermerò il mio cavallo
nao mizu kawan / e gli verserò ancora acqua
yamabuky no / dove i fiori di yamabuki
hana no tsuyu sou / mescolano le loro rugiade
Ide no Tamagawa”. / con il fiume del gioiello Ide”.
(Fujiwara no Shunzei)

Ma non è ancora tutto. Oltre allo straordinario “The Man from the East” (*) e il successivo “Raindog” (*), due vere perle della lunga discografia seguente, Stomu Yamash’ta ha firmato altre composizioni ascrivibili a campositori giapponesi e non di grande levatura internazionale, come Hans Werner Henze, Peter Maxwell Davies, e Töru Takemitsu inclusi nel disco “Percussion” (*), col quale ha dato sfogo alla sua geniale affermazione virtuosistica nell’arte delle percussioni. Seguito da “Cassiopeia” (*), un’altra composizione di Töru Takemitsu scritta per a-solo di percussioni, concepita nel tentativo di rendere popolare un certo tipo di musica più cerebrale, fuori dei confini del Giappone. Seguito da: “Floating Music” (*) con il gruppo misto non giapponese Come to the Edge; “Freedom is frightening” (*) e la colonna sonora per il film “One by One” (*) in cui si presenta come gruppo Yamash’ta’s East Wind; e i due album “Go” (*) e “Go Too” (*) dove si misura con altri musicisti famosi, come Michael Shrieve, Steve Winwood, Al Di Meola, Linda Lewis e altri. Il suo disco più raro incluso nella sua discografia è indubbiamente “The tedious way to the place of Natascha Ungeheru” (*), introvabile perché da anni fuori catalogo dalla D.G. che lo ha prodotto.

“Chofu ya sarasu / “Le stoffe per il dono sono stese
kakine no asatsuyu ni / sulla rugiada mattutina delle siepi
tsuranuki tomenu / nel paese del fiume dei gioielli
Tamagawa no sato”. / che un filo non ha trattenuto”.
(Hiroshige)

Già ideatore del Tokyo’s Experimenal Laboratory, Töru Takemitsu segna un’altra sua affermazione in “Quatrain” (*). L’album del 1980, impone ancor più l’attenzione su Toru Tkemitsu già conosciuto per la sua verve compositiva, la cui versatilità sospinge i suoi interessi nella ricerca tecnologica asservita alla strumentazione orchestrale. L’album contiene inoltre un brano riferito a Marcel Duchamp dal titolo enigmatico “A flock descends into the pentagonal garden”; e successivamente “Arc” (*) entrambi per orchestra diretta da Seiji Ozawa, il noto direttore della Boston Synphony Orchestra e della Yomiuri Nippon Symphony Ochestra, il cui nome ricorre tra i sostenitori culturali dell’odiena musica contemporanea.
Risale a quegli anni che la ricerca avanzata nel campo della musica d’avanguardia applicata dalla musica giapponese, invade letteralmente il mercato discografico mondiale, con innovative e sofisticate apparecchiature elettroniche che permettono alla produzione discografica di raggiungere un più alto livello, rappresentato dalla serie denominata “Direct Cutting” (*) la cui incisione avviene in tempo reale con l’esecuzione sonora. Per quanto parlare oggi di fedele riproduzione discografica può sembrare anacronistico, poiché definitivamente superata dalla rivoluzione apportata dal raggio-laser ai nuovi supporti d’ascolto, e, prevedibilmente, degli ulteriori spazi sonori esperienziali della conoscenza.

“Matsukaze no / “Già triste è l’autunno
oto dani aki wa / solo per lo stormire del vento
sabishiki ni / tra i pini lo è di più
koromo utsu nari / perché battono tessuti
Tamagawa no sato”. / nel paese di Tamagawa”.
(Minamoto no Toshiyori)

In questa raggiunta dimensione la musica giapponese scopriva in Isao Tomita, compositore e fondatore del Plasma Music Center, un nuovo esploratore della musica elettronica d’autore. Fra i suoi lavori più interessanti, gli arrangiamenti di brani appartenenti alla musica classica quali in “Debussy” (*); e in “Firebyrd” (*) ricreato sulla musica di Igor Stravinsky, contenente inoltre una rilettura di “Pictures at an Exibition di Modest Mussorgsky”. Tomita è inoltre autore di una “Preghiera Orchestrale” per il tempio Ohara Susenin di Kyoto, in cui strumenti tradizionali giapponesi mixati elettronicamente risultano di straordinario effetto emotivo:
“Ho impiegato una grande gamma di congegni elettronici produttori di suono o verificatori di suono per questa composizione, e ne ho tratto incoraggiamento a credere che i miei sforzi abbiano creato una musica davvero espressiva, tale da evocare emozioni musicali di altissimo livello”; ha affermato il musicista in una documentata intervista.
Nel frattempo un altro musicista, compositore e arrangiatore, neutralizzato americano, in quegli anni si affacciava sulla scena: Kitaro, famoso per la serie “Silk Road” (*) e “The Light of the spirit” (*), con il quale siamo entrati definitivamente nella più misurata epoca della New Age.

Ma già il nostro viaggio intorno all’ultima generazione giapponese incontrata sulla mia strada di ricercatore, richiede una sosta. La navicella del musicologo prosegue verso gli altri lidi della musica giapponese che funge da sottofondo nella poetica ‘cerimonia del tè’, nella silenziosa eleganza della scrittura e della grafica pittorica, nonché d’accompagnamento nel cerimoniale preparatorio delle arti marziali, e che fa da soundtrack nelle più famose pellicole di Akira Kurosawa. Ulteriori fantastiche avventure verso gli spazi siderali della musica che aspettano quindi di essere vissute, in quanto terreno inesplorato, fertile per più giovani Argonauti.

“Asu mo komu / “Tornerò anche domani
Noji no Tamagawa / al fiume del gioiello sul sentiero
hagi koete / camminando tra le piante di trifoglio
iro naru nami mi / sulle onde iridescenti
tsuki yadorikeri”. / la luna si poserà”.
(Minamoto no Toshiyory)


Note:
1)I testi qui racolti in forma letteraria sono il frutto di ricerche svolte per il programma radiofonico “Folkoncerto” e in seguito per “Maschere rituali” entrambi andati in onda negli anni 70/80 sul canale RAI3 diretti da Antonio Tabasso, con la partecipazione della giornalista Landa Ketoff che ringrazio per la loro attenta e favorevole collaborazione, alla cui memoria dedico questa mia più recente riscrittura. I testi poetici che corredano questa ricerca qui di seguito riprodotti sono apparsi nel ‘Catalogo’ della Mostra allestita al Palazzo dell’Accademia di Genova - Museo d’Arte Orientale ‘E. Chiossone’, nel lontano 1974 e dedicata ai “Paesaggi” di Hokusai e Hiroshige.

2) Gian Carlo Calza, “Il fiore del demone”, Editoriale Nova 1983.
3) Ezra Pound , Ernest Fenellosa, “Alcuni Nobili Drammi del Giappone” , All’Insegna del Pesce d’Oro 1961.
4) W. B. Yeats, ‘Introduzione’ a “Alcuni Nobili Drammi del Giappone”, op.cit..
5) Yukio Mishima, “Cinque Nō moderni”, Quaderni della Fenice, Guanda 1984.
6) Lafcadio Hearn, conosciuto come Koizumi Yakumo, “Kwaidan: storie di spettri giapponesi”, Il Saggiatore 1983.
7) Murasaki Shikibu, “Storia di Genji il principe splendente”, in ‘I Millenni’ - Giulio Einaudi Editore 1957.
8) 9) Ariwara no Narihira, “I racconti di Ise”, - Giulio Einaudi Editore 1985.
10) Yasunari Kawabata, “La casa delle belle addormentate” - Mopndadori 1961.
11) Banana Yoshimoto, “L'abito di piume”, Feltrinelli 2003.
12) Centro di Ricerca per il Teatro Milano, Catalogo Mostra “Alle radici del sole” – CRT Milano – ERI/ Edizioni RAI - Torino 1983.
13) Michael Hardwick, “Alla scoperta del Giappone”, Arnoldo Mondadori Editore 1971.
14) Takeda Izumo, Miyoshi Shoraku, Namiri Senryu, Catalogo del Teatro Kabuki per l’opera “Yoshitsune Senbonzakura” ovvero “I mille ciliegi di Yoshitsune”, CRT Milano 1985.
15) 16) Ibidem


Riferimenti discografici:

(*) Yatai Bayashi, “Best of Kodo”, I Tamburi dell’Isola di Sado, CD Culumbia 1989

(*) Opere di Stomu Yamash’ta – (selezione)
“Red Buddha”, CD Spalax Music 1971
“Uzu”, The world of Stomu Yamash’ta, Nippon Columbia 1971
“Percussion”, LP L’Oiseau-Lyre, 1972
Soundtrack “The Man fron the East”, LP Island 1973
Stomu Yamash’ta - Come to the Edge, “Floating Music”, LP Island 1973
Stomu Yamash’ta’s - East Wind, “Freedom is frightening”, LP Island 1973
Stomu Yamash’ta - Gagaku Ensamble, “Cassiopeia”, LP EMI 1974
Stomu Yamash’ta’s - East Wind Soundtrack “One by One”, LP 1974
Soundtrack “Raindog”, LP Island 1975.
“Go”, con Michael Shrieve, Steve Winwood, Al Di Meola, Linda Lewis e altri, LP Island 1976
“Go Too”, Michael Quatermain, Paul Buckmaster, Dennis MacCkay, Klaus Schulze, e altri, LP Arista 1977.
Soundtrack “The tedious way to the place of Natascha Ungeheru”, LP D.G. (?)
“Soundtrack of “tempest”, Music Stack 1982
“Sea and Sky”, CD Victor 1984

Opere di Töru Takemitsuselezione)
“Quatrain”, con Seiji Ozawa - Boston Symphony Orchestra, CD D. G. 1980
“Arc”, con Seiji Ozawa – Yomiuri Nippon SymphonyOrchestra, CD Varése Sarabande Rec. 1986

Opere ‘Direct Cuting Series:
“Wonderful World Of Nagauta”, EMI Japan 1980
“Fantastic Sounds Of Tsugaru-Jyamisen” , EMI Japan 1980
“Fantastic World of Japanese Music By Koto e Shakuachi”, EMI Japan 1980
“Happy Sounds of Matsuri-Bayashi, EMI Japan 1980

Opere di Isao Tomita: (selezione da opere live e studio albums).
“Snowflakes Are Dancing”, trasposizione elettronica di brani del celebre compositore francese Claude Debussy, RCA 1974
“Pictures at an Exibition”, una rilettura di Modest Mussorgsky, RCA 1975
“Firebyrd”, sulla musica di Igor Stravinsky, RCA 1976
“Holst: The Planets”, RCA 1976
“Preghiera Orchestrale” per il tempio Ohara Susenin di Kyoto, (non pervenuto).
“Isao Tomita Tezuka Osamu's Work Selection of Music” (compilation CD release in Japan), 2008.

Opere di Kitaro: (selezione)
“Silk Road I – II - III”, CD Polidor 1980
“The Light of the Spirit”, CD Domo – New Sound 1997

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Salone dell’editoria sociale a Roma

Salone dell'editoria sociale 2018 – X Edixione

2-3-4 novembre 2018
Porta Futuro, via Galvani 108, Roma
Ingresso libero

Dedicata ad Alessandro Leogrande, la decima edizione del Salone dell’editoria sociale propone una riflessione e un confronto sui “tempi difficili” che stiamo attraversando. Oggi paura e rabbia, nazionalismo e razzismo conquistano sempre più vaste fasce di opinione pubblica che si chiude in sé stessa, contaminano una società corrosa dall’individualismo e dal rancore. Non solo la democrazia vive un momento di grande difficoltà, ma viene anche meno l’efficacia di molti di quegli anticorpi – il “sociale” con le sue organizzazioni, la cultura con le sue produzioni – che un tempo agivano da argine. E domani? Contro ogni fatalismo, contro ogni rassegnazione, per domani bisogna ricostruire al più presto un punto di vista critico su ciò che succede intorno a noi e individuare le strade di un capovolgimento dell’attuale ordine delle cose. Non solo parlandone, riflettendo e discutendo, ma anche impegnandosi concretamente: con le “opere” e con la testimonianza individuale e collettiva, con la disobbedienza civile, con la coerenza tra mezzi e fini. È questo il filo rosso degli incontri, delle presentazioni di libri e delle conferenze organizzate nel corso della decima edizione del Salone dell’editoria sociale: un contributo per cercare di orientarci, oggi, in una fase opaca e turbinosa della nostra storia. E nello stesso tempo per costruire una prospettiva diversa, più giusta e accettabile, per la nostra società di domani.

Programma:

Salone dell'Editoria Sociale —
Domani sera, alle 20.15, al Salone dell'editoria sociale verrà proiettato "Sorelle d'Italia", il film-documentario di Daniele Gaglianone e Stefano Collizzolli su tre storie di accoglienza quotidiana dei migranti.Subito prima, una discussione moderata da Annalisa Camilli con Stefano Collizzolli, Giuseppe De Mola di Medici Senza Frontiere, Giulio Marcon e Andrea Segre. Vi aspettiamo

Salone dell'Editoria Sociale —
Quale utopia deve guidare gli educatori - genitori, insegnanti, politici, adulti - nell'assistere figli, studenti, bambini, adolescenti a trovare le proprie inclinazioni nella società che cambia, per una società più giusta?Venerdì 2 novembre, dalle 16.15 alle 18, ne discutono Stefano Laffi, Giuseppe Montesano, Federica Lucchesini

Salone dell'Editoria Sociale —
Domenica 4 novembre, dalle 18, Gianfranco Bettin, Nicola Lagioia e Gianluigi Simonetti, sollecitati da Carola Susani, rifletteranno sugli strumenti di inchiesta e narrazione per comprendere e raccontare le trasformazioni della società e del mondo.Vi aspettiamo....
Giornalismo collettivo: antidoto alla crisi editoriale?

Inoltre:

Nov2 ven 10:45 • Roma
Incontro con Maurizio Di Mario e Biancamaria Bruno
Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo

Nov2 ven 12:30 • Roma
Il cinema del no.
Organizzato da Scuola del Sociale Agorà


Sabato 3 novembre 2018 dalle ore 16:30 alle 18:00
1947. Incontro con Elisabeth Asbrink
Organizzato da Edizioni Dell'asino
Porta Futuro - via Galvani 108, 00100 Roma

Sabato 3 novembre 2018 dalle ore 20:15 alle 22:15
Incontro con ELISABETH ÅSBRINk
Iperborea e Gli Asini
Introducono
Goffredo Fofi critico letterario
Nicola Villa vicedirettore rivista Gli Asini

Domenica 4 novembre 2018 dalle ore 20:30 alle 22:15
Fabrizia Ramondino: un omaggio
Organizzato da Scuola del Sociale Agorà
Un omaggio
Ne discutono
Giulia Caminito scrittrice
Laura Fidaleo scrittrice
Goffredo Fofi direttore della rivista Gli asini
Enrico Pugliese sociologo
Paola Splendore saggista
Modera
Mirella Armiero giornalista
Con letture dell’attrice
Anna Bonaiuto


Salone dell'Editoria Sociale
Porta Futuro - via Galvani 108, 00100 Roma



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Bla, bla, bla … la mia prossima cena dei cretini

Bla, bla, bla … ‘la mia prossima cena dei cretini’.

Siete tutti invitati, sì dico a voi, quelli di destra, di centro e di sinistra. I posti come vedete sono già assegnati. La cena si tiene al Consiglio d’Europa dove il bla,bla,bla dei presenti fa solo rumore, ma guai a criticarli (1) …

“Il furore identitario e le sue contraddizioni. L’annosa questione della distinzione fra legittima critica e offesa si ripresenta oggi ulteriormente rafforzata dal furore che aleggia nelle nostre società, secondo il quale le ‘identità’ – etniche, culturali, religiose, sessuali e chi più ne ha più ne metta – dovrebbero essere immuni da critica perché altrimenti si rischia di offendere la sensibilità altrui. Il che si traduce inevitabilmente in una forma di censura (e di autocensura). Perché ciascuno ha la propria di sensibilità e per non offendere quella di nessuno non possiamo che tacere. A tutto questo si contrappone la becera reazione da destra che accusa coloro che non ne accettano la narrazione xenofoba di ‘moralismo’ e di ‘buonismo’. I tempi sono dunque duri per la satira, come ci racconta Gérard Biard – una firma di punta di Charlie Hebdo”. (2)

E nient’altro? – chiede qualcuno dallo scranno più alto cui da bambino hanno dimenticato di abbottonargli le orecchie e che adesso, solo perché nominato, pensa di poter prendere il volo, e quindi di v(i)olare il rispetto degli altri. Oh, ce ne sarebbe ben da aggiungere, perché più spesso il rumore diventa baccano e nella bolgia dei detrattori (fic) e degli adulatori (doc), tutti pensano di avere in mano le chiavi per la risoluzione di ogni problema …

“Il politicamente corretto oppio della sinistra. La sbornia politicamente corretta che ha travolto la sinistra ormai da diversi decenni sta vivendo negli ultimi tempi – grazie al revival dei movimenti identitari – una stagione di nuovi eccessi. Con acrobazie (il)logiche degne dei migliori trapezisti, si è giunti ormai alla riscoperta ‘progressista’ della censura, immunizzando in primis, in nome del rispetto, le superstizioni venerabili e storiche dalle critiche rivolte a dogmi santi profeti e altri Dii, per bordeggiare infine le sontuosità beghine della sessuofobia – come scrive Paolo Flores d’Arcais”. (3)

Figurarsi, non che lo decidiamo noi, ce ‘lo chiede l’Europa!’, ‘lo dice l’Europa!’, ce l’obbliga l’Europa!’ affermano in molti. Sembra di sentirli quando in nome del Consiglio fanno ‘orecchie da mercante’ accettando ‘questo e quello’ pur di non assumersi le proprie responsabilità e vanno oltre. E l’Italia che dice? – chiede il cretino di turno, quando, al dunque, il punto interrogativo (?) dovrebbe ben essere trasformato in esclamativo (!), anzi affermativo di ‘e sti cazzi?!’ (così detto alla romana). Ma come si sa un’esclamazione siffatta trova la sua coloristica asserzione nel ‘nero’ che sta sempre bene con tutto …

“La dittatura del politicamente corretto: una rassegna. Come avvenuto nel lontano XVI secolo Daniele da Volterra si guadagnò l’appellativo di Braghettone per aver coperto, a seguito delle disposizioni del Concilio Tridentino, i nudi di Michelangelo nella Cappella Sistina. Sono passati cinquecento anni e il ‘politicamente corretto’ – nato in risposta all’egemonia culturale, linguistica, politica del maschio bianco occidentale – si è trasformato in una mannaia da abbattere sulla libertà di espressione. Sotto i suoi colpi cadono classici della letteratura, capolavori dell’arte, opere liriche, film e persino cartoni animati. Una rassegna (non esaustiva) dei casi più eclatanti degli ultimi anni”. Parola di Ingrid Colanicchia. (4)

Infatti il colore nero come le sue 50 sfumature è quello più affermato in ambito consiliare.Tant’è che ogni riunione anziché dover essere conviviale sembra piuttosto un funerale. Lascio a voi scegliere di quale categoria, indubbiamente quella più infima, in cui nessuno dei cretini trova la sua sfumatura più adatta. C’è sempre chi fa le scarpe all’altro, i cosiddetti ‘fic’ che pensano di ficcarlo nel c… degli altri; come anche chi all’uscita si scambia l’abito con altri, i cosiddetti ‘doc’ (d’origine in-controllata) che fanno il doppio-gioco. Peccato che il doppio-petto non sia più di moda altrimenti sarebbero stati capaci di entrare in due nello stesso abito. Ma questo capita solo nel Parlamento Italiano, dove a vestire lo stesso abito sono addirittura in tre …

“La caccia alle streghe e la certezza del diritto. Il principio fondamentale su cui si basa il nostro sistema penale è che i reati debbano essere provati. Non è, e non può essere, dunque sufficiente il ‘vissuto’ della vittima, che invece nelle vicende che hanno al centro la questione molestie spesso si pretende costituisca una ‘prova’. Con pericolo per la certezza del diritto, oltre che per le relazioni fra i sessi, diventate oltremodo complicate. Ed è curioso che l’ondata di puritanesimo e caccia alle streghe che si sta rapidamente diffondendo in Europa provenga da quegli Stati Uniti che negli anni Sessanta sono stati il luogo della libertà per eccellenza. Nei cui campus oggi si prova a censurare perfino Ovidio e dove anche un gentile complimento viene considerato una molestia”. Parola di Eva Cantarella (5).

Uno dei quali sicuramente porta ’il cavallo dei pantaloni’ mentre gli altri due vestono le ‘maniche della giacca’ e, non c’è che ridire, quello seduto al centro non è il signor nessuno di cui si è già parlato, bensì colui che si crede il ‘furbetto’ della situazione. Il quale non sa che il ‘cavallo dei pantaloni’ fatto per uno, se vi entrano in due si rischia di schiacciarsi le palle. Hai voglia poi a gridare e chiedere l’aiuto di ‘papà’, il deus ex-macchina, che ha aggiunto al suo curriculum una dentiera così sfavillante (e fin troppo stretta per la sua bocca vorace) da far invidia alle stelle. Lui, quello lì, ti ascolterà solo se rientrerà nei suoi interessi, se nell’economia generale dei suoi affari vedrà un business in moneta altisonante, altro che fare l’interesse degli italiani che tu (figliol prodigo) furbetto/cretino tanto blateri al vento …

“Genesi, sviluppi e derive di un’ideologia americana. In un paese come l’Italia in cui un ministro leghista solo qualche anno fa definiva gli africani ‘bingo bongo’, non c’è proprio da avere paura dell’egemonia del politicamente corretto. Che invece spopola nelle università americane, dove d’altronde è nato decenni fa, producendo esiti spesso paradossali che riguardano soprattutto le facoltà umanistiche. In alcuni dipartimenti ormai l’ideologia regna sovrana: chiunque pensi che ci siano solo due sessi è un nemico del popolo che va ostracizzato, mentre chi ritiene che Shakespeare valga comunque una lettura se si studia letteratura inglese non è altro che un bianco imperialista. Un approccio che – lungi dal servire la causa dell’apertura dei canoni tradizionali – si traduce in chiusura identitaria e annullamento dello spirito critico”. Lo dice Gloria Origgi (6)

Anche perché l’Europa tutta non si regge sull’interesse beneficiario dei popoli che la costituiscono, bensì sugli interessi economici dei singoli stati che la gestiscono e che, guarda caso, noi italiani rappresentiamo l’ultima ruota del carro. Hai voglia di vestire in’gessato’ con la cravatta acquistata all’ultimo momento sul carrettino e in ogni caso sbagliata, perché il cretino si riconosce comunque, rientra in quel detto (diciamocelo): ‘culo che non ha mai visto camicia la sporca di merda’. E in Europa, poiché abbiamo fatto entrare di tutto e di più, anche a detta dei francesi di ‘merd’ ce n’è in abbondanza. Così come a detta dei tedeschi di ‘Scheiße’ ce n’è ad oltranza. C’è indubbiamente un bisogno estremo di normalità, la natura vuole in fondo che defecare avvenga allo stesso modo per tutti (e non mi spingo oltre) …

“Natura e normalità (ovvero il #MeToo ai tempi dei trogloditi-fieri-di-esserlo). La campagna #MeToo – con tutti i limiti di un movimento che ruota attorno a un hashtag – è sicuramente una nuova tappa della lotta e della riflessione sulla questione femminile. Ma essa pone anche una questione maschile, che invece è pressoché assente dal dibattito, come se la condizione degli uomini fosse assodata, pacifica, determinata. E invece vediamo maschi nervosi, fragili, frustrati, e dunque aggressivi e prepotenti, e diciamo: ‘Ma sì, i maschi fanno così’. Con un appello a una presunta ‘natura’ che, oltre a essere totalmente infondato, è solo una foglia di fico per il nostro cinismo. È così, lo ha detto e scritto Telmo Pievani (7), e io lo ribadisco.

Anche per questo alla mia annunciata ‘cena dei cretini’ che si terrà al prossimo Consiglio d’Europa sapete già quale prelibatezza aspetta tutti quanti noi: ‘un piatto di stronzi fumanti’, anche perché alla fin fine ‘anche i cattivi riposano, gli stronzi mai’. O almeno, fino al prossimo sentenzioso bla, bla, bla.


Note:
(1) in MicroMega 6/2018 diretto da Paolo Flores d’Arcais: “Contro il politicamente corretto”. Un vero e proprio ‘manifesto’ contro il politicamente corretto, il nuovo numero in edicola, libreria, ebook e iPad da giovedì 27 settembre.
(2) in MicroMega 6/2018: “Il furore identitario e le sue contraddizioni” di Gérard Biard – una firma di punta di Charlie Hebdo.
(3) in ‘LA LINEA GENERALE’ - MicroMega 6/2018 di Paolo Flores d’Arcais – “Il politicamente corretto oppio della sinistra”.
(4) in ‘ICEBERG 1’ – libera offesa in libero Stato - MicroMega 6/2018
Ingrid Colanicchia – “La dittatura del politicamente corretto: una rassegna”.
(5) in MicroMega 6/2018: Eva Cantarella – “La caccia alle streghe e la certezza del diritto”.
(6) in MicroMega 6/2018: Gloria Origgi – “Genesi, sviluppi e derive di un’ideologia americana”.
(7) in MicroMega 6/2018: Telmo Pievani – “Natura e normalità” (ovvero il #MeToo ai tempi dei trogloditi-fieri-di-esserlo).

In collaborazione con redazione@micromega.net newsletter.


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Claudio Zanini o la forma virtuale del divenire.

CLAUDIO ZANINI … o la forma virtuale del divenire.
“Ansiose Geometrie” – Opera Prima –Anterem Edizioni / Cierre Grafica 2018.

“Drawing is putting a line around an idea” (Disegnare è tracciare una linea attorno a un'idea) scrive Henry Matisse (*). E cos’è un’idea se non ‘il punto’ da cui si dipartono tutte le linee direttrici della propria esistenza che C.G. Jung (*), con grandissimo acume, nella sua infinita ricerca, ha trasformato in ‘archetipo’ originario, modello stesso di vita …

“Declina il lato lungo del rettangolo nell’ombra. / Quello breve, nella luce sgombra, s’assottiglia / e svanisce, soltanto inscritto nel pensiero / d’un illusorio compimento immaginario.”

Ed ecco che il tratto nero del carboncino scorre veloce sul foglio bianco che gli fa da supporto, traccia una prima linea essenziale che rasenta il margine dello spazio imperscrutabile che l’immaginario riesce appena a percepire e a collocarlo in un ‘non luogo’ attraversato da migrazioni d’idee, come di astrazioni appena intraviste nell’ottica di un punto di fuga estemporaneo …

“S’infrange lo spazio bianco lungo l’angolata traccia / del parallelogramma, che parte ne circonda e tiene, / mentre resiste all’onda sorda degli spazi esterni / l’affilato articolarsi del suo perimetro tenace.”

Quindi traccia una linea parallela, e un’altra ancora, tratteggiata, insicura, che improvvisa s’impone all’attenzione, come di ferita aperta che non coagula e che si ravviva costante, deturpando l’immagine virtuale di una costruzione che pur si delinea nel fitto biancore del foglio che la contiene in divenire …

“Ci s’illude riguardando vasti spazi / che lungo sicura rotta si proceda, / mentre irride geometria ogni cura / e irretisce il pensiero nell’enigma / dove fugace e vana è ogni misura.”

Come di un’architettura progettata e realizzata da una mano fantastica che supera l’estremo poetico, Claudio Zanini spinge a rendere marginali le apprensioni per ciò che è irrevocabile attraverso la de-costruzione di tutto ciò che è durevole, persistente … “Di qualsiasi cosa abbia probabilità di sopravvivere alla propria esistenza individuale, o anche delle attività in cui è scandito l’arco della vita, ma persino – crive Jacques Derrida (*) – di quelle esperienze di cui è formata la materia dell’idea di eternità che incita a chiedersi quale posto si abbia in essa” …

“S’apre all’ampiezza minima d’un varco / nella silente penombra mattutina / l’arco d’una circonferenza illuminata / quando la sfiora in quell’istante / la rapida tangente in fuga all’infinito / ben oltre il levigato piano cartesiano.”

È qui possibile individuare l’antefatto di una ricerca interiore ove è pienamente utilizzata la forma del ‘de-costruire per costruire’ o meglio, per ri-costruire sui frattali di una società in disfacimento la propria esistenza possibile …
“Ordina geometrie mirabili il pensiero, / le racchiude entro teoremi aurei / di sezioni e arcuate quadrature: / le pensa in sé concluse; ignora tuttavia, / che l’illimitato spazio circostante / nell’enigma del suo moto le travolge.”

La stessa che, in breve, sta soppiantando nell'ambito dell'informazione e della conoscenza tradizionali, quella ch'era stata fin qui la proposta socio-storico-linguistica, nonché formativo-educazionale di riferimento; e che includeva i 'linguaggi non verbali' più diversificati (gestualità del corpo, graffiti rupestri, geroglifici, sabbie colorate ecc.), e le diverse forme di oralità, canto, e poesia narrativa …

“..a questi ci si appiglia per dar misura / alla marea di svaporate lontananze..”.

Scrive Roberto Maggiani (*), “È spazio espanso intorno a noi / e agli ovunque-punti equivalenti / che dilatano in esistenza […] nel vuoto quantistico oscilla a un passo dal reale…”. In cui “l’intelligenza si espande nello spazio / come un raggio di luce lo evidenzia / ma non lo comprende […] e fa della vita “..materia / con dentro un pensiero: / si osserva e cura sé stessa / materia che mangia materia / si organizza e spera”.

Anche per questo, un nuovo approccio al fenomeno comunicativo si rende più che mai necessario se vogliamo interpretare la contestualità narrativo-filosofica di Claudio Zanini, sì da riconoscergli l’aver egli, con fare innovativo, innescato ‘in una sola lingua un nuovo linguaggio poetico’, in cui il rimarcare dei tratti, come passi, si snoda su linee parallele che forse non si incontreranno mai se non in un punto cosmico virtualmente concepito e disperatamente estremizzato entro la forma ‘virtuale’ del divenire …

“Chiara è l’area dell’ellisse, / forse rimpiange l’aurea perfezione / della superba circonferenza intatta, / ma quell’assottigliarsi anomali / è indice di un’aurea stupefatta / colma di geometriche interrogazioni, / di penombre e tenerissime aporie.”

Indubbiamente il carattere innovativo della tecnica qui utilizzata, la considerazione della diversa ‘lingua’ non tradizionalmente scrittoria, sempre che esista in natura una qualche forma di scrittura ancestrale (ed io credo di sì almeno come forma grafica), si concede a un certo disorientamento d’accesso, vuoi dell’interlocutore che del fruitore, alle nuove tendenze poetico letterarie che risultano così denaturalizzate …

“..Se, di due rette parallele, l’una si smarrisce / nell’alveo d’ombra di una eclissi, perde slancio / nell’affanno del rincorrere e poi dilegua: l’altra, / docile all’assioma, sarà dunque parallela / a quel fantasma lineare appena svaporato? / e ora dove andrà, verso quale anomalo infinito, / rettilinea e solitaria traiettoria nello spazio?”

Può risultare spaventoso ciò che sulla ‘decostruzione’ scrive Zigmunt Bauman (*) citando Jean Baudrillard (*) (in accettazione o in controtendenza non è esplicito), in cui questi dice: “..il simulacro (in questo caso della morte) non equivale alla simulazione, in quanto ‘falsifica’ le caratteristiche della realtà e in tal modo, inavvertitamente, ne ripristina e riconferma la supremazia”…

“..È arduo immaginare l’estenuata cura / e la tenacia di due rette parallele / nel loro impercettibile convergere. / Oscillano flessibili negli spazi vuoti / l’una verso l’altra fino allo sfiorarsi / del respiro intrepida tangenza / dopo un vano rincorrersi all’infinito / per infine fondersi in una retta sola.”

Tuttavia la ‘congiunzione di due rette’ non è la metafora di se stessa, e la ‘paura della morte’ è cosa reale, concreta e tangibile e non la si può ignorare, o almeno come conclude lo stesso Bauman: “..la morte compare nel dramma della vita liquido-moderna, differisce per vari aspetti vitali dall’originale cui rimane metaforicamente legata …

“Trattiene diurne luci mattutine, l’area chiusa / d’una figura regolare e circoscritta. Chiari / nutre pensieri di pallido nitore, progetti / di nitida misura in spazi vasti senza fine / e silenzi smisurati, laddove fuori trascorre / e già si consuma l’infinita curva della sera.”

Seppure è detto che due linee parallele non si incontrano mai, oggi, viviamo un'altra realtà che non ha scacciato l’antica ‘paura della morte’, bensì una volta ‘destrutturata’ si è sovrapposta ad essa, ed è il ‘feticismo tecnologico e mediatico’ cui l’autore di ‘ansiose geometrie’ fa qui riferimento, come di ‘interruzione di vita’, o meglio di ‘ricongiungimento’, lì dove la linea ‘virtuale’ ritorna all’idea primaria e segna il ‘punto originario’ da cui si dipartono e arrivano tutte le linee.

Retrospettivamente le ‘ansiose geometrie’ di Claudio Zanini vanno lette come tentativo di dominare la voracità tecnologica con la forza intrinseca d’una volontà determinata: “L’unica, incalza Bauman, ma formidabile differenza tra il punto di partenza e d’arrivo di questa ampia ‘deviazione’ che ora, alla fine del tragitto, ci permette di non perdere le illusioni, anche se non le ‘paure’, cioè di perdere il ruolo determinante-supremo che esercitiamo sulla natura che ci circonda e su noi stessi in quanto umani …

“..Tuttavia nell’onda curva della sera / nulla trattiene della luce il declinare / né argina lo svanire ininterrotto / sommerso dall’ombra il suo tremare.”

Un altro artificio per così dire coadiuvante per una lettura-poetica (o meglio poetizzante), che ci permette di comprendere lo stile illusionistico dell’autore è dato dalla ‘dimensione frattale’ (geometrico-matematica), lì dove l’interruzione sequenziale della ‘linea ideale’ permette al poeta di confrontarsi con la natura circostante …

“..Ma se l’ombra sfugge ad ogni triangolazione / e la luce è volubile dominio di volatili irrequieti, / forse entro recinti esigui qualcosa resta, / dolenti anime e corpi amati che si sfiorano, / la limpida frattura d’uno sguardo, parole / che incidono tenaci spiragli nel silenzio e / sopravvivono nell’esile geometria della memoria.”

Onde per cui la ‘pausa’ (interna alla frammentazione della retta), diventa momento colloquiale con essa e con la ritrovata dimensione concettuale, prima della sua ‘fuga’ in avanti, onde perdersi nelle ‘forme dell’oltre’, ulteriormente esposte nella riflessione critica di Laura Caccia (*) che accompagna la raccolta, e che introduce la tematica qui presa in oggetto della forma ‘virtuale del divenire’: “Di quale sguardo necessita la parola poetica per spingersi oltre i limiti del proprio sguardo, di quali forme visibili per oltrepassare il visibile, di quali schemi interpretativi del reale per raggiungere una realtà altra?”.

Ma se molte sono le risposte attese e disattese di questa scrittura-poetica che avrebbe bisogno di una diversa grafia per essere intepretata o meglio ancora valorizzata; di fatto la sua chiusura tra virgole e punti, l’apertura iniziale delle maiuscole, lasciano poco spazio alla possibilità di ‘fuga’ delle linee tratte, quasi che l’autore s’arresti davanti allo sfuggire delle parole da se stesse, quando in realtà esse sfuggono al nostro essere di lettori senza difese.

Ancor più se si vuole dare risposte plausibili alle domande che sempre più spesso ci vengono rivolte: “dove sta andando la scrittura?”; “dove si sta conducendo la poesia?”, alle quali se ne aggiunge un’altra: “quali altri muri ci restano ancora da abbattere?”; lì dove ‘muri’ sta per tabù o impedimenti, nuove esperienze o anche nuove idee, come quelle suggerite, forse dovremmo interrogare gli attuali media come web, internet, tablet, i-pad che ci si trova ad utilizzare.

È in questa singolare ‘dimensione’ che Claudio Zanini, finisce col cogliere il suo precipuo esprimersi linguisticamente ed espressivamente, pur con le variazioni di ‘registro’ connesse ai singoli elementi comunicativi, in cui pur si riesce a individuare il destinatario del suo linguaggio, quale il suo scopo e quale la circostanza creativa di ogni suo singolo componimento, in bilico tra mondo quantistico e carenza sostanziale di sfumature oniriche.

L’unica nota di colore e un solo punto rosso sangue che stilla da llo stato d’animo interiore (dell’autore) che si espande sul foglio bianco della scrittura, in cui finanche la linea cosmica è fratta dal logaritmo di base, la cui equazione indica la diversa similarità della struttura lineare, allorquando …

"..davanti al mondo terrestre in cui l'estate e l'inverno governano l'agonia di tutto ciò che è vivente – scrive George Bataille (*) – davanti all'universo composto di stelle innumerevoli che girano, si perdono e si consumano senza misura, io non scorgo che una successione di splendori crudeli il cui movimento stesso esige che io muoia; questa morte non è che consumazione sfavillante di tutto ciò che era, gioia di esistere di tutto ciò che viene al mondo, perfino la mia propria vita esige che tutto ciò che è, in ogni luogo, si dia e si annienti senza posa" …

“ è (..forse, nel pallore esangue d’un lume / schermato appena con la mano, veglia / un discepolo che legge assorto nella sera / e s’arrovella sul foglio indecifrabile / finché l’enigma non resti irrisolto e muto).”


L’autore:
Claudio Zanini, filosofo e scrittore triestino, vincitore di premi importanti quali, ad esempio, il Premio Fogazzaro 2013; sue poesie appaiono tradotte in inglese da Claudia Azzolla su “Traduzione-Tradizione’; ha pubblicato vari racconti e romanzi, tra cui vanno ricordati ‘il posto cieco’ – Bietti 2009; ‘Nero di seppia’ Bietti 2010. La presente silloge ‘Ansiose Geometrie’ appare nella collana Opera Prima nel Luglio 2018, a dar seguito all’iniziativa di Flavio Ermini che ne ha curata la pubblicazione, giunta al suo 38 numero e che ospita i nomi più vivaci del mondo letterario, filosofico e artistico del panorama contemporaneo.

Bibliografia di riferimento:
(*) Henri Matisse, ‘Scritti e pensieri sull'arte’, Abscondita 2003.
(*) C.G. Jung, ‘Gli archetipi e l’inconscio collettivo’, Bollati-Boringhieri 1969.
(*) Jacques Derrida, in ‘Ricostruire la decostruzione’ di M. Ferraris – Bompiani 2010.
(*) Roberto Maggiani, ‘Spazio espanso’, E-book in Larecherche.it - 2016
(*) Zigmunt Bauman, ‘Paura liquida’, Laterza 2008.
(*) Jean Baudrillard, ‘Simulacri e simulazione’, edit. 1994
(*) Laura Caccia, “A libro chiuso”, Sigismundus 2012, Premio Opera edita 2012 – Anterem Edizioni – Cierre Grafica 2018.
(*) Georges Bataille, ‘La letteratura e il male’, Rizzoli, Milano 1973 e SE, Milano 1989.



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Vietri in Scena arte, spettacolo, musica, teatro


Vietri in Scena
12 luglio -2 Agosto 2018
Villa Comunale –Vietri sul Mare


Lunedì 9 luglio alle ore 10,30 presso la Sala Giunta della Provincia di Salerno, conferenza stampa di presentazione di Vietri Cultura, che si apre con i concerti e gli spettacoli di Vietri in Scena.

Il progetto lancia anche il nuovo brand di comunicazione visiva delle attività culturali e di promozioni turistiche proposte dal Comune di Vietri sul Mare per eventi e manifestazioni annuali, realizzato dal grafico Esterino Manzolillo.

Alla conferenza stampa hanno preso parte parte il sindaco f.f. di Vietri sul Mare, Marcello Civale; l'assessore alla Cultura e al Turismo di Vietri sul Mare, Giovanni De Simone; il direttore artistico di Vietri Cultura , maestro Luigi Avallone; Daniela Scalese responsabile della segreteria organizzativa e presidente dell'associazione Ceo; Antonio Gazia, direttore di Congrega letteraria, Francesco Citarella, resposabile di Informagiovani; Nunzia Schiavone, presentatrice dell'evento; Antonio Dura, direttore di Puracultura, magazine di Vietri sul Mare, mediapartner di Vietri Cultura e i rappresentanti delle associazioni vietresi, parte attiva del progetto.

Oltre 100 le date delle iniziative di ‘VIETRI CULTURA 2018/2019’, che si snoderanno lungo percorsi di musica, letteratura, ceramica, enogastronomia, tradizioni etno-antropologiche, itinerari paesaggistici e religiosi.

Tutti le iniziative sono ad ingresso libero.

Info: Segreteria Organizzativa +39 392 0095047

Programma:
Giovedì 12 luglio
Coropop di Salerno
Direttore M° Ciro Caravano

Sabato 14 luglio
Rossini Renaissance “Mangiare, Amare, Cantare e Digerire...”
A cura di Filippo Morace e Rosalba Vestini

Lunedì 16 luglio
Academic Ensemble Contemporary Jazz Project
Musiche di Michael League (Snarky Puppy), Wayne Shorter, Stevie Wonder, David Foster, Cole Porter, “Dizzy” Gillespie,G.Gershwin, H. Hancock
Direttore Guglielmo Guglielmi

Martedì 17 luglio
Cleopatra
Spettacolo di danza (Studio Danza di Maria Cardamone)

Mercoledì 18 luglio
Orchestra da Camera Internazionale della Campania
Musiche di J. Pachelbel, A. Vivaldi, W. A. Mozart, E. Morricone, L. Bacalov J. Strauss
Flauti solisti: Filippo Staiano, Sergio Casale Direttore e solista Veaceslav Ceaicoshi

Venerdì 20 luglio
Ragazzi di oggi
Revival dei successi degli anni 70 in poi

Lunedì 23 luglio
Sonora Junior Sax
Musiche di Khachaturian, McCoy, J. De Haan, G. Puccini, J. Tieresen, Vanni, Tozzi, P. Prado,Pooh
Direttore Domenico Luciano

Martedì 24 luglio -
LE GENOVEFFE - una favola amara
Spettacolo a cura del Laboratorio di espressione teatrale di Teatri di Carta
regia di Francesco Campanile

Venerdì 27 luglio - V
Orchestra Music Academy ''Napoli canta New York''
Un omaggio a due artisti internazionali: Frank Sinatra & Pino Daniele

Martedì 31 luglio -
(in realtà solo apparente)ⁿ liberamente tratto da: “Il povero Piero” di A. Campanile, compagnia Artenauta Teatro, drammaturgia e regia Simona Tortora

Giovedì 2 Agosto -
Orchestra Filarmonica Campana (omaggio al Maestro Giovanni Procida)
Musiche di Frederick Delius, Wolfgang Amadeus Mozart, Franz Joseph Haydn
Clarinetto solista Sabato Morretta direttore Giulio Marazia

Inizio degli spettacoli ore 21.00
INGRESSO LIBERO



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Rassegna di musiche creative Officine Zero Roma

Nell’ambito di Officine Jazz – Rassegna di musiche creative

Simone Alessandrini
in concerto
presenta “Storytellers”
Venerdì 22 giugno 2018, ore 18.00, Officine Zero, Roma

Venerdì 22 giugno 2018 ore 18.00, Simone Alessandrini in concerto per presentare l’album “Storytellers”, nell’ambito della rassegna musicale Officine Jazz – LIVEinOFFICINE, organizzata da OZ – Officine Zero. Sul palco, insieme al sassofonista romano, Antonello Sorrentino, tromba, Riccardo Gola, basso elettrico ed effetti, Riccardo Gambatesa, batteria e Federico Pascucci, sax tenore.

Album d’esordio del giovane sassofonista e compositore Simone Alessandrini, “Storytellers” si compone di sette brani originali e fortemente evocativi che creano un’architettura complessa; un album decisamente ispirato, in cui le singole tracce sono tessere di un più ampio mosaico narrativo. Classe 1983, cresciuto ascoltando Zappa e il jazz di Coleman, Simone Alessandrini si rivela narratore eccezionale in un album netto e visionario, rievocando, tra mito e leggenda, personaggi popolari sullo sfondo della Seconda Guerra Mondiale.
Sono cresciuto musicalmente con la passione per i concept album – dichiara l’autore – e vorrei che questo fosse il primo di una lunga serie, affrontando di volta in volta tematiche diverse.

Sette brani per tessere un’unica trama che si snoda tra comico e tragico, le cui sonorità di ampio respiro sono alla base di una narrazione che vuole recuperare un pezzo della nostra memoria e salvarla dall’oblio. Le composizioni di “Storytellers” hanno una forte impronta melodica e il gruppo presenta un sound molto compatto e ben definito, vista l’assenza di uno strumento armonico. Questa carenza diventa il punto di forza, grazie anche alla presenza dei tre strumenti a fiato che dialogano, scambiandosi la melodia, attraverso linee contrappuntistiche. Inoltre, l’elettronica e l’utilizzo del basso elettrico richiamano il mondo del rock progressive, allineandosi a quell’idea in cui convivono sonorità moderne, e a tratti acide, con il lirismo di estrazione popolare.

Non ho pensato – prosegue Simone Alessandrini – di fare una colonna sonora delle storie che andavo a raccontare, ma piuttosto il contrario, cercando di “vestire” il vissuto con un mio modo di intendere la musica.

Con i loro nomi degni della fantasia di uno sceneggiatore, ma frutto dell’inventiva popolare, Sor Vince’, il signor Adriano e Cetto La Mitraglia diventano alcuni dei protagonisti delle tracce di “Storytellers”, come anche Olga e Nazario, due innamorati capaci di ritrovarsi dopo anni di distanza, Il gobbo del Quarticciolo, con i suoi eroici atti di sabotaggio contro i tedeschi sulla via Casilina, passando, infine, per i personaggi de L’imbroglio del cordoglio, paradossale vicenda di una veglia funebre inscenata per occultare il furto di un maiale. La musica di Alessandrini dona, così, tridimensionalità a personaggi comuni ma, a loro modo, straordinari che hanno affrontato la guerra e ne sono usciti a testa alta, con coraggio e dignità.

In “Storytellers” - uscito per l’etichetta Parco della Musica Records, con la partecipazione di Dan Kinzelman al sax tenore in tre brani - la musica è il pretesto per far rivivere dei personaggi con i quali il musicista è entrato in contatto in modo del tutto casuale: attraverso racconti quasi leggendari tramandati a San Felice Circeo, dove Alessandrini è cresciuto e Roma, dove è nato.

OZ- Officine Zero è un progetto di rigenerazione urbana sorto sulle ex-RSI officine per la manutenzione e la riparazione dei treni notte. Un centro polifunzionale e di innovazione sociale, che accoglie all'interno di un sistema di economia collaborativa, lavoratori indipendenti, piccole cooperative, associazioni, artigiani e lavoratori dell'intelletto.

Formazione
Simone Alessandrini, sax alto
Antonello Sorrentino, tromba e flicorno
Riccardo Gola, basso elettrico ed effetti
Riccardo Gambatesa, batteria
Federico Pascucci, sax tenore

Venerdì 22 giugno, ore 18.00
Officine Zero
Via Umberto Partini 20, Roma

Info: oz.segreteria@gmail.com | www.facebook.com/OzOfficineZero
ozofficinezero.org

Gaito Ufficio Stampa e Promozione
Guido Gaito info@gaito.it
+39 329 0704981 | + 39 06 45677859
Via Vincenzo Picardi 4C
00197 Roma




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Bla, bla, bla 6 il nuovo che avanza

Bla, bla, bla 6 il nuovo che avanza.

Papparaparaparapa, papparaparaparapa! (squilli di tromba in parlamento). Che entrino i giullari! (annuncia liscia e gassata la presidente).
Tang, bam, sham, trottrot, (rumori di quelli seduti più in alto)
Brrr, trrr, slop, stang, whruuum, mitmit (rumori di quanti occupano gli scranni più in basso) …

Ed ecco lo spettacolo ha inizio e tutti (giornalisti della TV, dei quotidiani più affermati, dei social e tantissimi altri), credendo di assistere a uno spettacolo distensivo, di savoire fare, di ‘vogliamoci bene’ e quant’altro, le loro facce appese ci dicono che c’è un ma che sa d’interrogativo …

Ammettiamolo, c’è sempre un ma in qualunque attesa, con ‘er bucia’ premier al centro, lo ‘stolto’ (che sogghigna) alla sua destra, l’ orbo’ (ottuso perché vede solo da un lato) alla sua sinistra, e tutto lo stuolo di comparse (leccaculi, avventori dell’ultimora, sostenitori interessati), piazzati d’intorno, sembra di assistere a una sacra rappresentazione della passione, dove s’attende dall’alto che s’appressi l’epifania, quando avvolto dalle nuvole, s’intravede appena il governatore assoluto del creato che leva il dito contro l’ignavia …

L’emanazione della sua ‘luce r(u)ossa’ invade l’intero salone / abside / castello / fortezza e tutti (non proprio all’unanimità) attendono d’essere investiti del sapere esclusivo (ultimo nella graduatoria dei cretini), affinché in prosieguo ognuno possa dire la sua, molto democratica (e anche molto pittoresca), a seconda del proprio grado (alto o basso) d’investitura, più o meno consentito dal ruolo che non si è scelto in conformità delle proprie capacità conoscitive, intellettuali, acquisite sul campo ma …

E (ecco il ma che ritorna), secondo favoritismi, regalie, nepotismo, che sono le solite merci di scambio di un baratto che si ripete dall’antichità ad oggi, (cioè più o meno dal medioevo della nostra repubblica), che non ha niente di democratico, bensì di poteri occulti (esoterici e massoni) che manovrano per vie ‘cervelliere’ i nomi nel disporre delle facoltà governative. In breve, più stupidi sono quelli che occupano i posti di comando, più li si può indirizzare e controllare (mercati, borse, produzione, forza lavoro) ecc, ecc. …

Intanto lo ‘stolto’ (senza arte né parte) sogghigna per tutto il tempo della parata, spesso spingendo lo sguardo verso il basso per nascondere la stupidità di non capire una sola parola di quello che ‘er bucia’ sta elencando a mo’ di lista della spesa, o, forse, a controllare di avere ‘le palle’ per sostenere le improvvide promesse di quello che dovrebbe essere il burattinaio e che invece (anche lui premier) è appeso ai sottili fili che qualcun altro muove dall’alto ...

Oh, non c’è che dire, l’ ‘orbo’ ci vede benissimo, ha rilevato il palco della rappresentazione e adesso si prende il laggio dell’operato (pessimo) degli altri. Del resto accade lo stesso al cinema, non perché il film non vi è piaciuto, qualcuno vi restituisce il prezzo del biglietto. D’altra parte, se neppure questi giullari sono capaci di farci ridere, dobbiamo cominciare a pensare che qualcosa in noi proprio non va, che i conti non tornano, che davanti alle urne abbiamo sbagliato le nostre scelte …

Ed è così che l’ ‘orbo’ inoltre potrà usufruire dei benefit previsti e della pensione (da parlamentare) senza aver maturato ‘punti’ d’una qualche invalidità. Lui sì che potrà assicurare un futuro ai suoi figli, e voglio vedere se una volta raggiunta la maturità, non li invierà a studiare all’estero, dopo che avrà vietato l’accesso nelle nostre Università agli immigrati. Vorrò vedere se gli altri stati ci mandassero indietro tutti gli italiani che sono all’estero (ed io ne ho conosciuti e posso dire che non sono tutti stinchi di santo), come reagiremmo …

Allora sì che ne vedremmo delle belle, vedremo se sarà disposto a fare un poco di posto ai suoi ‘fratelli’ di congiuntura (?). Personalmente penso proprio di no, che non troverebbero quell’accoglienza che umanamente andrebbe data a chi non ce la fa. La lotta per la sopravvivenza potrebbe essere in futuro la vera causa di una guerra fratricida che noi tutti dovremmo prudentemente evitare. Non è detto forse: ‘chi ha più prudenza l’adoperi’? Facciamolo, un rifiuto non ha mai creato amicizie, accogliamo quanti ci è possibile accogliere, aiutiamo quanti più ci è possibile aiutare, e a nostra volta non saremo respinti, bensì aiutati a risollevare il capo nella speranza di un vivere migliore, forse, tornare a sorridere …

Papparaparaparapa, paparaparaparapa! (squilli di tromba in parlamento), la giostra per oggi chiude e se ne va, raccogliendo gli applausi della ‘corte dei miracoli’ che per oggi ha vinto (si fa per dire) il torneo (la partita). E mentre tutti si preparano per i festeggiamenti di domani (cioè oggi), qualcuno si domanda se tutta questa baraonda possa durare all’infinito (?). Allorché, i gran maestri convenuti, pensano di farla durare fino allo sfinimento, fino a quando tutti gli ‘attori’, anche i migliori in scena, non saranno sfamati con un tozzo di pane … ‘La storia siamo noi … - canta De Gregori - … siamo noi questo pezzo di pane’.

Per quanto oggi cambierei la strofa finale con: ‘…siamo noi questi stronzi che han fame”, ma so già che non vi piacerà.

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Bla, bla, bla: la svolta dei cialtroni …

Bla, bla, bla: la svolta dei cialtroni … e noi ridiamo.

E noi ridiamo.
Si abbrevia il tempo rimasto per dare un governo al ‘paese di cuccagna’, e già lo sbaraccamento del Parlamento è iniziato quando il Carnevale, iniziato da un pezzo, non è ancora finito. E così, mentre i clown di sempre se ne vanno con il trucco sfatto e le mani sporche, s’insediano i nuovi, cialtroni più che mai, sperando di arraffare le briciole di quel ‘panem et circensis’ che quegli altri si erano spartiti prima di loro, come il nuovo che ‘vale la pena’ d’essere messo in scena, spacciando per ‘politically corrected’ quel che corretto non è, e neppure ‘onestly corrected’.
E lo fanno come fanno i cialtroni, senza avere neppure uno straccio di canovaccio tra le mani, quel che pure serviva ai commedianti di passata memoria per tirare avanti. Ma adesso che necessita un copione autentico su cui organizzarsi, affabulare il nuovo pubblico degli ultimi, ècco che il canovaccio è diventato lo straccio da cucina (leggi del cesso), o anche quello per lavare in terra che la sguattera cialtrona lascia sul pavimento in mezzo ai piedi.
Ma lo spettacolo comunque deve andare avanti, la svolta sembra avere inizio, solo che al posto del rinnovamento, il cambio di marcia, la trasparenza all’insegna dell’onestà, della giustizia giusta, delle prospettive future dell’economia che a gran voce il nuovo capocomico ha promesso di portare in scena, non corrisponde alle pretese aspettative del pubblico: preparazione, capacità, trasparenza, onestà (paroloni), e che si rivela moralmente scorretto nei confronti dei tanti (leggi tantissimi) avventori dell’ultim’ora.

E noi ridiamo.
A teatro si sa, se gli attori scambiano le pagine del copione e fanno confusione con le parole affabulando gli spettatori, di fatto qualcuno ha pensato di poter imbrogliare le carte. Magari pensando di poter spacciare gli insulsi dibattiti di un condominio di cialtroni, che non sta in piedi neppure a volerlo attaccare con la colla, con le ‘Baruffe chiozzote’ di Goldoni. Ma è facile in tempi tecnologici come quelli correnti, venire a capo della ‘verità’; per quanto molto aiuta il ‘taglia incolla’ o anche il ‘copia incolla’, col rischio di finire tutti per essere la brutta copia di qualcun altro e di qualche altra cosa.
È allora che il pubblico invogliato ad acclamare la nuova scena (leggi elettorale e governativa), fa volare gli stracci insieme ai fischi, ai bitorsoli di cavoli e frutte marce, al posto degli applausi. Ed a me sembra che di brutte (leggi pessime) figure ne abbiamo già fatte abbastanza. Può non sembrare così, del resto il pubblico (gli italiani) accorso sembra preferire questa sorta di spettacoli, e mi piace pensare che lo faccia perché, tutto sommato, pensa di vivere sempre a Carnevale, o magari s’illude che la festa non abbia mai a finire.
Del resto pare che ‘farsi del male’ sia entrato nel costume della gente fin dal biblico ‘muoia Sansone con tutti i Filistei’, quindi già da qualche tempo. Direi che nel tempo l’esempio abbia riscosso davvero molto successo. Indubbiamente lo spettacolo offerto oggi è a superato quel livello, ma l’orrore di un’altra strage incombe alle porte, anche se il pubblico che s’accalca nella fuga (leggi Bataclan), non sembra accorgersene. Che aspettino il Diluvio?
Forse, ma lì dove lo spread sale e la borsa scende, la soglia di povertà non è più una un limite ma è diventata uno stazione di raccolta (disoccupati, barboni, affamati, profughi, indesiderati, diversi ecc.) che aspettano un treno, per dove? Non sembra anche a voi la scena di un film che abbiamo già vista? È così, non serve appurarla, sarebbe un ‘copia incolla’ di estrema desolazione.
Solitamente se lo spettacolo non piace, il pubblico ‘pagante’ si alza ed esce dal teatro, e in molti credo (leggi benestanti, industriali, gotha) sono pronti a partire per altri lidi (leggi paradisi fiscali), lasciando a chi resta neppure le briciole di quella messa in scena che prometteva miracoli. Ma come si diceva il pubblico vuole divertirsi, allora anche il ritorno alla ‘Corrida’ vista alla TV può far ridere, ma rimane un riso amaro, sarcastistico, volgare, la presa in giro di chi non ce l’ha fatta, di chi sopravvive a stento, di chi non ce la fa a sopravvivere.

E noi ridiamo.
Ancora fra gli scrittori europei, Joseph Addison – che Luigi Pirandello cita en passant nel suo scritto sull’umorismo – fu il primo a riflettere e scrivere su cosa fossero la Verità (truth) e la menzogna o falsità (falsehood), e quali fossero i loro rapporti con lo ‘humour’ e il riso (laughter). Il 10 aprile 1711, in un passo del numero 35 del giornale «The Spectator», con l’intento di disegnare una genealogia giocosa, Addison infatti aveva scritto:
«Fondatrice della famiglia del Ridicolo fu la Verità, che diede nascita al Buon Senso; questo generò lo Spirito (wit), che sposò una donna di un ramo collaterale, chiamata Lietezza e ne ebbe un figlio: l’Umorismo. Esso è dunque il componente più giovane di quella illustre famiglia; e, discendendo da genitori dalle disposizioni così diverse, ha un carattere instabile e mutevole. Talvolta lo si vede assumere atteggiamenti gravi e solenni, sicché appare ora serio come un giudice ed ora buffo come un saltimbanco. Ma egli tiene molto della madre (la verità) e, indipendentemente dal suo stato d’animo, non manca mai di far ridere la compagnia.»
Ma c’è qualcuno che ride più degli altri, perché il riso dello stolto ce l’ha stampato in faccia, e non riesce a fermarlo, ride anche quando c’è da piangere e non si accorge che in fondo sta ridendo della sua vanità, dell’arroganza tipica dell’inetto qual è, incolpando gli altri senza riflettere di quello ch’egli non arriva neppure a pensare; e dire che avrebbe voluto (e in fondo lo vuole ancora), essere il primo della classe (leggi premier) ad ogni costo.
Che cosa avrà mai da ridere si dicono gli spettatori, se della commedia carnascialesca che si voleva rappresentare, assistono interdetti alla pantomima farsesca di un Carnevale di fantocci, cialtroni come non si era mai visti prima, che non fanno ridere nessun’altro che se medesimi, e che (acciuffato il malloppo) se la danno a gambe, quando correndo a perdifiato il popolino (falsamente populista) li insegue come impazzito dietro alle promesse che non hanno mantenuto, certo che un giorno li prenderà per bruciarli sul rogo di un ultimo Carnevale.

E noi (filosofi nel tempo) ridiamo all’atroce spettacolo.

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Flamenco, sin volver la cara all’Auditorium di Roma

AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA
Via Pietro De Coubertin, 30 - Roma
Mercoledì 23 Maggio 2018 ore 21:00

Un evento unico Mercoledì 23 maggio ore 21.00 presso la prestigiosa Sala Petrassi dell'Auditorium Parco Della Musica per lo spettacolo Sin Volver la Cara della compagnia Algeciras Flamenco. Un suggestivo itinerario tra immagini sonore e flamenco.

‘SIN VOLVER LA CARA’
Ideazione, Coreografie e Regia di FRANCISCA BERTON

'Sin volver la cara' è il nuovo spettacolo della Compagnia Algeciras Flamenco, frutto di collaborazioni, che come sempre arricchiscono e stimolano la creazione di una pièce, della performance. Nasce dall’esigenza di trattare temi attuali, continua la volontà di dare vita non solo a concerti o composizioni coreografiche, ma a spettacoli teatrali con spunti narrativi mediati dal flamenco.
“Senza voltarsi”, lasciandosi alle spalle ciò da cui ci si separa, portandone memoria, iniziare un nuovo percorso e dare vita ad una nuova realtà. Questo è ciò che racconta Sin volver la cara.
Attraverso diversi tableaux, vengono descritte le emozioni che immaginiamo pervadano gli Esseri Umani nelle diverse occasioni di separazione: dalla tradizione, dalla madre, dall’amore, dalla propria Terra. La separazione per eccellenza è la Nascita: da questo viaggio e dalla relativa e necessaria separazione dal grembo materno germoglia una diversa esistenza. La Nascita è fonte di dolori, gioie, paure, speranze, inquietudini, aspettative, dubbi, desideri.
Il Flamenco fa da comun denominatore all’interno dello spettacolo, in cui convivono contaminandosi anche altre forme di musica, di danza e di espressione. Il flamenco, per sua stessa natura, è il risultato di influenze varie, legate anche alle migrazioni che hanno portato all’incontro di culture diverse, musiche e danze, dall’India (secondo alcuni studiosi di Flamencologia) fino allo stanziarsi dei Gitani in Andalusia, la regione della Spagna considerata la culla del flamenco. Nuovi eventi hanno portato altre influenze: l’influenza araba, la scoperta delle Americhe, lo sviluppo canoro, lo sviluppo della tecnica musicale e della danza, el baile, che ha fatto il suo ingresso in teatro e vi ha trovato nuove ed infinite possibilità, anche attraverso l’incontro con altre forme espressive.
La musica non soltanto accompagna, ma fa parte integrante del flamenco. Una storia ricca di separazioni e di ritorni, di viaggi, di ricchezza che appartiene al grande tesoro culturale del Mediterraneo. L’andata ed il ritorno (la ida y vuelta) possono avere tregua solo quando ciascuna cosa trova la propria collocazione, il naturale approdo, dopo tanto vagare, ad una condizione migliore.
BRUNO MAROCCHINI Electronic music, SERGIO VARCASIA Chitarra, RICCARDO GARCIA RUBI Chitarra, JOSÉ SALGUERO Cante flamenco, PAOLO MONALDI Percussioni, CLAUDIO MERICO Violino, ENRICO GALLO Tamburello, CATERINA LUCIA COSTA Bailaora ospite, FRANCISCA BERTON Solista, CHIARA CANDIDI Teatro e pizzica, FLAVIA LUCHENTI-GIULIA PETTINARI Corpo di ballo
PAOLO DE PASCALE Testi e narrazione
Costumi di Daniela Catone Scultura Toro-Chitarra di Alessandro D’Ercole Versi di Luigi De Pascalis.
AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA
Via Pietro De Coubertin, 30 - Roma
Mercoledì 23 Maggio 2018 ore 21:00

Ufficio Stampa Compagnia Elisa Fantinel elisafantinel@yahoo.it +39 335 8160566
INFO e PRENOTAZIONI:
Associazione Culturale Algeciras Flamenco www.algecirasflamenco.com
Tel. +39 331 5973316 info@algecirasflamenco.com algecirasflamenco@gmail.com

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Maggio in poesia, libri, teatro, musica, concorsi


Ben venga Maggio!

POETRY VICENZA 2018
Festival di poesia contemporanea e musica a cura di Marco Fazzini.

26 poeti stranieri, 24 poeti italiani, traduttori, attori, musicisti e critici letterari danno vita a oltre due mesi di eventi nei palazzi storici della città palladiana di Vicenza. Promosso dalle Gallerie d’Italia Palazzo Leoni Montanari e dal Comune di Vicenza (Assessorato alla Crescita), in collaborazione con l’associazione culturale TheArtsBox.
Sabato 19 maggio – ore 17.00
Gallerie d’Italia – Palazzo Leoni Montanari - Contrà Santa Corona, 25 – Vicenza
Una tavola rotonda con Flavio Ermini (“Anterem”), Lelio Scanavini (“Il Segnale”) e Gian Ruggero Manzoni (“Origini” e “ALI”).
Si tratta di una tavola rotonda nella quale tre direttori di tre riviste storiche di poesia in Italia discuteranno di poetiche, di editoria per la poesia, del significato odierno di investire sulla poesia, e su cosa significhi selezionare dei testi per un pubblico di nicchia, eppure numeroso.


BOLOGNA IN LETTERE
festival Multi-Disciplinare di Letteratura Contemporanea
Bologna in Lettere prosegue il suo cammino con il Festival dei nostri tempi presso Millenium Gallery in via Riva di Reno 77/A
VI Edizione, DISLIVELLI dal 4/5 – 11/12 – 18/19 maggio 2018.

Venerdì 11 Maggio 2018, ore 18
Serata di premiazione della IV Edizione del Concorso letterario per poesia edita e inedita di Bologna in LettereVenerdì 11 maggio alla Galleria Millenium (Via Riva di Reno 77/A, ore 18): il "Premio Bologna in Lettere" con le opere, tra gli altri, di Alessandra Carnaroli, Ida Travi, Fabio Orecchini, Lella De Marchi, Paola Silvia Dolci, Gabriel Del Sarto, Andrea Donaera.
Sabato 12 maggio al CostArena (Via Azzo Gardino 48, dalle 13 alle 22) in una maratona non-stop che si svilupperà tra pranzi letterari, reading, performance e approfondimenti in un regime di aggregazione e cultura.
Con il Patrocinio della Città Metropolitana di Bologna.
Sul sito potete trovare il programma completo con tutte le info e i partecipanti:
(https://boinlettere.wordpress.com/2018/04/14/bologna-in-lettere-2018-dislivelli-il-programma-completo/)
Domenica 13 maggio, alle 18 a Villa Pisani di Stra (nell'Aranciera) Jazz Area Metropolitana ospita il Cristiano Arcelli Trio "Solaris". In occasione del concerto anche Street Food di qualità e la possibilità di visite guidate alla Villa.
L'ingresso al concerto è libero

L'Aranciera Villa della bellissima Villa Pisani di Stra (VE) è teatro del concerto di uno dei migliori sassofonisti oggi sul territorio italiano, Cristiano Arcelli: con il suo trio propone il progetto "Solaris" per una performance a ingresso libero, domenica 13 maggio, alle ore 18 per Jazz Area Metropolitana. In occasione del concerto ci sarà ad accogliere il pubblico anche lo Street Food dell'Osteria da Tomà e sarà possibile anche partecipare alle visite guidate della Villa organizzate in loco.

Il concerto di Arcelli è l'ultimo appuntamento della stagione di Jazz Area Metropolitana che "sfocia", a partire dalla prima metà di giugno, nel Festival Sile Jazz, organizzato ancora una volta da nusica.org, e il cui programma (ben 15 i concerti previsti!) verrà a breve presentato al pubblico e alla stampa.
Il trio è composto dallo stesso Arcelli (sax alto), Stefano Senni (contrabbasso) e Bernardo Guerra (batteria): il sax del leader, dal suono netto e puro, poggia sul potente drive di Senni e l’imperturbabile pulsazione di Paternesi. La loro è una musica fresca e nuova. “Nel jazz, il materiale musicale viene continuamente trasformato, il linguaggio si arricchisce ed evolve in forme complesse per poi tornare ad una radice comune”, spiega Arcelli. In “Solaris” la musica del trio conserva l’impronta, la memoria di un passato musicale: esso viene assimilato e poi riportato in superficie sotto forma di complesse e multiformi “emersioni”, queste ultime mutevoli elementi di un’identità in continuo divenire.
Tracce di questa memoria emergono sin dalla formazione del trio che “ricorda gli autorevoli precedenti di Ornette Coleman e Lee Konitz” (osserva il critico Giuseppe Vigna). Tale formazione, che mette al centro della musica il sax alto, lascia comunque grande spazio a uno spontaneo interplay. I tre strumentisti partono alla ricerca di spunti e ispirazioni dalla tradizione per produrre, attraverso un linguaggio acustico e libero, quelli che Arcelli definisce nuovi “fiori artificiali”, che cresceranno “lungo i sentieri appena tracciati di una musica che nel suo frenetico divenire ha sempre bruciato le tappe”.
Cristiano Arcelli è sassofonista, compositore e arrangiatore. Solaris è il suo primo album in trio con Stefano Senni e Bernardo Guerra.
Ha composto per l’Italian Jazz Orchestra, l’Orchestra Bruno Maderna e la Bangkok Symphony Orchestra. Ha inciso in qualità di band leader Solaris (Encore Jazz 2015), Brooks (Auand 2013), Urban Take (Radar - Egea 2009), Bestiario (Radar - Egea 2006), Ricercando (Wide Sound 2002) e Di Terra (Wide Sound 2001). Suoi sono gli arrangiamenti musicali di Pane e tempesta e Il museo dell’innocenza (Paolo Damiani), La donna di cristallo (Cristina Zavalloni), Radar Band play Nino Rota e Da Istanbul a Napoli (Cartagena Music Festival), Diario del ritorno (Crociano Festival) e Sera d’autunno (Trento Jazz).
Si è esibito a Umbria Jazz, Torino Jazz Festival, Jazz at Lincoln Center (NY), Cartagena Music Festival, Casa del Jazz (Rome), European Jazz Expo, Maison de la culture de Grenoble, New Morning (Paris), Saalfelden Jazz Festival, Beijing Internationl Jazz Festival, Amiens, Teatro Regio (Torino), Auditorium Parco della Musica (Rome). Ha suonato e registrato con Enrico Rava, Joe Chambers, Paolo Damiani, Cristina Zavalloni, Dafins Prieto, Paul McCandless, Cyro Baptista, Danilo Rea, Gabriele Mirabassi, Pietro Tonolo, Nguyen Lè, Stefano Battaglia.
Stefano Senni, classe 1972, si è diplomato alla Civica Scuola di Jazz di Milano e perfezionato con Rosario Bonaccorso. Ha seguito masterclass di Ray Brown. Si è esibito nel più prestigiosi festival jazz, come il JVC festival di Torino, il Padova Porsche Jazz festival, il Paris JVC Jazz festival, il Jazz Image Villa Celimontana, il Dubai international jazz festival, il Jazz Plaza L'Havana, il Festival di Calvi in Corsica. Le sue collaborazioni comprendono molti nomi fra i più prestigiosi del jazz italiano, oltre ad artisti internazionali tra cui Tony Scott, Art Farmer, Benny Golson, Cedar Walton, Lee Konitz, Barry Harris, Steve Grossman, Randy Brecker, Jimmy Owens, Bobby Watson, Bob Mover, George Cables, Eliot Zigmund, Franco Ambrosetti, Rachel Gould, Tom Kirkpatrick, Steve Ellington, Larry Smith, Bob Sands, Tom Harrell, Keith Copeland, Carl Fontana, Tardo Hammer, Oscar Noriega, Ronnie Matthews, Ray Mantilla, Eddie Henderson, Chris Speed, Irio De Paula, Dave Schnitter, Bob Mintzer, Rory Stuart, Charli Persip. Ha incontrato in jam session, tra gli altri, Kenny Kirkland e Vinnie Colaiuta.
Alessandro Paternesi
Batterista e compositore nato a Fabriano nel 1983, Alessandro Paternesi è tra i sideman più ricercati del momento nel jazz italiano grazie alla sua musicalità. Nel 2013 Alessandro ha visto riconoscere il suo impegno e il suo talento sia dal premio TOP JAZZ (3° classificato come miglior talento 2012) che dai Jazzit Awards 2012 (3° miglior batterista italiano).
Diplomato in Strumenti a Percussione al conservatorio Morlacchi di Perugia e laureato in jazz al Conservatorio Santa Cecilia di Roma ha studiato con i maestri Massimo Manzi, Marc Miralta, Roberto Gatto, Jimmy Cobb, Jaff “Tain” Wats, Ramberto Ciammarughi, Lele Veronesi, Ettore Fioravanti, Ron Savage. Oggi insegna batteria jazz ai preaccademici del Conservatorio Santa Cecilia e al triennio del Conservatorio Morlacchi. Fa parte della Radar Band dal 2010 e attualmente è impegnato nei progetti di Enzo Pietropaoli
Quartet, Enrico Zanisi Trio, SPL di Fulvio Sigurtà e in varie formazioni con grandi jazzisti come Rita Marcotulli e Luciano Biondini, Dario Deidda e Julian Oliver Mazzariello e Giovanni Tommaso.
Come leader e compositore guida l’innovativo progetto P.O.V. Quintet con cui ha esordito nel 2012 con il CD “Dedicato” per Radar Records/Egea Distribution.

Informazioni e prenotazioni per il concerto: 347 5793170 oppure info@jazzareametropolitana.com
Informazioni per le visite guidate: http://villapisani.beniculturali.it. I residenti sulla riviera del Brenta hanno diritto alla riduzione sull'ingresso alla Visita Guidata
Press Jazz Area Metropolitana
Clara Giangaspero 338 4543975

IL MISTERO DELLE VOCI BULGARE featuring Lisa Gerrard,
torna dopo 20 anni con un nuovo album: “BooCheeMish”
In uscita il 25 maggio 2018 per 4AD Records e distrubuito da Audioglobe
Link al video: https://www.youtube.com/watch?v=UlONQcQNatE&t=87s

A distanza di 20 anni dal precedente, il Mistero delle Voci Bulgare pubblica un nuovo album a maggio, con ospite speciale Lisa Gerrard.
Gaito Ufficio Stampa e Promozione
Guido Gaito info@gaito.it
+39 329 0704981 | + 39 06 45677859
Via Vincenzo Picardi 4C - 00197 Roma

Il Mistero delle Voci Bulgare torna dopo 20 anni con un nuovo album in uscita il 25 maggio, dal titolo “BooCheeMish”. Il disco vede la partecipazione straordinaria di Lisa Gerrard, cantante di origini australiane nota al grande pubblico per aver co-fondato i Dead Can Dance, per le innumerevoli collaborazioni e la partecipazione a diverse colonne sonore in collaborazione con Hans Zimmer (Il Gladiatore, Insider) ed Ennio Morricone (Fateless).
“BooCheeMish” alterna brani originali, scritti da Petar Dundakov, con riarrangiamenti di canti popolari del folklore bulgaro, sfruttando gli archi, le percussioni e la drum machine. Le canzoni sono eseguite con la particolare tecnica vocale che contraddistingue la cifra stilistica del coro, ovvero sfruttare voci parallele a intervalli di seconda, di quarta e di quinta. Ad amplificare le sfumature del disco, la voce unica di Lisa Gerrard. When I went to see the choir as a kid, I thought: That’s it, that’s the top. You can’t go any further than that, dichiara la cantante australiana, che più volte ha riconosciuto l’influenza che Il Mistero della Voci Bulgare ha avuto nel suo particolare modo di cantare, suggellandola con una preziosa collaborazione.

Il primo disco “Le Mystere des Voix Bulgares” del 1975 seguì a una serie di registrazioni di cori femminili che il musicologo francese Marcel Cellier portò dalla Bulgaria. Il coro ha ricevuto apprezzamenti, tra gli altri, da Paul Simon, Sandy Denny, Frank Zappa, Crosby, Stills & Nash e The Grateful Dead. Nel 1988 fu pubblicata una riedizione dell’album da 4AD label, rinnovando il successo di pubblico e vincendo il Grammy per Best Traditional Folk Recording. World Music misteriosa e magica con un suono straordinariamente moderno e originale, descritta anche come “the marriage of the avant-garde and the Middle Ages”, questo è Il Mistero delle Voci Bulgare. A dirigere il coro da 25 anni è Dora Hristova, diplomata al National Music Academy “Prof. Pancho Vladigerov”, e da anni impegnata nel perfezionamento della musica corale contemporanea, descrive il coro come a natural, piercing sound for the outdoors to carry across the fields or from hilltop to hilltop. The sound is created in the larynx and resonates in the chest. It requires great pressure of the breath to create the sound and you must be very strong to sing in this fashion.

L’ensemble, nei suoi coloratissimi abiti tradizionali, si è esibito in oltre 1250 concerti in tutto il mondo, e ha collaborato con artisti come Kate Bush, Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins, U2 e il rapper Drake. In Italia si ricorda la storica collaborazione con Elio e le Storie Tese nella canzone Pippero contenuta nell’album “İtalyan, Rum Casusu Çıktı” del 1992.

LABORATORIO TEATRALE A CURA DI LEONARDO CAPUANO
Organizzato da Theatron 2.0
21 maggio > 24 maggio 2018 (h. 14.00 - 21.00)
Fonderia 900 - Via del Pastore Faustolo 3, 00181 Roma

"Il lavoro del seminario è sul monologo come condizione scenica-creativa e come forma teatrale. È una possibilità espressiva che, oltre a mettere a disposizione ad ogni nostro tentativo questa o quella convenzione, ci dà la possibilità di agire al di là di quel che ritenevamo possibile come attori. Abitare la scena da soli implica il non accontentarsi, ma obbliga a spingersi più in là. Così il lavoro dell’attore ha modo di manifestarsi in direzioni non previste, ma proficue e a volte eccezionali.
Le giornate di lavoro saranno indirizzate alla creazione di alcuni dei monologhi tra quelli scritti dai partecipanti, mettendo in evidenza le diverse fasi che compongono il lavoro. La scelta dei monologhi da mettere in scena sarà determinata dalle peculiarità teatrali che i testi offrono e dal tempo a disposizione."

Durante i giorni di laboratorio il lavoro prevede per ciascun partecipante:
• Lavoro dell’attore fisico e vocale;
• Creazione delle figure, centrali o periferiche che possono far parte del monologo;
• Creazioni di situazioni possibili da abitare per far emergere materiale originale. Il materiale sarà comico, drammatico, o tragicomico;
• Creazione di materiali drammaturgici, attraverso la scrittura libera, o guidata dall’insegnante a tavolino o attraverso esercizi teatrali.
• Analisi dei materiali composti durante i giorni di lavoro;
• Creazione della drammaturgia e individuazione dei segni e dei linguaggi utilizzati nella composizione;
• Lavoro sulla composizione del monologo e intervento registico finale.

“La cosa che sempre mi affascina è la possibilità di dare forma a ciò che forma non ha, a ciò che è così difficile da raccontare, da far capire: dare forma alla propria emotività in azione sintetiche, in sovversioni fisiche o verbali, tradurre ciò che si muove dentro fino ad arrivare a sé, o a quel che si insegue, ad un proprio stare, un proprio dire, un proprio sguardo. Il proprio Teatro, in forma di monologo”

LEONARDO CAPUANO
Attore diplomato presso la Scuola di formazione teatrale Laboratorio Nove, è portatore di un teatro rigoroso e accurato e di una visione personale della profondità dell’animo umano e delle sue contraddizioni. Si è rivelato al pubblico nella duplice veste di attore ed autore con vari monologhi, quali La cura, che debutta al festival di Volterra nel 2000, Zero Spaccato (2003 e ripreso nel 2017), La sofferenza inutile (2012) e Elettrocardiodramma (2013). Nel 2003 crea con Renata Palminiello Due, presentato in diversi festival di teatro tra i quali Volterra, Inteatro (Polverigi), Santarcangelo, Inequibilbrio (Castiglioncello).Nel 2004 con l’attore Roberto Abbiati crea Pasticceri, spettacolo che ha realizzato numerose repliche, ottenendo un ottimo successo di pubblico e critica e che ancora oggi è nei teatri italiani.

Ha lavorato con Alfonso Santagata negli spettacoli Ubu Re e Terra sventrata; con la compagnia Lombardi -Tiezzi ne Gli uccelli di Aristofane; con il regista Pietro Babina in Ritter Dene Voss, Il libro di Giobbe e con Annalisa Bianco in Bilal. Da diversi anni lavora stabilmente con Umberto Orsini e conduce seminari sul lavoro dell’attore con un approccio legato alla fisicità del gesto e della voce.Nel 2017 inizia la collaborazione con il regista Alessandro Serra come protagonista di Macbettu, insignito del premio ANCT 2017 e del premio UBU 2017 come miglior spettacolo dell’anno.

Per candidarsi inviare una mail con curriculum e una foto a info@theatronduepuntozero.it entro e non oltre il 13 maggio 2018. • Specificare se la candidatura è per partecipante o per uditore. Press: Paola Corsi corsi.paola.az@gmail.com


NOVITA' DAL SITO www.larecherche.it
LaRecherche.it invita a partecipare all’Antologia proustiana 2018 - Cherchez la femme: marcelproust@larecherche.it

Nel corso della Recherche il Narratore sente spesso il desiderio di visitare l’Italia, in particolare Venezia e Firenze, soprattutto quando vuole sfuggire alle angosce dell’amore: durante il periodo dell’amore non corrisposto con Gilberte sogna il viaggio che lo possa liberare dalla pena del vedere la ragazza quasi ogni giorno. Poi, quando è il reclusore-prigioniero di Albertine, sogna il momento in cui non sarà più legato alla donna che lo fa soffrire e potrà seguire le sue passioni e il desiderio di vedere le città d’arte italiane. Nella vita reale Proust incontra Venezia grazie a Ruskin, di cui traduce alcune opere, e nel 1899 comincia a desiderare di visitare la città, desiderio che si compirà nella primavera dell’anno seguente. Trovandosi a Venezia avrebbe voluto visitare anche Firenze, ma per motivi imprecisati riteneva la città toscana nociva per la sua salute. Decise così, vista la vicinanza, di visitare Padova, per vedere gli affreschi nella cappella della Madonna dell’Arena di Padova. Già conosceva il ciclo di affreschi di Giotto, i Vizi e le Virtù, per averlo visto nelle riproduzioni fotografiche presenti in Fors Clavigera, di John Ruskin.

Nella Recherche, invece, il Narratore vede queste riproduzioni da piccolo per averle ricevute in dono da Swann, e uno dei motivi per cui, durante un viaggio, si ferma a Padova è per un incontro amoroso con la cameriera della baronessa Putbus, la quale, col suo accento e i suoi modi, lo riporta vertiginosamente col pensiero a Combray. Sembrerebbe che nella Recherche il viaggio verso Venezia e Padova rappresenti un collegamento diretto con le intermittenze del cuore e la sensualità, e un viaggio dell’anima e della mente verso una maggiore conoscenza dell’ideale femminile. La sovrapposizione dei legami sentimentali e la casa dell’infanzia, con il luogo dove gli affreschi sono custoditi, fa pensare che le immagini del ciclo di affreschi di Giotto rappresentino una sorta di archetipizzazione della donna.
In una visuale più ampia il ciclo di affreschi, o i singoli personaggi che lo compongono, pulsa sotto la superficie della Recherche e vi affiora qua e là: al Narratore capita a volte di trovarsi di fronte, in carne e ossa, le figure create da Giotto. Basti pensare alla povera sguattera di Combray, punita da Françoise e ridotta alle lacrime da una forte allergia, sul cui volto il Narratore ritrova le fattezze un po’ virili della Carità; o l’Invidia, rappresentata da Giotto con il serpente che le esce dalla bocca, che gli torna alla mente grazie a certe immagini scorte sui libri di medicina del padre.
Nelle grandi cattedrali alle vetrate era affidato il compito di conferire a tutto lo spazio una illuminazione cangiante e diversa in ogni momento della giornata, ma soprattutto quello di narrare, in modo dettagliato, episodi delle scritture, vite di santi e re. Se la Recherche è l’impareggiabile cattedrale elevata da Marcel Proust, ci piace immaginare che vi siano in essa delle vetrate che conferiscono a tutta l’Opera un colore particolare che va a posarsi ora su uno ora su un altro particolare della costruzione riempiendo lo spazio in modo a volte deciso, altre appena accennato: proprio nelle vetrate della Recherche, immaginiamo raccontate le vite e i sentimenti di diverse donne.In ogni cattedrale la parte che viene maggiormente valorizzata è l’abside, luogo sacro e fulcro della costruzione, nelle vetrate che circondano l’abside vengono raffigurati con dovizia di particolari e ricchezza di materiali i personaggi biblici più importanti.
Generalmente prestavano il volto a santi e divinità i nobili della città o i soldati particolarmente valorosi, allo stesso modo immaginiamo che Proust, nel creare, tassello dopo tassello, le sue mirabili vetrate, abbia usato i volti e le gesta delle donne a lui più vicine al fine di comporre un ciclo ispirato al lavoro di Giotto, offrendoci però la sua particolarissima, acuta e originale visione dei vizi e delle virtù umane.

Modalità di partecipazione:
Invio e scadenza
Tutti sono invitati a partecipare inviando il materiale, attinente al tema sopra descritto, alla e-mail marcelproust@larecherche.it, entro e non oltre il 21 giugno 2018(non sono accettate opere inviate in altro modo). L’antologia sarà pubblicata, in formato pdf, epub, mobi (per kindle), sui siti www.larecherche.it e www.ebook-larecherche.it il giorno 10 luglio 2018 in occasione del 147° compleanno di Marcel Proust.

Formato delle Opere
È possibile partecipare con poesie, racconti, articoli, brevi saggi, disegni, fotografie o altro. I testi dovranno essere in uno dei seguenti formati: rtf, doc, docx, odt (non sono accettate opere inviate in formato pdf); le immagini dovranno essere in uno dei seguenti formati: jpg, tif, png.

Per quanto riguarda la prosa, i testi dovranno essere di lunghezza non superiore a 15.000 (quindicimila) battute, spazi inclusi.

Per quanto riguarda la poesia si potrà inviare un massimo di tre poesie, ciascuna delle quali non dovrà essere di lunghezza superiore ai 30 (trenta) versi.
Per quanto riguarda le immagini dovranno essere inviate di buona qualità (almeno 200 dpi).
I curatori valuteranno se inserire in antologia tutta l’Opera inviata o parte di essa.

L’autore può inviare, con l’Opera, una breve biografia di lunghezza tassativamente non superiore alle 350 battute, spazi inclusi. Nel caso di biografie più lunghe, i curatori si riservano il diritto di eliminare le battute in eccesso, dalla 351° in poi, senza editare il testo ma inserendo dei puntini (…), oppure di non inserire la biografia dell’autore.

Bozze e autorizzazione alla pubblicazione
LaRecherche.it, per procedere alla pubblicazione, sia della versione e-book che della versione a stampa, non è obbligata a fare visionare le bozze agli autori né ad ottenere da essi una ulteriore autorizzazione alla pubblicazione oltre a quella sottoscritta con l’invio dell’Opera alla suddetta e-mail da parte dell’autore.
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DAL SALONE DEL LIBRO DI TORINO
Safarà Editore è presente al Salone Internazionale del Libro di Torino dal 10 al 14 maggio al Padiglione 2, stand G01.

Allo stand del Friuli Venezia Giulia (Padiglione 1, Posizione B33) presenteremo domenica 13 maggio alle 18:30 il romanzo di Stefano Tevini "Storia di cento occhi" in un incontro chiamato "La distopia: una chiave per comprendere il reale".
Stefano Tevini a partire dal suo romanzo distopico "Storia di
cento occhi" (Safarà Editore, 2017) presenta un genere, a metà tra fantascienza e fantasia, che ci parla del nostro presente.

Allo stand troverete in anteprima la nuova raccolta di racconti dello scrittore di "Lanark. Una vita in quattro libri" intitolata "Con un piede nella fossa"! Il libro uscirà in libreria a fine maggio ma lo potete già trovare nel nostro sito e in anteprima al Salone del Libro.

L’autore dell’ormai classico “Lanark” torna in scena con un’irriverente raccolta di racconti.Dal 1981, quando il celebre romanzo di Alasdair Gray “Lanark. Una vita in quattro libri” è stato pubblicato per la prima volta, i suoi personaggi sono invecchiati quanto il loro autore. “Con un piede nella fossa” narra così le vicissitudini di 13 uomini negli ultimi stadi della decrepitezza fisica, morale e sociale, tracciando una panoramica antropologica e letteraria che rappresenta un autentico toccasana per i giovani. Una raccolta di racconti irrinunciabile e spassosa, che ribadisce la posizione di Gray come uno dei maestri indiscussi della narrativa contemporanea.

«Un’eccezionale raccolta… incredibilmente originale».
Ali Smith
«Uno degli scrittori più dotati che abbiano mai impugnato la lingua inglese».
Irvine Welsh in The Guardian
«In queste 13 storie, Gray danza attraversando i molti malumori della vita moderna».
Publishers Weekly
«Una raccolta curiosa di storie semiautobiografiche, dall’ormai veterano autore Alasdair Gray».
Kirkus Review



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’Sembianze’ un’opera inedita debutta ad Afragola

'SEMBIANZE' con la Compagnia Teatrale Hirondelle

L'attesa commedia in due atti andrà in scena l’11 Maggio, al Teatro Gelsomino di Afragola. Un’opera inedita, nata dalla penna di Maria Porzio e liberamente ispirata al 'Fiore', poemetto di dubbia attribuzione dantesca, da sempre fulcro di dibattito tra gli studiosi del ghibellin fuggiasco dallo spiccato carattere allegorico che porta in scena il contrasto tra i vizi e le virtù, tra l’amore e i suoi ostacoli. Un simbolismo che diventa colore, in un'opera vivace, adatta anche anche ai ragazzi in giovane età.

Protagonisti sono l’ipocrisia, l’amore provato, l’amore come oggetto del desiderio, la maldicenza, il pudore, la benevolenza e la logica. Un gioco di simbolismi che diventa gioco di colore, in un’opera vivace, adatta anche ai ragazzi in giovane età. Come è solito per la Compagnia Teatrale Hirondelle, il teatro abbraccia la letteratura e tende la mano ad altre opere. Non mancano infatti citazioni, da Plauto a Shakespeare, con riferimenti al mondo di Dante e alla sua poetica.

Una sfida interpretativa, per chi ama la letteratura ed il teatro di un tempo in uno spettacolo suggestivo per un mondo immaginario. In occasione della serata dell’evento, gli attori cederanno il palco anche ad alcuni scrittori. La compagnia teatrale Hirondelle ha infatti nel mese scorso indetto un concorso letterario a tema ‘Sembianze’. L’11 sera si scopriranno i vincitori del concorso, che verranno premiati dalla casa editrice Alessandro Polidoro Editore, gentile offerente del premio per il primo ed il terzo classificato, e dalla libreria Biblos, responsabile del premio per il secondo classificato.I testi premiati saranno letti da un’ attrice della compagnia teatrale.

L’11 Maggio, sarà quindi una serata all’insegna della cultura, del teatro e della letteratura. Dell’arte in genere, della fantasia e della poesia. 11 Maggio, ore 20.30 – Teatro Gelsomino Via Don Giovanni Bosco 25, Afragola (NA) Per info e prenotazioni: telefono: 3394892215 (anche whatsapp) / 0818832247 email: hirondelle.teatro@gmail.com fb: https://www.facebook.com/Hirondelle.teatro/

Se amate il teatro, se amate la letteratura, allora non potete non amare 'Sembianze' e, soprattutto, non potete mancare! Se anche non amate il teatro, e siete ancora alla ricerca del vostro amore per i libri, non potete non amare 'Sembianze'. Quando la letteratura e il teatro si incontrano, non può che nascerne un momento magico. A voi, finalisti, va il nostro più grande applauso, per aver partecipato con grande sensibilità e impegno. Ci auguriamo, di ricevere da parte vostra, lo stesso calore, lo stesso applauso sincero.

Una commedia che non si limita ad essere tale, che tende la mano alla tragedia, che sonda le degenerazioni dell'uomo ed unisce insieme amore e il suo contrario: amore e ragione, amore e morte.
L'amore è un peccato?
L'amore è un fiore?
Cos'è l'amore?
Promesse, lenzuola, sguardi,
carezze, rime, parole.
Parole.
Sembianze.


CONTATTI
Per qualsiasi informazione, potete:
- chiamare il numero 3394892215
- inviare un messaggio tramite facebook alla pagina https://www.facebook.com/Hirondelle.teatro/
- inviare un messaggio di posta elettronica all’indirizzo hirondelle.teatro@gmail.com.

La Compagnia Teatrale Hirondelle ha organizzato un concorso letterario aperto a tutti gli scrittori creativi e poeti appassionati, innamorati della lingua italiana. Questo fantastico contest letterario mira a fornire visibilità agli scrittori di narrativa emergenti, assegnando loro un fantastico premio. Il concorso è aperto a chiunque e l'opera può vertere su qualsiasi argomento e scritta in qualsiasi stile, è importante che sia un lavoro inedito e originale.

Per iniziativa della compagnia teatrale Hirondelle è stato indetto quest'anno il concorso letterario 'Sembianze'. Da sempre fautrice della commistione tra le arti, della fusione tra teatro e poesia, musica e danza, la compagnia vuole attraverso questo concorso dimostrare ancora una volta il suo impegno nella promozione della cultura, il suo sostegno a chi fa della creatività una missione e del foglio bianco una sfida.

La vostra fattiva partecipazione renderà possibile ripetere questa ed altre esperienze in futuro. W il teatro e, soprattutto, il giovane teatro di Hirondelle.




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Venezia Times Cinema - aperte le iscrizioni

VENEZIA 2018
28 Times Cinema: aperte le iscrizioni.

In collaborazione con Cineuropa – Il meglio del Cinema Europeo.
19/04/2018: Il Premio LUX, Europa Cinemas, le Giornate degli Autori di Venezia e Cineuropa invitano 28 giovani cinefili alla Mostra del cinema di Venezia.
Since 2010, the European Parliament has supported the 28 Times Cinema project which gives the opportunity to 28 young film-lovers, selected through the cinemas of the Europa Cinemas network, to represent each of the 28 European countries at the Venice Film Festival as jury members of the Giornate degli Autori official competition.
The 28 jurors will award a prize to a film selected in the Giornate degli Autori competition. They will also watch the three films competing for the LUX Prize for which they will be afterwards the ambassadors during the LUX Film Days organized in their respective countries.
During Venice the 28 ambassadors will also be invited to take part in workshops and debates with audiovisual industry professionals and to meet members of the European Parliament’s Culture and Education committee. They will share their experience and their passion for cinema in a blog (here) and through virtual ‘postcards’ sent from the Festival and shared in the LUX Prize, Cineuropa and Europa Cinemas’ social networks.
Please visit the LUX Prize website to find which cinemas are taking part in the call for application this year, and learn how to contact them to submit your application.

Recensioni:
‘Respiri’ di Vittoria Scarpa
19/04/2018 - Evento speciale al Festival di Lecce, il primo lungometraggio di Alberto Fiorillo è un intricato thriller psicologico, con Alessio Boni nei panni di un uomo reduce da una grave perdita
Visto di recente in La ragazza nella nebbia di Donato Carrisi, Alessio Boni torna a prestare il suo volto a un controverso e ambiguo personaggio di thriller in Respiri, primo lungometraggio di Alfredo Fiorillo, presentato come evento speciale al 19° Festival del cinema europeo di Lecce (9-14 aprile). Un’intricata ghost story, ambiziosa e impegnativa, visivamente molto accurata, ma da cui si esce un po’ disorientati e con troppe domande nella testa. Sulle rive del lago di Iseo, una sontuosa villa in stile liberty è il luogo che racchiude fantasmi, oscure presenze e ricordi dolorosi per Francesco (Boni), bell’ingegnere quarantenne con figlia piccola dai capelli rossi, Elisa (Eleonora Trevisani). La villa appartiene alla sua famiglia e lui vi ritorna dopo tanti anni, insieme alla bimba, in preda a tormenti e inquietudini. Che cosa gli è successo? Perché ha deciso di ritirarsi in quella casa deserta e semi abbandonata? Chi c’è dietro quella porta, su un letto, attaccato a un respiratore che sentiamo risuonare in tutto l’edificio? E perché Francesco non permette a nessuno di entrare in quella stanza? Gli interrogativi sono tanti e mano a mano che il film procede, invece di diminuire, si moltiplicano in modo esponenziale, trovando solo negli ultimissimi minuti una parziale spiegazione.
Una governante (Milena Vukotic), un custode (Pino Calabrese), un’infermiera (Eva Grimaldi), un vecchio parente (Lino Capolicchio) e un’affascinante amica d’infanzia (l’attrice ucraina Lidija Liberman) sono altrettante figure che appaiono e scompaiono, reali o immaginarie, tra le stanze e i corridoi della villa, location unica di questo viaggio nella mente dalle atmosfere gotiche. Alessio Boni è un interprete di spessore, e qui si impegna a restituire, andando oltre il naturalismo e rischiando anche un po’, le inquietudini e il bipolarismo del protagonista. Un set, questo, particolarmente sentito per l’attore lombardo, visto che è cresciuto proprio vicino alla villa del film, che si trova a Sarnico (Bergamo). Da notare, inoltre, il prezioso tocco dato dalle musiche sempre efficaci di Teho Teardo (Diaz - Don't Clean Up This Blood e Il gioellino, tra le sue tante colonne sonore per il cinema).
“Respiri è un film difficilmente collocabile, frutto di un’operazione personale e libera”, spiega il regista, già autore di pubblicità e programmi televisivi, e che qui firma la sceneggiatura insieme alla produttrice Angela Prudenzi. “Tutto nasce da una domanda molto semplice: quanto siamo capaci di convivere con il dolore? E’ un sentimento che tutti conosciamo, ma non sempre sappiamo affrontarlo, capirlo e accettarlo”. Un punto di partenza interessante che però nel suo svolgimento, tra ripetizioni, espedienti per creare suspense un po’ forzati e azioni cui si stenta a dare una motivazione, fatica a coinvolgere pienamente lo spettatore.Respiri è una produzione italo-polacca di L’Age d’or, società del regista, in collaborazione con Agresywna Banda. L’uscita nelle sale italiane è fissata al 7 giugno con Europictures.

‘Io sono Tempesta’ di Camillo De Marco
12/04/2018 - Nell’”opera buffa” di Daniele Luchetti, Marco Giallini è uno spregiudicato quanto carismatico uomo d’affari condannato ai servizi sociali
Daniele Luchetti è conosciuto e amato per i suoi film degli esordi, che ben interpretavano attraverso la satira mutamenti politici, crisi generazionali e drammi sociali: l’esordio Domani accadrà, prodotto dalla Sacher di Nanni Moretti, che interpreterà poi Il portaborse nel 1991; Mio fratello è figlio unico; il memorabile La nostra vita, in concorso a Cannes nel 2010, che porta al protagonista Elio Germano il Prix d'interprétation masculine. Con Io sono Tempesta, prodotto da Cattleya con RAI Cinema e nelle sale italiane da oggi con 01 Distribution, il regista romano affronta i temi del capitalismo schizofrenico e i disequilibri sociali ma con una leggerezza inedita, quasi da fiaba, e i toni da “opera buffa”, come lui stesso definisce il film. Lo spunto pare sia nato dalla condanna per frode fiscale inflitta qualche anno fa all’ex premier milionario Silvio Berlusconi, affidato ai servizi sociali presso un istituto di assistenza agli anziani nella periferia lombarda. La sceneggiatura, scritta da Luchetti con Sandro Petraglia e Giulia Calenda, ha abbandonato il personaggio pubblico per crearne uno ex novo, interpretato nel film da Marco Giallini (The Place).
Numa Tempesta (nome che riecheggia uno dei sette re della Roma antica) è uno spregiudicato quanto carismatico uomo d’affari che gestisce un fondo d’investimento da un miliardo e mezzo di euro. Vive in un gigantesco hotel disabitato di sua proprietà, in cui si muove tra automobiline giocattolo e biliardini elettrici vintage, e sontuosi lettoni sui quali viene intrattenuto da tre simpaticissime e colte escort, chiamate “le Radiose”. Proprio nel momento in cui sta concludendo un importante affare in Kazakistan, i suoi avvocati lo informano che dovrà scontare un anno ai servizi sociali a causa di una vecchia condanna per evasione fiscale. Dopo pochi giorni eccolo arrivare in Maserati guidata dall’autista con uno dei suoi vestiti d’alta sartoria nel centro di assistenza per i senzatetto a cui è stato assegnato. Lo scontro con la dogmatica direttrice (Eleonora Danco) è immediato. Ma è proprio con gli emarginati frequentatori dell’istituto che Numa stabilisce lentamente una relazione. “Io sono nato povero e adesso vi insegno come diventare milionari”. E’ un giovane padre (Elio Germano) con figlio al seguito (l’espressivo Francesco Gheghi) a rimanere particolarmente affascinato dal finanziere, che nel frattempo però viene abbandonato dai suoi azionisti e deve trovare una soluzione al suo declino economico.
Nonostante la coralità del cast, Marco Giallini, indubbiamente bravo e a suo agio nel personaggio, sostiene sulle sue spalle l’intero film, anche nei momenti meno riusciti. La tragicomica commedia ha però diversi spunti di riflessione e di divertimento scanzonato, senza affondare il colpo come Luchetti è abituato a fare nei suoi film.

BIF&ST 2018
Bertolucci, Tornatore, Storaro, tre premi Oscar al Bif&st.
di Camillo De Marco
16/04/2018 - La nuova edizione del festival si tiene a Bari dal 21 al 28 aprile. In concorso 12 film provenienti da tutto il mondo e le lezioni di cinema con Martone, von Trotta, Favino, Ramazzotti, Albanese
Annunciato il programma della nona edizione del Bif&st – Bari International Film Festival che si tiene dal 21 al 28 aprile. Il prestigioso Teatro Petruzzelli farà come sempre da cornice alle anteprime che si apriranno con Roman J. Israel, Esq. di Dan Gilroy con Denzel Washington e Colin Farrell, a cui seguiranno Unsane di Steven Soderbergh, The Reports on Sarah and Saleem di Muayad Alayan; La Douleur di Emmanuel Finkiel con Mélanie Thierry e Benoît Magimel; Prima che la notte di Daniele Vicari con Fabrizio Gifuni e Lorenza Indovina. Per il Panorama Internazionale del festival ideato e diretto da Felice Laudadio e presieduto da Margarethe von Trotta, verranno presentati in concorso 12 film provenienti da tutto il mondo. Una giuria di 30 spettatori – presieduta dallo scrittore Gianluca Carofiglio – attribuirà i tre Bif&st International Award, per il Miglior Regista, per il Miglior Attore e per la Migliore Attrice. I film selezionati sono What Will People Say di Iram Haq; The Charmer di Milad Alami; Une part d’ombre di Samuel Tilman; Fortuna di Germinal Roaux; Barley Fields on the Other Side of the Mountain di Tian Tsering; 12th Man di Harald Zwart; Anna’s War di Aleksej Fedorčenko; Xolo di Giuseppe Valentino; The Last Note di Pantelis Voulgaris; The Captain di Robert Schwentke; One Step Behind the Seraphim di Daniel Sandu; Vent du Nord di Walid Mattar.

I lungometraggi opere prime e seconde in concorso nella sezione ItaliaFilmFest sono A Ciambra di Jonas Carpignano; Brutti e cattivi di Cosimo Gomez; Cuori puri di Roberto De Paolis; Gatta Cenerentola di Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone; Hannah di Andrea Pallaoro; Figlia mia di Laura Bispuri; Il contagio di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini; La ragazza nella nebbia di Donato Carrisi; L’intrusa di Leonardo Di Costanzo; Sicilian Ghost Story di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza; Tito e gli alieni di Paola Randi; Veleno di Diego Olivares. Le sempre affollate Lezioni di Cinema vedranno protagonisti tra gli altri Pierfrancesco Favino (sabato 21 aprile), Micaela Ramazzotti (lunedì 23), Antonio Albanese (martedì 24), Mario Martone (mercoledì 25), Margarethe von Trotta (giovedì 26), Vittorio Storaro (venerdì 27), Bernardo Bertolucci (sabato 28). Di Bertolucci, in chiusura sabato 28 aprile, sarà proiettata la versione restaurata dalla Cineteca Nazionale del Centro Sperimentale di Cinematografia di Ultimo tango a Parigi alla presenza del regista.

Due le retrospettive del Bif&st 2018: la prima dedicata a Marco Ferreri, in collaborazione con CSC-Cineteca Nazionale, prevede la proiezione di lungometraggi, cortometraggi, documentari, film tv e documentari sul regista, oltre a una grande Mostra fotografica realizzata con la Cineteca Nazionale; e la seconda dedicata al produttore Franco Cristaldi, con film e dibattiti, alla presenza di registi quali Giuseppe Tornatore, attrici, attori e critici. Il 22 aprile sempre al Teatro Petruzzelli si terrà l’omaggio a Armando Trovajoli intitolato Armando Trovajoli, La musica tra teatro e cinema.
CANNES 2018 Selezione ufficiale

Tre nuovi titoli per la competizione cannense
di Fabien Lemercier
19/04/2018 - Nuri Bilge Ceylan, Yann Gonzalez e Sergey Dvortsevoy entrano nella corsa alla Palma d’Oro. Lars von Trier fuori concorso, Terry Gilliam in chiusura
Come previsto, la selezione ufficiale del 71° Festival di Cannes (dall’8 al 19 maggio) è stata completata oggi. I 18 iniziali aspiranti alla Palma d’Oro (articolo) sono diventati 21. Si aggiungono alla corsa il turco Nuri Bilge Ceylan (Palma d’Oro 2014, premiato due volte con il Grand Prix e una volta con il premio della regia - sesta partecipazione in competizione a Cannes) con The Wild Pear Tree e due nuovi arrivi a questo livello: il giovane francese Yann Gonzalez con il suo secondo lungometraggio Un couteau dans le cœur e il kazako Sergey Dvortsevoy con Ayka (un film prodotto da Russia, Germania e Polonia - secondo film del regista dopo Tulpan, vincitore a Cannes del premio Un Certain Regard nel 2008). Il ritorno sulla Croisette del danese Lars von Trier, dopo esserne stato bandito nel 2011, avverrà fuori concorso dove presenterà The House That Jack Built.
I 15 titoli della selezione Un Certain Regard (news) passano a 18 con le aggiunte di Donbass dell’ucraino Sergei Loznitsa (leggi l’articolo) che aprirà il programma, Muere, Monstruo, Muere di Alejandro Fadel (prodotto da Argentina e Francia, coprodotto dal Cile) e Chuva E Cantoria Na Aldeia Dos Mortos del duo composto dal portoghese João Salaviza e la brasiliana Renée Nader Messora. La Selezione ufficiale è arricchita dalla produzione europea The Man Who Killed Don Quixote [+] di Terry Gilliam (con Adam Driver, Jonathan Pryce e Olga Kurylenko) che chiuderà il festival, dal film d'animazione Another Day of Life [+] di Damien Nenow e Raúl de La Fuente in proiezione speciale, e da due titoli che saranno presentati in proiezione di mezzanotte: il documentario Whitney dello scozzese Kevin Macdonald e Fahrenheit 451 dell’americano Ramin Bahrani.
La lista completa dei film in selezione ufficiale:

In Concorso
Todos lo saben - Asghar Farhadi (Spagna/Francia/Italia) (film d'apertura)
The Wild Pear Tree - Nuri Bilge Ceylan (Turchia/Francia)
En guerre - Stéphane Brizé (Francia)
Ayka - Sergey Dvortsevoy (Russia/Germania/Polonia)
Dogman - Matteo Garrone (Italia/Francia)
Le Livre d'image - Jean-Luc Godard (Francia)
Un couteau dans le cœur - Yann Gonzalez (Francia)
Netemo sametemo (Asako I & II) - Ryusuke Hamaguchi (Giappone)
Plaire aimer et courir vite - Christophe Honoré (Francia)
Les Filles du Soleil - Eva Husson (Francia/Belgio/Georgia/Svizzera)
Ash is Purest White - Jia Zhang-ke (Cina/Francia/Giappone)
Shoplifters - Hirokazu Kore-eda (Giappone)
Capernaum - Nadine Labaki (Libano/Francia)
Burning - Lee Chang-Dong (Corea del Sud)
Blackkklansman - Spike Lee (Stati Uniti)
Under the Silver Lake - David Robert Mitchell (Stati Uniti)
Three Faces - Jafar Panahi (Iran)
Cold War - Pawel Pawlikowski (Polonia/Regno Unito/Francia)
Lazzaro felice - Alice Rohrwacher (Italia/Svizzera/Francia/Germania)
Yomeddine - A.B. Shawky (Egitto/Stati Uniti/Austria)
Summer - Kirill Serebrennikov (Russia)

Un Certain Regard
Border - Ali Abbasi (Svezia/Danimarca)
Sofia - Meryem Benm'Barek (Francia/Qatar)
Les Chatouilles - Andréa Bescond, Eric Métayer (Francia)
Long Day's Journey into Night - Bi Gan (Francia/Cina)
Manto - Nandita Das (India)
À genoux les gars - Antoine Desrosières (Francia)
Girl - Lukas Dhont (Belgio/Paesi Bassi)
Muere, Monstruo, Muere - Alejandro Fadel (Argentina/Francia/Cile)
Gueule d'ange - Vanessa Filho (Francia)
Euforia - Valeria Golino (Italia)
Rafiki - Wanuri Kahiu (Sudafrica/Kenya/Francia/Paesi Bassi/Germania/Norvegia)
Mon tissu préféré - Gaya Jiji (Francia/Germania/Turchia)
The Harvesters - Etienne Kallos (Francia/Grecia/Polonia/Sudafrica)
In My Room - Ulrich Köhler (Germania/Italia)
El ángel - Luis Ortega (Argentina/Spagna)
Chuva E Cantoria Na Aldeia Dos Mortos - João Salaviza, Renée Nader Messora (Portogallo/Brasile)
The Gentle Indifference of the World - Adilkhan Yerzhanov (Kazakistan/Francia)

Fuori concorso
The Man Who Killed Don Quixote - Terry Gilliam (Spagna/Regno Unito/Francia/Portogallo) (film di chiusura)
Solo: A Star Wars Story - Ron Howard (Stati Uniti)
Le Grand Bain - Gilles Lellouche (Francia/Belgio)
The House That Jack Built - Lars von Trier (Danimarca/Francia/Germania/Svezia)
Proiezioni speciali
10 Years in Thailand - Aditya Assarat, Wisit Sasanatieng, Chulayarnon Sriphol, Apichatpong Weerasethakul (Thailandia)
The State Against Mandela and the Others - Nicolas Champeaux, Gilles Porte (Francia)
O grande circo místico - Carlos Diegues (Brasile/Portogallo/Francia)
La Traversée - Romain Goupil (Francia)
Another Day of Life - Damian Nenow, Raul De La Fuente (Polonia/Spagna/Germania/Belgio/Ungheria)
À tous vents - Michel Toesca (Francia)
Dead Souls - Wang Bing (Cina)
Pope Francis - A Man of His Word - Wim Wenders (Stati Uniti)

Proiezioni di mezzanotte
Fahrenheit 451 - Ramin Bahrani (Stati Uniti)
Whitney - Kevin Macdonald (Regno Unito)
Arctic - Joe Penna (Islanda)
The Spy Gone North - Yoon Jong-Bing (Corea del Sud)

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Pirandello - un saggio di Ada Fichera

Pirandello politico: presentazione del saggio di Ada Fichera
Edizioni Polistampa - comunicazione@polistampa.com

Mercoledì 18 aprile 2018 - 09:10

Firenze, 18 aprile 2018 – L’adesione di Pirandello al fascismo, il suo rapporto col regime e con la censura, le idee di fondo del suo pensiero politico: sono gli elementi chiave del saggio di Ada Fichera Luigi Pirandello. Una biografia politica, edito da Polistampa. Il volume sarà presentato domani, giovedì 19 aprile, alle 18.00 al Caffè Letterario del Teatro Niccolini (via Ricasoli, 3). Con l’autrice dialogheranno il giornalista e scrittore Mario Bernardi Guardi e l’editore Antonio Pagliai. Letture a cura di Dylan (Dimensione Suono Soft).
Luigi Pirandello è stato sempre analizzato sotto il profilo strettamente letterario o puramente storico. Il saggio di Ada Fichera, frutto di una ricerca su documenti d’archivio inediti, rilegge per la prima volta la sua figura ricostruendone la vita in chiave politica. Dal testo, arricchito da una prefazione di Marcello Veneziani, emergono aspetti chiave del pensiero pirandelliano come la coscienza del fallimento degli ideali borghesi, l’idea del potere nelle mani di uno e non di una maggioranza, la tendenza all’azione.

Gherardo Del Lungo (335 1373725)
Eventi Pagliai s.r.l.
tel. +39 055 7378721
press@eventipagliai.com

N I C C O L I T U D I N I
Le presentazioni che non annoiano
(e durano poco)

Giovedì 19 aprile 2018, ore 18.00
presso la Libreria-Caffè del Teatro Niccolini
Via Ricasoli 3, Firenze

ADA FICHERA

autrice del saggio

LUIGI PIRANDELLO
Una biografia politica
(Ed. Polistampa)

discuterà col giornalista scrittore Mario Bernardi Guardi
e con l’editore Antonio Pagliai
sugli aspetti chiave del pensiero politico
del grande scrittore e drammaturgo agrigentino

Letture di Dylan (Dimensione Suono Soft)

Ingresso gratuito

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Premio Cineuropa a Ravens di Jens Assur

Jens Assur • Regista
“La fiducia è parte essenziale della buona regia” articolo di Stefan Dobroiu, in collaborazione con Cineuropa News.

03/04/2018 - Una conversazione rivelatrice su 'Ravens', film d’esordio di Jens Assur, che si è aggiudicato il Premio Cineuropa a Vilnius.

L’amore di Cineuropa per ‘Ravens’ sbocciò quando il film venne proiettato nella sezione Nuovi registi del Festival del cinema di San Sebastián. Continua ora al Vilnius Film Festival Kino Pavasaris, dove il Premio Cineuropa è stato assegnato al dramma familiare, atmosferico e universale, di Jens Assur. Ecco cosa il regista ha da dire sulle complessità e le sfide del suo riuscito film di debutto.

Cineuropa: Come è nato Ravens? È ispirato a eventi reali?
Jens Assur: Dopo due decenni come fotoreporter e poi come sceneggiatore e regista di quattro cortometraggi acclamati dalla critica, mi sentivo pronto per sviluppare il mio primo lungometraggio. Stavo studiando e sviluppando diverse idee contemporaneamente. Cercavo un progetto in cui potessi sfidare il pubblico in termini di contenuto e stile visivo. Ravens è basato su un libro che ho interpretato a modo mio. Ho cambiato i personaggi principali e modificato la struttura, ma sono rimasto molto fedele al tema intellettuale.

Indipendentemente da quanto siano convincenti nei loro ruoli, Reine Brynolfsson e Jacob Nordström hanno background di recitazione molto diversi. Ha usato approcci diversi per i due attori?
Reine ha avuto un ruolo da protagonista nel mio primo cortometraggio, The Last Dog in Rwanda, e so da quell’esperienza che è un attore molto devoto e talentuoso. Oserei dire che è della stessa stoffa di alcuni dei più grandi, come Hoffman e Brando. Un anno prima delle riprese, abbiamo iniziato a sviluppare il personaggio insieme. Anche se la parte più impegnativa di Agne è la sua vita interiore e la sua lotta, abbiamo messo un grande impegno anche nell’aspetto fisico di Reine. Ad esempio, è stato sottoposto a una dieta e a un programma di allenamento molto rigorosi. Tutto questo per permettergli di entrare nel personaggio e alla fine diventare Agne, il laborioso agricoltore.
Il personaggio di Klas doveva essere interpretato da un attore non professionista, ed era importante per me cercarlo nella Svezia rurale per trovare un ragazzo credibile e autentico. Cercavo anche qualcuno che fosse sensibile e intelligente, qualcuno che potesse prendere la direzione giusta. Anche Jacob ha fatto un ottimo lavoro ed è stato molto piacevole lavorare con lui. La mia visione come regista è di essere molto onesto, aperto e diretto. Ciò è possibile solo attraverso una forma aperta di comunicazione e fiducia. Credo che la fiducia sia la parte più essenziale della buona regia.

La fattoria sembra essere un personaggio centrale nel suo film. È stato difficile trovarla? Che cosa cercava in realtà?
Ha assolutamente ragione. Ho sempre descritto la fattoria come uno dei personaggi vitali. Ho cercato la fattoria in tutta la Svezia. Prima di tutto, la sfida principale era trovare una piccola fattoria che fosse gestita come negli anni ‘70, ben conservata ma anche funzionante e ben tenuta. La seconda sfida consisteva nel trovare un luogo senza alcuna bellezza o rilievo ovvi, un luogo molto pratico e poco attraente. In terzo luogo, non volevo una tipica fattoria svedese, ma piuttosto qualcosa di non identificabile in termini di geografia e origine.

Ravens parla della durezza e persino della crudeltà della natura. Il tempo è stato un problema durante le riprese?
Adoro lavorare in loco. Dà agli attori e a me uno spazio autentico in cui lavorare. Dal mio punto di vista, le stagioni, la natura e il tempo aggiungono una dimensione molto importante a un film. È molto gratificante lavorare in loco, ma è altrettanto duro e difficile lavorare a meno dieci gradi e con la pioggia battente. È estenuante sia fisicamente che mentalmente per tutti.

C’è qualcosa che nessuno le ha chiesto riguardo a Ravens e che vorrebbe dire ai fan del film?
Ci sono due personaggi principali in Ravens, Agne e Klas. Ma in sostanza, sono la stessa persona. Agne era Klas da giovane, e Klas un giorno diventerà Agne. Ecco perché il film si conclude con Klas al tavolo della cucina, mentre raccoglie le forze per cominciare a lavorare, così come inizia con Agne che si sta riprendendo dal duro lavoro in fattoria. È tutto circolare, proprio come l’anno agricolo del film che inizia con la primavera e termina un anno dopo.

Sta sviluppando un nuovo film? Può dirci di cosa si tratta?
Ho appena iniziato a delineare un nuovo script. Sarà un dramma internazionale. Dovrò trascorrere il prossimo mese a fare ricerche e a sviluppare la storia prima di poterle dire di più.

‘RAVENS’ di Jens Assur
Sinossi : Anno 1970, Svezia. L’operoso contadino Agne fatica con la dura vita di tutti i giorni, sperando che il figlio adolescente Klas prenda in mano le redini della fattoria e continui la tradizione. Klas, però, al contrario del padre sogna un mondo lontano da quella vita rurale.

‘Ravens’: quando il marrone diventa rosso
Articolo di Stefan Dobroiu – in collaborazione con Cineuropa News.

29/09/2017 - SAN SEBASTIÁN 2017: Il regista svedese Jens Assur ci consegna un coinvolgente e poetico primo film, con gli eccellenti Reine Brynolfsson e Jacob Nordström
Con il suo film d'esordio, ‘Ravens’, il regista svedese Jens Assur si sofferma sulle difficoltà della vita contadina, in un'esplorazione dell'eterno conflitto generazionale e tra modernità e tradizione. Il film è in lizza nella sezione Nuovi registi del 65° Festival Internazionale di San Sebastián.
La storia è ambientata alla fine degli anni Settanta, in una fattoria nel mezzo del nulla. Una famiglia di quattro persone si dà molto da fare per riuscire a coltivare un terreno duro e ostile, ma la fatica si rivela ancora superiore alle aspettative. Siamo a inizio primavera e nebbia e freddo sembrano intenzionati a rimanere più a lungo possibile sulla distesa di terra che Agne (un eccellente Reine Brynolfsson) ha in affitto da una persona benestante del luogo. Sfinito da decenni di lotta contro la natura, Agne desidera solamente che suo figlio Klas (Jacob Nordström) prenda il suo posto. Klas, tuttavia, ha altri programmi per il suo futuro.
Se non altro per alcune tematiche, Ravens riporta alla mente un classico svedese: One Summer of Happiness, vincitore dell'Orso d'Oro di Berlino nel 1952. Racconta una società patriarcale in cui le donne obbediscono ai mariti, i figli seguono le orme dei padri, e tutto deve essere guadagnato col sudore della fronte. È un mondo dominato da un solo nemico, la natura, mentre un altro, almeno dal punto di vista di Agnes, si nasconde ancora nell'ombra: la tecnologia.

Sostenuto dalla musica lugubre, talvolta persino minacciosa, di Peter Von Poehl, e dal superbo lavoro del direttore della fotografia Jonas Alarik, l'autore e regista Assur racconta un anno della vita di questa famiglia. È una vita priva di gioie e non sorprende che Klas ami osservare il volo degli uccelli. Gli uccelli possono volare alti nel cielo e alcuni di loro si spostano per migliaia di chilometri, lasciandosi alle spalle fredde distese di fango. Purtroppo, Klas non può fare altrettanto, perché è destinato a prendere il posto di Agne e passare il suo futuro nelle stesse condizioni in cui suo padre ha speso il suo passato. Quest'ultimo è ossessionato dalla terra, il primo dal cielo. Uno affonda mani e piedi nel suolo, l'altro usa un cannocchiale per portare un po' di bellezza (gli uccelli e le ragazze, soprattutto) nella sua vita. È una lotta avvincente, facilmente comprensibile anche per chi non ha mai passato nemmeno un'ora nei campi.

Molti spettatori tiferanno per Klas, ovviamente, augurandosi che non passi la sua vita tra le avversità della natura; ma il vero protagonista è suo padre. La sceneggiatura gioca abilmente con le aspettative che il pubblico si crea su di lui. È un nemico? È una vittima? Fino a dove è disposto a spingersi per preservare il solo stile di vita che abbia mai conosciuto? Ma Agne è un personaggio molto più complesso. Grazie anche alla performance di alto livello di Brynolfsson, la sceneggiatura aggiunge sempre più tratti a questo personaggio, costruendo una figura esagerata, fatta di duro lavoro e resistenza, sacrificio e abnegazione, ferma volontà e rassegnazione, una figura che merita tanto pietà quanto ammirazione. Agne può dunque essere considerato uno dei personaggi più interessanti del grande schermo, per il 2017.

‘Ravens’ è stato prodotto da Film and Arts Affairs (Svezia), e coprodotto dalle società svedesi Co_Made, Film i Väst, Tiisch Film, Swedish Television e Studio Jens Assur. Il film sarà gestito a livello internazionale dalla società di vendite mondiali Celluloid Dreams, con base a Parigi.

Il 9° Meeting Point - Vilnius premia progetti di esordienti
Articolo di Vassilis Economou, by Cineuropa News
03/04/2018: L'evento industry lituano ha premiato tre progetti, consentendo loro di partecipare alla sessione di proiezioni WIP Vilnius Goes to Cannes al Marché du Film sulla Croisette.
The ninth edition of the international film industry event Meeting Point – Vilnius (MPV) at the 23rd Vilnius Film Festival Kino Pavasaris, which ran for three days (27-29 March), has come to a close with the awards ceremony held in Vilnius City Hall on 29 March.
For another year, the industry meet-up gave international and Lithuanian film professionals the chance to forge new connections and partnerships. Most of the events, panel discussions and pitching sessions explored new opportunities for promoting and broadening the appeal of films, offering a unique strategic overview that should benefit the emerging local industry, which aims to have a strong presence in the near future. In line with the reformed nature of the festival, which is intended to become a hub for new discoveries and debutant directors, MPV had a similar focus, which was naturally reflected in the awards.
Starting with the main prizes, the jury, comprising Pamela Biénzobas Saffie, Jean-Baptiste Bailly Maitre and Romanas Matulis, selected three projects in post-production – out of the 23 that participated (see the news) – from the Coming Soon Session to be screened at the “Vilnius Goes to Cannes” initiative. The teams behind Lithuanian historical drama Isaac by Jurgis Matulevičius, the German-Russian political documentary Russia today by Annegret Sachse and the Latvian horror film EVA by Kristians Riekstins will get the chance to screen a 20-minute excerpt of their works in progress during the special event at Cannes’ Film Market.
In the technical categories, Marija Stonytė’s documentary Gentle Warriors, about a group of three women who have enlisted for military service in the Lithuanian Army as volunteers, received the Sound and Video Post-Production Prize, worth €3,500 and offered by the Vilnius Film Cluster association in partnership with music production studio RoofSound and post-production house MADSTONE. Furthermore, the Lithuanian Audiovisual Works Copyright Association (AVAKA) awarded Gentle Warriors with the Best Presentation of a Lithuanian Project Award, which comes with €1,000.
Finally, Lithuanian director Audrius Mickevičius was awarded posthumously for his in-production project Exemplary Behaviour, as the Best Baltic Project. The film was pitched by its producer Rasa Miškinytė and will be completed by Nerijus Milerius. The prize is accompanied by digital storage and promotion services worth €2,000, provided by the Baltic View platform and Noir Lumière.
Here is the complete list of winners at the ninth Meeting Point – Vilnius:
Vilnius Goes to Cannes
Isaac – Jurgis Matulevičius; producer: Stasys Baltakis (Lithuania)
Russia today – Annegret Sachse (Germany/Russia)
EVA – Kristians Riekstins; producer: Gints Grube (Latvia)
Post-Production Prize by Vilnius Film Cluster
Gentle Warriors – Marija Stonytė; producer: Giedrė Žickyte (Lithuania)
Best Baltic Project by Baltic View and Noir Lumière
Exemplary Behaviour – Audrius Mickevičius, Nerijus Milerius; producer: Rasa Miškinytė (Lithuania)
Best Presentation of a Lithuanian Project by AVAKA
Gentle Warriors – Marija Stonytė

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La via della seta -il vostro prossimo viaggio nella leggenda

LA VIA DELLA SETA - Franco Cardini e Alessandro Vanoli – il Mulino 2017
LA VIA DELLA SETA - Luce Boulnois - Bompiani 2005 - nuova edizione aggiornata 2017

Il vostro prossimo viaggio nella leggenda, con Franco Cardini, Alessandro Vanoli e Luce Boulnois.

Un lunghissimo viaggio a ritroso in compagnia di questi due libri che coprono un arco di tempo che dal Medioevo arriva fino ai nostri giorni, o meglio un meraviglioso viaggiare sulle ali del mito di Marco Polo che ha suggestionato milioni di lettori in tutto il mondo, ma che è anche un'avventura entusiamante che ci consente oggi di intraprendere un cammino molto più agevole del suo tempo. Nel quale scopriamo, di là dalle apparenze tomistische dei due rispettivi volumi, la rilevante riorganizzazione del racconto diaristico del viaggiatore veneziano, trasformato per l'occasione in un vademecum suggestivo di rivisitazioni stupefacenti che tengono conto della diversa sollecitazione dell’odierno lettore.
Non ci rimane che intraprendere il viaggio che abbiamo da sempre sognato o almeno immaginato, con questi due libri a portata di mano e che per aspetti diversi si intersecano e si completano senza necessariamente limitarsi al puro nozionismo storico, per scoprire, o se vogliamo riscoprire, certi nuovi interessi culturali in fatto di conoscenza storica, sensibilità artistica, reportage di viaggio, letteratura forbita e minuzie del passato.
Per conoscere inoltre quello che è stato lo sviluppo costante che, in qualche modo, ha condizionato la storia dell'evoluzione umana di tanti popoli, quali, ad esempio, la manifattura artigiana di innumerevoli prodotti, la metallurgia nella costruzione degli attrezzi e delle armi, e non in ultimo degli strumenti musicali e di quella poesia orale, per gran parte da noi ancora così poco frequentata, ma che ha svolto un ruolo dominante sulla scena culturale, oggi patrimonio incontestabile dell'eredità del passato che pure ha svolto un ruolo determinante sulla scena internazionale, favorente l'incontro e l'interazione tra Oriente e Occidente di quelle culture 'altre', necessarie oggi per un reciproco apprezzamento e rispetto.
Nonché tutto quel mondo che fin dalle origini ruotava attorno ai colori e alle tinture dei tessuti, tra cui appunto la seta; la conoscenza e l'utilizzo di alcune spezie e delle erbe medicinali, così come delle essenze e dei profumi; senza voler tacere dell'ammaestramento di alcuni animali utilizzati come mezzi di trasporto, lo sfruttamento dell’acqua dei fiumi per le irrigazioni delle aree desertiche e come vie di comunicazione; l'aver tracciato le vie carovaniere e i valichi montuosi talvolta impossibili da attraversare, segnati un tempo solo dalle stelle, e che hanno permesso gli scambi commerciali e via dicendo, contribuendo ad ampliare la conoscenza che oggi abbiamo del mondo.
Un 'rispetto' che stando alle divergenge odierne assume un aspetto relativo, politico ed economico certamente, ma anche di un reciproco scambio di 'bellezza', dimostrata in ogni epoca in ogni dimensione artistica, propria di ogni singolo popolo. Una ‘bellezza’ che oggi non possiamo più disconoscere, in quanto è entrata a far parte del patrimonio dell’umanità tutta, e che riguarda, in primis la stupenda conservazione della natura, più spesso ripresa e sublimata dall’immensa vitalità delle genti tutte: dalle prime forme degli utensili alla creatività abitativa a quella manifatturiera; dalla formulazione primitiva del linguaggio al simbolismo arcaico del pensiero spirituale; dalla superstizione legata agli astri alla scienza dell’assoluto come 'forma' della metafisica universale.
C’è tutto questo e moltissimo altro in questi due 'grandi libri' che al confronto di quanto vi si può trovare, diventano taccuini piccolissimi, dove pure si parla in modo approfondito di città come Aleppo, Babilonia, Baghdad, Bukhara, Costantinopoli, Damasco, Edessa, Esfahan, Herat, Gerusalemme, Palmira, Samarcanda, Khotan o Chang’an, ed anche Alessandria, Petra, Goa, Malabar, Patna; ma anche di Pechino e il Cathai, Aquileia, Palermo e la serenissima Venezia luogo di partenza dell’intraprendente Marco Polo, del cui viaggiare abbiamo appreso ne ‘Il milione’ (*), del suo modo stravagante di un raccontare (forse) romanzato di un possibile reporter Occidentale.
Per quanto, tutto ciò non sia meno entusiamante dei racconti contenuti in ‘Le mille e una notte’ (*), ripresi dalla tradizione orale-letteraria Orientale in cui sono narrate le avventure di personaggi (forse) leggendari, è della massima importanza venire a conoscenza di quanti in passato ci hanno tramandato la ‘storia’ così come essi stessi l’hanno vissuta e/o conosciuta attraverso la voce dei loro contemporanei. Nomi noti certo ma oggigiorno così poco letti che quasi ci sembrano sconosciuti, come: Strabone, Plinio il Vecchio, Claudiano, Pausania, Erodoto, Galeno, Hu Han shu, Menandro, Plutarco, Procopio di Cesarea, Niceta Coniata.
E che vanno aggiunti a una risma di condorrieri, sovrani, imperatori, apostoli, missionari, santi che, in un modo o nell’altro, hanno percorso a tratti la ‘via della seta’ lasciandone memoria in scritti e lettere, encomi e anatemi, destinati a personaggi autorevoli come Gengis Khan, Solimano, Tamerlano, Gran Kan, Alessandro Magno, Carlo Magno e i tanti altri che sarebbe qui impossibile stilarne una lista prioritaria. Tuttavia, una breve lista va qui riportata, se non altro in riguardo alla rivista letteraria larecherche.it che mi ospita, ed è esclusivamente poetica, riportante i noti dei 'poeti persiani preislamici' (*) Al-Muquadasi, Firdusi, Omar Khayyam, il mistico Gialâl Ad-Dîn Rûmî e, ovviamente gli arabi Al-Mutanabbi, Al-Mu’tamîd, gli andalusi Al-Malaqî e Ibn Quzmân; altresì i poeti siciliani Al-Tubî e Al-Kayyât, fino a giungere all’epoca moderna con i romantici Gubrân Khalîl Gubrân, Al-Shâbbî, Al-Sindî, solo per citarne alcuni.
Ancor più si deve ad alcuni “Scrittori arabi delle crociate” (*) l’aspetto meno immaginativo della storia vista ‘dall’altra parte’, appunto dalla parte avversaria, dalla quale noi occidentali siamo abituati a vederla e interpretarla. Inutile dire che ... “..L’urto medievale fra Cristianesimo e Islamismo pose di fronte due civiltà non così radicalmente differenti a quel tempo, seppure divise da una esperienza religiosa dall’aspirazione egualmente universalistica che le sospingeva l’una contro l’altra fino al fanatismo. Oggi ci giungono distorti gli echi di quegli antichi antagonismi e diversi sono i quadri politici e culturali in cui riprendono vigore i ‘pugnali’ e i ‘martelli’ della fede. Ma una chiarezza originaria dei tanti conflitti teologici e dei molti odi razziali sembra risorgere proprio dalle pagine di questi storici arabi che contrapposero ai cronisti e ai polemisti europei la loro visione dell’Islam”.
A questi va ad aggiungersi in certo qual modo la conoscenza del Medio Oriente esperita in ‘L’eredità dell’Islam’ (*) che include anche Bisanzio e Gerusalemme, nonché la voluminosa “Storia del mondo Antico, Medievale, Moderno” (*) edita da Cambridge University Press, alle quali accedere per tutto quanto appunto riguarda la storia. Ma per tornare all’avventura di viaggio intrapresa lungo la ‘via della seta’ la storia fa solo da cornice agli avvedimenti di un prodotto manifatturiero che appartiene all’estro umano e sì, anche alla fascinazione che la ‘bellezza’ riserva alla raffinatezza dell’ornamento e all’eleganza della moda, nel rivestire i corpi di quell’attrattiva sensuale che si esprime attraverso il motore esuberante e vitale dell’amore … “..gli déi amano la preziosità dei costumi come degli aromi e i profumi che gli esseri umani dispensano loro, se non altro per compiacersi della loro stessa beltà”
Ma come gli déi, anche gli eroi del mito, i monarchi e gli imperatori d’ogni epoca, i sacerdoti e i primate di tutte le religioni, nonché i mercanti e i grandi magnati della terra si sono letteralmente spesi (leggi svenati, uccisi, massacrati, distrutto regni e civiltà) nei confronti della ‘bellezza’ in ogni suo aspetto più o meno eclatante, e pur di venirne il possesso hanno comandando messi e avventurieri in giro per il mondo pur di procurarsene e accomularne i benefici, per quanto effimeri oggi possano apparire. E' cosi che, come le materie prime come i metalli, le pelli, le essenze e le spezie che in illo tempore avevano rappresentato il plus economico dei il loro interessi, anche la tessitura della seta s’inserì nell’economia di molti popoli inclusa l’Italia dove sorsero numerose masserie per la coltivazione dei bachi.
I due libri proposti, pur senza eludere la storia, ricalcano questa enfasi storica ripercorrendo le tappe della sua evoluzione riguardante la produzione e il commercio della seta. Ne deriva una storia parallela che si avvale degli aspetti relazionali tra magnati e mercanti lungo le vie di commercio, terrestri e marittime; l’intraprendere viaggi inusitati, lo svelarsi di segreti e le scoperte scientifiche, l’espansione degli imperi e l’alzata di muri di contenimento contro le orde barbariche, come avvenuto per la Grande Muraglia cinese … Questo perché "..la storia delle vie di traffico, degli scambi commerciali e culturali tra Europa e Asia è anche la nostra storia – avvertono gli autori F. Cardini e A. Vanoli […] Di fatto l’Europa non era il maggior consumatore del mercato globale, era la Cina a dominare l’economia mondiale, ed era l’Asia il cuore della civiltà. […] Oggi, di fronte alle trasformazioni in atto, ripercorrere quella lunga storia è diventato sempre più necessario. Per conoscere meglio il mondo ovviamente, ma anche e soprattutto per ritrovare una parte importante delle nostre radici. E la via della seta è indubbiamente un’ottima prospettiva da cui cominciare”.
Non da meno, il felice libro di Luce Boulnois, magnificamente scritto e recentemente ristampato, registra altresì una passione quasi smisurata per quegli stessi temi che coprono più di dieci secoli di storia e di svelare quello che la Cina era stata capace di conservare per secoli: il segreto della produzione della seta. Luce Boulnois, storica e ricercatrice, riconosciuta quale autorità mondiale degli studi orientali, attraverso una’analisi rigorosa e documentata, narra dei rapporti tra Oriente e Occidente di quei secoli lontani e delle reciproche influenze, anche alla luce delle ultime scoperte archeologiche e dei recenti sconvolgimenti geopolitici.

Non mi rimane che augurarvi Buona Lettura.

Note:
(*)La via della seta - Franco Cardini e Alessandro Vanoli, il MUlino 2017
(**) "La via della steta - Luce Boulnois, Bompiani ristampa aggiornata 2017

Bibliografia di riferimento:
"Storia dei popoli arabi" - Albert Hourani - Mondadori 2005
"Storici arabi delle Crociate" - AA.VV. - Einaudi 1987
"L'eredità dell'Islam" - T. Arnold e A. Guillaume - Vallardi 1962
"Antologia della Poesia Araba" - F. M. Corrao - E-ducation.it Firenze 2004
"Poesie Mistiche" - Gialal ad Din-Rumi - BUR 2016
"le Mu'allaqat: alle origini della poesia araba" - Marsilio Editore 1991



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Italian Book Challenge

Il 1 Marzo 2018 torna
l'Italian Book Challenge
il campionato dei lettori indipendenti!
Vi aspettiamo!

Libreria "Pagina 272"
Via Salaria, 272 – Roma

Giovedì 1 marzo 2018 inizierà la 3ª edizione della grande sfida di lettura promossa dai librai indipendenti.
Il lettore dovrà recarsi in una delle librerie aderenti a IBC18 (l'elenco è presente sulla pagina Facebook raggiungibile con il link https://www.facebook.com/italianbookchallenge/), acquistare un libro e farsi consegnare gratuitamente la scheda di partecipazione (scheda che rimarrà unica per tutto il gioco).
La scheda conterrà 60 caselle corrispondenti a 60 diverse categorie. Entro il 31 gennaio 2019 dovranno essere compilate minimo 25 caselle.
Per ogni acquisto, la libreria compilerà la scheda con il titolo del libro e la data di acquisto nella casella corrispondente alla categoria.
Ogni libro letto corrisponderà ad una sola categoria.
I lettori potranno acquistare i volumi in qualsiasi libreria aderente.
Vince chi legge più categorie in minor tempo e accumula il maggior numero di Jolly.
I Jolly (che saranno la firma dell'autore sulla scheda personale) verranno applicati nel caso in cui il libro venga acquistato durante una presentazione, aumentando così l'opportunità di vincita.
Nel caso di un volume da acquistare per un dono a un partecipante alla sfida, può essere richiesto al libraio un tagliando. Tale tagliando, riportato in libreria, permetterà di ottenere data e timbro necessari al destinatario del dono per il completamento della scheda,
All’interno della scheda per ogni casella con la categoria - già compilata dalla libreria con il titolo del libro e la data d’acquisto - il lettore inserirà la data di fine lettura e dovrà scrivere un breve commento al libro.
Entro giovedì 31 gennaio 2019 il lettore consegnerà la scheda personale presso una delle librerie aderenti a IBC18.
I premi saranno assegnati nel mese di marzo 2019, con modalità che verranno comunicate in seguito, con una sorpresa finale.
Il primo classificato riceverà 20 libri, il secondo classificato riceverà 15 libri, dal terzo in poi 5 libri, fino a esaurimento delle copie inviateci dalle Case Editrici Amiche presenti nelle categorie.

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Selezione attori-ci Teatro dell’illusione a Roma

Selezione attori/ci, danzatrici/ri per prossima produzione
Organizzato da Teatro dell'illusione e Centro Culturale per l'Infanzia

La Compagnia Teatro dell'illusione di Roma diretta da Valentina Salerno ricerca attori/attrici e danzatori per il prossimo spettacolo "La stanza delle meraviglie", una produzione Teatro dell'illusione e Florian Metateatro Teatro Stabile di innovazione.
E' essenziale conoscere il lavoro della compagnia e aderire al percorso estetico.La prima selezione verrà effettuata attraverso i curricula e breve lettera di motivazione che dovranno pervenire entro il 27 Febbraio 2018 all'indirizzo teatrodellillusione@gmail.com
Si prega di astenersi da contatti telefonici.

Soltanto le persone contattate dalla Compagnia entro il 1 Marzo 2018 potranno accedere alla seconda selezione pratica che si terrà a Roma nei locali del Teatro dell'illusione Sabato 3 Marzo dalle ore 14:00 alle ore 19:00 e domenica 4 marzo dalle ore 10:00 alle ore 14:00.

Si richiede eventuale disponibilità per le prove dello spettacolo per la seconda metà di Marzo, Aprile e Maggio 2018. Debutto previsto Giugno 2018. Lo stage pratico di selezione sarà COMPLETAMENTE GRATUITO.

Intanto è in scena:

“La stanza delle meraviglie”
sinfonia per corpi imperfetti

Una produzione Teatro dell’illusione/ Florian Metateatro Teatro Stabile d’innovazione.
Testo originale : Michele Rak , Sergio Bini e Valentina Salerno
Regia , luci e musiche : Valentina Salerno
Interpreti : Sergio Bini in arte Bustric
Scenografia originale : Paolo Maria Contedini Valentina Salerno
Costumi : Bruna Baratti

La nostra storia è ambientata in un luogo fuori dal tempo e dallo spazio, una stanza dell’anima, dove figure e suoni si alternano con il ritmo del sogno.
Il protagonista è Coppelius, un mago, alchimista, filosofo, alle prese con uno dei quesiti più misteriosi e ossessivi della storia dell’umanità : cosa rende vivo il corpo inanimato ? dove risiede il soffio vitale, l’anima? E’ possibile costruire l’amore perfetto?
Nel suo laboratorio , allestito come una wunderkammer ottocentesca, Coppelius costruisce senza sosta manichini, bambole, automi e cerca in tutti i modi di infondere loro la vita, nel sogno fuggevole di poter comporre la propria compagna ideale, di poter dar corpo predefinito all’amore e di racchiuderlo in un rassicurante involucro meccanico. Gestire, controllare, monologare emotivamente. Come se il battito di un cuore o il fremito della pelle potessero essere ricreati con rotelle, elastici e ingranaggi … La storia in cui affonda la sua fissazione è la fiaba tradizionale napoletana di Smalto Splendente, parte del Cunto de li Cunti di Basile, raccolta in un antico libro che trova per caso in un vecchio mercato. In questa storia una giovane fanciulla che non vuole prendere marito decide di impastarsi da sola il proprio compagno e poi prega intensamente finchè il suo sogno si realizza e il fantoccio fatto a mano prende vita e si trasforma in un bellissimo e ingenuo giovane. Il mago, grazie alla sua conoscenza e al suo talento, decide di fare lo stesso , ma si scontrerà con l’impossibilità di creare il suo amore perfetto. La materia non sarà malleabile, sarà ostinata nel suo proiettarsi continuo in una longeva immaturità, gli esseri da lui creati risulteranno sempre troppo manchevoli e imperfetti, fallibili, miserevoli … finchè proprio nel punto di rottura, nella ferita aperta, nella falla di chi sembra buono solo per essere gettato, scoprirà filtrare la luce dell’umanità e del vero amore.
E così il nostro spettacolo parlerà di esseri imperfetti.
Di chi non e’ terminato, di chi si sente difettoso, di chi sbaglia ma e’ pronto a chiedere scusa , di chi cresce anelando a compiersi in una forma nuova e sorprendente.
Perché nulla e’ più falso e noioso di chi ha sempre ragione...

“La Creazione è un privilegio di tutti gli spiriti. La materia è dotata di una fecondità senza fine, di un’inesauribile forza vitale e al tempo stesso di un seducente potere di tentazione che ci spinge a creare». (Bruno Schultz)

Valentina Salerno, regista, attrice e scrittrice di libri per ragazzi.
Fonda autonomamente nel 2013 il Teatro dell’illusione distaccandosi dalla Compagnia Teatropersona di cui è stata Co-fondatrice e attrice per oltre un decennio e di cui ha curato la parte pedagogica ,il lavoro sul territorio e sociale e l’organizzazione di eventi.
Con la compagnia Teatro dell’illusione opera nel campo sociale e del Teatro ragazzi a Roma, Civitavecchia e Bruxelles.
E’ in lavorazione la nuova produzione di circo teatro “Madame Barbablù ” testo e regia di Valentina Salerno con Alessandro De Luca.Nella primavera del 2015 apre il "Centro culturale per l'infanzia e per la formazione teatrale" nei locali di via Sclopis a due passi da piazza San Giovanni a Roma.
Organizza nel Gennaio 2015 la performance “Tim Burton’s Dream “ per il party evento della casa di moda Viollet di Goga Ashkenazi.
Tra il Dicembre 2014 e il Gennaio 2015 organizza il Festival teatrale “La casa del Natale” in collaborazione con il Comune di Civitavecchia.
Dal 2013/14 lavora assiduamente con la ASL di Roma 1 con laboratori per persone con disagio psichico e tiene corsi di aggiornamento per gli operatori sanitari.
Tiene costantemente corsi privati di teatro per bambini, adulti e professionisti del settore da oltre 15 anni.
Lavora costantemente all’interno delle biblioteche comunali di Roma , Civitavecchia e Bruxelles, con inviti alla lettura e drammatizzazioni teatrali.
Fonda a Roma nel 2015 il Centro Culturale per l'infanzia dove si alternano regolarmente corsi di formazione, laboratori e attività di volontariato.
Nel 2017 Collabora con Sky Arte per la realizzazione di alcuni documentari.

Ultime produzioni teatro dell'illusione
Madame Barbablù
Elettroradiogramma
Jack Lo Squarticciolo

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Cinema in Italia, disfatta della produzione nazionale.

In collaborazione con Cineuropa News

2017 in calo dell’11.63% in Italia, disfatta della produzione nazionale
di Camillo De Marco

10/01/2018 - I dati presentati oggi all’ANEC a Roma dai rappresentanti dell’industria cinematografica registrano il peggior risultato dal 2014. In aumento la quota di mercato europea.

I dati del box office italiano 2017 presentati oggi all’ANEC a Roma dai rappresentanti dell’industria cinematografica parlano di una vera e propria disfatta. L’incasso totale è stato infatti di 584.843.610 euro per un numero di presenze in sala pari a 92.336.963, con un decremento rispetto al 2016 dell’11.63% degli incassi e il 12.38% delle presenze. Per un risultato peggiore bisogna risalire alla stagione 2014, quando il box office segnò 575.247.515 euro e 91.526.747 presenze.
Il risultato è negativo soprattutto per i film di produzione italiana, che hanno incassato circa 89 milioni di euro in meno rispetto al 2016, per un numero di biglietti venduti inferiore di 13,3 milioni. Mentre il 2016 aveva registrato i due risultati eccezionali di ‘Quo Vado’ di Gennaro Nunziante (65,3 milioni) e ‘Perfetti sconosciuti’ di Paolo Genovese (17,3 milioni), nel 2017 per la prima volta nessuna produzione nazionale ha superato nettamente gli 11 milioni d'incasso. I due film che hanno ottenuto i risultati migliori, ‘L'ora legale’ e ‘Mister Felicità’, hanno solo di poco superato i 10 milioni (rispettivamente 10,3 e 10,2 ml di euro).

I due titoli italiani si trovano in fondo alla top ten 2017. Il campione di incassi nell’anno passato è stato ‘La Bella e la Bestia’ (Walt Disney) con 3,2 milioni di presenze e 20,5 milioni di euro di incasso, seguito da tre film distribuiti da Universal: ‘Cattivissimo me 3’ (2,8 milioni di presenze e 18 milioni di incasso); ‘Cinquanta sfumature di nero’ (2,2 milioni di presenze e 14,9 milioni di incasso) e ‘Fast & Furious 8’ (2 milioni di presenze e 14,8 milioni di incasso).
La quota di mercato italiana, incluse le coproduzioni, è precipitata al 17,64 per cento (nel 2016 era al 29,05), mentre quella degli Stati Uniti sale dal 55,65 del 2016 al 66,28 del 2017. Positivo il dato suile produzioni europee: la quota passa dal 12,24 del 2016 al 13,23 dell’anno scorso.

Per il presidente dell’ANICA Francesco Rutelli il pubblico è sempre più attratto dalle nuove piattaforme che agiscono sul mercato, ma in molti hanno puntato il dito anche sulla piaga della pirateria on line, in continuo aumento, sull’eccessivo numero di produzioni italiane e sulla concentrazione delle uscite soprattutto nell’ultima e nella prima parte dell’anno. La speranza è riposta nei potenziali effetti pratici della nuova Legge sul cinema, i cui decreti attuativi sono ormai tutti operativi.

Rapporto industria: Digitale.
Diritti digitali dei produttori audiovisivi negli Stati Uniti e in Europa
di Jacob McPherson.

Both digitization and globalization are changing how members of the audio-visual labor market, known in this chapter as makers, operate worldwide. In Europe, individuals face restrictions on their content when attempting to engage with global distribution platforms. In the United States, a highly-trained, over competitive market threatens potential income for makers. As the digital landscape continues to evolve, resulting in a more nomadic workforce, location-based initiatives lose significance and importance. In Europe, this means makers are moving their businesses to countries which provide the best funding support. Similarly, United States based makers are partnering with European producers to benefit from national film funding organizations intended for European makers.
As mentioned, issues arise with how European makers distribute their content. Since national broadcasters often fund projects, while claiming co-production rights, this limits a maker’s’ ability to work with platforms like Netflix. Many makers find it difficult to negotiate for more rights without supplying their own financial resources. Although Netflix does not provide a perfect solution and usually pays a small flat fee in exchange for content, makers increasingly value any platform which offers distribution outside of a single territory. There is much tension between the nationalistic position of film funding organizations and demands from makers as a result of digitization. Most individuals would favors any solution which acknowledges their desire for greater global exposure.
These are just some of the findings of an exploratory qualitative research project carried out by Jacob McPherson as an internship for the MA Arts and Society programmer at Utrecht University. The research is also related to a project conducted by HTH Research and commissioned by the Dutch Portal for Audiovisual Makers (PAM), which is explained below.

Europe
Many European makers find it difficult to get their works distributed on global platforms, like Netflix. These challenges are often linked to how makers receive government funding. According to most interviewees, a national broadcaster will usually invest in a project along with most film funding institutions. Since these broadcasters commonly claim co-production rights, this creates difficulties if a maker wants to have their works distributed elsewhere. Platforms like Netflix seek co-production rights, and face challenges in transferring such ownership from a national broadcaster.

Another issue caused by government funding arrangements is in how a maker needs to recoup their investment. As films usually require a substantial amount of money to produce, it is highly unlikely for a company like Netflix to take on this burden in exchange for rights. One of the reasons government organizations are so interested in maintaining some control of film content is in the structure of these institutions and who they serve. They are a government entity, funded by the public, with the primary goal of creating and distributing content to the national audience they serve. Since funding institutions generally achieve this, there are limited incentives for giving rights back to the filmmaker.

Since each country has different funding requirements, some makers mentioned how they would establish a production company where the terms are most beneficial. One catalyst for this flexibility is the internet. As film production and content creation is transformed by digitization, the need to work from a physical space becomes less important. Additionally, makers can easily find co-production partners who live and work in places with better resources and support. Many interviewed makers discussed how they created a business for the sole purpose of applying to government funding organizations.

Such trans-national arrangements, easily facilitated by the internet, contradict how funding organizations aim to create content for a particular national audience. This lack of nationalistic loyalty is further fuelled by how some overarching European funding initiatives, like Creative Europe, require multiple co-production partners in at least two different countries. Financial resources allocated for a specific region could be applied to projects elsewhere as a result of makers sourcing support from across the European Union. This nomadic approach to funding contradicts how government funding organizations traditionally operate and often defeats their purpose.

Neither the European or United States models are perfect – both have room for improvement. However, European makers usually have more access to essential services like health care. Still, some European makers did express difficulty in receiving social benefits like unemployment insurance. Since there are various requirements for how unemployment insurance is recognized, including working in the country where an individual resides, receiving such assistance becomes difficult for makers who perform work in other countries.

One advantage of the European situation is that makers always have the option to earn an income from corporate work, in addition to government film funds. Individuals in the United States usually cannot rely on investments from public organizations. One example of this is with a nationally supported film, Rotterdam I Love You. The producer used money from performing corporate client work, in conjunction with support from private investors, to fund the project. This approach allowed him to retain rights to the project. He even commented on how European clients tend to pay higher than those in the United States.

Crowdfunding.
One revenue stream hardly touched upon during the interview process is crowdfunding. Online platforms like Kickstarter and Indiegogo provide the capability for makers to upload their project to solicit funding from online communities. Although crowdfunding seems like a viable way for a maker to raise enough money to fund a film project, there are some downsides to this approach. Most interviewees claimed that producing a feature film requires $250,000 to $1M. When discussing crowdfunding, some individuals mentioned that most campaigns raise around $50,000. While this is a good start, it is not nearly enough to pay for actors, editing, and other additional costs.

However, it does allow a maker to create material to present their idea to investors and government funding organizations. According to some interviewees, another issue with crowdfunding is the amount of effort needed to run a successful campaign. Between social media engagement and constantly asking people for money, crowdfunding can become a full-time job. Such commitments detract from the purpose of using crowdfunding as a vehicle for monetary capital, as any individual needs to support themselves.

When speaking with the owner of New York Film Loft, who advocates heavily for crowdfunding, many stakeholders like investors, television broadcasters, and major film producers view crowdfunding as beneficial. From the perspective of these stakeholders, crowdfunding helps show a film’s potential audience reach. However, some interviewed makers stressed that a successful crowdfunding campaign does not always reflect a project’s success in the real world. Since content is funded before anyone has seen it, there is no guarantee in terms of the level of quality or audience engagement.

Crowdfunding also lacks the ability to screen content and test an audience’s response. Also, some interviewees described examples of when a funded crowdfunding campaign did not result in a finished product. There seems to be no negative financial repercussions if the project is not completed.

Industry Report: Digital.
Urgent call for a new pan-European audiovisual legislation
by Fran Royo & Sandra Echeverri.

The third panel at the European Film Forum was held during the second day of the event (read the news), which took place in Brussels from 1-2 December, and was entitled “It’s All About Access, Fostering the Exploitation of EU Works”, featuring panelists Christophe Tardieu, director general of the Centre National du Cinéma, Lauri Kivinen, CEO of YLE Finland, Tom Van Waveren, CEO and creative director at Cake Entertainment, and Filmic and EuroVoD’s Jaume Ripoll. It delved into the Commission’s agenda to both modernize the EU copyright framework for the benefit of all stakeholders, and support the enhanced availability and visibility of European content, including across borders.

The idea of a platform.
Jaume Ripoll talked about his experience with the Filming platform, which has reached 1.8 million views only with European films, and remarked that the hardest aspect of video-on-demand services is dealing with sales agents. He asserted that existing platforms like Netflix and Amazon “don’t care about 90% of European cinema” and that, as a consequence, “those films need to find their audience elsewhere”.

When considering the idea of a common platform that promoted European content, Lauri Kivinen stressed the importance of the fact that it should be a “public platform that offers free content available for European citizens”. Tom Van Waveren highlighted the need for “windowing within existing and new platforms (...) which could amplify the success of European works”, because, as he optimistically stated, “Every time we add a platform service in the market, it increases everybody’s viewership.”

But which streaming devices are Europeans using the most? Dataxis conducted an analysis of this in 2015 and came up with a result: Apple TV was the leader when it came to streaming devices and household penetration.
The expansion in the use of platforms like Amazon and HBO in Europe is no longer a secret. Streaming platforms are a good idea, and this is well known to European competitors and foreign ones. Netflix, for instance, is a clear example of this (as shown in the graphic below, shared by Netflix itself).

Urgent call for new legislation.
The European Commission has proposed one legislative initiative and financial support measures to help the audiovisual industry adapt to the new digital environment and reach out to more audiences across borders. Christophe Tardieu underlined the risks of piracy within the current distribution system of European cinema, a problem that needs to be addressed with “pedagogy and a proper legislation that helps European films to travel more easily”. Van Waveren stressed the fact that a helpful legislation for European cinema must not overlook “curation and must keep an eye permanently on diversity”, and Ripoll contributed to the legislation topic by saying that having only a model whereby viewers subscribe to a platform “would lead to a failing business model that won’t be able to finance films with today's legislation trammels”.

The new legislation proposal focuses on the fact that the audiovisual media landscape is changing at a rapid pace owing to ever-increasing convergence between television and services distributed online. Consumers increasingly access on-demand content through smart/connected TVs and different portable devices. Young consumers, particularly, watch videos, including user-generated content, on the internet and through those new technologies.

Traditional broadcasting in the European Union remains strong in terms of viewership, advertising revenues and investment in content (around 30% of revenues). However, new business models are emerging. Broadcasters are extending their activities online, and new players offering audiovisual content online (HBO, Netflix and Amazon) are getting stronger and competing for the same audiences. However, TV broadcasting, video-on-demand and user-generated content are subject to different rules and varying levels of consumer protection.

The Digital Single Market (DSM) strategy for Europe calls for a modernization of the Audiovisual Media Services Directive (AVMSD) to reflect these market, consumption and technological changes. It requires the Commission to focus on the scope of application of the AVMSD and on the nature of the rules applicable to all market players (in particular those for the promotion of European works), consistency with existing policy provisions in the policy area, with other Union policies (such as those on the e-Commerce Directive, on advertising and sponsorship of tobacco products, on unfair commercial practices, on consumer protection, or on combating the sexual abuse and sexual exploitation of children and child pornography) and with the obligations of international law, and a basis on the principles of subsidiary (for non-exclusive competence), proportionality, choice of instrument (and protection of minors), stakeholder consultations, collection and use of expertise, impact assessment, regulatory fitness and simplification, and budgetary implications, all of which are missing in the current legislative framework.

Rapporto industria: Digitale
Cinema e internet: amici e forse qualcosa di più?
di Julie Belgrado.

La TV è digitale, i film sono 'on demand' e internet è più veloce che mai. Ma qual'è il reale impatto di queste tecnologie sui più 'tradizionali' supporti come DVD o il digitale terrestre? Nell'ambito del Marché du film di Cannes, l'Osservatorio europeo dell'audiovisivo sta organizzando un atelier dal titolo "Cinema e internet: amici e forse qualcosa di più?". Accompagnato da un gruppo di esperti, l'atelier aperto al pubblico si concentrerà sui rapporti sempre più stretti tra l'industria cinematografica e le nuove opportunità offerte via Internet. In attesa degli ultimi dati che saranno presentati dall'Osservatorio, Cineuropa ha indagato sulla questione.

Dopo l'avvento del digitale e della televisione digitale, i supporti multimediali unitamente ai processi di diffusione si sono dovuti adattare a nuovi contenuti. Gli schermi di un computer, di uno smartphone o di un tablet sono diventati tante finestre e piattaforme dove vedere un film. Con 1,5 miliardi di utenti internet e una media di 24 ore al mese dedicate alla navigazione, il consumo di contenuti on line continua ad aumentare. E se i cinema sono oggetto di un massiccio processo di digitalizzazione, è la televisione digitale ad aver cambiato realmente il nostro consumo giornaliero di contenuti multimediali. La televisione, connessa a internet, è diventata per definizione un servizio non-lineare, cioè un servizio disponibile al momento scelto e su richiesta individuale. Noleggio, registrazione, catch-up TV o download temporaneo, i contenuti audiovisivi sono sempre più accessibili. Il successo è tale che, entro il 2014, il 50% delle famiglie avrà la TV digitale. Esplode il consumo digitale e anche la produzione. Con l'evoluzione dei dispositivi mobili come tablet o smartphone, chiunque può creare contenuti in qualsiasi momento e luogo.

Tuttavia, questo successo non è privo di conseguenze. Infatti, studi europei stimano che, entro il 2016, ci saranno 5 miliardi di consumatori di VOD per soli 2 miliardi di DVD venduti. Così, l'accesso al contenuto diventa più importante dell'oggetto posseduto. Pertanto, il DVD è un settore commerciale che rischia di essere messo in pericolo nei prossimi anni o addirittura di scomparire. Ciò che è peggio per l'industria cinematografica è che il potere della distribuzione sta cercando di fuggire dai suoi stessi distributori. Problemi ricorrenti sono il diritto di sfruttamento e l'aumento della pirateria. Per questo motivo, le pratiche di distribuzione esistenti sono attualmente oggetto di discussione. In questo contesto, diventa cruciale un'adeguata politica di sostegno e di promozione delle opere europee.

Il VOD, se gestito con diligenza e norme adeguate, può rappresentare un'opportunità di crescita nella promozione del film europeo. Infatti, le nuove piattaforme renderanno le opere europee più facilmente accessibili al di fuori del loro paese d'origine. Questo permetterà di migliorare la circolazione dei film europei in Europa e al di fuori di essa e, conseguentemente, permetterà di ampliarne il pubblico. Infine, sarà proprio l'uso di queste nuove tecnologie in fase di distribuzione che ne determinerà la competitività del settore.

Così, sostenere lo sviluppo del cinema europeo nell'era del digitale rappresenta una questione economica importante. In particolare, le politiche europee e il programma MEDIA ne hanno fatto uno dei loro obiettivi principali. La Commissione e il Parlamento hanno intrapreso una serie di iniziative politiche che, in particolare, hanno portato all'approvazione di una risoluzione in questo settore. Tra i numerosi testi legislativi, sono state redatte alcune regolamentazioni generali e altre più specifiche.

In primo luogo, ci sono regolamentazioni comuni stabilite per tutti i servizi audiovisivi; attraverso le quali ogni paese può decidere di essere più rigoroso, se lo desidera. In seguito, sono state stabilite delle regolamentazioni specifiche per i media audiovisivi non lineari. Tali regolamentazioni richiedono servizi di VOD e di altri Catch-up TV, per proteggere i minori e promuovere le opere europee. Per quanto riguarda il programma MEDIA, è lo stesso a rappresentarne una reale risorsa per il settore audiovisivo europeo.

Il programma stesso ha implementato molti componenti che supportano le nuove tecnologie, forniscono assistenza al VOD e contribuiscono alla diffusione del cinema digitale. Nel 2010, una comunicazione della Commissione europea ha avuto lo scopo di regolare il processo di digitalizzazione delle sale cinematografiche: dai grandi multiplex ai cinema indipendenti. Nel 2011, il Parlamento europeo ha adottato un bilancio di 2 milioni di euro per il primo anno dell'Azione «Circolazione dei film europei nell'era digitale».

Translator: Antonella Mastropieri

*

Storie di Natale - Tortino per le Feste

STORIELLE DI NATALE

Tortino “Giorgino” per le Feste.
Dosi per 365 giorni:

Mezzo kg. di felicità
1/4 di litro di bei sogni
Una dose di tranquillità
500 gr. di soddisfazioni
Un pizzico di follia
3 cucchiai di salutare speranza
Un po’ di quiete tritata
1/2 tazza di desideri
1 bustina di calma dorata.

Esecuzione:

Tagliate la ‘felicità’ a rondelle sottili, bagnatela di sogni,
cospargetele di ‘tranquillità’ e lasciate riposare per circa un’ora.
Fate rosolare a parte le ‘soddisfazioni’ aggiungendovi
un pizzico di sana follia e di folle quiete.
Bagnate il tutto di ‘desideri’ e di salutare ‘speranza’.
Passate in forno a temperatura moderata.
Decorate con la polvere di calma dorata e
disponete il tortino su un vassoio da portata
e accompagnatelo del vostro amabile sorriso.
. . .
State certi che il risultato sarà eccezionale e quanto mai inaspettato.

BUONE FESTE A TUTTI!


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Fogli/e d’Autunno 4

“Fogli(e) d’Autunno” 4
(letteratura, poesia, narrativa, libri, editori, concorsi, con uno sguardo all’arte in fatto di mostre, cinema, teatro, musica, turismo, viaggi).

L’Autunno è la stagione dei buoni propositi, in una parola si decide come re-impiegare il proprio tempo per sé e per gli altri, al motto di ‘la vita spesa al meglio’, ripromettendoci come ogni volta e se mai ce ne fosse bisogno, che quello che verrà sarà un anno migliore, in cui daremo una svolta alla nostra dieta, o cercare qualche associazione di volontariato da aiutare; oppure tornare a studiare o leggere tutti i libri che non abbiamo letto durante l’estate. E perché no, riempirci gli occhi di bellezza visitando una città d’arte, oppure una mostra fra le numerose che in questo periodo riempiono le città di stendardi e cartelloni; o anche, ascoltare della buona musica negli spazi aperti, o al chiuso di luoghi appositi come teatri e sale da concerto … non sembra anche a voi di sentire irrompere nell’aria le spensierate note di questa stupenda ‘Ottobrata Romana’ che la Città Eterna ci regala a piene mani (?).

Ɣ – Sì, quella immortalata da Ottorino Respighi nell’ambito delle “Feste Romane” già nel XX sec.(CD EMI – The Philadelphia Orchestra dir. Riccardo Muti), ove un ché di festoso rallegra l’anima e lo spirito ai suoni delle sue cento fontane e delle sue mille campane. Dove anche una semplice passeggiata lungo i viali alberati del parco, suscita l’emozione di un sentimento antico e pur sempre attuale di un abbraccio, di una corsa improvvisa, di un bacio rubato dietro il tronco di un albero. Non è forse tutto questo ‘amore’ (?); o lo stesso amore che regala alla ‘bellezza’ il piacere di una vita spesa al meglio. (?) Malgrado tutte le brutture cui assistiamo ogni giorno, io credo di sì … riscopriamoci dunque innamorati e abbandoniamoci alla ‘poesia’, alla leggerezza della ‘lettura’ e perché no, alla predilezione della ‘musica’ …

“idillio d'autunno” (GioMa inedita)

una nuvola improvvisa
calpestio d’erba sotto i piedi
il desiderio di correre via nel vento
dolce sapore di una nuova ebbrezza
come di farfalle sui fiori
un pullulare di lascivi sguardi sensuali
. . .
(e un rovescio d’acqua autunnale che ci bagna)

L’invito di oggi quindi, è appunto nel segno della leggerezza sul filo di letture facili (solo all’apparenza) e dedicato a quanti non riescono a finire un libro, assecondando quanto apparso sulla rivista “Il Libraio” preso come ‘punto di riferimento’ per i lettori e il mondo del libro e ospita ogni giorno notizie, interviste, storie, approfondimenti, interventi d’autore, oltre a quiz letterari, classifiche, gallery e infografiche.“

Ɣ – ‘IlLibraio.it’ ogni mese raggiunge oltre 400 mila utenti, con un trend in costante crescita a partire dal rilancio del sito avvenuto a fine 2014, ulteriormente migliorato con l’attuale versione, rilasciata a febbraio 2017, che fra le altre cose ha visto lo sviluppo delle nuove sezioni: d’autore e ebook e digitale. Altrettanto forte è la community sui social, che ogni mese raggiunge oltre 3 milioni di utenti su Facebook, Twitter, Instagram e Youtube. Molto popolare anche l’app, rilasciata nel 2016, disponibile su Apple e Google Play per smartphone e tablet. (info illibraio.it).
Ma riprendiamo il filo del discorso da dove l’abbiamo lasciato, adducendo che abbandonare i libri a metà è un "diritto". Se il libro non ci conquista, perché perdere tempo? Spesso, però, non riuscire a leggere un libro intero non è un problema dovuto al contenuto, ma riguarda noi: poco tempo, distrazioni (il cellulare, i social, le mail di lavoro), oppure i giochi online, le serie TV, persino la letargia o il nervosismo. Pertanto, tornare a leggere, tuttavia, è un’abitudine salutare che riduce lo stress e ci riappacifica con noi stessi. Ecco dunque una lista di libri a prova di noia, mancanza di tempo o di voglia, consigliati a chi, ultimamente, non riesce ad apprezzare più un libro fino alla parola fine.

“IlLibraio.it” dal 2015 offre il primo database delle librerie italiane, un ‘servizio gratuito’ per i lettori e i librai, che permette di cercare il negozio più vicino e di scoprirne i servizi, dando agli utenti l’opportunità di andare “alla scoperta delle librerie per l’Italia” e di lasciare la propria opinione. Registrandosi, anche con un semplice Facebook Login, il lettore può alimentare in molti modi la propria passione per i libri: ricevere suggerimenti di lettura ad hoc, compilare le wishlist dedicate ai propri interessi letterari, contribuire alla community inserendo citazioni e recensioni. Inoltre “ilLibraio.it” offre una newsletter redazionale gratuita, ed è anche l’unico sito editoriale italiano ad offrire la possibilità di costruirsi una newlsetter personalizzata, in base a propri interessi e ai generi letterari preferiti. Sia il sito, sia la rivista sono editi da GeMS (Gruppo editoriale Mauri Spagnol), il secondo gruppo editoriale librario in Italia, che raggruppa molte importanti tradizioni editoriali dirette autonomamente da numerosi editori e direttori editoriali.

Sitografia: www.illibraio.it

Ɣ – Alla leggerezza (si fa per dire) fa riferimento “Come viaggiare con un salmone” di Umberto Eco – (La nave di Teseo Edit. 2016). L’Editore informa trattarsi di “un libro di istruzioni sui generis date da un maestro d’eccezione per situazioni molto particolari: come imparare a fare vacanze intelligenti, come sopravvivere alla burocrazia, come evitare malattie contagiose, come mangiare in aereo, come viaggiare con un salmone al seguito (se te lo regalano e non vuoi rinunciare alla leccornia), come evitare il carnevale, come non cedere all’ossessione della visibilità e molto altro.” In verità potrebbe aggiungere tant’altro, tanti quanti sono i brevi racconti inclusi in indice di questo vademecum dell’uomo qualunque che si ritrova a superare le ‘offensive’ del quotidiano e che l’autore Umberto Eco (con tutti i bla bla dei titoli che seguono) ha annoverato sulle pagine dell’Espresso sotto la dicitura ‘Le bustine di Minerva’, in parte già raccolte in “Secondo diario minimo” edito da Bompiani nel 1992.
Per quanto, e va qui detto, si rileggono con la stessa semplicità (mai scemata) di come si ascoltano degli ‘evergreen’ viaggiando in auto con o senza una meta in quei giorni d’estate, quando la calura ci assale e ci lascia indecisi se prendere l’autostrada assolata verso il mare o la strada polverosa della collina, senza la pur minima certezza di trovare un agriturismo che ci accolga, lontano dal frastuono della calca domenicale. Ed anche senza l’affluenza ostinata di famiglie che pur di non stare in casa si portano dietro un nugolo di bambini che con la scusa di ‘vivere all’aria aperta’ mettono in bella mostra tutta la loro pessima educazione ricevuta.

Non c’è che dire se poi si dice (ed è alquanto vero) che gli italiani sono dei pessimi lettori. Mi dite come caspita fa uno a leggere in sì precarie condizioni? Lo ha ben compreso (a suo tempo) Umberto Eco che tra frizzi e lazzi ridanciani (mai volgari o sciocchi), dando fiato in queste pagine ai suoi pruriginosi impulsi di ‘ridicolissimo autore’ che non lascia niente a dopo, con l’immediatezza della sua scrittura effervescente e in qualche caso sadica. E così, tanto per poi rincarare la dose, ci sberleffa mettendo a nudo le proprie e le nostre sornione defiance alle prese col quotidiano che nulla (ma proprio nulla) risparmia alla nostra futile considerazione. Tuttavia il futile che pure dovrebbe riempire le nostre giornate oziose, ci affranca, in qualche modo, di andare sulle furie per una infinità di altri motivi, che ragioni non sono perché frutto di irragionevoli pruriti.
Un po’ come l’uomo che seduto sull’autobus si gratta la testa senza togliersi il cappello. E che alla domanda legittima del vicino che l’osserva: “Scusi perché continua a grattarsi la testa senza togliersi il cappello?” Replica: “Perché quando a lei prude il sedere si tira giù i pantaloni?”. Non esito come si è visto a diventare scurrile nel parlare di un libro che non cede ad alcuna scurrilità perché Eco è tutt’altra cosa: forbito quando deve, sciolto e leggero sempre, mai volgare, mai dimesso o dismesso, mai cialtrone; anche se una certa cialtroneria gli piace eccome, anche quando indossa la tonaca del giustiziere imperterrito.
Chi legge tra le righe dei suoi innumerevoli scritti più recenti si rende immediatamente conto degli sberleffi e degli schiaffoni elargiti a piene mani, a destra e a manca, ai protagonisti della politica e al malcostume di noi italiani di cui egli si è sempre ritenuto un capofila satirico e burlone che non rinunciava alla buona tavola come all’uso di frasi impudenti o, se preferite, sconvenienti. In questo e per altro verso, avverte ancora l’editore, è questo “un libro che ci guida nella selva delle nostre giornate, nella consapevolezza che la vita scorre per lo più tra piccole cose, incontri fortuiti, piccoli (e falsi) problemi, e non tra dilemmi amletici e interrogativi sull’essere, che occupano solo una piccolissima perzione del nostro tempo, pur essendo l’unica cosa che conta”.

Ed è così, non può essere che così, ribadisce Eco valutando i piccoli ‘interstizi mentali’ in cui si dibattono le nostre idee grandi e piccine (che più piccine non si può), nello scontro quotidiano che segna la nostra realtà giornaliera, spesa (senza accorgerci) dietro i paraventi d’una meschina messinscena che non giustifica la nostra indifferenza ai valori portanti della vita. "Un autentico omaggio alla cultura della leggerezza".
Ciao, Maestro!

Sitografia: www.lanavediteseo.it

“Autunno” (GioMa)
o dell’infinito ritorno, dal giallo intenso al bruno
al rosso sangue che la terra chiama
concretezza di spasimi, di eventi, di volontà affermate
dentro la brace accesa di soliloqui stanchi

patriarca senza legioni, crepitio d’ossa prigioniere
epitaffi di un’attesa che scorre lenta che stenta a venire
foglie uccise ancora vive palpitanti
cadute nel giardino delle rimembranze

scroscio che s’inoltra negli spazi interstiziali
tra i ciottoli arsi, logorio di pietre come di pianto
cimitero di lagrime sparse sopra i misteri del canto
l’ultima come la prima nota dell’universo.

(tratto da ‘Zen Code’ 1 : luci / colori / stagioni / esternazioni, in #larecherche.it)

Ɣ – Una premessa sinottica:
“Peter, ungherese, Ján, ceco, e Gabriel, ebreo, sono tre giovani amici, ognuno irrimediabilmente innamorato della slovacca Mária: è il 1938 e poiché Levice, piccola città della Slovacchia al con ne con l’Ungheria, è tra le poche a vantare una piscina, i tre amici decidono che si contenderanno il diritto di corteggiarla con una memorabile gara di nuoto, il primo settembre. Nelle loro vite irrompe però la Storia, non calcolata, improvvisa e violenta, a impedire anno dopo anno lo svolgersi della competizione, che da allora diventerà il centro gravitazionale delle loro vite, seppur decentrato, rincorso, quasi irraggiungibile: i tre amici e Mária si aggrappano alla loro amicizia e al loro amore come unico collante delle loro identità disperse. In questo romanzo, uno dei più importanti nella letteratura slovacca contemporanea, la Storia sconvolge gli ordini preesistenti e ostacola i legami, obbligando i protagonisti a combattere le potenti e irrazionali forze disgregatrici del Novecento, e della vita stessa.”

La scelta di questa ’introduzione’ si avvale dell’‘incipit’ di per sé letterario da cui prende avvio il libro: “Accadde il primo settembre (o un altro giorno)” di Pavol Rankov (Safarà Editore 2016) Vincitore dell’European Union Prize for Literature (EULP). Stando ad Alexander Halvoník (scrittore e critico letterario): “I personaggi di questo romanzo […] non sono predestinati dalla loro appartenenza etnica, ma le loro origini giocano nelle peripezie del romanzo un ruolo cruciale. Si lanciano nei cataclismi della storia con una passione del tutto personale, e inconsapevoli delle conseguenze.” (…) “Un grande affresco che aiuta a capire gli avvenimenti tragici e i cambiamenti di un’epoca che, passando attraverso una guerra devastante, ha mutato in modo incontrovertibile il volto e il destino di intere nazioni e di popoli. In questo quadro generale, seguiamo le vite dei personaggi che, loro malgrado, si trovano ad attraversare anni difficili cercando di mantenersi in vita e di non disperdere la loro amicizia e il loro amore per una donna, che li unisce e dà un senso alle loro esistenze”.

Pavol Rankov (Poprad, Slovacchia, 1964), scrittore e saggista, è tra le voci più importanti della letteratura slovacca contemporanea. Ha esordito nel 1995 con il libro di racconti “Sodstupom času” (A distanza di tempo), con il quale ha vinto il premio Ivan Krasko, il più prestigioso premio letterario slovacco per la miglior opera prima. In Italia ha vinto il Premio Letterario Internazionale Jean Monnet (1997), e il premio del quotidiano slovacco SME “Poviedka 2001” (Racconto 2001). Nel 2008 esce il suo primo romanzo, “Accadde il primo settembre (o un altro giorno)”, vincitore del Premio Europeo per la Letteratura 2009.

Fondata da Guido Giuseppe Pascotto nel 2016, Safarà Editore è una casa editrice indipendente dedicata alla pubblicazione di opere di narrativa e saggistica che spaziano negli ambiti letterari e disciplinari più diversi, perché lo spirito che la anima è la volontà di mostrare le interconnessioni esistenti tra tutti i rami e le molte vite dell’arte della scrittura. Più di recente la redazione si è arricchita di inediti progetti editoriali e preziosi collaboratori, portando venti di rinnovamento in ogni aspetto della sua realtà poliedrica, che si rispecchiano nella progettazione del ‘taglio obliquo’ del manufatto. Questo atto di cesura rispetto al passato e alla tradizione manifesta, in una rivoluzionaria rivisitazione del classico design del libro, la nostra volontà di pubblicare opere trasversali, oblique; è un segno distintivo che diverrà sempre più caratteristico, e che rende il libro in armonia con la nostra volontà di pubblicare libri traversali, imprevedibili. Un libro obliquo, che fuoriesce dagli schemi conosciuti e ci pone di fronte a inedite prospettive.

Sitografia: (www.safaraeditore.it)

Ɣ – Fra le novità del sito la recherche.it si informa che è in linea l'eBook n. 218 della Collana “Libri Liberi “de LaRecherche.it (scaricabile gratuitamente) a cura di GIULIANO BRENNA E ROBERTO MAGGIANI: “Il posto delle piaghe lucenti” (Poesia e brevi prose) di Giovanni Baldaccini fine poeta e collaboratore della rivista on-line di letteratura e poesia, dal quale traggo:

“Settembre”
Qualche volta abitavo settembre
quando il sole cadeva dalle nuvole
insieme al mio stupore
e le ragazze indossavano le calze per snellire le gambe
mentre io mi disperdevo nella seta delle tue
e luna verso sera.
Abitavo settembre qualche volta
e sconsacrate notti con gli amici
a parlare di donne e di bugie,
ripetizioni spesso accavallate,
tanto per stare insieme
e per scordare
che non ce ne fregava niente di ricordare.
Ed abitavo settembre verso il mare
quando ci tornavo per sentire freddo
e magari inventarti
come fanno le onde con la brina
quando si bagna il mondo ed io mi asciugo
per distinguermi dalle solite conchiglie.
Poi mi abitavo quando mi abitavo
e probabilmente era sempre settembre
perché il tempo non era affatto chiaro
e risultava scomodo tenerne il conto
mentre fa bene passeggiare i giorni che ti passeggiano
a settembre.
Ora non è settembre e non saprei trovare un’altra data
un po’ per la solita pigrizia,
un po’ perché non abito né mi sento abitato,
un po’ perché quando passo non trovo più nessuno
neppure una conchiglia,
un paio di calze appese ai fili della luce,
un morto.
Oggi a settembre c’è la malinconia,
un vuoto
che mi costringe sempre a immaginare.

Ed anche questa delicata e malinconica:

“presentimento”
e già
le ombre del meriggio avanzano
nel vano dalla finestra aperta
a invadere ogni spazio ogni momento

lacero dopo la disfatta
giace il mio corpo inebetito e stanco
con l’autunno che viene
a oscurare la stanza privata ormai dei nostri
sogni

Sitografia: giovanni.baldaccini@larecherche.it

Ɣ – Non solo a Roma s’addice il plauso dell’Autunno, per quanto anche Venezia può vantare musiche straordinarie che hanno fatto il giro del mondo e delle sale da concerto, continuando a sollevare sospiri d’amore leggeri eppure entusiasmanti, come, ad esempio, il “Concerto n.3 L’Autunno” RV293) (CD Philips ‘Le Quattro Stagioni” I Musici con Pina Carminelli), concepito da Antonio Vivaldi nell’ambito di “Il cimento dell’armonia e dell’invenzione”(1724); allorché caratteristica di Venezia era il gusto per la ‘festa’ e il divertimento era strettamente associato alla musica. Tutta la pittura della scuola veneta dal XVII e XVIII sec. attesta la presenza nelle feste nei palazzi e negli spettacoli all’aperto, di complessi di musicanti, pregevoli Scuole di musica e canto polifonico, accreditate ad altrettante Cappelle reali e Complessi monastici quali Chiese e Basilche di maggiore rilevanza; punto di incontro di musicisti internazionali e cassa di risonanza di ‘geni’ assoluti come Albinoni, Corelli, Marcello, Vivaldi , Torelli e Tartini (quest’ultimo di Padova).

Ɣ – “L’inventiva, l’emozione, l’arditezza di certe sue scritture, la parte di virtuosismo concessa all’esecutore – scrive Luigi Bellingardi – sono le principali qualità che deternineranno ‘fino ai giorni nostri’ la forma intrinseca del ‘concerto’ con uno o più solisti, (…) invero ciò che rappresentava per lui l’avanguardia e che volle se ne conservasse la dimensione ‘moderna’”. Scrive Joël Wissotsky che – “.. Vivaldi non si limitava a ricerche di pura scrittura: egli teneva ad attribuire alla musica, una vocazione descrittiva e più ancora una intera gamma di sentimenti umani, di gioie, di dolori, oltre ai vorticosi sentimenti interiori nei confronti della natura. Antonio Vivaldi (anche deto Il Prete Rosso), compose le “Quattro Stagioni” (op.cit.), la cui carica venne riconosciuta, fin dalla sua prima esecuzione, opera di pura creazione”. Quella appunto di cui vi sto parlando contenuta in due LP (Erato - “Concerto a Venezia al tempo di … Albinoni e di …Vivaldi” registrati dallo strepitoso gruppo d’archi de I Solisti Veneti diretti da Claudio Scimone), e che raccolgono inoltre musiche di tartini, Marcello, Torelli. Ed i gaudiosi “Concerti per mandolini” RV93 e successivi, in Erato – Isolisti Veneti ediretti da Claudio Scimone.

Ɣ – In quel tempo: “Venezia viveva il dorato splendore della sua decadenza (dopo gli anni dorati della Serenissima). Il lusso di cui facevano sfoggio i patrizi (dell’epoca), imitato dalla piccola nobiltà anche oltre i propri mezzi, riempiva le calli, le piazze e i canali di quella città senza pari. (…) L’arrivo dell’ora del pranzo servì a far scemare la tensione che era affiorata qualche minuto prima. La sala era un ambiente ampio, luminoso, che dava su un’ala del patio centrale. Come tutto il resto della casa, era arredata con un gusto squisito. Le pareti erano rivestite, fino all’altezza di un metro circa, da pannelli separati da mezze colonne. La parte superiore della parete era tappezzata in seta. I mobili della sala da pranzo erano in stile spagnolo: sedie e poltrone con basi e schienali di cuoio finemente lavorati e policromi. La tavola era apparecchiata con eleganza e buongusto: sulla tovaglia di lino bianco con minuscoli ricami, erano disposti posate d’argento, piatti di porcellana bianca e superbi cristalli veneziani rosa con i bordi dorati. Il pranzo, non poteva essere diversamente, era pensato per onorare adeguatamente i commensali: vichyssoise, carpaccio di salmone, filetto di vitello guarnito di funghi; il dolce, una delicata millefoglie coperta dda un leggero strato di crema alla vaniglia. Il cibo era accompagnato da vini scelti del posto. Per tutta la durata del pranzo i convitati furono allietati dal sottofondo musicale di alcune sonate per violino, del “Concerto RV121 in re maggiore” (1717) e del “Concerto RV93 per mandolino e orchestra d’archi” (1720). Naturalmente di Vivaldi”, entrambi caricati su Youtube. Buon ascolto.

Ɣ – Quanta bellezza da sempre ci regala la musica tutta, e quale meraviglia accende in noi ascoltarla. Ben lo ha appreso Pedro Mendoza nel suo thriller “L’Enigma Vivaldi” (Mondadori 2007), per svelarci ‘un segreto millenario nascosto tra le ombre di Venezia’ da cui ho tratto il brano cui sopra e che invito a leggere, se non altro perché parla di musica e di un autore per certi versi passato sotto silenzio, forse perché ci parla di quella ‘musica del diavolo’ ai tempi severamente proibita dalla Chiesa. L’enigma è racchiusa, per l’appunto, in una partitura appartenuta proprio al famoso Prete Rosso (Antonio Vivaldi).
“L’esperto Lucio Torres, protagonista del romanzo, non impiegherà molto per capire che la partitura è in realtà un codice lasciato appositamente dal grande compositore (…) lasciato alla setta detta Fraternitas Charitatis, della quale il Prete Rosso avrebbe fatto parte. Ma indagare su un mistero secolare, forse millenario, significa destare l’attenzione di forze occulte che da tempo si occupano di custodire – o impadronirsi – di uno strumento così potente”. Lo straordinario di questo romanzo sta nell’eccezionale inventiva, in grado di mescolare intrigo, misteo e tensione in una storia che ha il sapore della migliore narrativa di avventura …

“Ma non capisci che ci troviamo di fronte a qualcosa di straordinario? Che abbiamo a portata di manoooo la possibilità di svelare un enigma irrisolto e che ricercatori di tutto il mondo darebbero qualsiasi cosa per essere al nostro posto? (…) Non lo so. Ho un brutto presentimento. Siamo sul punto di svelare un mistero che è stato rispettato per due secoli e mezzo, quasi volessimo aprire una porta che dovrebbe restare chiusa.”
Peter Harris alias Pedro Mendoza nato da famiglia spagnola, ha studiato archeologia e sociologia alla UCLA (San Antonio, California). Da alcuni anni vive nella Costa del Sol come docente di storia, ma trascorre lunghi periodi in Italia per la sua attività di traduttore e ricercatore degli Archivi Vaticani. “L’Enigma Vivaldi” è il suo primo e, a quanto pare unico, suo romanzo.

Sitografia: www.librimondadori.it

E dietro una porta chiusa non può che celarsi un infinito silenzio che ci porta lontano dal passare del tempo … ora e per sempre qui:

“dentro il silenzio” (GioMa inedita)

..siamo due foglie nel vento
trascinate lontano
siamo uno scroscio di pioggia
che scende e che lontano va
come un andante leggero
nel silenzio della sera

così vicini eppur così lontani
siamo quelli che siamo
senza domani
siamo l’intimità assoluta
una semplice sequenza
di questa stupenda bellissima esistenza

so che verrai lo sento
aprirai la porta
in questo preciso ed unico momento
per riscoprire con me
i limiti del mondo
intorno al nostro letto

e nel buio della notte
ci ameremo ancora
come angeli che per la prima volta
a piedi scalzi e senza far rumore
danzano abbracciati
dentro l’immensa stanza dell’amore
. . .

fin dentro il silenzio e dentro il nostro folle cuore


Ɣ – Fabrizio Casu e il suo … “Il lungo viaggio di una chemise. Un’epoca attraverso un abito” – Europa Edizioni 2014 / ristampa 2016. Costantemente aperta a ogni influenza, grata a ogni ispirazione, la moda ha sempre accettato suggerimenti e nuove tendenze nel suo scorrere lungimirante, ciò per quanto la storia dell’abbigliamento in realtà non sia mai stata scritta per intero o, comunque, ancora non abbia potuto misurarsi con l’evoluzione del ‘costume’ nelle sue accezioni di utilità, di praticità e perché no di abbellimento, riferito al quotidiano adornarsi. E chissà che non debba ancora passare del tempo prima che una tale storia possa essere scritta.
Questo il quantum del raffinato libro di Fabrizio Casu che va a colmare un ‘vuoto editoriale' specifico dei manuali enciclopedici ove la specialistica richiede maggiore approfondimento di ciò che all’apparenza può sembrare soltanto interstiziale, nell’evoluzione di un’ ‘epoca illuminata’, fiorita tra il XVIII e il XIX secolo, che ha visto, in assoluto, i maggiori cambiamenti culturali e sociali, nonché le prime avvisaglie del progresso industriale.
In ciò la scelta del singolo capo d'abbigliamento femminile, la ‘chemise’ per l’appunto, in quanto parte integrante della ‘specialistica’ dell’autore, tesa a superare la dicotomia del pretesto storico elitario/popolare qui delineato. Se non altro per alimentare in modo organico il fenomeno poliedrico, per fare il punto su un tema vastissimo, squisitamente futile e rigidamente serio che è la ‘moda’: «Nello stesso tempo imprevedibile e sistematico, regolare e sconosciuto, aleatorio e strutturato», (Barthes), e che ha richiamato l’interesse degli studiosi di estetica e degli storici dell’arte, ma anche di psicologi, sociologi ed etnologi, e soggetto a tutt’oggi di interpretazioni spesso contrastanti.
Non sembri quindi azzardato supporre che la moda, nei fondamentali aspetti che la caratterizzano, è di fatto nata con l’uomo storico, sebbene è con l’avvento della società capitalistica che si fa coincidere l’insorgere di quella specie di ossessione per il nuovo o ‘neomania’ di cui l’abbigliamento rappresenta uno degli aspetti più eclatanti. È interessante ricordare come lo storico del costume Jules Quicherat abbia fissato intorno al 1750 i canbiamenti più rilevanti della moda, nella prospettiva storica più ampia, evolutisi secondo un ordine proprio tendenzialmente autonomo, a conferma di come le ragioni attraverso le quali ogni novità s’impone, siano da ricercarsi sul piano dei significati sociali necessariamente insiti al fenomeno collettivo.
È a questo punto che la ‘ricerca’ di Fabrizio Casu s’innesta, soffermandosi sugli aspetti più nascosti e segreti del fenomeno, sollecitando in chi legge la curiosità e il mistero intrinseco in un elemento personale così ‘intimo’ da stimolare le più recondite sollecitazioni: «Semplice e sciolta come una tunica, la ‘chemise’, con la sua immacolata innocenza, affronta la modernità più radicale, promuovendo la simbiosi fra corpo e abito, concellando gli artifici e le costrizioni della moda.» (scrive l’autore)
Affermazione questa che rende possibile ripercorrere a grandi linee la storia di almeno un secolo di intima ‘fashionable’ eloquenza della moda, quella simbolica e luminosa di ‘essere’, ma anche quella imperfetta e misteriosa del ‘l’apparire’, inscindibili l’una dall’altra, e che pure permette a noi post-moderni, di conoscere meglio chi siamo. Di porci - per così dire - davanti allo specchio coperti del candore della nostra intima nudità, prima di rivelarci all’amore e di lasciarci andare ai turbamenti del sesso.

Tuttavia in questo ipotetico viaggio nella moda l'autore mette in evidenza una sua particolare chiave di lettura che va oltre le avvenute variazioni del semplice vestire, annotando come la 'chemise' si sia adattata a tutte le varianti possibili e le molte interpretazioni che di volta in volta si sono succedute fino a noi contemporanei. Come, ad esempio, che si può essere diverse/i conservando la propria femminilità/mascolinità in concomitanza con quella dei propri partners. Infatti sempre più spesso l'utilizzo e il dichiarato scambio dei ruoli, così come appare sulle pagine dei rotocalchi e ancor più nel cinema, permette ormai di dire che c’è più motivo di nascondere o mistificare chi si è, travestirsi da ciò che non si è, mistificando che il lesbismo e l’omosessualità esistono da sempre, solo per fare un esempio inerente alla 'chemise' e alla 'chemiserie'.
Va anche detto che il libro, questa mini-enciclopedia del 'senso' sulla moda della ‘chemise’ ci regala inoltre pagine profumate di fascino settecentesco intorno alla figura immortale di una déa della femminilità: Maria Antonietta Regina di Francia, un personaggio complesso capace di vivere fino in fondo le contraddizioni del suo tempo. Una figura eclettica che trasformò Versailles nella culla dell’ ‘eleganza’ per eccellenza, e un’intera Corte in un inno alla ‘bellezza’ eccentrica.

Ma nel leggere il libro non rifugiatevi nella grettezza di coloro che vi riconoscono solo i lati fortemente negativi di una impresa che a suo tempo ha dilaniato un paese portandolo alla Rivoluzione civile; bensì godete dell’idea profumata di una fiaba, o di un bel sogno altrimenti possibili: "Che la bellezza insita nella moda è per sua definizione l'essenza stessa della vita, che forse vale la pena di rincorrere".
Mi chiedo se non sembra anche a voi lettori di sentire l’effervescenza di quella vanità che fuoriuscire dalle pagine di questo libro e che si lascia leggere come un intimo romanzo d’amore? Di percepire l'effluvio soporoso di una 'chemise' appena tolta, promessa in sé di un corpo che si svela? Beh, provate di tanto in tanto a chiudere gli occhi per un istante e ben presto il suo profumo presto vi ammalierà.

“valzer folle d’autunno” (GioMa inedita)

folle foglie follie
ragazza fragile
cristallina dipinta d’ombretto
appena cominciato già finito
sotto i piedi di folle sconosciute
la tua vita valzer di foglie cadute
che girano
che volteggiano folli
non c’è alcun principe azzurro
a raccoglierle
girano voltano finiscono sui marciapiedi
come gli anni che passano
in quest’autunno che viene
che resta nudo
come il tuo corpo e il mio
le nostre mani vuote
tra la folla

Fabrizio Casu è nato a Sassari nel 1980, ha frequentato il corso di fashion design alla NABA di Milano e si è laureato nel 2005 con qualifica di “esperto e creativo del settore moda”. Dopo aver intrapreso un corso di cool hunting e uno di texile design, ha lavoratp presso la Mantero Seta di Como, operando nel “La Tessitura”. Inoltre, ha svolto docenza di Storia del Costume e Progettazione Moda in scuole pubbliche e private di Sassari. Nel maggio 2013 ha pubblicato due saggi per la casa editrice EDES: “Novecento: il secolo della moda” e “Madonnna, vampira postmoderna”.
“amare” (GioMa inedita)

..è chiedere al tempo
di fermarsi
alle foglie
di non impallidire
è chiedere al sole
di bruciare
tutto quello che ci sta
attorno

Ɣ – per le ‘poesie apparse in tutti gli articoli a firma Gio-Ma – cerca nel sito giorgio.mancinelli@larecherche.it


(prosegue nella prossima puntata)


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Notti di Pizzica un libro di Gianmaria Ferrante

"Notti di Pizzica" un libro di Gianmaria Ferrante - Youcanprint 2017

 

Si sa, col tempo le distanze si fanno più lontane e le assenze troppo prolungate spesso si dimenticano. Così, per contrastare questa verità, si dice che il passato prima o poi ritorna a rammentarci chi siamo. È allora che non si ci può dimenticare che esiste, che il passato è parte di noi, di quanti l’hanno vissuto in prima persona e anche di chi nò, ma che avverte di avercelo nel sangue, nel proprio attaccamento alla propria terra d’origine. Si dice anche che una terra possa entrarti nell’anima e diventare ‘madre adottiva’ di quanti la ‘vivono’ nelle proprie viscere o per simbiosi elettiva, e anche di chi ne respira l’afflato direttamente dalle antiche vestigia del tempo. Come appunto nel caso dell’autore di questo libro, Gianmaria Ferrante, nativo delle valli bergamasche che una volta calato al Sud è stato travolto dalla ‘fascinazione’ disarmante e accomodante della sua musica. Del resto accade e non si può fare nient’altro che abbandonarsi ad essa, di lasciarsi condurre nelle spericolarità della vita.

Con ciò mi rivolgo a quelle ‘nuove generazioni’ che nate negli anni ’80/’90, hanno conosciuto l’avanguardia musicale del Sud, se non proprio direttamente, magari attraverso le sporadiche incisioni discografiche del Sud Sound System, il cui tentativo, più o meno riuscito, si proponeva di aprire ad una prima forma di contaminazione musicale tra l’hip hop (ragamuffin salentino) e la tradizionale ‘pizzica pizzica’, tipica di quella vasta area denominata Salento. In quegli anni erano almeno due i gruppi di ‘riproposta musicale’ esistenti sul territorio, il Canzoniere Grecanico e i Tamburellisti di Torrepaduli che si davano il cambio sulla scena delle Università e nelle feste di piazza, ma non tutti apprezzarono l’idea e le iniziative messe in campo, causa il riferimento al ‘tarantismo’ e alla ‘pizzica pizzica’ terapeutica, ai vecchi riti e credenze dei contadini del sud, in contrasto coi neo-riti metropolitani in voga.

Ciò nell’intento – così si diceva allora – di preservare identità, tradizione e radici di una presunta purezza e originalità incontaminata, in quanto bagaglio della propria cultura formativa, per quanto nel corso dei secoli, la cultura popolare della regione avesse subito a più riprese l’influsso di credenze e ideologie d’origini diverse, altrettanto solide, argomentate e diffuse in altre regioni limitrofe, tipiche dei popoli medio-orientali greci, turchi, albanesi, bizantini e islamici. Una prima constatazione infatti, fu che i cosiddetti ‘portatori’ della tradizione, a differenza dei protagonisti della scena avanguardistica metropolitana, si mostrarono più disponibili e adattabili a ogni nuova situazione e per nulla inibiti dalla questione identitaria. Per quanto, sul piano storico-teorico e sociale, prevalentemente in quegli stessi anni, si era approdati alla conclusione accademica di ridimensionamento della sfera elettiva, per cui: ’la tradizione è un’invenzione’, e l’ ‘identità è un mito’.

Nulla di più essenziale del ‘mito’ e niente più affascinante dell’invenzione della ‘tradizione’ per introdurre questo nuovo libro di Gianmaria Ferrante in cui, seppure sulla scia di una ricerca che inizialmente s’avvale di testimonianze sul campo, per l’appunto – il mito; tende a ricreare situazioni verosimilmente attendibili di un certo passato, direi alquanto suggestivo, dacché la ‘re-invenzione’ poetico-narrativa ormai diventata latente, si rianima per l’occasione in queste pagine stracolme di vita. Viene da chiedersi quale migliore forma di seduzione avvolge il lettore, se non quella di sentirsi protagonista di una storia che in qualche modo gli appartiene? Quale onesta sollecitudine l’assale, allorché superato lo scoglio della memoria (che può non avere presente), si ritrova a camminare sulle impronte dei padri e magari dei nonni, o di quei trisavoli che hanno segnato la storia di quella che oggi riscopriamo essere d’appartenenza della nostra civiltà contadina?

Non a queste domande risponde l’autore di questo libro redatto con linguaggio ‘schietto e verace’ al pari di un gioco di carte che si ripropone a quanti, seduti intorno al tavolino, magari (anzi certamente) davanti a una brocca di buon vino fatto alla vecchia maniera, si raccolgono a brindare ‘alla salute!’ e ‘alla vita!’, dopo una giornata passata ccon la schiena piegata nel duro lavoro della terra, alla raccolta delle olive o alla mietitura, e perché no, al dolce vendemmiare. Purché poi si vada tutti insieme a ballare sull’aia al suono della fisarmonica e del tamburello, sulle canzoni-a-storno che s’incastrano nel tema della ‘pizzica pizzica’, insieme canto apotropaico e imprecazione, preghiera ed esaltazione, rito magico e divinazione, sullo sfondo di una religiosità sommersa che s’aggira ancora oggi sotto altre sembianze, e che entrata nella cultura musicale contemporanea, funge da ‘suggestivo’ richiamo d’innumerevoli masse.

Quella stessa suggestione che ha infatuato lo scrittore Gianmaria Ferrante nello scrivere ‘Notti di Pizzica’, sulla scia delle ‘Notti della taranta’ che istituzionalizzata e spettacolarizzata (come quella seguita recentemente in TV in forma di concerto ‘rave’), è ‘vissuta’ con trasporto etnocoreutico durante un’intera notte da migliaia di fan sostenitori che giungono da ogni parte del mondo, letteralmente esorcizzati dall’endemica ‘possanza’ (Posse) della musica e ancor più dall'antica ‘diavoleria’, descritta da Ernesto De Martino in ‘Sud e Magia’. Il quale per primo ha istituzionalizzato l’immagine del ‘tarantismo’ nella riproposta culturale della musica popolare. A differenza del ‘tarantismo’ di esecuzione magico-religiosa, la ‘pizzica pizzica’ si presenta oggi con un ritmo e uno stile che è perfettamente compatibile con il quadro di negazione della passività, o della soccombenza alla trance spirituale.

La ‘pizzica pizzica’, suonata per giorni o addirittura settimane per la cura delle tarantate, aveva spesso caratteristiche proprie che la differenziavano da quella suonata per il ballo o come la chiamavano alcuni, la ‘taranta’, eseguita con un ritmo in genere più accelerato rispetto a quella suonata per il ballo, e molto spesso le tonalità più frequentate erano quelle cosidette 'minori', capaci di ‘scazzicare’ (ossia stimolare) più facilmente la tarantata grazie al carattere ridondante e malinconico che le tonalità minori appunto posseggono. L’odierno motto: ‘Ballati moi, ballati tutti quanti, ballati forte’, ben rende il proposito postosi nel processo di diffusione della musica e della danza popolare come forma di aggregazione comunitaria, sempre più crescente e coinvolgente a tal punto da poter attribuire ad essa valore di rappresentatività delle identità locali e della storia del territorio comprensivo del Salento e in altre subregioni della Puglia, come la Bassa Murgia e Matera, appartenuta anch'essa alla Terra d'Otranto.

Questo libro rientra in quest’ottica fatta propria dallo scrittore nelle tante storie che lo compongono e nei suoi molteplici personaggi, certuni davvero indimenticabili  e più 'realistici’; altri catturati dall’esperienza ‘vissuta’ sul territorio; altri ancora ‘immaginari’, ripresi, per così dire, da ‘soggetti terapeutici’ di una realtà ludica che, per l’appunto, si manifesta nelle ‘Notti di pizzica’ e che, in qualche modo, si rifanno ai rituali curativi dei morsicati (veri o presunti) dalla Lycosa Tarantula. Cioè in quelle notti ove il pizzico della ‘tarantola’ è più mordace e accresce nel soggetto tarantolato la smania dell’agitazione corporale e/o spirituale che a volte assume aspetti che vanno dall’ ‘indiavolato’, seguito dalla guarigione ‘miracolosa’; alla ‘fantasmata’, in cui i fantasmi del passato fanno ritorno a chiedere laggio o, a rivendicare l’affronto della ‘morte’.

 

Fandonie, direte voi, ma che certe cose siano davvero accadute, è di fatto innegabile.

 

Ed eccoci così arrivati al punto, per cui tanto vale lasciarci prendere dal rapimento del racconto e, poiché più delle parole contano i fatti, godiamo nel rileggerci com’eravamo, non senza una certa vis comica che, oggi, ci fa sorridere:

 

Da ‘Tre compari’. . . .

«La musica era un mezzo assai diffuso da quelle parti per esprimere gioia e dolore. La incontravi nei vicoli alla nascita di un bimbo, la notte quale serenata alla ragazza tenuta in casa sottochiave; ai matrimoni, durante i funerali, al tempo della mietitura, dopo una vendemmia. In pratica diventava l’essenza di quella gente semplice che sapeva commuovere anche il più incallito esattore delle tasse, convincendolo spesso a rimandare un poco la riscossione del dovuto, avvisare per l’arrivo di qualche tipo altolocato e senza cuore, dando così il tempo necessario per smontare il cono dei trulli e non pagare un soldo agli esattori del Regno. Non esistevano scuole adatte o maestri di grido, direttori d’orchestra o teorici del contrappunto, ma tutti andavano ad orecchio fidando nella cultura musicale formatasi in tante occasioni di ballo.

C’era poi chi accennava un canto, dapprima a mezza voce, poi sempre più deciso in base agli applausi d’incoraggiamento. A volte si univa al compare un tipo col violino incontrato dal barbiere. Se qualcuno poi ereditata una mezza fisarmonica, con l’aggiunta di una chitarra si formava un trio. Allora diventava una faccenda seria … Pare che bevessero in quantità sufficiente a liberare i vincoli segreti (…), così, dopo aver suonato abbastanza, messi da parte gli strumenti, i tre si sbottonavano raccontando maldicenze di paese; quelle già note alle comari di vedetta negli angoli strategici della zona, ma anche i segreti più riposti di certi frescono, notoriamente definiti come tipi ‘alla bona’.»

 

Da ‘La vedova nera’. . . .

«Nei campi rinsecchiti da un sole tremendo si aggira spesso un ragno pericoloso. Non visto, rilascia il suo marchio a qualche donna addetta al raccolto del grano e un veleno particolare, difficile da neutralizzare. In passato, allorquando non c’erano ospedali specializzati per porvi rimedio era necessario abbandonarsi a un ritmo indiavolato, portato avanti per ore, onde espellere le tossine del suo fluido mortale. Gli strumenti suonavano per tutta la notte, anche il giorno seguente, finché la donna esauriva ogni sua energia cessando di rotolarsi a terra. In parecchi assistevano all’evento, ma il ruzzzolare di quella donna tarantata non era certamente un bello spettacolo da vedersi.

Si racconta anche della continua ricerca di una serpe maligna, magari un saettone che non la mordesse, ma fece di peggio: la fissò negli occhi inserendo nell’anima un richiamo pressante, impossibile da contrastare. (…) Continuò così per mesi, scarmigliata e stanca girando per i campi, chiamando chi le aveva impresso nell’animo quel richiamo irresistibile; guardando nei buchi sui muri, nei cespugli delle forre selvatiche. Poi una follia silenziosa la ridusse a cancellare qualsiasi amicizia. L’estate successiva si allontanò dal paese e non vi fece più ritorno, ma parve a qualcuno che fosse tornata in gran segreto nella Sierra Rotta alla ricerca di chi la chiamava nel sonno. Poi non la si vide più, forse sparita nella voragine di quella terra maledetta, aperta in un lontano possato da uno sconquasso tremendo.»

 

Da ‘Donne pericolose’. . . .

«Il giorno della festa era di sabato. Benché si lavborasse tutto il giorno, salvo per riposare la domenica, li abitanti della masseria con famiglia propriearia , braccianti, avventizi e giovani donne addette alla raccolta del grano, oltre a una schiera di bimbi sempre di corsa, si ritrovarono per una festa ch’è rimastra negli annali della zona. La voce si sparse dappertutto, anche fuori contrada. (…) Convocarono i suonatori più conosciuti. Il cieco leo di Funieddo, Linuddo lo Zueppo e Pino Reale con Irina, diventata sua moglie e ormai aggregatasi al gruppo. Si aggiunge poi Nino di Milano con Ziella, donna splendida e gran ballerina di ‘pizzica’, capelli neri sciolti al vento, una rosa rossa fermata con forcina d’osso, camicetta grigio perlat, gonna nera molto ampia con fascia rosso carminio in vita.

Di sera arrivarono anche ‘Ntonuccio lu Fiscolo e suo padre, entrambi a bracceto del nonno che, fatto assai strano, lasciò sguarnito il frantoio con dentro l’olio di un inverno intero; quindi Seppo il Sensale, sempre alla ricerca di qualche affare, e Maestr’Antonio, il falegname rimasto solo, oltre a parecchie bimbe, saltellanti prima ancora che cominciassero a suonare. (…) L’invito ufficiale venne fatto da Tommaso il Cantatore, noto per le strofe amorose pronunciate durante ogni matrimonio; in fondo era l’unica attrazione di quel periodo, naturalmente escludendo i suonatori in giro per contrade alla ricerca di un pasto sostanzioso. A ogni frase con rima lui riceveva un applauso, poi beveva, giusto per santificare il fatto (e la festa). E quandol’esternazione poetica si prolungava più del necessario, di peso lo portavano fuori a prendere un po’ di fresco, così per rianimarsi un poco. (…) Quindi il piccolo gruppo riprese a suonare, ma ormai il ritmo si era addolcito rilasciando per tutti canzoni d’amore e fratellanza sincera. Alcuni ripresero a danzare, altri si commossero o rimasero seduti colloquiando fra loro. (…)

A tarda sera qualcuno intonò un canto, ereditato forse dai naviganti che fecero sosta in passato a Torre dell’Orso e si sfidarono con spade e coltelli, mentre uno zufolo accompagnato da un tamburello li spingeva a danzare. Quella sera il coro della gente crebbe di forza fino a investire la luna con un raro sentimento di fratellanza, poi tutti se ne tornarono a casa o salpavano l’ancora, ma quella musica sarebbe rimasta impressa nella loro memoria, fino alla prossima occasione della festa.»

 

Bibliografia essenziale:

Di Gianmaria Ferrante, romanziere, saggista, poeta, si conosce una folta produzione letteraria, tra cui i romanzi: ‘Un uomo di successo’ Ed. BookSprint; ‘Quaranta notti’ Europa Edizioni; ‘Gli amori verdi’ Ed. rpa Letteraria. Inoltre a una forbita produzione poetica raccolta in ‘Metropolis’ ed in ‘Mediterranea’ Ed. Golden Press International Edition, (vedi recensione su questo stesso sito).

 

Sitografia: www.gianmariaferrantescrittore.it www.ipoderidelsole.it

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Premio Strega al centro culturale Moby Dick di Roma

Premio Strega a Moby Dick - Roma
Mercoledì 27 settembre • Moby Dick biblioteca hub culturale.

Paolo Cognetti, vincitore dell’ultima edizione del Premio Strega, interverrà all’inaugurazione di una nuova sezione di libri a Moby Dick, biblioteca e hub culturale della Regione Lazio.

A partire da mercoledì 27 settembre, infatti, Moby Dick biblioteca hub culturale e Università Roma Tre metteranno a disposizione dei lettori e degli utenti una parte della #biblioteca esclusivamente dedicata ai settantuno titoli del Premio Strega, il premio letterario più importante d'Italia.

Sistemati per ordine cronologico, i volumi riescono a dar conto dei cambiamenti nella sensibilità culturale italiana col passare dei decenni, da Ennio Flaiano a Paolo Cognetti stesso, e tutte le pubblicazioni saranno a disposizione di chi le vorrà chiedere in prestito o prendere solo per consultazione in biblioteca.

L’iniziativa è organizzata dalla Regione Lazio e dall’Università Roma Tre con il patrocinio della Fondazione Maria e Goffredo Bellonci.

All’incontro interverranno:

Massimiliano Smeriglio, Vicepresidente della Regione Lazio
Maria Francesca Renzi, Prorettore Vicario Università Roma Tre
Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione Bellonci.

Al termine della cerimonia inaugurale, Paolo Cognetti si intratterrà con il pubblico e con alcuni esponenti dei circoli di lettura di Moby Dick e delle Biblioteche universitarie.
Eventi in programma
Set27
Inaugurazione Sezione Libri Premio Strega a Moby Dick
Mer 17:00 • 27 partecipanti
Set29 Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane
Ven 18:00 • 3 partecipanti
Ott3 Odino nelle terre del rimorso
Mar 18:00
Ott4 Anticorpi. Dialoghi su Roma
Mer 18:00
Ott5 Borges non è mai esistito
Gio 18:00 • 17 partecipanti

"Moby Dick" è una Biblioteca molto attiva e molto frequentata: ricca di eventi di varia cultura. E' luogo di aggregazione e di confronto nel quartiere e nella città. L'organizzazione è ottima: la cura, la disponibilità, l'efficienza e la cortesia del personale sono le qualità principali che la valorizzano.

Moby Dick è uno spazio culturale, biblioteca, sala lettura ed eventi. Bookcrossing e piccola area giochi per bambini. Aperta a tutti. Luogo di aggregazione per studenti e persone di tutte l'età è un riferimento per l'intero quartiere. Ampi orari di apertura, aperto anche la domenica mattina. Lo spazio riutilizza quelli che un tempo erano i bagni pubblici della Garbatella progettati da Innocenzo Sabbatini.

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’Foxtrot’ vince e si candida all’Oscar

Foxtrot pluripremiato agli Ophir Awards di Israele
di Orr Sigoli - in collaborazione con Cineuropa News.

21/09/2017 - Il vincitore a Venezia del Leone d’argento porta a casa otto statuette, tra cui Miglior film, Miglior regista e Miglior attore

L’opera seconda di Samuel Maoz, 'Foxtrot', ha avuto la meglio in occasione della 28esima edizione degli Oscar israeliani, che hanno avuto luogo il 19 settembre. Lo splendido film di Maoz su una famiglia israeliana che risente del servizio militare maschile si è aggiudicato otto statuette. La sua vittoria per il Miglior film lo fa automaticamente volare ai 90esimi Academy Awards come candidato ufficiale israeliano nella categoria Miglior film in lingua straniera.

'In Between' di Maysaloun Hamoud ha prevalso in entrambe le categorie femminili, con Shaden Kanboura Miglior attrice e Mouna Hawa Miglior attrice non protagonista, segnando la prima volta che due attrici arabe portano a casa le statuette nella stessa sera. Il vincitore del People’s Choice Award delle Giornate degli Autori, Longing di Savi Gabizon, si è aggiudicato il premio per la Migliore sceneggiatura.

Di seguito la lista dei vincitori:
Miglior film
Foxtrot – Samuel Maoz (Israele/Germania/Francia/Svizzera)
Miglior regista
Samuel Maoz – Foxtrot
Miglior attore
Lior Ashkenazi – Foxtrot
Miglior attrice
Shaden Kanboura – In Between (Israele/Francia)
Miglior attore non protagonista
Ami Smolartchik – Scaffolding (Israele/Polonia)
Miglior attrice non protagonista
Mouna Hawa – In Between
Migliore sceneggiatura
Savi Gabizon – Longing (Israel)
Migliore fotografia
Giora Bejach – Foxtrot
Miglior montaggio
Arik Lahav Leibovitch, Guy Nemesh – Foxtrot
Migliore direzione artistica
Arad Sawat – Foxtrot
Migliori costumi
Maya Leibovitch – Madam Yankelova’s Fine Literature Club (Israel)
Migliore colonna sonora originale
Ophir Leibovitch, Amit Poznansky – Foxtrot
Miglior sonoro
Alex Claud – Foxtrot
Miglior casting
Orit Azoulay – Doubtful (Israele)
Miglior trucco
Shiri Shamsha - Madam Yankelova’s Fine Literature Club
Miglior documentario
Ben-Gurion, Epilogue – Yariv Mozer (Israele/Francia/Germania)
Miglior documentario sotto i 60 minuti
Hope I’m in the Frame – Netalie Braun (Israele)
Miglior cortometraggio
Sirens – Erez Tadmor (Israele)
Premio alla carriera
Nissim Dayan (regista)
Premio alla professione
Era Lapid (tecnico del montaggio)

'Foxtrot' è il candidato ufficiale israeliano agli Oscar
di Orr Sigoli - in collaborazione con Cineuropa.

21/09/2017 - Il film Leone d'Argento di Samuel Maoz è stato scelto dall'Academy of Film and Television israeliana per rappresentare il paese nella corsa all'Oscar del Miglior film in lingua straniera.

Dopo aver vinto il Premio come Miglior film agli Ophir Awards, Foxtrot di Samuel Maoz, vola ad Hollywood nella speranza di rientrare tra i film selezionati per la categoria Miglior film in lingua straniera. L'Israele è l'unico paese in cui il vincitore dei Premi nazionali diventa automaticamente il candidato ufficiale agli Oscar e, quest'anno, Foxtrot ha avuto la meglio su In Between, Scaffolding, Doubtful e Longing.

Foxtrot è il secondo film di Maoz dopo Lebanon , vincitore del Leone d'Oro nel 2009. Questa nuova pellicola racconta la storia di due generazioni di uomini israeliani: un padre (Lior Ashkenazi, Premio Ophir per il Miglior attore), alle prese con i traumi conseguenti al servizio militare e con un matrimonio in crisi, e suo figlio (Yonatan Shiray), giovane soldato di stanza in uno sperduto checkpoint militare.

Il film ha ricevuto critiche entusiastiche alla Mostra di Venezia, da dove ha riportato il Leone d'Oro e il Gran premio della giuria e poi è stato mostrato al Telluride Film Festival. Di ritorno in patria, ha presto dato vita a una polemica sollevata del Ministro della cultura israeliano, Miri Regev, che ha attaccato pubblicamente il film per la sua “rappresentazione pretestuosa delle Forze di difesa israeliane”. L'Academy non si è tuttavia lasciata influenzare e ha votato Foxtrot come il miglior film dell'anno per le straordinarie immagini e il toccante dramma umano.

Foxtrot è una coproduzione di Israele, Germania, Francia e Svizzera di Pola Pandora Filmproduktions, Spiro Films, ASAP Films e KNM. Le compagnie di coproduzione sono Bord Cadre Films e Arte France Cinéma. I produttori sono l'israeliano Eitan Mansuri (The Congress) e Jonathan Doweck, insieme ai produttori internazionali Marc Baschet, Viola Fügen, Čedomir Kolar, Jamal Zeinal Zade, Michel Merkt e Michael Weber di The Match Factory, attraverso la sua Pola Pandora. Il film è stato recentemente acquistato da Sony Pictures Classics.
L'Israele è stato nominato agli Oscar dieci volte (l'ultima è stato per Footnote, con Ashkenazi) senza però mai vincere il premio, diventando così il “grande perdente” di questa categoria.

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Roma a Teatro Viaggio buffo in cerca di Pirandello

'PUPI SIAMO' Viaggio buffo in cerca di Pirandello.

Teatro di Villa Torlonia - Roma

Venerdì 22 settembre 2017 ore 19.30

Due attori che stanno andando in teatro per recitare 'I giganti della montagna' Luigi Pirandello si ritrovano, in circostanze di apparente casualità, in camerino a parlare della vita e dell’arte del Poeta, dei suoi frammenti di vita, dei personaggi delle sue opere e della sua famiglia.

'Pupi siamo' è uno spettacolo in cui la parola viaggia insieme al corpo degli attori che, come una marionetta/pupo, si mostra in continua trasformazione: dalla 'staticità' e rilassatezza del racconto alla dinamicità e ai ritmi nell’interpretazione dei personaggi, alcuni dei quali 'reali' e composti, (la madre, il figlio Stefano, conoscenti…), e altri, veri o fantastici, informati al disordine fisico e al caos.

Proprio come Pirandello trasponeva le persone dalla vita reale nei suoi racconti letterari e teatrali, così i bravissimi Gianfranco Quero e Marco Natalucci conducono lo spettatore dalla vita vissuta a quella narrata dal celebre drammaturgo, in uno stile narrativo colloquiale, spesso divertito e divertente, attraverso continue digressioni temporali ed escursioni nell’attualità.

Un testo che vive di frammenti tratti da Uno nessuno e centomila, 'Il fu Mattia Pascal', 'L’uomo dal fiore in bocca', 'I giganti della montagna', 'La favola del figlio cambiato', 'Il berretto a sonagli', 'Ciaula scopre la luna', 'Enrico IV'.
Lentamente, la biografia del poeta diventa un inno di dolore alle condizioni attuali della Sicilia ma anche un omaggio alla contraddittoria, mutevole, affascinante arte dell’attore.

Progetto di Gianfranco Quero
Regia e adattamento scenico di Gianfranco Pedullà
Costumi e oggetti di scena Rosanna Gentili
Luci Marco Falai
A cura di Teatro Popolare d’Arte.

Ingresso con prenotazione obbligatoria allo 060608 a partire da 7 giorni prima dell’evento.

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Venezia 74 il Cinema d’autore

EXCLUSIVE: 74' VENEZIA FESTIVAL DEL CINEMA

In collaborazione con CINEUROPA

Venice's Orizzonti entry Oblivion Verses unveils poster
31/08/2017 - The feature debut by Iranian filmmaker in exile Alireza Khatami will have its world premiere on the Lido.
The elderly caretaker of a remote morgue possesses an impeccable memory for everything but names. He passes his days showing corpses to those searching for their lost ones and tending to his beloved plants. When protest in a nearby city breaks out and the militia covertly raid the morgue to hide civilian casualties, he discovers the body of an unknown young woman. Evoking memories of personal loss, he embarks on a magical odyssey to give her a proper burial with the help of a mystic gravedigger who collects stories of the dead, an old woman searching for her long-lost daughter, and a hearse driver tormented by his past.
This is the synopsis for Oblivion Verses [+], the feature debut by Iranian filmmaker in exile Alireza Khatami, which will have its world premiere in the Orizzonti section at the 74th Venice Film Festival. The film is produced by House on Fire (France), Endorphine Production (Germany), Lemming Film (Netherlands) and Quijote Rampante (Chile), and is sold internationally by UDI - Urban Distribution International.

EXCLUSIVE: Venice's Orizzonti entry The Night I Swam unveils trailer and poster
by Cineuropa
03/09/2017 - The new film by French filmmaker Damien Manivel, co-directed by Japanese director Kohei Igarashi will have its world premiere on the Lido
Snow covered mountains in Japan. Every night, a fisherman makes his way to the market in town. His 6 year old son is awoken by his departure and finds it impossible to fall back to sleep. In the sleeping household, the young boy draws a picture he then slips into his satchel. On his way to school, still drowsy, he strays off the path and wanders into the snow...
This is the premise of The Night I Swam [+], the new film by French filmmaker Damien Manivel (A Young Poet [+], The Park [+]), who has teamed up with Japanese director Kohei Igarashi (Hold Your Breath Like a Lover) to shoot it. Produced by Martin Bertier and Manivel himself for MLD Films and co-produced by Shellac (also tasked with handling the international sales) and Japanese outfit Nobo, the film will also be screened at the 65th San Sebastián Film Festival (22-30 September), in the Zabaltegi section.
Sala Web presents films from the Venice Film Festival online, in partnership with Cineuropa
30/08/2017 - The 6th edition of the Biennale’s Sala Web brings to Festival Scope 18 films that will premiere on the Lido, until 19 September
Going beyond traditional theatre audiences, the Venice Film Festival continues to push boundaries by presenting its programming online. Returning for a new edition the Venice Sala Web serves as the meeting point for film lovers worldwide, who have the possibility to watch world premieres and take part in the Biennale buzz here.
Only 400 tickets will be available for each film. Cineuropa is offering film enthusiasts from all over the world the opportunity to see the films. Just register here by 3 September to be in with a chance of winning a Festival Pass and being one of the 400 lucky cinephiles who will get access to each film.
In addition to titles from the Orizzonti section and from Biennale College, the Venice Sala Web will expand for the second time to selected films from Out of Competition and Cinema nel Giardino sections. Renown directors like Abel Ferrara, Verena Paravel and Lucien Castaing-Taylor will join a line-up with several debut films, like those by Sofia Djama, Ali Asgari and Jason Raftopoulos. Three titles supported by the Biennale College - Cinema will also be part of the Venice Sala Web line-up.
Digital tickets for Sala Web screenings are on sale on Festival Scope. Users may register to buy tickets for online screenings with all tickets priced at 4€ or a Festival Pass (2€ per film from 5 films). Once they have purchased a ticket for a chosen title, users will be able to screen the film from 9pm (Venice time, GMT+2) on the day of the film’s official premiere at the Venice Film Festival until 19 September.
The films selected:
Orizzonti
Endangered Species [+] - Gilles Bourdos (France/Belgium) (from 31 August)
Under the Tree [+] - Hafsteinn Gunnar Sigurdsson (Iceland/Denmark/Poland/Germany) (from 31 August)
West of Sunshine - Jason Raftopoulos (Australia) (from 1 September)
No Date, No Signature - Vahid Jalilvand (Iran) (from 2 September)
Oblivion Verses [+] - Alireza Khatami (France/Germany/Netherlands/Chile) (from 3 September)
Caniba [+] - Lucien Castaing-Taylor, Verena Paravel (France) (from 4 September)
The Night I Swam [+] - Damien Manivel, Igarashi Kohei (France/Japan) (from 5 September)
Les Bienheureux - Sofia Djama (France/Belgium) (from 6 September)
The Testament [+] - Amichai Greenberg (Israel/Austria) (from 7 September)
Disappearance - Ali Asgari (Iran/Qatar) (from 8 September)
Krieg - Rick Ostermann (Germany) (from 8 September)
Biennale College - Cinema
Strange Colours - Alena Lodkina (Australia) (from 31 August)
Martyr - Mazen Khaled (Lebanon) (from 1 September)
Beautiful Things [+] - Giorgio Ferrero (Italy) (from 2 September)
Cinema nel Giardino
Nato a Casal di Principe - Bruno Oliviero (Italy/Spain) (from 1 September)
The Stand-in [+] - Rä Di Martino (Italy/France/Morocco/Switzerland) (from 8 September)
Out of Competition - Non-Fiction
Happy Winter - Giovanni Totaro (Italy) (from 6 September)
Piazza Vittorio [+] - Abel Ferrara (Italy) (from 8 September)

Savi Gabizon • Regista
Il cineasta israeliano Savi Gabizon torna dopo un'assenza di 14 anni dallo schermo con Longing, una riflessione dolce-amara sulla morte e il ruolo di padre. In concorso alle Giornate degli Autori 2017.
Longing: imparare a essere padre
di Vittoria Scarpa
01/09/2017 - VENEZIA 2017: Il regista israeliano Savi Gabizon torna dopo una pausa di 14 anni con il suo nuovo film, una riflessione acuta e coinvolgente sulla paternità, che sa anche sorridere della morte
Diventare padre quando tuo figlio non c’è più. E’ un paradosso, ma è quello che accade nel bel film di Savi Gabizon, Longing [+], presentato in prima internazionale alle Giornate degli Autori della 74. Mostra di Venezia. Il regista israeliano, assente dagli schermi da quattordici anni dopo il successo dei suoi primi tre film, consegna con questo suo nuovo lavoro una riflessione acuta, dolceamara e coinvolgente sul ruolo di genitore, sulla paura di diventarlo, sull’egoismo e sulla possibilità di aprirsi al mondo, riscoprirsi, guardare oltre se stessi.
Shai Avivi è uno dei più noti attori comici d’Israele, ma qui, per Gabizon, si trasforma in un uomo dolente, solo, spaesato, la cui vita viene stravolta da una notizia che rimette tutto in discussione. Ariel, questo il nome del suo personaggio, viene convocato in un bar dalla sua fidanzata dei tempi dell’università, che non vedeva da vent’anni. Il regista, anche sceneggiatore del film, non perde tempo e ci catapulta sin dalla prima scena in un dialogo, quello tra lui e Ronit (Asi Levi), che parte col sorriso e un po’ d’imbarazzo, ma si fa sempre più teso, fino alla rivelazione del vero motivo del loro incontro: dalla loro relazione è nato vent’anni prima un figlio, che Ariel non ha mai conosciuto, e che mai potrà conoscere perché è morto da poco in un incidente. Lui, che non ha mai desiderato avere figli, si ritrova così a fare i conti con un’occasione persa.
Quello che segue è un percorso di conoscenza, in cui Ariel ricompone un pezzo per volta la personalità di questo figlio fantasma, con tutti i suoi lati luminosi e i suoi lati oscuri, che la sceneggiatura molto ben scritta sa rivelare a piccole dosi grazie ai colloqui che l’uomo intrattiene successivamente con le persone che erano vicine al ragazzo: la sua fidanzata, il suo miglior amico, ma soprattutto Yael (Neta Riskin), la giovane insegnante di cui era follemente innamorato, principale fonte dei suoi tormenti e oggetto di poesie struggenti. Ariel comincia così a entrare nel suo ruolo di genitore, prende le difese del figlio quando è necessario, ne parla come se lo avesse conosciuto, cerca di chiudere al posto suo le questioni lasciate irrisolte. Nel dramma, non mancano situazioni stravaganti, che fanno sorridere: una voglia di leggerezza che domina la seconda parte del film, quando Ariel decide di organizzare le nozze tra il figlio perduto e un’altra ragazza scomparsa, un matrimonio tra giovani defunti che secondo una tradizione orientale servirebbe a garantir loro un aldilà migliore. Una missione quasi impossibile, ma in cui l’uomo intravede la possibilità di far finalmente qualcosa per suo figlio.
“Che padre sarei stato?” è la domanda cui Ariel non potrà mai rispondere. Ma in questo suo viaggio dalla solitudine e dall’individualismo alla condivisione e al superamento dei propri traumi, avrà imparato qualcosa di sé e sanato qualche ferita. Il racconto di una seconda chance un po’ bizzarro forse, ma affrontato con molta misura e sensibilità, e con la capacità di esaltare la vita sorridendo anche un po’ della morte.
Longing è un film prodotto dall’israeliana United Channel Movies; le vendite internazionali sono affidate alla tedesca Films Boutique.

VENEZIA 2017 Fuori concorso
La mélodie: musica per le masse
di Marta Bałaga
02/09/2017 - VENEZIA 2017: Kad Merad come Michelle Pfeiffer nel prevedibile successo di Rachid Hami, che molto deve a Pensieri pericolosi, col valido aiuto di alcuni strumenti a corda
In La Mélodie [+], primo film di Rachid Hami, presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia, Simon (un quasi irriconoscibile Kad Merad) è un violinista di talento alla ricerca disperata di un lavoro; talmente disperata da accettare un incarico di insegnante in una scuola di musica di Parigi. Nonostante non abbia doti innate di pedagogo, con l'aiuto di Farid (Samir Guesmi), riesce piano piano a entrare in sintonia con i suoi problematici studenti, in particolare con il timido Arnold (Alfred Renély), che un giorno sorprende, fuori dalla finestra, totalmente catturato dalla musica. Ma con il concerto di fine anno che si avvicina, i ragazzi dovranno lavorare il doppio. E quindi anche Simon.
Tra le fugaci curiosità e le tendenze del momento, che durano il tempo in cui John Waters dice “Odorama”, c'è una cosa in cui il cinema rimane fedele a se stesso: l'amore incondizionato per i perdenti. A patto di non essere un cinico senza possibilità di salvezza, questo è esattamente ciò che la gente si aspetta di vedere: bobbisti giamaicani competere alle Olimpiadi invernali; la squadra di basket di un liceo dell'Indiana vincere il campionato, spronata dalle grida di Gene Hackman; un nerd che ottiene finalmente la sua vendetta. E non c'è assolutamente niente di sbagliato, in questo.
La mélodie è completamente e candidamente basato su questa logica. Sicuramente avrete già visto questo film: si tratta essenzialmente di un incrocio tra Pensieri pericolosi e l'altrettanto ottimistico I ragazzi del coro [+] di Christophe Barratier, con l'unica differenza che, in questo caso, i giovani prodigi si esercitano sul tetto di un grattacielo parigino. Questo film non fa altro che replicare il cliché e rotolarcisi, come un maiale che abbia trovato troppi tartufi. Ma mentre la formula è sempre la stessa, anno dopo anno, storie come questa riescono ad attirare pubblico in tutto il mondo, per una ragione molto semplice: sono divertenti.
Il film di Hami non fa eccezione, perché con tutti questi controversi personaggi, e ce ne sono diversi, il regista algerino preferisce far ridere, piuttosto che insegnare. Ed è esattamente quello che fa, supportato da un allegro cast di nuove stelle, che mettono insieme musica classica e l'inno della Champions League, e persino da un breve cameo di Corinne Marchand, la musa di Agnès Varda.Non è possibile indovinare come finirà il tutto, ma basti dire che il film è un'opera ben congegnata che lascia un retrogusto lievemente amaro, ma tutto sommato tollerabilissimo
La mélodie è stato prodotto da Nicolas Mauvernay per Mizar Films, e coprodotto da France 2 Cinema, UGC e La Cité de la Musique – Philharmonie di Parigi. Le vendite internazionali sono gestite da UGC.

Due aspiranti al Leone d’Oro per Bac Films
di Fabien Lemercier
25/08/2017 - Nella line-up veneziana, i titoli italiani The Leisure Seeker e Una famiglia, e Les Bienheureux in Orizzonti
L'Italia mette le ali alla squadra di vendite internazionali della società parigina Bac Films che conta nella sua line-up due film tricolori in competizione alla 74a Mostra di Venezia (dal 30 agosto al 9 settembre): il titolo in lingua inglese The Leisure Seeker [+] di Paolo Virzì (con protagonisti Helen Mirren e Donald Sutherland) e Una famiglia [+] di Sebastiano Riso (rivelatosi alla Semaine de la Critique nel 2014 con Più buio di mezzanotte [+] e che stavolta ha riunito nel cast Patrick Bruel e Micaela Ramazzotti). Un’inclinazione verso l’Italia che si è rivelata finora molto redditizia per Bac Films International, che ha venduto con successo i due film precedenti di Virzì (Il capitale umano [+] e La pazza gioia [+]) e ha registrato una valanga di pre-acquisti per The Leisure Seeker.
La squadra di Mathieu Robinet e Gilles Sousa negozierà per un terzo film in vetrina al Lido: la coproduzione franco-belga Les Bienheureux di Sofia Djama, selezionata nella sezione competitiva Orizzonti.
Bac Films non mancherà di pezzi forti al 42° Festival di Toronto (dal 7 al 17 settembre) dove sarà svelato in prima mondiale nel programma Special Presentations il film irlandese-britannico di zombie The Cured (già The Third Wave) di David Freyne, con protagonista la star canadese Ellen Page. Nel cartellone dell’evento canadese spiccano anche The Leisure Seeker in proiezione di Gala e il lungometraggio belgo-francese Laissez bronzer les cadavres [+] del duo Hélène Cattet - Bruno Forzani , che sarà presentato nella sezione Midnight Madness dopo un’apprezzata prima mondiale a inizio agosto sulla Piazza Grande di Locarno.
Si segnala inoltre in line-up Les Grands Esprits (The Teacher) di Olivier Ayache Vidal (che Bac lancerà in Francia il 13 settembre) e in post-produzione Land dell’iraniano Babak Jalali (prodotto dagli italiani di Asmara Films con i francesi di The Cup of Tea, gli olandesi di Topkapi e i messicani di Piano Producciones).
In Francia, Bac Films distribuirà la Palma d'Oro cannense The Square [+] dello svedese Ruben Ostlund il 18 ottobre, Les Bienheureux il 13 dicembre, The Leisure Seeker il 3 gennaio 2018, Una famiglia in data ancora da destinarsi e Under The Tree [+] dell’islandese Hasfsteinn Gunnar Sigursson.

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European Film Awards by Cineuropa

EUROPEAN FILM AWARDS 2017

51 lungometraggi selezionati per gli European Film Awards
by Cineuropa.

22/08/2017 - 31 paesi europei sono rappresentati nella lista dei film raccomandati per una nomination ai premi di quest’anno.

European Film Academy ed EFA Productions hanno annunciato i 51 titoli che compongono la lista di selezione dei film di finzione raccomandati per una nomination agli European Film Awards 2017.

Con 31 paesi europei rappresentati, la lista illustra ancora una volta la grande diversità nel cinema europeo. Nelle prossime settimane, gli oltre 3.000 membri della European Film Academy voteranno per le nomination nelle categorie Film, Regista, Attore, Attrice e Sceneggiatore europeo. Le nomination saranno poi annunciate il 4 novembre al Festival del cinema europeo di Siviglia, in Spagna. Una giuria di sette membri deciderà invece i prescelti nelle categorie Direttore della fotografia, Montatore, Scenografo, Costumista, Trucco e Parrucco, Compositore e Sound Designer europeo.

La cerimonia di premiazione dei vincitori della 30a edizione degli European Film Awards si terrà il 9 dicembre a Berlino.

I film:
A Ciambra – Jonas Carpignano (Italia/Stati Uniti/Francia/Svezia)
A Date for Mad Mary – Darren Thornton (Irlanda)
A Gentle Creature – Sergei Loznitsa (Francia/Germania/Lituania/Paesi Bassi)
Un juif pour l'exemple - Jacob Berger (Svizzera)
Sette minuti dopo la mezzanotte - J.A. Bayona (Spagna)
Afterimage – Andrzej Wajda (Polonia)
Ana, mon amour – Călin Peter Netzer (Romania/Germania/Francia)
Big Big World – Reha Erdem (Turchia)
120 battements par minute – Robin Campillo (Francia)
Un beau soleil intérieur – Claire Denis (Francia)
Brimstone – Martin Koolhoven (Paesi Bassi/Germania/Belgio/Francia/Svezia/Regno Unito/Ungheria)
Fortunata – Sergio Castellitto (Italia)
Frantz – François Ozon (Francia/Germania)
Frost – Sharunas Bartas (Lituania/Francia/Polonia/Ucraina)
Godless – Ralitza Petrova (Bulgaria/Danimarca/Francia)
Happy End – Michael Haneke (Francia/Germania/Austria)
Heartstone – Guðmundur Arnar Guðmundsson (Islanda/Danimarca)
Home – Fien Troch (Belgio)
Ice Mother – Bohdan Sláma (Repubblica Ceca/Slovacchia/Francia)
In Times of Fading Light – Matti Geschonneck (Germania)
Indivisibili – Edoardo De Angelis (Italia)
Insyriated – Philippe Van Leeuw (Belgio/Francia)
Rosso Istanbul – Ferzan Ozpetek (Turchia/Italia)
Jupiter’s Moon – Kornél Mundruczó (Ungheria/Germania)
Lady Macbeth – William Oldroyd (Regno Unito)
Layla M. – Mijke de Jong (Paesi Bassi/Giordania/Belgio/Germania)
Loveless – Andrey Zvyagintsev (Russia/Belgio/Germania/Francia)
My Grandmother Fanny Kaplan – Olena Demyanenko (Ucraina)
On Body and Soul – Ildikó Enyedi (Ungheria)
Paradise – Andrei Konchalovsky (Russia/Germania)
Requiem for Mrs. J. – Bojan Vuletić (Serbia/Bulgaria/Macedonia/Russia/Francia)
Return to Montauk – Volker Schlöndorff (Germania/Francia/Irlanda)
Sámi Blood – Amanda Kernell (Svezia/Danimarca/Norvegia)
Son of Sofia – Elina Psykou (Grecia/Bulgaria/Francia)
Spoor - Agnieszka Holland, Katarzyna Adamik (Polonia/Germania/Repubblica Ceca/Svezia/Slovacchia)
Stefan Zweig: Farewell to Europe – Maria Schrader (Germania/Austria/Francia)
Verano 1993 – Carla Simón (Spagna)
The Constitution – Rajko Grlić (Croazia/Slovenia/ Repubblica Ceca/Macedonia)
La vendetta di un uomo tranquillo – Raúl Arévalo (Spagna)
The Killing of a Sacred Deer – Yorgos Lanthimos (Irlanda/Regno Unito)
The King’s Choice – Erik Poppe (Norvegia/Danimarca/Svezia/Irlanda)
The Last Family – Jan P. Matuszyński (Polonia)
The Nothing Factory – Pedro Pinho (Portogallo)
L'altro volto della speranza – Aki Kaurismäki (Finlandia/Germania)
The Party – Sally Potter (Regno Unito)
The Square – Ruben Östlund (Svezia/Germania/Francia/Danimarca)
The Teacher – Jan Hřebejk (Slovacchia/Repubblica Ceca)
Tom of Finland – Dome Karukoski (Finlandia/Germania/Svezia/Danimarca)
Western [+] – Valeska Grisebach (Germania/Bulgaria/Austria)
Wild Mouse – Josef Hader (Austria)
You Disappear – Peter Schønau Fog (Danimarca/Svezia)

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Sarajevo Film Festival

Sarajevo Film Festival extends its CineLink Talks.
by Vassilis Economou / selected by Cineuropa.

10/08/2017 - Expanding its TV Drama section, the leading Balkan festival is also due to focus on regional funding, virtual reality, marketing and the preservation of history
Sarajevo Film Festival will be expanding even more during its CineLink Industry Days with the well-recognised CineLink Talks section. The focuses of the programme’s dedicated seminars, masterclasses and panel discussions are TV dramas, Virtual Reality, film funding, marketing and investigating the past. The programme is due to take place from 12 to 16 August at Hotel Europe.
After its initial launch last year, CineLink Drama has become one of the leading subjects in the Talk sessions. In partnership with MIDPOINT, which is also holding its final and third MIDPOINT TV LAUNCH workshop in Sarajevo, the Talks session will focus on all the necessary elements of script development, pitching and financing. HBO will also be presenting its new series as well as local station RTS.
In the Regional Forum, which is the most specialised funding section, film funds from South-East Europe as well as key players, such as some major German funds, will provide an in-depth exploration of the future of co-production and collaboration in the cinema industry.
Last year Sarajevo started a VR initiative that is due to expand this year with Virtual Reality Days, a series of workshops with VR experts due to explore the creation of cinematic VR content, the role of VR in storytelling kits as well as Augmented Reality. All sessions are due to take place at the Networks creative space.
The Avant Premiere Lab, running over two days, from 13 to 14 August, will focus on the newest forms of exhibition, distribution and film marketing in collaboration with Europa Cinemas, Rotterdam International Film Festival, and local players such as Kinodvor. Mestni Kino., CineArte and Pari Pikule.
The Dealing with the Past section (13 to 14 August) will shed some light on topics relating to war in former Yugoslavia, also paying tribute to Joshua Oppenheimer. In parallel, the second edition of True Stories Market will present nine cases that have not been yet presented in films or on TV, with the aim of researching the subject of war in the 1990s.
Jovan Marjanović, Head of Industry at Sarajevo Film Festival, stated: “CineLink Talks provides a stage for us to present a rich and diverse programme for everyone, from the young filmmaker to the experienced professional, on topics ranging from creative development to public policy. Our aim is to offer inspiration to the regional and wider industry, as well as providing training, capacity-building and knowledge-sharing.”

Audiences' delight in Sarajevo's Kinoscope and In Focus programmes
In an emerging territory of more than 140 million inhabitants, Sarajevo Film Festival serves as the number one platform for film businesses from all over the region, setting the future standards in festival organization, film promotion and industry networking for co-production with South-East Europe.
by Vladan Petkovic
11/08/2017 - Non-competitive sections of Sarajevo Film Festival offer an unmissable selection of European and regional arthouse favourites.
The Sarajevo Film Festival (11-18 August) will, in addition to its feature (news), documentary (news), shorts, and the newly established student film (news) competitions, traditionally serve its audiences exquisite selections of award-winning and critically acclaimed films from the region and around the world from the last year. The In Focus programme is dedicated to films from the region that scored success at A-list festivals, and it includes titles such as Ildikó Enyedi's Golden Bear winner On Body and Soul [+], Berlinale Panorama Special titles When the Day Had No Name [+] by Teona Strugar Mitevska and Requiem for Mrs J. [+] by Bojan Vuletić, as well as Sundance entry My Happy Family [+] by Nana Ektvimishvili and Simon Gross (who already own a Heart of Sarajevo for In Bloom [+]). Rounding up the section are festival favourite Quit Staring at My Plate [+] by Hana Jušić (which world-premiered at Venice Days last year), and Kornél Mundruczó's Cannes competition entry Jupiter's Moon.
More Cannes title are present in the Kinoscope programme, including laureates such as Ruben Östlund's Palme d'Or-winner The Square [+], Andrei Zvyagintsev's Loveless [+], Fellipe Gamarano Barbosa's Gabriel and the Mountain [+], and Leonor Serraille's Montparnasse Bienvenüe [+], as well as the critically acclaimed Western [+] by Valeska Grisebach and Happy End [+] by Michael Haneke. From Berlinale, there's Summer 1993 [+] which garnered Carla Simón the Best First Feature Award and Grand Prix of the Generation Kplus International Jury, while genre afficionados will be happy for a chance to see Bertand Bonello's Nocturama [+], Alice Lowe's Prevenge [+], and Julia Ducournau's Raw [+].
And the most popular venue, the 3,000-seat Open Air, will open the festival with another Berlinale title, Aki Kaurismaki's The Other Side of Hope [+], and will later in the week be the site for films such as Fatih Akin's In the Fade [+], the Safdie Brothers' Good Time, as well as works of winners of the Honorary Heart of Sarajevo: Michel Franco and April's Daughter, and John Cleese and A Fish Called Wanda.

CineLink announces Work in Progress titles
by Vladan Petkovic
27/07/2017 - The selection includes new projects by Dragomir Sholev, Tinatin Kajrishvili, Bobo Jelčić, Paul Negoescu and Milko Lazarov
The Sarajevo Film Festival's CineLink Co-Production Market has announced its Work in Progress selection. Ten promising projects (eight fictions and two documentaries) will be presented at closed screenings to about 40 specially invited industry decision-makers, comprising funders, sales agents, distributors, broadcasters and festival programmers.
The list includes two projects by acclaimed Bulgarian filmmakers, Pig by Dragomir Sholev (Shelter [+]) and Nanook by Milko Lazarov (Alienation [+]), as well as new films by former Sarajevo competitors and winners, such as Horizon by Georgia's Tinatin Kajrishvili (Brides [+]), All Alone by Croatia's Bobo Jelčić (A Stranger [+]) and Never Let It Go by Romania's Paul Negoescu (Two Lottery Tickets [+], A Month in Thailand).
Three debut feature projects are coming all the way from the Middle East: Fig Tree by Alamork Davidian and The Day After I'm Gone by Nimrod Elsar (both from Israel), plus the Lebanese-Egyptian documentary What Comes Around by Reem Saleh.
Two more debut features, Mo' by Romania's Radu Dragomir and the documentary Honeyland by Macedonia's Ljubo Stefanov and Tamara Kotevska, round off the selection.
The selected projects will be judged by a jury consisting of Paolo Bertolin (Venice Film Festival), Paz Lazaro (Berlin International Film Festival), Hedi Zardi (LuxBox), Petra Gobel (The Post Republic) and Serkan Yildirim (TRT), and will be vying for three awards: The Post Republic Award, worth €50,000 (in kind); the CineLink Restart Award, worth €20,000 (in kind); and the Turkish National Radio Television Award, worth €30,000 (in cash).
"The CineLink Work in Progress strand has proven to be incredibly effective for both the filmmakers presenting their works and the attending industry delegates," says Sarajevo's head of industry, Jovan Marjanović. "We are certain that this year’s projects are the films we will be watching on screens around the world in the next year or two."
Here is the complete CineLink Work in Progress selection:
Fiction features
Pig – Dragomir Sholev (Bulgaria) In photo: Director Dragomir Sholev, whose Pig has been selected for Work in.
ProgressProducers: Elena Mosholova, Yariv Lerner, Pavlina Angelova
Production companies: Gorilla Film, Nu Boyana Film, Screening Emotions
Nanook – Milko Lazarov (Bulgaria/France/Germany)
Producers: Veselka Kiryakova, Guillaume de Seille, Eike Goreczka
Production companies: Red Carpet, Arizona Films Production, 42film
All Alone – Bobo Jelčić (Croatia/Bosnia and Herzegovina)
Producers: Zdenka Gold, Alem Babić
Production companies: Spiritus Movens Productions, Dokument Sarajevo
Horizon – Tinatin Kajrishvili (Georgia)
Producers: Lasha Khalvashi, David Hardies
Production companies: Gemini, Artizm, Momento Film
Fig Tree – Alamork Davidian (Israel/Germany/France)
Producers: Saar Yogev, Naomi Levari, Felix Eisele, Sandrine Brauer
Production companies: Black Sheep Film Productions Ltd, Av Medien Penrose, En Compagnie des Lamas
The Day After I’m Gone – Nimrod Eldar (Israel)
Producer: Eitan Mansuri
Production company: Spiro Films Ltd
Mo’ – Radu Dragomir (Romania)
Producer: Liviu Marghidan
Production company: Scharf Advertising
Never Let It Go – Paul Negoescu (Romania/Bulgaria)
Producer: Paul Negoescu
Production companies: N-Graphix, Papillon Film, Screening Emotions
Documentary features
What Comes Around – Reem Saleh (Lebanon/Egypt)
Producer: Reem Saleh
Production company: Mazameer Productions
Honeyland – Ljubo Stefanov, Tamara Kotevska (Macedonia)
Producers: Ljubo Stefanov, Atanas Georgiev
Production companies: Apollo Media, Trice Films.

Oliver Stone to be honoured in Sarajevo
by Vladan Petkovic
25/07/2017 - The US writer, director and producer will receive the Honorary Heart of Sarajevo The Sarajevo Film Festival (August 11-18) has announced that Oliver Stone will be bestowed with the Honorary Heart of Sarajevo.

The prolific American writer, director, and producer has throughout his career been challenging the mainstream norms both in artistic form and established historical and political narratives, in films such as Platoon, Born on the Fourth of July, JFK, Nixon, Natural Born Killers, W., Wall Street, Salvador, U Turn, Savages, Snowden [+] as well as in screenplays for Midnight Express, Scarface, Year of the Dragon, Conan the Barbarian, and topical documentaries like his trilogy on Fidel Castro, and the epic, 12-hour TV series The Untold History of the United States, and the just-released Putin Interviews.
Stone was born September 15, 1946 in New York City. He wrote in 1965 “A Child Night’s Dream” about his youth, and it was published in 1997 by St. Martin’s Press. He served in the U.S. Army Infantry in Vietnam in 1967-68, and received the Bronze Star for Valor and the Purple Heart with Oak Leaf Cluster. After returning from Vietnam, he completed his undergraduate studies at New York University Film School in 1971. He worked as a wiper in the Merchant Marine, and in New York as a taxi driver, advertising salesman, production assistant, and messenger.
Two weeks ago, the festival announced a Honorary Heart of Sarajevo will also go to John Cleese (read news).


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Speciale Cinema Mostra di Venezia


Speciale Cinema Mostra di Venezia

DRAMMA D'ESORDIO PER VALENTINA PEDICINI ‘DOVE CADONO LE OMBRE’
di Camillo De Marco

26/07/2017 - E' ispirato ad una storia vera l'opera prima della regista pugliese, in concorso alle Giornate degli Autori della prossima Mostra di Venezia
Anna e Hans, infermiera e suo assistente di un vecchio istituto per anziani, sono due anime "bambine" incastrate in corpi di adulti. Intrappolati nel tempo e nello spazio, si muovono tra le stanze e il giardino di quello che era un ex orfanotrofio. In questo misterioso e drammatico scenario si svolge Dove cadono le ombre, primo lungometraggio di Valentina Pedicini in concorso alle Giornate degli Autori, sezione parallela della 74ª Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.
Il film vede il ritorno sulla set di Elena Cotta, Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile a Venezia nel 2013 per Via Castellana Bandiera [+] di Emma Dante. Ad affiancare Elena Cotta ci sono Federica Rosellini, Josafat Vagni e Lucrezia Guidone, protagonisti di questa storia inquietante: dal passato di Anna riappare Gertrud, una vecchia signora dai modi gentili, e tutto sembra precipitare. L'istituto torna ad essere ciò che era; ricovero crudele di bambini nomadi jenisch sottratti alle famiglie, tempio di un progetto di eugenetica guidato proprio da Gertrud.
Il talento di Valentina Pedicini si è fatto notare nei festival per il documentario Dal profondo (Premio Doc It alla Festa di Roma 2013, selezionato per Idfa Accademy, Berlinale Talent Campus, vincitore del Premio Solinas 2011) e il corto Era ieri. Per Dove cadono le ombre si è ispirata a una storia vera, anzi a settecento storie vere. Il film è prodotto da Domenico Procacci per Fandango con Rai Cinema, con il sostegno del Fondo regionale per il cinema e l'audiovisivo della Regione Lazio e il contributo del MiBACT - Direzione Generale Cinema. E' distribuito da Fandango Distribuzione.

VINCENZO MARRA IN CERCA DE L’EQUILIBRIO
di Camillo De Marco

26/07/2017 - Dopo La prima luce, il regista italiano torna in selezione ufficiale alle Giornate degli Autori con la battaglia civile e spirituale di un sacerdote campano
A tre anni dal film collettivo I ponti di Sarajevo [+], proiezione speciale al Festival di Cannes, e La prima luce [+], Premio Speciale Pasinetti alle Giornate degli Autori, Vincenzo Marra torna in selezione ufficiale alle Giornate degli Autori con L'equilibrio. Dopo l'urgenza straziante della separazione di un padre dal figlio raccontata ne La prima luce, il regista napoletano affronta la crisi e il successivo percorso spirituale di un sacerdote campano, interpretato da Mimmo Borrelli, potentissimo drammaturgo, attore e regista teatrale.
Ex missionario in Africa, Giuseppe opera in una piccola diocesi di Roma ma chiede al Vescovo di essere trasferito in un piccolo paesino del napoletano. Giuseppe prende il posto del parroco del quartiere, Don Antonio (Roberto Del Gaudio), un uomo dal grande carisma, ascoltato e rispettato da tutti perché combatte una battaglia contro i sotterramenti illegittimi di rifiuti tossici. Don Antonio introduce Giuseppe nella dura realtà del quartiere e una volta rimasto solo, il sacerdote si dà da fare per aiutare la comunità, ma si scontrerà con una verità che lo metterà nell’angolo.
Nel cast appaiono anche Astrid Meloni, Paolo Sassanelli, Francesca Zazzera, Giuseppe D'Ambrosio. La fotografia è di Gianluca Laudadio, il montaggio di Luca Benedetti, la scenografia di Flaviano Barbarisi. I produttori sono Luigi Musini e Olivia Musini con Cesare Apolito e Renato Ragosta, rispettivamente per Cinemaundici, Lama Film e Ela Film con Rai Cinema. La distribuzione italiana sarà curata da Warner Bros. Pictures, mentre le vendite internazionali sono affidate a Intramovies.

VENEZIA 2017 : ORIZZONTI

Un tuffo nelle nuove correnti del cinema mondiale in Orizzonti
di Camillo De Marco
27/07/2017 - La sezione della Mostra di Venezia dedicata al cinema più sperimentale è ricca di sorprese e di conferme. Sono 19 i film annunciati dal direttore Alberto Barbera in Orizzonti, la sezione dedicata alle nuove correnti del cinema mondiale della Mostra del Cinema di Venezia (in programma al Lido dal 30 agosto al 9 settembre). Nico, 1988, diretto da Susanna Nicchiarelli, è il film di apertura, come già preannunciato nei giorni scorsi, mentre Brutti e cattivi, opera prima di Cosimo Gomez sarà il secondo dei 4 film italiani in Orizzonti. Gli altri sono Gatta Cenerentola, secondo film d'animazione di Alessandro Rak, il cui esordio L'arte della felicità [+] fu presentato alle Giornate degli Autori con grande successo e successivi premi internazionali, e La vita in comune di Edoardo Winspeare, ambientato nel paese pugliese in cui vive il regista, "una commedia apparentemente surreale ma radicata nella realtà del Salento", spiega Barbera.
The Cousin è invece uno dei due film israeliani in Orizzonti, e il regista, Tzahi Grad, è autore di una quarantina di film di successo. All'opposto, il secondo israeliano, coprodotto con l'Austria, è un'opera prima, The Testament di Amichai Greenberg.
E' tedesco Krieg di Rick Ostermann, regista che era già stato ospitato in Orizzonti con l'opera prima Wolfskinder. Los versos del olvido è invece una storia di detenuti desaparesidos ambientata in Cile ma firmata da un regista iraniano, Alireza Khatami, da un progetto sviluppato in tre diversi workshop internazionali e coprodotto da Francia, Germania, Paesi Bassi e Cile. C'è anche un film islandese, coprodotto con Danimarca, Polonia e Germania, Under the Tree di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson, "commedia paradossale venata di humour nordico", commenta Barbera. Esordio di rilievo, secondo il direttore della Mostra, l'australiano West of Sunshine di Jason Raftopoulos, mentre è stato aggiunto in extremis da Barbera La nuit où j'ai nagé firmato dal francese Damien Manivel (premiato a Locarno) con il giapponese Kohei Igarashi: solo immagini senza parole, 24 ore nella vita di un bambino.

I film selezionati nella sezione Orizzonti:
Nico, 1988 - Susanna Nicchiarelli (film di apertura)
Disappearance - Ali Asgari
Espèces menacées - Gilles Bourdos
The Rape of Recy Taylor - Nancy Buirski
Caniba - Lucien Castaing-Taylor, Verena Paravel
Les Bienheureux - Sofia Djama
Marvin - Anne Fontaine
Invisible - Pablo Giorgelli
Brutti e cattivi - Cosimo Gomez
The Cousin - Tzahi Grad
The Testament - Amichai Greenberg
No Date, No Signature - Vahid Jalilvand
Los verso del olvido - Alireza Khatami
La nuit où j’ai nagé - Damien Manivel, Igarashi Kohei
Krieg - Rick Ostermann
West of Sunshine - Jason Raftopoulos
Gatta Cenerentola - Alessandro Rak, Ivan Cappielo, Marino Guarneri, Dario Sansone
Under the Tree - Hafsteinn Gunnar Sigurdsson
La vita in comune - Edoardo Winspeare

VENEZIA 2017 : SELEZIONE UFFICIALE

La Mostra sfida Cannes con una eccezionale line up
di Camillo De Marco
27/07/2017 - Alberto Barbera ha presentato i film del concorso, tutti in prima mondiale, arricchiti da una pioggia di star sul tappeto rosso. Si dice soddisfatto del programma della 74esima edizione il direttore della Mostra di Venezia Alberto Barbera, che con grande fiuto ha anticipato in questi ultimi anni numerosi Oscar: Gravity [+], Birdman, Spotlight, La La Land. "Soddisfatto al 99% perché c'è qualche titolo in più che avrei voluto e non ho potuto avere". Tutti i film della rassegna in programma dal 30 agosto al 9 settembre sono in prima mondiale (tranne la serie di Errol Morris), e il tappeto rosso del Lido sarà percorso da una miriade di star internazionali. Tema dominante la contemporaneità, "di cui il cinema è antenna sensibile", assieme al tema della crisi della famiglia. Presenza corposa del cinema italiano, con "film diversissimi tra loro, da quello americano di Paolo Virzì che si misura con il mercato internazionale, all'estremo opposto dei Manetti Bros., con il loro cinema marginale e provocatorio. Una diversità che caratterizza questa stagione, con una capacità di misurarsi con temi inediti e originali, non riconducibili al cinema italiano degli ultimi tempi".

I film in Concorso quest'anno sono ben 21, con grande ricambio di nomi perché 15 registi sono in gara alla Mostra per la prima volta. L'apertura è con il già annunciato Downsizing di Alexander Payne con Matt Damon e Kristen Wiig, a cavallo tra fantascienza e ecologia, potenziale candidato all'Oscar. Si continua con il documentario Human Flow firmato dal grande artista cinese Ai Weiwei sulla crisi migratoria, di produzione Germania-Usa. E poi gli attesi Mother! di Darren Aronofsky, con Jennifer Lawrence, Javier Bardem e Michelle Pfeiffer, e Suburbicon di George Clooney, che arriverà nelle sale statunitensi il 27 ottobre, con Julianne Moore e Matt Damon, basato su una vecchia sceneggiatura dei fratelli Coen, a cui Clooney ha aggiunto un sottotesto politico. The Shape of Water dell'amatissimo autore di fantasy messicano Guillermo del Toro, con l'attrice britannica Sally Hawkins e Michael Shannon,"a metà strada tra La bella e la bestia e Il mostro della laguna", commenta Barbera. Con La Villa, Robert Guédiguian, torna ancora nella natìa Marsiglia con una storia familiare. E' un film "processuale" L'Insulte del regista di origine libanese Ziad Doueiri e processuale è anche Sandome no satsujin del giapponese Koreeda Hirokazu, riflessione sull'impossibilità di raggiungere la verità. Lean on Pete dell'inglese Andrew Haigh con Charlie Plummer e Steve Buscemi, è tratto dal romanzo di Willy Vlautin, produzione britannica in ambientazione americana.

Grande apettativa per il nuovo Abdellatif Kechiche, Mektoub, My Love, canto uno, primo di un dittico o trittico, adattamento del romanzo di Francois Bégaudeau La blessure, la vraie, una saga con protagonista uno sceneggiatore che torna nella sua città natale. E' un'opera prima Jusqu'à la garde di Xavier Legrand, interpretata tra gli altri da Denis Ménochet, 'una maturità sorprendente dall'autore di un precedente cortometraggio candidato agli Oscar dalla Francia'. Coproduzione tra Israele, Germania, Francia e Svizzera Foxtrot di Samuel Maoz, Leone d'oro a Venezia con l'opera prima Lebanon.
E' un musical neomelodico sulla camorra Ammore e malavita, dei Manetti Bros., uno dei quattro film italiani in Concorso. Andrea Pallaoro è il regista di Hannah, coproduzione con Belgio e Francia, con una Charlotte Rampling sempre sulla scena, "film rigoroso austero, come il precedente Medeas [+] selezionato in Orizzonti nel 2013", ricorda il direttore. Film corale invece, sul tema dell'utero in affitto, Una famiglia di Sebastiano Riso, regista dell'acerbo Più buio di mezzanotte [+]. Nel cast Micaela Ramazzotti e Patrick Bruel. Il citato Paolo Virzì concorre con il road-movie Ella & John - The Leisure seeker, ispirato al libro di Michael Zadoorian, con Helen Mirren e Donald Sutherland.
Attesissimo anche Three billboards outside Ebbing, Missouri di Martin McDonagh (il regista di In Bruges [+]), produzione inglese in territorio Usa con cast eccezionale: Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell. Dalla Cina arriva Angels Wear White, della regista Vivian Qu, sulla condizione femminile. Paul Schrader torna con First Reformed con Ethan Hawke e Amanda Seyfried, un film che considera la summa del suo cinema. L'australiano Sweet country è firmato dal regista aborigeno Warwick Thornton, Caméra d'or Cannes per Samson and Delilah. Infine per la prima volta in concorso a Venezia il grande documentarista Frederick Wiseman, con Ex libris - The New York Public library.

In Concorso:

Downsizing - Alexander Payne (film di apertura)
Human Flow - Ai Weiwei
Mother! - Darren Aronofsky
Suburbicon - George Clooney
The Shape of Water - Guillermo del Toro
L'Insulte - Ziad Doueiri
La Villa - Robert Guédiguian
Lean on Pete - Andrew Haigh
Mektoub, My Love: Canto Uno - Abdellatif Kechiche
The Third Murder - Hirokazu Koreeda
Jusqu'à la garde - Xavier Legrand
Ammore e malavita - Manetti Bros.
Foxtrot - Samuel Maoz
Three Billboards Outside Ebbing, Missouri - Martin McDonagh
Hannah - Andrea Pallaoro
Angels Wear White - Vivian Qu
Una famiglia - Sebastiano Riso
First Reformed - Paul Schrader
Sweet Country - Warwick Thornton
The Leisure Seeker - Paolo Virzì
Ex Libris - Frederick Wiseman
Fuori concorso - Finzione
Casa D’altri - Gianni Amelio
Michael Jackson’s Thriller - John Landis
Making of Michael Jackson’s Thriller - Jerry Kramer (1983)
Our Souls at Night - Ritesh Batra
Il Signor Rotpeter - Antonietta de Lillo
Victoria & Abdul - Stephen Frears
La mélodie - Rachid Hami
Outrage Coda - Takeshi Kitano (film di chiusura)
Loving Pablo - Fernando León de Aranoa
Zama - Lucrecia Martel
Wormwood - Errol Morris
Diva! - Francesco Patierno
Le Fidèle - Michaël R. Roskam
Il Colore Nascosto Delle Cose - Silvio Soldini
The Private Life of a Modern Woman - James Toback
Brawl in Cell Block 99 - S. Craig Zahler
Fuori concorso - Non-finzione
Cuba and the Cameraman - Jon Alpert
My Generation - David Batty
Piazza Vittorio - Abel Ferrara
The Devil and the Father - William Friedkin
This is Congo - Daniel McCabe
Ryuichi Sakamoto: Coda - Stephen Nomura Schible
Jim & Andy: The Great Beyond. The Story of Jim Carrey, Andy Kaufman and Tony Clifton - Chris Smith
Happy Winter - Giovanni Totaro
Cinema nel Giardino
Manuel - Dario Albertini
Controfigura - Rä Di Martino
Woodshock - Kate Mulleavy, Laura Mulleavy
Nato a Casal di Principe - Bruno Oliviero
Suburra – La serie - Michele Placido, Andrea Molaioli, Guiseppe Capotondi
Tueurs - François Troukens, Jean-François Hensgens
Proiezioni speciali
La lunga strada del ritorno - Alessandro Blasetti
Barbiana ’65 – La Lezione di Don Lorenzo Milani - Alessandro G. A. D’Alessandro
Levito Madre – Le Ragazze del Secolo Scorso - Concita de Gregorio, Esmeralda Calabria


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I romanzi finalisti del Man Booker Prize

Evening Post, le storie di oggi in Cultura giovedì 27 luglio 2017 – in collaborazione con il Post

I romanzi finalisti del Man Booker Prize

Uno tra questi 13 vincerà il massimo premio letterario britannico: ci sono Arundhati Roy, Zadie Smith e Paul Auster.

Lunedì sera sono stati annunciati i 13 finalisti del Man Booker Prize, il più importante premio letterario britannico, assegnato ogni anno dal 1969 al miglior romanzo pubblicato in Regno Unito durante l’anno, che dev’essere scritto originariamente in inglese. La giuria, composta da cinque critici letterari, romanzieri e artisti, ha selezionato i romanzi tra 144 proposte pubblicate dal primo ottobre 2016. Tra questi ci sono l’indiana Arundhati Roy con il suo secondo romanzo, Il ministero della suprema felicità, pubblicato vent’anni dopo l’esordio, Il dio delle piccole cose, con cui vinse il Man Booker Prize nel 1997; l’inglese Paul Auster con 4 3 2 1, ancora inedito in Italia, l’atteso Lincoln nel Bardo di George Saunders, Swing Time dell’inglese Zadie Smith, lo statunitense Colson Whitehead con La ferrovia sotterranea, che ha vinto il premio Pulitzer 2016 per la narrativa, e il pakistano Mohsin Hamid per Exit West, uno dei romanzi più apprezzati da critica e pubblico dell’anno. Il vincitore sarà annunciato il 17 ottobre e riceverà 50 mila sterline.

I 13 finalisti

4 3 2 1, Paul Auster, Stati Uniti (Faber & Faber)

Days Without End, Sebastian Barry, Irlanda (Faber & Faber)

History of Wolves, Emily Fridlund, Stati Uniti (Weidenfeld & Nicolson)

Exit West (Italiano: Exit West), Mohsin Hamid, Pakistan-Regno Unito (Hamish Hamilton)

Solar Bones, Mike McCormack, Irlanda (Canongate)

Reservoir 13, Jon McGregor, Regno Unito (4th Estate)

Elmet, Fiona Mozley, Regno Unito (JM Originals)

The Ministry Of Utmost Happiness (Italiano: Il ministero della suprema felicità), Arundhati Roy, India (Hamish Hamilton)

Lincoln in the Bardo (Italiano: Lincoln nel Bardo), George Saunders, Stati Uniti (Bloomsbury)

Home Fire, Kamila Shamsie, Regno Unito-Pakistan (Bloomsbury)

Autumn, Ali Smith, Regno Unito (Hamish Hamilton)

Swing Time (Italiano: Swing Time), Zadie Smith, Regno Unito (Hamish Hamilton)

The Underground Railroad (Italiano: La ferrovia sotterranea), Colson Whitehead, Stati Uniti (Fleet)

Zadie Smith (Rolf Vennenbernd/picture-alliance/dpa/AP Images)


Un grosso 'in bocca al lupo' al vincitore.


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Zanardi : ‘pane, alfabeto e socialismo’

Per il centenario del forno del pane Zanardi: ‘pane, alfabeto e socialismo’.
Certosa di Bologna 15 luglio 2017 ore 21.00 repliche il 5 e 26 settembre 2017

In scena l’attrice Simona Sagone e il fisarmonicista Salvatore Panu.
Lo spettacolo avrà luogo anche in caso di maltempo.

Ritrovo ore 20:30 presso l'ingresso principale in via della Certosa 18 (da Viale Gandhi, Largo Vittime dei Lager Nazisti)
Prenotazione obbligatoria al 333 4774139 (matt-pom) info@youkali.it
www.youkali.it

Lo spettacolo verrà preceduto da una presentazione a cura del pronipote del Sindaco Zanardi, Stefano Zanardi, grazie alla collaborazione all’evento di AICS Bologna.
Il testo, scritto da Simona Sagone, vuole celebrare il centenario dell’apertura del Forno del Pane che in tempo di guerra consentì ai Bolognesi di non patire la fame. Il centenario coincide con i 10 anni di apertura del MAMbo- Museo d’Arte Moderna di Bologna che ha sede nell’ex Forno del Pane. Lo spettacolo racconta il drastico risveglio della Bologna di primo Novecento detta “bella addormentata sopra un cumulo di letame” grazie all’opera del Sindaco Francesco Zanardi e della sua giunta che dal 15 luglio 1914 diede avvio a radicali riforme incidendo sullo spirito della città.

La drammaturgia prevede 5 stazioni durante le quali verrà rappresentata la vita e il progetto politico del socialista Zanardi a cominciare dal sostegno alle lotte contadine nel mantovano, da cui proveniva, per arrivare al suo impegno come assessore all’igiene a Bologna nella giunta Golinelli (1902-1905) e alla sua elezione coincidente con gli spari sull’Arciduca Ferdinando e la sua consorte Sofia, a Sarajevo, il 28 giugno del 1914.
Verranno evocate le tappe che portarono alla nascita del fascismo bolognese: la costituzione del Fasci di Combattimento di Leandro Arpinati, i terribili momenti della strage del 21 novembre 1920, che metterà fine alla appena nominata giunta di Ennio Gnudi, successore di Francesco Zanardi, come anche la tragica morte di Libero Zanardi nel giugno del ’22 a seguito di un pestaggio dei fascisti.

Il racconto citerà l’elezione del Sindaco Dozza che volle accanto Zanardi sul balcone di Palazzo D’Accursio il 24 marzo del ’46, mentre il popolo nella piazza inneggiava ad una fusione delle forze di sinistra. Lo spettacolo si chiuderà con un ricordo dell’entusiasmante discorso del Sindaco Zanardi tenuto il 14 aprile del 1919 al Teatro Comunale di Bologna per la prima di quattro rappresentazioni teatrali gratuite di istruzione popolare da lui volute, a sottolineare l’impegno di quello straordinario uomo politico per l’elevazione spirituale del popolo attraverso l’arte.

Epiteatro Presenta:

Teatro di Comunità Genova
21-22-23 luglio 2017
Chi fosse interessato a partecipare
risponda a questa mail per ricevere precisazioni sulle modalità di partecipazione e ulteriore materiale informativo.

Il laboratorio sarà a cura di Giorgio Degasperi, Salvatore Panu per la musica e Alessandro Lucci per il training.



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Giuliano Parisi piano jazz


Giuliano Parisi, piano jazz, è più di un musicista, è un amico della musica che aspetta solo di conoscervi personalmente, e se non vi è ancora capitato di ascoltarlo è questo il momento di fartlo attraverso le sue esecuzioni … incredibilmente virtuoso.

Professor presso Conservatorio Superior de Música de Salamanca- Spain, Professor presso Conservatorio Superior de Música de Alicante e Giuliano Parisi trio presso Musico
Vive a Alicante.

«El pianista italiano (actualmente afincado en Alicante) Giuliano Parisi publica su primer trabajo discográfico de estudio acompañado de Julio Fuster (contrabajo) y Jeff Jerolamón (batería). Introducing Myself (2015) es el título de este trabajo de auto-presentación financiado a través de una plataforma de crowdfunding y que se publicaba hace escasos meses. Y la verdad es que pocos segundos después de empezar a escuchar el disco uno se da cuenta de la magnífica calidad de Parisi. Excelente digitación y sentido del ritmo, perfecta construcción de improvisaciones con inventiva retroalimentada, compositor (de todos los temas) de melodías que quieren quedar (y quedan) en la memoria del oyente e incluso, en algunos momentos, consigue un sonido cristalino. Y es que el pianista tiene una fuerte base clásica con la que afronta su propio repertorio pero sin sonar demasiado añejo. Tampoco afrontado riesgos en relación a estructuras o lógicas de discurso, pero completamente respetable al confeccionar un álbum perfectamente coherente de principio a fin. El contrabajista Julio Fuster ejerce labores rítmicas con contundencia. Desprendiendo aquel característico sonido a madera. Realizando potentes intervenciones solistas en varios momentos del disco. El baterista Jeff Jerolamón realiza un trabajo excelente a la batería. El inglés (afincado en la escena valenciana) mantiene y desprende elegancia durante todo el disco. Realizado un acompañamiento que va más allá pero sin pasarse de rosca. Percutiendo muchísimas notas pero todas en su sitio. Con la lógica de la sesión. Introducing Myself ofrece música jazz. Y cuando digo esto hablo de ofrecer un disco con ciertos códigos de los que no se sale. Y no lo digo como algo negativo. Giuliano Parisi es consciente de ello por lo que entiendo (y percibo) que es algo sincero. Y cuando hablamos de sinceridad poco importa si lo que escuchamos ya se ha inventado. Lo que importa es percibir desde el interior del músico. Que se remueva algo dentro de uno mismo y que surja el placer. Esperamos con expectación el próximo proyecto.» © Jesús Mateu Rosselló, 2016

Este jueves a las 20h "Opus Finale" en Cines Panoramis de Alicante.
Director: Federico Lizón, Vicente Arenas
Banda sonora original: Giuliano Parisi

Hola a todos!!!!
Otra vez estamos de enhorabuena, acaban de seleccionar ‘Opus Finale’ en el festival MorningStar edición 2018, donde finalistas y ganadores serán proyectados en en el evento físico de Venecia, con galardon y diploma Internacional reconocido por Europa, USA, Canada, España, y estatua de oro y Leon de San Marco. Vamos a ver que pasa!.
Nosotros por si acaso, estamos haciendo las maletas con flotador incluido!
Ciao a tutti!!!!
Ancora una volta congratulazioni, avete appena selezionato ‘Opera Finale’ al festival morningstar edizione 2018, dove finalisti e vincitori saranno progettati nell'evento fisico di Venezia, con premio e diploma internazionale riconosciuto dall'Europa, USA, Canada, Spagna , e statua d'oro e Leon di San Marco. Vediamo cosa succede!
Noi, nel caso, stiamo facendo le valigie con galleggiante incluso!

CD disponibile su YouTube
Casa discografica: Temps Record 2015
Album: Introducing Myself

Brani:

Alma Sublime
Let Me Go
¡pst!
Raquel's - Dream
Greta
Nicolés Pictures
Room Nº9
Talismán
Escapology
Let Me Go
September Four

Hasta luego Giuliano, ti aspettiamo in Italia.

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Assegnati i Globi d’Oro per il Cinema

Globi d’Oro: i giornalisti stranieri scelgono come miglior film 'La stoffa dei sogni'
di Vittoria Scarpa.

15/06/2017 - Assegnati ieri i premi dell’associazione della Stampa Estera in Italia. Miglior opera prima è 'La ragazza del mondo', migliori interpreti sono Isabella Ragonese e Renato Carpentieri.

L’associazione della Stampa Estera in Italia ha assegnato ieri, durante una cerimonia a Villa Medici, i premi della 57a edizione dei Globi d’Oro, i riconoscimenti attribuiti ogni anno dalla stampa estera ai film italiani. Miglior film, secondo i 33 giornalisti stranieri votanti, è 'La stoffa dei sogni' di Gianfranco Cabiddu.

La motivazione: “Per la magnifica trasposizione del verso di Shakespeare ‘Tutto il mondo è un palcoscenico… uomini e donne sono soltanto attori’. I riflessi del teatro sulla realtà in un posto sperduto dove nulla è quello che sembra, tra personaggi improbabili ma densi di esistenza. Un film che ricompone il puzzle rimettendo al loro posto colpa, vendetta, riscatto e perdono”.

'La ragazza del mondo' di Marco Danieli si aggiudica il titolo di Miglior opera prima (perché “lo spiccato spirito di osservazione del regista dà al film un senso di autenticità che rende ancora più credibili i riti religiosi e i paradossi di un mondo a volte oscuro da decifrare”), mentre la Miglior commedia è 'Lasciati andare' di Francesco Amato (“per il tocco da maestro nell’aver saputo trasformare, con ironia e leggerezza, peccati come avarizia, incostanza e bizzarria in piccole, eterne, debolezze umane”).
Quanto all’interpretazione, Miglior attrice è Isabella Ragonese per 'Il padre d’Italia' di Fabio Mollo (per essere riuscita “in una sola stagione, a proporre al pubblico le più disparate sfaccettature dell'universo femminile, partendo dal ruolo di madre inconsapevole”), Miglior attore è Renato Carpentieri per 'La tenerezza' di Gianni Amelio (“per aver creato il padre ‘ameliano’ più complesso in assoluto”).
Assegnati anche i due premi speciali: il Gran Premio della Stampa Estera al mediometraggio documentario 'Restaurare il cielo' di Tommaso Santi e il Globo d’Oro alla carriera al regista Dario Argento.

I vincitori dei Globi d’Oro 2017:
Miglior film
La stoffa dei sogni - Gianfranco Cabiddu
Miglior attore
Renato Carpentieri - La tenerezza
Miglior attrice
Isabella Ragonese - Il padre d’Italia
Miglior sceneggiatura
Paolo Virzì e Francesca Archibugi - La pazza gioia
Miglior commedia
Lasciati andare - Francesco Amato
Miglior opera prima
La ragazza del mondo - Marco Danieli
Miglior fotografia
Daria D’Antonio - La pelle dell’orso
Miglior musica
Enzo Avitabile - Indivisibili
Miglior documentario
L’uomo che non cambiò la storia - Enrico Caria
Miglior cortometraggio
Penalty - Aldo Iuliano
Gran Premio della Stampa Estera
Restaurare il cielo - Tommaso Santi
Globo d’Oro alla carriera
Dario Argento

LA STOFFA DEI SOGNI
di Gianfranco Cabiddu
sceneggiatura: Gianfranco Cabiddu, Ugo Chiti, Salvatore De Mola

cast: Sergio Rubini, Ennio Fantastichini, Alba Gaia Bellugi, Teresa Saponangelo, Renato Carpentieri, Francesco Di Leva, Ciro Petrone, Luca De Filippo, Jacopo Cullin, Nicola Di Pinto, Anna Paglia

sinossi
La stoffa dei sogni racconta le vicissitudini di una modesta “compagnia di teatranti” che naufragano insieme a dei pericolosi camorristi sulle coste di un’isola in mezzo al mediterraneo. Non in un’isola qualunque, ma all’Asinara, un’isola-carcere in mezzo al mediterraneo. E’ il primissimo dopoguerra e per il Direttore dell’isola-carcere è impossibile distinguere i pericolosi camorristi dai teatranti. Il Direttore cova un forte odio verso il teatro perché è stato abbandonato dalla moglie attrice, e si è auto-esiliato con la figlia appena adolescente a dirigere l’isola-carcere. Il Direttore trova così l’occasione per la sua vendetta: costringere tutti i naufraghi a mettere in scena una commedia, che gli svelerà la differenza tra il vero e il falso, tra chi è attore e chi no, e riuscirà così a smascherare i camorristi/naufraghi che si confondono con gli scalcinati attori nella speranza di sfuggire alla prigione. Da queste premesse si sviluppa una commedia piena di colpi di scena, che “deriva” direttamente da La Tempesta di W. Shakespeare e dall’Arte della Commedia di Eduardo De Filippo, ambientata nello splendido scenario incontaminato dell’isola dell’Asinara. Il centro di tutto è il Teatro, il teatro universale del mondo. Attraverso le picaresche vicende della compagnia dei comici, improvvisamente cresciuta di numero per l’ingresso “abusivo” dei feroci camorristi, dalle prove nel carcere alla messa in scena della Tempesta di Shakespeare, dall’amore tra l’inquieta figlia del Direttore con il figlio del boss, alla figura dolorosa di Calibano, unico abitante superstite di un’isola “occupata” dal carcere, si dipana, per assonanze, il tema profondo dello specchiarsi dell’arte nella vita reale, della necessità dell’arte nella vita dell’uomo; e viene alla luce la linea narrativa più profonda che tratta il tema universale della colpa, della vendetta, del riscatto e del perdono.
In collaborazione con Cineuropa : il meglio del cinema europeo.
Nella foto: Gianfranco Cabiddu con il suo Globo d'Oro per La stoffa dei sogni (© Victor Sokolowicz).

Entro l’estate operativo l’intero impianto della Legge Cinema
di Camillo De Marco.

14/06/2017 - Lo ha annunciato ieri il Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini al convegno “Dove va il Cinema italiano?” organizzato a Roma dall’ANICA
Entro l’estate sarà operativo l’intero impianto della Legge su cinema e audiovisivo approvata nel novembre scorso. Lo ha annunciato ieri il Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini al convegno “Dove va il Cinema italiano?” organizzato a Roma dall’ANICA. Il Ministro ha affermato che il cinema è un settore in crescita e in grande mutamento. All’interno del nuovo quadro normativo si dovrà gestire l’impatto di un grande cambiamento globale che trasforma domanda e offerta.

Il lungo dibattito tra autori e produttori e gli interventi dei rappresentanti delle associazioni (è possibile rivedere la registrazione video qui) hanno esaminato a fondo il contesto in cui occorre operare per accrescere la forza industriale e far crescere il prodotto italiano. L’introduzione è stata affidata a Marco Chimenz produttore con Cattleya e presidente dell’European Producers' Club (vedi la presentazione in PDF qui), che ha illustrato lo scenario internazionale, con i mutamenti tecnologici che stanno portando ad una inarrestabile espansione dei servizi video over-the-top.

La situazione italiana e la normativa in corso di attuazione sono stati argomenti affrontati da Elena Cappuccio, responsabile Affari Istituzionali e Comunicazione di Confindustria Radio Televisioni (vedi la sua presentazione in PDF qui). C’è una ripresa del settore tv con una ascesa della pubblicità online come elemento strutturale del sistema.

Gli investimenti pubblicitari totali da parte dei 5 Paesi europei di riferimento sono stati di 70,3 mld euro nel 2016 (internet è il mezzo n.1 in Europa dal 2014). Anche il cinema appare in ripresa, ma i ricavi dalle sale sono al di sotto dei livelli del 2010. Aumentano i film italiani distribuiti, scende l’incasso medio e la media copia. Per Elena Cappuccio oggi cinema e tv sono sempre più interconnessi, con il modello partecipativo di Vision Distribution (Sky con Cattleya, Wildside, Lucisano Group, Palomar e Indiana Production) e i maggiori produttori indipendenti che sono presenti sia nella produzione cinematografica che in quella televisiva.

Tagli alla Festa di Roma, ma il MIA si farà
di Camillo De Marco.

12/06/2017 - Uno dei soci ha ridotto il sostegno alla rassegna. La terza edizione del Mercato Internazionale dell’Audiovisivo, dal 19 al 23 ottobre, sarà organizzata e attuata da ANICA e APT.

La Camera di Commercio, uno dei soci della Fondazione Cinema per Roma, ha abbattuto il suo contributo dai 793mila euro del 2016 ai 100mila per il 2017. Di conseguenza la Festa del Cinema di Roma, che si svolgerà dal 25 ottobre al 5 novembre, subirà dei tagli e qualche ridimensionamento. Saranno proiettati 45 film, con un focus sulle serie tv, mentre sono previsti 10 "incontri ravvicinati" con artisti del cinema e sette tra retrospettive e selezioni speciali di lungometraggi.

Riguardo alle voci sulla cancellazione del MIA, il Mercato Internazionale dell’Audiovisivo precisa in un comunicato che da quest’anno sarà organizzato e attuato da ANICA (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Multimediali) e APT (Associazione Produttori Televisivi), con il sostegno di MISE, MIBACT, ICE, Regione Lazio. La Fondazione Cinema per Roma non è dunque coinvolta nella produzione e organizzazione del MIA 2017, che si terrà a Roma dal 19 al 23 ottobre.

Il presidente di ANICA Francesco Rutelli ha dichiarato che "il MIA rappresenta uno sviluppo decisivo per la nostra industria del cinema e dell'audiovisivo e la sua internazionalizzazione, in coerenza con la nuova legge di sistema. Ci aspettiamo un successo forte e in crescita per questo appuntamento, unico in Italia".

Dove va il cinema italiano?
di Cineuropa

13/06/2017 - Il video dello streaming del convegno ANICA del 13 Giugno: una giornata di analisi, dialogo e proposte, dopo l’entrata in vigore della nuova legge su Cinema e Audiovisivo.

“Dove va il cinema italiano?” è il titolo del convegno organizzato dall’ANICA martedì 13 Giugno dalle 10 alle 16 al Centro Congressi Roma Eventi Piazza di Spagna di Roma. Cineuropa strasmette in diretta lo streaming dell’evento. Una giornata di analisi, dialogo e proposte, dopo l’entrata in vigore della nuova legge su Cinema e Audiovisivo e mentre cambiano profondamente l’industria globale e le attese del pubblico.

Ecco i programma della giornata:
Ore 9.30 – Registrazione Partecipanti
Ore 10 – Inizio lavori
Video introduttivo
Ore 10.15
Lo scenario internazionale dell’audiovisivo, i mutamenti tecnologici, le attese del pubblico
Marco Chimenz, Produttore, Presidente European Producers Club
Ore 10.30
Il contesto italiano, la normativa in corso di attuazione, le opportunità che l’industria deve cogliere
Elena Cappuccio, Responsabile Affari Istituzionali e Comunicazione Confindustria Radio Televisioni
Ore 10.45
Menti tempestose (libera traduzione per brainstorming) – Idee e proposte a confronto tra Autori e Produttori
Coordinano: Piera Detassis, Giornalista, Presidente Fondazione Cinema per Roma; Carlo Cresto-Dina, Produttore
Partecipano: Gianni Amelio, Elisa Amoruso, Roberto Andò, Guido Chiesa, Paolo Genovese, Claudio Giovannesi, Nicola Guaglianone,
Francesca Marciano, Riccardo Milani, Matteo Rovere, Stefano Rulli e Angelo Barbagallo, Marta Donzelli, Mario Gianani, Nicola Giuliano, Federica Lucisano, Olivia Musini,
Emanuele Nespeca, Alessandro Usai
Ore 12.45
L’Italia a Cannes 2017 a cura di Tilde Corsi
Nel corso dei lavori interverrà il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini
Ore 14
Dibattito – Interventi dei rappresentanti delle Istituzioni, delle Associazioni, delle Imprese
Ore 15.30 – Q&A
Ore 16 – Chiusura dei lavori

Accordo di collaborazione tra Istituto Luce Cinecittà e Cineuropa
di Cineuropa.

16/03/2017 - L’Italia rafforza la sua partecipazione nel sito anche con la presenza di nuovi membri nell’assemblea generale e nel consiglio d’amministrazione.
L’Italia rafforza la sua partecipazione in Cineuropa, il portale sul cinema europeo, con un accordo stipulato da Istituto Luce Cinecittà e la presenza di nuovi membri nell’assemblea generale e nel consiglio d’amministrazione in ruoli di rilievo.

Nell’assemblea generale tenutasi a febbraio in occasione della Berlinale, il Direttore Comunicazione istituzionale e Relazioni Pubbliche di Istituto Luce-Cinecittà Giancarlo Di Gregorio è stato nominato membro dell’assemblea generale, mentre Cristina Priarone, Direttore Generale di Roma Lazio Film Commission, assume la vicepresidenza dell’organismo di gestione del portale cofinanziato dal Programma Media di Europa Creativa.

L’accordo prevede una campagna promozionale accattivante e dinamica per promuovere l’Italia all’estero, soprattutto come territorio per ospitare produzioni di film, in cui investire sull’audiovisivo e trovare location e partner. La promozione della cinematografia italiana sarà potenziata attraverso articoli, interviste e focus sul magazine online.

L’accordo prevede anche uno scambio di contenuti con Cinecittà News, il sito di informazione e promozione del cinema italiano, e una copertura dei principali festival di cinema del mondo.

Cineuropa è il primo portale sull’industria audiovisiva europea in quattro lingue. Con più di 500.000 visite al mese, è lo strumento ideale per promouovere le cinematografie dei paesi europei. Il portale raccoglie le informazioni provenienti dai vari Paesi europei e, rispetto ad altri siti, ha il valore aggiunto di offrire e mettere a disposizione dei singoli e delle associazioni professionali banche dati, servizi, consulenze e la rete di contatti derivanti dalle cinematografie e dai mercati dell’audiovisivo europei.

Cineuropa non solo permette di offrire ai professionisti italiani un canale d’informazione unico (in italiano), ma anche di promuovere la cinematografia italiana all’estero.
Cineuropa è particolarmente popolare e letto nelle aree geografiche considerate ad alto interesse per lo sviluppo del cinema italiano come gli Stati Uniti, la Russia, la Cina e l’America Latina.


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Transilvania International Film Festival

Less Is More launches internationally at the Transilvania Film Festival
by Vassilis Economou

13/06/2017 - LIM – Less Is More, the development programme for limited-budget feature films, launched internationally at the 16th Transilvania IFF through an open discussion and a pitching session

LIM – Less Is More, the European development programme for limited-budget feature films, led by Le Groupe Ouest and supported by the European Union’s Creative Europe – MEDIA Programme, has been launched internationally at the 16th Transilvania International Film Festival.

LIM started its eight-month-long project last March in Flanders, Belgium, where the first workshop in a series of three was hosted. LIM’s second stop was in Transylvania, Romania (5-13 June), where, in partnership with TIFF and Control N, the representatives of the 16 selected projects and four emerging producers were hosted in the ski resort of Baisoara. For two days (9-10 June), LIM was transferred to Cluj-Napoca and, more precisely, the TIFF Industry Hub.

On 9 June, an open discussion was organised under the topic “How to Make Low-budget Cinema Creative, Exciting and Borderless?” The discussion was led by Boglárka Nagy (representative of the French Cultural Institute in Romania), and the panel comprised film professionals Olivier Thery Lapiney (producer), Iulia Rugina (director) and members of the LIM initiative Antoine Le Bos (screenwriter, script consultant, LIM artistic director) and Massimiliano Nardulli (festival curator, LIM head of talent). The discussion dealt with all of the major topics that relate to low-budget cinema and the diverse tools that filmmakers should use in order to overcome the financial limitations.

After the discussion, LIM director Vassili Silovic introduced the audience to the LIM platform, explaining the necessity of creating a programme that is aimed at limited-budget films but that does not compromise on creativity or innovation. The director also gave an initial introduction to the projects that were going to be presented for the first time in front of an audience the following day.

On 10 June, the 16 projects, which have all evolved since their initial selection for LIM and have been developed during the workshops, were presented at an open pitching session. For the very first time, the participants were able to offer a glimpse of their projects to an audience of industry representatives. It should be noted that the development of each project was based on a treatment, rather than on a script, which allows more flexibility for further adaptations. Also, the most innovative part of the session was the fact that the pitching of the story, or the “tell-me”, as LIM called it, had already been done via a pre-recorded video of the participants narrating their stories. This decision was for everyone’s benefit, as all of the participants could be treated equally and got the chance to select the best version to represent themselves while avoiding the anxiety of speaking in public. After the video presentation, the participants were available for questions and further discussions on their projects. The pitching session was followed by one-on-one meetings with film professionals.

For convenience, here is the updated selection of projects and filmmakers that have been selected for the 2017 edition of LIM:

Animus – Tomasz Sliwinski (Poland)
Anselini – Radu Mihai (Romania)
Banvard – Pieter Coudyzer (Belgium)
Corcovado Borealis – Karolis Kaupinis; producer: Marija Razgute (Lithuania)
Electricity – Ivaylo Minov and Svetozar Georgiev; producer: Vanya Ralinova (Bulgaria)
Not Here. Not Us. – Taisia Deeva; producer: François d'Artemare (Russia)
Organs in the Grass – Rory Alexander Stewart (Scotland)
Sandra – Simao Cayatte; producer: Pandora da Cunha Telles (Portugal)
Showdots – Kabir Mehta (India)
Sister – Dina Duma; producer: Marija Dimitrova (Macedonia)
Stéphanie – Leonardo van Dijl; producer: Bram Versteyhe (Belgium)
The Belly of the Whale – Marianela Maldonado; producer: Luisa De La Ville (Venezuela)
The Paths of My Father – Mauricio Osaki; producer: Sara Silveira (Brazil)
Tro Fañch – Giil Taws; producer: Hervé Alexandre (France)
We Kiss in Dark Nightclubs and I Explain – Daphné Hérétakis (France)
Wolf – Nathalie Biancheri (Italy)
The film producers selected for LIM 2017 are:
Jelena Miseljic (Montenegro)
Frédéric Prémel (France)
Gabi Suciu (Romania)
Aneta Zagorska (Poland)

The third LIM workshop will take place at the beginning of October in Finistère, in Brittany, France.

In collaborazione con Cineuropa

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Sile Jazz Area Metropolitana giugno / luglio

nusica.org e Jazz Area Metropolitana presentano

SILE JAZZ 2017 - 6^ Edizione "Di resta in corda"
9 giugno_28 luglio

Casale sul Sile, Casier, Mogliano Veneto, Morgano, Preganziol, Quarto d'Altino, Quinto, Roncade, Silea, Treviso, Vedelago, Zero Branco.

Inserito nel network Jazz Area Metropolitana, Sile Jazz presenta la sesta edizione. Un esempio virtuoso che coniuga cultura di qualità, turismo sostenibile e valorizzazione del territorio.
Debutto in grande con la Crociera Jazz sul fiume Sile il 9 giugno

Undici appuntamenti tra il 9 giugno e il 28 luglio nell'area veneta bagnata dal fiume: due "crociere jazz" e tanti ospiti illustri tra cui Evan Parker, Bruce Ditmas, Linda Oh, Greg Burk, Gordon Grdina ed eccellenze italiane tra cui Massaria, Gallo-Brunod-Barbiero, XY Quartet e Giovanni Guidi. Anima del progetto è come sempre l'Associazione nusica.org.

Treviso, 26 maggio 2017. - L'area veneta bagnata dal Sile e dai suoi affluenti coinvolge un'ampia rete di percorsi (a piedi, in bicicletta, in barca) che il sesto festival Sile Jazz lambisce e collega con la sua musica. Dall'architettura di ville e palazzi, ai paesaggi naturali in continuo mutamento, fino ai bellissimi parchi e al percorso fluviale sulle acque del fiume, Sile Jazz quest'anno porta il suo pubblico "Di resta in corda" ovunque nella terra del fiume.
La "resta" è quella fune che veniva tesa tra i buoi e il burcio (la nave a fondo piatto tipica dei trasporti sui fiumi) per portare l'imbarcazione contro la corrente. E la corda in tutte le sue forme è al centro della musica di Sile Jazz: la chitarra - elettrica, acustica, con effetti, battente, flamenca, a dieci corde - ma anche il basso elettrico o acustico, l'oud (l'antico liuto arabo), il banjo e i tanti "fratelli" che vedono le corde percuotere (il pianoforte) o vibrare (il contrabbasso, il violoncello).

Coinvolti nel festival come partner e patrocinatori sono i principali comuni dell'area del Sile: Casale sul Sile, Casier, Mogliano Veneto, Morgano, Preganziol, Quarto d'Altino, Quinto, Roncade, Silea, Treviso, Vedelago, Zero Branco; al fianco della kermesse sono anche Centro Marca Banca - Credito Cooperativo di Treviso, Perlage Winery (Farra di Soligo), Birra Muller (Zero Branco) e Degusto (Treviso). Oltre alla partnership consolidata di Studio 15 Design, quest'anno tra i collaboratori del Festival si inseriscono anche due importanti nomi della cultura in Veneto: il TCBF - Treviso Comic Book Festival e il Carta Carbone Festival Letterario di Treviso. Responsabile delle scelte artistiche del festival è Alessandro Fedrigo - bassista, compositore e didatta - è socio fondatore e coordinatore, insieme a Nicola Fazzini, dell'Associazione nusica.org
L'edizione 2017 di Sile Jazz si inserisce, tra l'altro, a sua volta in un ancor più ampio contesto: quello di Jazz Area Metropolitana, il network recentemente formatosi per volontà dell'associazione nusica.org (responsabile da sempre anche di Sile Jazz). Una rete di associazioni, fondazioni e privati, istituzioni e artisti che afferiscono all'area delle province di Venezia, Padova e Treviso e che nella condivisione delle risorse e nella comunione di strategie culturali ha la propria principale forza. Da poco conclusi i concerti che tra marzo e aprile si sono svolti a Padova, Venezia, Dolo, Stra, Mirano, Mogliano Veneto, Martellago e Preganziol, ora tocca all'area afferente al fiume Sile.
Responsabile delle scelte artistiche del festival è Alessandro Fedrigo - bassista, compositore e didatta - è socio fondatore e coordinatore, insieme a Nicola Fazzini, dell'Associazione nusica.org.

Sile Jazz comincia alla grande con una prima Crociera Jazz sul Sile, venerdì 9 giugno a partire dalle 19.30, in partenza da Area Golenale di Quarto d'Altino. A bordo del battello ospite d'onore è il Gordon Grdina Trio (Gordon Grdina: chitarre, oud; Tommy Babin, contrabbasso; Kenton Loewen, batteria). "Grdina è voracemente contaminato dalla musica classica araba, dal jazz contemporaneo e dalla necessità di improvvisazione": così Downbeat scrive del chitarrista e specialista dell'oud, Gordon Grdina, ammirato ovunque, collaboratore tra gli altri di Mats Gustafsson, Mark Helias, Gary Peacock, Michael Moore. La cena a bordo, con degustazioni di vini Perlage, è offerta dall'organizzazione e dai suoi partner. Il biglietto di 35 euro è comprensivo di trasporto, concerto e cena e va prenotato a info@jazzareametropolitana.com (mob. +39 347 5793170, lun-ven, h 9-19).
Giovedì 15 giugno, alle ore 21, a Morgano nella Chiesetta di Sant'Antonio, a ingresso libero torna Evan Parker in solo (sax), dopo il seguitissimo exploit a Dolo per l'esordio di Jazz Area Metropolitana.
Il gigante assoluto del free jazz ed emancipatore della musica europea anche questa volta avrà al suo fianco i giovani ensemble di jazz formatisi in seno alle Università Ca' Foscari di Venezia e dell'Ateneo di Padova.
Venerdì 16 giugno sempre alle 21 e sempre a ingresso libero a Quinto di Treviso in Piazza Roma tocca a Brunod, Gallo, Barbiero "Extrema Ratio". Maurizio Brunod alle chitarre acustiche, chitarre elettriche, live sampling, loop; Danilo Gallo al basso elettrico, balalaika basso, contrabbasso, live sampling e Massimo Barbiero a batteria, marimba, udu drums, timpani, wave drum, glockenspiel. Tre grandi nomi della musica improvvisata si confrontano in un progetto che mette insieme brani originali, rivisitazioni e spunti popolari. Personalità forti e differenti, quelle dei tre artisti, che convergono sul legame con l'avanguardia e la ricerca, sull'amore per le contaminazioni e sulla necessità di una musica "estremamente creativa ed onnivora".
Venerdì 23 giugno, ancora alle 21 e a ingresso libero alla Biblioteca Comunale di Preganziol sul palcoscenico sale il Simone Guiducci Gramelot Ensemble plays "Storie di fiume" - Simone Guiducci, chitarre; Fausto Beccalossi, fisarmonica; Salvatore Maiore, violoncello. Guiducci è sempre lontano da tentazioni virtuosistiche, insegue inediti paesaggi dove folclore regionale, jazz e musica colta europea si mescolano e assurgono a nuove forme. Leader e creatore del Gramelot Ensemble, Guiducci con il suo "Chorale" del 2002 è rientrato nei Top 20 di All About Jazz USA.
Un "piano solo" è atteso per venerdì 30 giugno (ore 21, ingresso libero) a Villa Morosini Gatterburg di Albaredo di Vedelago: Giovanni Guidi propone il suo "Planet Earth". Giovanni Guidi in piano solo è una vera fucina espressiva. Il suo pianismo prende spunto da Evans, Bley, Jarrett e Tristano, ma, largamente assimilato, si trasforma in un linguaggio estremamente personale e creativo.
La rassegna si sposta a Quinto di Treviso dove il Best Western Premier BHR ospita giovedì 6 luglio alle 21 l'XY Quartet, che presenta il nuovo cd "Orbite". In occasione della serata, in collaborazione con il Treviso Comic Book Festival, sarà possibile assistere al live painting di un artista scelto e commissionato dal festival di fumetti. XY è composto da Nicola Fazzini (sax alto), Alessandro Fedrigo (basso), Saverio Tasca (vibrafono) e Luca Colussi (batteria) e presenta "Orbite" è l'ultimo progetto, divenuto anche il terzo lavoro discografico dell'ensemble, per nusica.org. Un concept album dedicato ai primi "esploratori" dello spazio e alle loro storie epiche, drammatiche, controverse. Durante la serata viene offerta la cena a buffet e il costo complessivo è di 15 euro, per il concerto e la cena.
Venerdì 7 luglio (ancora alle ore 21 e a ingresso libero) il Festival approda a Zero Branco (nuovo partner di Sile Jazz) che ospita a Villa Guidini Andrea Massaria e Bruce Ditmas anche loro impegnati nella presentazione del cd "The Music of Carla Bley" per nusica.org. Un duo di funambolici improvvisatori, il pluripremiato e visionario chitarrista triestino e il grande batterista americano (ha suonato tra gli altri con Massimo Urbani, Jaco Pastorius, Pat Metheny, Paul Bley, Chet Baker). Il progetto si ispira, trasfigurandola magicamente, alla musica della pianista e autrice americana.

Venerdì 14 luglio a Treviso (stesso orario, sempre free entrance) alla Loggia dei Cavalieri si esibisce Stefano Onorati in Trio, composto da Stefano Onorati (pianoforte),Stefano Senni (contrabbasso) e Walter Paoli (batteria). Tom Harrel, Kenny Wheeler, Lee Kontiz, Steve Swallow, Enrico Rava, Paolo Fresu, Marco Tamburini sono solo alcuni dei nomi con i quali Onorati ha collaborato. Con il suo trio (affiatatissimo e di gran livello), il pianista riesce a passare dal be bop di Wheeler ai cult dei Radiohead, da Ornette Coleman ai Genesis regalando sempre nuove sorprese.
Giovedì 20 luglio alle 21 e ancora una volta aperto a tutti, uno dei più attesi appuntamenti del festival: a Mogliano Veneto nella Piazzetta del Teatro libero (in caso di pioggia il concerto si tiene al Centro Sociale, piazza Donatori del Sangue) va in scena il Linda May Han Oh Quartet - Linda May Han Oh (contrabbasso); Ben Wendel (sax); Matthew Stevens (chitarra); Rudy Royston (batteria).
Poco più che trentenne, Linda May Han Oh è oggi bassista nella band di Pat Metheny e ha già al suo attivo performance al fianco di artisti come Joe Lovano, Steve Wilson, Vijay Iyer, Dave Douglas, Kenny Barron, ... Con il suo Initial Here (2012) si mette in luce a livello internazionale come solista e autrice, che affronta jazz e ballads, classica e mainstream con grande disinvoltura e proprietà di stile, confermati anche nel recentissimo Walk against Wind (Biophilia Records) .
Sabato 22 luglio, sempre a Mogliano Veneto, ma nel Parco di Villa Longobardi (alle ore 21 ingresso libero) è la volta del progetto Triat feat. Greg Burk: Gionni Di Clemente alla chitarra classica a dieci corde, oud, bouzouki; Greg Burk a moog e tastiere; Giuseppe Franchellucci al violoncello; Domenico Candellori a batteria, percussioni e batteria synth. Un incontro inusuale e straniante, quello di Triat: vi convivono l’oud, il bouzouki, la chitarra classica a 10 corde e il violoncello, filtrati anche attraverso pedali ed effetti; e ancora il moog e le armonie delle tastiere (del grande Greg Burk), che pulsano tra jazz-fusion e contemporanea, tra etnica, rock e sfumature psichedeliche. In caso di pioggia il concerto si tiene al Centro Sociale, piazza Donatori del Sangue)

Venerdì 28 luglio, a partire dalle 19.30 il Festival si prepara per salpare ancora una volta, e diretto verso la Laguna di Venezia. La Crociera, infatti, parte da Portegrandi e tocca la Laguna Sud, Torcello e Murano per poi rientrare. Il concerto a bordo è quello di Giovanni Seneca "Ecanes" Trio, mentre - in collaborazione con CartaCarbone Festival Letterario - le musiche si intersecheranno con delle letture a tema, pensate e proposte apposta per il concerto. Il trio di Seneca è composto da Giovanni Seneca (chitarra classica, battente e flamenca), Gabriele Pesaresi (contrabbasso) e Francesco Savoretti (percussioni) e fa capo al chitarrista che con perizia seleziona i suoi ingredienti tra tarantella, rumba e musica dell’est Europa, per "condirli" con interessanti "spezie" della musica nota come colta. Il risultato è un'espressività di grande equilibrio, un affascinante itinerario poetico alla ricerca dell’anima popolare della musica. "Una musica seria e intensa, [...]. Composizioni evocative e immaginifiche [...]" così ne parla anche Ennio Morricone. Il biglietto per l'intera iniziativa (trasporto, concerto e cena) è di 35 euro e va prenotato a info@jazzareametropolitana.org, mob. +39 347 5793170.

Tutte le informazioni su www.silejazz.com

Informazioni e prenotazioni Sile Jazz - Jazz Area Metropolitana
info@jazzareametropolitana.com - mob.: +39 347 5793170 (Giorgia Masiero - lun-ven, ore 9_19)

Ufficio stampa Sile Jazz - Jazz Area Metropolitana
press@jazzareametropolitana.com - info@connecteventi.com
mob.: +39 338 4543975 (Clara Giangaspero)

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Omaggio a Sebastiano Vassalli nuovo libro

OMAGGIO A SEBASTIANO VASSALLI

Presentazione nuovo libro 'I racconti del Mattino' di Sebastiano Vassalli edito da Interlinea, maggio 2017, curato e introdotto da Salvatore Violante

Relatori: Ermanno Corsi, Francesco Durante, Luigi Fontanella, Enzo Rega, Salvatore Violante, coordina Grazia Paolella

Legge Wanda Marasco

Interventi musicali di Anna Rita Scognamiglio, Arturo Vastarelli e Rosario Pignatelli

Al Circolo Ufficiali Marina Militare di Napoli
Via Cesario Console, 3, adiacenze Piazza Plebiscito il 6 giugno 2017 alle ore 18,00
Con il patrocinio morale del Club Unesco Napoli

INTERLINEA Edit.: nota dal sito

Dello scrittore scomparso nel 2015 emergono dalle pagine del Mattino, il quotidiano di Napoli, una serie di racconti pubblicati dall’82 all’85 grazie alle amicizie partenopee dell’autore della Chimera nate al tempo della neoavanguardia e del Gruppo 63. Vassalli mette in scena storie in cui si sente il profumo del Sessantotto, con il 18 politico e il dibattito sul nozionismo di quella stagione, la violenza che accompagna la passione cieca del tifoso di calcio, la superstizione bonaria, lo stile della politica italiana. L’ironia pervade le brevi narrazioni che compongono un primo mosaico di quel carattere degli italiani che l’autore ha rappresentato nei suoi romanzi in cui «l’Italia non è soltanto un Paese vecchio e sostanzialmente immobile: è anche due Paesi in uno. C’è il Paese Legale, sotto gli occhi di tutti, e c’è il Paese Sommerso, che tutti più o meno fanno finta di non vedere». Questi testi lo raccontano.

Sebastiano Vassalli nasce a Genova nel 1941 ma fin da bambino vive a Novara. Tra gli anni sessanta e settanta, nei quali insegna dopo la laurea in Lettere con una tesi su arte contemporanea e psicanalisi discussa con Cesare Musatti, partecipa alle vicende della neoavanguardia nell’ambito del Gruppo 63, all’inizio dipingendo e fondando una piccola casa editrice e riviste quali Ant.Ed. e Pianura.
Esordisce con testi poetici affermandosi con alcune prose sperimentali (Narcisso è del 1968, cui seguono Tempo di màssacro e L’arrivo della lozione, sempre da Einaudi, presso cui pubblica anche il poemetto Il millennio che muore): nella pagina travasa, attraverso un furore linguistico e una satira culturale, le inquietudini politiche e sociali di quegli anni. Rispetto a queste esperienze giovanili Abitare il vento del 1980 segna il primo tentativo di distacco e svolta: infatti il protagonista, come nel successivo Mareblù, si sente incapace di cambiare il mondo con metodi trasgressivi e rivoluzionari (chiedendosi alla fine: contro chi?).
Vassalli cerca quindi nuovi personaggi o, meglio, una letteratura pura. E in questo senso è per lui emblematico il poeta Dino Campana, la cui vicenda è ripercorsa nella Notte della cometa, la prima opera della stagione narrativa matura. La sua indagine approda a una dimensione esistenziale anch’essa pura, come la fanciullezza, al centro della ricerca delle origini della società odierna italiana nel romanzo L’oro del mondo, ambientato nel dopoguerra. Intanto Vassalli non smette di indagare il mondo con eclettismo intellettuale (si pensi a Sangue e suolo e Il neoitaliano).
L’investigazione letteraria delle radici e dei segni di un passato che illumini l’inquietudine del presente e ricostruisca il carattere nazionale degli italiani approda al Seicento con La chimera, un successo editoriale del 1990 (premio Strega), poi al Settecento di Marco e Mattio, uscito l’anno dopo, quindi all’Ottocento e agli inizi del Novecento con Il Cigno nel 1993.
Dopo la parentesi quasi fantascientifica, inquietante e satirica, di 3012 e il viaggio al tempo di Virgilio e Augusto di Un infinito numero, in Cuore di pietra ricrea un’epopea della storia democratica dell’unità d’Italia simbolizzata da un grande edificio di Novara, Casa Bossi dell’architetto Antonelli. Nei libri a cavallo del Duemila lo scrittore si avvicina al presente riscoprendo anche il genere del racconto, soprattutto con La morte di Marx e altri racconti del 2006 e L’italiano dell’anno successivo, prima del ritorno al romanzo fondato sulla storia: la prima guerra mondiale in Le due chiese, del 2010, e gli antichi Romani in Terre selvagge, che segna nel 2014 il passaggio dall’editore di quasi cinquant’anni di libri, Einaudi, a Rizzoli, dove appare nello stesso anno una nuova edizione della Chimera.
Con Interlinea Vassalli pubblica Il mio Piemonte, la raccolta illustrata Terra d’acque e, tra gli altri titoli (oltre a Natale a Marradi e Il robot di Natale nella collana Nativitas), l’autobiografia Un nulla pieno di storie. Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo (con Giovanni Tesio in forma di intervista con documenti e immagini) e Maestri e no. Dodici incontri tra vita e letteratura. Tra gli studi sullo scrittore novarese si segnala il recente numero di Microprovincia 49 (2011) La parola e le storie in Sebastiano Vassalli, oltre a La chimera. Storia e fortuna del romanzo di Sebastiano Vassalli, a cura di Roberto Cicala e Giovanni Tesio (Interlinea, Novara 2003). Una curiosità: allo scrittore è dedicata la prima guida italiana di itinerari letterari cicloturistici: Nella pianura delle storie di Sebastiano Vassalli, in italiano e inglese (Interlinea-ATL, Novara 2013).
Vassalli pubblica interventi militanti su quotidiani: dopo la collaborazione a La Repubblica e La Stampa, è opinionista del Corriere della Sera (i suoi Improvvisi. 1998-2015 sono raccolti dalla Fondazione Corriere della Sera nel 2016). Muore nel luglio 2015 e nello stesso anno esce postumo da Rizzoli Io, Partenope.


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Roma e Novara a Tutto Jazz -

28DIVINO JAZZ A ROMA

GIOVEDI 25 MAGGIO ore 21.45
ANATMA
An Indo Italian Jazz Project

Rohan Dasgupta - Sitar
Luigi Di Chiappari - Piano, Rhodes
Riccardo Di Fiandra - Acoustic bass
Daniele Di Pentima - Drums

Anatma, ovvero il non-ego.

Il nome come stendardo del gruppo e del suo spirito.
Un ponte fra jazz e musica indiana come piattaforma di espressione libera, in cui ognuno contribuisce caratterizzando la musica secondo la propria tradizione e il proprio suono.
La ricerca continua di elementi di comunione permette di spaziare da esecuzioni di raga, canzoni, composizioni estemporanee, senza mai connotare i brani in una sola ed esclusiva direzione. I singoli musicisti fanno un passo indietro rispetto all'affermazione di una caratterizzazione musicale e improvvisativa regnante, a favore di un suono comune e unitario, nel rispetto dei linguaggi e delle tradizioni di riferimento.
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VENERDI 16 MAGGIO ore 22.30
ANTONIO RAGOSTA TRIO
Antonio Ragosta, chitarra
Sergio Di Leo, basso el.
Mattia Di Cretico, batteria

Dopo l'esordio discografico con “Il mare e l'incanto a Roma est” edito dalla Slam (UK) Antonio Ragosta torna in studio per un nuovo lavoro discografico che vedrà la luce a breve, con una formazione inedita. Un sound contemporaneo che attraversajazz, blues, rock, musica classica ed atmosfere mediterranee, per approdare in un linguaggio autentico e spontaneo. Nei nuovi brani continua il viaggio iniziato nelprimo disco, ma con un orizzonte che si amplia includendo nuove possibilità.
Antonio Ragosta è un chitarrista compositore di origini napoletane, trapiantato aRoma. Tra le sue collaborazioni: Sandro Joyeux, Pape Siriman Kanoutè, Gerardo Casiello, Alessio Bonomo, Paolo Zanardi, Titti Smeriglio, Pilar, Paolo Damiani, Moni Ovadia, Alessandro Haber.
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SABATO 27 MAGGIO ore 22.30
WHITE WAVES TRIO
Alberto Parmegiani, chitarra el.
Danilo Blaiotta, Keyboards, Nord stage
Riccardo GaMbatesa, batteria.

Un gran bel trio ! White Waves ha visto il loro primo live al “28Divino Jazz" il 16 ottobre 2015. Il secondo è stato fatto praticamente un anno dopo, il 22 ottobre 2016 e come si dice in casa 28: "Jamais deux sans trois"! Tre musicisti che danno vita ad un concerto sempre diverso, pino di groove e sempre carico di pathos. L’unione di intenti si manifesta sul palco dove la fiducia nell’intuito dei compagni spinge verso nuovi orizzonti sonori e territori inesplorati in cui il rischio è voluto e cercato., sempre con ritmo e groove. Le composizioni di questo GrooveTrio, per la maggior di Alberto Parmegiani, lasciano sempre aperto uno spiraglio all’imprevedibile e la classica via di fuga è deliberatamente evitata.
Spesso il lirismo dei temi riporta la calma e una nuova magia prende forma

Sotto il Jazz Club:
Ingresso con prima consumazione inclusa
Sopra Wine Food Bar e chiacchiere tra amici Ingresso Libero
Cena dalle 20.00
Info Prenotazioni: 340 82 49 718
via Mirandola, 21 – 00182 Roma
all info www.28divino.com

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NOVARA JAZZ apre in bellezza

Venerdì 26 maggio la residenza con i Ghost Horse e sabato la biciclettata a Cameri
Novarajazz.org

Giunta alla XIV edizione, prende il via la fase estiva della stagione 2016/2017 di NovaraJazz. Ormai riconosciuto anche a livello europeo per la qualità e l'originalità della proposta, il festival internazionale di musica jazz di Novara si conferma palcoscenico unico nel cuore della città per i grandi concerti, l’improvvisazione, le sperimentazioni elettroniche e le contaminazioni tra le arti, un appuntamento in grado di innescare rapporti sempre nuovi tra la musica, i luoghi e le persone. Anche questa edizione parla linguaggi internazionali, mettendo in dialogo culture e generazioni differenti. Un festival sempre più radicato nel suo territorio, del quale scopre angoli e luoghi sempre nuovi e affascinanti, ma che non perde occasione per esportare il proprio nome fuori dai confini territoriali: quest’anno a Milano, Magenta e Locarno.

Il sempre suggestivo scenario di Villa Picchetta a Cameri - foto © Emanuele Meschini

Il primo fine settimana apre le danze giovedì 25 maggio, alla Libreria la Talpa dei Bambini con le letture di Jazz per bambini. All’Opificio suona Raffaele Genovese Trio, trio dalla musica intima con venature originali, e inaugura la mostra fotografica “The blue notes” di Jean-Pierre Maurer. Venerdì 26 maggio NovaraJazz si sposta alla Cascina Bullona di Magenta dove si svolge, a seguito di un’intera settimana di “residenza”, il concerto di Ghost Horse, per un progetto a cura di Enrico Bettinello, commissionato da NovaraJazz, progetto che espande gli Hobby Horse a sestetto. Sabato 27 maggio si riparte con la biciclettata, appuntamento attesissimo dagli amanti della bicicletta e dei paesaggi che la pianura novarese regala. Partenza da Novara alla volta di Villa Picchetta a Cameri, dove si esibisce il trio formato da Glauco Bendetti alla tuba, Stefano Tamborrino alla batteria e Filippo Vignato al trombone. Si prosegue al Museo di Storia Naturale ‘Faraggiana Ferrandi’ con Dan Kinzelman in solo sax ed elettronica. Domenica 28 maggio al Mulino Vecchio di Bellinzago Novarese è ancora tempo di taste of jazz con il duo composto da Filippo Vignato al trombone e Dan Kinzelman al sax. Evento suggestivo quello al Castello di Novara, da poco riaperto dopo i lavori di ristrutturazione, che ospiterà il duo di Stefano Tamborrino alla batteria e Gabrio Baldacci alla chitarra.

Il programma della prima settimana

MERCOLEDÌ 24 MAGGIO
Ore 16.30 Jazz per bambini - Lettura animata
Biblioteca, Galliate

GIOVEDÌ 25 MAGGIO
Ore 16.30 - Jazz per bambini - Lettura animata
La Talpa dei Bambini, Novara
Ore 20 - Jean-Pierre Maurer mostra fotografica “The blue notes”
Opificio – Cucina e Bottega, Novara
Ore 20.30 - Raffaele Genovese Trio
Opificio – Cucina e Bottega, Novara

VENERDÌ 26 MAGGIO
Ore 21.30 - Cena+concerto GHOST HORSE
Cascina Bullona, Magenta
Cena + Concerto 30 €
Solo concerto 15 €
Info e prenotazioni al 02.97292091 e bullona@agriturismobullona.it
Inizio cena ore 20:00

SABATO 27 MAGGIO
Ore 10 - ride novarajazz - biciclettata
da Piazza della Repubblica (Novara) a Villa Picchetta, Cameri
Ore 13 - Joe Rehmer, Stefano Tamborrino & Filippo Vignato
Villa Picchetta, Cameri
Ore 19 - Dan Kinzelman
Museo ‘Faraggiana’, Novara

DOMENICA 28 MAGGIO
Ore 13 - Filippo Vignato & Glauco Benedetti
Mulino Vecchio, Bellinzago
Ore 19 - Stefano Tamborrino & Gabrio Baldacci
Castello, Novara

NovaraJazz è organizzato da Rest-Art realizzato in collaborazione con: Ministero dei Beni e delle Attività Culturali culturali e del Turismo, Regione Piemonte, Comune di Novara, I-Jazz, Italian Qualitiy Music Festivals, Atl Novara. E inoltre NovaraJazz è possibile grazie al sostegno di Fondazione Banca Popolare di Novara, Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT, Novamont, Radici Group, Consorzio Gorgonzola. Partner ufficiali: Leca Laterlite, Automagenta, Caseificio Giordano, Breeze, Macam, Opificio Cucina & Bottega, Provincia di Novara, Il Circolo dei Lettori, BasexAltezza, Libreria Lazzarelli, Libreria La Talpa, Fabbrica Lapidea della Basilica di San Gaudenzio, L Civel, Il Castello di Novara, Menestrello Bistrot, Camporelli, Cascina Bullona, Partner tecnici: Birrificio Croce di Malto, Grafiche Desi, Albergo Ristorante Delfino, Pancioli Hotels, Il Broletto Food & Drinks, GR, Liceo "F. Casorati". Media partner: Azzurra FM, Radio 3, Zero, Paly.me, Radio Popolare, 3023, Il giornale della musica. E con la collaborazione di Istituto Civico Musicale Brera, Scuola di musica Dedalo, Primavera Vinile, Parco Ticino e Lago Maggiore, ELLE, Fondazione svizzera per la cultura, Grand Tour delle acque dell'ovest, FIAB. Partner progetti speciali: Consolato generale della repubblica di Polonia, Silent Party, U.P.O. Party.







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Muri off 20 Maggio a Milano

‘MURI OFF’ Milano 20 Maggio 2017 - Insieme senza muri.

Non qui, nel ristretto spazio di questa pagina bianca, per quanto ampia possa sembrare, si realizza quello che si può dire il completamento di pensieri fattivi e contingenti, maturati durante e dopo le tante lotte, più o meno necessarie, affrontate per i diritti umani e sociali dei popoli, che si troveranno le ragioni di tanta animosità popolare, tale da scaturire nuove rimostranze e contestazioni ancora ai nostri giorni.
I tempi di relazione richiesti dalla ‘storia’ si sono rivelati fin troppo lunghi e non sono serviti a sanare situazioni di autentica sofferenza sociale per lo più lasciate irrisolte, e che oggi si riaffaciano in tutta la loro pregnanza sulla scena della collettività; che quasi sembra impossibile poter trovare le pur dovute risposte a molte delle domande legittimate dalla necessità di interventi urgenti.

Non è così, le risposte sono spesso intrinseche ai problemi, sono scritte sui ‘muri’ delle città, gridate nelle manifestazioni dei ‘disoccupati’ che chiedono un lavoro; nelle dimostrazioni dei tanti giovani ‘diseredati’ del primario diritto allo studio. Di quanti invocano la libertà di espressione, l’uguaglianza nella diversità, la fraternità fra i popoli.
Nelle grida di tutti coloro che sono contro la violenza delle guerre, che dissentono dall’isolamento e dalla segregazione; contro ogni impedimento del libero pensiero, della libertà di parola, di critica, di espressione, e che chiedono di veder riconosciuta la legittima dignità individuale, l’accesso alla conoscenza, il proprio diritto di essere cittadini del mondo.

Le risposte ci sono, sono nella coscienza e nell’impegno di quanti si adoperano per l’abbattimento dei tanti ‘muri’ che dividono, che ostacolano l’avanzamento della società civile, che chiedono di veder legittimate alcune priorità, come combattere la fame, debellare le epidemie, contrastare le migrazioni forzate, alzare ‘muri’ di contenimento dei flussi migratori.
Rammento una domanda letta su un muro che mi rimbomba ancora nella testa come un martello: “..che cosa mi aspetto nella direzione che non prendo?”, spaventosa nella sua semplicità, al punto che mi ha tenuto impegnato a lungo su quale fosse la risposta da dare. Anche fosse una sola, ho sentito il dovere di trovarla, per me come essere umano e per gli altri come cittadino di una società che pure mi compete.

Una risposta che competesse a tutti, come del resto la domanda era rivolta a tutti, nel far fronte a una necessità che pure suggeriva un nuovo slancio verso la comprensione degli altri, a sostegno di quanti si sentono insicuri, di quanti si sentono smarriti davanti a un ‘muro’ che divide, che ostacola quella ‘libertà’ cui hanno creduto, forse sognato, utopia nella quale ripongono tutte le loro speranze.
Poi è arrivato il suggerimento di imbrattare tutti quei ‘muri’, “scrivendo di sogni, prendere nota del mondo che crea la mente sognante”, ed è stato in quel momento che si è aperta la diga di contenimento del fiume in piena delle emozioni senza parole, delle frustrazioni incontenute, dei capoversi volgarmente subiti, delle tante ipotesi di riscatto che lette e sentite, di quelle promesse mai realizzate.

L’argomento richiede qui un ulteriore approfondimento sul significato di ‘libertà’, considerando in primis la ‘libertà di essere se stessi’ come finalità determinante del riconoscimento degli altri. Verosimilmente con quanti vivono socialmente la libertà nel pieno rispetto delle disuguaglianze, di là dai ‘muri’ di contenimento innalzati per dividere e contrastare la ‘libertà’ per sanare i molti guasti di una democrazia malata.
La Prof era stata chiara nel dirmi di non dover riscrivere la biografia del ‘muro’ in quegli anni, piuttosto mi chiese di inquadrarlo nel contesto critico della società degli anni ottanta, si era nel novembre del 1989, in un confronto interpretativo con l’oggi, a trent’anni di distanza, per un necrologio che certamente non mi competeva.
Ho infine optato per affrontare ambedue le ‘strade’ che mi si prospettavano davanti. In fondo il problema del ‘muro’, sia visto nell’una che nell’altra realtà, lasciava intravedere due diversi livelli di ‘coesistenza’ coi fatti. Come avrebbe suggerito il filosofo (Plotino): ‘disgiunti e legati come lo sono il corpo e l’anima’; da un lato la sua ‘esistenza’ psicologica, dall’altra quella della sua materialità al di fuori del tempo.

Del resto sia l’una che l’altra non si escludevano a vicenda e almeno per quanto riguardava la ‘storia del muro’ l’accordare ad esso un fine, per quanto negativo fosse, non avrei potuto non dispensare all’individuo cosciente quella fiducia nel ‘libero arbitrio’ che gli riconoscevo e che, fino ad allora, mi era sembrato inevitabile come respirare o mangiare.
Ciò malgrado la paura di non farcela, in qualche momento, mi abbia indotto a sentirmi estraneo all’impegno che mi spettava di prendere, a conferma che la mia scelta, in qualche modo, seppure affidandomi alla necessità di volermi mettere alla prova, mi avrebbe collocato di qua o di là del ‘muro’ che avevo difronte. Il rischio era quello di sentirmi in qualche modo esposto a frangenti invisibili e indecifrabili d’una contestazione che saliva in rabbia.

Ben presto i fantasmi di quanti si erano immolati per abbattere il ‘muro’ divennero anche miei e, piuttosto che scacciarli, ho preteso da loro di diventare amici e, un po’ come avviene su face-book, ho fatto appello alla loro disponibilità. Non saprò mai se me l’hanno mai accordata ma, poiché da sempre ritengo che un gesto d’amicizia non lo si neghi a nessuno, ho voluto illudermi che mi abbiano detto sì.
Così, cercando di stabilire con loro una reciprocità superiore di quella che verosimilmente, avevano conferito all’establishment dell’epoca, ho cercato di rispondere ai molti interrogativi, che essi ponevano, ha ambito di diventare qualcuno pur di dimostrare a me stesso e agli altri di avere la stoffa per farcela, che valeva la pena di impegnarsi nel riscatto di quella ‘libertà’ che mi era data per diritto di nascita, seppure il prezzo pagato sarebbe costato caro.

Troppo se, arrivati al dunque, ancora oggi si è costretti a ricominciare a manifestare e a contestare contro l’estabishment, quando le grida dei fantasmi del ‘muro’ gridano ancora per la ‘libertà’, per i diritti e una società più civile. Ciò che mi permette infine di avvalorare il dubbio, che nel frattempo è incorso qualcosa di sbagliato, che in questa affatto democratica società, qualcosa non sia andata come avremmo voluto, cui una ritrovata pace spesso induce.
Il resto è qui, fra queste pagine che con orgoglio sottopongo all’insindacabile giudizio di chi le leggerà, e con le quali ho creduto di completare un quadro tuttavia destinato a rimanere senza cornice, premettendo, con tutta la serenità che mi distingue, di aver lavorato con coscienza nei confronti di quanti hanno combattuto e continueranno a farlo per la verità, affinche sventoli alto il vessillo della ‘libertà’.

MILANO 20 Maggio 2017 Manifestazione 'Insieme senza muri'.

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A Roma il Festival di Canto Sacro

A ROMA - VIII Festival di Canto Sacro
Fausto Flamini 2017

Centro Culturale Aracoeli
Scala dell’Arce Capitolina, 12 - 00186 Roma
tel. 06 69763831 - fax 06 69763832
info@centroculturalearacoeli.it
www.centroculturalearacoeli.it
Associazione Musicale Vocalia Consort
info@vocaliaconsort.it - www.vocaliaconsort.it

I N F O R M A Z I O N I
ROMA 2017 grafica&stampa Giammarioli - Frascati (RM)
Centro Culturale Aracoeli dei Frati Minori
Vocalia Consort

ingresso libero

P R O G R A M M A

BASILICA SANTA MARIA IN ARACOELI
Sabato 20 maggio 2017 - ore 20.30
‘In memoriam’
Cristian Carrara (1977)
Vivaldi. In memoriam
per orchestra
Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
Requiem in re minore KV 626
per soli, coro e orchestra
Angela Nisi, soprano
Oh Hyun Jung, mezzosoprano
Massimo Lombardi, tenore
Giuseppe Naviglio, basso
Vocalia Consort
Vox Poetica Ensemble
Giulio Fratini, organo
FORM - Orchestra Filarmonica Marchigiana
Marco Berrini, direttore

CHIESA SAN BONAVENTURA AL PALATINO
Domenica 25 giugno 2017 - ore 18.00
‘Trame’
Alternanze di ascolto musicale e visione pittorica
Musiche di
Bach, Donati, Gesualdo, Margutti,
Monteverdi, Palestrina, Stravinskij
Vocalia Consort, coro
Marco Berrini, direttore
Esposizione e presentazione
delle opere di Sidival Fila
nel suo atelier.

BASILICA SANTA MARIA IN ARACOELI
Venerdì 29 settembre 2017 - ore 20.30
‘Passione’
Johann Sebastian Bach (1685-1750)
Passione secondo Giovanni BWV 245
Ensemble Vocale Florilegium Vocis
Vocalia Consort
Sabino Manzo, maestro del coro
Orchestra Barocca S. Teresa dei Maschi
Luca Alfonso Rizzello, violino di concerto
Claudia Reinhard, soprano
Tiziana Portoghese, mezzosoprano
Massimo Lombardi, tenore
Danilo Tepsa, tenore
Giuseppe Naviglio, baritono
Angelo De Leonardis, baritono
Marco Berrini, direttore
Centro Culturale Aracoeli
Scala dell’Arce Capitolina, 12 - 00186 Roma
tel. 06 69763831 - fax 06 69763832
info@centroculturalearacoeli.it
www.centroculturalearacoeli.it
Associazione Musicale Vocalia Consort
info@vocaliaconsort.it - www.vocaliaconsort.it

Da non mancare.

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Patrizia La Fonte - Giusto per dire

‘Giusto per dire’, una ‘guida’ pratica di Patrizia La Fonte – Edizioni ikona Lìber 2016.

Ècco un manuale facile da leggere, pratico da consultare, o se preferite, facile da consultare, pratico per apprendere l’uso corretto della lingua italiana. Comunque utile per imparare a pronunciare le parole nel giusto modo in cui vanno ‘dette’. Per i più provetti, un vademecum che, nell’uso costante che migliora la dizione e permette di imporre al proprio parlare quella determinazione di cui necessita per avere successo nella vita. Per gli ‘ignoranti’, che vanno dalla politica, ai media come la TV e sulle pagine dei Quotidiani (e sono molti quelli che si sperticano nell’uso di un linguaggio scorretto e quantomeno obsoleto), potrebbe diventare una sorta di ‘libro master’ col quale rifocillare il proprio magniloquente/laconico manifestatamente insignificante sproloquio giornaliero. Ai quali non solo consiglio il suddetto libro quanto di frequentare (li imploro) qualche ‘corso’ di quelli più sotto elencati, o qualunque altro specifico sulla dizione, oppure di tornare sui banchi di scuola (elementare).

Va qui accentuato, inoltre, l’importanza delle forme del linguaggio re-interpretate dall’autrice in ‘Giusto per dire’ che lei stessa definisce: “guida poco teorica e molto pratica per l’italiano parlato”. Il ché, così detto, potrebbe sembrare un ossimoro ma non lo è, in quanto nel libro sono contenute schede pratiche (fotocopiabili) per inflessioni e difetti di pronuncia e un’appendice sulla lingua madre e la lingua che l’autrice definisce ‘lingua zia’, per dire di quella lingua ‘orale’ che pure ci permette di colloquiare per essere essa parte del nostro quotidiano. È detto nella nota che accompagna il libro: «Le schede specifiche, create e modulate sulle diverse particolarità di un migliaio di allievi italiani e stranieri, sono state perfezionate per permettere con pochi minuti al giorno di allenamento di ottenere presto risultati evidenti senza annoiarsi. (..) L’originale metodo ideato da Patrizia La Fonte si presenta da solo, con gli strumenti di lavoro teorico e pratico utilizzati con successo in trent’anni di insegnamento. Il percorso si serve di esercitazioni semplici, utensili di impiego molto facile per chiunque voglia migliorare la pronuncia e la voce e togliersi dubbi sulla dizione.»

Uno sguardo al sommario:
Prefazione di Giancarlo Giannini e David Riondino.
Le regole, i suoni, il metodo ortofonico, respirazione, postura, articolazione,test, esercizi, lettura e correzione, esercizi di velocità, versi, verifica e allenamento, scioglilingua, rieducazione, pronuncia, etimologia, parlare in pubblico e tecniche interpretative.

E non venite a dirmi che con tutto lo sperpero di energie che si fa nelle palestre quanto suddetto vi sembra troppo impegnativo! In realtà lo è molto meno, se non altro perché impegna solo la voce (cervello a parte) che permetterà di escogitare soluzioni migliori alla tentazione contemporanea di ‘fuggire da se stessi’ (che è poi quello che facciamo tutti), per imporsi agli altri con maggiore efficacia e determinazione. Comne ha già detto Umberto Eco, “Non sperate di liberarvi dai libri”, essi sono il pane quotidiano che vi permette ciò che non avete mai osato fare: migliorare voi stessi, nonché viaggiare in modo salubre e sereno alla volta del futuro che vi aspetta. Se non altro con maggiore perspicacia, quella capacità di intuizione associata al pregio della prontezza o dell'opportunità che apre ‘alla vita’.

Ospite al Teatro di Villa Torlonia - Domenica 5 marzo 2017 ore 11 ho avuto il piacere di assistere alla presentazione del libro ‘Giusto per dire’ di Patrizia La Fonte. In realtà si è trattato di una ‘conferenza spettacolarizzata’, con la partecipazione del pubblico e di giovani attori intervenuti: Carlo Bernardini, Tiziano Caputo, Samantha Silvestri e altri ospiti a sorpresa in platea che hanno parlato delle vicissitudini dell’italiano parlato con libere incursioni nella storia e nelle trasformazioni in atto. «Oggi – ha affermato l’autrice del libro – che le lingue e i linguaggi si mescolano, può essere stimolante e perfino piacevole cercare di dipanare la complicata matassa delle molte opinioni sull’esattezza di una lingua che, come tutte, si modifica di continuo. Cercare una via d’uscita nel labirinto della pronuncia, dell’ortoepia e della dizione attraverso un metodo che non prevede l’insegnamento delle regole riserverà curiose sorprese.», che ha poi rilasciato la seguente intervista:

Qual è l’intento di questo libro che ci sorprende, in un momento come questo che si sta perdendo il ‘senso’ dell’uso della lingua italiana?

«Il mio libro intende essere uno strumento di lavoro, utilizzabile sia da chi insegna in corsi di Dizione e Uso della voce per l’Italiano, sia da chi vuole servirsene per un percorso di autoformazione. In questo caso basterà seguire passo dopo passo i suggerimenti, scegliendo le schede più adatte alle aree che si intende migliorare. Sono collocate nel centro del volume, e sono fotocopiabili e fotografabili in modo da potersele portare dietro per la routine quotidiana di esercizi in progressione.»

Il suo è un vero e proprio insegnamento e dove avviene?

«Insegno all’Accademia Internazionale di Teatro, ora con corso di laurea (v. terza di copertina). Sede a Roma, via di valle delle Camene, via Camillo Porzio, via della Caffarelletta:» http://www.scuoladiteatro.it/

Pensa che l’italiano scritto sia più difficile da apprendere dell’italiano parlato?

«No, penso che l’italiano parlato si apprenda, come ogni altra lingua parlata, parlando, appunto. E non con regole scritte.»

È forse la ragione per cui l’italiano è così difficile da apprendere dagli stranieri?

«Non credo che sia più difficile apprendere l’italiano di ogni altra lingua; non più difficile dell’arabo o il cinese, o del tedesco per un tunisino o del maltese per uno scandinavo, o del francese per un indiano.»

C’è una cosa che vorrebbe dire riguardo all’apprendimento della lingua italiana?

«Che la lingua parlata va innanzitutto ascoltata per come viene parlata dalla gente autentica, nella quotidianità.»

Quale è la ragione che l’ha spinta ad occuparsi di questa materia così complessa e problematica?

«Il fatto di essere stata richiesta di tenere corsi di Dizione e uso della voce, più di trent’anni fa. Mi sono documentata e ho studiato. La passione per le lingue volgari italiane l’avevo sempre coltivata per mia curiosità, giusto e piacere.»

Pls, dica ai nostri numerosi lettori dove poter apprendere ‘in pratica’(luogo fisico) a migliorare l’uso della lingua secondo il suo manuale.

«Aqquistando il libro ( su Amazon, oppure richiedendolo all’editore http://www.ikona.net/patrizia-la-fonte-giusto-per-dire/ ) o seguendo uno dei miei corsi. Ne terrò a breve uno a Lamezia Terme. Li allestisco quando mi vengono richiesti.»

Dato per scontato che conosca i suoi precedenti da Internet, che inserirò come una piccola biografia: quali sono i suoi programmi prossimi futuri?

«Come attrice ho in programma la ripresa in una serata speciale di ‘Maturina fantesca, erede di Leonardo da Vinci’ domenica prossima, 26 marzo, presso lo Spazio Veneziano a via Reno, serata in cui lo spettacolo è seguito da una cena in tema (invio i dettagli in altra email) e poi lo riprenderò al teatro Kopo il 28, 29 e 30 aprile (v. sito www.patrizialafonte.it ).
Dal 1 aprile terrò un corso in cinque fine settimana a Lamezia Terme organizzato da Ama Calabria» (v. volantino allegato): http://www.amacalabria.org/index.php?option=com_content&task=view&id=210&Itemid=403
Il 9 aprile a Siena parteciperò a 'Parole in cammino, Festival dell'italiano e delle lingue d'Italia' https://www.ilfestivaldellalinguaitaliana.it/2017/03/08/nasce-parole-in-cammino-il-festival-dellitaliano-e-delle-lingue-ditalia/
In maggio, come attrice, prenderò parte a un paio di lavori televisivi.»

Patrizia La Fonte nome d'arte di Patrizia Balloni, è un'attrice, regista e drammaturga italiana; è inoltre autrice e coautrice di testi teatrali, scrive, dirige e interpreta "Maturina fantesca, erede di Leonardo da Vinci" in un piacevole italiano cinquecentesco, pubblicato da questa stessa casa editrice nella collana 'Il teatro nel mondo'.
Note riguardanti Istituzioni ed Enti di riferimento ai molteplici impegni dell’autrice:

A.M.A. Calabria
Associazione Manifestazioni Artistiche
Personalità giuridica di diritto privato. Ente accreditato dal Ministero Istruzione Università Ricerca per la Formazione del Personale della Scuola
e Regione Calabria per la Formazione Superiore e Continua
Via P. Celli, 23 – 88046 Lamezia Terme (CZ) Italia – Tel e Fax +39 -¬ 0968/24580
mail info@amacalabria.org
http: www.amacalabria.org
facebook: Ama Calabria

Parlare e Leggere in Pubblico e in Scena
Aprile 2017 Corso Nazionale di Formazione e Perfezionamento
Lamezia Terme Istituto Musicale Sebastiano Guzzi

Maggio 2017
corso di alta formazione in 30 ore condotto da Patrizia La Fonte

L'A.M.A. Calabria, ente accreditato quale soggetto qualificato per la formazione del personale della scuola, nell’ambito delle attività promosse dall’Istituto ‘S. Guzzi’ di Lamezia Terme (CZ), allo scopo di contribuire ad una sempre più qualificata formazione professionale dei docenti e di quanti aspirino ad esserlo, organizza il Corso Nazionale di Formazione e Perfezionamento (per complessive 30/40 ore di lezione), Corso accreditato ai sensi della direttiva n. 170/2016, cui possono partecipare cittadini italiani e stranieri tenuto da Patrizia La Fonte.

Il Corso avrà luogo a Lamezia Terme (CZ) presso la sede dell’Istituto Musicale Sebastiano Guzzi
sita in via P. Celli, n. 3 secondo calendario con inizio sabato 1 aprile fino a domenica 7 maggio
(da definire, per verifica in pubblico).

Il Corso, articolato in 10 incontri, prevede i seguenti moduli:
Il Corso base:
PARLARE E LEGGERE IN PUBBLICO
si pone l’obiettivo di formare i partecipanti nel parlare e leggere in pubblico con buona pronuncia e scioltezza nelle più diverse situazioni, senza affaticarsi e tenendo desta l’attenzione di chi ascolta, valorizzando le doti personali di comunicativa attraverso uno specifico training di gruppo e individuale.

Il Corso
PAROLA PER ATTORI
permette di integrare il corso base con un'ora di lezione dopo ogni incontro e si rivolge a quanti sono interessati alla recitazione e alla parola in ambito artistico.
Sarà pertanto possibile aggiungere al corso base anche l’iscrizione allo stage per uno studio specifico sul ‘parlare interpretando’ grazie al quale il testo scritto prende vita attraverso la voce e la tensione emotiva del corpo, sperimentando la narrazione e la recitazione per spazi e ambiti diversi (prosa, presentazione e commento di eventi o concerti, letture d’arte).

Nel corso sarà utilizzato il libro ‘Giusto per dire, guida poco teorica e molto pratica per l'italiano
Parlato’ di Patrizia La Fonte che si suggerisce di acquistare in anticipo on line.
Ciascun modulo sarà attivato al raggiungimento di n. 20 iscrizioni. È possibile iscriversi ad un solo
Modulo o ad entrambi. La direzione si riserva comunque il diritto di attivare il Corso o i singoli
moduli anche in previsione di numeri inferiori ai limiti stabiliti.

Le lezioni del corso base si svolgeranno il sabato (h 15.00 -18.00) e la domenica (h 10.00 -13.00 o
15.00 -18.00), con orario da definire anche in base alle esigenze degli iscritti.
Al termine del corso a tutti gli iscritti che avranno frequentato almeno i 2/3delle ore di lezione sarà
rilasciato un attestato quale partecipante ad un Corso autorizzato e riconosciuto dal M.I.U.R. Gli attestati verranno rilasciati al termine della manifestazione durante la serata conclusiva che avrà luogo presso il Teatro Umberto I del 7 giugno.
A coloro che non potranno presenziare sarà spedito al recapito di residenza indicato nella domanda previo versamento di una piccola quota per diritti di segreteria.

La domanda d'iscrizione può essere compilata su apposito modello predisposto dall'organizza
zione o potrà essere richiesta presso la segreteria dei corsi: A.M.A. CALABRIA via P. Celli, 23
- Lamezia Terme (CZ) Cap. 88046 tel e fax. 0968/24580, e-mail info@amacalabria.org o scaricat
a dal sito www.amacalabria.org
Ulteriori informazioni possono richieste a Vittoria Gargano
(assistente di Patrizia La Fonte)
Tel. 338 78 33 012 vittoriagargano91@gmail.com
La domanda, corredata dalla copia della carta d’identità, da un eventuale curriculum ericevuta
quota di partecipazione deve essere trasmessa ad info@amacalabria.org:
www.amacalabria.org o direttamente presso la Sede dell’Associazione.

*

Equinozio di Primavera - il rito della Pasqua 3

Pasqua di Resurrezione / 2
(ricerca etnologica e musicale nella tradizione italiana)

Dal ‘Codice Musicale Panciatichi 26’, folio 65 recto (Sec. XV) della Biblioteca Nazionale di Firenze. Su musica di Jacopo da Bologna, incluso nel ‘Instrumental-Variation’ del Codex Faenza Biblioteca Comunale Ms 117 (Sec. XV).

«O ciecho mondo di lusinghe
pieno
Mortal veleno in ciascun
tuo dilecto
Fallace pien d’inganni e
con sospetto
Però giàmai dite colui non
curi
Che’l frutto vuol gustar di
dolci fiori
Foll’è colui c’ha te diriga’l
freno
Quando a per men che
nulla quel ben perde
che sopra ogni altre amor
luç’è sta verde
Però … »

La scelta di ‘O ciecho mondo..’ non è casuale, la cui rilettura in tempi come quelli attuali, vuole riferire del ricorrere nella storia di momenti eguali ad altri di passata memoria che dovrebbero far riflettere sulla caducità dell’esistenza umana, sulla transitorietà della breve vita che ci accomuna tutti in un’unica ‘realtà’ possibile che non va sprecata. Troppe sono le contrarietà cui soccombiamo ogni giorno: violenza, fame, incidenti, mortalità infantile, stupri, diffamazioni, che stravolgono la troppa fragilità dei sentimenti per i quali stiamo al mondo come la pace, la fratellanza, l’amore. Quell’amore che si vuole un giorno ‘salverà il mondo’ ma del quale non si vede che qualche misera traccia subito cancellata dai turbinosi venti di guerra e dagli attentati terroristici che spazzano via la speranza, che non va mai taciuta, per un mondo migliore.
Da il ‘Primo Libro delle Laudi Spirituali a tre voci’ – Roma 1585

«Però … chi vuol seguir la guerra
per far del Ciel’acquisto
su levisi da terra
e venga à farsi cavallier di
Christo.
Tu dolce mio Signore
perch’io non fussi vinto
soffristi ogni dolore
e’in campo aperto rimanesti
estinto.
Et io per te ne foco
sopporto ne flagello
ma tempo un picciol gioco
de fanciulli che dican’vello
vello.
Or che grave cordoglio
lo scudo che gittai
hoggi ripigliar voglio
ripigliar voglio e non
lasciarlo mai.»

Da ‘Tutti li otto toni a falso bordone’ di Vincenzo Ruffo – Vineggia 1578

«Giorno orrendo ch’in faville
disfarà campagne e ville
scrive’l Re con le Sibille.
Alme che gran terrore
darà’l Giudice’n furore
giudicando con rigore.
Raccorrà l’orribile Tromba
tutti i morti d’ogni tomba
al Giudizio con gran romba.
Stupirà Morte e Natura
nel resurger Creatura
dall’antica sepoltura.
O tremenda Maestade
che l’uom salvi per bontade
salva me per tua pietade…
Tribunal di punizione
dona à me remissione
nanzi al dì, di far ragione.
Maddalena tu assolvestii
al Ladron pietate avesti
et à me speranza desti.
Condennate i maladetti
et al fuoco eterno strette
chiama me fra’ Benedetti.
Ch’io non sia all’eterno danno
condennat’in tanto affanno
quandoi morti surgeranno.
Et in quel giorno angoscioso
o Giesù giusto e pietoso
dona a lor pace e riposo.»

* Il ‘Codex Faenza’ è un codice musicale manoscritto del XV secolo contenente una della più antiche collezioni di musica per tastiera al mondo è attualmente conservato alla Biblioteca comunale di Faenza; contiene 52 intavolature a due voci. La maggior parte delle composizioni sono adattamenti di pezzi vocali italiani e francesi della fine del secolo XIV di compositori celebri come Francesco Landini, Guillaume de Machaut e Jacopo da Bologna, oltreché alcuni brani di anonimi. Di alcuni pezzi si è persa la parte vocale, resta quindi la sola parte per tastiera. La maggiore parte dei pezzi trattano temi profani, ma figurano anche tematiche religiose, come un adattamento della ‘Missa Cunctipontens genitor Deus’.

Il ‘Manoscritto Panciatichi 26’ della Biblioteca Nazionale di Firenze tra le testimonianze del Trecento musicale italiano giuntici maggiormente integri, noto da sempre e da subito riconosciuto come uno dei più antichi – come qui di seguito illustra lo studioso Stefano Campagnolo – si allarga progressivamente in senso retrospettivo a comprendere i principali autori toscani del XIV secolo, per concludersi con una collezione di cacce e madrigali canonici. Pur facendo fede a un ordinamento per generi e autori, ma non cronologico di quella che inizialmente sembra essere una collezione delle musiche di Landini. Più esattamente, si succedono, con studiata disposizione, dapprima le ballate di Landini a due voci (I e II fascicolo) e quelle a tre (III e IV), seguite da suoi madrigali e quelli di Giovanni da Cascia (V), con i quali si apre una sezione miscellanea dove troviamo mescolate insieme una lunga e omogenea sequenza di opere di Jacopo da Bologna e pezzi dei fiorentini Lorenzo Masini, Donato, Gherardello e ancora un madrigale di Landini. Inframmezzate anche da singoli componimenti di Ser Feo e Nicolò del Preposto; due composizioni anonime su testo francese e due su testo italiano e, inoltre, un fascicolo nel quale sono riuniti in maggioranza cacce e madrigali a canone; fascicolo che costituisce la più ricca selezione esistente del genere.

* «La letteratura delle laude contiene musica per una o più voci e i testi sono in lingua volgare. Le laude sono state cantate dal Duecento in poi, nelle riunioni dei cosidetti ìlaudesi’, i ‘Disciplinati di Gesù Cristo’. Queste vonfraternite furono fondate a Perugia da Ranieri Fasani nel 1258 ed erano formate da semplici artigiani, la struttura sociale dei laudesi assomigliava alle ‘gilde’ tedesche. Erano molto popolari nell’Italia del Quattrocento e Cinquecento. La sola Perugia, all’inizio del quindicesimo secolo, contava più di 40 laudesi. A Firenze, alla fine del ‘500, c’erano 137 confraternite. Nel Seicento e Settecento la tradizione dei laudesi continuò nella ‘Congregazione dell’Oratorio’ , fondata da Filippo Neri (!515-1595), nel corso della controriforma quale ordine di sacerdoti secolari.» - scrive Paul van Nevel nell’introduzione al libretto di “Die Italienische Lauda C.1400-1700”.

Al centro delle riunioni dei laudesi stavano la parola e la musica, i testi delle laudi, in lingua volgare figurativa decisamente suggestiva; queste trattano della morte, del giudizio universale, della fugacità della vita terrena ed altri temi. Oltre alle laudi su testi estratti dal Nuovo Testamento si trovano anche inni a Maria e canti processionali. La musica delle laude commuove con la sua semplicità ed è chiaramente strutturata nello stile sillabico e omofono, specialmente nel repertorio comprensivo dei secoli XV e XVI. Le laude d’appartenenza al Trecento invece sono composti nello stile del secolo, con ricche linee melismatiche che ne sottolineano la complessità. I laudesi usavano anche il cosidetto ‘travestimento spirituale’, nella cui composizione figurano canti popolari laici giocosi. Le prime raccolte di laude riferite tra il 1480 e il 1512, non presentano alcuna notazione. Su ogni laude infatti, è presente l’indicazione: ‘Cantarsi come..’ sull’aria di una più erudita lauda latina, o di una ben nota melodia; o anche, di una canzone-ballata in voga. Quelle raccolte, stranamente contengono accanto al testo semplice, reminescenze di arie oratoriane, marcate da una lirica spontanea e sincera che ha le sue radici nella colorita tradizione polifonica a più voci, più spesso desunta dall’accompagnamento strumentale popolare tipicamente italiano. Difatti alle riunioni dei laudesi facevano spesso la loro apparizione talcuni strumenti a corda e tamburelli, i quali, pur rappresentati sulle pagine miniate dei codici, in realtà erano proibiti negli ambienti ecclesiastici di allora.

Dopo l’avvio poetico-musicale al quale ho affidato questo inizio colloquiale, entriamo più addentro ai significati che la festa liturgica richiede di approfondire.
La Pasqua, ‘Pesach per gli Ebrei’, significa «passare oltre», istituita da Mosé in ricordo dell’Esoso che, per ordine diretto di Dio e con il suo aiuto, questi dovettero affrontare in quanto figli di Abramo per uscire dall’Egitto, a quei tempi terra di dolore e schiavitù. È una festa mobile collegata al plenilunio di primavera, che può cadere tanto in Marzo quanto in Aprile. Nel rispetto del calendario ebraico infatti la ‘Pesach’ ha inizio la sera del 14 Nissan, detto giorno di vigilia, e termina la sera del 22 Nissan; peridodo di otto giorni in cui gli ebrei celebrano la festa della liberazione dalla schiavitù, che, per estensione, oggigiorno festeggia ‘tutti gli uomini liberi’. In osservanza a questa tradizione, entrata successivamente anche nel nostro calendario cristiano con l’ausilio di un rituale antichissimo, la Pasqua ha assunto nel tempo, il significato strettamente cristiano di ‘resurrezione alla vita’, in ottemperanza a quella stessa che Christo ha riscattato per noi con la sua morte.

Per la ragione storica suddetta la nostra Pasqua non viene celebrata il sabato, giorno di vigilia, come invece accade per la Pesach, ma di domenica, essendo questo il giorno della Resurrezione. Più esattamente, la domenica che segue il plenilunio di primavera. Una radice molto antica quindi che lega la festa al tempo dell’attesa, anche detto ‘parusia’, o ‘tempo dell’evento’, quando i fedeli cristiani si radunavano anticipando l’arrivo del Pantocreatore, la cui ‘venuta’ avrebbe portato all’umanità tutta la speranza di una ‘pace’ condivisa. Il rito, all’origine della Messa che viene celebrata ancora oggi dall’intera comunità cristiana partecipe, richiama i fedeli attorno al celebrante, raccolti per festeggiare con canti di lode e inni di gioia questo accadimento, religioso. L’elevare canti e inni di gloria di fatto contrassegna quella ‘comunione estatica’, trascendentale cui la collettività intera si sottopone. Col passare dei secoli, tuttavia, al rito primario fondamentale della ‘parusia’, cioè dell’attesa rivelazione, si sono affiancati altri ‘momenti salienti’ di configurazione mistica in cui si ripercorrono le tappe, della narrazione evangelica, entrati poi nel così detto ‘Ufficio delle Ore’. Consistente nel canto di salmi, cantici e inni, con l'aggiunta di preghiere e letture dalle Sacre Scritture, quali, ad esempio, quelle per ‘l’ora terza’, in cui Gesù è condannato; ‘l’ora sesta’ della sua crocifissione; ‘l’ora nona’, quella della sua morte.

* L’introduzione della ‘Passio’ nel rito liturgico , raggiunge una prospettiva fortemente drammatica, la cui solennità al suo fulcro trova il vero cardine attorno al quale ruota l’intero rituale della Pasqua cristiana. Bisognerà però giungere almeno al XIII secolo, allorché con il fiorire della monodia profana, l’Italia conoscerà il fervore mistico della laude francescana; ed anche la possibilità di risalire all’origine della tradizione popolare della Sacra Rappresentazione, che solitamente si svolgeva sul sagrato delle chiese. Si deve al ‘Laudario di Cortona’ (dal titolo omonimo in Accord 1990), uno dei canti più appassionati della tradizione popolare:

‘Passione’ (Baccio di Juda)

«Plangiamo quel crudel basciare
Ke fe’ per noi Deo cruciare.
Venne Juda traditore,
bascio li died’ e gran dolore:
lo qual faciam noi per amore
a lui fo signo di penare.
Ad Anna principe menaro,
ignudo nato lo spoliaro,
battirlo forte et sì ‘l legaro
et ferlo tutto insanguinare.
Anna sì l’ebbe mandato
A Chayfasso prelato,
quelli k’el mandò a Pilato
per lui più vituper fare.
Pilato ad Erode el mandòe,
perké molto el domandòe,
cercò molto e nol trovòe
poi lo fe’ rapresentare.»

Il genere prevalentemente liturgico della lauda e del teatro dei laudesi si proponeva di inculcare nel volgo una più ampia conoscenza religiosa, in tutto il suo aspetto mistico e coreografico. Lo testimoniano le pareti affrescate delle chiese e gli innumerevoli testi successivi di riferimento della Settimana Santa con il suo riscontro fortemente drammatico delle ‘congregazioni dei flagellanti’, quei frati questuanti che durante tutta la Quaresima si trascinavano per le strade sferzandosi a sangue levando inni al Signore. Acciò il ‘Laudario di Cortona’ è dunque il primo documento noto in volgare italiano posto in musica, ‎la più antica collezione sopravvissuta di laudi conservata presso la Biblioteca ‎del Comune e dell'Accademia Etrusca di Cortona, Arezzo. Probabile libro di preghiera appartenuto a una confraternita laico-religiosa.

Ancora da ‘Laudario di Cortona’ leggiamo insieme ‘De la crudel morte de Cristo’:

«De la crudel morte de Cristo
ogn'hom pianga amaramente.‎
Quando Juderi Cristo pigliaro,
d'ogni parte lo circumdaro,
le sue mani strecto legaro,
como ladro villanamente.
A la colonna fu spoliato,
per tutto 'l corpo flagellato,
d'ogne parte fu 'nsanguinato,
como falso amaramente.‎
De la crudel morte de Cristo
ogn'hom pianga amaramente.‎
Tutti gridaro alta voce,
moia il falso moia il veloce,
sbrigatamente sia posto in croce,
che non turbi tutta la gente.
Nel suo volto li sputaro,
e la sua barba sì la pelaro,
facendo beffe li imputaro
che Dio s'è facto falsamente.‎
De la crudel morte de Cristo
ogn'hom pianga amaramente.‎

San Jovanni lo vangelisto,
quando guardava suo maiestro,
vedielo 'n croce molto era tristo,
et doloroso de la mente.
Mo l'era triste Santa Maria
quando suo figlio en croce vedea,
con gran dolore forte piangea,
dicendo: trista, lassa, dolente.‎

De la crudel morte de Cristo
ogn'hom pianga amaramente.‎»

L’Umbria francescana si pone dunque al centro di questo fervore mistico religioso portato dalla laude che dall’Italia raggiunse l’Europa tutta con le necessarie trascrizioni in volgare delle diverse lingue nazionali e regionali. Nel ripercorrere le tappe di questo itinerario flokloristico ci soffermiamo in Sicilia, dove la celebrazione della processione per il ‘Cristo morto’ del Venerdì Santo, assume toni liricamente espressivi. La stessa rappresentazione della ‘Crocefissione’, particolarmente sentita dalla popolazione, da sempre richiama un elevato numero di contendenti per interpretare le figure principali dell’azione drammatica, o come pure accade in alcune località, di partecipare ai cosiddetti ‘tableau vivants’, un tempo agìti da persone viventi e che oggi s’avvale di gruppi statuari di cartapesta e legno di ottima fattura.

La più antica forma di canto religioso è la ‘lamentanza’ o ‘ladata’, intonato in occasione della processione del Giovedì e Venerdì Santo a Palermo, ma solennemente celebrati in tutta la Sicilia. Solo poche comunità (particolarmente interessanti sono i lamenti eseguiti ad Aidone e a Piazza Armerina), conservano quasi intatto un canto tanto arcaico, la cui espressività risulta in stridente contrasto con il canto religioso e liturgico della chiesa ufficiale. La diversità stilistica delle lamentanze con i canti dei comuni fedeli si riflette in una distanza culturale che, a volte, si traduce in vero e proprio contrasto tra rappresentante della chiesa (il parroco) e quello della confraternita: il primo tende a limitare l’esecuzione di tali canti al di fuori della chiesa, la confraternita ribadisce la libertà di poterli eseguire nella propria parrocchia, mantenendo con cura una tradizione tramandata da tempi immemorabili. I cantori di ogni confraternita, tutte maschili, intonano i canti durante la visita ai sepolcri del Giovedì e la processione del Venerdì Santo:

«Bedda Matri Addulurata,
di sti spati trapassata,
ju vi pregu cù fervuri,
ora sempri in tutti l’uri.
Chistu cori tantu ingratu
Confissassi lu piccatu,
si pintissi di l’erruri
cù perfettu e gran duluri
Pi chisti Avi Recitati
a li vostri Setti Spati,
vui feriti l’arma mia,
Bedda Vergini Maria
St’arma vogliu consulata,
Bedda Matri Addulurata,
pi campari santamenti
e muriri poi cuntenti.
Ju lu speru stu favuri,
Gran Regina Di Duluri,
ca a la morti vi vidissi
e cuntentu vi dicissi:
Bedda Vergini Maria
riciviti l’arma mia
e poi, Matri Dulurusa
e lu cielu gluriusa,
cù Gesuzzu vi gudirà
in continua eternità.»

* Appartenente alla tradizione popolare è anche questo canto conosciuto in tutta le regione siciliana, probabilmente parte di una drammatizzazione; presente nell’album di Rosa Balistreri ‘Terra ca nun senti’ (Cetra 1973):
‘Lu Vènniri matinu’

«Vènniri Santu, vènniri matinu
quannu la Matri Santa
si misi ‘ncaminu
scuntrau na vicchiaredda pi la strata
ed era la Vironica chiamata.
Bona donna un omu
hatu scuntratu
nni lu visu è tuttu ‘nchiajatu
vistutu cu na vesta lavurata
beddu ca nuddu
cci po’ assumigliari.
Bona donna un omu
hajiu scuntratu
e nni lu visu è tuttu nchiajatu
la facci cu stu velu
cci haju asciucatu
e lu so visu m’arristò stampatu.
Giuda, Giuda tradituri
tradimentu a mia facisti
e pi trentatrì dinari
a me figgliu ti vinnisti.»

‘Il Venerdì mattina’
«Venerdì Santo, venerdì mattino / quando la Madre Santa / si mise in cammino /
incontrò una vecchietta per la strada / ed era la Veronica chiamata. / Buona donna un uomo avete incontrato / che ha il volto tutto piagato / vestito con una veste lavorata / tanto bello che nessuno / gli può somigliare. / Buona donna un uomo
ho incontrato / e il suo volto è tutto piagato / la faccia con questo velo / gli ho asciugato / e il suo viso mi è rimasto stampato. / Giuda, Giuda traditore / tradimento mi hai fatto/ e per trentatre denari / mio figlio ti sei venduto.
* In Sardegna questo tipo di processioni della Settimana Santa prevedono canti basati sulle letture del Vangelo, più spesso sono ‘Salmi’ inframezzati dalla narrazione degli eventi della ‘Passione’ in cui l’innesto polifonico popolare si avvale di moduli della liturgia gregoriana con innesti bizantini. Le rappresentazioni del ‘Calvario’ hanno particolarmente influenzato l’animo popolare che in più casi si è espresso con mescolanze poetiche in lingua sarda, inni e preghiere con spiccate tendenze formali e tuttavia espressive di una religiosità vissuta interiormente. Come in questo ‘canto’ che conosciamo nella esecuzione di Maria Carta nell’album ‘Nottes de incantu’ (Recording Arts 2005):

‘Non mi giamedas Maria‘
Testo di Mons. Bonaventura Licheri, 1760 circa, adattamento M. Carta, tratto da Su Settenariu pro da Chida Santa, esattamente da sa Terza Die. Versione di Ploaghe. Canto del Venerdì Santo: la voce solista intonava il canto e il resto della comunità rispondeva in coro, era il pianto della Madonna ai piedi della croce.

«No mi giamedas Maria»
[Mira, mira, mirade mira cantu dolore Mira, mira, mirade sas lagrimas ‘e sa mama ‘e Deus ma no la giamedas Maria no la giamedas Maria]
Sende mortu cun rigore su coro 'e s'anima mia no mi giamedas Maria ne de grazia piena ma de dolores e penas de turmentu e agonia [ca bido sa vida mia intregada a traitores]
No mi giamedas Maria si chi no Mama de dolore No mi giamedas Maria si chi no Mama de dolore.
No mi nedas beneitta intro 'e sas feminas ria s'intende s'anima mia triste dolente e afflitta cando l'happo dadu sa titta senz'haer tantu dolore.
No mi giamedas Maria si chi no Mama de dolore No mi giamedas Maria si chi no Mama de dolore

[Giamademi s'affligida giamademi s'attristada, sa de penas carrigada sa de ispadas ferida de Fizzu meu sa vida es dada a crocifissore.]
[Mira, mira, mirade Mira cantu dolore] »

«Non chiamatemi Maria
[Guarda, guarda, guardate guarda quanto dolore Guarda, guarda, guardate le lacrime della mamma di Dio ma non la chiamate Maria non la chiamate Maria.]
Essendo morto con patimento il cuore dell’anima mia non chiamatemi Maria né piena di Grazia ma di dolori e pene di tormenti e agonia [che vedo il mio amato figlio consegnato ai traditori].
Non chiamatemi Maria ma Madre di dolore Non chiamatemi Maria ma Madre di dolore.
Non ditemi benedetta che tra le donne infelici si trova l’anima mia triste dolente e afflitta poiché gli diedi il seno senza avere tanti dolori.
Non chiamatemi Maria ma Madre di dolore. Non chiamatemi Maria ma Madre di dolore.
[Chiamatemi l’afflitta, chiamatemi la sconsolata, colei carica di pene, ferita dalle spade, del mio Figlio la vita è data al crocifissore]
[Guarda, guarda, guardate guarda quanto dolore] »

* Il discorso sarebbe lungo poiché ogni nostra regione ha una sua Pasqua che vive e rappresenta a suo modo, così ho pensato di rimandare il prosieguo ad un altro momento, magari alla Pasqua dell’anno prossimo, Dio volendo. Ma dato che in qualche modo bisogna pur chiudere, ho pensato di riprendere dall’inizio con “Le grand Mystère de la Passion”, in chiusura del celebre manoscritto dei “Carmina Burana”, trascritto in latino frammisto a versi dialettali germanici, dai Benedettini del XIII secolo conservato a Monaco, che va annoverato come l’opera più completa di ‘Sacra Rappresentazione’ giunta fino a noi. Un crescendo musicale e corale che dal canto liturgico cristiano dei ‘salmi’ dei primordi, giunge alle ‘laudi’ medievali, e più tardi ingloba ‘florilegi’ e ‘recercari’ nella concertazione musicale rinascimentale che possiamo apprezzare nelle forme della ‘polifonia’ e del ‘melodramma’ a partire dal Settecento, fino a giungere a quel capolavoro Ottocentesco che ‘s'apre e si conclude’ con la ‘Messa da Requiem’.
* "Ex Deo nascimur In Christo morimur Per Spiritum Sanctum reviviscimus": nulla di più vero del contenuto di questa formula trinitaria inserita nel bellissimo album “Morimur” (ECM 2001) che The Hilliard Ensembre ha realizzato con il supporto di Christoph Poppen, virtuoso del violino barocco, nella ‘Partita d-Moll BWV 1004’ per violino solo e Chorale di Johann Sebastian Bach (1685-1750).

‘Crucifiggi’
(da "La stanza dei giochi impossibili" - 1980 / 2000) - raccolta inedita dell’autore di questa ricerca).

«A te
. . . che ancora uccidi
per trenta o poco più denari
. . . che ancora gridi
le verità nascoste che non sai
. . . che ancora sputi
la menzogna oscena dei bari
. . . riposa le spoglie tue mortali
oggi è un giorno di pace
. . . che Cristo risorgerà
per una Pasqua ancora
. . . se lo vorrai.»

All’occorrenza la seguente “Meditazione di Don Luciano” (cfr. dell’autore), afferente al Vangelo della Domenica, III di Quaresima, si offre al lettore nella ‘parabola del fico’ che, se da una parte manifesta la misericordia di Dio, che ha pazienza e lascia all’uomo, (a tutti noi indistintamente), un tempo per la conver-sione; dall’altra, avvverte la necessità di avviare subito un certo cambiamento inte-riore ed esteriore della vita, per non perdere le tante occasioni che la miseri-cordia di Dio ci offre per superare la nostra pigrizia spirituale e corri-spondere al suo amore con il nostro amore filiale:
«Convertirsi però è anche portare frutto, per altri. Come il fico, se vive solo per sé, non vive. Che per vivere deve dare, per la fame e la gioia di altri, un frutto che permetta ancora, ad altri, di gustare e amare la vita: Nessun uomo taglia subito un albero quando si accorge che è entrato in crisi, ma cerca di guarirlo con cura paziente, così da riportarlo nella pienezza della vita. Se tu, Signore, seguissi i nostri stessi impulsi, che ci portano ad eliminare gli operatori di iniquità, tutti e subito, il mondo sarebbe già rimasto un vuoto deserto. Tu sei l’eterno paziente e sai aspettare a lungo la conversione dei peccatori, e non hai fretta di condannare. Donaci, Signore, un cuore misericordioso, come il tuo, perché la storia dà sempre ragione non ai giustizieri impulsivi, ma ai pazienti: questi hanno imparato che perfino una pianta nata storta, con un po’ di tempo volge la sua cima verso il cielo. Amen.»

Un modo come un altro valido per ritrovare nel canto quella ‘poesia popolare’ che abbiamo ascoltata negli stessi lemmi più aulici delle partiture religiose fin qui indagate, per riscoprire che è comunque il canto liturgico a rappresentare quell’unico ufficio magistrale a cui fare riferimento nei giorni che intercorrono tra l’inizio e la fine dell Settimana Santa. Caratterizzata, se vogliamo, dalla speranza, che capace di creare bellezza nel cuore e nella mente degli esseri umani; nel tramandarsi di una tradizione millenaria, sublimata nella ‘parusia’, quell’attesa che ci vede tutti in ansia per gli ultimi drammatici accadimenti cui assistiamo nel mondo, nella speranza che infine il tutto si risolva al meglio … affinché Cristo risorga per un’altra Pasqua!

«Non c’è l’infinito senza la siepe, non c’è la siepe senza l’infinito.» (A. d’Avenia)

*

Maschere Rituali / 2

MASCHERE RITUALI / 2

Folkoncerto: Maschere Rituali.
(Ricerca filologica e musicale di Giorgio Mancinelli dal programma radiofonico RAI Radio3 del 1984).

“Africa! Africa!”

«Datemi delle anime nere
che siano nere o cioccolata bruna.
Datemi dei tamburi
diciamo tre o anche quattro e che siano neri.
Sudici e neri: di legno e pelle secca di pecora
e poi facciamoli rullare, rullare forte.
Brontolare per tutta la notte e il giorno, poi smorzati
e che vengano introdotte le ‘maschere rituali’.
Rullino i tamburi
e che risuonino sfrenatamente.
Aggiungete voci di donne e quelle basse
degli uomini e grida di bimbi.
Che vengano i danzatori neri dalle spalle ampie
che pestano il suolo coi piedi nudi, a ritmo.
E quando in cielo il sole è al tramonto
siano ammessi gli spettatori.
Possono essere bianchi e neri
che possano udire i nostri canti nativi.
E il rullo dei tamburi, e possano godere
Del nostro Paradiso africano.» (F. E. Kobina Parkers – Ghana)

Questo ‘canto’ raccolto in Ghana serve qui da introduzione alla tematica che qui si vuole approntare sulla scia della ‘magia’ e il ‘simbolismo’ delle ‘maschere rituali’ nell’Africa nera, qui ripresa ‘nella sua accezione di ciò che si rivela’ alla nostra coscienza razionale, per meglio comprendere la costante assimilazione delle ‘culture tradizionali’ che non è possibile apprendere se non vivendo in quella realtà, e che sempre di più sfugge alla concezione di noi moderni, in quanto la ‘vediamo’ non senza limitarne l’essenza, come “manifestazione della conoscenza dell’uomo attraverso l’uomo stesso.
In quanto unità di sviluppo e vibrazione, dissoluzione e recupero di una unità energetica che si rafforza costantemente sul suolo africano all’interno delle pur diverse culture esistenti sul territorio. Va qui ricordato che l’Africa è un continente immenso, potremmo dirlo sterminato dalla cui frattura geofisica e scomposizione in stati sono germinate tutte le coscienze e le conoscenze scientifiche, tutte le possibili culture e civiltà conosciute del Mediterraneo e non solo. Questa esperienza di trans-ferimento è stata possibile solo con la radicale mutazione dello strumento conoscitivo delle moderne scienze applicate come appare dalla nostra esperienza coscienziale storicamente riconosciuta, nel processo squisitamente educativo di rimozione delle false identità presenti (importate e divulgate) sul territorio.

Per comprendere appieno questa ‘esperienza conoscitiva’ va fatto riferimento a un concetto determinante legato alla società presa in considerazione, e che pone all’origine di tutto in primis i ‘riti di passaggio’ e la ‘marginalità’ dei generi di sussistenza, necessari alla sopravvivenza del gruppo etnico preso in considerazione.

«Io sono colui che conosce, conosce,
che il vento soffia, soffia,
che l’acqua scorre, scorre.
Qui l’albero dei capelli cresce, cresce,
Io sono colui che conosce, conosce.
Solo chi conosce le ‘maschere’ può entrare,
salvo chi non ha paura.»

(Leggenda raccolta fra gli Akamba, un gruppo etno-linguistico di ceppo bantu dell'Africa orientale, diffuso prevalentemente nelle regioni semi-aride della Provincia Orientale del Kenya e in parte in Tanzania.)

Acciò è necessario riflettere sull’idea stessa di ‘performance’ come pratica potenziale e fortemente critica del ‘reale’ e potenziale ‘non-luogo’ di margine e di passaggio da situazioni sociali e culturali definite. La riflessione di Victor Turner, considerato il perno della teorizzazione antropologica sociale, che ha dato una svolta rilevante rispetto alla metodologia strutturale-funzionalista esistente, sta nell’aver privilegiato la componente trasformativa a conflittuale dei processi sociali all’interno delle culture autoctone. Un concetto metodologico che ha come punto di partenza l’analisi teorica del social-drama:

«Infatti il ‘dramma sociale’ ha luogo quando nell’ambito del quotidiano di un gruppo etnico si crea una frattura nelle tradizionali norme del vivere, oppure quando in una società complessa (come appunto è quella africana in ogni suo aspetto geografico), si genera un punto di svolta rispetto alla consolidata struttura socioculturale pre-esistente e spesso consolidata da secoli di isolamento.questa riflessione critica avviene solitamente nell’ambito di ‘fasi di passaggio’ da una situazione culturale istituzionalizzata a nuove aggregazioni spontanee che possono originarsi nell’atto di tracciare i solchi del nuovo e del non familiare (tradizionalmente parlando) , all’interno del territorio della ‘liminalità socioculturale’.»

Il concetto di ‘limen’ (che significa ‘soglia’ o ‘margine’ ) venne traslato da V. Turner dal lavoro di Arnold Van Gennep che nel 1909 pubblicò il libro “I riti di passaggio”, quei riti che accompagnavano (e in certi casi accompagnano ancora oggi sebbene rivisitati) il mutamento dello status sociale di un individuo o di un gruppo di individui e rigardano le ‘fasi critiche’ della vita umana (come nel caso dell’entrata nella vita adulta da parte di un giovane di un clan) e che di solito comportano lunghi periodi di isolamento e di allontanamento dell’iniziando dalla vita comunitaria, confinandolo in una ‘zona liminare’. Per esempio in alcune tribù africane (ma anche australiane, e melanesiane) un ragazzo sottoposto all’iniziazione è costretto a vivere per un tempo limitato lontano dalle normali interazioni socio-tribali.

«Prendimi con garbo, con garbo!
Il prossimo anno
tu menzionerai l’uccello,
figlio della boscaglia!
Uccidimi con garbo, con garbo!
Il prossimo anno
tu menzionerai l’uccello,
figlio della boscaglia!
Cuocimi con garbo, con garbo!
Il prossimo anno
tu menzionerai l’uccello,
figlio della boscaglia!
Mangiami con garbo, con garbo!
Il prossimo anno
tu menzionerai l’uccello,
figlio della boscaglia!»

(Canto solitario raccolto fra i Kaguru della Tanzania)

I documenti più antichi lasciati da un umanoide preistorico come, ad esempio, le pitture rupestri, mostrano già scene di cacciatori mascherati con teste di animali; immagini queste che avallano la teoria del ricorrere a rappresentazioni di carattere ‘magico’ come la danza rituale e la maschera come trans-vestimento impiegato per influire sul buon esito di attività di sostentamento come la caccia, indispensabile al sostentamento del gruppo. Non in ultimo la ‘maschera’ era impiegata nell’osservanza di rituali sociali a carattere educativo, nell’igiene corporea, nel placare discordie e presiedere ai giudizi del capo-clan, così come nelle cerimonie religiose dedicate al culto dei morti, nei matrimoni e nei funerali, nelle cerimonie agricole o più semplicemente per mantenere l’ordine durante le feste del villaggio.

Si può ben dire che la molteplicità degli usi è all’origine della grande varietà di maschere che s’incontrano nei rituali africani e crea una certa progressione di valori e una scala d’importanza sostanziale diversa da popolo a popolo ma anche da tribù a tribù presenti in una specifica regione. È così che le cerimonie del Centrafrica ad esempio, presentano almeno due prerogative comuni: hanno tutte inizio con danze dal carattere magico-propiziatorio, per lo più scandite dal ritmo preponderante dei tamburi e delle percussioni in genere; e quella di vestire o portare in processione le maschere rituali.

Fra i Pigmei del Gabon, ad esempio, la cerimonia del culto Mbiri sta a significare la riesumazione della primaria ‘religione del mondo’; mentre quella Bwiti il passaggio riruale ‘nell’aldilà’, quale rappresentazione degli aspetti fondamentali della creazione e dell’annientamento, della nascita-mistica e della morte-mistica. sebbene entrambe si svolgano attorno a uno stesso albero ‘totem’ denominato Adzap, che funge da pilastro centrale della capanna tribale appositamente eretta per queso tipo di celebrazioni, e sul quale sono riportate incisioni zoomorfe e maschere stilizzate rappresentative di un simbolismo (sincretismo) che si rinnova in ogni occasione cerimoniale.

In alcuni casi specifici si fa ricorso all’uso dell’eboga, un’erba che conduce i neofiti all’eccitazione totemica, necessaria per esprimere in pieno la profonda riuscita del rito. L’eboga è una pianta allucinogena dalle spiccate qualità psicotrope che cresce nella foresta equatoriale, della quale i Pigmei fanno ampio uso e che ha il potere di accrescere la resistenza fisica, e che presa in dosi massiccie provoca frequenti visioni ed esternazioni muscolari, permettendo così agli iniziati di ‘viaggiare’ nella terra dei morti, per poi tornare fortificati e liberati dalle puare ancestrali e poter affrontare i lunghi periodi di lontananza e solitudine che li aspetta durante i periodi di caccia sugli altipiani della savana.

Ciò che avviene nella psiche del singolo individuo sottoposto a simili rituali ottiene lo stesso effetto precedentemente ottenuto dagli altri componenti la comunità tribale, e per questo il neofito è ritenuto idoneo a entrare a farne parte. Ecco che al dunque la ‘metamorfosi’ per l’effetto della droga è da questi sollecitata e avvalorata come una sorta di ipnosi collettiva alla presenza delle ‘maschere rituali’ che vengono esposte al riconoscimento e all’ubbidienza. Ma cosa s’intende per ‘maschera’ o ‘mascheramento’ all’interno dei riti africani è altra cosa che una semplicistica affermazione d’intenti conoscitivi. Solitamente quando si parla di ‘maschera’ s’intende un oggetto scolpito o modellato o intrecciato, a seconda del materiale di cui è costituito, e che viene portato sul volto o sul capo. In realtà in Africa è considerata ‘maschera’ l’insieme del travestimento di fibre vegetali o di stoffa che ricopre l’intero corpo e, persino gli accessori che il mascherato tiene nelle mani o con i quali adorna le proprie membra.

«O acqua, vieni orsù vieni orsù,
e fa’ cadere la pioggia, e fa’ cadere la pioggia.
Orsù, vieni pioggia a irrigare i semi.
Così cantò con gran gioia di Kweku Tsin
e subito cominciò a piovere e continuò finché
il terreno fu ben irrigato.
Allora i semi germogliarono
e le messi
cominciarono ad apparire.
Anansi ben presto venne a sapere
come crescevano bene
le messi di Tsin.

E subito pensò a quando
si sarebbe adornata
degli steli intrecciti delle messi dorate.
Orsù acqua, vieni e fa’ cadere la pioggia,
e fa’ cadere la pioggia
orsù, vieni pioggia a irrigare i semi di Tsin.»

(Da una leggenda raccolta fra gli Hausa, gruppo etnico di stirpe sudanese e di religione islamica sunnita stanziata in massima parte in Niger, ma presente anche nella Nigeria settentrionale e negli Stati limitrofi.)

Va qui precisato che non sempre la ‘maschera’ così detta è indossata, alcune volte è semplicemente mostrata agli iniziandi in occasione di riti; altre volte portata come pendente pettorale, oppure ridotta a piccole dimensioni, tenuta tra le vesti e conservata gelosamente tra i beni personali, in special modo quando prende la forma divinatoria ed è trasformata in amuleto, o rappresentativa di società segrete. Fra i Toma della Guinea, ad esempio, la creazione di una maschera ha raggiunnto nel tempo una sintesi altamente artistica che supera di gran lunga l’iconografia conosciuta dell’arte africana. È il caso della maschera detta Angbai, così detta ‘senza tempo’, alla quale si attribuisce la capacità di rievocare gli spiriti ancestrali della foresta.

Un’altra cerimonia singolare si teneva un tempo presso i Bàule della Repubblica Centrafricana in onore della maschera Glau personificazione del genio protettivo della ‘virilità’ degli uomini della tribù, composta da una grande testa per metà toro e metà fagocero (cinghiale africano), sormontata da un uccello e da una pantera. Glau, magnificamente vestito di fibre vegetali colorate, porta campanacci legati ai fianchi che fa risuonare ad ogni passo. Glau fa la sua apparizione durante la notte accompagnato da due servitori, uno dei quali suona una campana come accompagnamento alla danza sfrenata che dopo un inizio cadenzato e bruschi arresti, riprende ogni volta più freneticamente, stravolgendo la sua voce con urla disumane e terrificanti; mentre l’altro soffia in un corno detto ‘soro’, uno strumento tenuto nascosto dalla vista delle donne, il cui suono prevede l’uso di formule segrete, lodi in elogio della sua venuta, aforismi ermetici e allusioni alla sua virilità.

Molte, come si è detto, sono le maschere rintracciabili sul continente africano, probabilmente per il grado di primitività mantenuto dalle popolazioni tribali sul territorio nel corso dei millenni. Ciò è individuabile soprattutto in quelle aree geografiche dove l’arte manufatturiera (l’Arte tout-court) ha conosciuto una vera e propria evoluzione, e che si estendono dal Senegal al Malì, dall’Angola ad Oriente dei Grandi Laghi, limitata a Nord del Sahara e a Sud dal deserto del Kalahari. Altresì le rimanenti regioni, pur essendo abitate da gruppi etnici analoghi, non hanno sviluppato una produzione di maschere elevata al di sopra di una produzione artigiana:

“Un’arte questa – scrive ancora Mauro Monti – che prende avvio dall’interno ‘intimistico’ dell’individuo che la plasma, che risponde quindi a un’autentica ‘creazione’ artistica, non imitazione servile della natura che lo circonda. Un’arte che si esprime sì a credenze e cerimonie magico-religiose, ma altresì che fa uso della magia nel suo significato più alto, non venendo meno alla sua funzione di mediatrice tra le due componenti della creatività, cioè: la natura primigenia e il soprannaturale che la governa.”

«Madre, apri la porta-o,
io non sono come lo sciacallo-o,
che ha ucciso sua madre-o,
lui dalla lunga coda-o!»

(Canto raccolto fra la tribù dei Fipa – Pigmei un gruppo etnico diffuso in gran parte dell'Africa equatoriale.)

Quelle stesse maschere che legate a riti evocativi e di incantesimo o, al contrario in culti apotropaici o di esorcismo e scongiuro, sono strettamente legate ad alcune ‘danze’ dedicate a idoli ancestrali che spesso rappresentano figure antropomorfe o teste e volti di specifici animali come felini, elefanti, scimmie, uccelli relativi quasi esclusivamente ad animali che vivono nella foresta e nelle aree limitrofe a fiumi e laghi. Danze che vedono nella musica, o meglio nel ritmo d’accompagnamento, un elemento fondamentale capace di condurre il fluido nascosto che scorre nella natura in tutti gli esseri viventi che sono nel mondo, facendoli partecipi del costante atto creativo della germinazione insito nella natura.

«Maenga Nyambi batti l’acqua con la faraona,.
I dieci buoi sono tuoi.
Vi prego elefanti, tiratemi giù i calzoni dall’albero.
Io voglio provare il mio carico prima di trasportarlo.
Tu hai portato via mia figlia.
Io ti seguirò.
Io spegnerò questo fuoco e arriverò da te.
Io (adesso) sto tagliando l’albero.
Io sto lottando con le locuste.
Io sto lottando con il leone.
Sto zufolando con la tibia della vecchia Kakurukathi.
. . .
Allora Dikithi chiamò a raccolta tutti gli uomini
E disse loro che sì, potevano vivere insieme
Nel suo villaggio.»

(Canto per la danza in onore del grande Dikithi, raccolta fra i Bantu (o Bantù), di riferimento a un vasto gruppo etno-linguistico che comprende oltre 400 etnie dell'Africa subsahariana e distribuite dal Camerun all'Africa.)

La ‘danza rituale’ quindi come elemento ‘mobile’ indispensabile che regola e rende comprensibili i fatti ineluttabili della vita, sia individuale e sia all’interno del gruppo di appartenenza. Fatto questo che fa sembrare le maschere africane create per essere in continuo movimento, in quanto complemento necessario per la completa comprensione estetica delle maschere. Ne è un esempio la danza legata al culto di ‘Aura Pocu’ tipica dei Bàule della Costa d’Avorio benché presenti anche in Ghana, i quali conservano un’antica leggenda che viene regolarmente tramandata nella sua forma orale originale:

«Per una questione di successione i Bàule si scissero dagli Akan (oggi presenti solo in Ghana) e si spinsero verso la Costa d’Avorio, ma quando furono pressoché arrivati vennero fermati dallo spirito del fiume Comoé, il quale intimò loro di sacrificare un giovane della tribù. Fu così che la regina Aura Pocu decise di sacrificare suo figlio in nome del popolo che ella stessa guidava e lo spirito del fiume permise loro il passaggio e la loro salvezza. È così che la regina Aura Pocu assume presso il popolo dei Bàule una posizione predominante nella vita sociale e politica sviluppatasi attorno alla figura della donna/regina Aura Pocu che ha dato luogo al matriarcato che tutt’oggi distingue questa tribù. La cerimonia che l’accompagna inizia con una lunghissima processione all’aperto e si spinge attraverso le capanne del villaggio fino a raggiungere il tempio dedicato al culto. L’intero vestiario, dai colori delicati, usato per questo cerimoniale è parte integrante della ‘maschera’ indossata dalla regina Aura Pocu e dalle altre ‘regine’ che a lei sono succedute. L’utilizzo di ‘maschere facciali’ riproducenti visi femminili ovali e ben levigati, dipinte con cosmetici blu-azzurrini e rossi, sono piuttosto uniche per la loro bellezza decorativa. È questo un tipico esempio di come la ‘danza rituale’ sia strettamente legata al culto, che altro non è che la ripetizione e la trasposizione figurata della leggenda che verosimilmente ne conserva il mito. I festeggiamenti sontuosi si tengono ogni anno nel villaggio di Sakasso in Costa d’Avorio con grande partecipazione di danzatrici Bàule in costume e di turisti che giungono da ogni parte del paese per assistere alla ‘Danza delle maschere delle Regine’ di gran lunga piena di colori e musica.

Appartengono sempre alla Costa d’Avorio, il paese forse più ricco di maschere dall’aspetto demoniaco, le più originali e indubbiamente le più complesse da interpretare, appartenenti ad alcune ‘società segrete’ presenti in gran numero in questa parte dell’Africa. In particolare presso i Senufo, un gruppo etnico rilevante nella regione di Korhogo, troviamo una maschera zoomorfa denominata ‘sputafuoco’ costruita con parti in legno naturale (un tempo sicuramente colorata), che riunisce in modo assai fantastico l’elemento umano con elementi diversi presenti in natura e presi da animali diversi. Questa porta sulla fronte una piccola scultura, più spesso si tratta di un camaleonte grottesco, dal preciso significato simbolico, lì posta nell’intento di dare un’immagine mostruosa o, appunto demoniaca, da cui prende il nome il rito iniziatico. Ancora ai Senufo appartiene la maschera ‘Lò’ presente nelle riunioni della società tribale che raggruppa solo individui di sesso maschile ed èrappresentativa di due aspetti diversi di uno stesso volto umano, uno sovrastante l’altro, e che termina con due grandi corna. Il suo significato è racchiuso nel presentare l’antenato regale all’origine del tempo al quale il suddito iniziato è soggetto nel presente:

«Quando gli uomini comparvero per la prima volta sulla terra, il re Dada Segbo trasse fuori una conchiglia cauri, poiché era questa che usavano in quei giorni come moneta, e la diede al giovane Yo affinché trovasse una moglie per lui. Fu così che Yo si fermò presso il fiume a pescare e raccolse un certo numero di pesce. Quindi si rimise in cammino col suo fardello di pesce e si fermò a guardare alcuni pescatori che avevano con sé un piatto di fagioli e farina di cassava, chiamata ‘abla’. Yo si fermò e raccolse tutto quel cibo e ripartì. Quelli gli corsero dietro grindando: Yo, Yo, perché ti porti via la nostra morta?

Le cavallette venivano dalla paglia,
la cauri per la paglia veniva da Dada Segbo.
I fagioli venivano dalla vecchia,
la vecchia si prese le mie cavallette.
Il pesce veniva dai pescatori,
i pescatori presero i miei fagioli;
i fagioli venivano dalla vecchia,
la vecchia si prese le mie cavallette
le cavallette venivano dalla paglia,
la paglia veniva dalla cauri che mi diede Dada Segbo.
Le zappe e i falcetti venivano dai fabbri,
i fabbri presero il mio pesce;
il pesce veniva dal fiume,
i pescatori presero i miei fagioli;
i fagioli venivano dalla vecchia,
la vecchia prese le mie cavallette;
le cavallette venivano dalla apglia,
la paglia prese la mia cauri;
la cauri veniva da Dada Segbo.

Alla domanda Yo rispose: Come, non lo sapete?

L’abla veniva dai contadini,
i contadini presero le mie zappe;
le zappe venivano dai fabbri,
i fabbri mangiarono il mio pesce;
il pesce veniva dal fiume,
i pescatori presero i miei fagioli,
i fagioli venivano dalla vecchia,
la vecchia prese le mie cavallette;
le cavallette venivano dalla paglia,
la paglia veniva da una sola cauri;
e la cauri veniva da Dada Segbo.

Così egli se ne andò con la fanciulla morta. Quel giorno camminò dall’alba fino a notte. Si fermò dal re del paese lamentando che qualcuno aveva ucciso colei che era la moglie di Dada Segbo, e chiese al re di scambiare il corpo morto con una fanciulla bella comìera quella che si portava dietro. Così gli diedero un’altra fanciulla ed egli riprese il suo cammino in sua compagnia. Durante la traversata la fanciulla cominciò a cantare:

La fame vien da lontano,
la fame ha seguito la strada fin qui;
gli intestini vengono da lontano,
gli intestini hanno seguito la strada fin qui.
La fame vien da lontano,
la fame ha seguito la strada fin qui;
gli intestini vengono da lontano,
gli intestini hanno seguito la strada fin qui.

Ora, Dada Segbo mandò molti uomini incontro a Yo. Fece anche cuocere molti piatti di cibo, che i suoi uomini portarono con sé. La fanciulla e Yo ebbero molto da mangiare. Ma, quando arrivò il cibo, la fanciulla disse: ‘Inghiottiti in fretta.’ E, appena ebbe detto questo, il cibo sparì e Yo restò stupefatto. La cosa si ripetè più volte fin quando la fanciulla, dopo aver fatto sparire il cibo, cominciò a mangiare gli uomini. Appena vedeva avvicinarsi un uomo, gridava: ‘Inghiottiti in fretta’ e quello non si vedeva più. Allora portarono la fanciulla al cospetto del re Dada Segbo e tutta la gente del paese si riunì per vederla, e questa ripetè l’incantesimo e venne uccisa. Al che il re sentenziò che il povero Yo non essendo sposato non avrebbe mai potuto trovare una moglie per lui e lo perdonò. Morale della favola che per sposarsi occorre molto denaro per sfamare le ‘voglie’ di una moglie, mentre con una sola cauri (conchiglia), un uomo poteva sperare di procurarsi solo una strega.»

Proveniente invece dal Dahomei è la descrizione della cerimonia dell’offerta ai re Tossou ritenuti i capi spirituali e reincarnazione dei defunti re col rispettivo seguito di principi e dignitari di una etnia africana del Corno d'Africa . La cerimonia prettamente religiosa si ripete in tutti i venti templi dedicati a questo culto accompagnata da una formazione strumentale di tre tamburi orizzontali interamente ricavati nel legno battuti con una bacchetta da un lato e con la mano dall’altro. Seguono le donne agghindate che danzano al clangore metallico di sonagli di latta cui fa seguito una schiera di bambini che percuotono piccole campanelle. La cerimonia ha inizio con una lunghissima processione all’aperto che attraversa le stade del villaggio. Le ragazze prescelte per incarnare le defunte ‘principesse’ indossano altrettanti abiti multicolori e numerosi gioielli di fine fattura ricche di madreperle e conchiglie colorate che, al comando del ‘cerimoniere’ riparato dal sole sotto un tipico ombrello da processione suona una speciale campanella dal suono vivace che serve da richiamo per tutti i giovani della tribù. Interessante sono i cori femminili che si alternano alla voce intercalante del cerimoniere nel modo ‘a responsorio’. E mentre tutti si uniscono nel canto s’invoca la divinità del ‘vento’ portatore degli spiriti ancestrali impersonificati da uno sciamano che danza davanti alla processione fino a raggiungere l’albero sacro (generalmente un baobab). È in questo momento cruciale in cui vengono mostrate le maschere rituali che raffigurano i re Tohossou del passato, davanti ai/alle quali, si svolge il sacrificio di un toro che servirà al banchetto conclusivo.

Come detto in precedenza, tutte queste maschere, essendo costruite con materiali presi dalla natura, prendono la loro forza dalla natura stessa degli elementi, pertanto sono concepite in funzione degli elementi e ad essi soggette, come appunto suggerisce la musica d’accompagnamento alla loro esposizione e alla danza che ne permette la ‘vivacità’ di movimenti, il ritmo costante della natura che si rigenera, dali tronchi degli alberi al vento che fa suonare le foglie, all’acqua che scorre come al frantumarsi delle zolle aride della terra, al crepitare delle pietre ecc.. Si tratta soprattutto della ripetizione di ‘vibrazioni ritmiche’ su cui si basa tutta, o quasi, la musica africana propriamente detta.

Musica che trova qui la sua pratica essenziale nell’uso delle percussioni, di gran lunga ritenute sacre poiché degne del culto cui sono di riferimento. Un ruolo piuttosto sclusivo è detenuto ad esempio dal ‘tam-tam’ il grosso tamburo ricavato dal tronco di un albero che cresce nella Savana, solitamente scolpito in forma di ‘maschera’ e corpo di animale artisticamente dipinto e ornato a sembianza della ‘divinità’ che in esso è raffigurata. La cui ‘voce’ nascosta che risuona a volte cupa nella notte ‘come un richiamo’ sprigiona una tale forza evocativa che ha del misterioso, in quanto in esso si vuole risieda la forma tangibile della divinità. Tant’è che in passato governatori e missionari arrivarono a proibirne l’uso perché tale era la sua potenza emozionale che si riteneva accrescesse la forza fisica e lo scaturire di passioni anche violente, al pari di una potente dose di droga. In passato si ritieneva che il ‘tam-tam’ avesse la prerogativa della parola nascosta nella cadenza e nella maniera della percussione, che solo l’iniziato a una determinata società segreta riusciva a interpretare il ‘messaggio’ occulto che si voleva trasmettere ad altre realtà tribali molto spesso lontanissime tra loro.

* nota: i virgolettati sono tratti da “Leggende della Madre Africa” a cura di Roger D. Abrahams – Arcana Editore 1987; tranne la canzone iniziale di F. E. Kobina Parkers – Ghana è tratta dal disco di Ekambi Brillant “Africa, Africa” – per l’etichetta Fiesta.


(continua)


*

Maschere Rituali / 1

MASCHERE RITUALI / 1

“O terribile, o indifferente!
La tua musica,
voce senza suono,
è fluire privo di meta:
ascolti nel tuo essere il richiamo
d’una infinita distanza.
O danzatore, o divinità,
o bello invisibile,
la Tua danza gentile, sempre a tempo
ha purificato la vita dell’Universo
in un bagno di morte.
Nessuno lo sa, ma nel tuo sangue
danzano le onde dell’Oceano,
palpita l’ansietà della foresta.
Nella tua mente fioriscono
sublimi visioni:
sono venuto avanti di secolo in secolo
di caduta in caduta, in silenzio
da forma a forma
una vita dopo l’altra:
dalle tenebre abissali,
alla luce senza confini.” (‘Moto’ di R. Tagore)

Non ho trovato di meglio dell’eccelso Tagore per introdurre questo studio dei ‘moti’ che caratterizzano l’iconografia popolare all’interno dei cicli storici umani e nella loro funzione di ‘dottrine tradizionali’. In quanto ‘darsana’ (dal sanscrito ‘vedere’), cioè quei simboli che riassumono numerosi significati della grande Tradizione Universale, qui ripresa nella sua accezione di ‘ciò che si rivela’, la Tradizione può essere concettualmente ‘vista’, non senza limitarne l’essenza, come “manifestazione della conoscenza dell’uomo attraverso l’uomo stesso”. Cioè, nella sua totale adesione alla coscienza umana costituita che la rende comprensibile e quindi comunicabile attraverso la realizzazione di simboli che sono di per sé strumenti di linguaggio comunicativo che oltrepassa il tempo e lo spazio, e che quindi attraversa le coscienze e le generazioni.

“La conoscenza tradizionale però – scrive Mauro Minervini dalle pagine di ‘Storia del Simbolo’ (Accademia 1969) – è paragonabile a un organismo vivente: di questo, infatti, è possibile la descrizione strutturale che consente la sua espressione vitale, ed eventualmente, la sua modificazione e riproduzione. (..) Nasce così, la necessità di un linguaggio (altro) che consenta il ‘trasferimento’ di questo ‘corpo simbiotico’ all’interno della forma del ‘comunicare’, cioè di ‘oggettivare’ una sorta di consapevolezza che non sia solo strumento operativo, ma che renda visibile il nucleo di una presa di coscienza, la ‘consapevolezza’.che la conoscenza assoluta di per sé, non è sapere, bensì dimensione di evoluzione e sperimentazione.”

«L’uomo è meno se stesso quando parla in prima persona. Dategli una maschera, e vi dirà la verità.» (Oscar Wilde)

Tutti o quasi, abbiamo speirmentato oggigiorno quanto sia relativamente aumentato l’interesse nel viaggiare a testimonianza di un sempre maggiore interesse di conoscenza delle civiltà diverse dalla nostra e, in particolare, di ciò che ancora sopravvive di molte civiltà più antiche che giorno dopo giorno vanno scomparendo. Molti sono i segni dell’attualità di questi interessi soprattutto fra i più giovani che in qualche modo impreziosiscono l’apparente curiosità culturale, che va dalla storiografia dei popoli, alla filosofia orientale, alle religioni delle origini, fino alle lingue scomparse ecc.; non di meno all’attenzione per le scoperte archeologiche, la ricerca della musica e degli strumenti del passato, delle usanze e dei costumi dei gruppi etnici ‘primitivi’ dediti alla pastorizia e al nomadismo.

Sempre più numerosi sono infatti gli studi relativi alla etnomusicologia, legata come si sa ai riti e alle tradizioni arcaiche di quei popoli tanto diversi da noi europei, soprattutto nell’uso apotropaico della voce e della musica legata ai ‘riti di passaggio’, al travestimento rituale, all’uso delle maschere, alla cosmesi utilizzata nella body-art e nel tatuaggio. Una ricerca-studio quest’ultimo che si è rivelato vivo e affascinante e che è divenuto di grande attualità. Direi che oggi l’interesse è maggioritario, essendosi definitivamente sdoganato dai lacci del passato, ancor più uscendo fuori dalla ristretta cerchia degli studiosi, e permettendo infine di far conoscere a un più vasto pubblico di cultori, tutto quello che la ricerca antropologica e quella etnologica, avevano fin qui trascurato.

«Nascondi chi sono, e aiutami a trovare la maschera più adatta alle mie intenzioni.( W.Shakespeare ‘Macbeth’: atto III, scena II)

Una ricerca di più ampia comunicazione culturale, quindi, che ci permette oggi di comprendere, il ‘modo’ di essere e di esprimersi di quei popoli erroneamente ritenuti ‘primitivi’ – in particolare riferito a quei popoli di cultura orale – che non hanno lasciato scritti o manufatti che solo relativamente a pochissimi oggetti sono giunti fino a noi. È evidente , poiché ogni forma espressiva è sempre stata in diretto rapporto con la vita sociale, in ogni tempo e paese, che questa ricerca vuole porre all’attenzione solo alcuni aspetti di alcune società più arcaiche, nel rispetto delle rispettive culture a cui si è chiamati a partecipare.

È proprio nella prospettiva di un linguaggio accomunante che questa ricerca assume una più ampia dimensione, uscendo allo scoperto di un programma precostituito per diventare essa stessa sollecitazione, riflessione e stimolazione di una maggiore conoscenza, che va dalla poesia alla musica, dalla pittura alla decorazione, all’abbigliamento e alla cura e agli ornamenti del volto (mascheramento) e del corpo (tattoo). All’aprirsi degli spazi convenzionali della musica come ricordo e percezione, il linguaggio come forma di comunicazione, il ‘messaggio’ come veicolo di scambio e di comprensione.

“Va con se che non esiste modulo comunicativo che descrivendo la vita dia la vita –scrive ancora Mauro Minervini nella sua opera citata – perché comunicare è propriamente oggettivare, quindi separare, dividere, porre un elemento di osservazione alla coscienza che è quindi strumento-funzione diversa dall’osservare/applicare con metodologia, ogni epistemologia, ogni ermeneutica. (..) È assolutamente indispensabile che ciò sia stato sperimentato dal passaggio ‘iniziatico’ a stadi progressivamente evolutivi attraverso il mondo dell’io e possiede la certezza che si tratta di un processo squisitamente educativo, di rimozione delle false identità e di emergenza rigeneratrice. In termini tradizionali, solo chi hsa sperimentato la ‘rinascita’ può ‘socraticamente’ operare l’atto rigenerativo”.

Lo studio della ‘maschera’ e della sua diversa utilizzazione porta inevitabilmente a una analisi della personalità dell’individuo e dei problemi atavici che si porta dietro in ogni sua manifestazione sia rituale, che teatrale ecc. . Quegli stessi problemi che Ernesto De Martino – nel suo ‘Il Mondo Magico’ – definisce “ancestrali incertezze” che danno luogo al dramma della ‘crisi della presenza’, riconducibile all’Età Magica. Un’Età in cui l’uomo subì il rischio di essere annuillato dalle forze naturali, in quanto incommensurabili e incontrollabili. Quello stewsso dramma che si presenta ricco di stimoli e di tensioni soprattutto nelle espressioni pittografiche e scultoree che dal passato sono rappresentate in costante evoluzione, tali da poter essere equiparate “.. in termini tradizionali” a forme di ‘rinascita’ in cui operare “l’atto rigenerativo”.

Il tema dell’uso della ‘maschera’ è di fatto uno dei più interessanti nello studio dell’antropologia culturale anche se, nella civiltà moderna ha perduto molto del suo significato originario. Rispetto all'antropologia culturale l'etnologia ha tradizionalmente fatto un maggior utilizzo della comparazione tra le diverse culture delle popolazioni attualmente esistenti nel mondo. Per quanto, come rileva Franco Monti (…..): “Come travestimento psicologico la maschera è sempre attuale e i suoi molteplici usi investono ogni attività dell’uomo di ogni epoca, dalla nascita alla morte.”

«Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.» (L.Pirandello, ‘Uno, nessuno centomila’)

Nella sua identificazione con le forze universali, siano esse divine o demoniache, la maschera rende più incerti i confini che separano l’essere umano dalla natura o dall’animale che rappresenta, così come dallo spirito che si trova a perpetuare e che la rende simile alla divinità. Nell’ordine iconografico individuale che la distingue la ‘maschera’ non descrive figurativamente l’essere che la teme, che combatte o che muore, bensì è essa stessa il ‘timore’, la ‘guerra’, la ‘morte’ senza trasgredire, o almeno non necessariamente, il soprannaturale di chi la indossa.

Il suo compito peculiare è di rappresentare l’essere mitico: eroi o antenati tribali, spiriti del male o spiriti protettori, o anche la divinità, pertanto chi ha la facoltà di costuirla oggettivamente o la disegna sulla sabbia, o chi la raffigura plasmandola nell’argilla o nel legno ecc. al pari di chi la indossa, subisce un’alterazione della personalità che lo esalta nella sua funzione: una presa di coscienza alterata che scaturisce nella determinante affermazione: “io non sono più io, sono un altro”, comunque “diverso da ciò che in realtà io sono”.

Per quanto portatore o attore, colui che fabbrica la maschera, o più semplicemente la indossi, pur essendo cosciente di non incarnare ciò che appare alla vista altrui, tuttavia rientra nella sfera del sacro e se ne sente responsabilmente partecipe, subisce cioè una metamorfosi interiore che ha del soprannaturale. In qualità di intermediario tra l’essere umano e la divinità superiore (o anche la sola diversità) che rappresenta, questi parla una lingua complessa, spesso simbolica, di cui solo gli ‘iniziati’ riescono a comprendere il messaggio che nella sua funzione ‘altra’ essa trasmette. La sua appartenenza rientra in una diversa sfera di percezione che lo mette in contatto con le forze misteriose che regolano l’universo ancestrale, primigenio.

Ne è un esempio la credenza raccolta fra i Papua delle Isole Kiwai (K-Way) in Nuova Guinea dove: “..i fanciulli e le donne in giovane età credono fermamente che gli attori mascherati per l’occasione del culto dei defunti, siano realmente gli spiriti dei defunti. Gli anziani della tribù fanno tutto il possibile per raffozzarli in questa credenza raccontando loro anche menzogne travestite da narrazioni di leggende e fiabe. Resta però il fatto che gli stessi anziani prendono molto sul serio quello che a prima vista sembrerebbe un gioco infantile, affermano che gli attori non sono gli spiriti dei defunti, sebbene i loro spiriti siano presenti alla cerimonia.”

All’origine di qualsiasi mascheramento sta dunque la determinata necessità per l’essere umano il sentirsi partecipe delle forze soprannaturali che animano il mondo e di poter collaborare, in qualche modo, con esse; sfruttarle e sublimare così le proprie facoltà istintive in grado di stimolare e/o sollecitare funzioni necessarie alla sua sopravvivenza, cioè mitigare e/o superare proprio quelle paure profonde implicite della sua presa di coscienza. Va anche detto che la ‘maschera’ implica un alto livello di autosuggestione che permette, a chi la indossa, di esternare una qualche virtù segreta in grado di trasmettere agli iniziati di un intero gruppo etnico, il particolare messaggio che essa ‘simbolicamente’ custodisce.

Si spiega così il perché le maschere abbiano tutte un’espressione e un aspetto diverso per ogni occasione rituale. Addirittura alcuni popoli hanno improntato la loro vita sociale e politica su rituali magici che regolano la propria esistenza, rappresentati spesso da una o più maschere presenti nella propria cultura. Molte delle quali, utilizzate da quei popoli allo stato di natura, raramente hanno solo funzioni decorative; più spesso sono legate a rituali che accompagnano le diverse manifestazioni sociali relegate al culto degli antenati, alla diffusione della propria esistenza di gruppo, ad avvenimenti particolari, ed accompagnati da musica e danze, o anche, ma più raramente da canti.

Ne sono alcuni esempi rituali ‘eclatanti’ spesso inaccessibili per la coercizione che esercitano sugli individui che vi prendono parte, con effetto di autosuggestione talvolta violenta, come il Voudou haitiano e la Macumba brasiliana ed altri di tipo impositivo che tuttora avvngono in alcune parti dell’Africa con effetti devastanti sulla psiche degli individui. È soprattutto nei riti di iniziazione che l’autosuggestione occupa una posizione predominante, codificata in una iconografia che vede nella ‘maschera’ e negli ‘strumenti magici’, come anche nel particolare utilizzo di trucchi cosmetici e totem fatti oggetto di sottomissione, con riti sacrificali e danze devozionali che rendono l’insieme coreografico una stupenda e spesso orrenda atmosfera soprannaturale.

Data l’essenza ’magica’ del rito anche il travestimento in ‘maschera’ richiede di dover osservare alcune regole precise e atti rituali inderogabili, per lo più, autorizzati dai capi riconosciuti della tribù di appartenenza e dagli stregoni che solitamente presiedono all’investitura dei neofiti, e sopraintendono a ogni rituale in cui la maschera faccia la sua apparizione. Ogni maschera, quindi, instaura un rapporto preciso con l’uso al quale è destinata e va osservata sul piano socio-culturale epsicologico ancor prima che di travestimento a scopo d’intrattenimento festivaliero.

Rileva Giovanni Vignola nel suo “Riti magici di ieri e di oggi”: “Quando lo stregone o gli officianti di un qualunque rito magico si accingono all’esecuzione del rito stesso, si presentano sempre dipinti o mascherati. Il fenomeno è altresì verificabile presso tutte le cerimonie reliose a qualunque rito o credenza esse appartengano. Se l’officiante , il sacerdote, lo sciamano, il bonzo, il muezzin o il pastore (cristiano), non avessero uno o più segni distintivi che li rendono diversi dagli altri e che li fanno idonei alla funzione che sono chiamati a svolgere; cioè che li autorizzano e li abilitano a farsi intermediari fra due mondi diversi, la cerimonia (il rito, la funzione ecc.) non soltanto cadrebbe nel ridicolo ma perderebbe la sua intrinseca efficacia.”

Astraendoci da una precisa locazione geografica, la ‘maschera compare nella storia del genere umano fin da epoche remote, messa in diretto rapporto tra l’esigenza magico-religiosa e il vivere quotidiano in quella che possiamo definire una ricerca di evasione propria delle diverse esperienze esistenziali dei gruppi, e comunque nell’identificazione con le forze della natura e nei connubi uomo-animale e uomo-divinità, offrendo loro l’opportunità del riconoscimento e/o del completamento dello spirito che in essa è contenuta. In effetti la prima impressione che una ‘maschera’ suggerisce è che dietro e/o dentro di essa non si nasconda un essere umano come tutti gli altri, provvisto di naso, di occhi, di bocca ecc. ma una creatura quantomeno ‘diversa’, fantastica o mostruosamente suggestiva ma anche, in quanto immagine di estrema ‘bellezza’ artistica che ci riempie di curiosità ma anche di timore.

Scrive Paolo Rovesti nel suo voluminoso studio sulla “Cosmesi dei popoli primitivi” e sui “Cosmetici perduti” in cui si apprende come, sul filo di tradizioni ancestrali: “Ogni popolazione nelle diverse parti del mondo, ha sempre sentito un insopprimibile bisogno di bellezza considerando il proprio corpo quale supporto di costante creazione artistica, come appunto accade nell’odierna riscoperta della cosmesi come la body-art e il tatuaggio spesso conformi all’uso della maschera che, a sua detta, devono tener conto della ricerca etnologica se non vuole perdere il senso del suo valore estetico.”

L’osservazione trova conferma anche nel Vignola (op.cit.) che dice: “Si può studiare il tipo di civiltà o un periodo della civiltà stessa attraverso la produzione e l’uso delle maschere, come si fa per la produzione di utensili, vasi, pitture, incisioni ecc.; poiché questo studio ci mette a contatto diretto con la vera, l’intima immagine del mondo.” A questo proposito è sufficiente accennare al passaggio della ‘maschera’ di tipo apotropaico o sacro-rituale di ieri, alla maschera tragica e/o comica del teatro antico, a quella carnevalesca, caricaturale ecanzonatoria di oggi, per comprendere che c’è stata una dissacrazione del soggetto, un certo dissolvimento del significato originario che la ‘maschera’ rappresentava.

Col passare dei secoli si è persa molta della ritualità che la sosteneva ad esempio nei culti mortuari di alcune religioni in cui la ‘maschera’ era legata a quel mondo estremo e sotterraneo degli spiriti, e più alto in quello del soprannaturale, la cui funzione principale era quella di creare una sorta di ‘contatto’ con l’al di là. Infatti, nel suo significato arcaico, la ‘maschera’ rappresentava di solito un antenato o un eroe, il totem tribale o lo spirito delle entità naturali come la Terra, la Pioggia, il Sole ecc. che, nel caso della ‘morte’ assumeva una necessaria ‘trasformazione unificatrice’ tra l’individuo manifestante e lo spirito del defunto. Una sintesi dell’invisibile che si trasfondeva nel visibile oggettivo, come, ad esempio, avveniva in Quetzalcoatl degli Aztechi o in Amon-Ra il sole degli Egizi, realizzazione di una delle più grandi aspirazioni umane di avvicinarsi alla divinità.

F. Otto in (…) rileva come “..l’uomo che porta ritualmente la maschera subisce l’impressione della grandezza e della dignità di coloro che non esistono più. Egli è se stesso ma allo stesso tempo è altro. L’ha sfiorato la follia, qualcosa del dio furente, qualcosa di quello spirito dell’esistenza doppia che vive nella maschera. È lo spirito del divino morto che ritorna, ma non come larva, come ombra, come spettro, come potenza.” E che il morto entri come tale nel regno ‘vivente’ del divino lo confermano le tombe preistoriche dove sono stati trovati scheletri dipinti con ocra rossa che è poi il colore riconosciuto delle divinità in quasi tutte le religioni, come anche di quella cristiana.

A conferma di ciò se ne trovano notizie presso le popolazioni più antiche egizie e greche, etrusche e romane dell’Italia arcaica, parallelamente a quelle orientali cinesi e giapponesi che spesso hanno fatto uso della ‘maschera funeraria’ in occasioni rituali e religiose, allo scopo precipuo di essere guidati nell’al di là mantenendo intatta la visibilità dei propri lineamenti e la ‘bellezza’ che li distingueva durante il primo fatidico incontro con la divinità che l’accoglieva fra le proprie braccia e nelle solitudini dei paradisi celesti:

“Poche cose nella vita hanno un carattere di eternità quanto la bellezza con la sua perenne armonia” – scriveva a sua volta un saggio confuciano, constatando con ciò che l’esigenza estetica nasce come istinto cosciente verso l’armonia, di dare un aspetto e una forma migliore alle cose, di disporle a proprio gusto e piacimento nella ricerca di quel mondo che già vive dentro di sé e nella propria natura di essere.”

«La nostra paura più profonda
non è di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda,
è di essere potenti oltre ogni limite.
E’ la nostra luce, non la nostra ombra,
a spaventarci di più.
Ci domandiamo: ” Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso? ”
In realtà chi sei tu per NON esserlo?
Siamo figli di Dio.
Il nostro giocare in piccolo,
non serve al mondo.
Non c’è nulla di illuminato
nello sminuire se stessi cosicchè gli altri
non si sentano insicuri intorno a noi.
Siamo tutti nati per risplendere,
come fanno i bambini.
Siamo nati per rendere manifesta
la gloria di Dio che è dentro di noi.
Non solo in alcuni di noi:
è in ognuno di noi.
E quando permettiamo alla nostra luce
di risplendere, inconsapevolmente diamo
agli altri la possibilità di fare lo stesso.
E quando ci liberiamo dalle nostre paure,
la nostra presenza
automaticamente libera gli altri.» (Nelson Mandela)

(Continua)

*

Totò … virgola, punto e virgola, anzi no punto

Totò … virgola, punto e virgola, anzi no punto.
Poesie e canzoni del ‘principe della risata’ Antonio De Curtis a cinquanta anni dalla sua scomparsa, anzi no ai cinquant’anni passati insieme a noi.

Napoli celebra Totò con una mostra dal titolo ‘Totò genio’ che avrà luogo nella città partenopea dal 12 aprile al 9 luglio - Informa Fabiana Carcatella dalle pagine di ‘Vieni a Napoli’ il nuovo portale sulla città: vienianapoli@gmail.com.
«Sono passati 50 anni dalla sua scomparsa, ma il ricordo di Totò, il principe Antonio de Curtis, è ancora vivo nella mente di tutti. Napoli celebra la carriera di questo personaggio, e la sua genialità, con una mostra, per l’appunto. Presentata lo scorso 20 febbraio e curata da Vincenzo Mollica e Alessandro Nicosia, l’esposizione sarà allestita in alcuni dei luoghi più importanti della città, dal Maschio Angioino, a Palazzo Reale fino a San Domenico Maggiore. Un’occasione da non perdere, che consente di andare oltre il Totò personaggio ed entrare in contatto con il Totò persona. Oltre ai 97 manifesti dei film che lo hanno visto protagonista, infatti, sarà possibile ammirare anche il famoso baule dal quale il principe de Curtis non si separava mai, nonché 50 contribuiti foto e video inediti. Napoli costituisce solo la prima tappa di un’iniziativa destinata a durare. La mostra, che è stata possibile grazie alla collaborazione dell'associazione "Antonio de Curtis, in arte Totò", rappresentata oggi da Elena Articoli, figlia di Liliana de Curtis, approderà anche all’estero. Sono già stati presi contatti con l’Argentina.»

«Ognuno ha la faccia che ha, ma qualche volta si esagera.»

Sia nei disegni di Federico Fellini, Garretto, Onorato, Staino, Pazienza; sia nelle tavole di Crepax, Manara, Pratt, Galleppini, Pasolini e nelle numerose locandine anonime dei suoi innumerevoli film, l’immagine di Totò è imprescindibile dalla sua ‘maschera’ facciale o, se preferite dalla sua ‘caricaturale avvenenza’ di signore distinto, sia che vestisse i panni dell’uomo qualunque, sia che indossasse il costume di scena. Come lui stesso direbbe di sé … signore a prescindere.

«Signori si nasce, e io modestamente lo nacqui.»

Il ricordo personale che ho di lui è lontanissimo nel tempo, attorno agli anni ’50 in cui era in voga la ‘rivista’ all’italiana, allorché i miei genitori amanti di quel genere di spettacoli, per non lasciarmi solo in casa mi portavano ovunque, a volte ‘in braccio’ come si è in uso dire. Totò appunto recitava ‘A prescindere’ che prendeva il nome da un suo modo di dire, andata in scena al Teatro Sistina di Roma alla fine del ’56, il cui successo fu così strepitoso che venne replicato in molte altre città italiane.
Un altro ricordo che mi sovviene è l’aver accompagnato mio padre nella casa romana del Principe per sopravvedere un lavoro di ristrutturazione; in quell’occasione Totò venne ad aprire la porta personalmente e fu così signorilmente generoso e amabile di complimenti da cancellare in un solo istante il comico esilarante che tante volte avevo visto al cinema. Dopo di che, rammento, guardai le sue interpretazioni con altri occhi, e quasi non risi più alle sue scenette, tant’è che appresi molto su quello che doveva essere l’arte dell’attore.

«Io non sono un artista, ma solo un venditore di chiacchiere, come Petrolini che, infatti, è stato dimenticato. Un falegname vale più di noi due messi assieme, perché almeno fabbrica un armadio, una sedia che rimangono. Noi, al massimo, quando ci va bene, duriamo una generazione. Lo scritto rimane, un quadro rimane, anche un lavandino rimane. Ma le chiacchiere degli attori passano.»

Resta il fatto che a distanza di cinquant’anni dalla sua scomparsa posso, anzi possiamo ben dire che Totò è sempre rimasto con noi ‘..a prescindere’. Lo apprezziamo ancora ogni volta che rivediamo un suo film; ogni qual volta viene riproposto un suo scketch o una macchietta alla TV, o sfogliando una qualche rivista in cui la sua ‘maschera’ si riaffaccia dentro un siparietto o in una parodia ‘mitica’ del suo lavoro attoriale.

«...e io pago.»

Racconta Pietro De Vico, a proposito del film ‘Che fine ha fatto Totò Baby?’:
« Una volta... dovendo girare una scena del film, Totò si avvicinò e mi disse: "ho letto il copione di questa scena, è una vera schifezza. Fai tutto quello che ti dico di fare e segui le mie battute, improvvisiamo..." Così facemmo e ne venne fuori una delle migliori scene del film.»

Racconta Mario Castellani, riguardo allo sketch del ‘Vagone letto’:
« Uno dei suoi sketch più famosi è quello del vagone-letto, che ha fatto sbellicare dalle risate le platee di tutta Italia. Ebbene, nella rivista di Galdieri in cui era inserito, era accennata soltanto la situazione: due uomini nella cabina e una donna che chiede ospitalità per la notte. La prima volta che lo facemmo, questo sketch durava una decina di minuti; le ultime volte siamo arrivati a tenerlo in piedi quasi un'ora, col pubblico che ci seguiva col fiato sospeso. In seguito al rinnovato interesse per la figura e per l'arte di Totò, spesso mi capita di sentirmi chiedere il testo di questo e di altri sketch diventati ormai leggendari. Ma i testi non ci sono. Non ci sono mai stati.»

Sapere che Totò oltre ad essere un attore di grande spessore interpretativo fosse anche poeta e compositore di canzoni di successo, permette qui di avere una visione più specifica su alcuni aspetti dell’animo umano … un uomo impegnato, a suo modo, nella cultura e nel sociale. Credo che ben pochi dei suoi molti fan sappiano del suo spirito caritatevole:

«..capace di compiere in tutta la sua vita molteplici gesti di altruismo e numerose opere di beneficienza, come l’aver dato sostegno e offerte per i bisognosi, tale da accreditargli l’appellativo di ‘benefattore’ di ospizi e brefotrofi donando grandi somme alle associazioni che si occupavano degli ex carcerati e delle famiglie degli stessi. Furono numerosissimi i gesti nobili dell'attore. Si parla anche che alle volte tornasse di notte nel suo quartiere natale (il Rione Sanità) e infilasse sotto le porte dei bassi abitanti biglietti da diecimila lire. (…) Avendo poi una particolare predilezione per i bambini, dopo la morte del figlio Massenzio, Totò andava spesso a trovare insieme a Franca Faldini, gli orfanelli dell'asilo Nido Federico Traverso, di Volta Mantovana, portando con sé regali e giocattoli. Inoltre, in merito al suo amore per gli animali, per raccogliere cani randagi acquistò e modernizzò un vecchio canile, L'ospizio dei trovatelli, che lui stesso visitava regolarmente per accertarsi che i numerosi ospiti a quattro zampe (si parla di più di 200 cani) avessero le cure necessarie.» (cfr. Wikipedia – l’enciclopedia libera).

Un poeta quindi che ha contrassegnato il costume di un’epoca, il ‘900 italiano, semplicemente mettendo a disposizione degli altri la sua faccia-maschera rimasta immutata nel tempo, con la quale è giunto fino ai giorni nostri, sollecitandoci al riso o forse, al sorriso, con la sua comicità arguta e intelligente che a rivederlo oggi si comprende molto di ciò che siamo, di quella ‘miseria e nobiltà’ che ci accomuna tutti.

«Scegli come amico un signore impoverito e maji nu’ pezzente sagliuto.»

Anche per questo Totò è intramontabile al pari di qualunque altra ‘maschera’ universalmente conosciuta che, dalla tradizione della Commedia dell’Arte in poi, abbiamo apprezzato in comici come Buster Keaton e Charie Chaplin, ma anche altri, come Ridolini, i fratelli Marx ed Ettore Petrolini. Non in ultimo Totò può essere considerato la ‘summa’ caricaturale del ‘comico’ per eccellenza, riprendendo ora da questo, ora da quello e tuttavia restando fedele a se stesso, capace di una sua univoca originalità comico-semiseria, imperturbabile.

«Dove l’ignoranza urla, l’intelligenza tace ..è una questione di stile, signori si nasce … stronzi pure.»

Capace inoltre di una interiorità emotiva perturbabile, esternata nelle canzoni che, non a caso, sono tutte (o quasi) di tipo amoroso e appassionate. L’elenco dei soli titoli ne rammenta il carattere sentimentale e accorato tipico della poesia e della canzone napoletana; come ad esempio quelle qui riportate: ‘Malafemmena’, ‘Tu si tutto pe’ mme’, ‘L’ammore avesse a essere’, ‘Baciami’, ‘Nemica’, ‘Uocchie ca’ me parlate’ che ricordiamo cantate da Sergio Bruni, Giacomo Rondinella, Achille Togliani, Roberto Murolo, Tullio Pane, ed altri. Alcune delle quali hanno partecipato in diverse occasioni anche al Festival di Sanremo.

‘L’ammore avesse a essere!’

L’ammore avesse a essere
‘na cosa fatta ‘e zucchero
‘na cosa doce e semplice
tutta sincerità:
Duje piotte c’a suspireno;
duje vocche c’a s’e vaseno;
duje core c’a s’abbracciano
fino a ll’eternità!
L’ammore è ‘na cosa magnifica,
è comm’a ‘na musica:
So nnote’e viuline c’a mpietto
Accrezzano ll’anema …
…o ‘bbone ca scenne indo ‘e vvone
Cchiù ddoce ‘e nu balzamo,
è chiesto ‘o miraculo ‘e sempe
c’a fa ‘a giuventù!

Il tutto raccolto in un’antologia storica delle ‘Canzoni di Totò’ apparsa in cofanetto dedicato CGD 1988 a cura di Vincenzo Mollica con libretto allegato e disegni di F. Fellini e degli altri sopra citati, un Lp con ‘A livella’ interpretata nel 1967 dallo stesso Totò e la stessa interpretata nel 1961 da Nino Taranto su musica di Raffaele Viviani; inoltre a un CD di canzoni che raccoglie l’introvabile ‘Geppina Gepi’ in duetto con Anna Magnani dal film ‘Risate di gioia’; ‘Carme’ Carme’ con Maldacea Jr. dal film ‘Un turco napoletano’; ‘Veleno’ con i Rockes dal film ‘Rita la figlia americana’; ‘Baciami’ con Mina dalla trasmissione ‘Studio Uno’.

Canzoni scritte (e alcune interpretate) da Totò:

‘Margherita’, cantata da Totò nel film L'allegro fantasma (1941)
‘Girotondo’, cantata da Totò con il Trio Primavera nel film L'allegro fantasma (1941)
‘La mazurka di Totò’, cantata da Totò nel film Totò le Mokò (1949)
‘Ischia mia’, cantata da Giacomo Rondinella (1951)
‘Malafemmena’, cantata da più artisti, tra cui Giacomo Rondinella, Roberto Murolo, Lina Sastri, Fausto Leali e James Senese (1951). Viene cantata anche da Teddy Reno nel film Totò, Peppino e la... malafemmina (1956). Anche Gabriella Ferri la cantò in una puntata del varietà RAI Mazzabubù (1975).
‘Nun si 'na femmena’, cantata da Totò nel film Totò terzo uomo (1951)
‘Sulo’, cantata da Giacomo Rondinella (1951)
‘Casa mia’, cantata da Totò e Giacomo Rondinella nel film Dov'è la libertà? (1952)
‘Comme a nu' carcerato’ (2º premio festival Cava dei Tirreni 1952 di De Curtis, Nello Franzese, Porcaro)
‘Me diciste 'na sera’ (1952; di De Curtis, Nello Franzese, Porcaro)
‘A chi non lo sapesse’, cantata da Giacomo Rondinella (1952)
‘Isola d'oro’, cantata da Giacomo Rondinella (1952)
‘Uocchie ca me parlate’, cantata da Totò nel film Dov'è la libertà? (1952)
‘Non voglio amare più’, cantata da Giacomo Rondinella (1952)
‘Me songo annammurato’, cantata da Totò nel film Dov'è la libertà? (1952)
‘Margellina blu’, cantata da Franco Ricci (1953)
‘Carme' Carme'’, cantata da Nicola Maldacea junior nel film Un turco napoletano (1953)
‘Ddoje strade’, cantata da Amedeo Pariante (1953)
‘Nemica’, cantata da Roberto Murolo (1954)
‘Con te’, cantata da Natalino Otto, Achille Togliani e L. Morosini (1954), presentata al Festival di Sanremo (cantata anche in spagnolo nel 1967 da Ernesto Bonino)
‘Aggio perduto 'ammore’, cantata da Roberto Murolo (1954)
‘Abbracciato cu tte’, cantata da Achille Togliani (1955)
‘Luntano 'a te’, cantata da Franco Ricci (1955)
‘Tu si tutto pe' mme’, cantata da Achille Togliani (1955)
‘Core analfabeta’, cantata da Totò nel film Siamo uomini o caporali (1955)
‘Che me diciste a 'ffa’, cantata da Fausto Cigliano (1956)
‘Miss, mia cara miss’, cantata da Totò nel film Totò a Parigi (1958)
‘Mariarosa’, cantata da Claudio Villa (1960)
‘Geppina Gepi’, cantata da Totò e Anna Magnani nel film Risate di gioia (1960)
‘Rapallo’, cantata da Achille Togliani (1961)
‘Le Lavandou’, cantata da Achille Togliani (1961)
‘Filomè’, cantata da Nino Taranto (1961)
‘Piccerella, piccerè’, cantata da Nino Taranto (1961)
‘L'ammore avesse 'a essere’, cantata da T. Pane (1962)
‘Baciami’, cantata da Totò e Mina nella trasmissione RAI Studio Uno (1965)
‘Veleno’, cantata da Totò e i Rokes nel film Rita la figlia americana (1965)

Altra cosa sono invece quelle riconoscibili come scenette-comiche quali ‘Ufficio di collocamento’, ‘Lallo, parrucchiere per signora’, ‘Vagone letto’, ‘Pasquale’ che, a suo tempo, abbiamo apprezzate, interpretate o reinterpretate da numerosi attori comici come Nino Taranto, Gianni Agus, Corrado Olmi, Mario Castellani, Enzo Turco, Cesare Gelli, Corrado Olmi; e nei duetti con Anna Magnani, Nino Mafredi, Macario, Fernandel, Carlo Croccolo, Aldo Fabrizi. Chi non ricorda le sue apparizioni serioso-esilaranti nel film di Mario Monicelli ‘I soliti ignoti’ del 1958 e le sue apparizioni in TV con Mina? (‘Studio Uno’ 1965).

Altresì le ‘poesie’ vere e proprie, alcune delle quali sono state trasferite su disco già negli anni ’50 dalla Cetra e dalla Voce del Padrone, Columbia ecc. SQuella che segue è la lista completa delle poesie scritte da Totò (tra parentesi il titolo in italiano, salvo errori ed omissioni ... permettendo:

'A livella’ (La livella)
'A passiona mia erano 'e rrose’ (La mia passione erano le rose)
‘Uocchie 'ncantatore’ (Occhio incantatore)
'Ncantesimo’ (Incantesimo)
‘Esempio’
‘Calannario’
‘Essa’
‘La donna’
‘Ma che dulore ‘(Ma che dolore)
'O sol’ (Il sole)
‘A Franca’
‘Preghiera del clown’
'A vita è ingiusta’ (La vita è ingiusta)
‘Tutto è finito’
‘Chi è ll'ommo’ (Chi è l'uomo)
'E dduje 'nnammurate’ (I due innamorati)
‘Riflessione’
'A 'mmasciata’ (L'ambasciata)
‘Statuina a Francesca’
'A femmena’ (La femmina)
‘Pe nun te scurdà cchiù’ (Per non scordarti più)
‘Viola d'ammore’ (Viola d'amore)
‘Siamo uomini o caporali’
‘Cuore’
'A cchiu' bella’ (La più bella)
‘Ho bisogno di rivederti’
'O piso’ (Il peso)
‘Che me manca!’
‘Donna Amalia’
‘Pe sta vicino a tte’ (Per stare vicino a te)
‘La società’
‘Napule, tu e io’ (Napoli, tu e io)
'O saccio sultant'io’ (Lo so soltanto io)
‘Passione’
‘Il dramma di Don Ciccio Caccavalle’
'A cchiu' sincera ‘(La più sincera)
‘Nu iuorno all'intrasatta ‘(Un giorno all'improvviso)
‘All'intrasatta... ‘(All'improvviso)
‘Ricunuscenza’ (Riconoscenza)
'A mundana’ (La prostituta)
‘Dick’
‘Zuoccole, tammorre e femmene ‘(Zoccoli, tamburi e donne)
‘Si fosse n'auciello’ (Se fossi un uccello)
'Ngiulina’ (Angelina)
‘Balcune e llogge’ (Balconi e logge)
‘Ll'ammore’ (L'amore)
‘Uocchie ca mme parlate ‘(Occhi che mi parlate)
'A statuetta ‘(La statuetta)
'A cunzegna’ (La consegna)
‘Ammore perduto’ (Amore perduto)
'A nnammurata mia’ (La mia fidanzata)
‘Core analfabeta’(Cuore analfabeta)
'E ccorna’ (Le corna)
'O schiattamuorto’ (Il becchino)
‘Felicità’
'A vita’ (La vita)
‘Il fine dicitore’
‘Bianchina’
'E pezziente’ (I pezzenti)
'A speranza’ (La speranza)
‘Il cimitero della civiltà’
‘Sarchiapone e Ludovico’
‘L'indesiderabile’
‘L'acquaiola’

In Totò, più che in ogni altro, la poesia è un ‘pensiero’ che significa libertà di espressione, di disobbedienza a ogni tentativo di censura molto efferata in quei tempi, sebbene non risulti mai propriamente scandalosa o indecente. La sua funzione primaria rimane contenuta nell’ovvio concetto dell’amore, come dire, è piuttosto dell’ambizione, o forse della vocazione, secondo la quale chi scrive versi cerca di trovare la sua verità, nell’intento di attingere agli strati pur superficiali di una ‘verità’ possibilmente valida per tutti, e perciò universale.

Come pur rammenta Marcel Proust «..ciascuno di noi non fa che leggere (dentro) se stesso, così la poesia è per Totò l’unico modo possibile per realizzare e raggiungere la ‘forma dell’arte’. Come anche scrive Attilio Mauro Caproni. «La poesia, come genere letterario non si presenta quasi mai come un’entità finita di scrittura. Invero (…) sembra definire un’opera che è sul punto di cominciare, oppure un’opera che sia come manchevole rispetto a se stessa, e dinanzi a quel che dice, affinché ciò che dice si schiuda nella distanza dell’indefinito, e vi si depositi, vi si preservi, e alla fine patisca.»

‘A livella’

Ogn’anno, il due novembre, c’è l’usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ogn’anno, puntualmente, in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch’io ci vado, e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo ‘e zi’ Vicenza.
St’anno m’è capitata ‘n’avventura …
dopo di aver compiuto il triste omaggio.
Madonna, si ce penzo, e che paura!,
ma po’ facette un’anema e curaggio.
‘O fatto è chisto, statemi a sentire:
s’avvicenava ll’ora d’ ‘a chiusura:
io, tomo tomo, stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.
«Qui dorme in pace il nobile Marchese
Signore di Rovigo e di Belluno
Ardimentoso eroe di mille imprese
Morto l’11 maggio del ’31.»
‘O stemma cu ‘a curona ‘ncoppa a tutto …
…sotto na croce fatta ‘e lampadine;
tre mazze ‘e rose cu na lista ‘e lutto:
cannele, cannelotte e sei lumine.
Proprio azzeccata ‘a tomba ‘e stu signore
nce steva’n’ata tomba piccerella,
abbandunata, senza manco un fiore;
pe’ segno, sulamente na crucella.
E ncoppa ‘a croce appena se liggeva:
«Esposito Gennaro netturbino»:
guardannola, che ppena me faceva
stu muorto senza manco ‘nu lumino!
Questa è la vita! ‘ncapo a me penzavo …
Che ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s’aspettava
Ca pure a ll’atu munno era pezzente?
Mentre fantasticavo stu penziero,
s’era ggià fatta quase mezanotte,
e i’ rummanette ‘chiuso priggiuniero,
muorto ‘e paura … nnanze ‘e cannelotte.
Tutto a nu tratto, che veco ‘a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse ‘a parte mia …
Penzaje: stu fatto a me mme pare strano …
Stongo scetato … dormo, o è fantasia?
Ate che fantasia!, era ‘o Marchese:
c’ ‘o tubbo, ‘a caramella e c’ ‘o pastrano;
chill’ato appriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu na scopa nmano.
E chillo certamente è don Gennaro …
‘o muorto puveriello … ‘o scupatore.
‘Int’a stu fatto i’ nun nce veco chiaro:
so’ muorte e se retireno a chest’ora?
Putevano sta’ ‘a me quase nu palmo
quando ‘o Marchese se fermaje ‘e botto,
s’avita e, tomo toma … calmo calmo,
dicette a don Gennaro: «Giovanotto!
Da Voi vorrei saper , vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellire, per mia vergogna,
saccanto a me che sono un blasonato!
La casta è casta e va, sì, rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava sì, inumata;
ma seppellita nella spazzatura!
Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente, da d’uopo,
quindi, che cerchiate un fosso
tra i vostri pari, tra la vostra gente».
«Signor Marchese, non è colpa mia,
‘i nun v’avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffa’ sta fessaria,
i’ che putevo fa’ si ero morto?
Si fosse vivo ve farrie cuntento,
pigliasse ‘a casciulella cu ‘e qquatt’osse,
e proprio mo, obbj… ‘nda stu mumento
mme ne trasesse dinto a n’ata fossa».
«E cosa aspetti, oh turpe malcreato,
che l’ira mia raggiunga l’eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza!»
«Famme vedè… - piglia sta violenza
‘A verità, Marchè, mme sp’ scucciato
‘e te sentì; e si perdo ‘a pacienza,
mme scordo ca soì muorto e so’ mazzate!..
Ma chi te crede d’essere … nu ddio?
Cca dinto, ‘o vvuò capì, ca simmo eguale?...
… Muorto si’ tu e muorto so’ pur’io;
ognuno comme a n’ato è tale e qquale».
«Lurido porco! … Come ti permetti
paragonarti a me ch’ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?».
«Tu qua’ Natale … Pasca e Ppifania!!
T’ ‘o vvuo’ mettere ‘ncapo … ‘int’a cervella
che staje malato ancora ‘e fantasia?...
‘A morte ‘o ssaje ched’ è? … è una livella.
‘Nu rre, ‘nu maggistrato, ‘nu grand’ommo
trasenno stu cancello ha fatt’’ ‘o punto
ch’ha perzo tutto, ‘a vita e pure ‘o nomme;
tu nun t’hè fatto ancora chistu cunto?
Perciò, stamme a ssentì … nun fa’ ‘o restivo,
suppuorteme vicino – che te ‘mporta?
Sti ppagliacciate ‘e fanno sulo ‘e vive;
nuje simmo serie … appartenimmo ‘a moprte”».
(Editori del Grifo – Montepulciano 1988)

Tuttavia la poesia come la canzone di Totò da sempre e nell’immediato, hanno un pubblico sterminato di conoscitori e tutta una serie di sostenitori perché ripropone tutta una serie di sentimenti ‘popolari’ ascrivibili a ottimali pretesti di comicità, corrispondenti della gioia e dell’amore:

«A sera quanno 'o sole se nne trase e dà 'a cunzegna â luna p' 'a nuttata, lle dice dinto 'a recchia: "I' vaco â casa: t'arraccumanno tutt' 'e nnammurate.»

Indubiamente non sono il meglio dell’interpretazione poetica del principe della risata o della canzone napoletana, tuttavia sono rappresentative della straordinaria capacità di un autore eclettico e decisamente originale quale è Totò. Tra tutte le battute, gag, poesie e frasi celebri che l'immenso patrimonio di film e opere di Totò ci ha lasciato, alcune sono entrate di diritto nel nostro linguaggio comune, tramandandosi per generazioni.

Eccone alcune:
«C'è chi può e chi non può: io può.» (Da Totò Peppino e a malafemmena.)

«Parli come badi.» (Da Totò a colori)

«Sono un retrocesso.»

«Lei è un cretino, s’informi.» (Da Totò, Peppino e le fanatiche.)

«La donna è mobile e io mi sento mobiliere.» (Da Un turco napoletano.)

«Elena di Troia… Troia…Troia: ohibò questo nome non mi giunge nuovo.»
(Da L'imperatore di Capri)

«Per avere una grazia da San Gennaro bisogna parlargli da uomo a uomo.»
(Da Operazione san Gennaro.)

«Femmena, tu si ‘a cchiù bella femmena, te voglio bene e t'odio, nun te pozzo scurdà…» (Da "Malafemmena", canzone scritta da Totò).

«Il coraggio ce l’ho. E la paura che mi frega.» (Da "Figaro")

«Gli avvocati difendono i ladri. Sa com'è... tra colleghi.»

«Come è gentile per essere una parente: sembra un'estranea!»

«Di notte, quando sono a letto, nel buio della mia camera, sento due occhi che mi fissano, mi scrutano, mi interrogano, sono gli occhi della mia coscienza.»

« La felicità non esiste. La felicità non esiste in nessun modo. Nessuno è felicissimo.»

« Quella mia battuta «siamo uomini o caporali» non è affatto un gioco. Il mondo io lo divido così, in uomini e caporali. E più vado avanti, più scopro che di caporali ce ne son tanti, di uomini ce ne sono pochissimi.»

«A morte ‘o ssaje ched'è?… È una livella. ‘Nu ‘rre,'nu maggistrato, ‘nu grand'ommo, trasenno stu canciello ha fatte ‘o punto c'ha perzo tutto,'a vita e pure ‘o nomme: tu nun t'e fatte ancora chistu cunte?’» (Da "A livella", poesia di Totò).

Vale la pena di leggere ciò che hanno detto di lui alcuni attori, registi e compagni di lavoro:

Totò, la maschera e la smorfia, il volto e lo sberleffo, ecco come Carlo Delle Piane, raccontando di Totò e Aldo Fabrizi sul set di Guardie e ladri:
« Erano attori eccezionali, con loro non c'era la sicurezza del copione tutto previsto, bisognava stargli dietro, perché le gag non venivano mai uguali, da una ripresa all'altra. Questo, per la mia età, mi divertiva e mi preoccupava. Si provava quello che era scritto, si girava ed era diverso, si ripeteva ed era ancora diverso. Finiva che non capivo niente. Ero dentro, e dovevo istintivamente comportarmi a seconda del momento, non era mai una cosa meccanica. »

Racconta Mario Monicelli:
« In quell'estate del '49 due cose mi colpirono di Totò. Una sorta di sdoppiamento tra l'attore e il principe. Sul set recitava, era scurrile, farsesco, comico. Poi diventava il principe De Curtis e la sua fedeltà alla figura del blasonato era totale. Amava stare a casa. Aveva una saletta di proiezione dove si vedeva - anche da solo - i film. Ascoltava musica e ne componeva. Quando riceveva, la sera, ci faceva sentire le sue canzoni, raccontava aneddoti. Era un uomo molto simpatico, ma non faceva il comico, non si esibiva. Sapeva ascoltare... Era gentile, un signore... Si facevano le due, le tre... Le volte che andava a vedersi - e non lo faceva neanche sempre - assisteva al film come se quello sullo schermo fosse un altro: rideva di gusto oppure non si divertiva per niente, ma non entrava mai nel merito dicendo "questo si poteva fare così, questo è andato male perché..." Era come se la cosa non lo riguardasse: un atteggiamento che non ho mai ritrovato in nessun altro attore. Era davvero così diviso? Era una corazza che si era costruito? Non l'ho mai capito.»

Racconta Vittorio De Sica:
« Era veramente un gran signore, generoso, anzi, generosissimo. Arrivava al punto di uscire di casa con un bel po' di soldi in tasca per darli a chi ne aveva bisogno e comunque, a chi glieli chiedeva. (…) Aveva la mania della nobiltà: il primo giorno che lavorai con lui gli domandai: «Devo chiamarla principe o Totò?» Ci pensò un attimo, poi mi rispose: «Mi chiami Totò». Ma tutti gli altri dovevano chiamarlo principe, e lui da principe, quei principi di cui leggiamo nelle favole, si comportava con tutti e in ogni suo pur minimo gesto, pensiero, atteggiamento.»

Totò, intervistato da Oriana Fallaci:
«Io non prendo i 100, i 70, i 50 milioni di lire che prendono gli altri. E ciò di proposito, perché se sento dire che il tale o la tale hanno preso 600 milioni per la parte in un film, resto inorridito, schifato. Io non ho mai voluto prendere grandi cifre perché ho sempre pensato che il produttore deve guadagnare, col film. Se non guadagna, fallisce. Se fallisce, io non faccio più film. E se un po’ alla volta falliscono un po’ tutti, dopo che faccio? I film dove recito io son commerciali, son filmetti arraffati, destinati alle sale di seconda visione, e costano poco: anche come film.»

In verità, furono poche le occasioni che fecero apprezzare Totò dalla critica cinematografica, dalla quale fu spesso avversato:

«Nel mio pessimismo professionale influisce certo l'atteggiamento negativo dei critici, che mi hanno sempre stroncato. Non posso fare a meno di notare che questi signori si limitano a distruggere, mentre dovrebbero consigliare per il meglio noi attori. Se uno entra in casa mia, osserva che l'arredamento è brutto e mi sfascia i mobili a martellate, non agisce in modo sensato. Meglio sarebbe se esponesse i motivi del suo dissenso, per affinare il mio gusto e farmi capire i miei errori. Ma, alla fine di tutti questi discorsi, rimane la constatazione che io rispetto i critici, mentre loro non rispettano me. Mi rimproverano perché, secondo loro, faccio sempre le stesse cose. Non è vero. Sono passato dalla Commedia dell'Arte alla prosa, dal varietà al cinema, dalla poesia alla musica. Certo, rimango sempre Totò, perché non sono io a comandare la mia faccia, ma la mia faccia a comandare me.»





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Incontro con Patrizia La Fonte al teatro Torlonia

'GIUSTO PER DIRE': legami di amore e odio tra lingua madre e lingua zia, tra lingua scritta e lingua parlata.

 

Teatro di Villa Torlonia Domenica 5 marzo 2017 ore 11

 

Incontro con Patrizia La Fonte

“Giusto per dire: legami di amore e odio tra lingua madre e lingua zia, tra lingua scritta e lingua parlata” Una conferenza spettacolarizzata, con la partecipazione del pubblico e di giovani attori, sulle vicissitudini dell’italiano parlato, e con libere incursioni nella storia e nelle trasformazioni in atto. Oggi che le lingue e i linguaggi si mescolano, può essere stimolante e perfino piacevole cercare di dipanare la complicata matassa delle molte opinioni sull’esattezza di una lingua che, come tutte, si modifica di continuo. Cercare una via d’uscita nel labirinto della pronuncia, dell’ortoepia e della dizione attraverso un metodo che non prevede l’insegnamento delle regole riserverà curiose sorprese.

 

Lo spunto nasce dal libro della stessa Patrizia La Fonte “Giusto per dire", guida poco teorica e molto pratica per l’italiano parlato”, pubblicato alla fine del 2016 dall’editore IkonaLìber, che sviluppa un’originale sequenza di passi diretti a padroneggiare la nostra lingua. Chi ne avrà piacere potrà anche sperimentare qualche esercizio per l’uso della voce e l’articolazione dell’italiano parlato. Sarà interessante raccogliere opinioni differenti e provare a mediare tra versioni contrastanti. Del resto, una lingua viva è, sì, quella che si parla ma è anche quella di cui si parla. Intervengono Carlo Bernardini, Tiziano Caputo, Samantha Silvestri e altri ospiti a sorpresa in platea.

 

Presenta Patrizia La Fonte con la partecipazione amichevole ed estemporanea di David Riondino.

A cura di Patrizia La Fonte Ingresso libero.

 

Inoltre: autrice e coautrice di testi teatrali, scrive, dirige e interpreta "Maturina fantesca, erede di Leonardo da Vinci" in un piacevole italiano cinquecentesco, pubblicato da questa stessa casa editrice nella collana 'Il teatro nel mondo'.

 

 

 

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Oscar ’Moonlight’ miglior film

OSCAR 2017

 

Da parte mia nessun commento, la 'baracconata americana si commenta da sola'; le opposizioni tra i componenti della giuria, la squallida kermesse anti-presidenziale (ma se l'hanno votato alle elezioni?); i film fasulli come 'La la land' che poteva ben stare dentro lo spazio del trailer-musicale; la noia mortale di 'Moonlight' pari almeno al nostro 'Fuocammare', mi fanno dire che quando il 'gatto non c'è i topi ballano', per dire che non si è visto un film degno di essere chiamato tale, o almeno degno di essere enumerato nella cinematografia mondiale come qualcosa di 'autenticamente valido'.

 

Comunque per gli appassionati va comunque data notizia e magari mi aspetto qualche commento. 'Un grazie anticipato. In collaborazione con Cineuropa News e Il Post News.

 

“Moonlight”, il Miglior film agli Oscar 2017. È un film diviso in tre episodi, ambientato a Miami e con protagonista un bambino (poi ragazzo e poi uomo) nero: Jenkins, il regista aveva fatto un solo film, prima L’Oscar per il Miglior film quest’anno è stato vinto – a sorpresa – da Moonlight. A sorpresa perché non era considerato favorito (la SNAI, per esempio, dava la vittoria 1:6) e, soprattutto, perché ha vinto dopo che – per via di un guaio – quel premio era stato consegnato a La La Land. Moonlight era candidato in otto categorie (film, regia, attore non protagonista, attrice non protagonista, sceneggiatura non originale, fotografia, montaggio, colonna sonora) e ha vinto in tre: oltre a Miglior film anche Miglior attore non protagonista (Mahershala Ali) e Miglior sceneggiatura non originale (a Barry Jenkins, che è anche il regista, e a Tarell Alvin McCraney, autore del testo teatrale da cui Moonlight è tratto).

 

Moonlight è nei cinema italiani da metà febbraio e dopo questa vittoria aumenteranno sicuramente le sale in cui verrà programmato: è un film drammatico diviso in tre episodi che raccontano tre momenti nella vita di Chiron, un bambino nero (poi adolescente e uomo) cresciuto a Liberty City, un quartiere di Miami. I primi due episodi sono molto simili a quelli di In Moonlight Black Boys Look Blue (il testo teatrale da cui è tratto il film), il terzo è stato pensato apposta per il film. È il motivo per cui in alcuni dei premi che precedono gli Oscar Moonlight era stato candidato tra i film con una sceneggiatura originale, vista la grande differenza dal testo a cui si ispira. Sia Jenkins che McCraney sono neri e sono cresciuti a Liberty City. Gli attori più noti di Moonlight sono Mahershala Ali – che interpreta uno spacciatore che incontra il protagonista quando è ancora piccolo, e cerca di aiutarlo – e Naomi Harris, che interpreta la madre del protagonista. Ali – che ha parlato di questo personaggio come di quello che più gli manca tra tutti quelli che ha interpretato – è famoso soprattutto perché interpreta Remy Danton in House of Cards e per ruoli quasi mai da protagonista.

 

Harris – che ha dovuto girare tutte le sue scene in tre giorni, perché è britannica e le sarebbe scaduto il visto – ha recitato in Spectre, Southpaw e Collateral Beauty. Jenkins ha 37 anni e prima di fare Moonlight aveva diretto solo cortometraggi e un film poco noto: Medicine for Melancholy, romantico e drammatico, girato nel 2008 con un budget di circa 15mila euro. Moonlight è costato di più, ma comunque pochissimo per un film da Oscar: si parla di circa un milione e mezzo di euro. Moonlight è stato prodotto da A24 (una casa di produzione piccola ma che negli ultimi anni si è fatta notare per alcuni film molto apprezzati). Negli ultimi anni A24 (che esiste dal 2012) ha prodotto o co-prodotto, tra gli altri, The bling ring, Son of a gun, Ex machina, Amy, Room, The End of the Tour, The Lobster, The Witch e Swiss Army Man. Film che, come ha scritto l’Economist, in molti casi «hanno rotto la monotonia della narrativa di Hollywood, proponendo storie particolari, sia bizzarre che stracariche di inattese riflessioni sulla società».

 

Che tipo di film è Moonlight. Nei primi minuti del primo episodio – il cui titolo è “Little” – Chiron (il protagonista) è un ragazzino esile e piuttosto timido che incontra Juan (il personaggio interpretato da Ali). All’inizio Chiron non gli rivolge la parola, ma col tempo inizia a fidarsi di lui. Si scopre poi che Chiron ha una vita piuttosto complicata e che tra le cause c’è la madre tossicodipendente. Le uniche persone con cui Chiron va d’accordo sono Juan, Teresa (la fidanzata di Juan) e Kevin, un ragazzino della sua età. Negli episodi successivi – intitolati “Chiron” e “Black” – ritornano molti dei personaggi che si vedono in “Little”: la madre di Chiron è sempre interpretata da Harris; Chiron e Kevin sono invece interpretati da tre attori diversi. Quelli che interpretano Chiron sono, nell’ordine: Alex Hibbert, Ashton Sanders e Trevante Rhodes. Moonlight è un film piuttosto lento, con poche parole; ma non è uno di quei film in cui non succede niente. C’è una trama, succedono cose. Dirne di più potrebbe però rovinare parte del piacere della visione.

 

Tra chi ha scelto di parlarne svelandone il meno possibile c’è IMDb, che l’ha descritto come «una storia senza tempo di scoperta di se stessi e legame con gli altri» e un film che «racconta la storia di un ragazzo nero che lotta per trovare il suo posto nel mondo crescendo nella difficile periferia di Miami». Come ne hanno parlato i critici. Le recensioni dei critici professionisti sono invece state ottime: non c’era film candidato agli Oscar del 2017 che, nel complesso, fosse piaciuto di più. Sia Rotten Tomatoes che IMDb – i due siti di riferimento per i voti ai film – hanno un sistema per dare un punteggio che riassuma il totale delle recensioni dei critici più importanti. Su IMDb Moonlight ha preso 99 su 100 e il 98 per cento delle recensioni prese in considerazione da Rotten Tomatoes parlano del film in modo positivo. Per trovare una delle poche recensioni negative tra le circa 200 prese in considerazione da Rotten Tomatoes bisogna finire sul sito australiano 3AW, il cui critico Jim Schembri ha scritto che «Moonlight perde mordente e nell’ultimo capitolo ha troppo poco da dire per trovare una conclusione drammaticamente soddisfacente.

 

L’adulazione dei critici e le nomination che ha avuto lo rendono un concorrente al premio per il film più sopravvalutato dell’anno». È molto più facile trovare recensioni positive, fatte da critici spesso entusiasti: Peter Debruge di Variety ha scritto che Moonlight «è un’opera d’arte socialmente consapevole, tanto essenziale quanto profonda»; David Rooney dell’Hollywood Reporter ha elogiato la fotografia e, più in generale, la bravura del film nel rispondere a una semplice domanda implicita ma evidentissima che il protagonista si fa: «Chi sono?». Joshua Rothkopf di Time Out New York ha scritto che Moonlight è il motivo per cui andiamo al cinema: «Per capire, per avvicinarci alle cose, per stare male, possibilmente in compagnia di qualcuno». Secondo Justin Chiang del Los Angeles Times, «Moonlight non dice molto, dice tutto».

 

Tim Grierson di Screen International ha scritto che Moonlight «è ambizioso per la sua portata e preciso nell’esecuzione». Moonlight è stato presentato a ottobre al Festival del cinema di Roma, dove la critica italiana ne parlò bene ma non bene quanto quella americana. Paolo Mereghetti, il famoso critico del Corriere della Sera, lo definì delicato, sensibile e senza «paura di mostrare le durezze della vita». Seppur tra i generali apprezzamenti, alcuni critici hanno detto di essere rimasti in parte delusi dalla sceneggiatura, che in certi casi evoca e non mostra né racconta. È invece davvero difficile trovare critiche alla recitazione, alla fotografia o al modo in cui i temi del film vengono fuori.

 

Un film da andarvi a cercare, se vi è piaciuto Moonlight. In diverse occasioni Jenkins ha raccontato di apprezzare molto Wong Kar-wai, regista e produttore cinese che vive a Hong Kong e ha diretto, tra gli altri, Days of Being Wild, In the Mood for Love, Happy Together e The Grandmaster. Parlando di Hong Kong Express, un altro film di Wong Kar-wai, Jenkins ha detto di averlo molto apprezzato perché lo ha «risucchiato» ed era «stilisticamente diverso da ogni film che aveva visto fino a quel momento». Partendo da quanto detto da Jenkins, Alessio Marcucci ha pubblicato su YouTube un video che mostra le cose di Moonlight che ricordano cose di Kar-wai.

 

'La La Land' domina gli Oscar ma il Miglior film è 'Moonlight' di Naman Ramachandran 27/02/2017 -

Il cliente di Asghar Farhadi vince il titolo di Miglior film in lingua straniera. Agli italiani Alessandro Bertolazzi e Giorgio Gregorini la statuetta per il Miglior trucco Il team di Moonlight ritira l'Oscar per il Miglior film (© The Academy/Getty) Sembrava che i sei Oscar di La La Land dovessero diventare sette quando i presentatori Warren Beatty e Faye Dunaway lo hanno annunciato come Miglior film. Il team di La La Land era già salito sul palco ed erano cominciati i discorsi di ringraziamento quando è scoppiato il caos: gli organizzatori hanno informato che Beatty aveva ricevuto la busta sbagliata e che il vincitore del titolo di Miglior film era Moonlight.

 

La PriceWaterhouseCooper, la società che si occupa del conteggio dei voti agli Oscar, ha dichiarato: “Ci scusiamo sentitamente con Moonlight, La La Land, Warren Beatty, Faye Dunaway e gli spettatori degli Oscar per l’errore compiuto durante l’annuncio del Miglior film. Ai presentatori è stata consegnata la busta con la categoria sbagliata e non appena scoperto, è stata immediatamente corretta. Al momento stiamo indagando su come possa essere successo e proviamo un profondo rammarico per quanto è accaduto. Apprezziamo la grazia con cui i nominati, l’Academy, ABC e Jimmy Kimmel hanno gestito la situazione”. Ciò nonostante, il film di Damien Chazelle ha dato una buona prova di forza vincendo l’Oscar per la Regia, l’Attrice protagonista Emma Stone, la Fotografia dello svedese Linus Sandgren, la Colonna sonora originale di Justin Hurwitz, la Canzone originale di Benj Pasek e Justin Paul (‘City of Stars’) e la Scenografia di David Wasco.

 

Oltre che per il Miglior film, Moonlight è stato incoronato per la Sceneggiatura adattata dal regista Barry Jenkins, da una storia di Tarell Alvin McCraney, e per l’Attore non protagonista Mahershala Ali. Casey Affleck è il Miglior attore protagonista per Manchester By the Sea, mentre Viola Davis ha vinto come Attrice non protagonista per Barriere. La coproduzione franco-iraniana Il cliente [+] di Asghar Farhadi ha vinto come Miglior film in lingua straniera: per il regista è il secondo trionfo in questa categoria dopo l’acclamato Una separazione nel 2012. Farhadi, che ha boicottato la cerimonia a causa del divieto di ingresso negli Stati Uniti per i cittadini di sette paesi a maggioranza musulmana, tra cui l’Iran, ha mandato l’ingegnera iraniano-americana Anousheh Ansari in sua vece, che ha letto una dichiarazione di Farhadi: “Mi dispiace non essere con voi stasera. La mia assenza è dovuta al rispetto verso i miei concittadini e gli abitanti degli altri sei paesi a cui una legge disumana ha impedito l’ingresso negli Stati Uniti. Dividere il mondo in due categorie, noi e i nostri nemici, porta alla paura. È una giustificazione ingannevole per l'aggressione e la guerra e questo ostacola la democrazia e i diritti umani in paesi che a loro volta sono stati vittime di aggressioni. Il cinema può catturare le qualità degli uomini, combattere gli stereotipi e creare un’empatia tra gli esseri umani che oggi serve più che mai".

 

Gli altri vincitori europei della serata sono 'Animali fantastici e dove trovarli', che ha ricevuto l’Oscar per i Migliori costumi per il lavoro di Colleen Atwood, il cortometraggio ungherese 'Sing di Kristof Deak' e 'Anna Udvardy' (categoria Live-Action) e il corto britannico 'The White Helmets' di Orlando von Einsiedel e 'Joanna Natasegara' (categoria Documentario). Gli italiani Alessandro Bertolazzi e Giorgio Gregorini condividono con l’americano Christopher Nelson l’Oscar del Miglior trucco e acconciatura per 'Suicide Squad'.

 

I vincitori:

Miglior film Moonlight - Barry Jenkins

Miglior attrice protagonista Emma Stone - La La Land

Miglior attore protagonista Casey Affleck - Manchester by the Sea

Miglior regia Damien Chazelle - La La Land

Miglior attore non protagonista Mahershala Ali - Moonlight

Miglior attrice non protagonista Viola Davis - Fences

Miglior film d’animazione Zootopia - Byron Howard, Rich Moore e Clark Spencer Miglior film in lingua straniera Il cliente - Asghar Farhadi (Francia/Iran)

Miglior sceneggiatura adattata Moonlight - Sceneggiatura di Barry Jenkins; soggetto di Tarell Alvin McCraney

Miglior sceneggiatura originale Kenneth Lonergan - Manchester By the Sea

Miglior musica (Colonna sonora originale) La La Land - Justin Hurwitz

Miglior musica (Canzone originale) ‘City Of Stars’ - La La Land. Musica di Justin Hurwitz; testo di Benj Pasek e Justin Paul

Miglior fotografia Linus Sandgren - La La Land

Miglior montaggio John Gilbert - Hacksaw Ridge

Miglior scenografia La La Land - Production design: David Wasco; set decoration: Sandy Reynolds-Wasco Migliori effetti visivi The Jungle Book - Robert Legato, Adam Valdez, Andrew R. Jones e Dan Lemmon

Miglior trucco e acconciatura Suicide Squad - Alessandro Bertolazzi, Giorgio Gregorini e Christopher Nelson Migliori costumi Animali fantastici e dove trovarli - Colleen Atwood

Miglior cortometraggio d’animazione Piper - Alan Barillaro e Marc Sondheimer Miglior sonoro Arrival - Sylvain Bellemare

Miglior montaggio sonoro Hacksaw Ridge - Kevin O’Connell, Andy Wright, Robert Mackenzie e Peter Grace

Miglior documentario O.J.: Made in America - Ezra Edelman

Miglior cortometraggio documentario The White Helmets - Orlando von Einsiedel e Joanna Natasegara (Regno Unito)

Miglior cortometraggio Sing - Kristof Deak e Anna Udvardy (Ungheria)

 

Pssst: Migliore spettatrice mia Nonna Matilde che non è mai entrata in una sala cinematografica fino alla veneranda età di 96 anni.

 

 

 

 

 

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Beata Ignoranza un film di Massimiliano Bruno


In collaborazione con Cineuropa News

Il Solinas a La Maddalena per un Centro di alta formazione
di Camillo De Marco
02/02/2017 - Il Premio di sceneggiatura ha organizzato a Sassari un laboratorio di co-progettazione a cui hanno partecipato studenti di architettura e cinematografia, per un ambizioso progetto internazionale
Il Premio Solinas torna nell'isola de La Maddalena, che lo ha visto nascere nel 1985, con un ambizioso progetto internazionale: un centro di alta formazione per il cinema e l’audiovisivo elaborato con l’Università di Sassari in collaborazione con le Università di Cagliari, Tor Vergata di Roma, CINEMED/Festival International du Cinéma Méditerranéen de Montpellier, l’Istituto italiano di Cultura di Madrid (Festival del Cinema italiano di Madrid).
Nei giorni scorsi è stato organizzato a Sassari un primo laboratorio di co-progettazione a cui hanno partecipato studenti di architettura e cinematografia delle tre università con sceneggiatori, architetti, docenti e finalisti del Premio Solinas. Tra gli ospiti partecipanti 2 stranieri dal festival di Montpellier: l’israeliana Or Sinai, premiata alla Cinéfondation di Cannes 2016 per Anna, e Mounia Akl, regista e sceneggiatrice libanese selezionata alla Cinéfondation di Cannes 2016 con il corto Submarine e a maggio 2017 alla Factory della Quinzaine des Réalisateurs. In questo “Cantiere delle Storie”, che è culminato in una sorta di maratona, un hackathon dell’audiovisivo, sono state elaborate 6 diversi scenari progettuali per un laboratorio che utilizzerà e riqualificherà una serie di spazi dismessi nel territorio dell’arcipelago al largo della Sardegna settentrionale in modo sostenibile, flessibile nei diversi possibili utilizzi e adatto ad ospitare sceneggiatori e autori da tutto il mondo.
Proprio sulla meravigliosa isola de La Maddalena fu istituito nel 1985 il Premio per la migliore sceneggiatura inedita per ricordare dopo la morte prematura tre anni prima di Franco Solinas, autore de La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo e di film di maestri come Roberto Rossellini, Costa Gavras, Joseph Losey, Valerio Zurlini, Francesco Rosi. Il Premio Solinas, dopo trent’anni di attività e 92 film realizzati a partire da sceneggiature premiate (la carriera di Paolo Sorrentino è iniziata nel 1999 con il riconoscimento a L’uomo in più), è oggi promotore di una nuova sfida con il laboratorio “Cantiere delle Storie”. Il sindaco della Maddalena Luca Montella si è detto pronto a sostenere il progetto mentre Gianluca Lioni, portavoce del Ministro per i Beni, le Attività culturali e Turismo Dario Franceschini, ha detto a Sassari che “il Ministero troverà sicuramente la forma per assicurare il giusto sostegno”. Toccherà alla Regione Sardegna decidere sulla disponibilità delle strutture dismesse dallo Stato in uno luoghi più belli e incontaminati delle coste italiane.
Premio Solinas, il Cantiere delle Storie
di Camillo De Marco
23/02/2017 - Il Premio di Sceneggiatura Solinas è il promotore del Cantiere delle Storie, un progetto per un Centro di alta formazione audiovisiva nell'isola de La Maddalena (leggi l'articolo). Con L’Università di Sassari, in collaborazione con Le Università di Cagliari, Tor Vergata, CINEMED/Festival International du Cinéma Méditerranéen de Montpellier, l’Istituto italiano di Cultura di Madrid (Festival del Cinema italiano di Madrid) e il Comune di La Maddalena, è stato organizzato a Sassari un Hack4Cinema, il primo laboratorio di co-progettazione del futuro Centro di formazione.
In quell'occasione Cineuropa ha intervistato la sceneggiatrice Gloria Malatesta, membro della giuria del Premio Solinas, e alcuni dei filmaker e studenti che hanno partecipato al laboratorio: Flaminia Gressi, Mounia Akl, Nicoletta Senzaqua, Gabriele Gianni, Or Sinai.

Aperta una consultazione pubblica per decidere il futuro del programma Europa Creativa
di Fran Royo
21/02/2017 - Fino al 16 aprile, i cittadini europei possono partecipare alla consultazione pubblica, che ha lo scopo di valutare il programma culturale della Commissione europea
La voce dei cittadini europei è una pietra miliare di questa consultazione, poiché questa valutazione si propone non solo di riflettere sui risultati, l'efficacia e lo sviluppo del programma fino ad ora, ma anche stabilire un approccio verso il futuro dell'iniziativa Europa Creativa, date le sfide culturali, sociali ed economiche che l'Europa si trova ad affrontare, incluse le fratture politiche tra gli europei, la gestione della diversità, la competitività e l’innovazione. Inoltre, la consultazione mira a stabilire il valore aggiunto del programma nei settori della cultura e dell'audiovisivo, rispetto a quello che gli Stati membri avrebbero raggiunto da soli.
I risultati della consultazione pubblica andranno a integrare la valutazione indipendente di medio termine del programma Europa Creativa attualmente in corso, che, una volta completata, sarà presentata al Parlamento europeo e al Consiglio europeo.
La consultazione è ospitata sul sito di ICF Consult ed è disponibile solo online. Le risposte possono essere inviate in una qualsiasi delle lingue ufficiali dell'Unione europea. Si possono trovare maggiori informazioni sulla consultazione seguendo il link.

‘Beata ignoranza’, dai social può rinascere una famiglia
di Camillo De Marco
24/02/2017 - Massimiliano Bruno affronta con ironia il tema del cambiamento dei rapporti umani nell'era di Internet, protagonisti Marco Giallini e Alessandro Gassman
Prodotto da IIF con Rai Cinema, in sala con 01 Distribution in 300 copie, Beata ignoranza vede affontarsi due insegnanti di liceo, Ernesto (Marco Giallini) e Filippo (Alessandro Gassman). Il primo, unico possessore sul pianeta di un Nokia del 1995, è fiero della sua totale disconnessione dalla rete, mentre Filippo è iperconnesso, tremendo seduttore dentro e fuori dai social network. Gli studenti ovviamente lo amano per questo. "Lo smartphone è un'estensione dei vostri cervelli", dice Filippo ai suoi alunni.
I due professori si conoscono bene per un antico legame sentimentale con la stessa donna, Marianna (Carolina Crescentini), morta in un incidente. La figlia di Carolina, Nina (una brava Teresa Romagnoli al suo esordio), ricompare ora, ormai venticinquenne. Cresciuta per i primi 18 anni da Ernesto, è in realtà frutto del tradimento con Filippo.
Nina ha ricevuto l'incarico da un produttore di girare un documentario da vendere negli Stati Uniti sul "cambiamento dei rapporti umani nell'era di Internet". E propone dunque ai suoi due "papà" di scambiarsi i ruoli: uno vivrà per alcuni giorni completamente scollegato, l'altro dovrà imparare ad usare il web e i social network. Idea non nuova quella dello scambio ma sempre efficace nelle commedie fin dai tempi di Plauto. A questo punto scatta lo stesso effetto che Nanni Moretti aveva evidenziato con genialità in Caro diario, in cui un serissimo intellettuale studioso di Joyce diventa matto per la soap opera televisiva Beautiful.
Ma tutto sommato per il regista, Facebook è solo l'idea di partenza per esaminare il rapporto padre(i)-figlia e mettere a confronto due generazioni ma proprio la seconda parte del film si rivela quella meno approfondita, nonostante le indubbie capacità narrative e umoristiche di Massimiliano Bruno. Beata ignoranza conferma che le commedie odierne sono ancora il miglior indicatore dello stato del Paese, ma senza la grandezza spietata di quelle del passato.

BEATA IGNORANZA
di Massimiliano Bruno
sinossi
Ernesto (Marco Giallini) e Filippo (Alessandro Gassmann) hanno due personalità agli antipodi e un unico punto in comune: sono entrambi professori di liceo. Filippo è un allegro progressista perennemente collegato al web. Bello e spensierato è un seduttore seriale sui social network. E’ in grado di sedurre anche i suoi studenti grazie a un’app, creata da lui, che rende immediata la soluzione di ogni possibile calcolo. Ernesto è un severo conservatore, rigorosamente senza computer, tradizionalista anche con i suoi allievi, che fa della sua austerità un punto d’onore e vanta una vita completamente al di fuori della rete. E’ probabilmente l’ultimo possessore vivente di un Nokia del ’95. Un tempo erano “migliori amici” ma uno scontro profondo e mai risolto li ha tenuti lontani, fino al giorno in cui si ritrovano fatalmente a insegnare nella stessa classe. I loro punti di vista opposti li portano inevitabilmente a una nuova guerra. Saranno obbligati ad affrontare il passato, che ritornerà nelle sembianze di Nina, una ragazza che li sottoporrà a un semplice esperimento che si trasforma in una grande sfida: Filippo dovrà provare a uscire dalla rete ed Ernesto a entrarci dentro. Questo viaggio li cambierà profondamente, costringendoli a trovare un equilibrio, sempre più raro e delicato ai giorni nostri, tra la coscienza globale di chi si affida alla rete e la totale indifferenza di chi si ostina a resistere a oltranza all’epoca digitale.

titolo originale: Beata ignoranza
paese: Italia
anno: 2017
genere: fiction
regia: Massimiliano Bruno
durata: 102'
data di uscita: IT 23/01/2017
sceneggiatura: Massimiliano Bruno, Herbert Simone Paragnani, Gianni Corsi

cast: Marco Giallini, Alessandro Gassmann, Carolina Crescentini, Emanuela Fanelli, Teresa Romagnoli, Valeria Bilello, Riccardo D'Alessandro, Michela Andreozzi, Giuseppe Ragone, Malvina Ruggiano, Luca Angeletti

fotografia: Alessandro Pesci
montaggio: Consuelo Catucci
scenografia: Sonia Peng
costumi: Alberto Moretti
musica: Maurizio Filardo
produttore: Fulvio Lucisano, Federica Lucisano
produzione: Italian International Film (IIF), Rai Cinema
distributori: 01 Distribution


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Euterpe: è on-line il nuovo numero della rivista

Euterpe: è on-line il nuovo numero della rivista di letteratura e critica d’arte

Euterpe: è on-line il nuovo numero della Rivista di Letteratura Euterpe (rivistaeuterpe@gmail.com)

Gentilissimi, siamo felici di comunicarve l’uscita del n°22 della rivista di letteratura Euterpe che proponeva quale tema di riferimento: “La storia come testimonianza”.

Nella rivista sono presenti testi di (in ordine alfabetico): Ardizzoni Nerina, Baldazzi Cinzia, Bettarini Mariella, Bonanni Lucia, Buldrini Flavia, Butulescu Valeriu, Calabrò Corrado, Cardamone Alfonso, Carmina Luigi Pio, Carrabba Maria Pompea, Catanzaro Francesco Paolo, Chiarello Rosa Maria, Ciano Martino, Corigliano Maddalena, Cossa Marisa, Cuppini Alessandro, Curzi Valtero, D’Urzo Dominic, De Maglie Assunta, De Stasio Carmen, Di Sora Amedeo, Donà Franca, Falà Leila, Ferraris Maria Grazia, Ferraro Daniela, Fusco Loretta, Infante Maria Teresa, Inglima Emanuela, Innocenzi Francesca, Kostka Izabella Teresa, La Ferla Raffaella, Langella Giuseppe, Lania Cristina, Leali Maddalena, Linguaglossa Giorgio, Lopopolo Giulia, Luzzio Francesca, Maffia Dante, Maggi Marco G., Marcuccio Emanuele, Martillotto Francesco, Mastropietro Giulia, Melillo Antonio, Meloni Valentina, Pardini Nazario, Pavanello Lenny, Pellegrini Stefania, Perrone Cinzia, Piccolo Pina, Piergigli Matteo, Prediletto Vincenzo, Quaranta Provenzano Giulia, Ristè Marina, Samaria Giuliana, Sassano Pino, Silvestrini Maria Pia, Spagnuolo Antonio, Spurio Lorenzo, Squarcia Marco, Stanzione Rita, Taormina Emilio Paolo, Theophilo Marcia, Tiberio Ferreri Tina, Vara Antonella, Vargiu Laura, Veschi Michele, Zanarella Michela.

Di particolare interesse è la sezione saggistica del presente volume che si compone dei seguenti contributi:

Critica letteraria
‘Elsa Morante narratrice: note sullo stile e sulla lingua’ (Francesco Martillotto)
‘Il sogno di sé, come arte di romanzare e la scrittura-cura, come movente della narrazione nel romanzo Menzogna e sortilegio di Elsa Morante’ (Giuliana Samaria)
‘L’isola di Arturo: fuori del limbo non v’è eliso: il mito come alibi del tempo’ (Flavia Buldrini)
‘Elsa Morante: il realismo nel romanzo’ (Francesca Innocenzi)
‘Alibi, la poesia dimenticata di Elsa Morante’ (Marisa Cossu)
‘Die Mauer im Kopf, il muro nella testa’ (Giulia Mastropietro)
‘Il percorso della ragione dalla diseguaglianza al dominio’ (Cinzia Baldazzi)
‘La Storia come testimonianza: Elia Corti di Viggiù’ (Maria Grazia Ferraris)
‘Percy Bysshe Shelley e i personaggi marini’ (Nazario Pardini)
‘Ecce Homo. Sulla letteratura della guerra alpina’ (Giuseppe Langella)
‘Dal Risorgimento alla Resistenza: paesaggio e soggettività umana negli scritti di Luigi Mercantini, Giuseppe Ungaretti e Italo Calvino’ (Lucia Bonanni)

Critica d’arte
‘Trascendenza in John McCreaken’ (Antonio Melillo)
‘Tra postverità e postmoderno le esigenze della forma’ (Alfonso Cardamone)
‘Gli spazi teoremici nell’arte di Antonia Acri. Il comportamento tracciabile dell’artista’ (Carmen De Stasio)
‘Parola di libraio’ (Pino Sassano)

Articoli
‘Solitaire, solidaire’ (Amedeo Di Sora)
‘Il diario di Anna Frank’ (Marina Risté)
‘La storia come testimonianza’ (Valtero Curzi)
‘Dare una prova’ (Lenny Pavanello)
‘La storia come testimonianza’ (Maddalena Leali)
‘I cosacchi in Carnia. Nonna Virginia e il conciliabolo della presina’ (Loretta Fusco)
‘L’affascinante storia della cattedrale di Fano attraverso il volume di Gianni Volpe’ (Vincenzo Prediletto)
‘Castelli sullo Jonio: il castello di Cleto’ (Daniela Ferraro)
‘Le donne di Ravensbrück. Per non dimenticare’ (Maria Teresa Infante)

La rivista può essere letta e scaricata in formato pdf collegandosi al bottone del sito ‘Leggi i numeri della rivista’ o, per maggiore praticità, può essere raggiunta a questo link: https://drive.google.com/file/d/0B6xgoJG7qAofQkFKWUZjdm1tdlE/view

Ricordiamo, inoltre, che il tema del prossimo numero della rivista al quale è possibile ispirarsi sarà “La scrittura teatrale e i suoi interpreti”. I materiali dovranno essere inviati alla mail rivistaeuterpe@gmail.com entro e non oltre il 21 Maggio 2017 uniformandosi alle ‘Norme redazionali’ della rivista che è possibile leggere a questo link: http://rivista-euterpe.blogspot.it/p/norme-redazionali.html

È possibile seguire il bando di selezione al prossimo numero anche mediante Facebook, collegandosi al link: https://www.facebook.com/events/373189849732210/

Rivista di Letteratura ‘Euterpe’
Aperiodico online di letteratura dal 2011
Associazione Culturale Euterpe
c/o Via Toscana 3 - 60035 JESI (Ancona)
Tel. (+39) 327 5914963

www.rivistaeuterpe.blogspot.it - rivistaeuterpe@gmail.com
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Intervista a Emir Kusturica by Cineuropa


Intervista a Emir e Denia Kusturica in collaborazione con Cineuropa News.

Emir Kusturica • Direttore, Festival internazionale del film e della musica di Küstendorf
di Bénédicte Prot

25/01/2017 - Cineuropa ha incontrato il regista Emir Kusturica per parlare del concetto alla base del suo festival del cinema e della musica che si tiene ogni anno sulle montagne serbe.

'Küstendorf è un'Arca di Noè culturale per imparare il mestiere del cinema'

Dopo la proiezione del suo ultimo film 'Sulla Via Lattea' premiato a Venezia, e il successivo workshop dedicato a questa splendida opera alla decima edizione del Festival Internazionale del film e della musica di Küstendorf, che si tiene in un villaggio costruito inizialmente per le riprese del suo 'La vita è un miracolo', che ora è stato trasformato in un centro culturale locale e internazionale, oltre ad essere un polo economico per la regione montuosa di Zlatibor, in Serbia, Cineuropa ha incontrato Emir Kusturica per parlare del suo desiderio di tramandare il suo mestiere e le sue impressioni su ciò che significa oggi.

Cineuropa: Lei è ben noto per il suo attaccamento alle radici, cinematografiche e anche in senso più ampio. A che punto della sua vita ha sentito il bisogno di guardare al futuro - cioè, di prendere l'uovo appena fatto dalla gallina (per usare un'immagine presente nel suo nuovo film) e passarlo ai giovani aspiranti registi sotto forma di premio a forma di uovo?

Emir Kusturica: Il momento in cui mi sono trovato nella condizione di iniziare a ricordare intensamente ciò che è venuto prima è lo stesso in cui ho sentito che dovevo istituzionalizzare in qualche modo la mia idea di ciò che potrebbe essere il futuro, ed è così che è nato Küstendorf, e credo che sia stata una buona mossa: a dieci anni di distanza, vedo che le nostre uova si sono schiuse, dando vita ad alcuni buoni autori (come Edoardo De Angelis, Kohki Hasei...). I grandi festival sono troppo critici e concentrati sul mercato per contribuire ad aiutare i giovani. Qui cerchiamo di attivare il potere dei giovani e di godere dei bei film che realizzano, ma che raramente vengono visti. Li trovo molto più sinceri, molto più potenti dei film realizzati con la prospettiva di diventare parte del mondo commerciale.
All'inizio, abbiamo ricevuto 250 cortometraggi; ora il numero è salito a 500, e i film migliorano continuamente. Da quell'insieme, il nostro team di selezione sceglie da 20 a 40 titoli. Al di là del sistema dei premi, con i suoi tappeti rossi, cerchiamo di creare una comunità, una sorta di Arca di Noè culturale, che naviga attraverso l'uragano del tempo in sei giorni.

Durante il workshop da lei tenuto, ha parlato di cinema contro realtà - un argomento che anche Sorrentino ha affrontato quando era qui, come abbiamo visto nel clip riassuntivo del gala di apertura. È stato un argomento ricorrente in questi dieci anni di workshop?

Arrivo anche a dire che capire come tradurre la realtà in film è stato l'argomento principale - i registi della Nouvelle Vague (Agnès Varda, Jean-Luc Godard, ecc) l'hanno esplorato a fondo ai loro tempi. Oggi i giovani non distinguono tra finzione e ciò che ci circonda e chiamiamo vita reale. Sorrentino potrebbe aver esagerato nel chiamare ciò che stava facendo 'falso', ma è importante capire che nel momento in cui inizi a cambiare punto di vista, a usare la luce artificiale e a orientarla in un modo o in un altro, a scegliere un formato di obiettivo 50 al posto di un 25 o un 18, o a montare delle scene, cambia tutto. Ciò che proietti può essere potente, può essere organico, ma non è reale.
Oggi, la realtà è costantemente proiettata tramite YouTube, ma ciò non significa che sia realistico. Il semplice fatto che qualcuno abbia usato un certo obiettivo e abbia fatto certe scelte, escludendo il resto dal film, lo strappa subito via dalla realtà. È davvero importante che i giovani lo sappiano.

L'arrivo delle nuove tecnologie, come la realtà virtuale (che elimina letteralmente il fotogramma), potrebbe rendere labile questo confine?

Sì, e questo è il motivo per cui gli aspiranti registi devono capire che il cinema ha a che fare con l'architettura. Lo spettatore non deve saperlo - ciò che conta è quello che lui o lei prova - ma la forza trainante dietro ciò che chiamiamo cinema indipendente, oltre a tutti gli elementi specifici che compongono un film, è il tuo punto di vista, che determina come vedi le cose e come scegli il modo in cui vuoi rappresentarle. Giocare con il cinema come mezzo di espressione è costruire un'architettura speciale, la propria architettura, anziché imitare ciò che si vede. Molti sceneggiatori di grande talento hanno cercato di prendere una macchina da presa senza riuscire a usarla, e questo perché il cinema è un mestiere che si impara.

Le mancano limitazioni e vincoli in un mondo che offre tante - forse troppe - possibilità?

Assolutamente. Per esempio, ho un amico che scriveva sceneggiature assai migliori sotto un regime di regole più severe. (...) È una buona cosa che abbiamo così tanti modi per portare i film all'attenzione della gente - i cellulari, qualsiasi connessione internet, il cinema e così via - ma significa che dobbiamo davvero concentrarci sul fatto che il pubblico ha bisogno di essere guidato, di essere guidato da te, non solo colpito da te, e ciò è un compito molto impegnativo.

Cosa augura a Küstendorf nei prossimi dieci anni?

Cercheremo sempre di migliorare il nostro progetto, con ogni mezzo, ma mi piacerebbe anche che i prossimi dieci anni non andassero così veloce come gli ultimi dieci.

Intervista a Dunja Kusturica • Organizzatrice, Küstendorf Film Festival
di David González.

29/01/2016 - Cineuropa ha incontrato Dunja Kusturica, organizzatrice del Küstendorf Film & Music Festival, per saperne di più sull'evento, che ha presentato la sua nona edizione questa settimana.

Un festival dedicato alla creazione di legami tra registi emergenti e registi affermati?

Si tratta del Küstendorf Film & Music Festival, che il due volte vincitore della Palma d'Oro Emir Kusturica ha creato nove anni fa nella piccola località di Drvengrad/Küstendorf, ora attrazione turistica sulle montagne al confine serbo-bosniaco, costruita dal regista stesso. È infatti l'idea stessa di frontiera che mantiene lo spirito del festival: lì, studenti di cinema e maestri superano le distanze che li separano per creare un'atmosfera in cui l'apprendimento è un risultato facile e desiderato. Dunja Kusturica, programmatrice del festival, ha il compito di creare quest'atmosfera affiancando il padre. L'evento vanta una piccola ma ben curata selezione di lungometraggi, sezioni tematiche e un concorso per cortometraggi studenteschi, condito da concerti e abbellito da un paesaggio innevato.

Cineuropa: Qual è l'idea alla base del festival?

Dunja Kusturica: Il festival ha avuto luogo per la prima volta nel 2008, partendo dall'idea di presentare cortometraggi provenienti dalle scuole di cinema di tutto il mondo, in presenza dei registi. Quell'anno, abbiamo avuto Nikita Mikhalkov, e poi tramite i contatti di Emir, abbiamo riunito studenti e registi. Volevamo fare qualcosa che simulasse una piccola scuola di cinema, dove fosse possibile realizzare quest'incontro tra i giovani che sono ancora agli inizi e i registi affermati che possono insegnare loro qualcosa.

I cortometraggi studenteschi sono una parte molto importante del festival. È difficile per gli studenti di cinema trovare festival che li sostengano quando cominciano la loro ascesa alla fama?

Al nostro evento ciò è facile perché è un posto piccolo e l'atmosfera è rilassata, per cui vi è una maggiore probabilità di entrare in contatto con registi o produttori che potrebbero aiutare in un certo modo. Ad esempio, quest'anno proietteremo 'Blanka', film filippino realizzato dal regista giapponese Kohki Hasei, che ha vinto un premio qui anni fa. In seguito, grazie al festival, si è messo in contatto con i produttori che lo hanno aiutato a fare il film. In effetti, sono sempre più spesso i registi stessi che ci inviano i cortometraggi, e non le scuole di cinema, come una volta. Direi che oggi c'è più iniziativa da parte dei registi; si percepisce che hanno voglia di mostrare il loro lavoro già da studenti.

Avete pensato anche a selezionare lungometraggi studenteschi?

Sì, di solito li proiettiamo, come nel caso di Kohki. In passato, abbiamo anche organizzato una sezione con lungometraggi di registi che si erano presentati con corti in precedenza. Quest'anno, ne abbiamo rintracciato uno solo tra questi. Spero che avremo più persone l'anno prossimo.

Quali criteri segue quando seleziona gli altri lungometraggi?

L'obiettivo principale è quello di presentare film che sono ancora radicati nel cinema d'autore, di autori accessibili, che Emir può contattare e organizzare loro il viaggio e il soggiorno qui. Naturalmente, vogliamo avere film che sono in qualche modo impegnati socialmente, e così via.

Il festival proietta soprattutto film stranieri (d'autore). È stata una scelta deliberata?

Dipende dalla qualità dei film dell'anno. Per quanto riguarda il cinema serbo, quest'anno abbiamo avuto molti cortometraggi di qualità, ma non siamo riusciti ad avere un film che ci è piaciuto. Non è una decisione programmata a tavolino. Per quanto riguarda i film d'essai stranieri, in Serbia, c'è sicuramente un problema con la distribuzione. È molto raro vedere titoli d'essai nei cinema di Belgrado. Succede di rado, e se succede, non durano a lungo - i film di Hollywood dominano decisamente la zona. Ad esempio, un elemento importante di quest'edizione è la sezione Decolonizing Cinema. Ciò che ho trovato molto toccante in questi film d'autore selezionati è che parlano di personaggi o anche di mondi che mostrano ancora una sorta di ideologia, una fede nell'idea di libertà o di cambiare il mondo per renderlo un posto migliore. Penso che sia qualcosa che l'arte stia perdendo da un po'.

"Volevamo fare qualcosa che simulasse una piccola scuola di cinema."

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Tutte le ’nomination’ agli Oscar


Tutte le 'nomination' agli Oscar 2017.

'La La Land' fa incetta di nomination agli Oscar con un numero record di 14 candidature
di Naman Ramachandran

24/01/2017 - L'Europa domina la categoria Film Straniero, oltre ad avere una buona possibilità di vincere altri premi.

La La Land di Damien Chazelle (USA) ha continuato a mostrare la sua supremazia sulle nomination con un numero mozzafiato di 14 candidature agli Oscar, eguagliando quelle ottenute da Eva contro Eva e Titanic. Le nomination del preferito da critica e pubblico includono Miglior Film, Regia, Attore e Attrice rispettivamente per Ryan Gosling e Emma Stone, Fotografia per lo svedese Linus Sandgren, oltre che altre nella musica e nelle categorie tecniche.
L'Europa è stata la favorita nella categoria Film Straniero con le nomination per 'Land of Mine' di Martin Zandvliet (Danimarca), 'Toni Erdmann' di Maren Ade (Germania) e 'A Man Called Ove' di Hannes Holm (Svezia). Anche la co-produzione francese di Asghar Farhadi 'Il cliente' (Iran) è in lizza per la statuetta.
'A Man Called Ove' è inoltre presente nella categoria Miglior Trucco (Eva von Bahr e Love Larson). Altre candidature europee includono Isabelle Huppert nella categoria Miglior Attrice per 'Elle' di Paul Verhoeven, così come Meryl Streep per il titolo britannico di Stephen Frears 'Florence' (anche nella categoria Migliori Costumi per il lavoro di Consolata Boyle), una candidatura per la sceneggiatura per Yorgos Lanthimos e Efthimis Filippou per 'The Lobster', e 'Animali fantastici e dove trovarli' di David Yates nella categoria Miglior Scenografia (Stuart Craig, Anna Pinnock) e Migliori Costumi (Colleen Atwood).
Le categorie Miglior Documentario e Miglior Film d'Animazione vantano anche una presenza europea abbastanza grande. La co-produzione franco-belga-giapponese di Michael Dudok de Wit 'La tartaruga rossa' e il titolo franco-svizzero di Claude Barras 'La mia vita di zucchina' sono nominati nella prima, mentre il titolo vincitore dell'Orso d'Oro di Gianfranco Rosi 'Fuocoammare' e quello franco-americano-belga-svizzero di Raoul Peck 'I Am Not Your Negro' nella seconda.
Altre co-produzioni europee hanno ricevuto candidature, come 'Lion' di Garth Davis (co-prodotto dal Regno Unito, nominato in sei categorie, tra cui Miglior Film e Miglior Attore Non Protagonista per Dev Patel), 'Jackie' di Pablo Larrain (co-prodotto da Francia e Regno Unito, tre nomination tra cui Miglior Attrice per Natalie Portman), 'Animali notturni' di Tom Ford (co-prodotto dal Regno Unito, Miglior Attore Non Protagonista per Michael Shannon), 'Loving' di Jeff Nichols (co-prodotto dal Regno Unito, Miglior Attrice per Ruth Negga) e 'Ave, Cesare!' di Joel & Ethan Coen (una nomination tecnica).

Di seguito la lista completa dei candidati:

Miglior Film:
Arrival - Denis Villeneuve
Barriere - Denzel Washington
La battaglia di Hacksaw Ridge - Mel Gibson
Hell or High Water - David Mackenzie
Il diritto di contare - Theodore Melfi
La La Land - Damien Chazelle
Lion - Garth Davis
Manchester By the Sea - Kenneth Lonergan
Moonlight - Barry Jenkins
Miglior Regia
Denis Villeneuve - Arrival
Mel Gibson - La battaglia di Hacksaw Ridge
Damien Chazelle - La La Land
Kenneth Lonergan - Manchester by the Sea
Barry Jenkins - Moonlight
Miglior Attore Protagonista
Casey Affleck - Manchester by the Sea
Andrew Garfield - La battaglia di Hacksaw Ridge
Ryan Gosling - La La Land
Viggo Mortensen - Captain Fantastic
Denzel Washington - Barriere
Miglior Attrice Protagonista
Isabelle Huppert - Elle
Ruth Negga - Loving
Emma Stone - La La Land
Natalie Portman - Jackie
Meryl Streep - Florence
Miglior Attore Non Protagonista
Mahershala Ali - Moonlight
Jeff Bridges - Hell or High Water
Lucas Hedges - Manchester by the Sea
Dev Patel - Lion
Michael Shannon - Animali notturni
Miglior Attrice Non Protagonista
Viola Davis - Barriere
Naomie Harris - Moonlight
Nicole Kidman - Lion
Octavia Spencer - Il diritto di contare
Michelle Williams - Manchester by the Sea

Miglior Sceneggiatura Non Originale
Arrival - Eric Heisserer
Barriere - August Wilson
Il diritto di contare - Allison Schroeder e Theodore Melfi
Lion - Luke Davies
Moonlight - Barry Jenkins; Storia di Tarell Alvin McCraney
Miglior Sceneggiatura Originale
Hell or High Water - Taylor Sheridan
La La Land - Damien Chazelle
The Lobster - Yorgos Lanthimos, Efthimis Filippou
Manchester by the Sea - Kenneth Lonergan
20th Century Women - Mike Mills

Miglior Documentario
Fuocoammare - Gianfranco Rosi (Italia/Francia)
I Am Not Your Negro [+] - Raoul Peck (Francia/USA/Belgio/Svizzera)
Life, Animated - Roger Ross Williams
OJ: Made in America - Ezra Edelman
The 13th - Ava DuVernay

Miglior Film Straniero
Land of Mine - Martin Zandvliet (Danimarca/Germania)
A Man Called Ove - Hannes Holm (Svezia)
Il cliente - Asghar Farhadi (Iran/Francia)
Tanna - Bentley Dean, Martin Butler (Australia)
Toni Erdmann - Maren Ade (Germania/Austria)

Miglior Film d'Animazione
Kubo e la spada magica - Travis Knight
Oceania - John Musker, Ron Clements, Don Hall, Chris Williams
La mia vita di zucchina - Claude Barras (Svizzera/Francia)
La tartaruga rossa - Michael Dudok de Wit (Francia/Giappone/Belgio)
Zootropolis - Byron Howard, Rich Moore, Jared Bush

Miglior Fotografia
Arrival - Bradford Young
La La Land - Linus Sandgren
Lion - Grieg Fraser
Moonlight - James Laxton
Silence - Rodrigo Prieto

Miglior Colonna Sonora Originale
Jackie (Mica Levi)
La La Land (Justin Hurwitz)
Lion (Dustin O'Halloran, Hauschka)
Moonlight (Nicholas Britell)
Passengers (Thomas Newman)

Miglior Canzone Originale
"Audition" (La La Land)
"Can’t Stop the Feeling!" (Trolls)
"City of Stars" (La La Land)
"The Empty Chair" (Jim: The James Foley Story)
"How Far I'll Go" (Oceania)

Migliori Costumi
Allied - Joanna Johnston
Animali fantastici e dove trovarli - Colleen Atwood
Florence - Consolata Boyle
Jackie - Madeline Fontaine
La La Land - Mary Zophres

Miglior Trucco
A Man Called Ove - Eva von Bahr e Love Larson
Star Trek Beyond - Joel Harlow e Richard Alonzo
Suicide Squad - Alessandro Bertolazzi, Giorgio Gregorini e Christopher Nelson

Miglior Montaggio Sonoro
Arrival - Sylvain Bellemare
Deepwater - Wylie Stateman e Renée Tondelli
La battaglia di Hacksaw Ridge - Robert Mackenzie e Andy Wright
La La Land - Ai-Ling Lee e Mildred Iatrou Morgan
Sully - Alan Robert Murray e Bub Asman

Miglior Sonoro
Arrival - Bernard Gariépy Strobl e Claude La Haye
La battaglia di Hacksaw Ridge - Kevin O’Connell, Andy Wright, Robert Mackenzie e Peter Grace
La La Land - Andy Nelson, Ai-Ling Lee e Steve A. Morrow
Rogue One: A Star Wars Story - David Parker, Christopher Scarabosio e Stuart Wilson
13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi - Greg P. Russell, Gary Summers, Jeffrey J. Haboush e Mac Ruth

Migliori Effetti Speciali
Deepwater - Craig Hammack, Jason Snell, Jason Billington e Burt Dalton
Doctor Strange - Stephane Ceretti, Richard Bluff, Vincent Cirelli e Paul Corbould
Il libro della giungla - Robert Legato, Adam Valdez, Andrew R. Jones e Dan Lemmon
Kubo e la spada magica - Steve Emerson, Oliver Jones, Brian McLean e Brad Schiff
Rogue One: A Star Wars Story - John Knoll, Mohen Leo, Hal Hickel e Neil Corbould

Miglior Scenografia
Arrival - Scenografia: Patrice Vermette; Allestimento: Paul Hotte
Animali fantastici e dove trovarli - Scenografia: Stuart Craig; Allestimento: Anna Pinnock
Ave, Cesare! [+] - Scenografia: Jess Gonchor; Allestimento: Nancy Haigh
La La Land - Scenografia: David Wasco; Allestimento: Sandy Reynolds-Wasco
Passengers - Scenografia: Guy Hendrix Dyas; Allestimento: Gene Serdena

Miglior Cortometraggio Animato
Blind Vaysha - Theodore Ushev (Canada)
Borrowed Time - Andrew Coats e Lou Hamou-Lhadj
Pear Cider and Cigarettes - Robert Valley e Cara Speller (Canada)
Pearl - Patrick Osborne
Piper - Alan Barillaro e Marc Sondheimer

Miglior Cortometraggio
Ennemis Intérieurs - Sélim Azzazi (Francia)
La Femme et le TGV - Timo von Gunten (Svizzera)
Silent Nights - Aske Bang (Danimarca)
Sing - Kristof Deák (Ungheria)
Timecode - Juanjo Giménez (Spagna)

In collaborazione con CINEUROPA NEWS

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Il grande cinema in collaborazione con Cineuropa

Programma di prima scelta per MyFrenchFilmFestival
di Fabien Lemercier

16/01/2017 - Al via il 7° festival online organizzato da UniFrance, accessibile su circa 40 piattaforme del mondo fino al 13 febbraio.

Evento sempre più popolare con 6,5 milioni di visualizzazioni l’anno scorso in 206 paesi, torna MyFrenchFilmFestival, la manifestazione su Internet guidata da UniFrance. Dal 13 gennaio al 13 febbraio, 10 lungometraggi e 10 corti sono in programma nella competizione di questa 7a edizione lanciata venerdì sera a Parigi alla presenza di tutti i membri della Giuria dei Cineasti presieduta quest’anno dall’argentino Pablo Trapero, affiancato dal belga Fabrice Du Welz, i francesi Rebecca Zlotowski e Bertrand Bonello, e l’israeliano Shlomi Elkabetz. La giuria assegnerà il Premio dei Cineasti, mentre gli internauti attribuiranno il premio del Pubblico e cinque giornalisti stranieri quello della stampa internazionale.

La selezione 2017 è accessibile e sottotitolata in dieci lingue direttamente sul sito MyFrenchFilmFestival o attraverso circa 40 piattaforme partner (tra cui iTunes in più di 90 paesi, Amazon e Google Play). Da notare che i cortometraggi sono gratuiti in tutto il mondo, mentre i lungometraggi sono a pagamento (1,99€ per film o 5,99€ il pacchetto), tranne che in Africa, America Latina, India, Polonia, Romania e Russia, dove il festival è gratuito.

Il programma dei lungometraggi in competizione è particolarmente interessante e rappresentativo di una giovane generazione di cineasti molto promettenti, con 'Les Ogres' di Léa Fehner, 'Bang Gang' (Une histoire d'amour moderne) di Eva Husson, 'Peur de rien' di Danielle Arbid, 'Ce sentiment de l'été' di Mikhaël Hers, 'Je ne suis pas un salaud' di Emmanuel Finkiel, 'Irréprochable' di Sébastien Marnier, 'Le Nouveau' di Rudi Rosenberg, 'Marguerite et Julien' di Valérie Donzelli, 'Je suis à vous tout de suite' di Baya Kasmi e 'Préjudice' del belga Antoine Cuypers.

Il programma è completato da tre lungometraggi fuori concorso 'Moka' dello svizzero Frédéric Mermoud, 'Les Démons' del canadese Philippe Lesage e l’opera del patrimonio 'Cléo de 5 à 7' di Agnès Varda) per un totale di 29 titoli presenti suddivisi quest’anno in categorie tematiche (Coming of Age, We Are Family, Love & Friendship, Psycho, A Woman's Life, Midnight Screenings). Si segnalano infine le proiezioni pubbliche dei film che saranno organizzate attraverso il circuito internazionale di Istituti Francesi.

De Rome à Paris: il cinema Italiano incontra pubblico e industria francese
di Camillo De Marco

16/01/2017 - Indivisibili apre la rassegna di 10 titoli inediti. Una sessione speciale di incontri è dedicata al networking tra distributori francesi e venditori e produttori italiani.
Sarà 'Indivisibili' di Edoardo De Angelis, Premio Pasinetti per il Miglior Film ai Venice Days di Venezia 2016, ad aprire la nona edizione della rassegna De Rome à Paris, che si svolgerà nella capitale francese dal 19 al 22 gennaio presso il Cinema Arlequin. Promossa dalla Direzione Cinema del MibacT e organizzata da Istituto Luce Cinecittà con la collaborazione di Unefa, Anica e Ice, l’appuntamento parigino prevede le proiezioni, aperte al pubblico, di 10 opere cinematografiche italiane inedite in Francia, in versione originale con sottotitoli francesi. L’obiettivo è di far conoscere al pubblico parigino il più recente cinema italiano, ma ‘De Rome à Paris’ è diventata anche una opportunità per i distributori francesi di vedere la performance di film inediti con il grande pubblico e un’occasione di incontro con i colleghi italiani.

I film in programma, oltre a 'Indivisibili', sono '2night' di Ivan Silvestrini; 'Piccoli crimini coniugali' di Alex Infascelli; 'Falchi' di Toni D’Angelo; 'La cena di Natale' di Marco Ponti; 'Piuma' di Roan Johnson (in concorso alla Mostra di Venezia 2016); 'Acqua e Zucchero'di Carlo Di Palma, 'I colori della vita' di Fariborz Kamkari; 'Tommaso' di Kim Rossi Stuart; 'Fräulein. Una fiaba d’inverno' di Caterina Carone; 'Babylon Sisters' di Gigi Roccati.
Ogni proiezione verrà introdotta dal critico cinematografico Enrico Magrelli e dal regista o attore del film. A seguire Q&A con il pubblico. Per rafforzare i legami tra le due industrie, per la prima volta una sessione speciale di incontri pre-organizzati è dedicata al networking tra distributori francesi e venditori e produttori italiani. La mattina del 20 gennaio i buyer francesi avranno l’opportunità di rinnovare conoscenze di lunga data, instaurare nuove relazioni e scoprire film e progetti italiani con qualche settimana di anticipo rispetto allo European Film Market di Berlino.

WEMW svela la selezione finale di Last Stop Trieste e First Cut Lab
di Cineuropa.

16/01/2017 - La settima edizione dell’evento prenderà ufficialmente il via il 22 gennaio con il nuovo doppio focus su Francia e Paesi Baltici.
Tutto pronto per la settima edizione di When East Meets West, il forum di co-produzione che prenderà ufficialmente il via domenica 22 gennaio con il nuovo doppio focus su Francia e Paesi Baltici. Dopo aver annunciato i progetti in sviluppo selezionati per il pitching forum (leggi la news), WEMW svela la selezione finale delle due iniziative in programma rivolte a progetti in fase di post-produzione.

Last Stop Trieste - sezione work in progress curata assieme al Trieste Film Festival - presenterà 5 documentari ad un pubblico internazionale di sales agents, responsabili di festival e rappresentanti di broadcaster. Una giuria internazionale composta da Rudy Buttignol (Knowledge Network), Catherine Le Clef (CAT&Docs) e Claudia Schreiner (MDR), assegnerà l’HBO Europe Award, premio in denaro di 2 mila euro, e il Flow Digital Cinema Award, un esclusivo full digital cinema package offerto da Flow Postproduction.
Spazio anche alla finzione, grazie al workshop First Cut Lab - programma rivolto a lungometraggi in fase di montaggio - 3 team di produttori e registi provenienti da Estonia, Slovenia e Ucraina riceveranno preziosi feedback da un montatore e da 10 esperti internazionali con l’obiettivo di aumentare il potenziale artistico e le possibilità distributive del proprio film.

Oltre al co-production forum e a queste due sezioni collaterali, When East Meets West prevede un programma denso di appuntamenti, tra cui il “WEMW Coproduction Day” organizzato in collaborazione con i Creative Europe Desk di Francia, Italia e Paesi Baltici, la sessione a cura di EAVE ”Shake up in the Digital Marketplace”, il panel ”How to Attract New Funding Players” organizzato in collaborazione con l’ambasciata di Francia in Italia, e infine, grazie alla partnership con EWA – il network europeo dedicato alle professioniste dell’audiovisivo – la sessione “Women in the European Film Industry – Success Stories and Challanges”.

WEMW ha annunciato anche la collaborazione con Festival Scope Pro, la piattaforma B2B dove sarà possibile vedere la selezione completa dei progetti di WEMW e i precedenti lavori dei registi.
I progetti Last Stop Trieste:
About Stops, Runs and Bananas - Arūnas Matelis (Lituania)
Produttore: Algimantė Matelienė (Nominum)
Country for Old Men - Pietro Jona, Stefano Cravero (Italia)
Produttore: Enrica Capra (Graffiti Doc)
In Praise of Nothing - Boris Mitic (Serbia/Croazia)
Produttore: Boris Mitic (Dribbling Pictures)
The Runners - Łukasz Borowski (Polonia)
Produttore: Zuzanna Krol (Wajda Studio)
Ultra - Balázs Simonyi (Ungheria/Grecia)
Produttori: László Józsa, Bálazs Simonyi (Speak Easy Project)
I progetti First Cut Lab:
Scandinavian Silence - Martti Helde (Estonia)
Produttore: Elina Litvinova (Three Brothers)
Stories from the Chestnut Woods - Gregor Božic (Slovenia)
Produttore: Marina Gumzi (Nosorogi)
When the Trees Fall - Marysia Nikitiuk (Ucraina)
Produttori: Igor Savychenko, Roman Klympush (Directory Films)

La grande vivacità del nuovo cinema europeo a Bergamo
di Camillo De Marco.

13/01/2017 - Nella sezione “Europe, Now!” le personali di Thanos Anastopoulos (Grecia), Dominique Cabrera (Francia) e Dagur Kári (Islanda.
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Prende corpo la 35a edizione di Bergamo Film Meeting, che si svolgerà dall’11 al 19 marzo 2017: alla già annunciata ampia retrospettiva dedicata al pluripremiato regista ceco Miloš Forman si affiancheranno le giovani promesse del cinema contemporaneo. Sostenuto anche nel 2017 dall’Unione Europea attraverso il sottoprogramma MEDIA di Europa Creativa, il Festival riserverà infatti uno sguardo particolare al cinema del nostro continente, non solo attraverso le novità della Mostra Concorso e dei film documentari, ma anche con la sezione “Europe, Now!”, che proporrà le personali complete di tre registi emergenti: il greco Thanos Anastopoulos, la francese Dominique Cabrera e l’islandese Dagur Kári.
Thanos Anastopoulos, approdato al Festival di Cannes 2016 con il documentario 'L’ultima spiaggia', co-diretto con il triestino Davide Del Degan, terrà una masterclass il 17 marzo a Brescia presso LABA - Libera Accademia di Belle Arti. A seguire, si proietterà L’ultima spiaggia alla presenza del regista. L’ultimo film di Dominique Cabrera, 'Corniche Kennedy', da un romanzo della scrittrice Maélys de Kerangal e interpretato dalla giovane Lola Creton, sarà presentato in anteprima italiana al Bergamo Film Meeting alla presenza della regista di fiction e di documentari, nonché attrice, produttrice, docente e scrittrice.

Brillante esponente della nuova e vivace cinematografia islandese, Dagur Kári sarà presente a Bergamo Film Meeting e terrà una masterclass alla Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti di Milano, preceduta dalla proiezione di Nói albinói. Il 24 marzo sarà proiettato a Brescia 'Virgin Mountain', presentato in anteprima mondiale alla Berlinale 2015, vincitore del Nordic Council Film Prize 2015 e trionfatore al Tribeca Film Festival con tre premi: miglior film, sceneggiatura e attore (Gunnar Jonsson).
Ai registi della sezione Europe, Now! Bergamo Film Meeting dedica anche l'immagine ufficiale della 35a edizione, declinata in tre varianti e ispirata alle atmosfere dei film Correction di Thanos Anastopoulos, Le Lait de la tendresse humaine di Dominique Cabrera e 'Dark Horse' di Dagur Kári.

Il Montenegro istituisce un Film Centre
di Vladan Petkovicò.

13/01/2017 - Gli ultimi giorni del 2016 hanno visto il Montenegro diventare l'ultimo Paese dell'ex Jugoslavia a fondare un ente cinematografico ufficiale
Il Film Centre del Montenegro è stato istituito negli ultimi giorni del 2016. Questo rende il territorio l'ultimo Paese dell'ex Jugoslavia a fondare un ente cinematografico ufficiale.

Il direttore del Film Centre, il produttore Sehad Čekić (Lowdown, The Ascent, Look at Me), ha detto a Cineuropa: "Il Film Centre è modellato sulle pratiche di successo della regione, e le sue attività principali consisteranno nel gestire il fondo del cinema e nell'offrire sostegno alle nuove produzioni cinematografiche, promuovere il cinema montenegrino e il suo potenziale per le produzioni internazionali, oltre a una serie di attività in materia di festival, migliorando le capacità professionali e i programmi di formazione.
"L'idea è che il Film Centre sia un'agenzia proattiva con un piccolo numero di dipendenti, in modo che possa concentrarsi su progetti e attività che miglioreranno l'ambiente per lo sviluppo e la promozione del cinema del Montenegro.
Oltre a Čekić, il consiglio di fondazione del Film Centre comprende il regista-produttore Gojko Kastratović, la teorica del cinema Maja Bogojević, e il giornalista e critico cinematografico Vuk Perović. Secondo Čekić, il consiglio si concentrerà per prima sullo stabilire il quadro giuridico e normativo, nonché sulla promozione del Film Centre e del cinema nazionale.
"L'istituzione del Film Centre è un evento fondamentale per la comunità cinematografica del Montenegro, che adesso avrà un quadro istituzionale adeguato per lo sviluppo e il progresso del cinema in tutti i suoi aspetti," ha detto a Cineuropa il Ministro della Cultura del Montenegro, Janko Ljumović. "È un atto di politica responsabile verso il settore audiovisivo, che è una delle parti più significative sia delle culture nazionali che dell'identità culturale europea. È proprio la dimensione europea e regionale dello sviluppo del cinema montenegrino il punto di partenza per la fondazione del Film Centre. "
Il Montenegro è membro di Europa Creativa, e nel 2016, il Paese ha prodotto il suo film di maggior successo a livello internazionale fin dalla sua indipendenza nel 2006, The Black Pin [+] di Ivan Marinović, presentato in anteprima mondiale in concorso a Sarajevo e che ha continuato a visitare una sfilza di festival internazionali. È attualmente nelle sale in patria e in Serbia.

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Omaggio a Zygmunt Bauman

Omaggio a Zygmunt Bauman … nel giorno del ricordo.

 

"La nostra vita è un'opera d'arte,

che lo sappiamo o no,

che ci piaccia o no. . . .

Che lo vogliamo o no.”

 

Leggi: Zigmunt Bauman ... "O la coscienza liquida" - saggio di Giorgio Mancinelli in larecherche.it argomento filosofia / sociologia.

 

Leggi:Zigmunt Bauman ... "Paura Liquida" - Saggio / Recensione libro in larecherche.it argomento sociologia.

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Stelle di Carta e Strenne di Natale di tutto un po’

STELLE DI CARTA E STRENNE DI NATALE

(poesia, libri, arte, musica, cinema, teatro, viaggi, vacanze)

(prima parte)

 

“Stanotte” ( GioMa 1965)

Stanotte le stelle sembrano più belle

brillano di più

cercando in cielo si scorge un volo

si sente un canto

sono angeli in coro che nella notte buia

annunciano ‘Alleluja!’

danzar sembra vederle per come son contente

sembrano fiammelle

stanotte i cuori divengono più buoni e

nel cielo azzurro d’un azzurro cupo

la luna brilla a consolar le genti

affinché s’amino di più

stanotte …

 

Trascorrere le vacanze di Natale nella pace quotidiana in seno alla famiglia, nella casa addobbata a festa, prostrarsi davanti al Presepe di sughero o di carta o bearsi alla luce delle candeline accese sull’albero, come ho appena fatto io nel riproporvi una filastrocca natalizia significa vivere i ricordi o, se preferite, rivivere i momenti più belli dell’infanzia, assaporando i deliziosi piatti della cucina casareccia e i gustosi dolci della tradizione, pur sempre da condividere con gli altri. Con tutti coloro che conservano certi ricordi ed anche, con quanti non ne hanno o li hanno persi nel corso della loro esistenza; o che li hanno dovuti abbandonare a causa della mostruosità delle guerre, degli incombenti terremoti, delle fughe da tutto e da tutti. Ed anche con i tanti diseredati degli affetti più cari e che trovano rifugio nella solitudine, o chi si chiude nella triste dimensione d’uno spirito asociale.

 

«Di là dalle idee, di là da ciò che è giusto e ingiusto, c’è un luogo. Incontriamoci là» (Mawlānā Jalāl al-Dīn Rūmī – Poeta persiano)

 

Ancor più Natale vuol dire il rinnovarsi dello ‘spirito guida’ della nostra esistenza, altrimenti per quale ragionevole motivo siamo chiamati a continuare a vivere in questo isolato universo? Se non per essere affrancati dalla solitudine e cercare nell’incontro con gli altri un motivo di sopravvivenza reciproca. Trovo alquanto inutile sollevarci da questa vicendevole incombenza se la caducità della nostra vita annulla con un solo colpo di spugna tutto ciò che di buono e di bello abbiamo saputo preservare e, quant’altro abbiamo ricreato a immagine e somiglianza di ciò che d’immenso ci è consegnato seppure temporaneamente. Dovremmo ricordarci più spesso che non tutto ci è dato gratuitamente, che ogni cosa, nel bene e nel male ha un costo, finanche l’effimera ‘bellezza’ che pure rincorriamo, ha un suo valore intrinseco, e quindi un prezzo talvolta eccessivo, sovrabbondante, smisurato, e che non va sprecato inutilmente.

 

Per quanto oggi, va detto, ci troviamo davanti a una svolta epocale che segna il passo con ciò che, in certo qual modo, confermava una certezza antica come il Natale e le tradizioni in genere, tutto è rimesso in discussione dalle scelte, analizzate e valutate da centri specializzati altamente tecnologicizzati, che nella spinta ad andare avanti, pur trovano un momento d’arresto, quasi di sgomento di fronte al nuovo che incombe, lasciando ampi spazi a quell’atavica ‘paura’ che occupa gli anfratti più reconditi della nostra anima e di quei nostri sentimenti che sono l’essenza del vivere quotidiano e che ci permettono di riconoscere negli altri noi stessi, e di accoglierli fraternamente con gesti di sostegno e solidarietà.

 

Gesti questi che a volte richiedono una ferma volontà di condivisione di quel poco che abbiamo e che pure talvolta va sperperato per negligenza, quanto addirittura negato per ignavia o avidità di accumulo e di possesso. Liberiamoci quindi da tutto questo e andiamo incontro agli altri accelerando l’avanzata di un futuro di ‘pace’ nel segno della ‘misericordia’, con quell’amore e quella bellezza che vorremmo riservata a noi stessi ...

 

Con "Quell'amore che move il sole e l'altre stelle" (Dante)

 

¶ «Eppure.. nulla è mai come sembra e nulla accade per caso. A volte la vita è migliore di quanto non sembri, a volte no.» … scrive Stefano Pavesio nella sua opera d'esordio ‘Come foglie al vento’ - EEE editore, l’ e-book fantasy presente su tutti i webstore. www.edizioniesordienti.com. Leggiamone insieme una breve sinossi: “Cinque ragazzi, residenti in anonimi e sonnolenti paesini delle colline astigiane, vedranno le loro vite sfiorate da eventi sempre più funesti, fino a diventarne parte loro stessi, scoprendo, forse senza nemmeno accorgersene, che il male non può che generare altro male e che tutto quel che accade non sempre è dettato da una personale volontà, ma accade semplicemente perché deve accadere, perché, al di là delle scelte soggettive, ci sono delle forze che guidano gli avvenimenti secondo uno schema prestabilito di ampio respiro, che porterà le loro esistenze negli anni 80-90 a intrecciarsi con vicissitudini legate agli anni della seconda guerra mondiale e alle vite di persone solo all’apparenza completamente slegate dalle loro. Ogni azione, per quanto piccola o insignificante possa apparire, ne scatena altre, talora quasi impercettibili, talora dirompenti.”

 

Dal redazionale di presentazione al libro: “Esiste un filo conduttore che regola il trascorrere di ogni vita, un filo che si srotola da una matassa che non conosce limiti spaziali e temporali, un filo sottile, quasi invisibile, ma resistente, indistruttibile, un filo che avvolgerà intorno a sé differenti esistenze trascinandole inesorabilmente verso un unico punto di confluenza, pur lasciando loro l’illusione di poter disporre delle proprie decisioni, un filo che avvolgerà allo stesso modo gioia e dolore, vita e morte, violenza e amore, legandoli insieme indissolubilmente. Un filo che, al di là dei mondi concreti e reali noti a tutti, lambirà sfere meno considerabili dalle menti più razionali, come quelle che sembrano donare una volontà malvagia a un borgo abbandonato e al bosco che lo circonda o come quelle che chiamano in gioco la presenza delle maschere o che sembrano suggerire un gatto albino come un’occulta presenza latrice di sventura.” «Non sempre tutto quel che accade è comprensibile. Non tutto quel che accade è accettabile, tuttavia nulla, nulla accade per caso.» (Pavesio)

 

Colgo l’occasione del Natale per segnalare qui di seguito le molte sfaccettature del ‘nuovo che ci viene incontro’ e che, in qualche modo, annuncia evidenti passi in avanti in letteratura come in poesia e in musica, nei libri, nel cinema e nel teatro, come pure nelle diverse opportunità di viaggio e delle vacanze.

 

¶ Di grande interesse l’iniziativa editoriale di Anterem Edizioni titolata “Opera Prima”, una ‘collana di poesia’ dedicata ad autori inediti in volume e sostenuta criticamente ed economicamente da un Consiglio Editoriale formato da note personalità della critica letteraria e della filosofia, oltre che da poeti e artisti. Tale Comitato è affiancato da un Consiglio dei garanti costituito da Eugenio Borgna, Umberto Galimberti, Vincenzo Vitiello. La collana (fondata nel 2003) viene pubblicata in coedizione da Anterem e Cierre Grafica è diretta da Flavio Ermini.

L’intento è far sì che la pubblicazione apra all’autore la possibilità di entrare in contatto con i settori intellettualmente più vivaci del mondo letterario, filosofico e artistico. Tale gesto editoriale ha un’ambizione: non far ricadere i costi editoriali e di distribuzione sull’autore. A questo proposito la Direzione, il Consiglio editoriale e il Consiglio dei garanti mettono a disposizione la loro esperienza gratuitamente. I tre organismi hanno il duplice compito di garantire la qualità delle scelte editoriali e di sostenere totalmente il costo della pubblicazione.

L’iniziativa costituisce un vero e proprio evento. Non è frequente, infatti, la costituzione di un gruppo di intellettuali che produce e promuove, in modo assolutamente disinteressato, una collana di poesia dedicata ad autori inediti. Così come è raro in questi anni un impegno editoriale nei confronti dei nuovi poeti. “Opera Prima” si avvale della preziosa collaborazione del sito www.poesia2punto0.com - www.anteremedizioni.it/opera_prima_7

 

¶ Tra gli eventi che hanno segnato quest’anno che sta per trascorrere sono di un certo rilievo sia la produzione letteraria de larecherche.it con il richiamo all’attenzione sulla pubblicazione on-line dell’e-Book n. 204 della collana “Libri liberi” in occasione del 145° anniversario della nascita di Marcel Proust, intitolato “TRENI”: Linee e coincidenze proustiane; a cura di Giuliano Brenna e Roberto Maggiani e realizzazioni grafiche di Lisa Merletti. Si rammenta inoltre che “Libri Liberi” consta di più di 200 volumi scaricabili gratuitamente in formato pdf, epub e mobi (Kindle) direttamente dal sito www.larecherche.it/librolibero_ebook.asp?Id=208.

 

Ben 55 sono gli autori, ‘I Ferrovieri’, intervenuti coi loro scritti originali tutti degni di essere letti; mentre il Viaggiatore/i, caro lettore/i, sei Tu al quale va l’augurio di una felice lettura.

Inoltre l'invito a partecipare al contest poetico-letterario "Il giardino di Babuk - Proust in Italie" a partecipazione aperta e gratuita il cui bando è possibile scaricare sul sito medesimo.

 

¶“Muovimenti – segnali da un mondo viandante” – Antologia della e sulla migrazione è una pubblicazione di Terra d’ulivi edizioni di Elio Scarciglia – curatori: Bartolomeo Bellanova, Pina Piccolo, Lucia Cupertino, Gassid Mohammed. www.lamacchinasognante.com. L’antologia nasce dal lavoro di oltre sei mesi svolto dai curatori, fondatori insieme ad altri amici del contenitore on line di scritture dal mondo che hanno sentito la necessità di raccogliere segnali provenienti dai movimenti che coinvolgono ogni anno sessanta milioni di persone, attori di migrazioni spinti da guerre, persecuzioni etniche, fame, desertificazione o semplicemente per realizzare il proprio progetto di vita, famiglia, lavoro o studio.

La dimensione della migrazione è, quindi, una caratteristica primaria, ontologica, dell’esistenza. Chi può pensare che un continente abbia un padrone come se fosse un latifondo? E soprattutto chi può decretare che i padroni sono coloro che lo abitano e non anche chi, nel corso delle sue migrazioni, lo va ad abitare, come è accaduto per lungo tempo all’arrivo in Europa di molti dei nostri antenati? Che forse non sono gli europei discendenti da popoli arrivati dall’Asia e dall’Africa, dall’Egitto, dalla Persia, dalla Turchia, dalle steppe russe degli Urali?

 

Nota: Il ricavato della vendita di ogni libro, dedotti i costi dell’editore, verrà interamente devoluto all’associazione non profit “Amal for Education” per creare un ponte ideale con i bambini e i ragazzi siriani devastati da cinque anni di guerra civile.  http://www.edizioniterradulivi.it/muovi-menti-segnali-d…/131

 

¶ Ed eccoci davanti a una sorta di ‘stravagante vaghezza di vivere’ che pure trova nella ‘poesia’ così detta la ragione d’ogni propria esistenza letteraria … è questa una definizione che ben si attaglia al nostro comune amico Carlos Sanchez che per l’occasione ci ha inviato una significativa poesia dell’argentino Raúl Gustavo Aguirre (1927 – 1983):

 

“Il Poeta Perduto”

Oggi ho incontrato per strada un vecchio amico che scriveva poemi, delicati, modesti e raggianti poemi. E l'amico mi raccontò che in un altro tempo la poesia fu un'indagine del suo essere che la poesia fu un bel momento della sua vita che poi si sposò, ebbe figli, e ora lottava duramente per il pane dei suoi e non scriveva più poemi perché ormai non aveva bisogno di scriverli. E io gli dissi che mi sembrava molto bene: vivi nel poema vero che è vivere con quelli, per quelli che ami. E il mio amico andò via, il suo viso triste e le sue spalle curve, e io pensai che ognuno ha diritto a vivere come può, ma un sentimento mi diceva in fondo che in lui c’era qualcosa di sconfitto che se uno ha combattuto per scuotere la polvere dalle parole e lo splendore delle parole gli brucia fino al midollo, non può più tornare indietro perché allora i vampiri avanzano e perfino Rimbaud, se dobbiamo credere a sua sorella, comprese nella sua agonia che bisogna morire lottando per il poema di sempre.

 

“El Poeta perdido”

Hoy encontré en la calle a un viejo amigo que escribía poemas, delicados, modestos y radiantes poemas. Y me contó el amigo que en otro tiempo fue la poesía una indagación de su ser, que fue la poesía un hermoso momento de su vida, que después se casó, tuvo hijos, y ahora peleaba duramente por el pan de los suyos y no escribía más poemas porque ya no necesitaba escribirlos. Y yo le dije me parece muy bien: vives en el poema verdadero que es vivir con aquellos, por aquellos que amas. Y mi amigo se fue, su rostro triste y sus espaldas encorvadas, y yo pensé que cada uno tiene derecho a vivir como puede, pero en el fondo un sentimiento me decía que en él había algo vencido, que si uno peleó por sacudirle el polvo a las palabras y el resplandor de las palabras le quemó hasta los tuétanos, ya no se puede ir para atrás porque entonces los vampiros avanzan y hasta Rimbaud, si hemos de creer a su hermana, comprendió en su agonía que hay que morir peleando por el poema de siempre.

 

Di carlos Sanchez vanno qui citate almeno le sue due raccolte: “La poesia, le nuvole e l’aglio” (collana “I Poeti di Smerilliana”, ed. Lìbrati, Ascoli Piceno, 2009), “Ricordati che non sai ricordare” (ed. Lìbrati, Ascoli Piceno, 2010), dai quali è tratta la selezione apparsa su larecherche.it nella sezione ‘saggi’.

 

«La poesia è uno dei più bei soprannomi che diamo alla vita» – (Jacques Prevert)

 

¶ C’è una poesia che scorre silenziosa lungo il crinale della sofferenza, talvolta solo interiore, perché insormontabile è il dolore che l’ha causata. È allora che questa si mostra a noi come una forza ctonia, allorché la ragione oscura della sopravvivenza richiede un atto di forte solidarietà che la contenga. Ben lo sa il poeta la cui emotività afferra gli spasimi dei sentimenti assopiti nel dolore, quello stesso che, in certo qual modo, esplode nell’anima prima di addivenire verso, parola lirica e canto, prima d'essere preghiera, ancor prima di farsi pianto, cui alcun fiume può contenere le lacrime sparse … è indubbiamente questo il contenuto dell’opera poetica di ‘Nel bosco senza radici’ – la raccolta di Amina Narimi, (Terra d’Ulivi Editore 2015) recensita in ‘saggi’ su questa stessa rivista:

 

“Eppure tutto è ancora oscuro mentre segreto ci plasma e ci àncora un volto nuovo, nuova la spinta ad amare un attimo prima di nascere un istante prima di dimenticare …”

 

“..tra la crisalide e la rosa ricomposta c’è un dono che si sporge dalle labbra, danzando per minuscole fiammelle da un punto di paura allo splendore.”

 

Amina Narimi, ancor prima d’essere poeta è una tessitrice di trame che d’un arcano sembiante portano il segreto. Un lontano afflato confidenziale che la restituisce alla natura genitrice di quell’eredità ancestrale, mai venuta meno, che ha attraversato deserti, valicato montagne, navigato fiumi scorsi a cercare l’immensità di quel mare che un giorno, forse troverà, ma solo quando l’incoffessato e profondo amore per la vita, si tacerà dal ridestare i fantasmi del creato, nei suoi versi.

 

Il passaggio dalla poesia alla musica e al canto è qui doveroso perché sono entrambe espressioni della vita che scorre, di quel valicare ‘i confini’ del nostro essere quotidiano nell’incontro con lo spirito eterno che ci guida.

 

«Esistono luoghi in musica dove i confini sono indefiniti, dove le definizioni sono obsolete e per questo inutili.» (Fred Ho)

 

Per quanto ritengo che la ‘musica’ possa ancora oggi far parlare di sé nelle espressioni della sperimentazione e creatività artistica del Jazz in tutte le sue combinazioni: dal classic al free, dal cool all’ethnic, dal bee-bop alle avanguardie post-moderne e ultramoderne che vanno esplorando ambienti e spazi fin qui inusitati, sia in a-solo che in gruppo e che fanno ormai da ‘soundtrack’ ai momenti più esaltanti del nostro vivere.

 

¶ È questo il senso dell’eclatante Sade Farida Mangiaracina, talentuosa interprete e compositrice che, già giovanissima, vanta grandi collaborazioni e tournée internazionali, della quale è da poco uscito il suo primo album per piano solo "La Terra dei Ciclopi", special guest Luca Aquino, per la Inner Circle Music - etichetta discografica statunitense guidata da Greg Osby. "La Terra dei Ciclopi" nasce dall'amore incondizionato di Sade per la sua terra, la Sicilia: ognuno dei dieci brani è una fotografia che ne ritrae luoghi e persone, una popolazione dai tratti differenti, nordafricani ma anche nordeuropei, «padroni di una terra martoriata, che tutto dà e tutto prende». Un lavoro lirico, pieno di emozione ed atmosfere evocative, rese ancora più profonde dal grande talento pianistico di Sade e dal suo interplay nei brani "Ballarò" e "Sugnu tutta pi tia" con Luca Aquino, impegnato con tromba e flicorno.

 

Ma leggiamo insieme la recensione apparsa su Musica Jazz in occasione del ‘Festival Bari in Jazz’, firmata da Alceste Ayroldi:

 

"Sade Mangiaracina scompone la tradizione sicula incastonata in "Ciuri Ciuri": il tema in vista viene frammentato con un incedere ritmico sfavillante, che sostiene l’energica improvvisazione tenuta a bada dal gioco ostinato della mano sinistra. Il fraseggio della Mangiaracina gioca sulle sfumature che mettono pace tra i costrutti della classica, gli imperiosi dettami del dialetto musicale siciliano e il pianismo jazz moderno che tiene a mente il migliore passato. La cantabilità dei brani ne rende ancor più appetitosa l’esecuzione: perfetta per dizione e vigoria, così come in "La fuddia di Archimede", tra forte e piano, note che si scavalcano lasciando sempre respirare la vermiglia melodia.

 

Il lirismo di "My Sicily" sottolinea la purezza compositiva della pianista, rimarcando anche le sue frasi dense di ponderatezza e di misura, attente alle nuances di una dedica appassionata." "Avere avuto la possibilità di collaborare per questo disco con la "Inner Circle Music", è un onore immenso, ha rilasciato Sade Mangiaracinain una recente intervista. E' stato lo stesso Greg Osby a propormi di far uscire l'album con la sua etichetta, dopo averlo ascoltato: per me è stato come un sogno. Nel disco ci sono due brani in cui ho il piacere di avere come ospite un amico fraterno e musicista straordinario, una punta di diamante nel panorama della musica Europea: Luca Aquino! Qualche anno fa avevo avuto il piacere enorme di suonare nel suo disco "aQustico" e, visto che adoro il suo suono, non vedevo l'ora di avere un'altra occasione per registrare insieme a lui...e così è stato proprio con questo mio album.”

 

¶ La musica esistenziale riflette dello scorrere del tempo nelle riflessioni del nuovo lavoro in trio del pianista Sam Mortellaro che abbiamo apprezzato in "Robotic delusions” disco (Auand piano series AU3013, distr. Goodfellas/Believe), tre musicisti per dieci tracce e una sola voce narrante. In uno stile che sa mettere in discussione il passato seminando qua e là elementi contemporanei, "Robotic delusions” sembra essere l’amalgama musicale del trio capace di generare l’allucinazione robotica del titolo: un morbido e acceso gioco di squadra che non può essere replicato da alcun algoritmo o macchinario. E anche in questo lavoro d’insieme si scorge una riflessione: la volontà di «incoraggiare l'umanità a continuare sempre fra gli alti e bassi, nel dolce-amaro dell'imperfezione e nella tenerezza dell'accontentarsi ma, soprattutto, nel proseguire sempre nonostante il mistero più grande di tutti i tempi ci rincorra da sempre. Mi riferisco al senso della vita, quello vero. La verità che non conosciamo e che nessuno può pretendere di dimostrare tramite prove oggettive. Perlomeno non ancora».

 

C’è di più, il nuovo lavoro di Sam Mortellaro è guidato da un’idea precisa che segue il cammino della vita di ognuno: «È una voce che, nonostante possa imbattersi in narrazioni onirico-realistiche forse anche un po’ leopardiane, non fa mai trapelare la sconfitta, l’abbandono al proprio destino e la rassegnazione. A tratti, sensazioni eroiche, di gioia, di speranza e di luce in un buio pesto riemergeranno sempre». Un cammino positivo e determinato che si fa strada sinuoso attraverso il pianoforte del leader, con Angelo Minacapilli al basso e Francesco Alessi alla batteria. È il tempo a diventare concetto fondamentale, non solo nelle infinite forme che assume, da ‘Vanitas’ a ‘Good For You’, ma soprattutto nella capacità dei componenti di abitarlo e renderlo fluido con il proprio interplay.

 

«Credo che il tempo – spiega Mortellaro –, inteso come musica in atto, sia un flusso che scorre continuamente in divenire, mai iniziato né finito e che continui sempre a scorrere anche quando stiamo in silenzio. Bisognerebbe riuscire a cavalcarne l’onda senza inciamparvi, in questo modo riusciremmo a percepire ogni suo frammento. Ci renderemmo conto che il tempo è in realtà indefinito e che bisogna fluire semplicemente al suo interno, con disinvoltura».

 

¶ Colgo qui l’occasione per tornare a parlare di Fabio Giachino, un virtuoso del piano-jazz che abbiamo già avuto modo di conoscere durante la presentazione del suo pimo album "Balancing dreams" (Tosky Records). La sua presenza sulla scena del Jazz contemporaneo ne fa uno dei pochi italiani fortunati che si sono aggiudicati il riconoscimento del pubblico internazionale. Mentre aspettiamo il suo nuovo album godiamoci il trailer di "North Clouds" featuring Fabrizio Bosso su www.youtube.com e cerchiamo di approfondire alcuni aspetti del suo background musicale, in questa intervista che ho scambiato con lui alla fine di un concerto-live in cui egli esplicita le sue possibili ‘vie di fuga’ dentro e fuori del Jazz:

 

«Fabio Giachino: Per me è un grande banco di prova: in "Balancing dreams" sono faccia a faccia con la parte più nascosta di me. La sfida risiede nella necessità e nella capacità di lasciarla fluire completamente.

 

Prendendo spunto da questa ammissione ho chiesto a Fabio in che cosa consiste la sua idea di Jazz?:

FG: L’idea è la libertà, immensa, difficile da raggiungere e allo stesso tempo da gestire. Per quanto mi riguarda è l’apice artistico al quale ciascuno nel suo piccolo dovrebbe ambire, e il jazz in quanto musica improvvisata, ce ne offre la piena possibilità.

Perché un ‘pianista-jazz’ sente sorgere improvvisa la necessità di esibirsi in a-solo, ciò non contraddice l’essenza stessa del Jazz?:

FG: Il pianoforte è uno strumento meraviglioso e assolutamente autosufficiente, la sfida per me risiede proprio nel riuscire a dominarne le potenzialità e non far sentire l’esigenza di altri strumenti intorno a me. Sia ben chiaro che amo suonare insieme ad altri strumenti in contesti più ampi e la sinergia che scaturisce dall’incontro di più musicisti è unica ed irripetibile. Quando si è soli entrano in gioco altre dinamiche, è un dialogo con la propria essenza nel quale si cerca di essere il più sinceri possibile… se con gli altri a volte è facile mascherare o addirittura mentire, quando ci si trova faccia a faccia con se stessi è impossibile.

Dopo le molteplici esperienze fatte con altri artisti ‘in-section’ e con molti e diversi strumenti, con quali il tuo ‘piano’ si è trovato a colloquiare meglio, hai delle tue preferenze?:

FG: Sicuramente la ‘mia Band’ è la situazione che prediligo (Davide Liberti: contrabbasso, Ruben Bellavia: batteria). Con loro si è presentato da subito un feeling unico che con il tempo è diventato qualcosa di solido, una certezza direi! Ho avuto la fortuna di incontrare musicisti straordinari e di esibirmi con loro, tra tutti mi sento di citare in particolare D.Liebman e M.Giammarco con i quali personalmente mi sono trovato estremamente bene ed a mio agio.

Quale futuro vedi per il Jazz in Italia?:

FG:Io sono ottimista! Il livello dei musicisti è alto, noto parecchia progettualità soprattutto tra i musicisti più giovani che creano gruppi e formazioni stabili, questo è bene. Le uniche consistenti difficoltà si riscontrano negli spazi, soprattutto nella gestione… troppo spesso le programmazioni preferiscono situazioni commerciali a progetti realmente ricchi di spessore artistico o innovativi, viene confusa la celebrità con la qualità e questo è male. Vedremo gli sviluppi dove ci porteranno.

Dall’esterno, quale futuro vedi sulla scena jazzistica di Fabio Giachino, pensi davvero di strabiliarci?:

FG: Ah ahah!, spero di si, ma mi accontento anche di regalarvi un paio di ore piacevoli senza troppi pensieri e preoccupazioni.

 

Tutto questo può sembrare poco, quanto basta però se si pensa che durante il concerto-live al quale ho assistito Fabio Giachino, pur avendo dichiaratamente espresso la sua vicinanza al pubblico presente, non ha potuto nascondere quell’implicita ‘timidezza’ che il piano-solo richiede nel rapporto a-due, quasi fosse di fronte a un ‘Pas de deux’ che nella danza crea un isola dal resto del balletto classico e destinata a ballerini virtuosisticamente più dotati, (solitamente i solisti o i primi ballerini), che si sfidano l’un l’altro per la palma della migliore interpretazione di se stessi, cone in questo caso, Fabio Giachino e la sua musica.»

www.fabiogiachino.

com www.toskyrecords.com

Ufficio Stampa: Fiorenza Gherardi De Candei

fiorenzagherardi@gmail.com

 

¶ Nella volontà di creare la ‘storia’, a voler dire di lasciare in essa il segno di una rinnovata musica fatta da grandi musicisti (che se non lo sono, lo saranno indubbiamente in futuro), i due protagonisti della scena musicale jazz Davide Belcastro e Giorgio Lovecchio ideatori della Tosky Records, la giovane etichetta indipendente specializzata in Jazz & Music Libraries, proseguono nella loro peculiare volontà di raggiungere un buon livello del Jazz in Italia e non solo. La loro più recente produzione infatti trova un certo riscontro nel panorama jazzistico con artisti di calibro internazionale che sono gli interpreti eccezionali degli album di questa tornata: “They say it’s Spring” di Marco Acquarelli Quartet featuring Alice Ricciardi; “For Life” con Dario Germani, Stefano Preziosi, Luigi Del Prete featuring Max Ionata; “The G-Session” di e con Luigi Masciari, Roberto Giaquinto, Aaron Parks, featuring Oona Rea (voce) impegnata in vocalizzi nel brano “Echoes”.

 

Di quest’ultimo in particolare va detto che la chitarra di Masciari occupa uno spazio quantomeno smagliante di effetti, lanciandosi in virtuosismi esuberanti che non lasciano spazio a dubbi sulla sua autenticità di leader del gruppo, per quanto il suono in alcuni brani risulti fin troppo metallico all’ascolto, quasi di ‘voce solista’ che canti ‘a cappella’ in un sottovuoto senza dimensione, ciò per quanto il rhodes piano di Aaron Parks cerchi invano di colmarlo. Sempre all’altezza delle sue capacità Roberto Giaquinto impegnato alle percussioni, affronta ogni brano con sapienza d’alchimista, centellinando i suoi interventi con discrezione d’accompagnamento. Strepitoso il bonus-track “Don’t touch my cords” contenuto nell’album, in cui ‘finalmente’ il gruppo s’avventura in quell’amalgama melodico-espressiva che distingue ogni session che si rispetti.

 

Dalla note introduttive all’album “For Life” – Tosky Records facciamo la conoscenza di un altro gruppo di musicisti davvero talentuosi:

 

“Dico d’esordio in trio per il giovane e talentuoso contrabbasso Dario Germani accompagnato dagli ottimi musicisti Stefano Preziosi al sax contralto e Luigi Del Prete alla batteria, impreziosito dalla presenza del solismo e dalla travolgente personalità del prolifico tenorsassofonista Max Ionata in alcuni brani contenuti nell’album. In “For Life” emerge chiaramente l’esigenza del trio di creare un ponte tra varie epoche musicali (..) Dal punto di vista strettamente jazzistico si denota un chiaro interesse compositivo che va dal Be-Bop, al Cool Jaz e alla forma blues di Yusef Lateef (For Life). Tuttavia i tre brani che compongono l’album pur rimanendo nelle forme tradizionali del jazz più puro, presentano caratteristiche diverse accomunate da una stessa ma originalità d’intenti.”

 

¶ Ma Natale è anche ‘Arte’ con l’ A maiuscola a significare l’impegno che da sempre questa Musa ha riposto nella creatività umana, ispirandosi di volta in volta alla natura, ai miti e alle leggende, alla storia e alla fiaba, ma che ci ha lasciato anche molti capolavori relegati alla religiosità dei popoli più antichi e moderni che non smetteremo mai di ammirare. Non di questo voglio parlarvi qui, sarebbe superfluo, lo hanno fatto e continuano a farlo in molti più preparati e sicuramente molto più bravi di me nel delineare i profili di una ‘storia’ che non vedrà mai fine.

 

Sicuramente anomalo in questo contesto, per quanto più vicino a noi, è l’invito riservatomi di un ‘evento’ artistico “I want to thank you so much for… ” che ha del provocatorio e che si presenta molto più di una mostra. “I want to thank you so much for… ” di Sylvie Renault e MesAlfie dal 16 - 31 Dicembre 2016. Ingresso libero tutti i giorni dalle 17 alle 20 allo Spazio Venenziano Via Reno 18/a Roma.

Si tratta «..di un’esperienza profonda, un viaggio sospeso tra visione e ascolto, un percorso dove pittura e musica si scelgono e si fondono insieme, accompagnando il visitatore oltre la forma, nel nucleo più intimo delle emozioni. Quelle dell’artista, svelate attraverso le tele, e quelle di ciascuno di noi, che in quel viaggio troverà nuove speranze, impronte e promesse. Cerchi, vortici, agglomerati, forme, non forme, esplosioni di colori. Questo l’universo di Sylvie Renault, Artista dei Cerchi Imperfetti, che racconta la bellezza di tutti noi perfettamente imperfetti.

 

“Ogni tela ci fa viaggiare lontano, in un arcobaleno di migliaia di colori, di speranze, in un’apertura verso un mondo migliore, ed è questo il messaggio di Sylvie”, spiega May Abboud, dell’Istituto Nazionale di Belle Arti di Beirut. Le opere del progetto “Im perfect Circles” sono tutte realizzate a tempo di musica, ogni gesto pittorico è pregno delle emozioni trasmesse dalle canzoni. E sarà proprio la musica a dare ritmo ai cerchi, a renderli vivi e pulsanti, durante il vernissage, quando il musicista cantautore MesAlfie eseguirà in versione acustica i brani del suo ultimo album “Hey Super”, a cui la collezione è interamente ispirata e dedicata. Nei giorni successivi, un lettore mp3 messo a disposizione per ogni tela esposta, consentirà ai visitatori di entrare in intimo contatto con l’universo emotivo dell’artista. Sylvie Renault (classe 1976) è, come ama auto-definirsi, pittrice imperfetta, donna imperfetta, artista dei 'Cerchi Imperfetti'.

 

Pittrice, creativa, concept designer, Art Director, è laureata all’Istituto Europeo di Design e ha partecipato, dal 1989 ad oggi, a molte collettive e personali tra Roma, Napoli, Olbia, Torino, Padova, Milano, Londra e New York. La sua produzione artistica si ispira agli studi della filosofia Sufi e agli insegnamenti del maestro Osho.

 

OSHO - Book of Winsdom.

'Only with the unknowable are you thrilled with the wonder of life and existence. Suddenly a song is born in your heart...

a song that cannot be contained, a song that starts overflowing, a song that starts searching others.'

 

'In the light of the morning as the new man arises as we dance, and we sing in the sun and the rain. In the light of the morning as thenew man arises every living thing, osho is whispering your name.'

 

(continua)

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La barca di Pietro vacilla?

"La barca di Pietro è senza timone". Ventitré studiosi di cinque continenti rilanciano l'appello dei quattro cardinali al papa.

Dichiarazione di sostegno ai "dubbia" di quattro cardinali – da “Settimo Cielo” a cura di Sandro Magister

Come studiosi e pastori d’anime cattolici, desideriamo esprimere la nostra profonda gratitudine e il nostro pieno sostegno alla coraggiosa iniziativa dei quattro membri del collegio dei cardinali, le loro eminenze Walter Brandmüller, Raymond Leo Burke, Carlo Caffarra, Joachim Meisner.
Essi, come è ampiamente noto, hanno sottoposto formalmente quattro "dubia" a papa Francesco, richiedendogli di chiarire cinque punti fondamentali della dottrina cattolica e della disciplina sacramentale, il cui trattamento, nel capitolo VIII della recente esortazione apostolica "Amoris laetitia", sembra essere in conflitto con la Sacra Scrittura e/o con la Tradizione, e con gli insegnamenti dei precedenti documenti pontifici, in particolare l’enciclica "Veritatis splendor" e l’esortazione apostolica "Familiaris consortio" del papa san Giovanni Paolo II.
Il papa ha finora declinato di rispondere ai quattro cardinali. Ma, dato che in sostanza ciò che si domanda è se gli importanti documenti menzionati richiedono ancora il nostro pieno assenso, riteniamo che il persistente silenzio del Santo Padre possa esporlo all’accusa di negligenza nell’esercizio del ministero petrino di confermare i suoi fratelli nella fede.
Vari prelati di spicco hanno aspramente criticato la richiesta dei quattro cardinali, senza tuttavia dare un contributo al chiarimento delle loro pertinenti domande. Abbiamo letto tentativi di interpretazione dell’esortazione apostolica in un’ “ermeneutica di continuità”, da parte del cardinale Christoph Schönborn e del professor Rocco Buttiglione, ma non vi abbiamo trovato alcuna prova della loro tesi secondo cui gli elementi nuovi che si trovano in "Amoris laetitia" non contrasterebbero con la legge divina, ma contemplerebbero solo legittimi cambiamenti nella pratica pastorale e nella disciplina ecclesiastica.
In effetti, secondo vari commentatori, tra cui in particolare il professor Claudio Pierantoni in un recente studio storico-teologico, hanno argomentato che, come risultato della diffusa confusione e della divisione che è conseguita alla promulgazione di "Amoris laetitia", la Chiesa universale sta entrando in un momento gravemente critico della sua storia, che presenta allarmanti somiglianze con la grande crisi ariana del IV secolo. Durante tale conflitto catastrofico, la maggioranza dei vescovi, compreso perfino il successore di Pietro, vacillarono sulla stessa divinità di Cristo. Molti non caddero pienamente nell’eresia; tuttavia, disarmati dalla confusione o debilitati dalla timidezza, cercarono formule di convenienza o di compromesso, nell’interesse della “pace” e dell’“unità”.
Oggi siamo testimoni di una simile crisi metastatica, questa volta su aspetti fondamentali della vita cristiana. Da una parte si continuano a predicare, a parole, l’indissolubilità del matrimonio, il carattere gravemente peccaminoso della fornicazione, dell’adulterio e della sodomia, la santità della sacra eucaristia e la terribile realtà del peccato mortale. Dall’altra, tuttavia, un numero crescente di importanti prelati e teologi stanno incrinando o negando di fatto tali dottrine – e persino l’esistenza stessa delle proibizioni negative assolute, senza eccezioni, della legge divina, che governano la condotta sessuale – con il loro esagerato e unilaterale accento sulla “misericordia”, l’“accompagnamento pastorale” e le “circostanze attenuanti”.
Dato che il pontefice regnante lancia segnali assai confusi in questa battaglia contro “i principati e le potestà” del Nemico, la barca di Pietro sta andando pericolosamente alla deriva, come una nave senza timone e, in effetti, mostra sintomi di incipiente disintegrazione.
In tale situazione, crediamo che tutti i successori degli Apostoli abbiano un grave e urgente dovere di parlare con chiarezza e forza per confermare gli insegnamenti morali esposti chiaramente nel magistero dei papi precedenti e del Concilio di Trento. Diversi vescovi e un altro cardinale hanno già affermato di considerare pertinenti e opportuni i cinque "dubia". Da parte nostra, speriamo ardentemente e preghiamo ferventemente, perché molti altri aderiscano ora pubblicamente non solo alla rispettosa domanda dei quattro cardinali al successore di Pietro, perché confermi i suoi fratelli su questi cinque punti della fede “che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre” (Gd 1, 3), ma anche alla raccomandazione del card. Burke secondo cui, se il Santo Padre dovesse omettere di farlo, i cardinali collettivamente gli si rivolgeranno con una forma di correzione fraterna, nello spirito dell’ammonizione fatta da san Paolo all’apostolo Pietro ad Antiochia (Gal 2, 11).
8 dicembre 2016, Festa dell’Immacolata Concezione

Sandro Magister
Sono giornalista. Scrivo dal 1974 per il settimanale “L’espresso”. Sono specializzato in informazione religiosa, in particolare sulla Chiesa cattolica e il Vaticano.
Ho scritto due libri di storia politica della Chiesa italiana: “La politica vaticana e l’Italia 1943-1978”, Roma, 1979, e “Chiesa extraparlamentare. Il trionfo del pulpito nell’età postdemocristiana”, Napoli, 2001.
Ho curato nel 2008, nel 2009 e nel 2010 la pubblicazione di tre volumi con le omelie di Benedetto XVI nel corrispondente anno liturgico, editi da Libri Scheiwiller.
Dal 2010 al 2013 sono stato consulente alla direzione dei programmi di TV 2000, il canale televisivo della conferenza episcopale italiana.
Sul blog “Settimo Cielo” scrivo dal maggio del 2003. Ma prima di esso ho creato il sito www.chiesa di cui il blog è un corredo per i lettori italiani.
Il sito, infatti, è diretto a un pubblico internazionale. Dall’autunno del 2002 è integralmente bilingue, in italiano e in inglese. Dall'autunno del 2006 è anche in francese e spagnolo.
Il sito raggiunge una platea vastissima di lettori: il 40 per cento in Italia, il 20 per cento negli Stati Uniti, gli altri in tutto il mondo, dal Giappone all’Argentina, dal Sudafrica alla Svezia, dall’India alla Cina.

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Perché il film Genius rasenta il capolavoro.

Perché 'Genius' rasenta il capolavoro.

 

Benché il ripetersi di molti Film Fetival in giro per il mondo ci regali ogni anno tante pellicole più o meno interessanti, sono davvero pochi i film visti in questa stagione che meritano l’appellativo di ‘capolavoro’ come questo di Michael Grandage che racconta in maniera originale il lavoro prezioso del curatore editoriale Maxwell Perkins (Colin Firth), scopritore di talenti del calibro di E. Hemingway e F. Scott Fitzgerald, qui alle prese con un altrettanto talentuoso ed esuberante Thomas Wolfe (Jude Law), genio di penna e sregolatezza che, grazie al lavoro oscuro ma fondamentale svolto dallo stesso Perkins, riesce ad emergere nel vasto panorama della letteratura americana degli Anni ’20. Sconosciuto alla maggior parte del pubblico dei lettori italiani Thomas Clayton Wolfe è stato uno scrittore e poeta statunitense famoso soprattutto per i suoi romanzi, nei quali mescolando una scrittura originale piena di elementi autobiografici, descrisse la varietà e la diversità della cultura statunitense. Scrisse anche molti racconti brevi e alcune opere teatrali con stile pressoché ‘impressionista’ nei dettami di una vena incredibilmente poetica. Il suo stile decisamente diverso da quello di altri della sua stessa epoca ha influenzato nel tempo Jack Kerouac e la Beat Generation, e gode dell'ammirazione di numerosi scrittori contemporanei quale Edward Bunker, che spesso lo cita nelle sue opere.

Dalla sua biografia (Wikipedia) apprendiamo che seppur frustrato per i continui rifiuti da parte degli editori del suo primo romanzo Tom non si scoraggiò, ma solo dopo aver ricevuta la notizia che la prestigiosa casa editrice newyorchese Scribner's Sons era interessata al suo romanzo ‘O lost’, il 2 gennaio 1929 incontrò a New York Maxwell Perkins, il più famoso curatore editoriale del tempo., che lo spinse a cambiare profondamente la struttura del suo romanzo, accorciandolo di molto. Decisero anche di cambiarne il titolo in ‘Angelo, guarda il passato’, prendendo ispirazione da un poema di John Milton. Quando il romanzo iniziò ad avere successo, Wolfe troncò la relazione con Aline (sua compagna) e si trasferì a Brooklyn, per evitare la mondanità newyorchese e concentrarsi esclusivamente sulla scrittura.

Scrisse inoltre molte bozze per un secondo romanzo 'fiume', ma Perkins le rifiutò tutte. Fu proprio da Perkins, però, che venne l'idea di scrivere il seguito di 'Angelo, guarda il passato', e fu lo stesso Perkins a presentargli Elizabeth Nowell, la quale curò con successo l'edizione dei racconti brevi di Wolfe. Nel dicembre del 1933 un secondo romanzo era pronto e Wolfe lo portò a Perkins; si intitolava ‘The October Fair’, un'epopea in più volumi sulla falsariga di ‘Alla ricerca del tempo perduto’ di Marcel Proust. Perkins, dopo aver considerato le potenzialità commerciali di un libro così strutturato (più di 5.000 pagine), decise di tagliare pesantemente il romanzo fino a farlo diventare un singolo volume, che prese il titolo di ‘Il fiume e il tempo’. Quando uscì nel 1935, il romanzo era molto diverso dall'idea iniziale di Wolfe, che, frustrato, partì per l'Europa, in un viaggio che toccò Francia e Germania, dove invece era molto amato.

Mi fermo qui, agli anni in cui Thomas Wolfe conobbe quel successo che stravolse la sua vita, per non svelare gli intenti del film e, soprattutto, per non intaccare quella rivelazione che ha fatto di lui un ‘genio’ della penna, che per noi de larecherche.it vale la pena di conoscere e di incontrare, seppure attraverso una preziosa pellicola cinematografica. Preziosità data dalle scelte peculiari del regista Michael Grandage, come quella di aver preso a misura l’essenzialità di un vissuto turbolento scandito dal rapporto con la compagna Alina (la pur intensa Nicole Kidman) amante e musa dello scrittore, tralasciando la storia pregressa degli altri personaggi lasciati in secondo piano e, in verità, un po’ sbiaditi rispetto alla forte caratterizzazione dei due protagonisti. Inoltre alla scelta del color ‘seppia’ della pellicola che rende particolarmente morbido il ricordo di un’epoca, non poi così lontana dalla nostra, che avvolge e coinvolge lo spettatore di un alone intimo, facendolo partecipe del dialogo interiore dello scrittore, e ancor più dell’editore, con la scrittura stessa del romanzo; in questo caso della sceneggiatura perfetta (essenziale) del film.

Lo scontro fra Max (editore) e Tom (scrittore) non è titanico come ci si aspettava, se non in alcuni momenti troppo brevi per lasciare il segno: "Ho scritto cose strappate a forza dalle mie viscere e tu dici che non c'è spazio?" (Tom)

Hei, al mondo servono poeti!” (Max)

Voi siete così spaventati che non sapete vivere.” (Tom)

Dio aiuti chi ti ama Tom, perché nonostante i milioni di bellissime parole nei tuoi libri, non hai idea di cosa significa essere vivi.” (Max)

 

Un film biografico scrive Giancarlo Zappoli in una recensione Apparsa su MYmovies Club, e che qui di seguito vi sottopongo in forma ridotta:

 

>>Basato sulla biografia "Max Perkins. Editor of Genius", il film di Michael Grandage si discosta in maniera sensibile dai classici biopic. Perché è vero che lascia ampio spazio alla descrizione di un Wolfe tutto genio e sregolatezza, incapace di avere legami che non siano con i frutti della propria creatività ma al contempo bisognoso di trovare un sostituto della figura paterna che tanto aveva contato nel sostenere i suoi studi e che era prematuramente scomparsa. È però anche vero che il focus maggiore sta proprio su Perkins, un uomo che non si toglieva il cappello neppure a tavola e che, una volta attratto da un testo, finiva con il disinteressarsi di quanto gli accadeva intorno. Grandage ci ricorda che, ora come allora, un grande romanzo non è mai frutto solo ed esclusivamente della creatività di 'un' solo genio. Occorre che al suo fianco ce ne sia un altro, nascosto ma altrettanto necessario: il curatore editoriale.

Se si tratta di una persona che ama il proprio lavoro, che non si limita a correggere i refusi ma sa entrare dentro l'intimità di un testo, sapendone cogliere le potenzialità ma evidenziandone anche le fragilità, il libro che ne nasce sarà migliore di quando è stato proposto per la pubblicazione. Attraverso l'incontro (e talvolta anche lo scontro) tra due personalità così diverse veniamo invitati a comprendere come la forza della parola resti ancora oggi, a distanza di quasi un secolo e in un mondo in cui le forme della comunicazione sembrano avere imboccato strade totalmente diverse, fondamentale. Gli Hemingway, gli Scott Fitzgerald, i Wolfe ci propongono ancora parole che conservano un senso grazie al lavoro, oscuro ma fondamentale, dei Perkins.>>

 

Ho già detto del colore della pellicola, ma potrei aggiungere l'importanza dei costumi che ci restituiscono per intera l'eleganza del tempo che fu con estrema ricercatezza di particolari, anche lì dove la cura si fa trasandata nell'uso del quotidiano. Ed anche lì dove la fotografia magistrale indugia nelle immagine dell'arte, presentandoci un Hopper particolarmente attuale. Ma per quanto nel film sembri non mancare nulla degli ingredienti necessari a farne un capolavoro, errivati al dunque, manca un briciolo in più di quell'umanità (che forse non c'era, non saprei) che ce lo fa amare; o forse quel pizzico di 'poesia' che il mestiere di scrivere concerne e che tocca le corde dei sentimenti, a dimostrazione che il romanziere ha amato i suoi personaggi, tanto da ucciderli, infine.

 

Straordinari gli interpreti, coinvolgenti in questa che va considerarata una vera e propria 'prova d'attore'.

 

 

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Al Cinema con Cineuropa


Al Cinema con Cineuropa / The Best of European Cinema
in collaborazione con www.cineuropa.org


FESTIVAL Bosnia ed Erzegovina

Il Mostar Film Festival celebra gli attori.
Articolo di Vladan Petkovic.

06/12/2016 - Per la sua 10a edizione, l’evento è diventato competitivo e ha premiato gli attori di On the Other Side, Ministry of Love e Death in Sarajevo
Alla sua 10a edizione, il Mostar Film Festival (24-30 novembre), uno dei pochi eventi del genere in Bosnia ed Erzegovina, ha convertito i Mostar Film Days in un festival competitivo focalizzato sugli attori provenienti dai paesi della ex Yugoslavia.
"Avevamo avviato questo evento come una piccola riunione tra amici della regione, in un momento in cui la città non aveva neanche un cinema", dice il direttore del festival, l’attore e produttore Slaven Knezović. "Da tre anni Mostar ha un multiplex, ma abbiamo tenuto a costruire il nostro festival attentamente per renderlo un evento rilevante con il tempismo giusto".
La selezione dei titoli in competizione era limitata a sette film del 2016, tra cui i candidati per l’Oscar del miglior film straniero di Bosnia, Serbia, Croazia e Macedonia.
I due premi principali, le statuette chiamate Trees of Love, sono andati alla Croazia: Ksenija Marinković ha vinto come Miglior attrice protagonista per il suo ruolo in On the Other Side di Zrinko Ogresta, mentre Stjepan Perić è stato eletto Miglior attore protagonista per Ministry of Love di Pavo Marinković.
La co-star di Peric, Dijana Vidušin, ha condiviso il premio della Miglior attrice non protagonista con la macedone Natasa Petrović del film di Svetozar Ristovski Lazar, e anche il titolo di Miglior attore non protagonista è stato condiviso – da Goran Navojec per Lazar e Muhamed Hadžović per il film Orso d’argento di Danis Tanović, Death in Sarajevo.
Il giovane attore macedone David Todoski è stato proclamato Miglior esordiente per il suo ruolo in The Liberation of Skopje di Danilo e Rade Šerbedžija. L’attore icona convertitosi in regista Rade Šerbedžija ha anche ricevuto una Menzione speciale.
"La selezione era di alta qualità. A mio avviso, queste erano davvero le migliori interpretazioni della regione quest'anno", ha detto a Cineuropa il membro della giuria Sandra Rančić, direttrice del DOK N' RITAM, festival emergente di musica e cinema che si celebra a Belgrado. "Con tanto amore e duro lavoro, il Mostar Film Festival ha riportato la città nella mappa cinematografica della regione, e credo che presto diventerà la manifestazione di riferimento del settore".

La lista completa dei vincitori:

Tree of Love per la Miglior attrice protagonista
Ksenija Marinković – On the Other Side [+]
Tree of Love per il Miglior attore protagonista
Stjepan Perić – Ministry of Love [+]
Miglior attrice non protagonista
Dijana Vidušin – Ministry of Love
Natasa Petrović – Lazar [+]
Miglior attore non protagonista
Goran Navojec – Lazar
Muhamed Hadžović – Death in Sarajevo [+]
Miglior esordiente
David Todoski – The Liberation of Skopje [+]
Menzione speciale
Rade Šerbedžija – The Liberation of Skopje


SUNDANCE 2017 Italia

Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino a Sundance
Articolo di Camillo De Marco

06/12/2016 - Il nuovo film del regista di A Bigger Splash è ispirato al romanzo omonimo di André Aciman che racconta l’attrazione improvvisa e travolgente che sboccia tra due ragazzi.
Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, scritto dal regista italiano insieme a James Ivory e Walter Fasano, sarà nella sezione Premieres del 33mo Sundance Film Festival, che si svolgerà dal 19 al 29 gennaio a Park City, Utah.
Il film è ispirato al libro omonimo di André Aciman, considerato uno dei migliori romanzi LGBT degli ultimi anni, e racconta un’estate sulla Riviera Ligure di vent’anni fa. Elio ha diciassette anni, figlio di un professore universitario, musicista sensibile e colto, e aspetta come ogni anno “l’ospite dell’estate”, uno studente in arrivo da New York per lavorare alla sua tesi di post dottorato. Ma Oliver, il giovane americano, conquista tutti con la sua bellezza e i modi disinvolti. Elio ne è irretito: discutono di film, libri, fanno lunghe passeggiate e nuotate. E tra loro nasce un desiderio inatteso, vissuto fino in fondo, dalla sofferenza all’estasi.
Chiamami col tuo nome è una coproduzione internazionale tra la Frenesy di Guadagnino, la francese La Cinéfacture, l’americana Water’s End Productions e la brasiliana RT Features, con il contributo del MiBACT. Nel cast compaiono Armie Hammer (Animali notturni), Timothée Chalamet (Interstellar), Michael Stuhlbarg (Steve Jobs), Amira Casar (Planetarium [+]), Esther Garrel (17 ragazze [+]), Victoire Du Bois (Mal de pierres). Cura le vendite estere la francese Memento Films International, che ha mostrato il promoreel del film in post-produzione all’American Film Market nel novembre scorso.

BERGAMO 2017

Bergamo Film Meeting omaggia Miloš Forman
Articolo di Cineuropa

05/12/2016 - La 35ª edizione, che si svolgerà dall’11 al 19 marzo 2017, dedica un’ampia retrospettiva al pluripremiato regista ceco.
Prime anticipazioni sulla 35ª edizione di Bergamo Film Meeting, che si svolgerà dall’11 al 19 marzo 2017: l’ampia retrospettiva dedicata al pluripremiato regista ceco Miloš Forman annuncia un’edizione ricca di sorprese, dove i grandi autori della storia del cinema si alterneranno alle giovani promesse e alle novità della Mostra Concorso, dei film documentari, dell’animazione e delle anteprime.
Sostenuto anche nel 2017 dall’Unione Europea attraverso il sottoprogramma MEDIA di Europa Creativa, il festival riserverà come di consueto uno sguardo particolare al cinema del nostro continente. 9 giorni di proiezioni, più di 150 film, tra corti, medi e lunghi, provenienti da tutto il mondo formeranno il programma del prossimo Bergamo Film Meeting, arricchito dalla presenza di numerosi ospiti internazionali, dagli incontri con gli autori, dagli eventi speciali, dalle anteprime, oltre che da un percorso di visione dedicato alle scuole e agli spettatori più giovani. Grazie a un network di collaborazioni ormai consolidate con numerose realtà del territorio, il Festival non mancherà di mescolare il cinema con l’arte, la letteratura, la musica e i fumetti, per continuare a divertire, appassionare e stupire.
Bergamo Film Meeting presenterà tutti i film di Miloš Forman, in collaborazione con il Centro Ceco di Milano. Parte della retrospettiva sarà successivamente ospitata alla Cineteca di Bologna. 5 premi Oscar e 2 Golden Globe con Qualcuno volò sul nido del cuculo; 8 Oscar con Amadeus; Golden Globe con Larry Flynt – Oltre lo scandalo; Gran Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes per Taking Off; Orso d'argento per la miglior regia al Festival di Berlino con Man on the Moon e infine Orso d'oro alla carriera: sono questi alcuni dei premi più prestigiosi assegnati al regista ceco durante la sua lunga carriera.

PRODUZIONE Francia

6 giovani registe per Emergence
Articolo di Fabien Lemercier

05/12/2016 - La 19a sessione supporta i primi lungometraggi di Cristèle Alves Meira, Emilie Carpentier, Gaëlle Denis, Tamara Erde, Camille Lugan e Alexe Poukine
Selezionate da una giuria presieduta quest’anno da Catherine Corsini, sei giovani registe sono state scelte per la 19a sessione della residenza di regia Emergence che offrirà loro la possibilità di girare alcune sequenze dei loro primi lungometraggi, con il patrocinio di un regista affermato, assistenza artistica e mezzi di produzione professionali.
Cristèle Alves Meira è stata selezionata con Alma Viva, il cui intreccio ruota attorno a un’adolescente di 15 anni che, come ogni estate, lascia la Francia per trascorrere le vacanze nel suo villaggio in Portogallo. Ma la sua adorata nonna muore e si ritrova ad affrontare l’isteria della sua famiglia che si rifiuta di pagare la pietra tombale… (produzione: Gaëlle Mareschi per Fluxus Films).
Emilie Carpentier lavorerà su L'Horizon (co-sceneggiatori: Cécile Vargaftig, Asmar Abdillah e Dany Bomou) che racconta le disavventure di una ragazza, originaria delle Comore, in un liceo professionale della banlieue parigina, che muore dalla voglia di scappare dal suo quotidiano e che cerca di costruirsi un futuro tra rivolta giovanile, riflessione sociale e incontro amoroso.
Gaëlle Denis è stata selezionata con La fille de l'estuaire (co-sceneggiatori: Amber Trentham e Chris Andrews), il cui personaggio principale è una ragazzina eccentrica che vive con una famiglia destrutturata in una fattoria nei pressi di un estuario dove troverà una donna ferita con la quale instaurerà uno strano rapporto... (produzione Ohna Falbi per Life to Life Films e Nathalie Algazi per La Voie Lactée).
Tamara Erde prepara Anna (co-sceneggiatori Yossi Aviram e Raphaëlle Desplechin) che segue una giovane donna di 20 anni che lascia Israele per Parigi nella speranza di trovare il padre che non ha mai conosciuto, una ricerca identitaria che la proietterà nel cuore di un’indagine del Mossad (produzione: Nathalie Vallet per Les Films du Poisson).
Tra le vincitrici figura anche Camille Lugan con Fun, fun, fun, incentrato su una trentenne che lavora come corriera a Parigi in totale libertà, fino a quando non incontra un colombiano che stravolgerà i suoi riferimenti (prodotto da Stéphanie Bermann e Alexis Dulguerian per Domino Films).
Infine, Alexe Poukine è stata selezionata con Les Sangliers (collaborazione alla sceneggiatura: Marion Desseigne Ravel) che racconta l’incontro fortuito a Parigi di due fratelli, uno dei quali è diventato un barbone (produzione: Grégoire Debailly per Geko Films).
Dalla sua creazione per iniziativa di Elisabeth Depardieu, Emergence ha sostenuto in particolare le opere prime di Deniz Gamze Ergüven, Mia Hansen-Love, Pierre Schoeller, Katell Quillévéré, Alice Winocour, Léa Fehner, Julie Bertuccelli, Joachim Lafosse, Antonin Peretjatko, Elie Wajeman, Renaud Fély, Antoine Cuypers, Farid Bentoumi, Morgan Simon, Sacha Wolff e Caroline Deruas.

*

Agamennone .. Seconda parte

AGAMENNONE..o la maschera ‘ingannevole’ del mito.

(Seconda parte)

Choros:
«A Te o Eschilo che d'Agamennone scrivesti l'epitaffio, egli chiede mercè. Ma attento! L'ira in cuor suo consuma, e con l'inganno egli a Te ordunque viene. E non già per estirpare il malanimo suo, bensì, a chiedere della vita l'aggio, che non d'appartenere al mito egli si lagna, ma per la vita che quest'oscurità gli nega. Ed ancor più attento sii dell'orda malvagia che l'accompagna, che attende miserevole in questa notte parca, di carpire sì degna sua presenza. Non confidare in loro, sono le ombre dei dannati che il Tartaro attende, pronte a sbranar chiunque la sua dimessa spoglia tenti. E Tuo infine sia l'onore oppur il dispregio di riaverlo in Te qual figlio spurio del Tuo più sommo dramma».
Acciò, ogni cosa scompare, le ombre dei dannati abbandonato il presente fanno ritorno nel buio che l'attende, compenetrate nel nulla da cui sono venute. Nessuna voce risuona più sotto la volta, alcun rumore s'ode. Solo lo sbriciolarsi infinitesimo della pietra che nel silenzio l'inudibile crina. Il taglio luminoso e accecante dell'entrata, insidia per un istante il buio impenetrabile del presente: sì che la realtà quasi scompare, per lasciar posto a un abbaglio obliquo, pretestuoso, e ciò ch'è stato, quasi si perde, entro il tangibile affiorare del rinnovato dubbio.

Quale illusione l'eternità, quale inganno?! Mi chiedo, quale recondita verità ignora l'essere umano nel disconoscere l'inesplicabile corposità del buio? Quale certezza può avere della continuità ineludibile della luce? E se la vita non foss'altro che un mero sogno? Riverbero arcano di un qualcosa che potrebbe non essere stato mai? Cosa sarebbe allora l'eternità? Se non l'essenza illuminante del mito, che dal remoto passato si ripropone nell'astrazione del presente, per tornare a essere materia tangibile del vissuto?:

"Conosci te stesso, Evita l'eccesso".

E come a voler dare un senso alla pienezza del nulla, l'eco risuona delle parole enigmatiche del tempo dentro la compiutezza del pensiero, che da solo, restituisce valore alla fragilità umana, e che ipoteticamente sembra colmare la persistente differenza tra ‘mortale’ e ‘immortale’ comune tanto agli uomini quanto agli déi. (24) Ma la realtà visibile nasconde un aspetto paradigmatico del problema, per cui l'essere che in Agamennone si dibatte è soggiogato dal suo stesso volere e si fa oggetto d'un destino di sofferenza e di dolore al quale egli non può più sottrarsi, e la cui caduta, si rende infine necessaria per la rigenerazione della sua anima. (25) Ed è proprio a quel suo volere ch'egli si appella, allorquando trasforma il suo essere ‘oggetto’ in ‘soggetto’ più ampiamente universale, per ottenere accesso a quel mondo superiore, sovraumano e semidivino dell'eroe, a garanzia della sua sopravvivenza dopo la morte. (26)
Ma più profondamente penetro la materia dei miei pensieri e più persistente si fa in me l'idea d'una qualche connessione fra due elementi cognitivi: l'immaginazione mitica, percezione di un'esigenza antropologica; e la mente estatica, stadio emozionale di un'enfatizzazione individuale. Connessione che si rivela, pur nella sua duplicità cognitiva, la molteplicità insita nell'esistenza stessa quale momento individualizzante dell'archetipo che è all'origine dell'esistenza manifesta. Risultato di un segreto rapporto intercorso dall'esistenza in sé e il suo divenire, nella cui dinamica si evince sempre più l'enfatizzazione di un effimero individuale imperscrutabile tuttavia irrisolto all'origine, proiettato verso la realizzazione di una compiutezza formale, nella molteplicità degli aspetti ad esso connessi, e nelle innumerevoli facce segrete, proprie dell'essere e dell'esistere.
Ed è in questa moltitudine d'aspetti, fra quelle facce più propriamente visualizzate che va a collocarsi la maschera d'oro di Agamennone, enfatizzazione dell'eroe del non essere, archetipo dell'esistenza nascosta; risultato di un rapporto oscuro e al tempo stesso manifesto, intercorso tra l'essere che porta la maschera e l'essere che in essa si raffigura: metafora di ciò che forse avrebbe voluto essere . . .

______epistrophe (conversione, ritorno)

Eschilo:
«Orbene, chi si nasconde dietro la maschera che d'Atreo reca il sembiante? Chi ne adduce la parte?»

Agamennone:
«Chi sono io, mi chiedi? Posso nascondere a te la mia agonia dentro questa parvenza di sogno? Tu dunque, non già venisti al compianto a prender parte, quale amico sincero che come sue accoglie le spoglie dell'infelice amante. Non già io chiedo a te il giudizio, ché di giudicar il supremo Nume deve. Ma acciò che di morir m'accingo, chiedo a te di riveder la parte, prima ancor ch'io affronti l’estremo passo . . .»

"Si ch'io trovi la forza di scalzar da me
stesso l'amara viltà,
stornare dai miei sentimenti lo scatto che svia,
frenare l'impulso acuto dell'ira, che m'aizza a
balzare in battaglia, che aggela;
tu dammi l'ardire, in norme salde di pace,
scampando a scontro nemico,
a fine violenta." (27)

Eschilo:
«Chi in realtà tu sei, che dell'eroe d'Ilio or chiedi di deporre l'armi? Tu, che dell'uomo or reclami l'onore della vita, ed or la dignità d'una giusta morte?»

Agamennone:
«Questo son io, l'eroe d'Ilio, colui che del tuo pensiero reca il più intimo affanno. . .

". . Io, che disperato, incarno sfacelo al mio
trono, alla mia terra natia." (28)

Eschilo:
«Un inganno dunque, affinché nell'adempimento del tuo riscatto, tu possa condurre l'uomo mortale che sei, al sacro Olimpo degli eroi!»

Agamennone:
«Son io colui che ambisce di sostituire all'oscurità di una sì tremenda morte, il regime diurno della vita».

Eschilo:
«Mi chiedo: da quali meandri dell'occulto tuo essere si raccoglie siffatto orgoglio? Che il diritto sancito dal fato, valica i confini della morte corporea, della tua stessa morte, causa la perdita del senso dell'intera tua esistenza. Quale materia della terra esecrata che tende a ritornare ad essa dopo la prova, la tua maschera d'oro si pone all'origine del mito, riluce fra tutte le altre d'una maestosità regale, quasi che fosse il volto stesso della storia che si conduce entro l'immaginario arcano. O forse, dimmi: ciò che tu dici, la maschera che porti, giammai fu quella del veritiero eroe?»

Agamennone:
«Posso negarlo, ma come potrei affrontare gli altri, come potrei affrontare me stesso (?) … non ho più colpe di altri, io.»

Eschilo:
«No, non parlare! Che più t'ascolto e più il dubbio si fa in me convinzione. E come se un sosia al posto tuo mi parli.»

Agamennone:
«Tua la colpa se il velo del dubbio oggi avvelena le tue parole.»

Eschilo:
«Ciò ch'io vedo non è che una maschera beffarda che si prende gioco di me. Il tuo stesso parlare è ambiguo, un gioco di parole schive, di profezia sinistra, di una gestualità precaria, che non capisco appieno.»

Agamennone:
«Il nudo ferro lacera il mio volto e quali pene soffrir io devo, e quanti affanni; ché quello che tu dici essere oro, i miei occhi ciechi, dal di dentro non possono vedere, ché tanto anelano di riveder la luce per un istante, prima ancor di prendere possesso di questa oscura tomba» . . .

______athanassia (immortalità)

Eschilo:
«Di quale pietà il tuo animo incombe! Un freddo disarmante paradosso esalta l'eccellenza della tua annunciata fine, e non per la morte in sé che t'accompagna, ma per la breve eppur eterna vita che t'è data all'interno dell'estremo dramma. E sia che ti munifichi, elevandoti all'altezza degli eroi sublimi, o che ti sospinga nel baratro profondo, la tua ignominiosa morte assicura a te la grandezza suprema, inoppugnabile, divina, per una estrema istanza.»

Agamennone:
«Ma se l'esultanza della fine non è che l'auspicabile conclusione d'ogni dramma, cos'è allora, la vita che pur nel dramma si consuma? Una parte forse? Un ruolo? Un tragico copione? O, forse un miserevole inganno? Dimmi, quale sconsiderata opinione ha dell'umana sorte chi come te mette in gioco la vita altrui?»

Eschilo:
«Ogni singola parte certo, ostenta una qualche divina ispirazione commensurata al tema, lega inscindibilmente il mondo divino a quello terreno, l'intervento della divinità qui preposta e invocata si riconduce all'unico profetismo oracolare che l'ha ispirata. Tuttavia, valutata sul piano delle tensioni umane, essa porta irrimediabilmente allo sgomento, all'orrore, alla paura che precede l'incedere divino. Che non già il mortale affanno vorrebbe l'autore per ogni suo personaggio, ma la sua stessa vita. Quella vita a cui egli anela nel segreto della sua esistenza . . .»

Agamennone:
«Di quale di queste parti tu dunque rivesti gli aurei panni?»

Eschilo:
«D’entrambe, ma altro non sono che l'intermediario ascoso, che rapito dall'enfasi divina mi getto nel vortice dell'esistenza umana con la stessa rabbia che tu riponi nella battaglia, poiché di brame, come la tua, è fatta la mia stessa vita, e di ciechi deliri. Fin quando ebbro del privilegio dell'ispirazione che il cuor m'infiamma, cerco in me il giudizio esemplare, ché la verità infin io colga, che non già il divino assumere a modello deve l'autore del dramma, ma ciò ch'è sublime.»

Agamennone:
«Un altro giorno … un altro destino, è ciò che io chiedo, null’altro.»

______nèmèsis (ordine ed equilibrio)

Eschilo:
«No, non a me spetta di giudicar ciò che ad altri s'adduce, la responsabilità del tuo destino lasso. Sublime è la tensione nell’animo di colui che giudica, la capacità di estendere oltre i limiti dell’immaginazione i propri limiti, i suoi stessi principi, e maggiormente quando il suo ruolo è catartico alla finzione. Se come tu dici, la tua maschera altro non è che l'altra faccia d'un austero sdoppiamento cui io mai diedi volto, sappi che in alcun caso, si rivela così tangibile la tua dualità. E la tua stessa presenza in questo buio arcano quasi mi fa paura, acciò ch’io vedo venirmi incontro il tuo essere mitico, e la tua ombra dentro l'ombra stessa del buio.»

Agamennone:
«E se la ragione di tanto affanno non fosse che un'ultima istanza? Se all'onore di una giusta morte io anteponessi la continuità della mia stessa vita?»

Eschilo:
«Un miserevole inganno dunque?! Che non la morte chiedi di condurti nell'Olimpo degli eroi, ma la pretesa continuità della tua vita.»

Agamennone:
«Se non tua fu la sentenza che m'incolse in qualità d'eroe, tua è quella ch'or m'incombe di voler essere uomo? Ma è come tale che a te io chiedo di cancellare ogni ombra di dubbio, ché a un diritto sacro io faccio appello: d'essere considerato in vita ciò che non posso essere da morto.»

______mimèsis (imitazione, consenso)

Eschilo:
«Mi chiedo chi più di me può voler soddisfare un desiderio sì grande, un sì regale compianto? Acciò, la divina Mimèsis io chiamo, che interceda per me presso i sempiterni déi che già emisero sentenza, e sciogliere così il sacro veto della storia, ché un diverso svolgimento consentano infine della tragedia antica. Che non già il pagamento d'un riscatto qui si conviene, ma un'ultima istanza, che ti veda assolto nella segreta intimità dell'ombra, affinché tu possa riemergere entro una realtà diversa, che purghi l'eccesso delle pene e che l'eroe che fosti torni a essere l'uomo . . . lasciami pensare.»

______stasimo

Eschilo:
«Una rinuncia dunque, in cui tu ombra possa trovare nell'illusorietà del tempo, un'altra identità, dimentica dell'essere appartenuta al mito. Ché d'Agamennone infin non rechi più traccia, e che dell'intimo essere tuo, indifferente dell'immortalità concessa, altro non sia che unica testimonianza vera: d'essere stato umano fuor della scena. E non chiedermi come? Io stesso non saprei, ma in onor della finzione che il teatro m’offre, credo di poterlo, forse … Ordunque: riprendiamo da qui la scena! E tu, togliti codesta maschera! Ch'io possa infin guardarti in viso!»

Agamennone:
«Tuo è il dubbio, Tu dunque compiere devi il gesto supremo.»

______epitrope (decisione, arbitrio, appello)

Una conscia percezione di fatuità incombe in Eschilo nel preciso momento in cui egli si accinge a togliere la maschera dal volto dell'attore che ne ostacola la presa con un atteggiamento di sfida, afferrando la di lui mano. Quando, liberatosi dalla morsa, Eschilo strappa con forza la maschera oggetto del suo ignominioso dubbio. In quello stesso istante un grido si leva alto nel ritrovato buio della tomba che lacera il silenzio. Un corteo di dolenti larve che reca poche fiaccole accese, fa il suo ingresso in scena, illuminando in pieno la figura di Eschilo, che quasi l'acceca, che in verità di nascondere chiede alla sua vista il vero volto del re . . .

Agamennone:
«Infine tutto è perduto, ed io di morir m'appresto col volto sfigurato dalla pena. Dunque non fui che una finzione, niente di più di un al di là prossimo a venire, e che per paradosso, a una ingiusta vita contrappone una giusta morte. Ma una domanda infine legittima s'impone: a quali leggi s'appella la speranza, a quale giustizia? E con te o Eschilo sia la verità, poiché giammai m'incolse l'astio sacrilego che i Numi impietosi ora rivolgono a me. Voi invoco o Erinni, che agli uni i canti donate, e ad altri lacrime e sospiri. Scacciate ordunque l'orrore della vendetta che tutto dissimula e inganna. Che la pietà s'impone infine per quei miei giovani figli che io lascio, che dei miei crimini sol io rispondo, e loro infin non abbiano a pagarne il prezzo. Pietà per loro imploro, e faccio appello al sempiterno Iddio che dei mortali tiene in mano il lume, di abbandonarmi sull'istante, sebbene l'alba sia lontana ancora, in questa mia estrema dimora, che dunque . . .»

". . mi sia dato morir, se dato non m'è da tanta pena scampo" (29)

Eschilo:
«Che la ragione infine prevalga sul pregiudizio, sull'odio che acceca, e che ognun accetti il suo destino, sia esso fausto o nefasto, debito oppur iniquo. E poiché la vita è al dunque ciò che più conta, conforto sia la speranza d'una qualche continuità, seppur possa sembrare vana. Non v'è giustizia che più valga di quella di veder nell'altrui scelta una ragione equa, nel rispetto della dignità dell'altro la propria dignità; nel pensiero e nella parola altrui la propria libertà, l'onniscienza d'ogni ragione umana. Ognun che alla ragione il vanto oppone d'essere giusto nel giudicar l'altrui misfatto, rifugge l'onnipotente giustizia degli déi, che nell'al di là solo prevale un patto: che di giustizia una può vantare il mondo».

Agamennone:
«Ordunque?»

Eschilo:
«Altro non v'è, che il solo giudicar genera colpa; ciò che non menziona il manifesto Ade, quando dal profondo infin caccia costui nel tenebroso nulla. Ed or che giunta è l'ora del ritorno, ancor prima che il velo plumbeo di questa notte, stringere io veda nel colore viola della morte, non tanto il trionfo del giusto o il castigo del colpevole io chiedo, quanto di assolvere gli errori della tragedia umana, e attribuir le colpe a quegli astiosi déi, che del destino degli umani ognor conduce gli inganni.»

Ma ancor che Eschilo abbia terminato il suo dire, le ombre dei trapassati si fanno a lui d'intorno, tornate per un istante ad esser carne . . .

Eschilo:
". . eppure non c'è olezzo di morte, ma di segreto vivere,
d'ombre nascoste, occultate a presenza di chi non può
vedere" (30)

Quand'ecco il lugubre corteo si ritrae verso il fondo della scena, come verso l'oscura profondità della tomba, e si dilegua dentro l'infinito nulla. Ciò che rimane della messinscena non sono che ombre fino a scomparire, come di un copione sconosciuto e segreto, in cui nel ricordo esse si muovono senza mai giungere sul luogo designato. E sono cento o forse mille, hanno il volto coperto di maschere d'argento, di ferro, di legno, di stoffa. Dietro di loro s’agitano le Coefore lugubri nel manto e si dispongono attorno al feretro del re ucciso, esposto al centro della tomba/scena. Giace il re Agamennone colpito da invisibile morte sul talamo di pietra, ha il volto scoperto, immagine di luminosa chiarezza di evidente attinenza al Fato – ". . ma proprio quella totale, irradiata visibilità, tiene l'occhio in sua balia, impedendogli di penetrare più a fondo" (31)

______stasimo

Choros:
«Qui, sotto il cumulo delle macerie sparse che il tempo sembra aver dimenticate, si dispiega l'irreale realtà del mito, e sì coinvolge che sorprende una temuta gioia, che al dunque appaga e sazia, fin dentro la tensione strenua dell'umano. E un brivido scorre nel presagio della fine, o forse, un lugubre silenzio di vaticinio. Sicché piangiamo l'eroe ancor vivo, per l'imminenza della sciagura che lo coglie. Una sorta di pietà concorde che lo enfatizza in vita, che lo esalta, e che lo spinge inevitabilmente nella profonda morte. Non qui, certo, si decide la sua sorte. Il Fato si è già compiuto altrove, quando al suo volgere dall'alto d'Ilio sacra in fiamme, egli impietoso, la spada impugnò contro i nemici suoi, e mercè egli non chiese agli déi dell'Olimpo, dei suoi passati errori e delle innocenti morti. Ed ecco, in quel preciso momento, si compie il Fato, il suo volgere alla fine. Nessuno mai potrà cambiare il corso del destino che incombe, poiché volgendo in bene quel che male è stato, si compiono gli inganni dell'umana sorte. Ne potrà il malvagio attendersi da noi pietà, poiché noi siamo il Fato, la voce intermediaria del tempo che si conduce, che ognuno dentro sé al dunque ode, ma che nessuno ascolta. . .»

_______esodo (uscita del choros dalla scena)

«Micene tutta restava muta, come lo è ora, chiusa nel cerchio di pietra delle sue possenti mura . . .»

______stasimo

Gli dèi, da sopra gli spalti assisi, ascoltano compiaciuti il narrare delle luttuose gesta, e attendono ansiosi che del teatro s'infiammino gli umori. È qui che si dà voce ai canti, che si destano gli umani sentimenti, che si suscitano gli entusiasmi, che si scandiscono i ritmi e le danze. È ancora qui, che fra le confuse espressioni del diniego e del plauso, si cerca l'emozione che trascina, la luce che talvolta acceca, la dimensione dell'oblio o la pietosa pace di un istante. C'è chi alla vendetta adduce e chi la nega. Chi, dopo un inizio esitante, improvviso si desta alla prostrazione, allo sconforto, o preso da supremo sdegno invita l'autore a riveder la parte. È infine qui che i tradimenti inflitti, le colpe cercate o talvolta soppresse, le morti inoppugnate, finiscono per dar consenso all'ineluttabile, in cui ogni cosa infine si conduce.
Ed è ancora quì che la scena, il concetto stesso di teatro, finiscono con l'essere una sorta di mondo estremo, irrazionale, imperscrutabile, in cui l'archetipo scaturito dall'immaginario si ripete, simile a se stesso, e prende possesso del soprannaturale. Gli eroi della tragedia così come gli attori sulla scena seguono la stessa sorte, agiscono in preda a una medesima suggestione che li fa muovere dal lontano passato nella futura memoria del tempo, dentro l’alone rinnovato del mito, e in un momento, li sospinge verso le vette estreme del sublime.

Nel definirsi simultaneo delle parti, in questo punto culminante della tragedia, dove tutto viene a confluire, è il tempo degli dèi che si mostra nel tempo degli uomini. E non tanto per il trionfo della giustizia e il castigo dei colpevoli, quanto per la concezione astratta che permette a ognuno di affrontare le proprie responsabilità, mentre attinge nell’intimo i motivi del proprio impegno, della volontà inconscia legata al timore reverenziale del divino, costretta dalle potenze sacre che la investono dall'interno.

Ma è questo anche il tempo degli eroi, che di fronte alla necessità di agire si mostrano alle soglie dell'azione, al bivio di una decisione che impegna il loro destino, e che si trovano costretti a una scelta difficile ma ineluttabile. Tale è il prezzo che Agamennone deve pagare in quanto acclamato eroe di ritorno da Ilio, re amato che non ha voluto mancare verso i suoi alleati, verso i suoi guerrieri, i suoi stessi amici, con la prodezza del suo braccio, con il sacrificio della sua giovane figlia Ifigenia, e la distruzione sacrilega di una città con tutti i suoi templi dedicati agli austeri dèi, per la colpevole debolezza di un'ambizione, d'una vittoria o d'una sconfitta a cui non poteva sottrarsi.

Ed è di questa empietà che l’eroe/umano è chiamato a rispondere e in cui rivive la costrizione d'una illusoria scelta, tuttavia decisiva, che lo consegna alla sua dimensione tragica. Direbbesi un'istanza di prova, nella speranza che nell'unione mitica con ciò che lo avvicina al divino possa egli infine entrare nell'immortalità . . .

". . e un uomo che contempli tutt'attorno
la vita, in quale misura preponderante in
ogni cosa abbia potere lo straordinario,
il grande, il bello, subito capirà per
che cosa siamo nati" (32)

Ed è così che ogni cosa accade, e in tal senso si ripete, quando con il calar del sole, ogni rumore tace, per lasciar posto ai personaggi sulla scena . . .
Ma già gli attori indossano i costumi, i coturni e le maschere, giungono le austere donne, i sacerdoti pronti per celebrare il rito. Una sola voce si leva improvvisa, s'impone sopra le altre, mentre nella cavea gremita ogni altra si trattiene . . .

Choros:

". .Si lasci un po più di spazio nel mezzo!
Le comparse si mettano d'intorno al grande
bracere di bronzo.
Le donne, lì in semicerchio, sul davanti,
quasi sul proscenio. .
. . e quelle luci, laggiù, in crescendo, a
un certo punto, devono arrestarsi e dare
l'effetto ardente della fiamma.
Prova!" (33)

“E se ciò non fosse che un miserevole inganno?” Se avere accesso all'eterno significasse soltanto rinunciare infine alla propria vita terrena? Come sopprimere quel che è dato d'essere in vita e soggiacere paghi all'annientamento della morte?” Queste e altre domande s'affollano improvvise alla mente dello spettatore attonito, teso nel sostenere ciò che il mito reclama:

"Non vi è senso alcuno già consegnato nel cosmo, possiamo solo industriarci a inventarlo, provvisoriamente (..) poiché senza senso, non si dà esistenza". (34)

Ma più che il sacro transito del vissuto come momento del destino individuale che supera di per sé i confini della vita e va oltre la vita stessa, l'esasperato passaggio attraverso la morte non sembra bastare a ricondurre la precarietà dell'esistenza umana alla purezza onirica della memoria ancestrale. Tuttavia, è proprio la morte, quella aulica e mitologizzata dell'eroe a consegnare la vita a un al di là aureo e raggiante, in cui si configura la memoria cultuale e filosofica della civiltà greca con la quale costantemente tutta l'umanità si confronta.

Ed è proprio lì, in quel suo anelito d'immortalità, così emotivamente sentito, che si pone l'eterna ragione del contendere fra l’uomo e la divinità. E mentre da un lato scopriamo la plus-valenza edonistica nella concezione umana, dall'altro, mai ci abbandona la consapevolezza dell'ineluttabilità della fine. E quale che sia la domanda, la risposta si protrae dal profondo sconforto di un'attesa intristita dall'inevitabile vivere nel costante addensarsi di stereotipe quanto assurde ‘figure dell’inganno’. . .

È ‘Allora (che) la "posizione dell'uomo oscilla, pare fragile cosa rispetto alla forza divina; (..) a volte pare invece ch'egli abbia una sua energia di decisione, per cui devia dalla retta strada e si costruisce da sé il male" (35), e nel quale in fine si ritrova coinvolto. Al dunque cos'è mai la vita?, se non transito, prepotenza, sbaraglio, desolazione, paura, sofferenza, balzo nel vuoto, precipizio, schianto, agonizzo, orrore, se non corsa affannosa verso l'ignoto, verso l'invisibile astratto?

Cos'è mai la morte, dunque? Se non azione, godimento, viaggio estremo, sacro anelito, urlo trionfante, luce assoluta d'un tutto sfolgorante; se non il culmine dell'esperienza, spogliata dalle cose sensibili, che diventa interiore e che più s'avvicina all'indicibile idea del divino? Cos'è l’esistenza?, se non un'ultimo esultante anelito che si fa supplica, preghiera, certezza di legalità, di giustizia, speranza di pace: "..che pone le sue radici nei sentimenti di inquietudine e di orrore dell'infinito; che prende le sue mosse da quel senso di misto sgomento e piacere determinato dall'assolutamente grande e da ciò che suscita nell'uomo il senso della sua fragilità". (36)

Che senso può mai avere l’ostinazione di scrutare l'impossibile, il continuo volersi spingere nella ricerca di qualcosa che mai si consegue, ma che pure sentiamo di dover cercare? Quantunque una risposta sia stata già data, la più semplice e la più emblematica di tutte, è scolpita nella dura pietra e stanzia ancor oggi nell'aria come un epitaffio, rivolta al visitatore di ieri come a quello di domani: "Conosci te stesso, evita l'eccesso”; quasi che la sua essenza, tesa a stabilire un sostanziale dominio delle parti, tenti di contendere all'umano ciò ch'è solo del capriccio divino. Mi chiedo quale forza occulta osteggi talvolta l'esile volontà umana? Quale oscuro disegno affranca il geniale edificio della tirannide divina, se non la segreta speranza d'una imprescindibile superiore giustizia (?).

Forse non arriveremo mai a conoscere, a quale fonte attinga l'esperienza umana quando, facendo leva sulla propria sovrabbondanza di senso si libera dalle forze ambigue e incontrollabili che la governano. A quale occulto potere essa s'appella, quando nell'affermare la propria capacità d'astrazione finisce per dare consenso alla divina Nèmèsis, tutrice e conservatrice dell'ordine e dell'equilibrio dell'universo intero, la cui potenza ci restituisce l'illusione della sua ‘apparenza’, di un destino effimero sospeso nel vuoto, per quanto, quale che sia il potere intrinseco, poco o nulla aggiunge al mistero che avvolge il sacro istituto dell'esistenza. Ciò nondimeno – mi dico – che a quest’ultima insondabile interrogazione, manca la condizione essenziale che accompagna l'evento emozionale del sacro; quello smarrimento ultimo, estremamente umano, che sempre emerge dalle profondità della psiche e che trova accesso nel vuoto onirico dell'inconscio, nel desiderio di luce che pure risplende dell'aura luminosissima del sublime.

Ma come fin qui abbiamo appreso: "il destino dell'uomo è di meteora accesa, astro esploso in cielo, a cui si fissano, quasi per culto, gli sguardi di tutti (..) e il disincanto costituisce la risposta alla millenaria domanda sul senso"; così che l'esistenza risulta essere quasi “apprendistato di morte", e solo "chi ha raggiunto la chiarezza solare della verità; la condizione della purezza, dopo il passo, che non è più varco da esorcizzare, ma scioglimento da attendere con fiducia e amore" può "vivere la morte come liberazione estrema." (37)

È forse in questo la nostra umana inesprimibile inferiorità: "che non sappiamo il senso della nostra vita. E non possiamo saperlo. Ma che dobbiamo inventarlo, se ne siamo capaci." (38) Quel senso ‘altro’ e ‘supremo’ che fa da ponte tra la nostra piccola vita e la ‘fede’ in quel qualcosa di più grande che pure esiste al di sopra di noi tutti e che dà valore al nostro operato, la ‘convinzione’ che ci restituisce, nella consapevolezza dell’umana grandezza, la certezza della nostra esistenza.

Allora ‘cos'è la vita?’ si chiederà il lettore, nella speranza di trovare delle inconfutabili risposte: Cos’è “..Se non una maschera arcana scaturita da chissà quale abisso della mente che si ripropone come metafora d'un immaginario lontano, fatto di paura e di morte, che proprio nel momento in cui si annulla, fa ritorno al presente e si unisce al principio della vita che continua, substrato entro il quale si sgretola e si dissolve ogni sua forma mortale.” (39)

Cos’è se non una maschera iniziatica, una ‘figura dell’inganno’ lasciata cadere nel mezzo dello svolgersi di un dramma entro il quale si celebra, attraverso l'interpretazione luminosa del mito, l'eroe liberato per un istante dalla suprema concezione annientatrice della morte, la sua estrema vittoria umana, ultima, finale, immensa.

E che cos'è, chiede a se stesso l'uomo ritrovato, la riscoperta della Grecia antica? Se non un fuoco che ancor divampa e brucia, se non il riscatto della scontata pena, in cui si erge e si placa un'ultima speranza, se non il viaggio a ritroso verso la Grande Madre pria. Cos'è? Se non l'idea vagheggiata d'una giustizia suprema: se non un inno che al sole si leva, quando istantaneo abbaglia. Cos’è se non l'anelito al sublime, che agli dèi rimena ciò che all'eterno attaglia . . .

". . Musa, lascia le guerre e canta tu con me
le nozze degli dèi,
canta i conviti degli uomini, le feste dei beati" (40)



Note
(*) “Agamennone ..o la maschera ‘ingannevole’ del mito” è tratto da una piece teatrale inedita di Giorgio Mancinelli: “TRAGODIA: Cronache della Grecia antica”.

(**) I versi di apertura d’ogni capitolo sono di George Seferis, tratti da “Poesie”, Arnoldo Mondadori Editore - Milano 1989.

1) Friederich W. Nietzsche, “Verità e menzogna” - RCS 2010
2) Giulio de Martino, “Paradigmi dell’ozio” - Edizioni Intra Moenia 2007
3) Sigmund Freud, “L’interpretazione dei sogni” - Boringhieri 2011
4) Carl G. Jung, “L’uomo e i suoi simboli” - Cortina 2009
5) Rudolph Harneim, “Il Pensiero Visivo” - Einaudi 1974
6) 7) 8) Carl G. Jung, “Tipi psicologici” - Mondadori 1993
9) Carl G.Jung, “Opere” Vol.IX - Boringhieri 1980
10) Martha Nussbaum, “Coltivare l’umanità” – Carocci 1999
11) Claude Lévi-Strauss, “Antropologia strutturale” – il Saggiatore 2009
12) Èmile Durkheim, “Il suicidio” - BUR-Rizzoli 2007
13) Walter F. Otto, “Il mito” - Il Nuovo melangolo 2007
14) Marcel Schwob, “Il re dalla maschera d’oro” - Moizzi 1983
15) P. Flores D’Arcais, “Etica senza fede” - Einaudi 1992
16) J.Campbell, “L’eroe dai mille volti” - Feltrinelli 1984
17) P. Flores D’Arcais, op. Cit.
18) Anonimo, “Il Sublime”- Mondadori 1991
19) H. Hesse, “Religione e Mito” - Mondadori 1989
20) P. Flores D’Arcais, op. Cit.
21) Anonimo - “Il Sublime”, op. Cit.
22) Teognide, in “I Lirici Greci” - Einaudi 2008
23) Minnermo, “Come le foglie”, in “I Lirici Greci”, op. Cit.
24) Karoly Kerenyi “Miti e Misteri” - Boringhieri 1979
25) Karl G. Jung, “Opere”, op. Cit.
26) K.Kerenyi, op. Cit.
27) Omero, “Inni Omerici” - Mondadori 1975
28) Eschilo, “Agamennone”, in “Il Teatro Greco” - BUR-Rizzoli 2006
29) Eschilo, op. Cit
30) Saffo - in “I Lirici Greci”, op. Cit.
31) Frederick Nietzsche, “La nascita della Tragedia”, Adelphi 1982
32) Eschilo, op. Cit.
33) Anonimo, “Il Sublime”, op. Cit.
34) Marcel Schwob, op. Cit.
35) P. Flores D’Arcais, op. Cit.
36) Ezio Savino, “Preghiera e rito nella Grecia Antica”, Mondadori 1986
37) Eschilo, op. Cit.
38) Anonimo , “Il Sublime”, op. Cit.
39) Joseph Campbell “L’eroe dai mille volti” - Feltrinelli 1984
40) Marcel Schwob, op. Cit.


Il testo per esteso è edito da “Quaderni” di Inschibboleth N°5 - ‘Figure dell’inganno’, che ringrazio per il cortese prestito.

*

Agamennone .. o la maschera ingannevole del mito.

Tratto da “Quaderni” di Inschibboleth N°5 'Figure dell’inganno'


AGAMENNONE
..o la maschera ‘ingannevole’ del mito.

“Mi sono svegliato con questa testa
di marmo tra le mani e non so dove posarla.” (G. Seferis)

Kolophon, (cima, sommità).

Con l’affermarsi dell’individualismo moderno molti legami del passato sono tramutati in principi cardine di talune relazioni sociali dando luogo a gerarchie dinamiche di accettazione e/o esclusione foriere di conformismo e/o oppressione, che si collocano nello spazio-tempo della storicità attuale. Sono entrate cioè, già in illo tempore, a far parte di quella ‘storia universale’ che tutti noi andiamo scrivendo, vuoi per quella sorta di ‘empatia’ che dalle origini dei giorni e, straordinariamente, dopo la liberazione della coscienza antropologica proiettata nel futuro della nostra era, giunge al pieno sviluppo dell’immaginazione collettiva.
Sviluppo questo che dagli inizi sapienzali del pensiero umano, passando dai saperi locali (antropologici) legati alla terra e alle stagioni, ai legami comunitari (di razza, etnia, popolazione); come pure dalle pratiche sociali dei ‘riti di passaggio’, alla socialità conviviale delle ‘azioni solidali’ come concepimento del ‘pensiero unico’, fino alla moralità associativa di un certo ordine e convogliato nell’atto etico (politicamente corretto), è giunto a noi attraverso la filosofia e la metafisica con la nascita del pensiero tragico e alll’acquisita certezza di un’autonomia sociale (solidarietà ed economia alternativa), la cura dell’ambiente (sostenibilità ambientale), ecc. che avrebbero dovuto garantire nuovi ideali di ‘libertà’ e di ‘giustizia’ individuale (utopia filosofica) a tutti gli esseri umani a livello mondiale.
Allo stesso modo che oggi la ‘globalizzazione’ avrebbe dovuto essere portatrice di un’adeguata ‘sobrietà’ (comportamentale) come ‘visione metafisica’ delle cose della vita, soprattutto per l’idea di linguaggio come prodotto di interpretazione economico-politica all’interno di un ‘codice sociale’ unico, per l’appunto ‘globalizzato’. Quesiti che già secondo Friederich W. Nietzsche (1) “..si possono considerare un capovolgimento della filosofia pessimistica di Schopenhauer organizzata intorno a due nuclei organicamente collegati: uno metafisico e uno razionale. Da un lato l’affermazione della filosofia tragica dei Greci; dall’altro una sorta di scetticismo (di noi moderni) come arma di difesa e offesa contro la filosofia sistematica, in ogni caso di un rigore logico autoaffermativo che rende pensabile quello che non lo è, cioè la realtà”.
Una realtà in certo qual modo ‘possibile ma non pensabile’ che ha contribuito alla diffusione di ‘ideali generici’ sul piano etico-morale e che, una volta entrati nel lessico costitutivo delle politiche governative, oggi ci paiono piuttosto decontestualizzati per l’avvenuta demarcazione messa in atto dalla globalizzazione stessa; vale a dire, avulsi da quella ‘responsabilità’ e ‘solidarietà sociale’ che dovrebbero concernere a ognuno, sia a livello individuale, sia comunitario. E che altresì corrisponde un’accertata deprivazione e vulnerabilità della ‘realtà’ che già nella visione di Nietzsche pareva non avere più alcuna sostanza; cioè accolta in un’etica dell’ ‘inutile’ arresasi a una sorta di ‘moralità fluida’, altresì svuotata d’ogni principio fondante lo sviluppo dell’immaginazione narrativa:
“Da ché la realtà non è pensabile perché non esiste una qualunque stabile costituzione delle cose” – scrive ancora Nietzsche sollevando così un’ulteriore interpellanza: ‘Che ne è allora della ricerca della ‘verità’ in quanto marca obliterata della ‘realtà’, allorché sono venuti meno i legami col passato e che pure la storia attuale dimostra ampiamente?’ Ovvero: ‘Quale declinazione attribuire alla forza che quotidianamente abbatte definitivamente quegli stessi valori che pure rendevano solidali i rapporti di responsabilità e di appartenenza che davano spessore alla originaria ’empatia’ antropologica, che pure aveva reso possibile il pieno sviluppo dell’immaginazione collettiva?’ A entrambe le domande si conviene con una sola presumibile risposta, fondante l’identità sia individuale che collettiva, determinativa sia del ‘pensiero unico’ che della ‘morale associativa’, ambedue formative di quella che oggi riconosciamo come ‘coscienza mitica’ della nostra società:
“Certamente la modernizzazione dei costumi e delle idee – scrive Giulio de Martino (2) – non è approdata ad un risultato integrale ed esaustivo, si è sempre dovuta misurare con fattori limitanti, con istanze individuali e sociali di tipo politico, religioso, artistico ecc. Di fronte ai mutamenti dei comportamenti innati e acquisiti, alcuni autori hanno rilanciato dottrine evoluzionistiche e adattive, hanno magnificato il nuovo tipo umano: l’uomo dell’epoca della tecnica. Malgrado l’indole più profonda, l’emozionalità e l’istintualità dell’uomo, siano rimaste largamente immodificate rispetto alle modalità arcaiche. (..) “Tutto cambia, nulla cambia” (dissoi, logoi – dicevano gli antichi greci), e l’uomo moderno non è altro che un ‘travestimento’ non sempre riuscito dell’uomo arcaico”.
Travestimento che ha visto il trasformarsi dall’origine antropologica dell’individuo in una ‘maschera’ artificiosa quanto ineluttabile che fin dall’antichità è stata assunta a effige del quotidiano in sostituzione della ‘realtà’ rappresentata dalla ‘persona umana’, il cui ruolo ha permesso l’azione propedeutica alla mistificazione del teathron, ovvero dell’inganno perpetrato dall’attore sulla scena, entrato poi a far parte dell’immaginazione narrativa. Quella stessa che legata in origine alla rappresentazione tragico-sacrale degli antichi Greci, ha dato forma alla maschera teatrale cui gli antichi adducevano un'intrinseca dualità espressiva che s’imponeva e, al tempo stesso, si metteva in causa sulla scena, unica vera protagonista del dramma rappresentato. Ma se per un verso la maschera esaltava il lirismo poetico dei personaggi, sempre tesi tra la morale antica e la coscienza dei moderni, fra mitologia e realtà storica; per altro verso, essa occultava le vere sembianze del volto che la sosteneva, per rivelarsi poi, dentro un divenire metafisico (metateatro), posto a metà strada fra l'umano e il divino.
Ad un'analisi speculativa degli elementi che la compongono la maschera si rivela di natura ontologica, in quanto chiave di lettura di quei simboli attivi che, posti in connessione l’uno con l’altro, danno forma alla sintassi razionale di un concetto irrazionale: “Una conseguenza della negazione della ‘realtà’ come negazione della ‘verità’, come di ciò che per principio corrisponde alla realtà”. Che cos’è allora quella che noi chiamiamo la verità? “La verità – risponde Nietzsche – è l’errore di cui abbiamo bisogno per vivere” … o, forse – aggiungo – solo per accettare di dover morire (?). Allo stesso modo che Eros e Thánatos, cari agli antichi, oggi continuano a esercitare quel contrasto che tuttavia si afferma come ‘costante’ dell’odierna simbologia, in quanto rispettivamente emblematici l’uno della ‘pulsione di vita’ e l’altro della ‘pulsione di morte’ che li tiene legati a quel dualismo irrisolto, tra ‘mimesi’ e ‘catarsi’ che Sigmund Freud (3) sintetizza come ‘negazione della morale individuale’ (autolesionista), e ‘negazione della morale sociale’ (in quanto crea caos nell’ordine universale).
“Se l’immagine agisce come simbolo nella misura in cui raffigura cose ad un livello di astrazione più alto di quello cui si trova il simbolo stesso”(4), allora “l’astrazione è il mezzo mediante il quale la rappresentazione interpreta ciò che raffigura”(5). Ecco quindi che la conoscenza dei simboli naturali, cioè di quei simboli entrati nella concezione popolare e in seguito divenuti culturali, si rende necessaria per una lettura significativa dell’origine della maschera da attribuirsi allo stato inconscio della parola. Lettura questa, che consente di entrare in stretto rapporto con ciò che la maschera rappresenta e penetrare nella sua arcana bellezza; sia anche di restare prigionieri del potere che la sua ‘ingannevole’ immagine esercita sugli umani e sulle cose.
Simbolismo che va necessariamente interpretato e che Carl G. Jung (6) ha posto fra gli ‘archetipi’ di sua concezione, la cui conoscenza si rende necessaria per un'interpretazione strettamente inerente a una rappresentazione piuttosto ‘onirica’ del mondo e della vita cui la collettività attribuisce importanza psicologica e che, quasi a voler esorcizzare se stessa, esterna per mezzo della rappresentazione visiva. Tuttavia un'indagine del ruolo specifico della maschera tendente a conferire ad essa un’identità culturale ‘archetipica’ può risultare vana o quanto mai generalizzante, perché non connessa con la sua natura accidentale e mutevole, alla quale meglio si addice il gioco sottile e intelligibile della mimesi. “E poiché l'anima non pensa mai senza un'immagine” (7), la maschera non può che esistere nella misura della sua essenza metafisica, alla cui visualizzazione contribuiscono molteplici atti di formazione mutuamente interconnessi, selettivi, astrattivi e finanche creativi.
In quanto tale la maschera è quindi la complessa visione di un’astrazione che attraverso l'esperienza della forma, s'impone come rappresentativa della ‘persona’ tra le immagini archetipiche fondamentali: al tempo stesso figura ‘dualistica’ e ‘ingannevole’ perpetrata nella memoria collettiva mediante il confinamento di chi la indossa a un ruolo secondario. Pertanto la scomposizione dei singoli elementi che la compongono porterebbe inevitabilmente alla distruzione dell'archetipo che in sé costituisce. Allo stesso modo che, una volta indossata, la maschera trascende il volto e/o la figura intera entro un ‘tempo’ statico che agisce all’interno d’una eternità, alquanto oggettiva/soggettiva, rappresentativo d’una continuità virtuale della vita. Ne è un chiaro esempio la maschera funeraria, ampiamente visualizzata nell'arte di molte popolazioni antiche, che si pone alla nostra attenzione per la complessa simbologia e la stupenda capacità di sintesi raggiunta, intesa a valorizzare quella che è forse la sua più affermata raffigurazione, catartica della “vita oltre la vita”.
Rivestita di significato simbolico, la maschera che nel teatro antico svolgeva un ruolo apotropaico in cui l'attore diveniva oggetto dello straniamento in atto nel momento in cui il personaggio rappresentato s'avvicinava alla sacralità entrando in contatto con la divinità/eroe/eroina evocata. La necessaria catarsi agiva sull’identità di chi la indossava, lasciando posto a “..un ‘io’ più universale e al trascendimento all'autocoscienza, indicata come meta da conquistare attraverso lo sforzo, il rischio di morte e di prova”(8). Come infatti ancora oggi avviene, ma – ". .solo quando l'anima dell'ascoltatore vibra all'unisono con quella dell'autore; solo quando egli si trova in uno stato psicologico di tesa sospensione, in cui i limiti della propria personalità si annullano, si può giungere a percepire la sublimità, che associa alla stessa esperienza il poeta che crea e il pubblico a cui si rivolge" (9).
Subire il fascino della maschera significava entrare nell'entità incommensurabile dell'assoluto in cui la vita e la morte terrene infine si eguagliano, l'una compenetrata nell'altra. Una chiave di lettura questa che consente un più stretto rapporto con l'immagine che la maschera rappresenta, onde penetrarne l’arcana bellezza ancor oggi significa restare prigionieri del potere che esercita sugli uomini e sulle cose. La sua funzione rituale risulta altresì determinante allo straniamento delle parti in lotta, le quali si contrastano e si completano a vicenda, alfine di creare quella situazione drammatica da portarsi a compimento sulla scena. Condizione che ‘l'immaginazione narrativa’ nel dramma o nella tragedia, si poneva come ‘paradigma’ allo scopo di giungere a percepire, al suo fulcro, il ‘sublime’ del messaggio dell'autore.
Come anche scrive la nota studiosa di filosofia greca e romana Martha Nussbaum(10): “L’immaginazione narrativa è dunque uno strumento necessario per prepararsi ad affrontare correttamente l’interazione morale. Abituarsi ad agire in maniera empatica e riflettere sull’interiorità di chi ci troviamo di fronte concorre alla formazione di un certo tipo di cittadino e di una certa forma di comunità: una comunità che approfondisca e sviluppi la sensibilità simpatetica nei confronti dei bisogni degli altri e che comprenda in che modo le circostanze orientano questi bisogni. (..) Si può giungere a questo risultato grazie al modo in cui l’immaginazione letteraria spinge ad interessarsi al destino dei personaggi e rende manifesta la loro ricchezza interiore, cosa non immediatamente visibile.”
Con ciò siamo alle soglie di quel mondo interiore (nel subconscio freudiano), che ha condotto alla conoscenza del ‘sé’ improntata al raggiungimento di una più completa consapevolezza sociale dell’universo antropico e di una visione sicuramente più unitaria di quella catturata dalla rete delle immagini visibili e/o invisibili che hanno portato alla costruzione del ‘pensiero mitico’ di Claude Lévi-Strauss (11) e delle strutture profonde, universali e atemporali, che soggiacciono al pensiero umano. Strutture che già Èmile Durkheim (12) aveva dimostrato “..non essere spiegabili come fenomeni socio-culturali a se stanti, o frutto di scelte individuali volontarie e consapevoli, ma in termini di rappresentazioni collettive”, non in ultimo, concernenti proprio un certo modo di ‘fare teatro’ come di fatto avveniva nella tragedia attica.
Successivamente, con la proiezione dell'inconscio che diventa per Sigmund Freud uno degli strumenti più importanti per la comprensione dei sogni, ‘l’immaginazione narrativa’ compie un passo fondamentale per il raccordo mitico fra antropologia e psicoanalisi, o meglio fra struttura psicologica e compagine culturale. Secondo Freud infatti, il sogno traduce i movimenti profondi dell'inconscio, evidenziando l’importanza del linguaggio onirico usato nell’immaginario sia analogo a quello dei miti e quindi la necessità di decifrarne il particolare simbolismo. Il ‘mito’ qui di seguito attribuito ad Agamennone va letto in funzione di una paradossale “..manifestazione collettiva altamente elaborata dello spirito umano, di cui rivela e, al tempo stesso dissimula, certe tendenze inconsce” (13).
Prigioniero di un preconcetto invalicabile e tuttavia rivisitato attraverso la lente d’ingrandimento dell’invenzione letteraria, ‘Agamennone’ il cui ‘culto’ è attestato in età storica in diverse località dell’Attica, si pone all’evidenza in questo testo in cui si fa uso del linguaggio teatrale, il solo capace di riaccendere i riflettori sui ‘luoghi storici’ che un tempo hanno idealmente significato, allorché la Grecia tutta era il faro della civiltà e della cultura del mondo intero. Linguaggio ‘tragico’ dunque anche se qui di seguito scomposto, per così dire, destrutturato dalla sua funzione primaria allorché protagonista di un’azione drammatica empirica che di colpo lo investe da un accadimento post-mortem, allorché Agamennone si presenta al giudizio di noi moderni spogliato dei suoi poteri ‘divini’.
Al tempo stesso decisamente diverso da quello più conosciuto di comandante supremo dell'esercito greco che Omero ci presenta nell'Iliade e da quello dell’eroe che nell'Odissea fa ritorno in patria e affronta le vicende tragiche che intersecano la sua famiglia. Dissimile inoltre dalle molte narrazioni riprese successivamente nei Cataloghi esiodei o le Ciprie di Stasino, dall'Orestea di Stesicoro alla Pitica 11 di Pindaro e dall'Aiace di Sofocle; nonché diverso dall’eroe che Eschilo ci presenta nell’Orestea, e da quello che Euripide pone al centro dell’Ifigenia in Aulide; nonché decisamente discorde dall'Agamennone di Seneca. In questa specifica piece (tratta da un ‘inedito’ di chi scrive) l’eroe di Ilio si mostra con il volto nascosto dietro la ‘maschera d’oro’ (a lui attribuita), che lo designa dell’identità regale e che, al tempo stesso, stigmatizza, già al suo apparire sulla scena, la condanna dei posteri per l’inganno che dietro di essa si cela. Una sorta di decostruzione del ‘mito’ che lo contempla, relegandolo al ruolo dell’impostore mendace, nell’affrontare il sacrificio dello sdoppiamento che dietro la maschera lo rivela, per immolarsi infine nella dimensione antropica della sua ‘figura umana’:

“Chi può sapere se vera (luce) o se inganno di dèi?”


TRAGODIA
(Cronache della Grecia antica)*

“Mi duole d'aver lasciato
scorrere un sì vasto fiume fra le mie dita
senza averne bevuto neppure una goccia.” (G. Seferis)


_______epithaphion (epitaffio)

Nella pausa (del viaggio) non più lunga di un istante, tutto sembra che improvvisamente si taccia, ogni umano fermento trova in questo luogo toccato dal mito una battuta d'arresto. Un ché d'inaspettato che dal presente si spinge a ritroso nel passato remoto, quasi il propagarsi d’una lontana memoria che ritorna improvvisa. Allorché avvolta nell'astratta sospensione del momento, l’io (che è in me) assista al materializzarsi sulla scena dello svolgersi d'un dramma che non conosce appieno, e che forse trascinava con sé, attraverso quegli stessi luoghi che passo dopo passo andava rivisitando, quale ultimo confuso accolito per un autore segretamente amato: Eschilo.

_______epitasis (tensione, intensità)

Quand'ecco, fra il repentino accendersi e spegnersi dei riflettori e il via vai affrettato dei tecnici e delle maestranze, s'ode il frastuono delle assi gettate in terra onde preparar la scena che di Micene già rammenta il varco, nel momento in cui una folata di repentino vento che dell'estate ravvisa ormai la fine, fa stormire le fronde degli alberi, sollevando una nuvola di polvere che acceca per un istante lo spettatore attonito, e un brivido lo coglie, una sorta di furente affanno che incombe, come di ansia, come di fame . . .
La tomba a tholòs quasi si disconosce immersa com'è nel paesaggio, coperta di secche sterpaglie e qualche insolito fiore di campo. Un solco netto nella terra e le pietre verticalmente esposte formano l'entrata: un limite invisibile che s'oppone al passo con un brusco arresto della luce che si posa per un ultimo istante sulla soglia, oltre la quale, il buio del baratro s’avviene. Come di cecità che improvvisa colpisce gli occhi di chi entra e ché, nel ricordo e nel rammarico di essa, s'arresta in bilico a poter cadere, nel vuoto. Filigrane d'argento e d'oro come bave di ragni ascosi, tengono i blocchi di pietra, sporgenza sopra sporgenza a formare gli infiniti anelli concentrici della volta espandendo lo spazio interno, sì da farlo sembrare un emisfero in moto che ruota vorticosamente, sottratto all'incessante mutare della luce, per rivendicare al buio l'utopia di ciò ch'è per sempre . . .
Il passo indugia nel pietroso spazio della tomba, lì dove una cieca presenza s'aggira e lo sguardo vaga in cerca di un’ombra, o forse di un'anima che in sé prenda forma per identificarsi col vissuto. Come di potenza ignara che si manifesta al compimento d'una vicenda che si colora della luce empirica del mito, come corpo nel corpo stesso del buio, quasi parvenza dell'oscura vaghezza che si leva precaria entro una realtà vana:
_______epos (poema epico narrativo)

«Micene tutta, restava muta come lo è ora, chiusa nel cerchio di pietra delle sue possenti mura. Sconvolta e inorridita davanti al fatto di sangue che avrebbe segnato la sua rovinosa caduta. S'apprestava a celebrare, senza sfarzo, le esequie del proprio re Agamennone di ritorno da Ilio con la vittoria in pugno. Vivo e tenace nel suo giungere lieto. Sfigurato e trafitto sul suo letto di morte. Non in battaglia ucciso, ma per mano di Clitennestra, sua sposa e madre dei suoi figli, che aveva diviso con lui il regale talamo di Atreo. Il rito funebre, celebrato davanti alla folla attonita avvolta nei lugubri panni, si svolgeva in un giorno sferzato dal vento, e grida e lamenti striavano il plumbeo cielo. Colonne di fumo si levavano dai bracieri accesi, e il mirto e l'incenso bruciati appesantivano l'aria d’un acre inesprimibile odore di morte. . .»

Agl’inni invocanti gli dei di placare l'ombra vagante dell'ucciso affinché fosse accolta nell'Ade, si aggiunse il compianto dei figli e degli amici, e di quanti avevano combattuto al suo fianco. Quando, atterrita, al di sopra di tutti levossi la voce delle donne in accorato pianto:

_______choros (coro/recitativo)

«Ecco colui che torna, quel poderoso Atreo, acclamato e tenace, che gli Atridi condusse alla vittoria. Colui che ordunque giace sotto il cumulo delle macerie, dei massi sconnessi, delle porte abbattute, il cui inquieto silenzio fa riaffiorare all'evidenza del presente, la mostruosità d'un perpetrato inganno: Agamennone!»
Alla stregua d’un cadavere violato, sconvolto dalla mano sacrilega che ne ha turbato il sonno, carico delle ferite sanguinanti del sangue versato, Agamennone avanza con la spada in pugno, lentamente, attraverso l'oscurità della tomba. I suoi occhi ardono come fuoco che splende, dietro la maschera d'oro che gli ricopre il viso . . .

"A imitazione del re scarnificato, donne e
guerrieri e sacerdoti (..) si levano dalle
lontane tombe e vengono a lui incontro (..);
hanno immutabili visi d'argento, di ferro,
di rame, di legno, di stoffa; la fiamma rosea e porpora
che irraggia dalla bronzea grata (..) del braciere
acceso, fa brillare le maschere dei volti (..)
e solo la maschera d'oro del re è maestosa,
e veramente regale." (14)

Improvviso, s'ode un calpestio di piedi, un fragore di spade; qualcuno grida nelle segrete stanze ricche a oltranza d'agili scarabei. Poi, tutto tace, e come per l'addensarsi d'una ambiguità palpabile, s'accende di tonalità drammatiche la finzione della messinscena:

_______parodos (canto)

Choros:
«Funesto presagio, quando Borèa sferzante e impetuoso ammassa le nubi nel cielo e le sospinge, le aggroviglia, le dipana; quando solleva le navi nel golfo e le scuote, e le sbatte con violenza contro la scogliera. Acciò, la sconfitta dopo la vittoria, lo scoramento che segue alla pena, al prevalere incerto che spetta all'eroe dall'oltraggiosa morte che all'Antica Madre rimena. Ordunque, una tragica sorte t'aspetta o Micene, il pianto dei tuoi figli e il tumulto delle anime in pena: ché il sangue versato non altri germogli a te condurrà, ma ortica e gramigna, sulle tue terre spoglie. Che già s'ode un fragore di legni alla deriva, e il frastuono che abbatte le tue poderose mura. Ieratiche nell'ombra si stagliano le figure delle Coefore pronte ad agitar le mani, e degli umani il biasimo annunciano per quegli eroi che degli dei or hanno il favore inviso».
Egli dunque s'avanza, protagonista e sovrano, entro le spoglie austere, ma un segreto tormento lo insidia, il timore ispido e incessante di dover perdere davanti all'ipostasi suprema, la sua ineludibile finitezza d'uomo . . .

_______stasimo (pausa, intervallo)

“Un peccato d'orgoglio nel tentativo di sottrarsi al proprio destino, di impadronirsene e produrlo (..) all'unico esperibile Tutto che è la propria vita individuale, l'esistenza concreta e irripetibile che a ciascuno è data nella incerta durata di una certa finitezza" (15); "quella promessa di autentica libertà e di potere, che avrebbe consegnato alla storia l'eco della sua umana avventura." (16)
Nella lucidità del risveglio dall’ebbrezza della morte Agamennone “..vede intorno a sé l’atrocità o l’assurdità dell’esistenza umana”, e non chiede di tornare a vivere. Una siffatta richiesta sarebbe vile per un eroe. Avvolto nella tenebra egli rivela una doppia natura: due aspetti contrastanti di un medesimo sé, segreto a quell’io che talvolta s'infiamma e grida dal profondo. L’oscuro che del proprio essere egli cela dietro l'apparente mutismo d'una maschera d’oro, segnano i limiti della propria condizione umana:
"In virtù della quale egli rinuncia alla sua identità più propria, e al disagio della finitezza che l'accompagna, nell'illusione di poter accedere all'onnipotenza divina, integrandosi e annullandosi nel genere, sanzionandosi come mera replica di una presunta essenza umana" (17): ". . non tutti gli uomini hanno la consapevolezza innata di ciò che è giusto”. (18)

Una sorta d'orgoglioso sgomento traspare dai suoi occhi socchiusi, il cui inesorabile sguardo, vuoto nella terribile fissità dell'oro, conduce al di là d'ogni umano intendimento, oltre il quale, la verità degli uomini non ha più ragione d'essere.
La sua maschera d’oro si leva in splendida solitudine al di sopra d'ogni altra, su tutte le altre, configurazione di un io idealizzato, imprigionato dentro l'essenza stessa della morte, sublimazione e trasfigurazione d'una dannazione eterna, o forse, dun’estasi divina (?).
Sotto la maschera regale, riflesso dorato di quell'essere impetuoso che mai si arrese alla divina sorte, si cela un volto sfigurato, che si raccapriccia all'idea di dover "considerare l'incomprensibile, la mancanza di senso, come condizione preliminare di tutto ciò che può aver valore" (19) e "in cui ciascuno attinge valore in sé, invece di scoprirsi irrimediabilmente gettato in un ruolo che vale come destino naturale, come articolazione organica di una cosmica volontà fisica." (20) Sì, egli s'avanza nella recuperata memoria del presente dentro la morte, come un'ombra senza sembiante, che non un vero castigo opprime, ma a cui, la mancanza di una vera fede toglie il conforto d'ogni possibile speranza e lo induce a fuggire dalla realtà . . .

_______Mythos (mito - recitativo)

Agamennone:
«Sì beffarda è la notte, quando chetati gli spiriti inquieti, s'affacciano le ombre dei vissuti a reclamare il bronzo del riscatto. Perché, mi chiedo, di questa morte oltraggiosa, che non reca vanto ad alcuno? Perché sì tanta crudeltà e il dispregio degli déi, per questo figlio d'Atreo che ad essi non rifiutò il sacrificio estremo? Di chi, per voler loro, condusse la propria spada in Ilio? Perché? Perché di sì orrendo delitto s'è macchiata la mano di Clitennestra? Oh! quali e inquietanti istanze affollano i miei pensieri, quanti angosciosi perché, premono alla mia mente, quale sorta di rabbia mi logora dentro e mi spinge all'astio, alla vendetta estrema».

E già la parola accresce il suo furore, l'incita alla vendetta, e un brivido percorre la sua mano . . .

Choros:
«Di che ti lagni Tu, che ingiustamente uccidesti Tantalo, e che il suo giovane figlio strappasti dalle braccia di colei che poi prendesti in sposa? Di lui t’insegue la maledizione estrema, che mai lavò il subìto affronto. Tu, che d'Artemide l'ira placasti con l'immolare la tua diletta figlia Ifigenia, sappi che il sangue dei propri figli giammai può essere lavato. Tu, che coi nemici mai fosti pietoso, dell'empietà dei molti rispondere or devi, e della suprema vendetta dei giusti, la pena eterna paghi».
_______stasimo

Quand'ecco la voce ferma del re erompe sotto la volta e fa tremare per un attimo la fiamma che nel braciere improvvisa divampa:

Agamennone:
«Triste è il tempo di chi non s'aspetta pietà. O si, questo son io, queste le colpe, ma ben più è il castigo divino che mi danna a questa sopravvivenza di larva, morto alla vita, nella consapevolezza angosciosa di ciò che accadrà. O Ipnos, o Thanatos, o Ermete fraterno, giungete vi prego. O vaghe parvenze dell'invisibile, venite a colmare l'incolmabile attesa. Conducete, v’imploro, la mia anima inquieta verso quell'ultima silenziosa meta, dove io possa infine posar le stanche membra da sì cotanto affanno che mi strema . . .»
«Meschina è l'esistenza di chi è oltraggiato, ignorato dalle amicizie d'un tempo, deluso dall'affetto dei cari, inviso agli impietosi dei, obliato nella memoria dei posteri. Ognuno di me conosce le colpe di cui mi macchiai un tempo, ordunque nessuno sa, invece di quale precipizio io sono sull'orlo, ché questo mio volto d'oro s'infrange contro lo specchio gretto dell'invisibile sorte. O, perché dunque, chiedo, l'autore di sì funesto dramma non reclama per sé il riscatto della pena e di un sì cotal destino?»
Le anime dei trapassati si fanno in disparte e indietreggiano lentamente verso il fondo, nel mentre l’autore del dramma, invocato, incede attraverso il buio nella piena luce della fiamma . . .

Eschilo:
«Caro agli dei già fui e ai mortali che della tragedia danno a me la palma. Qui giungo che Eolo mi chiama e riconduce a me il pianto d'uno dei miei eroi sì nobile e sovrano, che giammai mi dolgo di riaprire il canto. O Melpomene, o Musa alla memoria cara, ascolta questo prode figlio d'Atreo, che d'Agamennone oggi qui si discute il vanto. Per la sua morte il pianto leva tutta Micene, colpita da sì grave lutto, e del re ucciso declama or già l'orrore, ma non dimentica le subite offese, e del figlio suo, per i colpevoli, degli dei sovrani, la vendetta estrema chiede. E tu, prode Agamennone, riponi orsù la spada, che di sì tale fardello ancor la terra lagna. Io non così ti volli. Nella memoria dei molti or tu riposi da quel grande che fosti, come colui che alla sacra Ilio vincitor condusse gli Achei. Parlami, dunque, che chiedi? Quale verità nascondi dietro la maschera d'oro ch'io non ti diedi? Quale enigma? O, quale inganno? Che . . . »

"..rispetto a tutte le altre, una sola cosa
preferiscono i migliori: la gloria eterna
rispetto alle cose caduche" (21)

Agamennone:
«Quell'io non sono al quale inneggiasti un tempo, quel guerriero impavido assetato di gloria, vittorioso forse, morto di niente. Dietro la maschera che vedi, teatro del disordine, si cela un altro io che non conosci, che urla, che s'agita e mai mi capita di scorgere me stesso; come se insieme al mio corpo, avessi io perduto la sostanza stessa della mia anima. No, quell'io non sono, bensì l'ombra di me. E solo mi è data la parola e l'angoscioso affanno. Allorché il re, con gesto remissivo, ripone la spada levata».

Eschilo:
«Non biasimarmi ora per ciò ch'era scritto, nulla io posso contro il supremo giudice divino, ché la storia non tollera l'inganno di chi presume sostituirsi ad essa . . .»

"Colui che giace in gravi pene abbia coraggio, e domandi
lo scampo agli dèi immortali" (22)

«La tragedia, è vero, pretende lo spargere del sangue, l'affronto, la vendetta, l'annientamento dei nemici sul campo, i suoi tristi esecrabili lutti; ma nulla, al dunque, può cambiare il suo volgere al fato . . .»

Agamennone:
«Poiché giammai vengo ricordato per l'essere stato re, ma per il funesto destino che mi hai dato, ti chiedo di lasciarmi l'arbitrio della scelta: che non altro io chiedo che d'essere ciò che non fui mai, mortale fra i mortali, senza l'onore d'appartenere al mito. No, non so che farmene di questa veste regale, di questa eternità che d'una sola giustizia s'avvale. No, non so che uso fare di questa spada, di quest'armatura che mi costringe il petto. A te, del comando cedo volentieri lo scettro».

Eschilo:
«Di rinunciare chiedi d'essere stato un prode? Rifletti prima di pronunciare simile bestemmia che rivolgersi potrebbe contro te stesso. E sappi, che ben poca cosa è la vita dei mortali che tu così ambitamente reclami. Ma proprio quella morte che tu abiuri, t'ha consegnato al mito, al quale ora appartieni . . .»

Agamennone:
«Quale illusione l'eternità, quale congiura contro l'umana esistenza. Di quali angosce è segnato il cammino di chi come me persegue un'ingiusta sorte, meglio sarebbe stato per me morire a fil di spada».

Eschilo:
«No, la morte non è né giusta né ingiusta, ma soltanto la fine d'ogni cosa umana. Il fato che alla morte conduce è strettamente soggetto alle forze soprannaturali che lo regolano, e a quegli astiosi déi ch'ora dispongono della salvezza o della rovina dei mortali. Or io, non posso qui cogliere l'immanenza del tempo che scorre, e una livida sensazione di sconforto prevale, precaria sul tuo destino d'uomo. Poiché la morte, costantemente connessa con l'oblio, conduce dall'esistenza al nulla “ . . che solo agli dei ed agli eroi del mito l'eterno afflato è dato”. Or che mi chiami quale giudice di parte, io ti ascolto, ma nulla può il voler mio, poiché altro non sono che l'autore di versi, e come tale posso soltanto scandagliare l'ignoto ch'è in te, e non cambiare il corso degli astri che già determinarono il fato … Orsù, venite, vi prego, che già l'ora c'inganna . . .»

Agamennone:
«Ciò nulla ha a che vedere con quell'eternità cui tu inneggi. E questa maschera d'oro, riverbero arcano di una luce che non potrà essere mai, penetra e scalza l'immagine mia reale, opaca e nera, che l'oscurità profana di questa tomba a sé reclama. E un brivido spaventoso sovente mi coglie, e sempre presente è in me l'attimo che viene. Dietro la fissità ascosa nell'oro, si cela il volto mio mortale, la cui misera sembianza va ben oltre lo sfinimento e l'aberrante nullità dell'umana sorte. Ciò che chiedo infine cos'è? Nulla di più che di riaffermare il mio essere uomo».

Eschilo:
«Chi mai oserebbe contrastare tale diritto, l'importanza d’una sì nobile motivazione? Tuttavia, ciò che tu chiedi, attiene al tragico dissidio fra l’ordine umano delle cose e quello divino che lo sovrasta. Una duplice casualità incorre sul tuo destino e ha comunque un colore funereo di morte. Sia che tu possa tornare a essere uomo e accrescere la tua regalità, sia che tu rinunci all’essere l’eroe, la scelta non cambia il verso delle cose, soltanto porta all'abbandono estremo . . .»

". . come varca la stagione il suo confine,
allora essere morti è meglio che la stessa vita." (23)

«Che solo all'eroe è dato di conseguire il divino afflato, l'entrare nel mito che ad alcuno è dato. E ciò fin quando anch'egli, tornato a essere mortale, per traghettare l'anima sua sull'altra sponda, pagare infin dovrà l'obolo a Caronte. No, non ti fu data scelta, come neppure io l'ebbi nel consegnarti alla tragedia antica. E, poiché tale era il prezzo della tua ambizione, non con la spada incontrerai oggi il favore che non avesti allora. Né l'astio placherà la tua anima pregna. . .»

Agamennone:
«Com'altro potrei? Cosa s'addice al guerriero quando nell'immanenza del trionfo che lo attende, sente avvicinarsi l'ora ineludibile della fine? Cos'altro mi resta se non di brandire questa spada, che la volontà degli déi mi ha data, quegli stessi déi ch'io servii senza esitazione alcuna? Avrei io potuto fare altrimenti? Ascolta, le anime dei senza onore s'agitano in mezzo a noi. Sono le anime spoglie che come me chiedono una morte degna del loro valore, e in cuor loro una sol cosa bramano: vendetta! Non sì indegnamente muore un figlio d'Atreo!»

_______stasimo

Le ombre dei trapassati si fanno a lui d'intorno, cercano di afferrarlo, ne bramano le spoglie, poi, si ritraggono confuse, agitate entro il sortilegio che l'infiamma. Provenienti dal fondo s'odono i loro lugubri lamenti, le loro ombre s'intravvedono appena in controluce, mosse dalla tenue luce della fiamma. Urla sgomente si levano dal profondo buio della tomba. Agamennone nell'udirle è preso da cieco furore e brandita la spada l'agita con fendenti il vuoto . . .

Eschilo:
«Aspettate! Non come supremo giudice sono d’innanzi a voi. Ma, acciò d'un prevalere irrevocabile che a ognuno acconsente la vita e l'onore della morte, io venni in quella di spettatore, che come voi si lascia coinvolgere nell’evolversi delle parti. E null’altro chiedo se non che la giustizia faccia la sua parte. E se non la pietà, ad egli ancor più s'impone dei giudici la speranza di ritrovarsi un giorno fra i mortali. Ordunque venite o sacre ombre della notte ad accomiatar colui che questo buio accoglie, che un'altra soluzione chiede consenso al dramma.»

Quandecco si levano le fosche dee ctonie, regolatrici dell'umane sorti, a ravvisare Eschilo di non dare ascolto al reo, ché un deplorevole inganno egli trama . . .

(Continua nella 2a Parte)

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Smarrito tra le pagine del web: Le fils de Jean

SMARRITO TRA LE PAGINE DEL WEB:

'Le Fils de Jean'- ovvero cosa forma la nostra identità e dove la troviamo.

 

E' sighificativo che sia sfuggito all'attenzione pubblica un film di certo spessore significativo e così interessante per la comprensione del nostro tempo. Davvero mi rammarico di non averlo ancora visto nelle nostre sale cinematografiche. Cercatelo, richiedetelo, visionatelo, perché è uno di quei film da non perdere.

 

Cineuropa: articolo di Vladan Petkovic.

In concorso a Varsavia 2016 'Le Fils de Jean: cosa forma la nostra identità e dove la trovoamo' ottavo lungometraggio del regista francese Philippe Lioret è stato proiettato nella Competizione Internazionale del Festival di Varsavia.

 

Le Fils de Jean è un'esplorazione toccante dell'identità personale e della ricerca dell'amore; un'opera benevola, pensata per il grande pubblico che affronta l'amore familiare e l'identità personale, portando questi temi a profondità emotive che toccano lo spettatore intimamente.

 

Essai:

Il personaggio principale, il trentacinquenne Mathieu (Pierre Deladonchamps nella foto), è un direttore vendite divorziato la cui vera passione è scrivere di letteratura poliziesca. È stato lasciato dalla moglie, perché il suo lavoro nella vendita al dettaglio era troppo impegnativo, ed è anche uno dei motivi per cui non ha scritto un secondo romanzo, sebbene il suo debutto sia stato un discreto successo. Anche se sono separati, l'uomo è in buoni rapporti con l'ex moglie e vede suo figlio di 6 anni ogni fine settimana. Un giorno riceve una chiamata dal Canada e apprende che il padre, Jean, è morto, e gli ha lasciato un pacco. Il chiamante, un certo Pierre, vorrebbe il suo indirizzo così da poterglielo inviare. Mathieu è sbalordito - non sapeva che suo padre fosse vivo, poiché sua madre non aveva mai voluto parlare di lui. Quando viene a sapere di avere due fratelli a Montreal, decide di volare laggiù per incontrarli. In aeroporto viene accolto da Pierre (Gabriel Arcand), un vivace medico settantenne, migliore amico di Jean per decenni. Si mostra scontroso all'idea che Mathieu voglia immediatamente incontrare la famiglia che non ha mai conosciuto. Inoltre la loro madre è morta di recente, e ci sarà un funerale tradizionale ebraico tra due giorni. E Mathieu non aveva neanche idea di essere ebreo. Si scopre che il suo cognome Edel era originariamente Edelstein. Ma il funerale non sarà facile da organizzare. Questo perché Jean, secondo quanto dedotto da Pierre visti i due episodi cardiaci precedenti del suo amico, ha subito un attacco di cuore mentre era pesca cadendo nel lago, il che significa che il suo cadavere dev'essere ancora recuperato. Così i suoi due figli, interpretati da Pierre-Yves Cardinal e Partick Hivon, decidono di condurre un'altra ricerca nel lago, vicino cui hanno una casa estiva. Mathieu riesce a convincere Pierre ad aiutarli. Pierre è chiaramente toccato da questa richiesta, nonostante la sua convinzione che la famiglia non debba essere inutilmente disturbata. Per tale ragione, fa promettere a Mathieu di non rivelare mai la sua vera identità. Da qui, Lioret ci accompagna in un viaggio attraverso le relazioni familiari (tra cui quella di Pierre, con la sua affascinante moglie, figlia e due nipoti), che di tanto in tanto peggiorano, a volte affascinano, ma permettono sempre facilmente di identificarsi. Con un paio di McGuffins sottilmente posizionate e sapientemente utilizzate, il regista con delicatezza, e spesso con umorismo elegante, porta ad un finale ben eseguito e commovente in cui i protagonisti comprendono le vere priorità della vita, la questione dell'identità personale, e da dove viene la nostra percezione di essa. L'interazione tra Deladonchamps e Arcand è la chiave per raggiungere quest'obiettivo, ma Cardinal e Hivon sono protagonisti di un episodio altrettanto impressionante, in cui rivelano come troppa speranza e preconcetti vengano distrutti quando la realtà rivela la sua spesso brutta faccia.

 

Philippe Lioret usa attentamente il ritmo, e utilizza i grandi spazi aperti del Quebec per portare freschezza a un film prevalentemente girato in interni. Mentre le scene ambientate in interni vanno dal dolce al piuttosto cinico, la location del lago tira fuori il lato selvaggio in un senso molto più profondo di quello letterale e fisico.

Co-produzione tra le francesi Fin Août Productions e France 3 Cinéma, e la canadese del Item 7, Le Fils de Jean è venduto all'estero da Le Pacte.

 

Philippe Lioret • Regista in una intervista di Vladan Petkovic 13/10/2016 -

 

Cineuropa ha incontrato il regista francese Philippe Lioret, che ha presentato il suo nuovo film, Le Fils de Jean, in competizione al Festival di Varsavia Il francese Philippe Lioret (Welcome, Toutes nos envies) ha presentato il suo nuovo film, 'Le Fils de Jean', in competizione al Festival di Varsavia.

 

Abbiamo incontrato il regista per discutere del film.

 

Cineuropa: 'Le fils de Jean' è più che commovente, fa piangere, ma con le lacrime porta anche un sorriso. Da dove viene l'idea?

Philippe Lioret: L'idea per questo film mi è venuta leggendo un libro: Si ce livre pouvait me rapprocher de toi di Jean-Paul Dubois, ma è stato solo una fonte d'ispirazione che mi ha permesso di affrontare un soggetto piuttosto personale che ho impiegato quasi 3 anni a scrivere. Con questa storia, avevo in mente l'idea di un film 'solare' e i sorrisi che le ha regalato mi rassicurano a questo proposito.

Come ha scelto gli attori?

All'inizio del casting mi sono detto: "non m'interessa fare questo film con delle star, devo solo trovare gli attori la cui natura profonda si avvicina di più a quella di questi personaggi". Sapevo che Mathieu, nonostante i suoi 35 anni, aveva una grande fanciullezza dentro di sé. Ho incontrato quasi tutti gli attori di questa generazione, ed è in Deladonchamps che ho scoperto quest'infanzia in misura maggiore. Per i ruoli canadesi, è stato più complicato perché li conoscevo poco. Ho visto un numero impressionante di film provenienti dal Quebec, finché non mi sono imbattuto ne Le Démantèlement di Sébastien Pilote, in cui Arcand aveva il ruolo principale. Sono rimasto ipnotizzato. Era lui. E quando Gabriel ha letto la sceneggiatura di Fils de Jean, mi ha detto: "Sono io". Ci eravamo trovati.

Come ha conferito questa forma alla storia? È stato complicato lavorare alla sceneggiatura?

Come ho detto prima, non resta quasi più nulla del libro di Jean-Paul che è servito da ispirazione, da detonatore. Inoltre, avevo contattato Natalie Carter per non trovarmi da solo di fronte a questa "montagna di sentimenti contraddittori", ma ho scoperto che questa storia mi apparteneva a tal punto che Natalie mi ha subito convinto a scriverla da solo... e, per arrivare alla versione di cui stiamo parlando, mi ci sono volute molte circonvoluzioni, dubbi e interrogativi, quindi molto lavoro, e poi ancora lavoro per non far vedere il lavoro. Perché mi piace pensare che un film sia un dono che viene fatto allo spettatore, e se si vede il lavoro, è un po' come averci lasciato il prezzo sopra.

Ci dica un po' dello stile visivo.

Sia la fotografia che il montaggio sono molto puliti e disciplinati, non ci sono esperimenti o grossolanità, ma la visione resta molto dinamica. Si passa dagli interni al lago, cosa che divide il film in due parti, sebbene le scene in interni siano predominanti in termini di durata. Sa, nessuno degli equilibri visivi di cui parla era previsto, non lavoriamo così. Ma forse, mio malgrado, le scene si sono disposte a caso, sempre con il desiderio di fare un film "solare" e ottimista. E poi mi piace il movimento e gli spazi aperti (in Canada mi sentivo realizzato!), cosa che mi ha permesso di affrontare quest'argomento intimo senza fare un film intimo.

 

Titolo internazionale: A Kid

titolo originale: Le fils de Jean

titolo provvisorio: Les yeux au ciel paese: Francia, Canada anno: 2016 genere: fiction regia: Philippe Lioret durata: 98'

data di uscita: FR 31/08/2016

sceneggiatura: Philippe Lioret, Natalie Carter

cast: Pierre Deladonchamps, Gabriel Arcand, Catherine de Léan, Marie-Thérèse Fortin, Pierre-Yves Cardinal, Patrick Hivon, Aliocha Itovich

produttore: Marielle Duigou, Philippe Lioret

produzione: Fin Août Production, France 3 Cinéma, Item 7 (CA)

supporto: La Banque Postale Image, Manon Soficas distributori: Le Pacte

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Calde novità in Libreria con i migliori autori italiani



Novità librarie, in collaborazione con news@illibraio.it che ringraziamo per l'invio.

Care amiche e cari amici del 'Libraio',
tanti romanzi italiani stanno diventando ottimi film ammirati anche all'estero. Applaudito con standing ovation a Cannes, sarà nelle sale giovedì prossimo il film di Marco Bellocchio tratto da ‘Fai bei sogni’ di Massimo Gramellini (molto convincente già dal trailer). Mentre è da ieri nelle sale il film con Marco Paolini, tratto da ‘La pelle dell'orso’ di Matteo Righetto.

Tra i nostri articoli più letti, Valter Longo, ‘Tutti i segreti della longevità’. Per chi non avesse visto l'autore ospite da Fabio Fazio a Che tempo che fa, ecco il video.

Su VanityFair.it, un regalo che riguarda un caso editoriale tra i più eclatanti degli ultimi anni (in UK il successo è stato paragonato a quello di Harry Potter): un estratto da ‘In forma in 15’ di Joe Wicks, il personal trainer il cui programma per mantenersi in forma impegna solo 15 minuti al giorno... tutto tempo guadagnato per leggere di più!
Buone nuove letture a tutti, La redazione Il Libraio


Andrea Vitali ‘Viva più che mai’ – Garzanti Libri 2016

Una notte sfortunata,
un contrabbandiere improvvisato
e qualche scomoda verità di troppo.

«Se non lui, chi?, si chiese il Dubbio.
A chi altri poteva andare a raccontare quello che era successo, quello che aveva visto, quello che…
Lui solo.
Ma dormiva, la finestra di casa sua era buia.
Per forza, così a occhio saranno state le tre, tre e mezza.
Tuttavia il Dubbio sentì che non poteva fare altrimenti.
Scrutò per bene la fila dei campanelli.
Poi, presa la mira, calcò l’indice destro sul bottone e udì in sottofondo il dlin dlon del citofono che avrebbe svegliato il dottor Lonati.»

Dubbio è il soprannome che hanno dato a Ernesto Livera, e si addice bene alla sua indole un po’ tentennante. Di solito, infatti, l’Ernesto si lascia prendere dall’indecisione. Una certezza, però, l’ha molto chiara: dai carabinieri è meglio stare alla larga. Perché di «mestiere» fa il contrabbandiere. Avrebbe fatto altro nella vita, ma tant’è, ora campa traghettando stecche di sigarette dalla Svizzera, magari di notte, con una barchetta a motore, bep-bep-bep. E proprio stanotte, con la prua della barchetta, ha urtato il cadavere di una donna. L’ha tirato a riva, poi è andato a chiamare un suo cliente fidato, il medico di Bellano, il dottor Lonati, perché, appunto, lui dai carabinieri preferisce non presentarsi. Ma il mattino dopo, alla riva, il cadavere non si trova più. Eppure Ernesto l’ha visto bene, anche se adesso gli sorge il… dubbio di esserselo sognato. E il dottor Lonati lo sa che Ernesto soffre di questo tipo di allucinazioni fin da quando era un ragazzino. Forse dovrebbe cercarsi un lavoro più regolare. E magari una fidanzata. Il lago però non mente; nasconde segreti inconfessabili, e quando decide che è il momento di rivelarli, non ci sono dubbi che tengano.
Viva più che mai racconta una storia sorprendente e misteriosa. Tra ganassate di paese, coincidenze impensabili e colpi di scena, Andrea Vitali scioglie una matassa che ingarbuglia il presente con il passato, la riva di qui con quella di là del lago di Como, fino a chiarire la verità dei fatti. Una verità che però…


Alessia Gazzola ‘Un po’ di follia in Primavera’ - Longanesi 2016

Dai libri di Alessia Gazzola è tratta la serie tv L’Allieva in onda su Rai 1 con Alessandra Mastronardi e Lino Guanciale,

Quella di Ruggero D’Armento non è una morte qualunque. Perché non capita tutti i giorni che un uomo venga ritrovato assassinato nel proprio ufficio. E anche perché Ruggero D’Armento non è un uomo qualunque. Psichiatra molto in vista, studioso e luminare dalla fulgida carriera accademica, personalità carismatica e affascinante… Alice Allevi se lo ricorda bene, dagli anni di studio ma anche per la recente consulenza del professore su un caso di suicidio di cui Alice si è occupata. Impossibile negare il magnetismo di quell’uomo all’apparenza insondabile ma in realtà capace di conquistare tutti con la sua competenza e intelligenza. Eppure, in una primavera romana che sembra portare piccole ventate di follia, la morte violenta di Ruggero D’Armento crea sensazione. Pochi e ingannevoli indizi, quasi nessuna traccia da seguire. L’indagine su questo omicidio è impervia, per Alice, ma per fortuna non lo è più la sua vita sentimentale. Ebbene sì, Alice ha fatto una scelta… Ma sarà quella giusta? Il grande ritorno di un’autrice bestseller con una nuova indagine di Alice Allevi, il personaggio più amato di Alessia Gazzola, che ha ispirato la serie tv L’ALLIEVA, una produzione Rai Fiction realizzata da Endemol Shine Italy.

Salvatore Basile ‘Lo strano viaggio di un oggetto smarrito’ Garzanti 2016.

Hanno scritto del libro su:
Vanity Fair
«Un’imprevedibile fiaba moderna.»
Diva e donna
«Un viaggio nel passato che Salvatore Basile racconta come una delicata favola.»
Chiara Gamberale
«Un libro che, come fosse un sogno, invita a perdersi, per ritrovarsi.»
Maurizio de Giovanni
«Viaggiano, gli oggetti smarriti. Cercano l'amore perduto. Non tradiscono, non si lamentano. Michele li raccoglie, ma l'unico oggetto smarrito al quale non riesce a trovare casa è proprio il suo cuore abbandonato.»
Publishers Weekly
«Il debutto italiano che è già un caso editoriale internazionale.»

INIZIATIVA SPECIALE: diventa protagonista del trailer ispirato al libro! Scopri i contenuti speciali sulla pagina Facebook ufficiale. Partecipa entro il 4 aprile.


È la storia di un ragazzo che ha dimenticato cosa significa essere amati.
È la storia di una ragazza che ha fatto un patto con la felicità, nonostante il dolore.
È la storia di due anime che riescono a colorarsi a vicenda per affrontare la vita senza arrendersi mai
C'è sempre un colore che può illuminare i nostri sogni.
Il mare è agitato e le bandiere rosse sventolano sulla spiaggia. Il piccolo Michele ha corso a perdifiato per tornare presto a casa dopo la scuola, ma quando apre la porta della sua casa nella piccola stazione di Miniera di Mare, trova sua madre di fronte a una valigia aperta. Fra le mani tiene il diario segreto di Michele, un quaderno rosso con la copertina un po’ ammaccata. Con gli occhi pieni di tristezza la donna chiede a suo figlio di poter tenere quel diario, lo ripone nella valigia, ma promette di restituirlo. Poi, sale sul treno in partenza sulla banchina.
Sono passati vent’anni da allora. Michele vive ancora nella piccola casa dentro la stazione ferroviaria. Addosso, la divisa di capostazione di suo padre. Negli occhi, una tristezza assoluta, profonda e lontana. Perché sua madre non è mai più tornata. Michele vuole stare solo, con l’unica compagnia degli oggetti smarriti che vengono trovati ogni giorno nell’unico treno che passa da Miniera di Mare. Perché gli oggetti non se ne vanno, mantengono le promesse, non ti abbandonano.
Finché un giorno, sullo stesso treno che aveva portato via sua madre, incastrato tra due sedili, Michele ritrova il suo diario. Non sa come sia possibile, ma Michele sente che è sua madre che l’ha lasciato lì. Per lui.
E c’è solo una persona che può aiutarlo: Elena, una ragazza folle e imprevedibile come la vita, che lo spinge a salire su quel treno e ad andare a cercare la verità. E, forse, anche una cura per il suo cuore smarrito.
Questa è la storia di un ragazzo che ha dimenticato cosa significa essere amati. È la storia di una ragazza che ha fatto un patto della felicità, nonostante il dolore. È la storia di due anime che riescono a colorarsi a vicenda per affrontare la vita senza arrendersi mai. Salvatore Basile ci regala una favola piena di magia, emozione e speranza. Un caso editoriale che ha subito conquistato il cuore di tutte le case editrici del mondo, che se lo sono conteso acerrimamente alla fiera di Francoforte. Una voce indimenticabile, che disegna un sorriso sul nostro cuore.

Ottobre 2014 è mattina presto, mentre finisce di sorseggiare il primo dei molti caffè della sua giornata, Salvatore Basile legge il giornale e si imbatte in una strana notizia: alla Stazione centrale di Milano è stato dimenticato un polmone di acciaio e nessuno è mai andato a reclamarlo. Da quel momento rimane affascinato dal mondo degli oggetti smarriti e comincia a immaginare la storia di un bambino che si sente dimenticato da tutti.
Aprile 2015 La storia ha ormai preso forma fra le mani di Salvatore Basile. Il modo giusto per raccontare la strana e imprevedibile vita di Michele Airone è un romanzo pieno di magia e meraviglia.
Maggio 2015 Un’importante agenzia italiana lo scopre e immediatamente lo invia a tutte le principali case editrici italiane.
Giugno 2015 Lo strano viaggio di un oggetto smarrito entusiasma tutti. Parte un’asta agguerrita che dura svariate settimane. A crederci più di tutti è Garzanti che infine si aggiudica il libro.
Estate 2015 Anche all’estero comincia a destarsi interesse per questo romanzo così conteso. Le case editrici straniere cominciano a leggerlo.
Ottobre 2015 Alla Fiera di Francoforte tutti parlano di questo piccolo fenomeno italiano. Gli editor stranieri lo adorano.
Metà ottobre 2015 Lo strano viaggio di un oggetto smarrito è ormai un caso editoriale. Il Publishers Weekly gli dedica un’intera pagina. I diritti sono venduti in tutta Europa, evento molto raro per un romanzo italiano non ancora pubblicato.
Novembre 2015 Le vendite estere continuano nel resto del mondo, in Italia, sul web, si comincia ad attendere con trepidazione l’uscita del romanzo.

Dario Fo ‘Darwin’ - Chiarelettere 2016

“Quando mi trovo davanti a ogni realtà conclamata mi sorge sempre il dubbio che la verità sia un’altra.” Charles Darwin “Ho voluto raccontare la storia delle scoperte che il più grande scienziato ha assicurato al mondo intero. Perché? Perché siamo ignoranti, in troppi non sappiamo da dove veniamo e perché.” Dario Fo Non finisce mai la voglia di Dario Fo di confrontarsi con il sapere e la storia per capire meglio l’uomo e il suo mondo. In questo caso per capire da dove veniamo e superare tutti i pregiudizi che abbiamo in testa, dettati dall’ignoranza. Ecco una risposta semplice, documentata e divertita a chi ancora oggi sostiene il creazionismo in polemica con Darwin e la teoria dell’evoluzione. Vale la pena leggere queste pagine su un grande scienziato e viaggiatore instancabile, che dedicò la sua vita a scoprire come è fatto il mondo in cui viviamo e perché siamo così. Anni passati in mare e in terre lontane a raccogliere conchiglie, coleotteri, crostacei, a studiare la vita degli insetti (soprattutto le formiche e la loro incredibile capacità organizzativa) e in genere di tutti gli animali considerati come nostri fratelli. Da lì noi veniamo, come possiamo maltrattarli? Strano: un teologo che diventa scienziato confutando le teorie deterministe della Bibbia, che dimostra che noi tutti siamo discendenti dello stesso ominide, siamo tutti uguali, e per questo combatte la tratta degli schiavi. Era troppo allora (subì attacchi violentissimi non solo dalla Chiesa) ma anche adesso Darwin dà fastidio e la sua teoria è contrastata, soprattutto in certi ambienti scolastici. Una favola vera, di più di duecento anni fa, attualissima. Dario Fo, premio Nobel per la Letteratura, è autore con Franca Rame di moltissime opere teatrali tradotte e recitate in tutto il mondo. Ha pubblicato per Chiarelettere "Il Grillo canta sempre al tramonto" (con Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo), "La figlia del papa" (9 edizioni), "C’è un re pazzo in Danimarca" (3 edizioni), "Razza di zingaro" (2 edizioni), "Nuovo manuale minimo dell’attore" (con Franca Rame). Recentemente per Guanda ha pubblicato "Dario e Dio" (con Giuseppina Manin).


Mirko Zilahy ‘È così che si uccide’ - Longanesi 2016

Per la trama del suo primo romanzo, un thriller nerissimo, Mirko Zilahy ricorre a materiali d'uso nella letteratura del genere. Ma c'è qualcosa (molto) di più in E' così che si uccide. Il più è dato dall'atmosfera di disfacimento che grava sulla città delle nuove rovine. E dalla scrittura che registra i progressivi slittamenti del terrore. Di una paura che sembra contagiare tutti i personaggi del romanzo, perché in realtà abita nel fondo oscuro di ciascuno. Anche di noi, partecipi, spaventati lettori.

Hanno scritto del libro su:
Corriere della Sera
La tensione narrativa è un dono che pochi scrittori sono in grado di garantire. E se è vero che per un buon risultato, oltre al talento è necessaria la tecnica, l'esordiente Mirko Zilahy dimostra di possedere l'uno e l'altra.
la Repubblica
Il romanzo di Zilahy convince e scorre come un fiume in piena, perché il ritmo è di quelli hard, la storia ha una precisa, umana valenza emotiva, e l'affresco di una Roma settembrina offuscata da una pioggia incessante che cancella prove e ricordi, è di quelli che fanno svettare un bel noir oltre la soglia delle convenzioni.
TTL - La Stampa
Un crescendo continuo di tensione e curiosità.
il Fatto Quotidiano
Una crime story corposa e cruenta che non risparmia ai lettori né fuoco né sangue, ma segue un filo logico di impronta anglosassone. Anche se è a Roma che il serial killer colpisce.
L'Unità
Grande tensione narrativa e tre protagonisti che tengono la scena da fuoriclasse: il commissario, l'assassino e Roma.
Elle
Libro del giorno su Fahrenheit
«Un thriller e molto di più: una scrittura che registra gli slittamenti della paura.»
Corriere della Sera
«Scorre come un fiume in piena.»
Sergio Pent, ttL, La Stampa
Mancini è una creatura di Mirko Zilahy, ed è un personaggio che ha tutte le caratteristiche per diventare un successo di massa. Un crescendo continuo di tensione e curiosità. E a spiccare è soprattutto la cupa bellezza della Roma popolare e postindustriale tra Ostiense e Testaccio.
il Fatto Quotidiano
Una crime story corposa e cruenta che non risparmia ai lettori né fuoco né sangue, ma segue un filo logico di impronta anglosassone.
L'Unità
3 edizioni in un mese Sempre ai primi posti delle classifiche.
Questo romanzo non è solo il thriller italiano che ha conquistato gli editori internazionali prima dell’uscita. Non è soltanto un esordio travolgente, scritto con maestria inedita. Questo romanzo è una sfida irresistibile, che avvolge il lettore nell’incantesimo della più pura tensione narrativa. La pioggia di fine estate è implacabile e lava via ogni traccia: ecco perché stavolta la scena del crimine è un enigma indecifrabile. Una sola cosa è chiara: chiunque abbia ucciso la donna, ancora non identificata, l’ha fatto con la cura meticolosa di un chirurgo, usando i propri affilati strumenti per mettere in scena una morte. Perché la morte è uno spettacolo. Lo sa bene, Enrico Mancini. Lui non è un commissario come gli altri. Lui sa nascondere perfettamente i suoi dolori, le sue fragilità. Si è specializzato a Quantico, lui, in crimini seriali. È un duro. Se non fosse per quella inconfessabile debolezza nel posare gli occhi sui poveri corpi vittime della cieca violenza altrui. È uno spettacolo a cui non riesce a riabituarsi. E quell’odore. L’odore dell’inferno, pensa ogni volta. Così, Mancini rifiuta il caso. Rifiuta l’idea stessa che a colpire sia un killer seriale. Anche se il suo istinto, dopo un solo omicidio, ne è certo. E l’istinto di Mancini non sbaglia: è con il secondo omicidio che la città piomba nell’incubo. Messo alle strette, il commissario è costretto ad accettare l’indagine… E accettare anche l’idea che forse non riuscirà a fermare l’omicida prima che il suo disegno si compia. Prima che il killer mostri a tutti – soprattutto a lui – che è così che si uccide.

Mirko Zilahy ha conseguito un Phd presso il Trinity College di Dublino, dove ha insegnato lingua e letteratura italiana. È giornalista pubblicista ed è stato editor per minimum fax, nonché traduttore letterario dall’inglese (ha tradotto, tra gli altri, il premio Pulitzer 2014 Il cardellino di Donna Tartt). Un caso editoriale che prima dell'uscita in Italia sta già conquistando l'estero.

Fine 2014: In una Roma sferzata dalla pioggia, Mirko Zilahy e il protagonista del suo romanzo, Enrico Mancini, iniziano a conoscersi. Nascono così un incipit e una prima scena folgoranti che convincono un’importante agente letteraria: quella storia va raccontata fino in fondo. Gennaio 2015: Mirko Zilahy decide di ascoltare la voce di Enrico Mancini… E la Longanesi decide a sua volta con entusiasmo di pubblicare il suo romanzo. Aprile 2015: È così che si uccide è protagonista della Fiera del libro di Londra, la più importante al mondo per quanto riguarda la compravendita dei diritti editoriali. Il libro viene subito venduto in Spagna: è soltanto l’inizio. In Germania è oggetto di un’agguerritissima asta e nelle ore seguenti si aggiungono Francia, Grecia e Turchia. Il numero di editori continua ad aumentare nel corso dell’anno. Novembre 2015: Il testo viene dato alle stampe. L’entusiasmo dei librai è già palpabile, pari a quello di tutta la casa editrice Longanesi. L’attesa sta per terminare. Gennaio 2016: Finalmente È così che si uccide arriva in tutte le librerie italiane.

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Conferenza sul Futurismo - Jesi

Invito alla Conferenza sul Futurismo nell'arte e nella letteratura - Jesi 30 ottobre p.v.

 

Cari amici de larecherche.it

Con la presente siamo lieti di invitarvi alla Conferenza sul Futurismo nell'arte e nella letteratura che si terrà domenica 30 ottobre a partire dalle 17:30 presso la Sala Maggiore del Palazzo dei Convegni a Jesi (AN).

 

Interverranno il critico d'arte prof. Armando Ginesi che, per mezzo di una scelta di opere pittoriche del movimento artistico, spiegherà questa importante fase pittorica.

A seguire i critici lettari Lorenzo Spurio, Marco Palmonella e Max Ponte interverranno su alcuni aspetti del 'futurismo' in materia letteraria.

 

Grati se vorrete prendere parte alla conferenza. L'occasione è gradita per inviare cordiali saluti Ass. Euterpe

 

www.associazioneeuterpe.com

ass.culturale.euterpe@gmail.com

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L’Inferno a portata di mano

‘L’Inferno a portata di mano’

 

In letteratura e musica:

da Dante Alighieri a Dan Brown, passando per l’Odissea’ (Ulisse) di Omero; ‘La favola di Orfeo’ di Angelo Poliziano; ‘Il maestro e Margherita’ di Michail Bulgakov; all’opera buffa ‘Orfeo all’Inferno’ di Jacques Offenbach; a ‘Orfeo negro’ di Marcél Camus, e tantissimi altri.

 

Nell’arte:

dall’icona ‘Inferno’ di Sandro Botticelli al ‘Giudizio’ di Michelangelo Bunarroti, dal ‘Giudizio’ di Luca Signorelli nel Duomo di Orvieto, a Buonamico Buffalmacco del ‘Trionfo della Morte’ nel Camposanto di Pisa; dallre ‘Costruzioni Infernali’ di Hieronimous Bosch all’anonimo pittore della ‘Danza macabra’ di Clusone, fino a Gustave Doré l’illustratore per eccellenza dell’Inferno dantesco.

 

Al cinema:

da Giuseppe de Liguoro (1911) (muto rimasterizzato, musica composta da Tangerine Dream), passando da ‘La nave di Satana’ di Henry Otto (altro film muto 1924), di Reginald Hazeltine Bassett; a ‘Inferno’ di Dario Argento (1980), musica di Dario Argento e Keith Emerson; da Harry Lachman ‘Dante's Inferno: Abandon All Hope’ (2010) un cortometraggio di Boris Acosta, sulla musica di Aldo De Tata; fino al più recente ‘Inferno’ dal libro di Dan Brown (2016), diretto da Ron Howard (2016), musica di Hans Zimmer.

 

Aspettando 'Inferno'  il nuovo film al cinema.

 

Ce n’è per tutti i gusti e per tutte le possibilità, non economiche intendo, anche se stando ai recenti fatti di cronaca giudiziaria, viene da dubitare che qualcuno potrebbe anche essersi comprato ‘un posto in paradiso’. Personalmente non saprei cosa scegliere. Oggigiorno l’Inferno (dantesco s’intende) sembrerebbe un posticino niente male, indubiamente assai movimentato e alquanto allegro, più del Paradiso, dove mandare a passare le vacanze ai molti indagati per reati vari e ai giudici che li assolvono.

 

Per il momento limitiamoci a visionare il nuovo thriller ‘Inferno’ della coppia Dan Brown / Ron Howard che dal libro passa al film (era scontato) che, come ormai ci hanno abituato (sempre dopo i primi 007) con una buona dose di adrenalina, che dall’8 ottobre ha invaso le sale cinematografiche mondiali, ovviamente partendo da Firenze (e dov’altro se no?) con un grande evento che ha visto l'intero cast del film: Tom Hanks as Robert Langdon, Felicity Jones, Irrfan Khan, Omar Sy, Sidse Babett Knudsen, oltre al regista, Ron Howard, presente al Tetro dell’Opera dove è stato presentato ufficialmente il nuovo film ‘Inferno’.

 

«Se sai dove guardare, Firenze è il paradiso» … con questa frase (ripresa dala cronaca giornaliera) entrata nel nuovo best seller di Dan Brown, ‘Inferno’, offre la chiave per rivisitare la città accanto al professor Robert Lengdon durante la sua ricerca dell’indizio nascosto nella "mappa dell’Inferno" dantesco di Botticelli. Vale certamente la pena munirsi del libro e immergersi nei segreti (presunti tali) della Firenze del Rinascimento.

 

Sinossi del libro: (dal sito ufficiale Mondadori)

 

«Il profilo inconfondibile di Dante che ci guarda dalla copertina è il motore mobile di un thriller che di “infernale” ha molto. Il ritmo, prima di tutto, e poi il simbolismo acceso, e infine la complessità dei personaggi che conducono a un esito raro per i romanzi d’azione: instillare nel lettore il fascino del male, addirittura la sua salvifica necessità. Non è affatto sorprendente che lo studioso di simbologia Robert Langdon sia un esperto di Dante, anzi. È naturale che al poeta fiorentino e alla visionarietà con cui tradusse in forme solenni e oscure la temperie della sua epoca tormentata il professore americano abbia dedicato studi e corsi universitari ad Harvard. E quindi è normale che a Firenze Robert Langdon sia di casa, che il David e piazza della Signoria, il giardino di Boboli e Palazzo Vecchio siano per lui uno sfondo familiare, una costellazione culturale e affettiva ben diversa dal palcoscenico turistico percorso in tutti i sensi di marcia da legioni di visitatori. Ma ora è tutto diverso, non c’è niente di normale, nulla che possa rievocare una dolce abitudine. Questa volta è un incubo e la sua conoscenza della città fin nei labirinti delle stradine, dei corridoi dei palazzi, dei passaggi segreti può aiutarlo a salvarsi la vita.

Il Robert Langdon che si sveglia in una stanza d’ospedale, stordito, sedato, ferito alla testa, gli abiti insanguinati su una sedia, ricorda infatti a stento il proprio nome, non capisce come sia arrivato a Firenze, chi abbia tentato di ucciderlo e perché i suoi inseguitori non sembrino affatto intenzionati a mollare il colpo. Barcollante, la mente invasa da apparizioni mostruose che ricordano la Morte Nera che flagellò l’Europa medievale e simboli criptici connessi alla prima cantica del Divino poema, le labbra capaci di articolare, nel delirio dell’anestetico, soltanto un incongruo “very sorry”, il professore deve scappare. E, aiutato solo dalla giovane dottoressa Sienna Brooks, soccorrevole ma misteriosa come troppe persone e cose intorno a lui, deve scappare da tutti. Comincia una caccia all’uomo in cui schieramenti avversi si potrebbero ritrovare dalla stessa parte, in cui niente è quel che sembra: un’organizzazione chiamata Consortium è ambigua tanto quanto un movimento detto Transumanesimo e uno scienziato come Bertrand Zobrist può elaborare teorie che oscillano tra utopia e aberrazione.

Alla fine di un’avventura che raggiunge momenti di insostenibile tensione, Dan Brown ci rivela come nel nostro mondo la distanza tra il bene e il male sia breve in maniera davvero inquietante, catastrofe e salvezza possano essere questione di punti di vista e anche da una laguna a cielo coperto si possa uscire a riveder le stelle.» (Scusate la lungaggine).

 

Vi avevo avvertiti, ce n’è per tutti, anzi sarebbe meglio dire ‘c’è posto per tutti’, per tutti quelli che come me ne scrivono, per tutti gli altri che ne parlano, per tutti coloro che leggono e anche per tutti quanti visionano il film al cinema. Chi mai l’avrebbe detto che Dante (il pescivendolo/filosofo del mercato sotto casa che vuole sempre parlare di politica) a un certo punto, avrebbe rifilato del pesce surgelato per fresco agli avventori, mandandoli tutti all’Inferno a cagarsi l’anima. Non so voi, ma dal suo punto di vista era ciò che si meritavano tutti quanti, incluso me. Parole sacrosante le sue che sottolineano e accentuano quanto rivelato da Dan Brown alla fine del monumentale romanzo, cioè: «..come nel nostro mondo la distanza tra il bene e il male sia breve in maniera davvero inquietante, catastrofe e salvezza possano essere questione di punti di vista.»

 

All’occorrenza però voglio consigliarvi una chicca da cineamatore: ‘L’inferno’ di Giuseppe de Liguoro, un film muto del 1911, restaurato nel 2004 con le musiche dei Tangerine Dream, e recentemente uscito in DVD. Un capolavoro assoluto, che lascia apprezzare quanto la fotografia in bianconero restituisca ‘nella pochezza degli strumenti dell’epoca’ una ‘illuminata’ versione onirica del testo dantesco, pari quasi a quella di Gustave Doré, lo straordinario illustratore che alla metà dell’Ottocento fece, con le sue esemplari immagini fece comprendere al mondo tutta la potenza e la grandezza intrinseca del testo di Dante.

 

Una ‘buona visione’ dunque per tutti coloro che non ne conoscevano l’esistenza e un ‘buon ascolto’ per quanti rammentano o scoprono per la prima volta i Tangerine Dream, il gruppo musicale tedesco formato nel 1967 da Edgar e Jerome Froese, tra i principali esponenti del krautrock e della musica cosmica, coloro che sono ancora oggi considerati i pionieri ma anche i fautori della musica rock contemporanea.

 

Così si è espresso il portavoce Edgar Froese alla presentazione del film: Berlin July 2004:

«Dante’s Divine Comedy has always inspired me and I realized a life-long ambition by composing the music of the first of my trilogy, l’ Inferno. Interpreting the Dante-trilogy is an immense musical challenge and it’s translation to screen equally momentous. Giuseppe de Liguoro’s film is the only successful version of the epic poem ever made. It is remarkable for it’s timeless lyrical qualities and visualization of Dante’s Hell. Working with film has always played a central role in my life and the discovery of this Italian masterpiece, made nearly 100 years before I composed the music was truly remarkable. The synthesis of the music and the film is not only powerful but beautiful and brings the audience closer to a deeper understanding of one of the most spiritual works ever written.»

 

E così si è espressa la stampa:

«L’Inferno.. is a fascinating relic of pre-First World War signs and wonders. Some of the effects are badly dated, but others have the antique oddness of a magic-lantern show, as carousel of bodies jerkily swivel , rows of legs poke out of a river of filth, and a dragon appears, inexplicably, for a second. Naked bodies twist in suffering, and men in horned devil-suits cackle. To this, Tangerine Dream add momentum and even melodrama, restricting themselves at times to dark, low strings.» (Independent Review by Nick Hasted, March 2004)

 

In disaccordo con Dan Brown posso dire che il romanzo, come al solito, alla fine mi ha lasciato un po’ deluso perché l’accattivante inizio è poi scemato in un aleatorio disinteresse per la trama, quanto invece mi sono lasciato prendere dalla dinamica dell’azione. Ma forse è solo un mio problema di lettore. Sappiamo tutti che un romanzo in qualche modo deve pur finire, e non sempre Dan Brown mi sembra scelga la soluzione migliore. In breve, Dan Brown e Ron Howard per quanto bravi ognuno nel proprio mestiere, nessuno dei due è paragonabile nella costruzione di un  thriller a Ian Fleming tantomeno ad Alfred Hitchcock.

 

Chi invece non si smentisce mai essendo sempre all’altezza delle sue effusioni comiche è il superlativo Totò, anch’egli misuratosi con l’inferno nel film del 1955 diretto da Camillo Mastrocinque. Fu il primo film di Totò diretto da Mastrocinque intitolato ‘Totò all’Inferno’ pensato interamente da Totò, con l’aiuto di bravi sceneggiatori come Lucio Fulci, Vittorio Metz, Gino Mangini, Italo De Tuddo, Francesco Nelli e lo stesso Camillo Mastrocinque; con le musiche composte e dirette dal maestro Pippo Barzizza e un cast d’eccezione: Totò, Antonio Marchi, Mario Castellani, Cri Cri, Maria Frau, Franca Faldini, Galeazzo Benti, Dante Maggio, Mario Pisu, Nerio Bernardi, Ubaldo Lay, Guglielo Inglese, Fulvia Franco, Olga Solbelli …

Così si è espresso Totò:

‘Al mio funerale sarà bello assai perché ci saranno parole, paroloni, elogi, mi scopriranno un grande attore: perché questo è un bellissimo paese, in cui però per venire riconosciuti di qualcosa, bisogna morire' .… per il resto è un ‘Inferno’.

 

Non mi rimane che augurarvi buona visione, con la differenza che all'Inferno con Totò il divertimento è assicurato.

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Il Jazz va al Cinema al Palladium


“Il Jazz va al Cinema”
al Teatro Palladium con la New Talents Jazz Orchestra.

Dal 9 ottobre, al Teatro Palladium dell’Università Roma Tre, quattro appuntamenti domenicali per rivivere la magia delle colonne sonore dei film storici su grande schermo. Un viaggio nella storia del cinema, accompagnati dalle sonorità e dall’energia della New Talents Jazz Orchestra, diretta da Mario Corvini.

La magia delle colonne sonore dei grandi film al Teatro Palladium di Roma: dal 9 ottobre 2016, per quattro domeniche 'Il Jazz va al Cinema', una manifestazione che celebra il grande legame che da sempre intercorre tra musica jazz e cinema, raccontando grandi passioni, attori, registi e immagini con le sequenze immortali dei grandi film e l’energia della New Talents Jazz Orchestra diretta da Mario Corvini.
Il primo appuntamento della rassegna, realizzata in collaborazione con il corso di laurea DAMS dell’Università Roma Tre, coordinato dal prof. Luca Aversano, è dedicato a 'La commedia all’italiana in Jazz' con brani e immagini di moltissimi film ital'ani tra cui 'I soliti ignoti', 'Il sorpasso', 'Matrimonio all’italiana','Fumo di Londra' con il celebre 'You never told me'.

Il 13 novembre 'I grandi del jazz raccontati dal cinema' con ospite il pianista Santi Scarcella, porta in scena i film biografici sui grandi jazzisti tra cui 'Bird' di Clint Eastwood, dedicato alla vita di Charlie Parker, a 'Round Midnight' con protagonista Dexter Gordon (e la colonna sonora originaria coordinata da Herbie Hancock) o la commovente pellicola su Chet Baker 'Let’s Get Lost'.

Il 4 dicembre 'Il Jazz e il cinema noir' farà rivivere 'Ascensore per il Patibolo' - la cui colonna sonora, affidata alle note di Miles Davis con improvvisazione estemporanea sul filmato, fece storia -, 'Anatomia di un Omicidio', con il titolo originale 'Anatomy of a Murder' musicato da Duke Ellington e diretto da Otto Preminger, e altri titoli tra cui 'Taxi Driver', 'Mission Impossible', 'Vertigo'.

Il 15 gennaio “Hollywood e i classici del Jazz”: dalla celebre “My favorite things” dal musical “The Sound of music” a “Smile di “Tempi Moderni” a “Over the Rainbow” da “Il Mago di Oz”, al dramma de “I Giorni del Vino e delle Rose” con Jack Lemmon da cui il famosissimo standard “The Days of Wine and Roses”.

Da sempre la grande sinergia tra la figura del compositore di colonne sonore e il regista ha cambiato il corso della storia del cinema. Negli Studios di Hollywood, così come a Cinecittà, i compositori avevano spesso carta bianca nell’interpretare le fantasie visionarie degli sceneggiatori dando vita a storici sodalizi, fra cui, i più noti tra Alfred Hitchcock e Bernard Herrmann, Sergio Leone e Ennio Morricone, Steven Spielberg e John Williams.

Il Jazz è entrato di diritto nella storia del cinema e la New Talents Jazz Orchestra avrà il compito di reinterpretare in tempo reale, con lo scorrimento delle immagini sullo schermo, alcuni brani resi immortali proprio dai film di cui erano parte.


Fiorenza Gherardi - Ufficio Stampa
Ieri, 14.04Fiorenza Gherardi De Candei (fiorenzagherardi@gmail.com)

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Un’isola in rete a Castelsardo - prossimi eventi

UN'ISOLA IN RETE : Festival Internazionale di Promozione del Libro e della Lettura
Prossimi eventi
Per - Il poeta e la dama
Davide Rondoni presenta il suo libro
'Cinque donne e un’onda'
Con Davide Rondoni e Giuseppe Pintus
Castelsardo | Archivio storico – Biblioteca comunale
Lunedì 26.09 – ore 19

per - Contro la letteratura
Davide Rondoni presenta il suo libro
'Contro la letteratura'
Con Davide Rondoni e Giuseppe Pintus
Sassari | Aula Magna dell’Università
Martedì 27.09 – ore 11.30

Per - Un amore quasi perfetto
Mariapia Veladiano presenta il suo libro
'Una storia quasi perfetta'
Con Mariapia Veladiano e Giuseppe Pintus
Castelsardo | Archivio storico – Biblioteca comunale
Martedì 27.09 – ore 19

Per - La grande passione
Mariapia Veladiano presenta il suo libro
'Una storia quasi perfetta'
Con Mariapia Veladiano e Giuseppe Pintus
Tempio Pausania | Casa di Reclusione “P. Pittalis” di Nuchis
Mercoledì 28.09 – ore 15
Per poter assistere all’incontro è necessario comunicare la propria presenza inviando una mail all’indirizzo segreteria.unisolainrete@gmail.com

Così semplice
Luca Doninelli presenta il suo libro
'Le cose semplici'
Con Luca Doninelli e Federico Piras
Castelsardo | Archivio storico – Biblioteca comunale
Mercoledì 28.09 – ore 19


Luca Doninelli presenta il suo libro
'Le cose semplici'
Con Luca Doninelli e Federico Piras
Sassari | Aula Magna dell’Università
Giovedì 29.09 – ore 11.30


Per - Ritratto dell’artista da giovane
Presentazione del libro di Alberto Moravia
'Se questa è la giovinezza vorrei che passasse presto'. Lettere [1926_1940]
Con Alessandra Grandelis e Nour Melehi
Castelsardo | Archivio storico – Biblioteca comunale
Venerdì 30.09 – ore 19

Per - Carità e desiderio
Presentazione del libro di Giorgio Paolucci
'Se offrirai il tuo pane all’affamato'
Con Giorgio Paolucci, Graziano Milia e Giorgio Frasconi
Sassari | Sala Conferenze – Fondazione di Sardegna – sede di Sassari
Mercoledì 05.10 – ore 18


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Nely Reguera professione regista al San Sebastian festival

Nely Reguera • professione Regista
di Alfonso Rivera

20/09/2016 - SAN SEBASTIÁN 2016: La cineasta catalana Nely Reguera debutta nel lungometraggio con María (y los demás), una commedia drammatica con protagonista una superba Bárbara Lennie.

La barcellonese Nely Reguera ha studiato regia alla ESCAC – dove ora insegna –, ha lavorato al fianco di Mar Coll e collabora attivamente al lodevole progetto divulgativo di cinema per bambini Cine en curso. Prima del suo primo film da regista, María (y los demás) [+], presentato nella sezione Nuev@s Director@s del 64º Festival di San Sebastián, aveva girato un corto (Pablo) premiato, e un documentario sul disastro del naufragio del Prestige (Muxía a ferida).

Intervista by Cineuropa:
Cineuropa: Contenta per come è stato accolto il suo film alle prime proiezioni, con il pubblico che rideva in sala?

Nely Reguera:“Mi piace ridere di me stessa”. Sono molto felice, anche se il film non è fatto per ridere tutto il tempo. Temevo che non succedesse, che non ridessero. Io vedo il film e rido molto: spero che la gente entri in connessione con questo umorismo e con il personaggio centrale.
Anche perché la María del titolo, interpretata da Bárbara Lennie, ha un carattere particolare, e anche il tono del film è speciale.
Il tono l’ho avuto chiaro fin dall’inizio: la storia è un piccolo dramma che bisognava raccontare con umorismo, e facendo attenzione, perché se drammatizzavamo, rendevamo pesante il tutto. Nello scrivere la sceneggiatura, avevamo ben presente questo: quando la situazione diventava un po’ drammatica, cercavamo altro per alleggerire e dare una svolta; nella messa in scena e con gli attori è stato lo stesso: sempre a sdrammatizzare.
Per digerire meglio ciò che accade a questa ragazza...?
Sì, perché alla fine la vita è così, con momenti di cambiamento e senza continuità, perché nessuno ti avverte: sei molto felice e, all’improvviso, tutto peggiora. A me piace molto questo tono: che si possa ridere un po’ di se stessi. Mi piacciono quei film che ti permettono di ridere di e con il personaggio.
Quanto c’è di Nely Reguera nel personaggio di María?
Molte cose mie e del mio ambiente. Però è bello quando i personaggi crescono, diventano autonomi e prendono distanza: poi vanno da soli; così vedi le cose in modo diverso. Il film nasce dalla voglia di parlare di una donna che arriva a un’età in cui la società si aspetta che tu abbia realizzato un serie di cose, ma tu non ne hai realizzata nessuna e ti chiedi: che cosa mi succede? Però vedi che attorno a te, l’80% della gente sta nella stessa situazione. Anche se il caso di María è estremo: ci si chiedeva perché nella vita abbiamo tante pressioni.
Queste pressioni a volte vengono da fuori, ma anche da se stessi…
Assolutamente. Inoltre, ci sono cose che non ci siamo chiesti se le vogliamo o no, eppure la frustrazione per non avercele c’è già: è una cosa assurda che capita anche al personaggio, che non si ferma a pensare con tranquillità che cosa vuole veramente. Quando ho deciso di fare il ritratto di María, è venuta poi la sua famiglia, poiché l’universo familiare dice molto di una persona: non conosci davvero una persona se non la vedi relazionarsi con i suoi, per questo hanno tanto peso nel film.

SAN SEBASTIÁN 2016 Nuev@s director@s

María (y los demás): quanto ti amo.
di Alfonso Rivera

20/09/2016 - SAN SEBASTIÁN 2016: Lo stimolante esordio di Nely Reguera è un dramma, percorso da un fine senso dell’umorismo, che ritrae una donna incline a rimandare, asfissiata dagli obblighi sociali.
Che cosa stiamo facendo della nostra vita? Che cosa vogliamo davvero? Fino a che punto siamo responsabili degli obblighi che ci imponiamo? Nely Reguera pone in modo sottile ed elegante queste questioni – e molte altre – nel suo primo film, María (y los demás), accolto con entusiasmo nella sezione Nuev@s Director@s del 64º Festival di San Sebastián, poche settimane prima di volare al Festival di Busan (Corea del Sud).
Con protagonista un’insuperabile Bárbara Lennie (in un ruolo che le potrebbe portarle tanti premi come quello di Magical Girl, di cui è una specie di distillato soft), questa commedia drammatica fa sì che ogni spettatore, al di là del sesso e dell’età, si identifichi in molti momenti con ciò che accade sullo schermo. Nel film vediamo la María del titolo, una donna sulla trentina che ha dedicato gli ultimi anni ad assistere suo padre malato. Ma quando questo si riprende e comincia a rendersi indipendente, il vuoto si apre sotto i piedi di María, che non sa che strada prendere e accetta a malincuore di non essere più necessaria.
Girato in esterni galiziani, dove Reguera (figlia di un galiziano e di una catalana) ha trascorso tante estati, María (y los demás) ritrae il suo personaggio centrale a partire dai suoi dialoghi e i rapporti con la sua famiglia e gli amici. Partecipiamo con lei a pranzi, incontri e pomeriggi al mare che questa regista ammiratrice di Woody Allen, Valeria Bruni Tedeschi, Rohmer e Baumbach, ricrea con uno stile naturalista, quotidiano e piacevole. Però, come nei film degli autori summenzionati, i suoi personaggi sono gravidi di desideri nascosti, abitudini radicate e paure difficili da affrontare.
Sono questi i conflitti del personaggio centrale, che Reguera ama quanto se stessa: la ridicolizza il giusto, il tanto che basta per farci uscire dalla zona di comfort; ci crediamo insostituibili e tendiamo a rimandare ciò che è davvero importante, scrollandoci di dosso la responsabilità della nostra pigrizia, e impregnando di essa ciò che ci circonda. Il grande risultato della regista è parlarci di tutto questo senza spargimento di lacrime o discorsi da manuale di autoaiuto, bensì con raffinato umorismo.
Pure la famiglia e i suoi rituali sono descritti con affetto ma anche con asprezza e ironia, in questo film che potrebbe figurare tra i finalisti ai prossimi Goya (nella categoria Miglior regista esordiente): la scena in cui uno dei fratelli canta Como yo te amo di Raphael riflette questo teatro dolente che sono i rapporti di sangue, dove i ruoli sono irrimediabilmente stabiliti, la comunicazione tende a essere difettosa e l’inserimento di nuovi membri viene accettato con malcelato sospetto.
María (y los demás) è una produzione di Frida Films in coproduzione con Avalon PC, con la partecipazione di Televisión de Galicia, S.A. e il contributo della Axencia Galega Das Industrias Culturais y el Instituto de la Cinematografía y las Artes Visuales. In Spagna il film è distribuito da Avalon, che lo lancerà nelle sale il 16 dicembre.

MARÍA (AND EVERYBODY ELSE)
di Nely Reguera

Sinossi:
Fin dalla morte di sua madre, Maria si è presa cura di suo padre e dei suoi fratelli. È sempre stata una roccia per tutta la famiglia. Quando suo padre annuncia che si sposerà con l'infermiera, tutto il mondo che aveva costruito sembra crollare intorno a lei. A 35 anni, dovrà cambiare il suo destino;

titolo internazionale: María (and Everybody Else)
titolo originale: María (y los demás)
paese: Spagna
anno: 2016
genere: fiction
regia: Nely Reguera
durata: 90'
data di uscita: ES 16/12/2016
sceneggiatura: Nely Reguera
cast: Bárbara Lennie, José Ángel Egido, Rocío León, Pablo Derqui, Vito Sanz, Julián Villagrán, María Vázquez, Miguel de Lira, Xúlio Abonjo, Aixa Villagrán, Marina Skell
fotografia: Aitor Echevarría
montaggio: Aina Calleja
scenografia: Andrea Pozo
musica: Nico Casal
produttore: Luisa Romeo
coproduttore: María Zamora, Stefan Schmitz
produzione: Avalon Producciones, Frida Films, ICAA - Instituto de la Cinematografía y de las Artes Audiovisuales
distributori: Avalon.

Si ringrazia Cineuropa per la collaborazione.

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Rodrigo Sorogoyen at San Sebastian festival


Rodrigo Sorogoyen at San Sebastian Festival 2016
By Cineuropa News.

The San Sebastian Festival is the most important festival in the Spanish-speaking world. The Official Selection is its core section, with a selection of films of the year produced worldwide which vie for the Golden Shell. Emerging talents can be discovered at the New Directors section, a competition of first or second films, whereas Horizonte’s Latinos is a showcase of the year’s Latin America production, being the Industry Club is the meeting point for professionals. In 2016 the Donostia Awards will be granted to Ethan Hawke and Sigourney Weaver and Gael Garcia Bernal will receive the Jaeger-LeCoultre Latin Cinema Award.

Rodrigo Sorogoyen • Director “You have to reflect a frustration one way or another”
by Alfonso Rivera

“Every film is a world of its own”

06/10/2015 - The Madrilenian filmmaker (Stockholm) is banking on two acting heavyweights, Antonio de la Torre and Roberto Álamo, in this tense thriller
Stockholm , which was presented at the Malaga Film Festival in 2013, pocketed a never-ending string of national awards (including a Goya nomination) and international prizes, and re-established the name Rodrigo Sorogoyen (Madrid, 1981) among the new talents to keep an eye on on the current Spanish film scene. That is why his third oeuvre (the first was 8 Dates, which he went halves on with Peris Romano) is currently hotly anticipated. Que Dios nos perdone (lit. “God Forgive Us”) is a tense crime thriller in which Antonio de la Torre (Marshland, Cannibal) and Roberto Álamo (The Skin I Live In, Gordos ) each play police inspectors, one of whom is a shy stutterer, while the other is brash and given to extremes; they will be supported by Mónica López, Luis Zahera, Rocío Muñoz-Cobo and José Luis García Pérez.

‘Que Dios nos perdone’ has been written by the director himself, together with Isabel Peña, a partnership that has been struck up once again following the unnerving Stockholm. It tells the story of how, in the scorching summer of 2011, with the rampant socio-economic crisis in full swing and the 15-M movement gaining momentum, the Papal visit to Madrid is being organized, which entails the arrival of 1.5 million believers. In the midst of this chaotic, strained and aggressive atmosphere, police officers Alfaro and Velarde must find a serial killer as soon as possible, and without arousing suspicions or causing alarm. During their investigation, both men will discover something they had never suspected, something they had never even thought of: perhaps they themselves are not as different from the killer as they had hoped.

After Sorogoyen used a cooperative system to get Stockholm off the ground, he is now able to bank on production by none other than Tornasol Films, Atresmedia Cine, Mistery Producciones AIE and Hernández y Fernández PC. The shoot is taking place in Madrid, Cantabria and Tenerife. As was the case in his previous movie, this film will again see Sorogoyen tackling the most violent side of human relations.


10/07/2015 - Expectations are high for the new thriller by the acclaimed director of Marshland, starring José Coronado, Marta Etura and Eduard Fernandez in the lead roles
In Paris on 20 July, the starting pistol will be fired for the shoot of El hombre de las mil caras (lit. “The Man with a Thousand Faces”), an eagerly anticipated movie, following the tremendous success of Marshland, the previous work by its director, Alberto Rodriguez. After it was screened at the 2014 San Sebastian Film Festival, Marshland became an unstoppable phenomenon that managed to win over critics, the general public and jury members alike. Now, Seville-born Rodriguez will direct two leading figures of the acting world: José Coronado and Eduard Fernandez, who will rub shoulders with the beautiful and talented Marta Etura.

As was the case for Marshland, the filmmaker is once again working with a winning crew: Alex Catalan will be back serving as DoP, the editing will be handled by José M G Moyano, Julio de la Rosa will take care of the soundtrack, production design will be managed by Pepe Dominguez and the wardrobe by Fernando Garcia. The screenplay is co-written by Rodriguez and Rafael Cobos, and is based on the book Paesa, el espía de las mil caras (“Paesa: The Spy with a Thousand Faces”) by Manuel Cerdán.

The ambitious shoot will last almost three months, and will take place in Paris, Singapore, Geneva and Madrid. The movie will portray the shady dealings of secret agent Francisco Paesa (played by Fernandez), who enjoyed life just like James Bond, was an arms dealer, lived on the edge, faked his own death and played a central role in handing over Luis Roldán (to be played by Carlos Santos) to the police; Roldán was the former managing director of the Spanish military police, who had been caught up in a corruption scandal.
17/09/2016 - SAN SEBASTIAN 2016: After the success of Marshland, Seville director Alberto Rodriguez is back with an ambitious political thriller, Smoke and Mirrors, based on true events.

'Smoke and Mirrors' has just had its world premiere in competition at the 64th San Sebastian Film Festival, a week before it is released in Spain. Forty-something Seville director Alberto Rodriguez’s previous film Marshland, which was also selected for the Basque festival two years ago and took home two awards (Best Actor for Javier Gutierrez and Best Photography for Alex Catalan) received huge acclaim from audiences, critics and juries, so hopes are high for this new thriller.

Cineuropa: In our last interview, just before Marshland was released, you said that you already had Smoke and Mirrors in the pipeline.

Alberto Rodriguez: It’s a project I’ve been waiting to do for a long time, an almost ill-fated project that was pitched to Enrique Urbizu and others first. When he turned it down, they handed the reins over to me, just as I was finishing Unit 7 . Sadly, we weren’t able to secure funding and the project was put on hold. It started back up again when money and opportunities came flowing in. So in the end, the film took years and years of work, but for me, it was all worth it. It was also the professional change that I was looking for, as this project doesn’t have much in common with the previous one and it’s very difficult, after such huge success, to repeat such a special experience, so I saw a good opportunity here to do this for myself and go in a new direction.

The film was also made on a big budget.
The story, which is very complex, called for a big budget, because it unfolds in a number of different locations. In an ideal world, we could have even done with a bit more money, as is always the case. They had me read the book by Manuel Cerdán, Paesa: el espía de las mil caras, as I only had a vague recollection of the affair. What really stood out for me is that even though the story takes place in 1994, as I read the text I realized that the whole thing could just as easily be happening in 2011. I liked that aspect of it, as well as the stir that the Roldán affair caused and the little known details that the book presents, above all the fact that people only dimly recall the Paesa and Rodán affair: they remember it as it has gone down in collective memory, skewed and altered.

What did you have to lose, adapt or modify from the book in the film?
A lot of things, because the book is a journalistic text, whilst for us, it was about creating a piece of fiction based on true events. We had to build a fictional story with a central subject. During the documentation stage, we naively tried to come up with something that would seem real, but we soon realized that that was impossible. The number of versions provided by people we interviewed and by books we had read on the subject led us to conclude that nobody, with the exception perhaps of three or four individuals, knew the real story, and we would never be the exception. So my co-screenwriter Rafael Cobos and I decided to tell a story that could have happened. A lot of the events happened as we tell them, and were well-documented, but we invented others, because we wanted to convey what happened, not make a documentary. It’s a story that someone tells you, or rather a story full of all the truth and lies that come with any story.

For this film you reunited the team you worked with on Marshland.
Yes, the team has stayed practically the same ever since my debut film, The Pilgrim Factor. It has simply grown as my films have become more complicated.

Is it an imposition that a project as huge as Smoke and Mirrors requires shots in so many foreign countries?
Yes, it’s complicated. We worked places we’d never been to into the screenplay. You can gather together as much information as you like about a place, but the reality on the ground is always surprising. For example, in Singapore, I was expecting to see a clear blue sky, but ended up finding myself in a huge city with giant buildings that block out the light before it can even get to you. In Malaysia, they burn the fields, which creates so much smoke that it leaves a dreadful permanent fog: that’s why in the film it always looks overcast. In each place, the team was different, but that taught me a lot, because in the end, every film is a world of its own.

18/09/2016 - SAN SEBASTIAN 2016: Madrilenian director Rodrigo Sorogoyen is competing in the official section with May God Save Us, a thriller starring Antonio de la Torre and Roberto Álamo.
Three years ago, Madrilenian director Rodrigo Sorogoyen surprised audiences at the Malaga Film Festival with Stockholm, a real anti-romance of a film starring Javier Pereira and Aura Garrido, which netted three awards, including Best Director. Before that, he teamed up with Peris Romano to make 8 Dates, a movie made up of mini romantic tales. With his third, unwholesome but magnificent feature, May God Save Us , which is in competition at the 64th San Sebastian Film Festival, he makes the leap into the premier league of Spanish filmmakers, proving he is one to watch closely over the coming years.
Cineuropa: Your film has a number of elements in common with Marshland by Alberto Rodriguez – who you’re going up against at this edition of the festival, where he is presenting Smoke & Mirrors – including some mysterious crimes and Antonio de la Torre, an actor who seems to be omnipresent at the moment (he appears to be trying his hand at everything in Spain).

Rodrigo Sorogoyen: That’s what people say, but José Coronado and Luis Tosar have more acting jobs than him (laughs). The thing is that Antonio is currently in The Fury of a Patient Man by Raúl Arévalo. I don’t mind competing against Alberto Rodriguez; it scares me more going up against foreign filmmakers, with that misguided and magnified view we usually have of films that come from elsewhere. But Smoke & Mirrors will be a hell of a film; I think of him more as a brother because he’s from here, too.

Speaking of Raúl Arévalo, who worked with you as an actor in 8 Dates, your film is much like his The Fury of a Patient Man in that it portrays a violent environment: you both depict society from an angry point of view… Coincidence?

There are not usually any coincidences when it comes to this: there must be a frustration that needs to be reflected one way or another… In my case there is, and I guess there is in Raúl’s case as well, since his film hinges more on revenge. But for me it stems from Madrid, where, as is also the case in other Western cities, people are living alongside violence or, at certain moments, are at the very centre of it: Isabel Peña, my co-screenwriter, and I were neighbors, and we saw how in summer 2011, the Papal visit and the 15M movement were happening right at the same time as police were beating people up left, right and centre. The powers that be stopped you from camping out or protesting in the street, but on the other hand, they welcomed half a million pilgrims with open arms, plus a Pope whose expenses were not to the liking of all Madrilenians: this sparked such an amount of violence that the idea of portraying it just came to us. So the screenplay came about as a result of our anthropological interest in knowing why a man would slit another man’s throat, and even as a result of our socio-political curiosity to depict a city and a specific moment in time: this all came together, and we wrote a thriller about two policemen who have to catch a killer.

You began with 8 Dates, sharing directing duties, then you got Stockholm off the ground with a crowd funding scheme that raised €60,000, and now you have a bigger budget and Gerardo Herrero on board as a producer. This has been quite a step forward, but have certain important things got left behind along the way?
I was worried about losing freedom: I was getting ready to put up a fight – politely – to hold onto as much freedom as possible, but I had a lot. I don’t know if it’s because I was careful, because they trusted me or because the stars came into alignment. I made the movie I wanted to make. And I had it easier than on Stockholm, because on that film I was the producer, and then I had lots of things to worry about, whereas now I’ve devoted myself to directing: this is bigger, more complete and took longer, so that freedom was very good for me.

Did they not tell you there were lines you couldn't cross when it came to the levels of violence?
That wasn’t my experience: the script is violent, whether you like it or not; in fact, one French distributor purposely didn’t buy it for that very reason. Then there was the little voice in my head that warned me not to take it too far, but no lines were drawn: we walked hand in hand with those in control. Not that the film is an ode to violence; it has its gritty moments, but it could have been a lot more brutal.
You shot in the Canary Islands as well as in Madrid.
Yes, because of the tax relief you get there. We filmed the interiors of the houses and the police station there. We also shot in Torrelavega (Cantabria): that’s where the final scene of May God Save Us unfolds.

‘May god save us’ a film by Rodrigo Sorogoyen
synopsis
En Madrid, durante el verano de 2011, la crisis económica ha agitado a la sociedad, provocando la llegada del movimiento 15-M. Además, miles de peregrinos llegan a la calurosa capital para esperar al Papa. En este contexto los policías Alfaro y Velarde deben atrapar a un presunto asesino de manera discreta. Pero la presión y la carrera contra reloj les hará darse cuenta de una verdad terrible: quizá ninguno de los dos es tan distintos del criminal al que persiguen.

international title: May God Save Us
original title: Que Dios nos perdone
country: Spain
sales agent: Latido Films
year: 2016
genre: fiction
directed by: Rodrigo Sorogoyen
release date: ES 28/10/2016
screenplay: Rodrigo Sorogoyen, Isabel Peña
cast: Antonio de la Torre, Roberto Álamo, Josean Bengoetxea, Monica Lopez, Luis Zahera, Rocío Muñoz, José Luis García Pérez, Ciro Miró
cinematography by: Alejandro de Pablo
film editing: Alberto del Campo, Fernando Franco
art director: Miguel Ángel Rebollo
costumes designer: Paola Torres
music: Olivier Arson
producer: Mercedes Gamero, Gerardo Herrero, Mikel Lejarza
production: Tornasol Films, Atresmedia Cine, Mistery Producciones AIE, Hernández y Fernández Producciones Cinematográficas
backing: Atresmedia, Movistar+, Telemadrid, ICAA - Instituto de la Cinematografía y de las Artes Audiovisuales
distributor: Warner Bros. Spain


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Cinema Report by Cineuropa News

CINEMA REPORT by CINEUROPA NEWS
A Milano i documentari sono Visioni dal Mondo.

di Camillo De Marco
13/09/2016 - La seconda edizione della rassegna vede 14 titoli italiani in concorso, 9 internazionali in anteprima italiana e l’importante novità della sezione industry
Torna dal 5 al 9 ottobre all’UniCredit Pavilion a Milano il Festival Internazionale del Documentario Visioni dal Mondo, Immagini dalla Realtà. Giunto alla seconda edizione (madrina l’attrice e regista Cristiana Capotondi), il Festival presenta un calendario ricco di anteprime, incontri, masterclass e il debutto della nuova sezione industry, Visioni Incontra, dedicata all'incontro fra progetti work in progress di documentaristi italiani e i professionisti del settore come importanti editor televisivi, circuiti cinema, piattaforme, acquisition manager, sales agent, produttori, distributori, direttori di festival.

Nel corso di Visioni Incontra, organizzata in collaborazione con Lombardia Film Commission e coordinata da Cinzia Masòtina, saranno presentati i migliori 15 progetti documentari italiani, ancora nella fase work in progress, selezionati tra quelli iscritti al bando di concorso. Saranno inoltre presentati 2 pitch di documentari in progress fuori concorso: grazie alla collaborazione con Doc/it - Associazione Documentaristi Italiani, Rhapsody in June di Barbara Andriano e Guendalina di Marco, vincitore del DWA - Doc/it Women Award annunciato ai Giornate degli Autori e L’uomo e la bestia, il nuovo film partecipato in sviluppo ideato da Marechiarofilm di Antonietta De Lillo. Oltre al pitching, Visioni Incontra proporrà anche panel di approfondimento sulla Nuova Legge Cinema; Creative Europe - MEDIA: fondi, networking e training; marketing e promozione; fonti di finanziamento e modalità di coproduzione.

Nucleo centrale del festival diretto da Fabrizio Grosoli, è il concorso rivolto ai giovani cineasti italiani. Oltre 200 i film documentari pervenuti su tematiche profonde come giustizia e legalità, identità di genere, integrazione e istruzione. Questi i 14 titoli in concorso: A Seafish from Africa-Il mio amico Banda di Giulio Filippo Giunti, Ero Malerba di Tony Trupia, Il Presidente del Mondo di Francesco Merini e Michele Cogo, Io, assistente sessuale di Stefano Ferrari, La Spada Invisibile di Massimiliano Cocozza, L’Estate che verrà di Claudia Cipriani, Lunàdigas di Nicoletta Nesler e Marilisa Piga, My Nature di Massimiliano Ferraina, Primadonna di Daniele Gangemi, Clelia Scimone, Ludovico Serra e Veronica Vescio, Processi di Adriana Ferrarese, Sotterranea-Viaggio in tre atti nel ventre di Milano di Chiara Campara, Matteo Ninni e Carlo Tartivita, The Viagra Chronicles di Chiara Sambuchi, The Weight of Dreams di Francesco Mattuzzi, Uncut di Emanuele Zuccalà e Simona Ghizzoni.

Panorama Internazionale è invece la sezione dedicata alla proiezione di 9 titoli internazionali in anteprima italiana al Festival, molti dei quali già vincitori di premi in occasione dei più prestigiosi festival internazionali, che trattano importanti temi come migrazione e integrazione, web e privacy, il potere dell’istruzione, il coraggio delle donne, la sconfitta delle minoranze, la forza dirompente della fantasia. Questi i titoli della sezione: Rupture: Living With My Broken Brain di Hugh Hudson, prodotto da Maryam D'Abo; Life, Animated di Roger Ross Williams, vincitore al Sundance; Why I’m Not on Facebook di Brant Pinvidic; Everything’s Under Control di Werner Boote, sulla privacy e sul controllo da parte di Facebook, Amazon o Google; The Bad Kids di Keith Fulton e Lou Pepe; What Tomorrow Brings di Beth Murphy, The Crossing di George Kurian, Nice People di Karin Af Klintberg e Anders Helgeson; Clandestino - El ejército perdido de la CIA di David Beriain, prodotto da Discovery.

Alessandro Gassmann e Marco Giallini sul set di Beata ignoranza di Massimiliano Bruno
di Vittoria Scarpa
14/09/2016 - Dopo Gli ultimi saranno ultimi, il regista torna alla commedia con un film che indaga la dipendenza dai social network, prodotto da Italian International Film con Rai Cinema. Sono cominciate lunedì 12 settembre a Roma le riprese del nuovo film di Massimiliano Bruno, Beata ignoranza. Alla sua quinta prova dietro la macchina la presa, il cineasta-attore torna a dirigere Alessandro Gassman (già in Viva l’Italia e nel più drammatico Gli ultimi saranno ultimi) e Marco Giallini (Confusi e felici) in quella che si preannuncia una commedia divertente su una problematica attualissima: la dipendenza dai social network.

Gassmann e Giallini (che dal canto loro tornano a far coppia sul set dopo Se Dio vuole di Edoardo Falcone) sono due insegnanti di liceo amici/nemici che si interrogano sull’utilità reale dei social network: è vera comunicazione o solo condivisione di superficialità? I due la pensano in modo diverso: il primo è assolutamente integrato nella modernità, mentre il secondo è un uomo all'antica sostenitore dei “vecchi tempi”. Così, tra gag esilaranti e riflessioni profonde, i due professori arriveranno a scambiarsi le vite per sostenere la propria tesi.

“L'idea del film nasce da un post che ho scritto quattro anni fa, quando già mi sentivo troppo social non immaginando cosa sarebbe esploso di lì a poco”, afferma Bruno. “Allora ho pensato che sarebbe stato divertente raccontare questo grande cambiamento della società globale e per farlo mi servivano due grandi attori”. Al fianco di Gassmann e Giallini, nel cast, anche Valeria Bilello, Carolina Crescentini e Teresa Romagnoli.
Beata ignoranza è prodotto da Fulvio e Federica Lucisano per Italian International Film con Rai Cinema e sarà distribuito nelle sale italiane da 01 Distribution il prossimo inverno.

Il Lussemburgo manda Voices from Chernobyl agli Oscar
di Vitor Pinto

12/09/2016 - Il documentario di Pol Cruchten è tratto dal libro del premio Nobel Svjatlana Aleksievich. Il documentario Voices from Chernobyl di Pol Cruchten è stato candidato a rappresentare il Lussemburgo ai prossimi Academy Award, nella categoria Miglior Film Straniero. La decisione è stata presa all'unanimità da un comitato di selezione che rappresenta il settore audiovisivo del Granducato, che comprendeva Nicole Dahlen (Luxembourg Cinémathèque), Guy Daleiden (Film Fund Luxembourg), Alexandra Hoesdorff (ULPA), Claude Lahr (LARS), l'attrice Sophie Langevin, Yves Steichen (CNA) e Daniel Texter (ALTA).

Prodotto da Red Lion, Voices from Chernobyl è un adattamento del romanzo del 2015 del premio Nobel per la Letteratura Svjatlana Aleksievich, basato sulle testimonianze delle vittime del disastro nucleare di Chernobyl del 1986. Il film ha avuto la sua prima nazionale lo scorso aprile al Luxembourg City Film Festival e, da allora, è stato proiettato a diversi altri eventi, come il Paris Environmental Film Festival, dove ha vinto il Grand Prix, e il Minneapolis St Paul International Film Festival, dove ha ricevuto il Premio al Miglior Documentario. La sua uscita nelle sale in Francia è prevista per il 23 novembre.

Le nomination per l'89ma edizione degli Academy Awards saranno annunciate il 24 gennaio 2017; la cerimonia avrà luogo il 29 febbraio.

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Tutti i Premiati di Venezia

VENEZIA 2016 Premi

Leone d’Oro al filippino Lav Diaz (nella foto) per The Woman Who Left
di Camillo De Marco

10/09/2016 - VENEZIA 2016: Tra i premiati, registi e attori soprattutto del continente americano, che hanno diviso la giuria presieduta da Sam Mendes.

Un meritatissimo Leone d’Oro al filippino Lav Diaz per The Woman Who Left, al termine di una Mostra del Cinema di Venezia edizione numero 73 blindata dalle forze dell’ordine antiterrorismo. Diaz ha dedicato la vittoria alla “lotta del popolo filippino e alla lotta dell’umanità”. The Woman Who Left, film della durata di 226 minuti su una donna che ha trascorso trent'anni in galera per un crimine che non ha commesso, segue di pochi mesi A Lullaby to the Sorrowful Mystery, della durata di otto ore, presentato alla Berlinale nel febbraio scorso.

“Tutti i film sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri”, ha commentato con ironia il presiedente della Giuria Sam Mendes riferendosi alla difficoltà nell’aggiudicare i premi. Non ci saranno stati disaccordi nell’assegnare per il Gran Premio della Giuria Leone d’Argento all’elegantissimo Nocturnal Animals per il quale un emozionatissimo Tom Ford ha ringraziato (“E’ l’avverarsi di un sogno”). Qualche discussione ci sarà invece stata prima di giungere all’ex aequo per la Miglior Regia allo scandaloso La región salvaje del giovane messicano Amat Escalante - che ha diviso critica e pubblico del festival a causa del suo alieno dispensatore di piacere sessuale - e al ben più “classico” Paradise del maestro russo Andrei Konchalovsky. Così come fa pensare a una giuria divisa il Premio Speciale al controverso The Bad Batch di Ana Lily Amirpour, una decisione che susciterà polemiche.

L’America si divide anche le Coppe Volpi per la miglior interpretazione: quella maschile a Óscar Martínez per l’argentino El ciudadano ilustre e quella femminile alla statunitense Emma Stone per lo spettacolare e divertente La La Land. Noah Oppenheim, premio per la sceneggiatura per il bellissimo biopic Jackie, ha ringraziato il produttore Darren Aronofsky, Natalie Portman, “l’unica che poteva interpretare Jacqueline Kennedy” e il regista Pablo Larrain, “un vero genio”. Torniamo in Europa invece con Paula Beer giovane attrice tedesca premiata con il “Mastroianni” alla miglior attrice emergente per Frantz di François Ozon.

Nella sezione Orizzonti ha trionfato il singolare ed impressionante documentario sull’esorcismo Liberami, di Federica Di Giacomo, mentre la Miglior Regia è andata al giovane regista belga Fien Troch per Home, suo quarto film che indaga il mondo degli adolescenti. Premio speciale della giuria al turco Big Big World di Reha Erdem, mentre gli attori premiati in questa sezione sono stati il portoghese Nuno Lopes per il potente Saint George e la spagnola Ruth Díaz con Tarde para la ira.

I vincitori dei premi della 73ma edizione del Festival di Venezia:

Leone d'oro
The Woman Who Left - Lav Diaz

Gran Premio della giuria
Nocturnal Animals - Tom Ford

Leone d'argento per la migliore regia
Amat Escalante - La región salvaje, Andrei Konchalovsky - Paradise

Premio speciale della giuria
The Bad Batch - Ana Lily Amirpour

Coppa Volpi della miglior interpretazione maschile
Óscar Martínez - El ciudadano ilustre

Coppa Volpi della miglior interpretazione femminile
Emma Stone - La La Land

Premio Marcello Mastroianni al giovane attore o attrice emergente
Paula Beer - Frantz

Premio per la miglior sceneggiatura
Noah Oppenheim - Jackie

Leone del Futuro – Premio Venezia Opera Prima "Luigi De Laurentiis"
The Last of Us - Ala Eddine Slim

Orizzonti
Miglior film
Liberami - Federica Di Giacomo

Miglior regia
Fien Troch - Home

Premio speciale della giuria
Big Big World - Reha Erdem

Migliore attrice
Ruth Díaz - Tarde para la ira

Miglior attore
Nuno Lopes - São Jorge

Miglior sceneggiatura
Wang Bing - Bitter Money

Miglior cortometraggio
La voz perdida - Marcelo Martinessi

Venezia Classici
Miglior film reastaurato
Break Up - L'uomo dei cinque palloni - Marco Ferreri

Miglior documentario sul cinema
Le Concours - Claire Simon

VENEZIA 2016 Premi

Il FIPRESCI di Venezia per Une vie
di Cineuropa

10/09/2016 - VENEZIA 2016: Il Premio del Pubblico al miglior film della Settimana Internazionale della Critica, è stato assegnato a Los nadie di Juan Sebastián Mesa
Une vie di Stéphane Brizé
La Federazione Internazionale della Stampa Cinematografica (FIPRESCI) ha assegnato il suo riconoscimento nell'ambito del concorso della 73. Mostra di Venezia a Une vie [+] del francese Stéphane Brizé. Il miglior film nella sezione Orizzonti è invece Kékszakállú dell’argentino Gastón Solnicki.

Il Premio del Pubblico Circolo del Cinema di Verona al miglior film della 31. Settimana Internazionale della Critica, è stato assegnato a Los nadie di Juan Sebastián Mesa. Tra gli altri premi collaterali, il SIGNIS Award a Piuma [+] di Roan Johnson, e una menzione speciale a Sulla Via Lattea [+] di Emir Kusturica, anche vincitore del Leoncino d’Oro Agiscuola per il Cinema Award.

VENICE 2016 Exhibitors
Taking the right approach to culture and cinema at the European Film Forum
by Birgit Heidsiek

09/09/2016 - VENICE 2016: UNIC and CICAE presented a common catalogue of demands to the European institutions
Phil Clapp, president of UNIC, speaking at the event
During the European Film Forum on cinema that was held at the Venice International Film Festival, the International Union of Cinemas (UNIC) and the International Confederation of Art Cinemas (CICAE) expressed in a common statement the challenges that the cinema sector is facing. “At a time when European Union leaders are required to navigate a political landscape that is increasingly Euro-sceptic and influenced by major international and institutional challenges, it is essential that Europe take the right approach to culture and cinema,” emphasised Phil Clapp, president of UNIC, and Detlef Rossmann, president of CICAE.
The cinema organisations are calling on the European institutions to strengthen support for the European cinema exhibition and distribution sectors in order to raise audience awareness and generate more excitement around film releases. Their catalogue of demands includes “stopping ill-advised support projects for synchronous theatrical and video-on-demand releases, not least given the weak evidence that such projects yield any positive results for the wider industry, and in return recognise the value of exclusive release periods in cinemas”.
Another key issue is to ensure that member states can request a levy from international VoD platforms to support their local cinema ecosystem. Fairly recently, the European Commission decided that VoD services abroad are also obliged to contribute to film funding, as are all other parties. This decision will have an impact on the new German film law, which comes into effect on 1 January 2017.
Further points included the fact that audiovisual services will be excluded from the TTIP negotiations, there is a need to fight commercial-scale copyright infringement through the increased co-ordination of member states’ activities, as well as a need to prevent the application of the country of origin principle enshrined in the Satellite and Cable Directive to online services.
“We look forward to continuing to collaborate with the European Commission, the European Parliament and all EU member states to ensure that the European strategy for film and cinema is of the greatest benefit for European audiences and the European cinema sector,” concluded Clapp and Rossmann.

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Venezia Orizzonti, Il più grande sogno

VENEZIA 2016 Orizzonti – by Cineuropa News

Il più grande sogno si avvera nella periferia romana
di Camillo De Marco

05/09/2016 - VENEZIA 2016: Il "borgataro" Mirko Frezza interpreta qualcuno di molto simile a se stesso nel lungometraggio d'esordio di Michele Vannucci.

Quando un autore incontra una storia o un personaggio non li lascia andar via, li coltiva, li coccola, li sviluppa, se ne impadronisce. Spesso è la storia o il personaggio che si impadronisce di un regista o uno sceneggiatore. Michele Vannucci, al suo primo lungometraggio con Il più grande sogno, in concorso nella sezione Orizzonti della Mostra di Venezia, ha incontrato Mirko Frezza nel 2012, quando stava facendo del casting per il suo cortometraggio di diploma in regia al Centro Sperimentale. E ha capito che qualcosa di importante era entrato nella sua vita. Quest'uomo di 40 anni dal fisico imponente, lunghi capelli e barba da hipster, tatuaggi tribali e occhi penetranti, aveva una storia da raccontare. La sua.
Un passato difficile nella periferia romana, una moglie, tre figli, una madre e un padre a cui badare. L’avevano eletto presidente di quartiere e aveva aperto un centro sociale. Dopo sei cortometraggi di finzione, cinque documentari e un mediometraggio, nel 2015 Vannucci ha realizzato il cortometraggio Una storia normale, cui è ispirata questa opera prima di lungometraggio, Il più grande sogno, prodotto da Giovanni Pompili per Kino, in collaborazione con Laser Film, Upupa e il sostegno di Roma Lazio Film Commission e il contributo del MiBact.
Mirko Frezza interpreta dunque qualcuno di molto simile a se stesso: un uomo appena uscito da qualche anno di carcere che torna nella sua borgata e cerca di ricostruirsi una vita, possibilmente onesta. Cosa non facile se hai un padre criminale (Vittorio Viviani) e la tentazione è dietro l'angolo. Accanto a sé ha una moglie che lo ama (Milena Mancini) mentre la figlia maggiore Michelle (Ginevra De Carolis) lo accusa di averle abbandonate e di essere tornato per cacciarsi in nuovi guai. Ma Mirko è bigger than life, non smette mai di parlare e muoversi e quando a sorpresa lo eleggono presidente del comitato di quartiere, decide di indirizzare le sue energie su quel "grande sogno" di aiutare la gente riscattandosi dalla sua condizione di ex-delinquente.
Ad affiancare Mirko Frezza c'è anche Alessandro Borghi, il Vittorio di Non essere cattivo (fuori concorso alla Mostra del 2015), considerato uno dei giovani attori più promettenti degli ultimi anni.

Sinossi di Michele Vannucci

Questa storia racconta di Mirko, un criminale romano che all’età di 39 anni si rende conto di avere davanti a sé un “futuro da riempire”, per sé e per la sua famiglia, possibilmente in modo onesto, e che improvvisamente viene eletto a sua insaputa Presidente del comitato di quartiere col 77% dei voti. La vita per Mirko cambia, radicalmente. In modo irrazionale insegue il sogno di un’altra esistenza per sé e per la sua borgata: basta spaccio, basta violenza, basta indifferenza, ora c’è bisogno di creare una comunità unita sul principio dell’aiuto reciproco. Bisogna far funzionare la mensa per i poveri e costruire un orto dove far lavorare ex-detenuti come lui. Questo è il suo sogno. Un sogno però difficile da gestire. Soprattutto se tuo padre è un criminale dai sogni megalomani e se in famiglia cerchi d’importi come padre delle tue due figlie da sempre ignorate. E il tuo passato rimane sempre lì. Una porta facile, facilissima da riaprire. Questo film racconta di un bandito che si convince d’essere padre spirituale della propria borgata, custode di una felicità che neanche lui sa bene come raggiungere. È la storia di un sogno, a tratti irrazionale, fragile come un bicchiere di cristallo ma capace di regalare il futuro a chi non credeva di meritarsi neanche un presente:

titolo internazionale: I Was a Dreamer
titolo originale: Il più grande sogno
paese: Italia
anno: 2016
genere: fiction
regia: Michele Vannucci
durata: 97'
sceneggiatura: Michele Vannucci, Anita Otto
cast: Alessandro Borghi, Vittorio Viviani, Milena Mancini, Ginevra De Carolis, Mirko Frezza, Ivana Lotito
fotografia: Matteo Vieille
montaggio: Sara Zavarise
scenografia: Lupo Marziale
costumi: Sabrina Beretta


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Venezia News in collaborazione con Cineuropa

VENEZIA 2016
In collaborazione con CINEUROPA NEWS

'Spira Mirabilis', il cinema che si rigenera
di Camillo De Marco

04/09/2016 - VENEZIA 2016: Il primo film italiano in competizione per il Leone, firmato da Massimo D’Anolfi e Martina Parenti è un viaggio attraverso gli elementi in cerca della “spirale meravigliosa”
"In principio non c'era niente, solo Inyan, la Roccia, lo spirito che creò Maka, la Terra...". Comincia con le parole di Leola One Feather, donna sacra della popolazione nordamericana dei Lakota, il lungo viaggio di Spira Mirabilis [+], primo film italiano in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, firmato da Massimo D’Anolfi e Martina Parenti. Un viaggio attraverso gli elementi in cerca di quella “spirale meravigliosa”, come venne definita dal matematico Jackob Bernoulli, il cui raggio cresce ruotando e la cui curva si "avvolge" intorno al polo senza però raggiungerlo mai.

Ancora un documentario in concorso in un festival internazionale, quando ormai ogni distinzione di genere si fa sempre più sottile, se non fosse per le scelte troppo caute dei circuiti commerciali. I progetti più recenti di D'Anolfi e Parenti hanno raggiunto un certo pubblico: nel 2013 Materia oscura [+] viene presentato alla Berlinale Forum e inizia un lungo percorso festivaliero, ricevendo diversi riconoscimenti e nel 2015 L’infinita fabbrica del Duomo [+] viene presentato in anteprima al Festival di Locarno e successivamente distribuito da Lab80. I registi si definiscono due artigiani del cinema: scrivono, girano, montano da soli i loro film. Da 10 anni, cioè da quando lavorano insieme, l’unico collaboratore esterno è Massimo Mariani, musicista e montatore del suono.
Spira Mirabilis è nato dalla conoscenza di un signore giapponese,Shin Kubota, professore del Dipartimento di Biologia marina dell’Università di Kyoto, che studia la Turritopsis, una piccola medusa, unico essere vivente in grado di invertire il suo ciclo vitale e di rinascere. Di essere dunque immortale. Kubota è certo che studiandola si potrà risolvere il mistero dell’immortalità e applicare la soluzione agli esseri umani, alla medicina, alla scienza in genere. Da quindici anni ogni giorno si reca nel suo piccolo laboratorio di biologia marina sulla spiaggia di Shirahama per prendersi cura di centinaia di questi "magici" esserini fluttuanti.

Da Shirahama a Wounded Knee, Milano, Berna, in un omaggio alla ricerca e alla tensione verso l’immortalità. Dall'acqua, al fuoco, alll'aria, alla terra. Leola One Feather e Moses Brings Plenty, una donna sacra e un capo spirituale, e la loro piccola comunità Lakota da secoli resistenti a una società che li vuole annientare. Le statue del Duomo di Milano sottoposte a una continua rigenerazione. Shin Kubota, che da erudito biologo marino si trasforma in Mr. Medusa Immortale, una piccola celebrità locale. Felix Rohner e Sabina Schärer, una coppia di musicisti inventori di strumenti/scultura in metallo, gli steel pan. A Berna da oltre trenta anni si applicano allo studio della risonanza di Helmholtz - il suono prodotto quando soffiamo attraverso il collo di una bottiglia - per costruire le loro sculture sonore uniche.

Quando Spira Mirabilis sembra aver esaurito i quattro elementi e trovato i sui protagonisti principali, il film propone una guida, un accompagnamento al viaggio. Un testo di Borges, "L'immortale", è il racconto di un viaggio labirintico senza fine, in cui ci si ritrova mutati al punto di partenza. Marina Vlady, diva di Welles, Godard, Ferreri, lo legge in una vecchia sala cinematografica. Il cinema che continuamente rinasce dalle proprie ceneri. Niente guerre, primavere arabe, crisi economiche, conflitti sociali. D'Anolfi e Parenti guardano alla parte migliore dell'umanità, con immagini ipnotiche, come sogni, che si confondono con il materiale di repertorio.
Un progetto premiato dall'Atelier del Milano Film Network, Spira Mirabilis è una coproduzione italo-svizzera di Montmorency Film e Lomotion con Rai Cinema e con SRF Schweizer Radio und Fernsehen/SRG SSR, venduto da The Match Factory. Esce in Italia con I Wonder Pictures il 22 settembre.

SPIRA MIRABILIS
di Massimo D’Anolfi, Martina Parenti
sinossi
La terra: le statue del Duomo di Milano sottoposte a una continua rigenerazione. L’acqua: Shin Kubota, uno scienziato cantante giapponese che studia la Turritopsis, una piccola medusa immortale. L’aria: Felix Rohner e Sabina Schärer, una coppia di musicisti inventori di strumenti/scultura in metallo. Il fuoco: Leola One Feather e Moses Brings Plenty, una donna sacra e un capo spirituale, e la loro piccola comunità lakota da secoli resistenti a una società che li vuole annientare. L’etere: Marina Vlady, che dentro un cinema fantasma, ci accompagna nel viaggio narrando L’Immortale di Borges. Questi sono i protagonisti di “Spira Mirabilis”, un film girato in diversi luoghi del mondo, una sinfonia visiva, un inno alla parte migliore degli uomini, un omaggio alla ricerca e alla tensione verso l’immortalità. Simbolo di perfezione e di infinito, “la spirale meravigliosa”, Spira mirabilis come venne definita dal matematico Jackob Bernoulli, è una spirale logaritmica il cui raggio cresce ruotando e la cui curva si "avvolge" intorno al polo senza però raggiungerlo mai.

Titolo originale: Spira Mirabilis
paese: Italia, Svizzera
rivenditore estero: The Match Factory
anno: 2016
genere: documentario
regia: Massimo D’Anolfi, Martina Parenti
durata: 121'
sceneggiatura: Massimo D’Anolfi, Martina Parenti
fotografia: Massimo D’Anolfi
montaggio: Massimo D’Anolfi, Martina Parenti
musica: Massimo Mariani
produttore: Massimo D’Anolfi, Martina Parenti
produzione: Montmorency Film, Lomotion, Rai Cinema, SRF - Schweizer Radio und Fernsehen
distributori: I Wonder Pictures


VENEZIA 2016 Italia 'Gli italiani al Lido'
di Vittoria Scarpa

29/07/2016 - Tre titoli in concorso, cinque fuori concorso, due in Orizzonti e tre nella sezione Cinema nel Giardino parlano italiano alla Mostra di Venezia quest’anno
Tra i paesi più rappresentati quest’anno alla Mostra di Venezia, poco meno degli Stati Uniti e più della Francia, l’Italia schiera film in tutte le sezioni della Selezione Ufficiale, tra lungometraggi di finzione, corti e documentari.
Tre sono in concorso Venezia 73: Questi giorni di Giuseppe Piccioni, Piuma di Roan Johnson e Spira Mirabilis di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti. Prodotto da 11 Marzo Film, Publispei e Rai Cinema, il nuovo film di Piccioni è la storia di un gruppo di ragazze di provincia alle prese con le scelte per il loro futuro, e del viaggio che compiono per accompagnare una di loro a Belgrado, dove l’attendono una misteriosa amica e un’improbabile occasione di lavoro. Nel cast Margherita Buy e Filippo Timi; l’uscita nelle sale italiane è prevista per il 15 settembre con Bim. Roan Johnson firma invece con Piuma il suo terzo lungometraggio, prodotto da Sky Cinema e Palomar, una commedia su una coppia di diciottenni in attesa del loro primo figlio. Il film sarà nei cinema il 20 ottobre con Lucky Red (distribuzione internazionale: True Colours). Spira Mirabilis si presenta invece come un film documentario sull’immortalità, una sinfonia visiva girata in diversi luoghi del mondo, che ruota attorno ai quattro elementi della natura: acqua, aria, terra, fuoco. Una coproduzione italo-svizzera di Montmorency Film e Lomotion con Rai Cinema e con SRF Schweizer Radio und Fernsehen/SRG SSR; la distribuzione internazionale è di The Match Factory.

Fuori concorso, oltre all’evento speciale The Young Pope di Paolo Sorrentino (leggi la news), c’è Tommaso di Kim Rossi Stuart, prodotto da Palomar con Rai Cinema, un film dalla forte componente autobiografica che esplora il rapporto tra un attore giovane e bello e le donne. Tra gli interpreti, il regista stesso, Cristiana Capotondi e Jasmine Trinca. Il film esce in sala l’8 settembre con 01. Sempre fuori concorso, il primo film italiano del regista iraniano Amir Naderi, coprodotto con Usa e Francia (Citrullo International, Zivago Media, Cineric, Ciné-sud Promotion, Rai Cinema): Monte, storia di un uomo, sua moglie e suo figlio che vivono ai piedi di una montagna che si erge come un muro contro i raggi del sole, e della loro sfida quotidiana per riportare la luce sulle loro terre. Con Andrea Sartoretti e Claudia Potenza. E poi, due documentari: Our War di Bruno Chiaravalloti, Claudio Giampaglia e Benedetta Argentieri,una coproduzione Italia-Usa che segue tre combattenti volontari, provenienti da Stati Uniti, Italia e Svezia, arruolati nelle milizie curde in Siria contro l’Isis; e Assalto al cielo di Francesco Munzi, che dopo il successo di Anime nere torna a Venezia con un film d’archivio, prodotto da Istituto Luce Cinecittà in collaborazione con Rai Cinema, sulla stagione di lotte politiche extraparlamentari in Italia negli anni tra il 1967 e il ‘77, tra slanci, sogni, violenze e delitti.

Due i titoli italiani in Orizzonti: Liberami di Federica di Giacomo, una produzione Mir Cinematografica con Rai Cinema in coproduzione con Opera Films, e Il più grande sogno di Michele Vannucci, prodotto da Kino Produzioni con il contributo del Mibact (leggi la news). Nella nuova sezione Cinema nel Giardino: L’estate addosso di Gabriele Muccino, Robinù di Michele Santoro e Franca: Chaos and Creation di Francesco Carrozzini. Quattro poi i corti italiani in Orizzonti, cinque i documentari nazionali in Venezia Classici.

Ricordiamo infine Le ultime cose di Irene Dionisio in concorso alla Settimana della Critica (leggi la news), una coproduzione italo-svizzero-francese che incrocia tre storie al Banco dei pegni, e i titoli italiani (e coproduzioni) alle Giornate degli Autori (news): in gara, Indivisibili di Edoardo De Angelis e La ragazza del mondo di Marco Danieli; tra gli eventi speciali, Coffee di Cristiano Bortone, Vangelo di Pippo Delbono, Il profumo del tempo delle favole di Mauro Caputo e You Never Had It - An Evening With Bukowski di Matteo Borgardt.

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73 Mostra del cinema di Venezia

73. MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA ORIZZONTI 73 IN STREAMING

18 film in streaming della 73. Mostra di Venezia su MYMOVIESLIVE - Nuovo Cinema Repubblica.
In collaborazione con MYMOVIESLIVE.
MYmovies.it e Repubblica.it presentano in contemporanea con le proiezioni ufficiali al Lido, una selezione di 18 film della 73. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica (31 agosto - 10 settembre 2016) da vedere subito in streaming. Ogni sera in Anteprima Mondiale e on demand per 5 giorni, gli attesissimi film di Orizzonti, Biennale College, Cinema nel Giardino e Fuori Concorso. L'accesso ai film è consentito solo dall'Italia su Pc, Mac, Sistemi Operativi Linux, Tablet e Smartphone Apple. Non è garantita la visione su alcuni sistemi Android. I film della Mostra di Venezia saranno disponibili anche on demand in lingua originale con i sottotitoli in italiano per 5 giorni dopo la prima trasmissione.

'Orecchie'
di Alessandro Aronadio
BIENNALE COLLEGE
Commedia, Italia 2016.
Durata 90 minuti.

ANTEPRIMA MONDIALE
GIOVEDÌ 01/09 ORE 21:00

REPLICHE
VENERDÌ 02/09 ORE 22:30
MARTEDÌ 06/09 ORE 18:30

ON DEMAND
FINO A MARTEDÌ 06/09

Un uomo si sveglia una mattina con un fastidioso fischio alle orecchie. Un biglietto sul frigo dice: 'Luigi è morto. P.S. Ho preso la macchina'. Inizia così una giornata incredibile, tra incontri e scoperte, che lo porterà infine a tenere l'orazione funebre per Luigi.


'Hotel Salvation'
di Shubhashish Bhutiani
BIENNALE COLLEGE
Drammatico, India 2016.
Durata 103 minuti.

ANTEPRIMA MONDIALE
VENERDÌ 02/09 ORE 18:30

REPLICHE
DOMENICA 04/09 ORE 17:00

ON DEMAND
FINO A MERCOLEDÌ 07/09

Opera prima del regista indiano Shubhashish Bhutiani, il film è la storia di un uomo che si trova a dover portare a termine un gravoso compito: condurre il vecchio padre a Varanasi e aspettare che muoia affinché lui possa ottenere la salvezza.


'Franca: Chaos and Creation'
di Francesco Carrozzini
CINEMA NEL GIARDINO
Documentario, Italia, USA 2016.
Durata 80 minuti.

ANTEPRIMA MONDIALE
VENERDÌ 02/09 ORE 21:00

REPLICHE
LUNEDÌ 05/09 ORE 22:30

ON DEMAND
FINO A MERCOLEDÌ 07/09

Un ritratto di Franca Sozzani, leggendaria caporedattrice di Vogue Italia. Le sue controverse copertine non solo hanno infranto le regole, ma hanno alzato l'asticella per il mondo della moda, dell'arte e delle relative industrie nel corso degli ultimi 25 anni.


'Home'
di Fien Troch
ORIZZONTI
Drammatico, Belgio 2016.
Durata 103 minuti.

ANTEPRIMA MONDIALE
SABATO 03/09 ORE 17:00

REPLICHE
DOMENICA 04/09 ORE 22:30
MARTEDÌ 06/09 ORE 17:00

ON DEMAND
FINO A GIOVEDÌ 08/09

John, Abdul, Sammy e Lina fanno parte della generazione digitale, quella del 'tutto in abbondanza' e del 'ciascuno per sé'. Gli adulti che li circondano invece di aiutarli, reagiscono male. Un giorno, i quattro incontrano un ragazzo appena uscito da un centro di detenzione.



'La Soledad'
di Jorge Thielen-Armand
BIENNALE COLLEGE
Drammatico, Venezuela 2016.
Durata 85 minuti.

ANTEPRIMA MONDIALE
SABATO 03/09 ORE 21:00

REPLICHE
LUNEDÌ 05/09 ORE 18:30

ON DEMAND
FINO A GIOVEDÌ 08/09

A Caracas un ragazzo scopre che la misera baracca che ha scelto come abitazione verrà presto demolita. Sperando di salvare la sua famiglia, si mette alla ricerca di un bottino d'oro, che si dice essere stato nascosto proprio nelle mura della sua abitazione.



'Una Hermana'
di Sofia Brokenshire, Verena Kuri
BIENNALE COLLEGE
Drammatico, Argentina 2016.
Durata 68 minuti.

ANTEPRIMA MONDIALE
DOMENICA 04/09 ORE 18:30

REPLICHE
MERCOLEDÌ 07/09 ORE 22:30

ON DEMAND
FINO A VENERDÌ 09/09

Un villaggio rurale in Argentina sta subendo una trasformazione geografica radicale. Un giorno ritorna dal passato una donna misteriosa, sparita da molto tempo. Il suo arrivo scatena vecchi ricordi che incombono su tutto il paese.



'Maudite Poutine'
di Karl Lemieux
ORIZZONTI
Drammatico, Canada 2016.
Durata 91 minuti.

ANTEPRIMA MONDIALE
LUNEDÌ 05/09 ORE 21:00

REPLICHE
MERCOLEDÌ 07/09 ORE 17:00

ON DEMAND
FINO A SABATO 10/09

Dopo essere stato sorpreso a rubare droga, Vincent, ventisette anni, è costretto a ristabilire il contatto con suo fratello Michel. Vincent lotterà per preservare la sua stabilità mentale in un ambiente rurale dove la violenza è attività quotidiana.


'Dark Night'
di Tim Sutton
ORIZZONTI
Drammatico, USA 2016.
Durata 85 minuti.

ANTEPRIMA MONDIALE
MARTEDÌ 06/09 ORE 21:00

REPLICHE
VENERDÌ 09/09 ORE 17:00

ON DEMAND
FINO A DOMENICA 11/09

Il racconto della strage di Aurora (Colorado) del 2012 in cui un ventiquattrenne aprì il fuoco durante la prima del film Il cavaliere oscuro, uccidendo 12 persone e ferendone 58. Un j'accuse sulle armi e la violenza in America che vola anche altrove, altissimo.


'Liberami'
di Federica Di Giacomo
ORIZZONTI
Documentario, Italia 2016.
Durata 90 minuti.

ANTEPRIMA MONDIALE
MERCOLEDÌ 07/09 ORE 21:00

REPLICHE
GIOVEDÌ 08/09 ORE 17:00
SABATO 10/09 ORE 18:30
ON DEMAND
FINO A LUNEDÌ 12/09

Un film sull'esorcismo nel mondo contemporaneo: un racconto di possessioni diaboliche fra i fedeli che chiedono di essere liberati, mentre la Chiesa lancia corsi di formazione per sacerdoti combattenti. Un'analisi sullo stato di sbandamento della nostra società.


'El vendedor de orquídeas'
di Lorenzo Vigas
FUORI CONCORSO
Documentario, Venezuela, Messico 2016.
Durata 75 minuti.

ANTEPRIMA MONDIALE
GIOVEDÌ 08/09 ORE 18:30

ON DEMAND
FINO A MARTEDÌ 13/09

A ottant'anni Oswaldo Vigas, uno degli artisti più rinomati del Venezuela, attraversa col figlio la città in cui è cresciuto alla ricerca di un dipinto che ha perso durante l'adolescenza. Il viaggio lo farà riflettere su un capitolo della giovinezza che lo ha segnato per sempre.



'Ku Qian'
di Wang Bing
ORIZZONTI
Documentario, Hong Kong, Francia 2016.
Durata 120 minuti.

ANTEPRIMA MONDIALE
VENERDÌ 09/09 ORE 19:00

ON DEMAND
FINO A MERCOLEDÌ 14/09

In una città in rapida crescita della Cina orientale arriva un gruppo di migranti in cerca di una vita migliore. Le occasioni di crescita sono poche e le cattive condizioni di vita, a poco a poco, spingono tutti, anche le coppie, verso rapporti violenti e oppressivi.



Malaria
di Parviz Shahbazi
ORIZZONTI
Drammatico, Iran 2016.
Durata 100 minuti.

ANTEPRIMA MONDIALE
VENERDÌ 09/09 ORE 21:00

REPLICHE
SABATO 10/09 ORE 22:30

ON DEMAND
FINO A MERCOLEDÌ 14/09

Una ragazza informa il padre che è stata rapita e gli chiede di portare i soldi del riscatto. In preda al panico, l'uomo e i fratelli vanno a Teheran a cercarla. Non sanno che la ragazza è fuggita col fidanzato e che passa il tempo con un gruppo di musicisti di strada.


'King of the Belgians'
di Peter Brosens,
Jessica Woodworth

BIENNALE COLLEGE
Commedia, Belgio, Paesi Bassi, Bulgaria 2016.
Durata 94 minuti.

ANTEPRIMA MONDIALE
SABATO 03/09 ORE 18:30

REPLICHE
LUNEDÌ 05/09 ORE 17:00

ON DEMAND
FINO A GIOVEDÌ 08/09

Mentre Re Nicolas III, un'anima solitaria che sente di vivere la vita sbagliata, si trova in visita di stato a Istanbul, la parte meridionale del Belgio si dichiara indipendente. Il re si trova così costretto a tornare immediatamente in patria per salvare il suo regno.

'Il più grande sogno'
di Michele Vannucci

ORIZZONTI
Drammatico, Italia 2016.
Durata 97 minuti.

ANTEPRIMA MONDIALE
DOMENICA 04/09 ORE 21:00

REPLICHE
MARTEDÌ 06/09 ORE 22:30

ON DEMAND
FINO A VENERDÌ 09/09

Mirko Frezza, interprete di se stesso, è un ex criminale romano che si rende conto di avere un futuro da riempire per sé e per la sua famiglia. Viene eletto presidente del comitato di quartiere romano in cui vive e inizia a inseguire il sogno di una nuova vita onesta.


'Kékszakállú'
di Gastón Solnicki
ORIZZONTI
Drammatico, Canada 2016.
Durata 91 minuti.

ANTEPRIMA MONDIALE
LUNEDÌ 05/09 ORE 21:00

REPLICHE
MERCOLEDÌ 07/09 ORE 17:00

ON DEMAND
FINO A SABATO 10/09

Dopo essere stato sorpreso a rubare droga, Vincent, ventisette anni, è costretto a ristabilire il contatto con suo fratello Michel. Vincent lotterà per preservare la sua stabilità mentale in un ambiente rurale dove la violenza è attività quotidiana.


'Koca Dunya'
di Reha Erdem
ORIZZONTI
Documentario, Italia 2016.
Durata 90 minuti.

ANTEPRIMA MONDIALE
MERCOLEDÌ 07/09 ORE 21:00

REPLICHE
GIOVEDÌ 08/09 ORE 17:00
SABATO 10/09 ORE 18:30

ON DEMAND
FINO A LUNEDÌ 12/09

Un film sull'esorcismo nel mondo contemporaneo:
un racconto di possessioni diaboliche fra i fedeli che
chiedono di essere liberati, mentre la
Chiesa lancia corsi di formazione per sacerdoti combattenti.
Un'analisi sullo stato di sbandamento della nostra società.

'Our War'
di Bruno Chiaravalloti, Claudio Jampaglia, Benedetta Argentieri


FUORI CONCORSO
Documentario, Italia, USA 2016.
Durata 68 minuti.

ANTEPRIMA MONDIALE
VENERDÌ 09/09 ORE 22:30

REPLICHE
SABATO 10/09 ORE 21:00

ON DEMAND
FINO A MERCOLEDÌ 14/09

Un ex-marine statunitense, un attivista politico italiano,
una guardia del corpo svedese:
tre ventenni accomunati dalla difficile scelta di andare a
combattere lo 'stato islamico' in Siria nelle Unità di
Protezione Popolare (YPG), le milizie curde
nel nord del paese.







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Ezio Bosso allo Sferisterio di Macerata

Ezio Bosso “The 12th Room Tour” allo Sferisterio di Macerata 14 Agosto 2016.

Attraversare le ‘12 stanze’ che Ezio Bosso ha messo insieme in questo suo concerto dal vivo è come rivisitare l’intero catalogo della musica classica che dal filosofo dell’armonia quale può essere considerato Bach, arriva al decostruzionismo (derridiano) del contemporaneo Cage, quasi a formare un'unica partitura per ‘piano solo’, senza presunzione di sospensione e di contaminazione. Può sembrare incredibile come qui la fusione dei diversi stili dia forma a un unicum la cui rivisitazione ‘colta’ offre spunti di intervento per assoli jazzistici alla Ellington, al minimalismo di Newman o alla miscellanea quantistica di Glass. Tuttavia possiamo credere all’evoluzione musicale di un genio della nostra era, la cui versatilità stilistica nell’uso del piano ‘accelerato’ ricorda il Glenn Gould delle ‘Variazioni Goldberg’ (Bach) e delle strenue ‘3 Piano Sonatas’ (Hindemith), ma ed anche, le ‘variations in jazz’ elaborate da Keith Jarrett e da Cick Corea.
Comprensibilmente la ‘variazione’ può essere considerata la cifra musicale di Ezio Bosso che, per quanto non sia frutto esplicito dell’improvvisazione è decisamente ad essa succedanea, in quanto dà alla variazione un senso compiuto in termini musicali: “sicché sarebbe ora di rivedere le opinioni comuni su quello che è ‘il monolito uniforme’ della (così detta) musica classica”. Del resto è ben noto che l’arte dell’improvvisare musica a comando, sulla base di una variazione su un tema, non è esclusiva del jazz che l’ha istituzionalizzata a forma principale di composizione semplicemente perché ha potuto conservarsi principalmente grazie alle incisioni su supporti materiali diversi dai fogli di carta con pentagrammi e, per tale ragione, ha potuto continuare ad evolversi molto più sulla base delle variazioni che sulla selezione dei temi.
“La musica classica, per come la conosciamo oggi, è sostanzialmente il risultato di ciò che siamo stati in grado di conservare nella cultura della musica scritta e trascritta, perché quello era sostanzialmente l’unico strumento a disposizione per poter conservare la musica. È acclarato che Bach, Mozart e Beethoven fossero degli eccezionali improvvisatori, tuttavia questo non significa che fossero semplicemente dei filosofi trasposti in musica, capaci di dedicarsi esclusivamente alle composizioni scritte sulla carta in quanto più vicino ai massimi sistemi, già propri della cultura classica tedesca” (*).
Con “The 12th Room” Ezio Bosso avanza supposizioni musicali ‘altre’ che vanno dal razionalismo al minimalismo per quanto rimangano indubbiamente letterarie e poetiche, lì dove la letteratura e la poesia classiche sposano l’inquietudine e la solitudine individualista della cultura dei nostri giorni. Si pensi all’utilizzo letterario della ‘stanza’ nelle forme più comuni dei testi di musica sacra e degli inni; nei componimenti poetici del passato (Dante, Poliziano, Petrarca), e nella lirica moderna (Carducci, Dannunzio, Leopardi). Una ‘stanza’, inoltre, “..che non è solo dei poeti, a chi non è capitato di chiudersi in camera propria a piangere un amore, o di ascoltare la musica ad alto volume per isolarsi dal mondo esterno, ed entrare nel piano dell'immaginazione guardando al di fuori della finestra della camera, del treno, del pullman, o dell'auto, e scoprire di non vedere l'orizzonte, (..) ma ciò che rende possibile l'appropriazione, in forma di visione e di parola, ciò di cui altrimenti il soggetto mai potrebbe appropriarsi” (**).
In metrica, si definisce ‘stanza’ sia la strofa di una canzone (cioè una struttura di più versi cui è associato un determinato schema di rime), sia un testo poetico di una sola strofa come il ‘sonetto’. Come scrive Fernando Salsano la stanza è il luogo “che offre al poeta il conforto della solitudine e della meditazione, ma è anche luogo della creazione poetica, e di un'elaborazione fantasmatica del vissuto che ne è presupposto. (..) Nel suo insieme, la concretizzazione e il simbolo di tale dimensione, è lo spazio che contiene e rende possibile la relazione fra il poeta e i fantasmi del suo desiderio, lo spazio attraverso il quale l'esperienza esistenziale comunica con il suo ‘oltre’, e cioè con quel tessuto di visioni, immagini e parole che è il rovescio della trama del reale e la materia prima della poesia” (**).
Inoltre la ‘stanza’ in sé, contiene tre diverse dimensioni: l'ambiente in cui il poeta si ritira per creare, lo spazio della dinamica interiore da cui la parola poetica scaturisce e la forma che essa assume traducendosi in scrittura. In essa, quindi: “..è dato cogliere, sul piano figurale, l'unità di un'esperienza che si presenta contemporaneamente come esistenziale, visionaria e verbale; in altre parole come reciproca implicazione e reversibilità di realtà, fantasma e parola in seno all'atto creativo” (**). È qui, in questa esatta dimensione che s’inserisce Ezio Bosso compositore ed esecutore, attraverso le sue esibizioni ‘uniche e irripetibili’, che possiamo attribuire ad ogni suo singolo incontro dal vivo con la musica e con il pubblico.
È quanto più recentemente accaduto nelle molte serate del suo Tour che l’ha visto inoltre presente all’Arena Sferisterio in occasione del Macerata Opera Festival 2016 che ha richiamato un folto numero di fan ma anche di critici e interpreti musicali (2000 persone) che gli hanno decretato una doppia standing ovation, conclusosi con la sua Sonata n.1 in Sol Minore. “La musica è una società ideale - ha detto al pubblico - perché più io suono bene più gli altri vorranno suonare meglio di me in un miglioramento reciproco. La vita è condivisone”.
Ma se possiamo considerare Ezio Bosso un valido esecutore secondo i lemmi della composizione classica, ancor più è compositore, per quanto ‘sofisticato’ sia, di ‘jazz’. Lo hanno rivelato i brani eseguiti nella ‘prima parte’ del concerto (contenuti nel CD1), con il suo spaziare attraverso le ‘stanze’ da Bach a Gluck, da Chopin a Cage rinominandole secondo l’intensità dell’emozione che egli stesso ha provato e riprovato eseguendo al piano i dettami dei grandi nomi che hanno fatto la storia della musica, quasi (e qui azzardo), seguendo l’intuizione filosofica ‘Air and Dreams’ di Gaston Bachelard nei termini propri e impropri della metafisica, intesi come: aria, acqua, spazio, fuoco, secondo lo spirito e la poetica della rêverie.
E che cos’è la rêverie se non l’apprendimento di ciò che viene elaborato nello stato interiore della coscienza nel quale si verifica il processo di onirizzazione della realtà; se non l’afflato che consente all’artista di essere creativo nel suo fantasticare (?). Che cos’è, quello che Ezio Bosso ha regalato al suo pubblico e che ritroviamo per intero registrato nel suo ‘concept album’ quasi interamente live, durante i concerti al Teatro Sociale di Gualtieri (Reggio Emilia) nel settembre del 2015, se non un voler rappresentare metaforicamente le fasi che (con lui tutti noi) attraversiamo nella vita (?). Fatto è che nella Sonata No. 1 in Sol Minore che simboleggia la ‘dodicesima stanza’ e che da nome al Tour egli si è così espresso:
"Questi brani, come sempre nelle mie scelte, rappresentano un piccolo percorso meta-narrativo. C'è una teoria antica che dice che la vita sia composta da dodici stanze, nessuno può ricordare la prima stanza perché quando nasciamo non vediamo, ma pare che questo accada nell'ultima che raggiungeremo. E quindi si può tornare alla prima. E ricominciare".
Ciò che più appassiona di Ezio Bosso è la sua presenza scenica, quel tutt’uno che egli forma con il suo pianoforte gran coda Steinway & Son della collezione Bussotti-Fabbrini appositamente preparato sulle specifiche del Maestro da Piero Azzola; e se vogliamo con l’ampio palcoscenico dello Sferisterio di Macerata, qui inteso come piattaforma che si dispone a levarsi nello spazio al seguito delle note che lo sospingono, come per una rappresentazione mitologica, verso l’Olimpo dei poeti. Si è qui parlato del ‘poeta’ con una grande levatura musicale, pianista, compositore e direttore d’orchestra proveniente dall’Accademia di Vienna, arrivato a dirigere alcune delle più importanti orchestre internazionali come la London Symphony Orchestra, The London Strings, l’Orchestra del Teatro Regio di Torino e l’Orchestra dell’Accademia della Scala.
Per chi non lo conosceva già va detto inoltre che è compositore di colonne sonore per il cinema quali: “Io non ho paura” di Salvatores; “Rosso come il cielo” di Bortone, per il teatro con registi come James Thierrèe, e la danza per coreografi come Rafael Bonchela, fino a sperimentare le ‘emozioni’ contenute nei ritmi contemporanei. Per cui assistere a un suo concerto è vivere un’esperienza ‘unica e irripetibile’ e, al tempo stesso, conoscere un genio assoluto di quella musica universale che tutti ci appassiona e ci accomuna.

Ezio Bosso (malato di SLA) è stato costretto però ad annullare alcuni concerti previsti nei prossimi giorni su suggerimento dei medici, in modo da ridurre gli impegni dal vivo per "poter recuperare energie tra un concerto e l'altro". Il musicista ha motivato la decisione con queste parole:

"Mi dispiace tanto; per tutti noi, per me stesso per primo, dover cancellare o spostare un’occasione di musica. Mi dà tanta tristezza non poter fare tutto ma bisogna accettare che 'il tutto' è un concetto relativo e, per quanto io lo voglia, è il corpo che a volte deve decidere. Ed è meglio non farlo arrabbiare! Sono sicuro e spero che troveremo un’altra occasione perché invece non è relativo mettercela tutta… E sapete che lo metto in ogni nota quel tutto. Così come in ogni giorno".

Ezio Bosso: un grande della musica universale.


Note:

(*)Ezio Bosso booklet incluso nell'album "The 12th Room" - EGEA Music

(**)Note su 'stanza' in 'Letteratura Italiana' - Einaudi e 'Storia della Musica' - Oxfors-Feltrinelli.





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Venezia News in collaborazione con Cineuropa

VENEZIA CINEMA 2016

L'Islanda per la prima volta in gara alla Mostra di Venezia.
di Jorn Rossing Jensen

29/07/2016 - Il film d'esordio di Guðmundur Arnar Guðmundsson, Heartstone, e il documentario danese The War Show sono selezionati alle Giornate degli Autori
Il film d’esordio del regista islandese Guðmundur Arnar Guðmundsson, Heartstone, sarà il primo film islandese in concorso alla Mostra del cinema di Venezia, poiché è stato selezionato tra i 12 titoli delle Giornate degli Autori. Il festival si terrà dal 31 agosto al 10 settembre.
Scritto da Guðmundsson, Heartstone è ambientato durante un’estate turbolenta in un remoto villaggio di pescatori in Islanda. Il teenager Thor cerca di conquistare il cuore di una ragazza, mentre il suo amico Christian scopre sentimenti nuovi verso il suo miglior amico. E poi è ora di smettere di giocare e affrontare le difficoltà dell’essere adulti.
Il gruppo di attori islandesi interpreti del film – Baldur Einarsson, Blaer Hinriksson, Diljá Valsdóttir, Katla Njálsdóttir, Jónína Thórdís Karlsdóttir, Rán Ragnarsdóttir, Daníel Hans Erlendsson, Theodór Pálsson e Sveinn Sigurbjörnsson – sono affiancati da veterani come Nína Dögg Filippusdóttir, Sveinn Ólafur Gunnarsson, Nanna Kristín Magnúsdóttir, Gunnar Jónsson e il danese Søren Malling.
Guðmundsson ha diretto in passato quattro corti, tra cui Whale Valley (2013), che ha vinto 45 premi internazionali. Il suo primo film è prodotto da Anton Máni Svansson e Guðmundsson per l’islandese Join Motion Pictures, e da Lise Orheim Stender e Jesper Morthorst per la danese SF Studios Production. La società di base a Berlino Films Boutique gestisce le vendite internazionali.
Un documentario danese, The War Show di Andreas Dalsgaard, Obaidah Zytoon e Marie Skovgaard, aprirà le Giornate degli Autori. Sceneggiato da Dalsgaard e Zytoon, è prodotto da Miriam Nørgaard, Alaa Hassan e Ronnie Fridthjof per la danese Fridthjof Film, con Dharmafilm e la finlandese Oktober.
Il film racconta la Siria dopo la rivolta del 2011. Zytoon, speaker radiofonica siriana, e i suoi amici fanno parte di un circolo di artisti e attivisti, e cominciano a riprendere le loro vite da quando decidono di scendere in strada contro il regime. Mentre il paese sprofonda nella guerra civile, la loro amicizia è messa a dura prova da arresti, morte e violenza. Zytoon lascia Damasco e si dirige verso la sua città natale, Zabadani, centro della ribellione nella provincia di Homs, e verso il nord della Siria, dove assiste alla crescita dell’estremismo.
The War Show è il sesto lungometraggio documentario di Dalsgaard; di recente, il regista ha realizzato Life Is Sacred (2014), sulla regola dei cartelli della droga in Colombia.

‘Brimstone’: un western europeo in lizza per il Leone d'Oro
di Vitor Pinto

29/07/2016 - Dakota Fanning e Guy Pearce sono i protagonisti del primo film in lingua inglese del regista olandese Martin Koolhoven.
‘Brimstone’, primo film in lingua inglese del regista olandese Martin Koolhoven (Schnitzel Paradise ), è stato selezionato per competere alla 73a Mostra del cinema di Venezia (31 agosto – 10 settembre). Questa selezione colma un vuoto lungo dieci anni durante i quali nessun titolo olandese è stato in corsa per il Leone d’Oro – l’ultimo era stato Black Book di Paul Verhoeven.
Gli attori hollywoodiani Dakota Fanning e Guy Pearce guidano il cast di questo thriller gotico ambientato nel vecchio west. Fanning interpreta una giovane donna muta che comunica attraverso il linguaggio dei segni, assistita da sua figlia. Quando un nuovo prete (Pearce) arriva in città, la ragazza avverte immediatamente che lei e la sua famiglia sono in pericolo. Nel corso di quattro capitoli, Brimstone mostra il confronto tra i due, e racconta anche come la vita della protagonista si è svolta in passato. Anche Kit “Jon Snow” Harington e l’attrice olandese Carice van Houten (Black Book) fanno parte del cast.
‘Brimstone’ è una grande coproduzione europea guidata dalla compagnia olandese N279 Entertainment, con X-Filme (Germania), Prime Time (Belgio), The Jokers (Francia) e Dragon Films (Svezia), e ha ricevuto il sostegno del Netherlands Film Fund.
Altre due coproduzioni olandesi minoritarie saranno al Lido quest’anno, in programma nella sezione Orizzonti: King of the Belgians e White Sun. King of the Belgians è l’ultimo lavoro del duo Peter Brosens e Jessica Woodworth. La società di base ad Amsterdam Topkapi Films si è unita a questa coproduzione guidata dai belgi di Bo Films, che hanno coinvolto anche Entre Chien et Loup (Belgio) e Art Fest (Bulgaria). Selezionato infine anche White Sun Deepak Rauniyar, prodotto da Aadi Production (Nepal), in coproduzione con Louverture Films (USA) e The Film Kitchen (Paesi Bassi).

‘I Called Him Morgan’ e ‘Sámi Blood’: due film svedesi in anteprima mondiale a Venezia
di Jorn Rossing Jensen

29/07/2016 - Dopo il sassofonista statunitense d'avanguardia Albert Ayler, Kasper Collin ritrae il trombettista americano Lee Morgan e sua moglie Helen, che lo uccise nel 1972
I Called Him Morgan del regista svedese Kasper Collin è stato selezionato per il programma principale (fuori concorso) alla 73ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, mentre l'opera prima di Amanda Kernell, Sámi Blood, sarà proiettata in occasione delle Giornate degli Autori. Entrambe le pellicole avranno comunque la loro anteprima mondiale al festival, che si svolgerà dal 31 Agosto al 10 Settembre. Collin ha scritto, diretto e prodotto il documentario sul famoso jazzista e trombettista americano Lee Morgan, il quale, in una notte innevata nel Febbraio del 1972, è stato ucciso da un colpo di pistola esploso dalla moglie durante una serata allo Slug's Sallon nell'East Village di New York. L'omicidio ha scioccato la comunità jazz - “e questa è una lettera d'amore a due personalità uniche e alla musica che li ha legati,” ha dichiarato il regista.
'È una sensazione stupenda aver terminato definitivamente il film dopo sette anni di lavoro', ha aggiunto. 'A detta di chi conosceva Lee ed Helen, lei era allo stesso tempo la donna che lo ha salvato e quella che l'ha ucciso. Voglio ringraziare tutti quelli che hanno contribuito a questo film e soprattutto quelli che hanno reso – e rendono ancora oggi – possibile questa musica. Non potrei immaginare la mia vita senza.'
A Collin sono serviti sette anni anche per realizzare ‘My Name Is Albert Ayler’ (2005), il suo primo documentario – della durata di un lungometraggio – sul sassofonista d'avanguardia che ha registrato il suo primo album in Svezia nel 1962 ed è stato trovato morto otto anni dopo nell'East River di New York, all'età di 34 anni. L'agente di vendita New York's Submarine Entertainment si occupa della vendita internazionale del film.
In programmazione per le Giornate degli Autori, ‘Sámi Blood’ di Kernell racconta la storia, ambientata negli anni '30, di una ragazza sami di 14 anni che lavora in un allevamento di renne e deve sopportare il razzismo e i test biologici che le fanno nel convitto nel quale alloggia. La protagonista inizia a sognare una vita diversa, ma, per ottenerla, deve diventare un'altra persona e rompere tutti i legami con la sua famiglia e la sua cultura.
‘Northern Great Mountain’ (2015), premiato cortometraggio del regista che parla di una madre sami e del figlio che ritornano insieme alle loro radici, è stato di fatto un prologo al lungometraggio, che presenta un cast formato da Lene Cecilia Sparrok, Mia Sparrok e Maj-Doris Rimpi. Lars G Lindström ha prodotto il film per la Nordisk Film Production Sverige – Nordisk si occuperà anche della distribuzione locale, mentre la danese LevelK è a capo delle vendite internazionali.
Come nota conclusiva, il primo cortometraggio del regista e produttore argentino-svedese Juan Pablo Libossar, ‘Amalimbo’ – una produzione estone-svedese curata da Johanna Lind per la svedese Fasad – è stato selezionato nella competizione Horizons.

‘São Jorge’: nuovi ‘Orizzonti’ per Marco Martins
di Vitor Pinto

29/07/2016 - Il regista portoghese torna al Lido con la storia di un pugile disoccupato che accetta un lavoro in un’agenzia specializzata in recupero crediti; Nuno Lopes (nella foto) interpreta il ruolo principale.
‘São Jorge’, il nuovo lungometraggio del regista portoghese Marco Martins, è stato selezionato per competere nella sezione Orizzonti del Festival del Cinema di Venezia, che celebra la sua 73ª edizione dal 31 agosto al 10 settembre. E’ l’unica produzione portoghese che sarà proiettata al Lido quest’anno.
‘São Jorge’ segna il ritorno di Martins alla Mostra, dove in passato è stato proiettato il suo corto Um Ano Mais Longo, co-firmato dallo sceneggiatore italiano Tonino Guerra. In questa occasione, il cineasta presenterà una storia che mischia finzione e documentario, con protagonisti attori professionisti e non, e descritto nel comunicato stampa della casa di produzione Filmes do Tejo come ‘un’analisi precisa degli anni dell’intervento della troika in Portogallo e della crisi finanziaria’. Frutto di lunghe indagini, la sceneggiatura di São Jorge è stata scritta dallo scrittore portoghese residente a Tokyo Ricardo Adolgo e dallo stesso regista, e ruota attorno a Jorge, un pugile, disoccupato da lungo tempo, che finisce per accettare un lavoro in un’agenzia specializzata nel recupero crediti, con le buone o con le cattive.
L’attore Nuno Lopes (nella foto) - visto di recente in ‘Posto-Avançado do Progresso’ - interpreta il ruolo principale, e torna a lavorare con Martins 11 anni dopo l’acclamato debutto del regista, Alice . Lopes è accompagnato nel cast da Beatriz Batarda, Mariana Nunes e Gonçalo Waddington, oltre che da un buon numero di attori non professionisti.
São Jorge è il primo lungometraggio di Martins da ‘Como Desenhar um Círculo Perfeito’ (2009). Dopo di allora, il cineasta ha lavorato in progetti teatrali e ha diretto il documentario ‘Traces of a Diary’. Il suo nuovo film uscirà in Portogallo a novembre.

Il Venice Gap-Financing Market presenta i progetti selezionati
di Camillo De Marco

01/08/2016 - L’opportunità di definire il finanziamento internazionale per 25 progetti di lungometraggio di finzione e documentario e 15 progetti di virtual reality & interactive, web series e serie TV.
Il Venice Production Bridge, progetto introdotto quest’anno nell’ambito della 73. Mostra del Cinema per dare continuità e al tempo stesso superare e specializzare il Venice Film Market avviato nel 2012 (leggi l’articolo), si terrà dall’1 al 5 settembre all’Hotel Excelsior del Lido.
Il nuovo VPB sarà in particolare dedicato alla presentazione e allo scambio di progetti inediti di film e work in progress, per favorire il loro sviluppo e la loro realizzazione. Sarà inoltre attento a una delle principali novità che caratterizzano la produzione contemporanea, ovvero la coesistenza, favorita dalla rivoluzione digitale, di piattaforme diverse: la serialità televisiva, le micro-serie che guardano al web e, soprattutto, la nuova frontiera rappresentata dalla VR/Virtual Reality (realtà virtuale) verso la quale si stanno indirizzando i maggiori investimenti e le ricerche tecnologiche più avanzate. Il VPB intende aprirsi agli operatori commerciali attivi in questi ambiti.
Il Venice Gap-Financing Market avrà la durata di due giorni (2-3 settembre, 2016) e offrirà ai 40 progetti europei e internazionali selezionati l’opportunità di definire il loro finanziamento internazionale. 25 progetti di lungometraggio di finzione e documentario e 15 progetti di virtual reality & Interactive, web series e serie TV per i quali saranno organizzati meeting one-to-one tra i singoli team (produttore e regista) e importanti decision-maker del settore cinematografico (produttori, finanziatori privati e pubblici, banche, distributori, sales agent, TV commissioners, piattaforme web e video, istituzioni, società di post-produzione...).
I 25 progetti selezionati (18 progetti (9 dall’Europa e 9 non europei) di lungometraggio di finzione che necessitano di completare il pacchetto finanziario con quote minoritarie di co-produzione, avendo almeno il 70% dei finanziamenti già assicurati. 7 progetti (6 dall’Europa e 1 non europeo) di documentari narrativi o di creazione (modalità di presentazione analoghe a quelle dei film):

Fiction

Europa
1 - Alien Food - Giorgio Cugno (Italia/Danimarca/Francia)
2 - Birth - Jessica Krummacher (Germania/Turchia)
3 - Funan, the New People - Denis Do (Francia/Lussemburgo/Belgio)
4 - God Exists, Her Name is Petrunija - Teona Sturgar Mitevska (Macedonia)
5 - Luxembourg - Myroslav Slaboshpytskiy (Germania/Ucraina/Francia/Norvegia)
6 - The Intruder - Leonardo Di Costanzo (Italia/Svizzera/Francia)
7 - The Nature of Time - Karim Moussaoui (Francia)
8 - The Song of Scorpions - Anup Singh (Svizzera)
9 - Touch Me Not - Adina Pintilie (Romania/Francia/Bulgaria)
Paesi non europei
10 - A Worthy Companion - Carlos & Jason Sanchez (Canada)
11 - Brief Story from the Green Planet - Santiago Loza (Argentina/Germania)
12 - Dolores - Gonzalo Tobal (Argentina/Francia/Spagna)
13 - Let It Be Morning - Eran Kolirin (Israele/Francia)
14 - Lily and the Dragonflies - René Guerra (Brasile/Danimarca)
15 - Los perros - Marcela Said (Cile/Germania/Argentina)
16 - Sollers Point - Matt Porterfield (USA/Francia)
17 - The Seen and Unseen - Kamila Andini (Indonesia)
18 - Wajib - Annemarie Jacir (Palestina/Francia/Germania/Norvegia/Danimarca)

Documentari

Europa
19 - Apolonia, Apolonia - Lea Glob (Danimarca)
20 - Cain, Abel and the Cowgirl - Dina Salah Amer (Gran Bretagna/Francia/USA)
21 - Gold Mine - Ben Russell (Francia)
22 - Latifa - Olivier Peyon, Cyril Brody (Francia)
23 - The Real Estate - Axel Petersén, Måns Månsson (Svezia/Danimarca)
24 - Tierra del mal - Daniele Incalcaterra, Fausta Quattrini (Italia/Argentina)
Paesi non europei
25 - Impeachment - Petra Costa (Brasile)
Serie Web e TV (7 progetti) + Progetti di Virtual Reality and Interactive (8 progetti di corto/mediometraggi artistico-narrativi da realizzarsi in realtà virtuale)
1 - Ashes to Ashes (Paesi Bassi) VR - Submarine Channel
2 - Exode di Gabo Arora (USA) VR - Un/Verse, Lightshed
3 - Nomads (Canada) VR - Felix & Paul Studios
4 - Our Baby - Simon Bouisson (Francia) VR - La Générale de production
5 - The Future of Forever: Welcome to the Other Sid - Anna Brezezinska (Polonia) VR - Unlimited Film Operations
6 - Trinity - Patrick Boivin (Canada) VR - Unlimited Vr
7 - Oh Moscow - Sally Potter (Gran Bretagna) Interactive/Multimedia Experience - Adventure Pictures
8 - The Boy in the Book - Fernando De Jesus (Gran Bretagna) Interactive/Web series - CYOD Ltd., Thinking Violets
9 - Difficult Second Coming - Dylan Edwards (Gran Bretagna) Web series - Electric Sandbox
10 - Music on the Road - Benoit Pergent (Francia) Web series - Les Films du Poisson
11 - Referees - Giampiero Judica (Italia) Web series - 3Zero2 SpA
12 - Aurora (Italia) TV series - Publispei Srl
13 - Bullfinch (Germania) TV series - Zentropa Hamburg GmbH
14 - Nemesi (Italia) TV series - Indigo Film
15 - School Of Champions - Clemens Aufderklamm (Germania/Svizzera) TV series - Catpics Ltd

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venezia 2016 film in concorso

VENEZIA 2016 film in concorso.

Wenders, Malick, Kusturica e Piccioni in corsa per il Leone d’Oro
di Vittoria Scarpa

28/07/2016 - Tra gli altri registi in concorso, Pablo Larraín, Stéphane Brizé, Tom Ford, Denis Villeneuve, François Ozon. Per l’Italia, anche Roan Johnson e il duo Massimo D’Anolfi/Martina Parenti.
Un approccio mediato, non diretto, alla realtà. Un cinema che parla del presente anche quando racconta il passato o il futuro. E’ il filo rosso che unisce i film della selezione ufficiale della 73ma Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia (31 agosto-10 settembre), secondo il suo direttore Alberto Barbera che ha presentato oggi il programma a Roma. “L’anno scorso il filo conduttore era l’attenzione alla realtà”, osserva Barbera, “quest’anno i cineasti continuano a parlare del presente, ma attraverso dei filtri, e si interrogano sui grandi temi esistenziali prendendo le distanze dalla brutalità del quotidiano”.
Diciannove sono i film selezionati per il concorso Venezia 73. Tra questi, ci sono adattamenti da opere letterarie o teatrali come Les beaux jours d’Aranjuez di Wim Wenders, in 3D, tratto dalla pièce dell’austriaco Peter Handke, Une vie di Stéphane Brizé, dall’omonimo romanzo di Guy de Maupassant, e Nocturnal Animals di Tom Ford, dal libro di Austin Wright. C’è la fantascienza, “a metà tra Spielberg e Malick”, di Denis Villeneuve con il suo Arrival, e il futuro distopico di Ana Lily Amirpour con The Bad Batch. Ci sono poi film storici come Rai (Paradise) di Andrei Konchalovsky, che riflette sull’Olocausto, Jackie di Pablo Larraín, con Natalie Portman nei panni di Jackie Kennedy, e un western tutto europeo, Brimstone di Martin Koolhoven, che riunisce Paesi Bassi, Germania, Belgio, Francia, Gran Bretagna, Svezia.
Emir Kusturica concorrerà al Leone d’Oro con On the Milky Road, che sviluppa il suo corto proiettato due anni fa al Lido nell’ambito del film collettivo Words with Gods; Terrence Malick presenterà Voyage of Time, “molto più che un documentario” precisa Barbera, un film visionario sulla genesi dell’universo, con Cate Blanchett; François Ozon svelerà invece il suo Frantz, con Pierre Niney. Tre i titoli italiani in concorso, selezionati perché “riusciti, coraggiosi e fuori dagli schemi”: sono Questi giorni di Giuseppe Piccioni, racconto di formazione con protagoniste quattro ragazze, una delle quali riceve un’improbabile proposta di lavoro da Belgrado; Piuma di Roan Johnson, altro coming-of-age, sotto forma di commedia, con al centro due diciottenni alle prese con una gravidanza; e il documentario Spira Mirabilis di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, che racconta l'immortalità attraverso i quattro elementi della natura: acqua, aria, terra e fuoco. Unica opera prima in concorso, il pasoliniano El Cristo Ciego di Christopher Murray, ambientato nelle miniere cilene.
Fuori concorso, oltre all’evento speciale The Young Pope (episodi 1 e 2) di Paolo Sorrentino, si segnalano À jamais di Benoît Jacquot, da un romanzo breve di Don De Lillo; il primo film italiano di Amir Naderi, Monte, coprodotto con Usa e Francia; Tommaso di Kim Rossi Start, descritto dal direttore della Mostra come “un film coraggioso, con una forte componente autobiografica, sulle proprie ossessioni e il rapporto con le donne”; Hacksaw Ridge di Mel Gibson, e sul versante non fiction, i documentari Assalto al cielo di Francesco Munzi, sul ’68 italiano, Safari di Ulrich Seidl, “per stomaci forti”, e One More Time with Feeling (3D), un viaggio nell’universo di Nick Cave. In proiezione speciale fuori concorso, l'"audace" Planetarium di Rebecca Zlotowski. Fuori concorso è anche il film di chiusura della Mostra: il remake The Magnificent Seven di Antoine Fuqua, con Denzel Washington (l’apertura, lo ricordiamo, è affidata a La La Land di Damien Chazelle, in concorso).
Un cenno infine alla nuova sezione Cinema nel giardino, riservata al cinema cosiddetto medio, tra l’essai e il commerciale, e ospitata in una nuova sala di 400 posti: vi saranno proiettati, fra gli altri, L’estate addosso di Gabriele Muccino, The Net di Kim Ki-duk e il doc Robinù del giornalista Michele Santoro. La 73ma Mostra di Venezia è dedicata ad Abbas Kiarostami e Michael Cimino, ai quali sarà dedicato un duplice omaggio.

Film in concorso
The Bad Batch - Ana Lily Amirpour
Une Vie - Stéphane Brizé
La La Land - Damien Chazelle
The Light Between Oceans - Derek Cianfrance
El Ciudadano Ilustre - Mariano Cohn, Gastòn Duprat
Spira Mirabilis (documentario) - Massimo D’Anolfi, Martina Parenti
The Woman Who Left - Lav Diaz
La región salvaje - Amat Escalante
Nocturnal Animals - Tom Ford
Piuma - Rohan Johnson
Rai (Paradise) - Andrei Konchalovsky
Brimstone - Martin Koolhoven
On the Milky Road - Emir Kusturica
Voyage of Time [+] - Terrence Malick
El Cristo ciego - Christopher Murray
Frantz [+] - Francois Ozon
Questi giorni - Giuseppe Piccioni
Arrival - Denis Villeneuve
Les beaux jours d’Aranjuez - Wim Wenders
Jackie - Pablo Larrain
Fuori concorso
The Young Pope (ep. 1 e 2) - Paolo Sorrentino
The Bleeder - Philippe Falardeau
The Magnificent Seven - Antoine Fuqua
Hacksaw Ridge - Mel Gibson
Planetarium - Rebecca Zlotowski
The Journey - Nick Hamm
A Jamais - Benoit Jaquot
Gantz:O - Kawamura Yasushi
The Age of Shadows - Kim Jee Woon
Monte - Amir Naderi
Tommaso - Kim Rossi Stuart

Gli italiani al Lido di Vittoria Scarpa

29/07/2016 - Tre titoli in concorso, cinque fuori concorso, due in Orizzonti e tre nella sezione Cinema nel Giardino parlano italiano alla Mostra di Venezia quest’anno. Tra i paesi più rappresentati quest’anno alla Mostra di Venezia, poco meno degli Stati Uniti e più della Francia, l’Italia schiera film in tutte le sezioni della Selezione Ufficiale, tra lungometraggi di finzione, corti e documentari.
Tre sono in concorso Venezia 73: Questi giorni di Giuseppe Piccioni (nella foto), Piuma di Roan Johnson e Spira Mirabilis di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti. Prodotto da 11 Marzo Film, Publispei e Rai Cinema, il nuovo film di Piccioni è la storia di un gruppo di ragazze di provincia alle prese con le scelte per il loro futuro, e del viaggio che compiono per accompagnare una di loro a Belgrado, dove l’attendono una misteriosa amica e un’improbabile occasione di lavoro. Nel cast Margherita Buy e Filippo Timi; l’uscita nelle sale è prevista per il 15 settembre con Bim. Roan Johnson firma invece con Piuma il suo terzo lungometraggio, prodotto da Sky Cinema e Palomar, una commedia su una coppia di diciottenni in attesa del loro primo figlio. Il film sarà nei cinema il 20 ottobre con Lucky Red (distribuzione internazionale: True Colours). Spira Mirabilis si presenta invece come un film documentario sull’immortalità, una sinfonia visiva girata in diversi luoghi del mondo, che ruota attorno ai quattro elementi della natura: acqua, aria, terra, fuoco. Una coproduzione italo-svizzera di Montmorency Film e Lomotion con Rai Cinema e con SRF Schweizer Radio und Fernsehen/SRG SSR; la distribuzione internazionale è di The Match Factory.
Fuori concorso, oltre all’evento speciale The Young Pope di Paolo Sorrentino (leggi la news), c’è Tommaso di Kim Rossi Stuart, prodotto da Palomar con Rai Cinema, un film dalla forte componente autobiografica che esplora il rapporto tra un attore giovane e bello e le donne.
Tra gli interpreti, il regista stesso, Cristiana Capotondi e Jasmine Trinca. Il film esce in sala l’8 settembre con 01. Sempre fuori concorso, il primo film italiano del regista iraniano Amir Naderi, coprodotto con Usa e Francia (Citrullo International, Zivago Media, Cineric, Ciné-sud Promotion, Rai Cinema): Monte, storia di un uomo, sua moglie e suo figlio che vivono ai piedi di una montagna che si erge come un muro contro i raggi del sole, e della loro sfida quotidiana per riportare la luce sulle loro terre. Con Andrea Sartoretti e Claudia Potenza. E poi, due documentari: Our War di Bruno Chiaravalloti, Claudio Giampaglia e Benedetta Argentieri,una coproduzione Italia-Usa che segue tre combattenti volontari, provenienti da Stati Uniti, Italia e Svezia, arruolati nelle milizie curde in Siria contro l’Isis; e Assalto al cielo di Francesco Munzi, che dopo il successo di Anime nere [+] torna a Venezia con un film d’archivio, prodotto da Istituto Luce Cinecittà in collaborazione con Rai Cinema, sulla stagione di lotte politiche extraparlamentari in Italia negli anni tra il 1967 e il ‘77, tra slanci, sogni, violenze e delitti.
Due i titoli italiani in Orizzonti: Liberami di Federica di Giacomo, una produzione Mir Cinematografica con Rai Cinema in coproduzione con Opera Films, e Il più grande sogno di Michele Vannucci, prodotto da Kino Produzioni con il contributo del Mibact (leggi la news). Nella nuova sezione Cinema nel Giardino: L’estate addosso di Gabriele Muccino, Robinù di Michele Santoro e Franca: Chaos and Creation di Francesco Carrozzini. Quattro poi i corti italiani in Orizzonti, cinque i documentari nazionali in Venezia Classici.
Ricordiamo infine Le ultime cose di Irene Dionisio in concorso alla Settimana della Critica (leggi la news), una coproduzione italo-svizzero-francese che incrocia tre storie al Banco dei pegni, e i titoli italiani (e coproduzioni) alle Giornate degli Autori (news): in gara, Indivisibili di Edoardo De Angelis e La ragazza del mondo di Marco Danieli; tra gli eventi speciali, Coffee di Cristiano Bortone, Vangelo di Pippo Delbono, Il profumo del tempo delle favole di Mauro Caputo e You Never Had It - An Evening With Bukowski di Matteo Borgardt.

Una vetrina per i registi emergenti di Camillo De Marco

28/07/2016 - La line-up della sezione dedicata alle nuove tendenze estetiche ed espressive.
L'Italia è rappresentata da Il più grande sogno di Michele Vannucci e Liberami di Federica Di Giacomo. Opera prima prodotta da Kino di Giovanni Pompili e venduta da True Colours, Il più grande sogno racconta di Mirko, un criminale romano di 39 anni che improvvisamente viene eletto - quasi all'unanimità e a sua insaputa - presidente del comitato di quartiere. La vita per Mirko cambia radicalmente: basta spaccio, basta violenza, basta indifferenza, Nel cast l'emergente Alessandro Borghi (Non essere cattivo [+] e Suburra [+]). Federica Di Giacomo firma invece il suo terzo documentario con Liberami, sul ritorno dell’esorcismo nel mondo contemporaneo: ogni anno sempre più persone chiamano “possessione” il loro malessere, in Italia, in Europa, nel mondo. La Chiesa risponde all’emergenza spirituale nominando un numero crescente di preti esorcisti ed organizzando corsi di formazione.
Raúl Arévalo, attore in Cien años de perdón [+], debutta come regista nel thriller Tarde para la ira, scritto con David Pulido. Nel cast Antonio de la Torre (La isla mínima [+]) e Luis Callejo (La mula [+]). Produce La Canica Films e Televisión Española (TVE). L'uscita in Spagna è prevista il 9 settembre, dopo la presentazione alla Mostra.
E' un mockumentary tinto d’assurdo King of the Belgians, il quarto lungometraggio dei vincitori di un Leone a Venezia (con l'esordio Khadak [+]) Peter Brosens e Jessica Woodworth, che immaginano Re Nicolas III in visita di Stato a Istanbul quando la metà meridionale del Belgio dichiara la sua indipendenza. Il sovrano deve tornare subito in Patria ma una tempesta solare blocca aereoporti e comunicazioni. Inizia un'odissea attraverso i Balcani, durante il quale il Re scopre il mondo reale e se stesso. Con Peter Van den Begin, Lucie Debay, Titus De Voogdt, è prodotto da Bo Films con Entre Chien et Loup (Belgio), Topkapi Films (Olanda), Art Fest (Bulgaria).
Rappresenta il cinema portoghese quest'anno a Venezia São Jorge di Marco Martins, un film che racconta di un pugile disoccupato che accetta un difficile lavoro in un’agenzia di recupero crediti. Dopo Alice [+], l'attore Nuno Lopes è nuovamente assieme al regista, affiancato da Beatriz Batarda, Mariana Nunes e Gonçalo Waddington, oltre ad una serie di attori non professionisti. L'uscita nelle sale nazionali di São Jorge, prodotto da Filmes do Tejo, è prevista per il 3 novembre.
Réparer les vivants è il terzo lungometraggio di Katell Quillévéré, dopo Un poison violent [+] (Quinzaine des réalisateurs 2010 e premio Jean Vigo) e Suzanne [+] (Settimana della Critica di Cannes 2013). Adattamento dal romanzo omonimo di Maylis de Kerangal, pubblicato nel 2014, è interpretato da Anne Dorval e Emmanuelle Seigner. Prodotto da Les Films Pelléas, Les Films du Bélier con la belga Frakas Production e France 2 Cinéma, il film uscirà in Francia a inizio novembre.
Da segnalare infine tra i film europei selezionati, il drammatico Die Einsiedler di Ronny Trocker, girato sulle Alpi altoatesine, prodotto da Zischlermann Filmproduktion in coproduzione con Golden Girls Filmproduktion & Filmservices, e Home, quarto lungometraggio della giovane regista fiamminga Fien Troch, premiato con l'Arte International Prize al TorinoFilmLab Meeting Event. Troch torna a collaborare con Antonino Lombardo di Prime Time, che aveva prodotto i suoi tre film precedenti.

Concorso Orizzonti
Tarde para la ira – Raul Arevalo

King Of The Belgians – Peter Brosens & Jessica Woodworth

Through The Wall – Rama Burshtein

Liberami – Federica Di Giacomo

Big Big World – Reha Erdem

Gukoroku – Ishikawa Kei

Maudite Poutine – Karl Lemieux

Sao Jorge – Marco Martins

Dawson City: Frozen Time – Bill Morrison

Réparer les vivants – Katell Quillevere

White Sun – Deepak Rauniyar
Malaria – Parviz Shahbaz
Kekszakallu – Gaston Solnicki
Home – Fien Troch
Sie Einsiedler – Ronny Trocker
Il piu grande sogno – Michele Vannucci

Boys In the Trees – Nicholas Verso

Bitter Money – Wang Bing
Fuori concorso Orizzonti
Dark Night – Tim Sutton

In collaborazione con Cineuropa News




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Cineuropa News garanzia di creatività

Fondo di garanzia Europa Creativa: la selezione degli intermediari finanziari è aperta
di Thierry Leclercq

22/07/2016 - Il Fondo europeo per gli investimenti lancia il processo di selezione degli intermediari finanziari autorizzati a beneficiare del meccanismo di garanzia per i settori culturali e creativi Istituito dalla Commissione europea per gestire il nuovo meccanismo di garanzia dei prestiti alle imprese culturali e creative, il Fondo europeo per gli investimenti (FEI) questa settimana ha pubblicato un invito a manifestare interesse per gli intermediari finanziari.
Lanciato ufficialmente il 30 giugno scorso, questo nuovo strumento finanziario nell'ambito del programma Europa Creativa disporrà di un budget di €121 milioni per garantire fino a €600 milioni di prestiti alle imprese culturali e creative da qui al 2020. Tali prestiti dovranno essere effettuati da istituzioni finanziarie approvate dal FEI al termine di una procedura che inizia questa settimana.
Gli intermediari finanziari interessati sono banche, istituti di credito (pubblici o privati), società di leasing, fondi o ancora istituzioni e meccanismi di garanzia stabiliti in seno all'UE., in Islanda o in Norvegia. Possono presentarsi fino al 30 settembre 2020 e saranno selezionati in un processo continuo, in particolare sulla base della loro politica di gestione dei rischi, dei prestiti alle piccole e medie imprese e della loro capacità di gestire portafogli di prestiti alle imprese del settore culturale e creativo.
Il FEI negozierà dunque un accordo di garanzia con gli intermediari finanziari selezionati. "Questi intermediari dovranno fornire relazioni approfondite sui prodotti finanziari che proporranno e sulla loro adozione da parte dei potenziali beneficiari."
Il fondo di garanzia del FEI offrirà a queste istituzioni finanziarie una copertura parziale del rischio corso per questi prestiti alle piccole e medie imprese dei settori culturali e creativi (audiovisivo, cinema, videogiochi, festival, musica, letteratura, patrimonio, arti dello spettacolo, arti visive... ). Con un limite massimo del 70% dell'investimento, la garanzia del fondo è gratuita per l'intermediario finanziario che dovrà comunque mantenere un'esposizione di almeno il 20% degli importi impegnati.
Potrà inoltre usufruire di consulenze sui punti critici relativi ai prestiti nel settore culturale: valutazione di modelli di business e di rischio di credito, l'utilizzo di beni immateriali (diritti di proprietà intellettuale), ecc...

Queste attività di "rafforzamento delle capacità" (capacity building) assumeranno la forma di corsi di formazione, seminari e workshop offerti da società di consulenza che saranno anch'esse selezionate mediante gara.

Ventotene FF nel segno dell’Europa unita
di Camillo De Marco

22/07/2016 - La rassegna presenta una importante novità: il Concorso Internazionale #Open Frontiers# riservato a docufilm sull’integrazione. A Silvia Costa il Premio Vento d'Europa
Si inaugura il 25 luglio la 22esima edizione del Ventotene Film Festival (Ventotene, fino al 31 luglio), ideato e diretto da Loredana Commonara, con Matteo Garrone presidente onorario, che quest'anno ha come fil rouge l'Europa Unita e le celebrazioni del trentennale dalla scomparsa di Altiero Spinelli, che fu tra gli autori del Manifesto di Ventotene, documento che ispirò l'Unione Europea.
Ed è proprio partendo da queste celebrazioni che l'edizione 2016 del Festival pontino presenta una importante novità: l'istituzione del Concorso Internazionale #Open Frontiers# riservato a docufilm legati all'Europa, alla legalità, alla cittadinanza attiva, alla democrazia, alla integrazione razziale con una giuria di studenti presieduta dall'attore Giulio Scarpati.
Tra gli oltre 30 film pervenuti sono quattro i finalisti che si contendono il Premio: Bitte Leben di Marco Candiago, Grozny Blues [+] di Nicola Bellucci, My name is Adil di Adil Azzab, Andrea Pellizzer, Magda Rezenee, Non voltarti indietro di Francesco Del Grosso.
In programma anche le masterclass che il Festival propone ogni anno: il 25 luglio con Fabio Troiano, al termine della quale sarà proiettato Tutta colpa di Giuda [+] di Davide Ferrario, mentre il 29 luglio l'appuntamento è con Vinicio Marchioni che presenterà Un mondo nuovo, il film di Alberto Negrin che racconta la storia di Spinelli. Il 30 sarà presentato Racing Extinction del premio Oscar Louie Psihoyos, documentario di denuncia sulle specie in estinzione.
Il Festival si concluderà con la consegna del Premio Vento d'Europa all'onorevole Silvia Costa. Nel corso degli anni il premio-nato con l'obiettivo di offrire un riconoscimento internazionale a un artista simbolo di tutta la cultura continentale -è stata assegnato ai registi Radu Mihaileanu, Matteo Garrone, Wim Wenders, Stefano Mordini,Louie Psihoyos, gli scrittori e sceneggiatori Giancarlo De Cataldo e Francesco Piccolo, gli attori Fabrizio Bentivoglio e Vinicio Marchioni.

I progetti al femminile dominano i Nordic Talents di quest'anno a Copenhagen
di Jorn Rossing Jensen
20/07/2016 - C'è una rappresentanza femminile di 60/40 nelle iscrizioni e nella selezione per il pitch annuale del Nordisk Film & TV Fond, che ha luogo dal 31 agosto al 2 settembre
Quest'anno 15 progetti di studenti provenienti da scuole di cinema nordiche saranno in corsa per il premio di €27.000 e la Menzione Speciale di €5.000 attribuiti da una giuria composta dalla sceneggiatrice e regista norvegese Sara Johnsen, l'artista e regista danese Anders Morgenthaler, il produttore svedese della Filmlance Lars Blomgren, la sceneggiatrice e produttrice finlandese Petja Peltomaa e la direttrice di EAVE Kristina Trapp. La Scuola Nazionale di Cinema Norvegese di Lillehammer è rappresentata da cinque progetti, la Scuola Nazionale di Cinema Danese di Copenhagen da quattro, la Scuola di Cinema Finlandese ELO di Helsinki da tre e la norvegese Westerdals Oslo ACT e l'Accademia Valand di Gothenburg, Svezia, da uno a testa. La 15a selezione è House of Cards, film della regista e fotografa islandese Ugla Hauksdóttir, che ha studiato alla Columbia University di New York. La Hauksdóttir ha già lavorato professionalmente come fotografa, montatrice e assistente di produzione in grandi produzioni come Oblivion (2013) del regista statunitense Joseph Kosinski, con Tom Cruise.
I registi danesi Mads Guldborg Bøge, Peter Lopes Andersson, Morten Zachariassen e Amalie Næsby hanno tutti presentato progetti d'animazione, mentre la regista finlandese Kaisa El Ramly - il cui cortometraggio del 2014 A Seat With a View ha girato vari festival - sta preparando il film Scenes from a Dying Town. I norvegesi Harald Mæle Jr e Kjersti Wøien Håland hanno co-scritto una serie TV su un "normale" troll di 13 anni, mentre lo svedese Mika Gustafson è pronto con un progetto di lungometraggio dal titolo Sisters.

I cinema norvegesi prossimi a registrare il miglior risultato dal 1985
di Jorn Rossing Jensen
19/07/2016 - Con 5,8 milioni di biglietti durante la prima metà dell'anno, grazie soprattutto ai blockbuster americani, le sale raggiungeranno probabilmente i 13 milioni entro la fine del 2016. Gli abbonati norvegesi di Netflix sono aumentati di sette volte rispetto al 2013, ma ciò non sembra danneggiare i cinema, che hanno registrato 5,8 milioni di spettatori nei primi sei mesi del 2016 e sono diretti al loro anno migliore dal 1985.
Il campione d'incassi dell'estate potrebbe essere la commedia d'animazione del regista canadese Mike Thurmeier L'Era Glaciale 5, che la scorsa settimana ha venduto 76,913 biglietti (per 20th Century Fox Norway); seguita da The Legend of Tarzan del regista britannico David Yates, che ne ha totalizzati 38.173 (per SF Norge). I primi quattro capitoli della saga Era Glaciale hanno attirato tra i 690.000 e gli 890.000 norvegesi nelle sale.
"In termini di pubblico, il 2016 sembra destinato a diventare l'anno migliore per il cinema dal 1985," ha detto l'analista norvegese della Mediacom Marianne Massaiu al norvegese DN. "Ci sono così tanti blockbuster in programma nei prossimi mesi che il risultato finale sarà straordinario." I dati di forte affluenza hanno influenzato anche la vendita degli spot cinematografici, che ha raggiunto i €4,9 milioni durante il periodo, fino al 56% nel 2015.
Inoltre, secondo DN, Guttorm Petterson, amministratore delegato dell'associazione cinematografica norvegese Film & Kino, prevede che l'affluenza totale raggiungerà quasi 13 milioni - un milione in più rispetto allo scorso anno: "Quasi come nel 1985, quando avevamo film quali Orion’s Belt di Ola Solum, Ronia, the Robber’s Daughter di Tage Danielsson e - numero uno - 007 - Bersaglio Mobile di John Glen."
Di seguito l'elenco dei principali campioni d'incassi del 2016 finora, dominato da film statunitensi: Deadpool (312,695 presenze), Io Prima Di Te (297,169 presenze), Il Libro Della Giungla (274,518 presenze), The Last King (270,796 presenze), Solan and Ludvig: The Big Cheese Race (196,818 presenze).
Le previsioni di Petterson per i best seller autunno-inverno nelle sale locali includono The King’s Choice del regista norvegese Erik Poppe (in uscita il 23 settembre) e In the Forest of Huckybucky di Rasmus A Sivertsen (25 dicembre), Animali Fantastici E Dove Trovarli del regista britannico David Yates (18 novembre) e Rogue One: A Star Wars Story del regista statunitense Gareth Edwards (16 dicembre).

Un cast internazionale per Ulysses di Federico Alotto
di Camillo De Marco
20/07/2016 - A Torino sono in corso le riprese del thriller psicologico di Federico Alotto ispirato al classico di Omero, con Danny Glover e Udo Kier al fianco del protagonista Andrea Zirio
Sono in corso a Torino fino al 3 agosto le riprese di Ulysses – A Dark Odyssey di Federico Alotto, lungometraggio ispirato al classico di Omero con cast internazionale in cui spiccano lo statunitense Danny Glover e il tedesco Udo Kier, attore di culto dpo aver lavorato con registi del calibro di R.W. Fassbinder, Gus van Sant, Werner Herzog, Dario Argento e soprattutto in molti film di Lars von Trier. Le due star affiancano il protagonista torinese Andrea Zirio. Completano il cast Anamaria Marinca (Floride [+] di Philippe Le Guay), Cassandra Gava, Gianni Capaldi, Jessika Polsky e Christopher Jones.
Andrea Zirio interpreta un moderno Ulisse: militare di carriera, rientra dal fronte portando nel corpo e nell'anima i segni della guerra. Una guerra che prova a dimenticare. L'Odissea del suo viaggio approda in una Torino dalla bellezza corrotta e psichedelica, tra creature ammalianti, demoni interiori, figure oniriche che lo accompagnano fino all'ultima, inevitabile scelta.
Il soggetto di Ulysses è di Andrea Zirio e Federico Alotto, la sceneggiatura è di James Coyne (attualmente sta scrivendo Sherlock Holmes 3, che si girerà alla fine del 2016) Alotto e Zirio. Il film è prodotto dalla torinese Adrama srl con la consulenza per il tax credit di FIP Film Investimenti Piemonte, il sostegno di FCTP Film Commission Torino Piemonte e in associazione con Banca del Piemonte. La società di produzione - startup di 5 giovani ragazzi torinesi (Andrea Zirio, Federico Alotto, Vanina Bianco, Alessia Pratolongo e Thomas Tinker) - si è anche avvalsa della collaborazione dell'imprenditore Alberto Sola, "business angel" che ha creduto nel progetto sin dalle sue prime fasi.
"Il film è un progetto importante - commenta Paolo Damilano, Presidente di FCTP - per la ricaduta significativa sul territorio (stimata in oltre 400.000 euro), per il grande coinvolgimento di professionisti locali (con una troupe interamente piemontese, compresi il direttore della fotografia Davide Borsa, la scenografa Giada Cerbone, il fonico Marco Montano e il costumista Agostino Porchietto), per la valorizzazione di location interessanti ed in parte originali e inedite, ma soprattutto perché rappresenta una sfida ambiziosa per talenti emergenti cresciuti sul territorio, attraverso l’esperienza dei cortometraggi, delle produzioni indipendenti e dei tanti set attivati in questi anni".

ALBAScript announces selected screenplays
by Andrea Chung
22/07/2016 - The three-day workshop aiming to help Albanian film professionals’ script development will be held in Pogradec from 1-3 August
In collaboration with Cineuropa, The Albanian Film Center will be holding a course to coach Albanian film professionals in developing their scripts. Under the guidance of Isabelle Fauvel, founder of audiovisual project development company Intiative Film; Giovanni Robbiano, winner of the prestigious Italian scriptwriting award the Solinas Prize; and Izer Aliu, known for his award-winning short films To Guard a Mountain and The Good Life Over There, the 20 participants will learn about developing and marketing their projects, dramaturgy, as well as collaborating with co-writers, script consultants and story editors. After the three-day course, held from 1-3 August, there will be a six-month follow-up period, during which the scriptwriters can re-write their scripts and receive feedback from professional script editors.
Ten feature scripts and ten short scripts have been selected to participate in this course. The selected feature projects that will be mentored by Isabelle Fauvel include: A Shelter among the Clouds by Robert Budina, Just a Baby by Dhimitri Ismailaj, The Bright Future by Julian Biba, The Nobles by Ylljet Aliçka and The Streak by Bujar Alimani. On the other hand, Giovanni Robbiano will tutor the other five feature films: Dajna by Erenik Beqiri, Return to the Pirates Cave by Iris Elezi, The Flying Circus by Fatos Berisha, The Path of Fireflies by Artur Gorrishti and Three Lions Heading to Venice by Jonid Jorgji. Finally, Izer Aliu will look after all ten of the selected short films: Aquarium by Kreshnik Saraçi, A True Story by Viron Roboçi, Meeting the Unknown by Nerta Veliu, Nobody by Florenc Papas, Popcorn by Blerina Goce, Shadow by Gledis Bica, The Coca-Cola by Anxhela Cikopano, The Funeral Crasher by Albana Kozeli, The Morning After by Enxhi Rista and Violinist by Saimir Bajo.

MEPs would like to see a coherent policy for cultural industries
by Thierry Leclercq
19/07/2016 - MEPs feel that the potential of cultural and creative industries warrants a coherent, long-term policy
In a historical first, which sends a strong message to the European Commission, the Culture and Industry committees of the European Parliament have joined forces to draft a resolution calling for a coherent policy to support the development of cultural and creative industries.
We need to make the current strategy, which is not monitored nearly enough, more cross-cutting", stated the Chair of the Committee of Culture and Education, Silvia Costa, during the examination, last Wednesday in Brussels, of the joint report drafted by MEPs Christian Ehler and Luigi Morgano. And indeed, why is so little attention paid to cultural and creative sectors? Representing 12 million jobs and €509 billion in added value, they are 2 ½ times as big as the car sector, and five times as big as the chemical industry.
The rapporteurs have plenty of reasons to demand more consistency for cultural and creative industries: aside from the undeniable role they play in spreading European values, they are a breeding ground for small and micro-businesses, employ a significant number of young people, are a driving force for growth and innovation, and proved to be the most resilient in the aftermath of the 2008 crisis. Not to mention that they are “characterised for providing jobs that can hardly be offshored, as they are related to specific cultural and historical skills, territorially and traditionally bound and determined.”
Proposing a clear definition of cultural and creative industries, MEPs call upon the Commission to establish a series of indicators enabling it to analyse the impact of its initiatives on the sector, and to come up with long-term solutions to the challenges of training, funding, and intellectual property.
In this regard, they call on the Commission to establish a legal framework tailored to suit the specificities of the sector which will improve remuneration for authors and creators; as stated by the latter, it’s about "making it clear that liability exemptions can only apply to genuinely neutral and passive online service providers and not to services that play an active role in distributing, promoting and monetising content at the expense of creators”. We must also stop procrastinating in the fight against piracy and counterfeiting, which "remain a serious concern for cultural and creative industries and citizens alike".
With regard to access to funding, the time has come for synergies: a one-stop shop – like a website – should be set up listing the various funding opportunities in the cultural and creative sectors, which are currently granted through different programmes (Creative Europe, Structural Funds, Horizon 2020, etc). MEPs also believe that the budget for Creative Europe and its guarantee mechanism needs to be increased, and that EFSI (European Fund for Strategic Investments) funds should be allocated to cultural and creative projects that have, up until now, not been eligible.
The draft resolution should be adopted in plenary at some point between now and the end of the year.


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Aspettando Venezia

I numeri del cinema 2015: meno film e budget più alti - 1
di Camillo De Marco – From Cineuropa Newletters

13/07/2016 - I dati sulla produzione elaborati da DG Cinema e ANICA registrano una crescita dei costi medi e del numero di coproduzioni. Aumenta il sostegno statale e il ricorso al tax credit.
Nel 2015 in Italia sono stati prodotti meno film - 185 rispetto ai 201 del 2014 - ma è aumentato il valore del costo totale della produzione - 338,8M € nel 2015 contro i 319,5 dell’anno precedente - e delle coproduzioni: nel 2015 ammonta a 63,6M € contro i 53,1 del 2014. I dati relativi alla produzione cinematografica dell’anno 2015 resi pubblici stamattina da Direzione Generale Cinema e ANICA contengono una importante novità: accanto alle due categorie di “film prodotti” (ovvero i film che hanno ottenuto il cosiddetto visto censura) e “film di iniziativa italiana” (ovvero l’insieme dei film prodotti con capitali interamente italiani e delle coproduzioni maggioritarie) si introduce la categoria dei “film ammissibili”, cioè quelli che hanno regolarmente presentato la DIL (Denuncia di Inizio Lavorazione) alla Direzione Generale Cinema. Tra i film prodotti, quelli che rientrano nella nuova categoria dei film ammissibili costituiscono il 76% dei titoli (141 film), in aumento rispetto al 73% del 2014 (147 film).
Coproduzioni
A fronte del calo del numero di film, Il segmento delle coproduzioni dimostra segnali di crescita: nel 2015, rispetto all’anno precedente, aumenta il numero delle coproduzioni da 21 a 28 e aumenta il numero di paesi partner, da 11 a 19, sempre con una grande preponderanza delle partnership con la Francia (17 nel 2015 contro i 10 del 2014). Resta particolarmente modesto il numero delle coproduzioni minoritarie: 6 su 28 nel 2015.
Budget
Il costo medio complessivo dei film d’iniziativa italiana prodotti nel 2015 supera i 2M € ed è in leggero aumento rispetto al dato dell’anno procedente di 1,9M €. I film ad alto budget, ovvero con costo superiore a 3,5M €, sono stati 29 nel 2015 (25 nel 2014), con un costo medio di 5,8 milioni. In netto aumento la quota degli investitori esterni per apporti su cui è stato chiesto il tax credit, che sfiora il 30% del budget totale. È in aumento anche il tax credit interno, che copre circa il 13% dei costi totali.
I contributi statali diretti costituiscono complessivamente circa l’8% della torta. I fondi regionali pesano per circa il 4%, mentre quelli sovranazionali (Eurimages, MEDIA) superano di poco l’1% del totale. Il contributo pubblico statale complessivo (diretto e indiretto) pesa per il 20% a cui va aggiunta la quota di credito che lo Stato riconosce agli esterni che investono nella produzione e che assorbe circa il 12% dei costi totali portando quindi l’intervento statale al 32% dei costi di produzione dei film di iniziativa italiana.
Sostegno pubblico
Dei 141 film ammissibili prodotti nel 2015, 35 lungometraggi di Interesse Culturale hanno ottenuto un contributo nazionale alla produzione per un ammontare complessivo che raggiunge quasi i 14M €. Sono 37 le Opere Prime e Seconde prodotte nel 2015 che hanno ottenuto un sostegno complessivo pari a circa 7M €. Rispetto al 2014, è aumentato il numero di Opere Prime e Seconde prodotte grazie al sostegno statale e si è mantenuto costante quello dei lungometraggi di Interesse Culturale, sebbene il contributo per i film prodotti nel 2015 sia in leggera diminuzione rispetto a quello deliberato a favore dei film prodotti nell’anno precedente. I contributi sovranazionali deliberati a favore dei film ammissibili prodotti nel 2015 si mantengono costanti rispetto all’anno precedente. In relazione al contributo di Europa Creativa - Sottoprogramma MEDIA, restano identici sia il numero di film che il contributo deliberato, mentre si registra un lieve aumento se si considera il Fondo Eurimages, con il quale sono state sostenute 9 coproduzioni per un ammontare di circa 3M €.
Tax credit
Tra i film ammissibili nel 2015, si è registrato un aumento nel numero di progetti per i quali è stato richiesto il tax credit per gli investitori esterni al settore e il tax credit per la distribuzione. Resta stabile il numero di film con richiesta di tax credit per la produzione, per i quali si conferma la maggior adesione alla misura per i film con budget medio-alti. Tutti i film di iniziativa italiana con costi superiori a 1,5M € hanno richiesto il credito per la produzione. La percentuale scende nel caso di opere con costo tra i 200.000 € e 1,5 M€ e precipita a solo un terzo dei film low budget (sotto i 200.000 €).
Il tax credit dedicato alle produzioni estere realizzate in Italia subisce una leggera flessione nel numero di film che passano da 30 nel 2014 a 24 nel 2015, ma comunque con cifre molto più alte dei primi 5 anni di applicazione, e vede aumentare leggermente il numero di paesi di provenienza delle società committenti
Audiovisivo
Altra novità, l’estensione dell’analisi al settore della produzione audiovisiva sostenuta con le apposite forme di tax credit, introdotte dal marzo 2015, per la produzione di opere destinate alla televisione o al web sia nazionali, sia estere realizzate in Italia. Le opere ritenute ammissibili nel 2015 sono state 104. Soltanto 9 progetti vedono come destinazione primaria la piattaforma web, mentre la gran parte dei titoli (95) è rivolta ad una primaria distribuzione televisiva. C’è una netta prevalenza di progetti di fiction (84) rispetto a documentari (13) e animazione (7). Il credito totale richiesto è stato pari a 54,2M € per un totale di investimenti complessivi pari a poco meno di 360M €.

Aspettando Venezia: Leoni alla carriera per Jean-Paul Belmondo e Jerzy Skolimowski
di Vittoria Scarpa - Cineuropa Newsletters.

14/07/2016 - Da quest’anno, la Mostra di Venezia attribuirà due Leoni d’oro alla carriera, uno per la categoria registi e l’altro per la categoria interpreti
Il direttore della Mostra Alberto Barbera motiva così la scelta dell’icona Jean-Paul Belmondo: “Un volto affascinante, una simpatia irresistibile, una straordinaria versatilità che gli ha consentito di interpretare di volta in volta ruoli drammatici, avventurosi e persino comici, e che hanno fatto di lui una star universalmente apprezzata, sia dagli autori impegnati che dal cinema di semplice intrattenimento”.
A proposito di Jerzy Skolimowski (in concorso l’anno scorso alla Mostra con 11 minuti [+] e Premio Speciale della Giuria, sempre a Venezia, nel 2010 con Essential Killing [+], per citare i suoi film più recenti), Barbera dichiara nella motivazione: “E’ tra i cineasti più rappresentativi di quel cinema moderno nato in seno alle nouvelles vagues degli anni Sessanta e, insieme con Roman Polanski, il regista che ha maggiormente contribuito al rinnovamento del cinema polacco del periodo”.
Il programma completo della 73ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia verrà presentato ufficialmente il 28 luglio.

Michele Placido • Regista
di Camillo De Marco - from Cineuropa Newsletters.

13/07/2016 - Il dramma tutto al femminile co-prodotto da Italia, Francia, Spagna e Svizzera sarà 11 donne sono protagoniste di 7 minuti di Michele Placido, dramma co-prodotto da Italia, Francia, Spagna e Svizzera e distribuito dalla tedesca Koch Media. Nel cast Cristiana Capotondi, Ambra Angiolini, Fiorella Mannoia, Maria Nazionale, Ottavia Piccolo, Violante Placido, Sabine Timoteo, Anne Consigny, Mimma Lovoi, Clémence Poésy.distribuito da Koch Media
Il film è tratto dal testo teatrale omonimo di Stefano Massini, che ha scritto la sceneggiatura con Placido, ed è la storia di 11 donne, tra operaie e impiegate, chiamate al tavolo di una trattativa di lavoro quando i proprietari della loro azienda tessile ne cedono la maggioranza a una multinazionale. In poco tempo devono decidere, per loro e le altre colleghe, se accettare la proposta della nuova proprietà. Abbiamo incontrato il regista alle Giornate Professionali Ciné 2016 di Riccione.
Cineuropa: Andrea Occhipinti presidente dei distributori Anica, ha detto qui a Riccione che il cinema italiano è poco esportabile e procede per formule ripetitive. Il suo film è un tentativo di dimostrare il contrario.
Michele Placido: Speriamo di far uscire il film in contemporanea nei Paesi che lo hanno coprodotto: oltre l’Italia, anche Spagna, Svizzera e Francia. L’esportabilità dei film italiani dipende dal produttore e dal regista. Alcuni investono pensando che il film debba avere anche dei partner europei come garanzia di distribuzione oltre i confini, e coinvolgono così altre persone sul tema del film. L’occasione per dirigere 7 minuti mi è stata offerta dall’autore teatrale Stefano Massini, neodirettore del Piccolo Teatro di Milano, con cui ho altri progetti futuri che coinvolgono Cattleya. Lui ha una scrittura contemporanea ed europea e questo film è stato visionato da una società interessata ai titoli che potenzialmente possono circolare anche all’estero. Il 95 per cento dei film 01 e Medusa, pur essendo buoni film, non vanno all’estero perché non c’è una vera pianificazione.
Perché ha deciso di affrontare un tema così attuale ma difficile?
Ho amato molto il testo di Massini, che si ispirava a La parola ai giurati scritto da Reginald Rose e diretto da Sidney Lumet nel 1957. In quel film undici persone erano chiamate a decidere le sorti di un uomo: innocente o colpevole. Nella sua pièce teatrale, e nel mio film, ci sono invece undici donne, molto diverse tra loro, che devono decidere il proprio destino in fabbrica, mentre fuori ci sono quattrocento altre colleghe in attesa di avere una risposta. Mi sono ispirato ad un fatto realmente accaduto in Francia qualche anno fa, ed è un tema davvero caldissimo. Bisogna tornare ad umanizzare il lavoro, perché é ingiusto diventarne schiavi.
Donna e lavoro: fa pensare agli ultimi film dei fratelli Dardenne, Due giorni e una notte [+] e La Fille inconnue [+].
Bisogna partire dall’idea del film. Per Ladri di bicicletta Zavattini suggerisce a De Sica un’idea strepitosa su un uomo in cerca di lavoro. L’idea di Massini è potente: potevano essere undici uomini, ma Massini ha avuto l’intuizione di porre undici donne a confronto, che sono una cosa ben diversa. L’aspetto ideologico e politico viene scavalcato dalla speranza, dalla vitalità espressa da queste donne, perché la donna è portatrice di speranza in modo naturale, c’è uno spirito di sopravvivenza forte, come mi ha fatto notare una delle protagoniste, Cristiana Capotondi. In 7 minuti c’è sicuramente un riferimento ai temi che il cinema italiano ha affrontato nel passato, con Giuseppe De Santis, che gira Riso amaro, sulle lavoratrici nelle risaie, e Roma ore 11, in cui duecento ragazze, in seguito ad un annuncio di lavoro su un giornale, si presentano ad un indirizzo per ottenere un posto di lavoro di dattilografa.
Tecnicamente come ha scelto di girare questo dramma sociale che sembra anche ricco di suspence?
Ho girato questo film come per un film d’azione, con il direttore della fotografia Arnaldo Catinari, utilizzando tre macchine da presa, Come avevo fatto per Vallanzasca [+], con le macchine sempre in movimento, con dei primi piani insistiti sui volti delle protagoniste. E’ stata una sfida dirigere 11 donne, la maggior parte attrici con grande mestiere alle spalle, e accomunarle in un ruolo diverso dal solito, in cui devono usare il cervello e l’istinto. Ho capito subito che doveva lasciare grande libertà a queste donne. Fiorella Mannoia, grande cantante che riesce a creare uno speciale contatto con il pubblico dei concerti, si è rivelata un volto e un cervello straordinariamente cinematografici.

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Cinema: Viaggio nell’estate dei mercati europei


CINEMA:VIAGGIO NELL'ESTATE DEI MERCATI EUROPEI
di Camillo De Marco from News by Cineuropa

12/07/2016 - In Italia quota di mercato italiano nettamente inferiore a quello di Francia e Spagna. Per la produttrice Francesca Cima la data di uscita è considerata l’ultimo anello della progettualità di un film
Il “peso” dell’estate cinematografica in Italia è nettamente inferiore a quello degli altri principali mercati europei. E’ quanto emerge dai dati del convegno “Viaggio nel cuore dell’estate. Cosa accade in Italia e nei principali mercati europei”, presentato da Anica, Anec e Anem e organizzato da Box Office nell’ambito di Ciné a Riccione la settimana scorsa. Secondo il magazine specializzato (fonti: Cinetel, boxofficemojo.com) il top title estivo italiano incassa sensibilmente meno del top title dei Paesi analizzati (Francia, Germania, Regno Unito e Spagna, che hanno da giugno ad agosto dal 22 al 27% della quota di mercato annuale), mentre le date di uscita sono allineate ma mancano i blockbuster dell’animazione (guarda le slide in formato PDF). Infine, il cinema nazionale in estate è decisamente marginale: vanno molto meglio Spagna, Germania e Francia (quest’ultima con il 24,6% di quota di mercato tra giugno e agosto con i titoli francesi).
“Se consideriamo i dati, vediamo che in Italia escono gli stessi blockbuster che in estate troviamo anche negli altri mercati. Ci mancano un paio di film di animazione di peso per raggiungere i numeri che la Spagna ottiene tra giugno e agosto” ha commentato Andrea Occhipinti, presidente dei distributori Anica, intervenuto al convegno. “Certo, le scelte di posizionare i film da parte dei distributori sono legittime, ma capisco gli esercenti che si lamentano quando un potenziale blockbuster viene spostato dall'estate”. E’ di maggio scorso la polemica sullo spostamento della data di uscita di Independence Day - Rigenerazione da parte della 20th Century Fox, dal 6 luglio all’8 settembre. Il film esce negli Stati Uniti il 24 giugno, in day and date in moltissimi territori (tra cui Gran Bretagna) e in larga parte entro luglio (1/7 in Spagna, 20/7 in Francia).
Secondo i distributori, insomma, a parità di titoli, in Italia in estate i film vanno meno bene rispetto ai principali mercati europei. Motivo? Una minore abitudine del pubblico ad andare al cinema nei mesi più caldi. “Bisogna invertire questa tendenza anche grazie a una più incisiva comunicazione sui film”, conclude Occhipinti. Al di là di eventuali iniziative promozionali, dobbiamo far capire agli spettatori che in estate ci sono film da andare a vedere. Bisogna poi fare un'azione presso le istituzioni per capire se è possibile attivare determinati incentivi, come il tax credit per i film che escono in estate o forme particolari di contributi per i film italiani che vengono distribuiti”.
Gianluca Pantano, direttore programmazione di Uci Cinemas, Giorgio Ferrero di Ferrero Cinemas e presidente Anec Lazio e Andrea Malucelli, presidente Unici, concordano sulla necessità di un lavoro di sinergia tra tutti i protagonisti del settore. “Nell’offerta generale mancano ancora animazione, cinema di qualità e film italiani, che ci consentirebbero di attrarre il segmento di pubblico necessario per crescere” suggerisce Pantano.“Da parte nostra stiamo facendo il possibile in termini di comunicazione sul territorio, tenitura e sostegno del prodotto” aggiunge Ferrero. “Ma a tutti gli effetti non possiamo fare nulla in prima persona per allungare la stagione, solo stare a guardare. L’esercizio è in seria difficoltà perché gli incassi non bastano a sostenere i costi di gestione”. Malucelli propone come soluzione “una programmazione triennale di uscite estive perché la crescita dell’estate possa essere ben pianificata da produttori, distributori ed esercenti insieme. Credo che aggiungendo film di animazione e titoli d’essai ai blockbuster americani, che già escono in estate in day and date con gli Usa, potremmo raggiungere i risultati della Spagna”.
Per Francesca Cima, presidente dei produttori dell'Anica, "la data di uscita è considerata l'ultimo anello della progettualità di un film, quando invece dovrebbe essere il punto di partenza. Nessun distributore mi ha mai chiesto di progettare insieme un film adatto per l'uscita estiva. Ma fortunatamente è un atteggiamento che stiamo cambiando. Siamo pronti per un cinema italiano che vuole dialogare con il suo pubblico".


Personalmente: by Giorgio Mancinelli
Mi permetto di rammentare ad Andrea Occhipinti, presidente dei distributori Anica, che sarebbe bene ripristinare un’abitudine molto proficua che un tempo si aveva di proiettare nelle sale cinematografiche dei luoghi di villeggiatura, i film ritenuti ‘buoni’ o ‘ottimi’ della passata stagione invernale che avevano ottenuto il consenso del pubblico, per permettere ad ‘altri’ di vedere (o anche rivedere) quelli che per ragioni di tempo avevano perso in molti. Non è possibile che adesso una pekllicola possa essere visionata solo per alcuni giorni e solo nelle grandi città. Ci sono pellicole ancora valide che sono fin da subito uscite dalla programmazione, e questo non è un bene né per il cinema, né per i cineasti, né per il pubblico pagante.
Inoltre mi chiedo se vale la pena inseguire il ‘successo’ a discapito della ‘qualità’, dov’è finito il film d’arte? O ppure dov’è finita l’Arte che dai Musei si sposta al grande schermo, quando è già dissacrata in decine di documentari? Si finirà per chiudere i Musei, per disdegnare le Grandi Mostre, ma anche le sale cinematografiche? Non voglio qui fare l’uccello del malaugurio, c’è però bisogno di farsi venire altre idee e dare adito a nuova creatività per inorgoglire i nostri cineasti italiani a riprendere quella sana consuetudine di ottimale scambio tra letteratura e cinema, tra cinema e arte, tra cinema e poesia. Altrimenti …

Mi piace segnalare qui alcuni film che ‘probabilmente’ non vedremo mai sui nostri schermi, ma che, sia per le tematiche, sia per lo sviluppo aggiungono qualcosa alla scarsa visibilità ai temi trattati.

KARLOVY VARY 2016 East of the West
'Verge': di stati mentali e generazioni
di Martin Kudláč

08/07/2016 - Un duo di registi turchi realizza un film coinvolgente e lirico, incentrato sul caos psicologico e sulle ulteriori implicazioni sociali nella società contemporanea
La joint venture tra il regista turco Ayhan Salar e l'artista Erkan Tahhuşoğlu, Verge [+], loro esordio dopo che entrambi si erano cimentati nei cortometraggi, è stato presentato in anteprima mondiale nella competizione East of the West al Karlovy Vary International Film Festival. La coppia non ha solo condiviso la regia, ma anche la scrittura e la produzione del film, con Salar alla direzione della fotografia e al montaggio di questo titolo collaborativo. Sotto una premessa apparentemente semplice, un'indagine avvincente ma minimalista prende piede in questo dramma psicologico a lenta combustione.
L'azione si svolge quasi interamente in una casa vicino a una strada, al punto che la casa diventa uno dei protagonisti del film. L'altra è la sua inquilina, Fikret, una giovane e timida casalinga che manda il marito camionista in un viaggio d'affari con fervore quasi cerimoniale - una serie di gesti emotivi che lo lasciano indifferente. La noia dell'attesa dell'arrivo del marito riempie le sue giornate e occupa la sua mente, al punto da provocarle ansia da separazione, primo passo di un tuffo improvviso nella psicosi paralizzante.
Salar e Tahhuşoğlu dissolvono lentamente l'osservazione ipnotica in un processo di setaccio della memoria. Le giornate si allungano quando il marito di Fikret smette di rispondere al cellulare e la giovane moglie inizia a trincerarsi sempre più nella zona di comfort dell'infanzia trascorsa con la nonna. Le loro due vite condividono la stessa sorte, nello stesso labirinto di memoria, in cui vi è una sola certezza - il ronzio infinito dei veicoli di passaggio.
I registi passano dalla narrazione convenzionale a una modalità più atmosferica, invocando la stupefacente monotonia e l'ansia dell'attesa, che saranno presto sostituite dalla stessa configurazione di emozioni, ma in segno di lutto. La casa, in particolare le camere che si affacciano sulla strada, funge anche da scenario mentale condiviso da Fikret e sua nonna, dove entrambe le donne vengono imprigionate dai loro legami coniugali.
La lentezza e i campi lunghi metodologici di Salar servono ad aumentare la tensione, così come la sua fotografia in stile noir intorno alla casa, contribuendo efficacemente all'atmosfera sinistra. La fotografia trasmette in modo palpabile il logoramento che si impossessa della mente e dell'anima di Fikret, mentre la colonna sonora dei veicoli costantemente in transito acuisce la monotonia che invade la vita della nonna di Fikret, il normale ritmo sistolico-diastolico che pervade la loro vita nel profondo.
Salar e Tahhuşoğlu riescono ad affrontare una serie di tematiche utilizzando questa tela claustrofobica della dipendenza esistenziale di una donna da suo marito. La osservano attraverso il filtro delle emozioni venato di alcune implicazioni derivanti dalle convenzioni sociali del Paese e di un'incursione nel caos psicologico e nelle sue conseguenze. Tutto ciò viene realizzato parallelamente a una dichiarazione di ampia portata sul tessuto sociale turco, mentre la storia si ripete, da nonna a nipote.
Entrambi i registi hanno il controllo completo della loro visione artistica, che si manifesta attraverso l'uso di pochi, seppur ricorrenti, motivi per ampliare e arricchire la narrazione e la struttura della storia. Mantenere solo l'essenziale nella costruzione e nella narrazione della storia esalta la fotografia, il montaggio e il sonoro, come elementi precisi e misurati, accrescendo il loro ruolo di forze guida alla base della visione dei registi.
Verge è prodotto da entrambi i registi per le loro case di produzione, Salarfilm (Germania) e Siyara Film (Turchia), rispettivamente.

KARLOVY VARY 2016 Concorso
'By the Rails': non ci sono risposte semplici alle questioni di cuore
di Vladan Petkovic
08/07/2016 - L'autore rumeno Cătălin Mitulescu porta il suo terzo film alla competizione di Karlovy Vary

Il terzo lungometraggio di Cătălin Mitulescu, By the Rails [+], è stato presentato in anteprima mondiale a Karlovy Vary in competizione. È la storia di una coppia sposata che si è separata per un anno e durante questo periodo sembrano essere cambiate molte cose. Trascorrono una notte cercando di capire i rispettivi sentimenti e come affrontare il futuro.
Il film inizia con Adrian (Alexandru Potaceanu, de La Morte Del Signor Lazarescu [+], The Paper Will Be Blue e 4 Mesi, 3 Settimane e 2 Giorni [+]) che apre un bar sulle coste italiane, di buon mattino. Si appresta a tornare a casa da sua moglie, Monica (Ada Condeescu, di If I Want to Whistle, I Whistle [+] e Loverboy [+] di Mitulescu), e dal figlio piccolo.
Dopo un lungo viaggio in autobus, Adrian arriva nella sua città natale ed è accolto da Monica e dal figlioletto, che dorme nel taxi. Ma Monica non sembra la donna che ricorda: è fredda e distante. Quando tornano a casa e mettono a letto il bambino, Adrian le chiede perché non abbia risposto alle sue chiamate, e lei replica di non aver avuto voglia. Ben presto, gli dice che lo ha tradito.
La coppia trascorrerà la notte successiva cercando di risolvere la situazione e di capire cosa vogliono. Tutto ciò accadrà al matrimonio di due loro amici, che permette al regista di giocare con l'atmosfera, contrastandola e combinandola con i momenti intimi di Adrian e Monica. L'alcol, il cameratismo e la passione saranno complici (ovviamente, c'è una band gitana che suona e, naturalmente, sostiene di non essere pagata abbastanza, il che aggiunge un po' di umorismo e molte opportunità di alterchi tra ubriachi).
Più che essere un gioco di potere tra un uomo e una donna, questo complesso rapporto continua a spostarsi da una parte all'altra, senza che nessuno dei due sia completamente sicuro dei sentimenti e dei desideri propri o altrui. Potaceanu e la Condeescu sono entrambi non sempre convincenti, ed è in effetti difficile dire quando quest'aspetto sia una richiesta del ruolo e quando dipenda dalle capacità degli attori.
Si potrebbe dire che Monica sia la versione adulta di Veli della prima metà di Loverboy. Qui, la Condeescu interpretava un'adolescente disperata per amore. Ora, da adulta, forse ha capito che non esiste una relazione "ideale" e che forse ha avuto un figlio un po' troppo presto... D'altra parte, Adrian sembra sicuro di sé all'inizio del film, ma man mano che la storia va avanti e che diventa meno certo dei sentimenti della moglie, comincia a dubita sempre più anche di se stesso. Non ci sono risposte semplici a questi problemi, per quanto siamo inclini a credere che "l'amore è tutto ciò che serve". Il nuovo film di Mitulescu rappresenta un altro esempio di questa visione, e anche se non fornirà soluzioni, racconta una situazione credibile.
By the Rails è una co-produzione della rumena Strada Film, e delle svedesi Film Väst e The Chimney Pot. Le vendite mondiali sono affidate a Cercamon.




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Sile Jazz oltre il confine a Mogliano Veneto

SILE JAZZ A MOGLIANO VENETO, con un doppio concerto imperdibile e ospiti internazionali d'eccezione.

 

Seconda tappa di SILE JAZZ 2016 a Mogliano Veneto.

Continuano gli appuntamenti della rassegna jazzistica itinerante: questa settimana SILE JAZZ cambia la location del suo concerto, ma rimane nel territorio moglianese. Dopo il successo di pubblico di venerdì scorso al Parco di Villa Longobardi, venerdì 8 luglio dalle 21, la serata musicale sarà ospitata all’interno della Piazzetta del Teatro e, seguendo il percorso “oltre il confine”, vedrà la presenza di ben due ensemble di sapore internazionale con l’Elettrofoscari Large Ensemble con l’iracheno-statunitense Amir ElSaffar, e a seguire l’affermato trio polacco Leszek Kułakowski Ensemble Piccolo.

Come già avvenuto per la data precedente di Mogliano, tra le novità dell’edizione 2016 di SILE JAZZ ci sono anche alcuni appuntamenti con i libri e la cultura, sempre legati comunque al mondo della musica jazz.

 

Il concerto infatti sarà preceduto alle 19 dalla presentazione del libro di Enrico Bettinello “Storie di jazz”, presso la Libreria Mondadori. Con l’accompagnamento musicale di Nicola Fazzini al sax alto, l’autore - uno dei più preparati giornalisti del panorama musicale italiano - in questo saggio racconta le vicende artistiche di cinquantasette icone del jazz, presentate con la vivacità di pensiero e l’acume critico che caratterizzano da sempre i suoi scritti. Con un punto di vista originale, Bettinello si distanzia dai luoghi comuni della storiografia invitando anche all’ascolto di brani non sempre noti ma comunque reperibili in rete e nei canali tradizionali di vendita.

 

Enrico Bettinello scrive di jazz e di musica contemporanea per diverse importanti testate, tra le quali «Il Giornale della Musica», «BlowUp», «Musica Jazz», e collabora anche con RadioTre Rai. E’ inoltre caporedattore del sito AllAboutJazz Italia e direttore del Teatro Fondamenta Nuove di Venezia, e si occupa anche di curatela di performing arts, comunicazione e formazione.

 

Appena fuori dalla libreria, seguirà in Piazzetta del Teatro il doppio concerto a ingresso libero e gratuito dalle 21. Ad aprire sarà l’Elettrofoscari Large Ensemble, gruppo giovane ma consolidato formato da studenti ed ex allievi dell’Università Ca’ Foscari di Venezia guidato dal prof. Daniele Goldoni e con la presenza di Nicola Fazzini.

 

Per questa occasione la giovane stella internazionale Amir ElSaffar dirigerà una produzione originale con l’Elettrofoscari Large Ensemble, proseguendo una collaborazione nata in occasione del MusicaFoscari/San Servolo Jazz Fest 2015, dove l'ensemble è stato impegnato in una residenza durata una settimana guidata da ElSaffar. Culturalmente e musicalmente multilingue (di origine americano-irachena, suona la tromba, il santur, canta la musica tradizionale irachena), ElSaffar si è imposto in campo internazionale con il suo linguaggio che combina il maqam e la sensibilità micro-tonale con la libertà di improvvisazione, il linguaggio ritmico, l’intensità dinamica propria del jazz. La produzione sperimenta un inedito intreccio delle recenti tecniche compositive e d’improvvisazione del jazz con i suoni non temperati del maqam.

 

A seguire, l’esibizione del trio guidato dal polacco Leszek Kulakovski. Pianista, compositore e teorico della musica definito dai critici come “visionario del jazz”, è anche il guru di quello che è definito “Third stream”, fusione di musica moderna e jazz. Vanta importanti partnerships con artisti del mondo del jazz e non solo. In questa formazione sarà accompagnato da Tomasz Sowiński alla batteria e dal figlio Piotr Kulakowski al contrabbasso.

 

PROGRAMMA:

Venerdì 8 luglio 2016 ore 19:00 Mogliano Veneto/Libreria Mondadori - Via Costante Gris, 10 ENRICO BETTINELLO PRESENTA IL SUO LIBRO “STORIE DI JAZZ” con l'intervento musicale di Nicola Fazzini al sax alto ore 21:00 Mogliano Veneto/Piazzetta del Teatro (in caso di pioggia Centro sociale di Piazza Donatori del Sangue).

 

AMIR ELSAFFAR & ELETTROFOSCARI LARGE ENSEMBLE Amir ElSaffar (tromba e voce) Elettrofoscari Large Ensemble Daniele Goldoni (tromba) Nicola Fazzini (alto & soprano sax) Jacopo Giacomoni (tenor sax) Massimiliano Cappello (chitarra elettrica) Alberto Bettin (piano) Marco Centasso (contrabbasso) Raul Catalano (batteria)

 

LESZEK KULAKOWSKI Ensemble Piccolo Leszek Kułakowski (piano) Tomasz Sowinski (batteria) Piotr Kułakowski (contrabbasso) “Sile Jazz” è organizzato dall’associazione culturale nusica.org con la direzione artistica del bassista Alessandro Fedrigo, in collaborazione con Studio15_design, Fondazione Università Ca’ Foscari Venezia e la Scuola di musica “Thelonious Monk”.

 

Oltre al sostegno dei Comuni aderenti – Casale sul Sile, Casier, Mogliano Veneto, Morgano, Preganziol, Quarto d'Altino, Quinto, Roncade, Silea, Treviso e Vedelago - la rassegna vede la partecipazione di “Sile, Oasi d’Acque e di Sapori” e dei seguenti sponsor privati: Banca di Monastier e del Sile, Best Western Premier BHR Treviso Hotel, Degusto, Masiero Group - Illuminazione, Panchìc, Perlage.

 

Eleonora Drago Ufficio Stampa e Comunicazione Sile Jazz 2016

+39 347 3932301 press@silejazz.com

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Un’Isola in rete Castelsardo


Nell’ambito della VI edizione di ‘Un’isola in rete’ – Media/Notizie/Editoria la manifestazione che si svolge anche quest’anno a Castelsardo, Sardegna, presenta un ampio programma di consultazioni sul tema: Conversazioni e Navigazioni sul Futuro Digitale del Mediterraneo. Il Festival ‘Un'isola in rete’ entrerà nel vivo a luglio ed agosto, questa volta con gli appuntamenti principali ospitati nella sede naturale delle terrazze del Castello dei Doria e negli altri edifici storici di Castelsardo.

Mercoledì 6 Luglio2016 ore 19.00 Marcello Fois (nella foto) è lieto di presentare il suo nuovo libro: ‘Manuale di lettura creativa’. Intervistato da Federico Piras.

"Il lettore creativo è l'antagonista vero di quegli scrittori che tendono a genuflettersi ai lettori e quindi a scrivere quanto si aspettano. Il lettore creativo vuole sorprendersi, essere preso in contropiede, considerare un punto di vista che gli pareva impossibile. Il lettore creativo vuole amare il libro che non si aspetta. Questo è il lettore più temuto, perché rivendica la propria capacità di definire i fenomeni editoriali e non solo di subirli". (Marcello Fois)

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Novara Jazz in Abbazia fino a Settembre

NovaraJazz e CSAC - Centro Studi e Archivio della Comunicazione di Parma presentano.
"Jazz in Abbazia"

25 giugno – 17 settembre 2016

Abbazia di Valserena
Strada Viazza di Paradigna, 1 - Parma

Inaugura allo CSAC dell’Università di Parma la rassegna musicale Jazz in Abbazia, tre concerti dedicati alla grande improvvisazione e organizzati in collaborazione con l’Associazione culturale Rest-Art.

Si inizia sabato 25 giugno alle ore 19.00 con il concerto in solo The Lomax tapes. Un archivio musicale sulla strada di Paolo Botti all’interno della chiesa.
Ricordiamo Alan Lomax come un infaticabile ricercatore di musiche popolari, etnomusicologo, antropologo, divulgatore, organizzatore di concerti e produttore discografico. Dagli anni Trenta i viaggi di studio lo portarono a raccogliere materiali sonori in quasi tutto il mondo, dalla Spagna alla Gran Bretagna fino al sud America. Rendergli omaggio oggi, nel centenario della nascita, è soprattutto rielaborare e contaminare, rendendo attuale quel patrimonio musicale e mostrandone gli sviluppi possibili nella musica contemporanea. Dopo rigorosi studi accademici come violista, Paolo Botti si dedica al jazz e alla musica improvvisata, collabora con molti musicisti tra cui ricordiamo Franco D’Andrea, Bruno Tommaso, Giorgio Gaslini, Dave Liebman, Tristan Honsiger, Dave Burrell, William Parker esibendosi in moltissimi festival e rassegne in Italia, Europa, ma anche in Asia e Africa. Il suo lavoro in solo Angels and Ghosts dedicato alla musica di Albert Ayler ha ottenuto larghi consensi ed è stato votato terzo disco dell’anno nel top jazz nel 2010.

Si prosegue giovedì 14 luglio, alle ore 21.30 con il concerto Il Suono del Furore. La musica di Simone Massaron e le fotografie della Farm Security Administration: Simone Massaron presenterà uno straordinario progetto inedito nella corte dello CSAC, tra musica e proiezioni, a partire dalle fotografie della Farm Security Administration conservate negli archivi del centro studi. Questo lavoro deve molto ai racconti e alle immagini del Dust Bowl, la serie di tempeste di polvere che si scatenò nelle grandi pianure degli Stati Uniti tra il 1931 e il 1939, provocando la migrazione forzata di migliaia di contadini verso l’ovest.

La rassegna si chiude sabato 17 settembre alle ore 18.00 con Paolo Fabbri Swing Band, un brillante e divertente sestetto capitanato dallo storico saxofonista Paolo Fabbri che interpreterà le musiche della grande era dello swing americano e alcune melodie italiane degli anni trenta, per una serata gioiosa e scoppiettante.

Jazz in Abbazia è parte di CSAC CULTURA APERTA, il programma primaverile ed estivo di incontri, conferenze, mostre, concerti, proiezioni, workshop ed eventi culturali organizzato all’Abbazia di Valserena da marzo ad settembre 2016: oltre al cinema potrete seguire le conferenze di CSAC Lectures, i concerti di musica da camera organizzati insieme a Fondazione Toscanini e i dialoghi dedicati alla fotografia di paesaggio in occasione delle grandi mostre in collaborazione con Fotografia Europea. Per il programma completo: www.csacparma.it/csac-cultura-aperta

Sabato 25 giugno
Paolo Botti solo
The Lomax tapes. Un archivio musicale sulla strada
viola, violino di Stroh, banjo, salterio ad arco, er-hu, percussioni
orario 19.00
luogo: chiesa

Giovedì 14 luglio
Simone Massaron
Il Suono del Furore. La musica di Simone Massaron e le fotografie della Farm Security Administration
progetto inedito suoni ed immagini
orario 21.30
luogo: corte delle sculture

Sabato 17 settembre
Paolo Fabbri Swing Band
pianola, contrabbasso, batteria, sassofono, tromba
orario 18.00
Luogo: chiesa

CSAC – Centro Studi e Archivio della Comunicazione
Abbazia di Valserena
Strada Viazza di Paradigna, 1
Parma

Orari: da martedì a venerdì 10 – 15; sabato e domenica 10 – 20.
www.csacparma.it
servizimuseali@csacparma.it
0521 607791


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Sile Jazz: oltre il confine a Preganziol

Proseguono gli appuntamenti del venerdì sera con SILE JAZZ 2016: questa settimana, per la prima volta la rassegna si ferma a Preganziol!

La rassegna che porta la musica jazz nei territori che circondano il corso del fiume Sile, venerdì 24 giugno arriva per la prima volta nella sua storia a Preganziol. Dalle 21 il concerto si terrà in Piazzetta “A. Ronfini”, antistante la nuova sede della Biblioteca Comunale inaugurata pochi anni fa.

Come nella tradizione di SILE JAZZ, il concerto all’aperto sarà ad accesso libero e gratuito, e stavolta sarà il Max De Aloe Quartet ad allietare il pubblico. Si tratta in parte di un gradito ritorno, poiché questo quartetto lombardo è già stato ospite di SILE JAZZ nel 2014, ma con una novità: al contrabbasso sarà presente Attilio Zanchi, uno dei più importanti ed esperti in questo strumento nel panorama jazzistico italiano.
Il quartetto è guidato da Max De Aloe, armonicista e fisarmonicista tra i più apprezzati in Europa. L’armonica è uno strumento dalla tecnica non scontata, che nel jazz permette grande originalità nelle performance: attivo sia come musicista in solo che come ospite di artisti appartenenti a vari generi musicali, De Aloe si è esibito in prestigiosi festival musicali di tutto il mondo; lavora inoltre per teatro, televisione e in collaborazione con poeti, scrittori e registi. Il Max De Aloe Quartet ha all’attivo diversi progetti, anche discografici, capaci di miscelare generi musicali e mondi artistici apparentemente lontani, come hanno dimostrato alcuni recenti progetti e dischi: Lirico incanto (2008), rivisitazione di arie d’opera, Bradipo (2010) e Bjork on the moon (2012) dedicato alla musica della grande cantante e compositrice islandese.

Anche questa data quindi seguirà idealmente il tema della rassegna: “Oltre il confine” significa, come rappresentato dalla varietà degli artisti ospiti di quest’anno, non solo spingersi dal punto di vista musicale verso nuovi suoni, stili e suggestioni, ma anche scoprire e riscoprire luoghi che appartengono al nostro quotidiano, vivere aree del territorio locale in modo nuovo rispetto alla fruizione usuale che tutti ne abbiamo, grazie alla musica dal vivo che permette oltre che una diversa percezione sensoriale degli spazi che conosciamo anche una piacevole socialità tutta da ritrovare e riscoprire.

Venerdì 24 giugno 2016 ore 21:00
Preganziol (TV), Biblioteca Comunale, Piazzetta A. Ronfini, 1
In caso di pioggia: Aula Magna "Granziol" Scuola Elementare, Via T. Vecellio, 167

MAX DE ALOE QUARTET
Max De Aloe (armonica cromatica, fisarmonica)
Roberto Olzer (pianoforte)
Attilio Zanchi (contrabbasso)
Nicola Stranieri (batteria)

Eleonora Drago per
Ufficio Stampa e Comunicazione
Sile Jazz 2016
+39 347 3932301
press@silejazz.it

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Solfatara di Pozzuoli esplode in Jazz


22 GIUGNO 'SPECIAL EVENT' ALLA SOLFATARA DI POZZUOLI

OJP- ORCHESTRA JAZZ PARTHENOPEA DI PINO JODICE E GIULIANA SOSCIA
special guest PAOLO FRESU "Progetto Megaride".


OJP- ORCHESTRA JAZZ PARTHENOPEA DI PINO JODICE E GIULIANA SOSCIA un organico di ventidue musicisti di grande valore, artisti affermati nel panorama internazionale insieme a giovani talenti, tutti parthenopei diretti da Pino Jodice e Giuliana Soscia. Il "Progetto Megaride" ha già incontrato Paolo Fresu nel prestigioso evento "Il Jazz italiano per L'Aquila 2015" trasmesso su RAI 5. PINO JODICE pianista, direttore, pluripremiato compositore e arrangiatore di fanma internazionale con esperienza trentennale nelle più importanti orchestre jazz al mondo,docente di Composizione Jazz presso il Conservatorio G.Verdi di Milano, i suoi arrangiamenti sono stati eseguiti da Gary Burton, John Scofield, Tommy Smith, Brandford Marsalis, Mike Stern, Richard Galliano, Michel Portal, Enrico Rava, Paolo Fresu e tanti altri.

GIULIANA SOSCIA tra i migliori fisarmonicisti jazz d'Italia, è anche pianista, compositrice e arrangiatrice di grande talento, docente di fisarmonica jazz presso il Conservatorio S.Cecilia di Roma. Impegnata nell'affermazione della composizione al femminile reduce da un importante tour in India, fisarmonicista solista nelle più importanti orchestre jazz al mondo, ha collaborato come arrangiatrice/compositrice con Roberto De Simone, Tommy Smith, Maurizio Giammarco, ecc.

PAOLO FRESU Inizia lo studio dello strumento all'età di 11 anni nella Banda Musicale del proprio paese natale e dopo varie esperienze di musica leggera scopre il jazz nel 1980 ed inizia l'attività professionale nel 1982 registrando per la RAI sotto la guida del M° Bruno Tommaso e frequentando i Seminari di Siena jazz. Nel 1984 si diploma in tromba presso il Conservatorio di Cagliari e nello stesso anno vince i premi , e come miglior talento del jazz italiano. Nel 1990 vince il premio indetto dalla rivista 'Musica jazz' come miglior musicista italiano, miglior gruppo (Paolo Fresu Quintet) e miglior disco (premio per il disco 'Live in Montpellier'), nel 1996 il premio come miglior musicista europeo attraverso una sua opera della 'Académie du jazz' di Parigi ed il prestigioso "Django d'Or" come miglior musicista di jazz europeo e nell'anno 2000 la nomination come miglior musicista internazionale. Solo i primi, in una lunga serie di riconoscimenti che proseguono nel presente musicale tra i quali spiccano le cittadinanze onorarie di Nuoro, Junas (Francia) e Sogliano Cavour e la Laurea Honoris Causa dell'Università La Bicocca di Milano. Molte sue produzioni discografiche hanno ottenuto prestigiosi premi sia in Italia che all'estero. Nel 2010 ha aperto la sua etichetta discografica. Dirige il Festival 'Time in jazz' di Berchidda, è direttore artistico e docente dei Seminari jazz di Nuoro ed ha diretto il festival internazionale di Bergamo. E' stato più volte ospite in grandi organici quali la 'G.O.N. - Grande Orchestra Italiana', l'ONJ - Orchestra nazionale di jazz francese, la NDR - orchestra della Radio tedesca di Amburgo, l'italiana Instabile Orchestra, la PJMO dell'Auditorium/Parco della Musica di Roma, l'Orchestra Sinfonica della Rai, l'Orchestra dell'Arena di Verona, I Virtuosi Italiani ed altri. Ha coordinato, inoltre, numerosi progetti multimediali collaborando con attori, danzatori, pittori, scultori, poeti, ecc. e scrivendo musiche per film, documentari, video o per il Balletto o il Teatro. Oggi è attivo con una miriade di progetti che lo vedono impegnato per oltre duecento concerti all'anno, pressoché in ogni parte del globo.

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Jazz ’live’ a Roma


LIVE 'JAZZ' a ROMA
28Divino Jazz - Via Mirandola, 21 -00182 Roma
tel: 340 8249718 per info e prenotazioni - Aperti dalle 19.30 - Food, wine & Cocktail bar

VENERDI 17 GIUGNO
ore 22.30
"MO' BETTER BLUES"
Michele Villari, sax e clarinetto
Paolo Pavan, piano, tastiere

La collaborazione tra il sassofonista e clarinettista Michele Villari ed il pianista Paolo Pavan fa nascere a Roma nel 2011 la più piccola jazz band esistente: il Duo “Mo’ Better Blues”.

Con le loro proprie omposizioni originali, Michele Villari e Paolo Pavan ci farrano viaggiare e ricordare quello spirito jazz dagli anni 40 in sù. Sfumature alla Thelonious Monk o Lenny Tristano approcci alla John Coltrane e Jackie Mc Lean sino a ricordare Bradford Marsalis, compositore della colonna sonora per il famoso film di Spike Lee da cui il duo prende nome.

SABATO 18 GIUGNO
ore 22.00
LUCIA IANNIELLO QUARTET
"Identity and freedom! Woman, I love you..."

Lucia Ianniello tromba
Andrea Polinelli saxofoni, flauto
Paolo Tombolesi tastiere
Cristina Patrizi basso elettrico

Lucia Ianniello 4et, con Andrea Polinelli, Paolo Tombolesi e Cristina Patrizi, incontra il sensibile pubblico del 28DiVino Jazz Club con un repertorio di brani originali e ampie aree dedicate all’improvvisazione collettiva, nelle quali la sensibilità umana prende il sopravvento e regala a chi ascolta melodie contrappuntistiche delicate ed architetture coraggiose ed eleganti.

“Periodicamente il jazz italiano riserva belle e sostanziose sorprese al femminile. Ad esempio l’eccellente trombettista e flicornista Lucia Ianniello, campana di nascita, romana d’adozione, che sigla con Maintenant un eccellente esordio. Tessiture modali, momenti di improvvisazione pensosa e rarefatta (...) Non c’è batteria, e ne risalta l’aspetto cameristico del tutto.” G. Festinese – Alias (il manifesto) 23 gennaio 2016

“(...)Vanno sottolineate le sofisticate architetture che sovrintendono i brani (...) le scelte di campo sempre attente, precipue, la capacità di saldare, ma al tempo stesso differenziare, timbricamente e nelle dinamiche, le voci in gioco.” A. Bazzurro - Musica Jazz, febbraio 2016

"(...) Lucia has an innate sense of timing on her horn, and is chock-full of the kind of talent/style that players like Miles evoked in their musical imagery.(...)" Rotcod Zzaj - Improvijazzation Nation (160 Review 2016)


28Divino Jazz - Via Mirandola, 21 -00182 Roma
www.28divino.com

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Versanteripido nr.0 è cartaceo, richiedilo

Cari amici,
Poesia chiama poesia, passione chiama passione.
Un’importante collaborazione nasce tra "Terra d'ulivi edizioni di Lecce" e "Versante ripido".

La ormai conosciutissima fanzine on-line per la diffusione della buona poesia si presenta ai suoi lettori, anche, in forma cartacea andato immediatamente esaurito. A distanza di qualche mese, dopo l’esaurimento del primo lotto di stampa abbiamo dovuto interrompere le vendite per un po’, ma ora finalmente Versante Ripido nr. 0 in cartaceo e’ di nuovo disponibile sul sito dell’editore.

Potete richiederlo al link
http://www.edizioniterradulivi.it/versante-ripido-n-0/114
Buona lettura!


Fabio Izzo, scrittore, polonista, traduttore, rilascia un comunicato stampa per spiegare le sue ultime scelte di collaborazione con la casa editrice Terra d’Ulivi di Emanuele Scarciglia. Terra d’ulivi vanta ora anche la collaborazione dell’autore di To jest, libro di pregio che ha giustamente meritato riconoscimenti. Ecco come Fabio Izzo ci presenta la sua nuova attività con la casa editrice:

Bisogna fare qualcosa di straordinario per essere normali al giorno d’oggi, così quando Terra d’Ulivi edizioni mi ha chiesto di collaborare con loro, come direttore di una nuova collana, ho preso tempo. Tutto era già abbastanza straordinario per essere troppo normale, in un panorama, dove vengono pubblicati tanti, ma mai troppi libri. Così ho accettato, pensando a quali libri vorrei proporre, portare nelle librerie, negli zaini, nelle borse, sulle scrivanie, sotto gli occhi di lettori diversi tra loro ma che possono rivolgere la loro attenzione a noi con interesse e curiosità. Come deve essere un libro? Cosa deve contenere per rientrare nella nostra linea editoriale? La risposta è semplice. Un attimo cristallizzato nel tempo. Deve catturare, incantare il nostro tempo con tutta la sua bellezza. Da qui il nome della collana: Galaverna. La galaverna è un rivestimento cristallino, opaco e bianco intorno alle superfici solide; di solito non è molto duro e può essere facilmente scosso via, ma di inverno, nella mia lontana Acqui, ora scrivo da Cracovia, una landa coperta di Galaverna è uno spettacolo. I libri che Terra d’Ulivi proporrà in questa collana saranno quindi anche aghi cristallini, pronti a pungere e stimolare i nostri nuovi e vecchi lettori! Seguiteci!

La nostra casa editrice avrà tra i suoi collaboratori anche la poetessa Eliza Macadan.
Eliza Macadan, nata nel 1967, ha esordito in volume nel 1994. Scrive e pubblica in italiano, romeno e francese. Le sue raccolte poetiche in lingua italiana sono: “Frammenti di spazio austero”, Il libro italiano, 2001, “Paradiso riassunto”, Ed. Joker, 2012, “Il cane borghese”, La Vita felice, 2013, “Anestesia delle nevi”, La Vita felice, 2015 e “Passi passati”, Ed. Joker, 2016. La sua poesia è stata ben accolta dalla critica e ha ricevuto vari riconoscimenti.

Segnalazione:

“Nel bosco senza radici” di Amina Narimi – ed.2015
Un commento di Pierangela Rossi.
La natura danza nei versi mistici di Amina Narimi
Se una Natura preleopardina, predistruzione, a tratti felice, e comunque fondante e metafisica, potesse parlare, probabilmente almeno una volta lo farebbe con la voce della poetessa Amina Narimi, con una cifra e miti e lezionario tutti suoi. Non si vede nel panorama attuale e recente qualcosa di analogo, Amina è lussureggiante come una foresta tropicale di Rousseau (ma il suo riferimento è il nitore di Hokusai nelle Trentasei vedute del monte Fuji, o Tarkovskij), strabordante, e insieme ellittica nella scelta dei vocaboli, nelle metafore sorgive (eppure: “ quanto Rilke nella vita”). Intanto, il nome, uno pseudonimo (“Amina Narimi” sta per “Anima Rimani”, scelto dopo l’esperienza della morte, della madre amatissima e del figlio).

Amina (Claudia Sogno nata a Bologna il 23 gennaio 1963, “tagliando l’inverno a metà” è criminologa), in poesia difende la natura (da “nascere”), e le creature. Nel suo primo libro, il libro d’esordio richiestole dall’editore Scarciglia, è ricca la scelta di parole inconsuete: lingue inuit, dialetti sardi, ebraico, persiano, turco, giapponese, lituano, latino parlato…eccetera, in un florilegio che non conosce ristrettezze lessicali. Ma vediamo qualche esempio delle parole- poesia che ha usato, e come ce le ha spiegate: “Sinik unità di misura in Groellandia per misurare i “sonni”, le notti che occorrono per compiere un tragitto; Sinik è un concetto spazio temporale che descrive l’unione di spazio, movimento e tempo, connubio ritenuto naturale dagli inuit ma termine inafferrabikle per una lingua europea”.

E ancora: “ninive” un modo “antico” , il più antico che io conosca, di “fare” le preghiere, arrotolando piccole piantine in garze d’acqua con le mani, riparandole dal sole”.

“Kurskaja Losà: si trova in Lituania, è un bosco incantato, la foresta che danza. Si narra che passando sotto gli anelli formati dai tronchi come degli “8” si allunga di un anno la vita”. Nelle poesie di Amina c’è posto anche per il Mandylion, telo con il volto di Gesù, dei cristiani orientali. C’è una bellissima poesia su una candela donata da una donna di mare da accendere solo in caso di estremo bisogno per rivolgersi a Dio, e una volta cercata, trovata quasi consumata. Qualche verso: “Preghiera che salta, il dio delle cose esalta / le piccole cose dentro una stanza / tocchi il dentro dell’immagine, la traduci / restituiscila bellezza a qualcosa / che turba, disturba la vista, fa tremare gli occhi / così che passa, in una sottile nervatura, un rilievo, una venatura / la vita è bellezza vergata ogni attimo, ogni ora”. Versi tra i più misurati.
Abbiamo bisogno di poeti così.

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Pericle il nero un film di Stefano Mordini


CANNES 2016 - Cineuropa intervista Stefano Mordini • Regista
articolo di Camillo De Marco

19/05/2016 - CANNES 2016: Incontriamo l’italiano Stefano Mordini, regista di Pericle il nero, selezionato in Un Certain Regard

(© L. Laumont / Festival de Cannes)
Prima della proiezione ufficiale di Pericle il nero [+] in Un Certain Regard del Festival di Cannes, incontriamo il regista Stefano Mordini accompagnato dal produttore e protagonista del film Riccardo Scamarcio (Buena Onda). Scamarcio commenta con una certa ironica amarezza i magrissimi risultati di pubblico del film - 19,470 spettatori - uscito una settimana fa in Italia con BIM: "Dobbiamo essere comunque contenti. E' un progetto sperimentale che si è assunto dei rischi, non un film riconoscibile e rassicurante, come piace sempre di piu al pubblico". Resta il fatto che il film è stato scelto da una sezione prestigiosa del festival. "E' piaciuto molto ai selezionatori, che sono gli stessi del concorso, e hanno parlato di due interpreti formidabili (Scamarcio e Marina Foïs). Ma ormai la dialettica intorno al cinema si è notevolmente abbassata, se confrontata agli anni 70, gli spazi di discussione ridotti. In una società mediatizzata devi comunicare in pochi caratteri". Scamarcio parla anche di un interesse da parte del mercato: "C'è curiosità intorno al film, chi lo vede rimane colpito da questo personaggio singolare e inizialmente molto sgradevole".

Cineuropa: Mordini, il film prende ispirazione da un romanzo, che cosa le interessava del progetto?
Stefano Mordini: Inizialmente era stato proposto da Abel Ferrara a Scamarcio. Ho letto con curiosità il progetto di Riccardo. Era una splendida occasione di lavorare su un personaggio scomodo in un contesto difficile, confrontandosi con gli stilemi del genere. Abbiamo iniziato e aspettato che il progetto ci restituisse qualcosa. Ci sono state molto difficoltà iniziali nel trovare chi potesse incuriosirsi al film. Poi sono arrivati dei coproduttori importanti come i fratelli Dardenne con Les Films du Fleuve.
Il libro è ambientato internamente a Napoli e altre città italiane, la trasposizione in Belgio e Francia è stata una scelta nata dalla coproduzione?
No. L'idea di scrittura è partita dal contesto, ed il film era stato già pensato in Belgio e Francia prima che i produttori Viola Prestieri e Valeria Golino lo sottoponessero ai Dardenne, i quali si fidano del loro modo di lavorare.
L'esordio in sala non è andato bene.
In generale il mercato fatica, è un momento storico in cui è difficile intercettare il pubblico, anche per la politica, non solo per l'arte. Ho dedicato la mia vita a tre soli film, non faccio le cose in fretta. Bisogna riparametrare i valori, non si possono impiegare tre anni di lavoro e poi giocarsi il successo di un film in tre giorni. Bisogna ricostruire un dialogo tra autori, produttori e critici. E poi affrontare il pubblico.

PERICLE IL NERO (di Stefano Mordini)

«Il mio padrone è Luigino Pizza, che tutti lo chiamano così a causa delle pizzerie ... Io mi chiamo Pericle Scalzone ... Di mestiere faccio il culo alla gente». Così comincia Pericle il Nero, primo romanzo di un autore che ha alle spalle una scuola severa di sceneggiatore di fumetti e una vita a dir poco avventurosa – che racconta però malvolentieri, preferendo raccontare storie. Questa di Pericle è un impeccabile noir, girato come un buon film americano degli anni Quaranta, con un ritmo secco, un plot che non perde un colpo e personaggi che hanno uno spessore del tutto ignoto ai cliché imposti dal genere: Pericle, l’uomo-cane che diventa uomo e acquisisce consapevolezza di sé attraverso il rifiuto delle regole del suo mondo e l’incontro con una strana donna; e questa donna, Nastasia, la polacca finita a lavorare a Pescara in una fabbrica di copertoni, che se lo porta a casa e se lo porterà, forse, anche più lontano; e Signorinella, la temibile e potentissima sorella del boss Ermenegildo Coppola, capo delle supplicanti di san Gennaro, che, «quando parlava di uccidere, si metteva le mani sulla faccia perché non le piaceva e diceva che tutti sono figli di mamma»; e gli altri, attori e comparse delineati con pochi tratti precisi, in una lingua asciutta ma venata delle coloriture, talvolta inattese e sempre misuratissime, del parlato popolare.

Scheda del film:

regia: Stefano Mordini

sceneggiatura: Francesca Marciano, Stefano Mordini, Valia Santella

cast: Riccardo Scamarcio, Marina Foïs, Gigio Morra, Valentina Vacca

fotografia: Matteo Cocco

montaggio: Jacopo Quadri

scenografia: Igor Gabriel

costumi: Antonella Cannarozzi

produzione: Buena Onda, Les Films du Fleuve, Les Productions du Trésor, Rai Cinema

distributori: BIM Distribuzione

CANNES 2016 Un Certain Regard

Pericle il nero, un cattivo che sa riscattarsi.
Articolo di Camillo De Marco
19/05/2016 - CANNES 2016: Fortemente voluto dal protagonista Riccardo Scamarcio, che lo ha anche prodotto con i Dardenne, il film diretto da Stefano Mordini è un noir diretto con sensibilità ed eleganza d’autore.

Riccardo Scamarcio in Pericle il nero:

“Meglio che in testa non tengo nessun pensiero”, commenta Pericle Scalzone, detto Il nero, mentre racconta fuori campo la sua storia. Se fai il suo mestiere, è meglio non pensare troppo: Pericle è il “soldato” di un boss della camorra, riscuote i crediti, picchia e sodomizza i pizzaioli che non vogliono cedere il proprio locale a don Luigino, criminale trapiantato in Belgio con la famiglia.
Pericle il nero [+] di Stefano Mordini, selezionato in Un Certain Regard al Festival di Cannes 2016, è la trasposizione del libro omonimo di Giuseppe Ferrandino pubblicato nel 1993 e ignorato dal pubblico finché non lo scopre la francese Gallimard che lo pubblica nella collana Série noir e lo rende un caso editoriale. In Italia lo ripubblica Adelphi nel 1998 ed è un successo anche in patria. E’ un libro talmente serrato e tagliente, scritto già come se dovesse diventare un film noir, che lo stesso Abel Ferrara si era interessato al progetto cinematografico. Un progetto fortemente voluto dal protagonista Riccardo Scamarcio che lo ha anche prodotto con la sua Buena Onda (con Valeria Golino e Viola Prestieri), assieme ai fratelli Dardenne e Alain Attal e con RAI Cinema, affidandone la direzione al regista-sceneggiatore di Acciaio e Provincia meccanica. Il “tradimento” maggiore del film verso il libro consiste nello spostamento geografico da Napoli al Belgio, un po’ per evidenti ragioni produttive e soprattutto perché non sarebbe stato così semplice lasciarlo a Napoli e dargli quel carattere universale che il film ha acquisito. Tanto che l’altro tradimento è proprio quello della lingua: il beffardo dialetto dei dialoghi serrati sulla carta diventa un napoletano-italiano comprensibile a tutti.

Però il regista e le sceneggiatrici Francesca Marciano (Miele [+]) e Valia Santella (Fai bei sogni [+]) hanno saputo rispettare il flusso di pensieri del protagonista in più regalandogli una storia, un passato. Pericle è un orfano in cerca di famiglia e sradicarlo dalla sua Napoli ha dato maggiore evidenza a questo connotato di “senza patria”. Il volto livido, inespressivo di Pericle si confonde con il grigiore della cittadina belga. E’ un uomo rimasto quasi bambino la cui violenza scatta a comando, considerato quasi un idiota ma che in realtà nasconde una grande emotività. Il giorno in cui fa il suo passo falso, colpendo per errore la sorella di un boss camorrista alleato, fugge a Calais (un luogo sempre più frequentato dal cinema europeo per via dell’immigrazione) e comincerà a fare i conti con la sua storia e la sua solitudine. Incontra Anastasia, single madre di due figli, interpretata con convinzione da Marina Foïs (Polisse). E questo lo spinge a mettersi in testa dei pensieri, a riflettere su un futuro che non sia fatto di droghe chimiche, violenza e film porno.
Un film di genere diretto con una sensibilità ed eleganza d’autore, in un gioco di squadra nel quale il direttore della fotografia Matteo Cocco (Per amor vostro], La moglie del poliziotto) ha un ruolo considerevole. E un protagonista (nel libro è grasso e pelato) sul quale Riccardo Scamarcio ha lavorato a lungo, con risultati che non deludono lo spettatore. Bella la colonna sonora, impreziosita da gemme come Two Days Later di Fink e Gimme All Your Love degli Alabama Shakes.

by CINEUROPA NEWSLETTERS




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Cannes - Le Palmarés

Cannes 2016: La Palma d'Oro a I, Daniel Blake

di Fabien Lemercier
22/05/2016 - CANNES 2016: L'inglese Ken Loach entra nella schiera dei doppi vincitori. Nel palmarès, anche Assayas, Mungiu, Arnold, Dolan e Farhadi.

L'inglese Ken Loach (79 anni) è entrato questa sera nella leggenda del Festival di Cannes aggiudicandosi la seconda Palma d'Oro della sua carriera con il commovente e incisivo I, Daniel Blake [+]. Già vincitore nel 2006 con Il vento che accarezza l’erba [+], il cineasta diventa l’ottavo cineasta ad aver ricevuto due Palme d’Oro conFrancis Ford Coppola, Michael Haneke, Shohei Imamura, Bille August, Emir Kusturica e i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne.
Il cinema europeo ha avuto il suo posto d’onore nel palmarès della 69a edizione anche con il premio della regia attribuito ex æquo a Personal Shopper del francese Olivier Assayas e a Graduation [+] del rumeno Cristian Mungiu, e il Premio della Giuria (il terzo della sua carriera sulla Croisette) ottenuto dall’inglese Andrea Arnold con il vibrante American Honey.
Al termine di una competizione di alto livello quest’anno secondo l’opinione generale, la giuria presieduta dal cineasta australiano George Miller ha assegnato il Grand Prix a uno dei film che ha più diviso la critica, Juste la fin du monde del canadese Xavier Dolan, e ha ignorato il grande favorito dalla stampa: Toni Erdmann della tedesca Maren Ade.

Anche l'Asia è celebrata nel palmarès con il premio all’interpretazione femminile ottenuto da Jaclyn Jose per Ma' Rosa del filippino Brillante Mendoza e con i due riconoscimenti ricevuti dal sottile The Salesman dell’iraniano Asghar Farhadi: premio all’interpretazione maschile per Shahab Hosseni e premio della sceneggiatura per il regista.

Infine, il futuro promette bene per la settima arte del Vecchio Continente giacché la Caméra d'Or è stata attribuita all’abbagliante Divines della francese Houda Benyamina (presentato alla Quinzaine des Réalisateurs) e la Palma d'Oro del cortometraggio a Timecode dello spagnolo Juanjo Giménez.

Il palmarès:

Palma d'Oro
I, Daniel Blake - Ken Loach
Grand Prix
Juste la fin du monde - Xavier Dolan
Premio della regia
Cristian Mungiu - Graduation, Olivier Assayas - Personal Shopper
Premio dell'interpretazione femminile
Jaclyn Jose - Ma' Rosa
Premio dell'interpretazione maschile
Shahab Hosseini - The Salesman
Premio della miglior sceneggiatura
Asghar Farhadi - The Salesman
Premio della giuria
American Honey - Andrea Arnold
Caméra d'Or
Divines - Houda Benyamina
Palma d'Oro del cortometraggio
Timecode - Juanjo Giménez
Menzione speciale
A moça que dançou com o diabo - João Paulo Miranda Maria


by CINEUROPA
The Best of European Cinema
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That’s entertainment : l’opera da tre soldi

THAT’S ENTERTAINMENT

Gay / Pepusch: “L’Opera el Mendicante”
Brecht / Weill : “L’Opera da Tre Soldi”

“Se la miseria è titolo di poesia, nessuno potrà negarmelo di certo. Mi professo membro della Compagnia dei mendicanti e sono uno di loro ai festini settimanali di St. Gilles; mi spetta un piccolo compenso annuo per le ariette che compongo, e sono il benvenuto ai loro pranzi quando mi garba di prendervi parte … Ma vedo che è l’ora di ritirarsi: gli attori sono pronti a incominciare. Musicanti attaccate il preludio!”

È quanto riportato in apertura di “The Beggar’s Opera” (L’Opera del Mendicante) di John Gay in tre atti con musiche di Johann Christoph Pepusch, che a tutt’oggi, occupa un posto rilevante nel panorama della ‘ballad-opera’ cosiddetta per il fatto che alterna al dialogo arie musicali e canzoni, e dalla quale si vuole derivi ‘l’opera-comique’ francese, o meglio il ‘singspiel’ tedesco e, ovviamente, il moderno ‘musical’inglese. Rappresentata per la prima volta a Londra nel 1728 fu sottratta dall’oblio letterario e restituita in chiave musicale al teatro popolare inglese entusiasmando generazioni di pubblico, per quanto il fascino sottile della sua satira politica sia ormai andato perduto. John Gay è quindi riconosciuto come il creatore della ‘Ballad Opera’ che aprì le porte al grande ‘Musical’: canzoni, ballate, filastrocche notissime al mondo anglosassone di allora, vennero poi utilizzate per il commento musicale e orchestrale dai musicisti raccolti attorno a John Cristopher Pepush, musicista e compositore ‘barocco’ d’origine tedesca, musicista e compositore di parecchie opere e ‘masques’ messe in scena al teatro Lincoln's Inn Fields:

“Nei più vari rapporti della vita / il compagno maltratta il compagno; / la sgualdrina e il ruffiano passano per sposi, / tutti i mestieri s’infrangono a vicenda”. (..) “La professione dell’avvocato è onesta, e altrettanto lo è la mia – fa dire Gay a Mr. Peachum – come me egli agisce in due sensi: contro i malfattori e in loro difesa. È più che giusto che noi si protegga e si incoraggi la delinquenza, visto che è la nostra fonte di sostentamento”.

Il pubblico londinese dell’epoca è appurato, vi riconosceva i personaggi presi di mira, sostituiti in chiave farsesca dall’autore con la complicità dell’invenzione teatrale di un mondo visto alla rovescia. I personaggi di Gay sono ribaldi, ladri, accattoni che sostituiscono nobili, ministri e cortigiani della società del settecento che si spendeva in lussi e sprechi a sfavore della povera gente. All’occorrenza, il ‘brindisi dei mendicanti’ è ben altra cosa e presenta una morale rovesciata, ben rappresentata anch’or oggi:

“Come la gazza, l’uomo acido nasconde ciò che non può godere, per il solo piacere di nascondere. Sono questi i rapinatori dell’umanità, perché il denaro è stato creato per i generosi. E che male c’è nel prendere agli altri ciò che non sono disposti a usare?” – fa dire l’autore a Matt, uno dei furfanti da lui interpellati. E ancora fa dire a Ben, un altro della banda dei mendicanti: “Noi siamo per una giusta spartizione dei beni del mondo, perché ognuno ha diritto di godersi la vita.” Si comprende come certe frasi suonassero sospette ai regnanti di allora per l’ideologia rivoluzionaria che fomentavano, che tuttavia la situazione odierna non sembra affatto cambiata, non vi pare?

Giunta fino a noi grazie ad ulteriori riletture e nuove interpretazioni che di volta in volta hanno scavato nel sottofondo socio-politico dell’epoca in cui fu scritta, l’Opera di John Gay venne ripresa nel tempo da Bertolt Brecht che ne trasse l’ormai famosa “Opera da tre soldi” (1928), una satira sociale e politica che si rivolgeva in modo anche violento contro i guasti della guerra, e che Kurt Weill orchestrò sui moduli sincopati del Jazz molto in voga in quegli anni. Ma di là dall’occuparci delle diatribe socio-politiche che l’Opera apriva e che riversarono verso l’autore l’ostilità dei intellettuali e gli scrittori dell’epoca, le ragioni di questa scelta vanno dirette alla nostra epoca, cioè a quell’oggi scombinato che ci sta portanto al disfacimento di valori di giustizia e libertà sociale che credevamo aver raggiunta.

Con Brecht-Weill siamo nel 1928, sono passati due secoli, il signore e la signora Peachum con il resto della banda si muovono nell’ambiente della malavita dei bassifondi del quartiere di Soho a Londra, dove s’intravvede, non lontanissimo, l’ambiente della Germania di Weimar. Quand’ecco la storia si ripete. L’odierno autore dell’Opera veste i panni del cantastorie e ci presenta la figura dell’anti-eroe della malavita, Mackie Messer col dire: “S’introduca il personaggio!”, Mackie Messer di Brecht alias Macheath di Gay è poco più che un furfante con la buona reputazione che si conviene a un bandito, un Don Giovanni da strapazzo che ama fra le tante Polly, figlia di Geremia Peachum e signora, e Lucy figlia di un certo Lockit commissario di Polizia, un ottimo esempio di ricettatori e strozzini.

Entrambi i personaggi manifestano la loro disapprovazione per un sentimento tanto assurdo quanto lo sarà l’amore di Polly per il bellimbusto Mackie, e ovviamente l’amore di Lucy rimastane incinta. I due amanti fuggono insieme per sposarsi. Amici e soci improvvisano per loro un sontuoso banchetto, insieme cantano “La canzone di nozze per la povera gente”:
“Che importa se i fiori ti mancano / e se ti sposi senza l’altar / i doni, non sai di dove vengano / ma tu sei felice di amar. / È vero, qualcosa, nel mondo si sa / non invecchia, non cambierà./ Che importa come, quando e dove? / L’amore c’è o non c’è.”
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“Billy Lawgen e Mary Syer / sono sposi da mercoledì. / Viva gli sposi! Viva e via!/ Quando andarono innanzi al Sindaco / sol da poco si conoscevano: / lui di lei non sapeva il nome né l’età. / Viva! / Sa che cosa fa sua moglie? / No! / Sa che adesso niente donne più? / No! / Di mia Moglie a me fa comodo / una parte piccolissima / Porco! / Viva!”

Al banchetto di nozze partecipa anche il Capo della Polizia, compagno d’armi di Mackie. Insieme cantano la ‘Canzone dei cannoni’:

“John era insieme a noi come Jim / e Georgie diventò sergente: / nulla chiedeva l’armata a noi tre: / solo andare a nord o ad oriente./ Soldati e bombe / cannoni e trombe / dal Capo a Couch Behar. / Piovesse oppure no, / ci si svagava un po’/ Dalla mattina alla sera / con gente bianca e nera / tra feste, braccia e gambe / facevamo un cocktails./ Johnny si lamenta del gin / per Jimmy le coperte sono scarse. / Georgie dice allora: si sa / che l’armata non vuole rovinarsi. / Soldati e bombe ecc. ecc. Johnny è disperso e Jim non c’è più / di Georgie non se ne sa più niente. / Scorre sempre sangue però / e per l’armata non manca mai gente. / Soldati e bombe / cannoni e trombe ecc. ecc.”
“Chiedo troppo, / dite un po’ / se domando un po’ d’amore:/ se la voce del mio cuore / finalmente ascolterò?” …

Polly a sua volta intona “La canzone di Jenny dei Pirati”:

“Oh Signori voi mi vedete sciacquare le bottiglie / e disfare i letti / e mi date tre spiccioli di mancia / e guardate i miei stracci / e quest’albergo stracciato come me./ Ma ignorate chi son io davvero / ma ignorate chi son io davvero./ Ma una sera al porto grideranno / e qualcuno griderà: tu! Quel grido sai cos’è?/ io ridendo porterò un altro bicchiere / si dirà: da ridere che ha?/ Tutte vele e cannoni / una nave pirata / al molo starà./ M’hanno detto: asciuga i bicchieri ragazza / e m’han dato la mancia un cents / ed io ho preso il soldino ed ho rifatto un letto / in cui nessuno stanotte tranquillo dormirà / e chi sono nessuno ancora sa. / Ma stasera al porto spareranno / e qualcuno griderà: a chi sparano laggiù? / Io ridendo, apparirò ad una finestra / si dirà da ridere che ha? / E la nave pirata tutta vele e cannoni / raderà la città. / Oh Signori quando vedrete crollare la città / vi farete smorti. / Quest’albergo starà in piedi / in mezzo a un mucchio di sporche rovine e di macerie / ed ognuno chiederà il perché di questo strano caso. / Poi si udranno grida più vicine / ed ognuno chiederà: come mai non sparan qui? / Verso l’alba mi vedranno uscire in strada / si dirà: ma quella dove va? / Tutto vele e cannoni / la galera di jenny / lascerà la città.”

Nel prosieguo, davanti all’ostinazione della figlia che rifiuta un divorzio riparatore, i Peachum deliberano di denunciare Mackie Messer al Capo della Polizia per farlo arrestare. Al tempo: Polly e Mackie si giurano eterna fedeltà. Insieme cantano la famosa “Canzone della schiavitù sessuale”:

“Non è di certo un tipo fra i più belli: / è un macellaio e gli altri son vitelli; / è un brutto porco e solo al male crede / e frega tutti, ma alle donne cede. / Del sesso è la dolce schiavitù; / la voglia o no, ci devi stare, tu./ S’infischia della Bibbia e del Codice / e pensa notte e giorno solo a sé./ Le donne sono un peso inutile …/ e senza donne l’uomo è un re …/ Ma queste frottole son senza effetto:/ prima di notte avrà qualcuno a letto./ Ci sono uomini che vedon gli altri / restar legati a un pezzo di sottana, / costoro giurano d’esser scaltri, / ma son fatti della stessa lana. / Del sessoi è la dolce schiavitù: / lo voglia o no, ci devi stare tu./ il primo studia i Dogmi, l’altro il Codice, / un terzo crede al Papa, / l’altro al Re. / Non Mangia mai tartufi a tavola / meglio di lui nessuno c’è…/ Ma vien la sera ed anche l’uomo retto / vuole qualcuno che gli scaldi il letto.”

Successivamente Mackie, in procinto di fuggire in seguito alle minacce ricevute, si accomiata da Polly alla quale affida il comando della Banda da lui capeggiata. Lasciata la moglie, Mackie si rifugia nella casa di tolleranza di Jenny delle Spelonche, della quale è stato un tempo il protettore, ignaro che Jenny a sua volta, l’aveva ceduto alla signora Peachum per ‘tre soldi’. È così che Jenny e Mackie rievocano il passato in “Tango Ballade” (‘Ballata del magnaccia’):

“Ricordi tu quel tempo che fuggì / quando si stava insieme notte e dì?/ Grazie agli amici che portavo a te / tu mi vestivi dalla testa ai piè./ Così va il mondo: va anche così. / Se poi veniva uno dei tanti me n’uscivo / allor dal letto e mi bevevo un bel cicchetto / e poi correvo a ritirare il grano / e gli dicevo: torni, torni qui. / E ho passato cinque anni e più / in quella casa ov’eri chiusa tu. / O giorni belli che passammo là / a far l’amore in piena libertà!/ E quando a soldi si era un po’ nei guai, / tu mi dicevi: Come, non lo sai? / Della camicia a meno si fa! / Allora io diventavo un po’ cattiva / ri rinfacciavo le porcate che facevi! / e tu mi davi un cazzottone in bocca / e andavo a letto con la faccia blu.”

Degne di nota sono almeno due straordinarie interpretazioni che ne hanno lasciate Milly e Tino Carraro nel 1954 allorché l’Opera va in scena al Piccolo Teatro di Milano diretto da Giorgio Strehler e dal produttore teatrale Paolo Grassi. Filippo Crivelli la ricorda così «..i quali, mentori di una voce e di una personalità che avevano dominato un’età indimenticabile, pensano a Milly per Bertold Brecht e Kurt Weill. Milly sarà dunque quella Jenny delle Spelonche dell’ ‘Opera da tre soldi’ che il pubblico e la critica unanimi farà gridare al ‘miracolo’», e che entreranno a far parte anche del repertorio del teatro musicale italiano. Va qui senz’altro citato il doppio LP “Milly D’amore e di libertà” (PDU Pld.A 5038/9) contenente un’intera facciata dedicata alle canzoni tratte dall’Opera da tre soldi’, alle quali la voce ‘graffiante’ di Milly aggiunge quella patina di ‘vissuto’ che riporta a situazioni conosciute, a quell’ansietà di vivere che non lascia indifferenti.

Un’altra esemplare partitura, pure straordinaria, perché straordinari e insoliti sono gli interpreti, è quella eseguita da Laura Betti e Vittorio De Sica e contenuta negli introvabili vinili del 1963/64 col titolo: "Laura Betti canta Kurt Weill" (Ricordi ORL 8027/28); un excursus che va dal 1900 al 1950) con gli utopistici arrangiamenti di Bruno Maderna, presentati da Roberto Leydi che inoltre ne ha scritto l’interessante nota di copertina:

«Le canzoni raccolte in questi due dischi e le immagini che le accompagnano, raccontano la vita difficile di un musicista che nella sua opera, giocata sulla curva della storia, ha raccolto il sentimento tragico e amaro di un’epoca entusiasmante e disperata, di una stagione fra le più folli e dolorose dell’esistenza dell’uomo moderno. Da queste voci e da queste fotografie escono i momenti fondamentali della vita di un uomo che si fermò negli anni tragici del primo dopoguerra e fu costretto a cercarsi in America una nuova patria, quando più il suo nome era giunto al successo. Poche volte le vicende della musica e dello spettacolo hanno saputo modellarsi con maggiore fedeltà alle vicende della cronaca – di una cronaca che già nel suo manifestarsi ha la forza, il carattere, la verità definitiva della storia. E poche volte le vicende della musica e dello spettacolo hanno saputo trascendere con maggiore autenticità il costume, la moda, la testimonianza contingente – pur essendo sempre anche costume, moda e testimonianza – per vivere, con voce autonoma, al di là delle contingenze, fino a questi nostri anni sessanta. In questo loro raro equilibrio ascoltiamo oggi le canzoni e le ballate di Kurt Weill in quanto piccoli capolavori inimitabili anche nel difficile momento dell’esilio americano, nella tormentata avventura musicale della nostra epoca, e di questa epoca memoria ancora palpitante di emozione.»

Nonché la trasposizione in chiave decisamente moderna portata in scena da Milva che re-interpreta meravigliosamente ‘Die Moritat von Mackie Messer’, ‘Jenny dei Pirati’, ‘Surabaya Johnny’, ‘O moon of Halabama’ e molte delle canzoni incluse nell’Opera, nello spettacolo “Io Bertolt Brecht e il successivo n.2” sotto la direzione di Giorgio Strehler che nel 1972/3, ancora con Tino Carraro, e ancora al Piccolo teatro di Milano. Dall’album “Milva / Brecht 1-2” (Ricordi SMRL 6164):

“Moritat” (La ballata di Mackie Messer)
“Mostra i denti il pescecane / e si vede che li ha / un coltello solo, Ha Maclie / ma vedere non lo fa. / Sulla spiaggia di Long Island / giace un tale a mezzodì / poco prima, lo sappiamo / Mackie Messer era lì. / Han trovato jenny Towler, / un coltello ha in mezzo al sen / che si stato Mackie Messer? / Testimoni non ce n’è. / A Schmul Meier, l’industriale / un ignoto un dì sparò / Mac ne spende il capitale / ma provarlo non si può. / Sei bambini son bruciati / nell’incendio a Brooklyn:/ Mackie Messer sa qualcosa, / ma non parla e beve gin. / Vedovella minorenne / il cui nome ognuno sa / ci rimise un dì le penne:/ Mac, la colpa chi l’avrà?”

Milva ‘la rossa’ in realtà non è solo una grande interprete di Brecht-Weill, che ricordiamo nei due spettacoli al Piccolo di Milano con la regia dello straordinario Giorgio Strehler che l’ha trasformata in una ‘diva’ a tutto tondo. Ma la sua bravura è anche nella cura che mette nel linguaggio, infatti ha dato più volte prova di sé cantando in inglese, in tedesco, in francese, in russo, in greco, e moltissime altre lingue che ora non rammento, e che canti brani di autori del passato come Bixio e Cherubini o di attuali come Battiato e Vangelis, solo per citarne alcuni, le sue sono sempre ‘interpretazioni’ d’autore, veri gioielli di musicalità che ‘la rossa’ ha trasferito insieme alla sua scenicità nei più grandi teatri internazionali.

Proseguendo nel racconto, troviamo Mackie Messer che, pur dietro le sbarre, esprime la propria filosofia esistenziale nella “Ballata dell’agiatezza”:

“Non datemi ad intendere che il saggio / stia allegro in mezzo ai libri e senza pane, / che il gusto delle croste di formaggio / lo aiuti a non star solo come un cane. / Sarà felice ma non è per me, / non mi soddisfa questa povertà. / E croste e sciacquature di caffè / conducono ben presto all’aldilà. / La vita è bella quanti più ce n’è:/ Si vive liberi, si sta da re! / Quel tale rischia il collo per la gloria / quell’altro si rifugia nel Signore, / e fanno grande sfoggio di memoria / per dare un nuovo brivido al lettore. / Ma a tarda sera, quando il sole è giù, / un freddo letto li raccoglierà,/ e mogli sempre piene di vitù,/ e sogni di lontana libertà…/ A questi idioti non dar mai del tu:/ frequenta i dollari, vivrai di più./ Se penso alla grandezza solitaria, / al muso che essa mostra da vicino,/ confesso d’aver fatto cambiar aria, / d’aver mutato strada al mio cammino./ Dietro all’audacia ed alla povertà / stan sempre noie ed amarezze, ahimé!/ Hai visto che cos’è la dignità:/ adesso dacci un taglio e torna in te./ La vita è bella quanti più ce n’è;/ si vive liberi, si sta da re!”

Colpo di scena. Lucy figlia del Capo della Polizia e Polly rivendicano entrambe le promesse d’amore del prigioniero. Ma già altre quattro mogli con rispettiva prole bussano alla porta della prigione dove Mackie nell’attesa ha chiesto perdono all’umanità: “Come, altre quattro mogli? Questo è troppo! Ehi voi dite alle guardie che sono pronto!” – dice il condannato condotto in piazza per l’esecuzione mentre la banda suona la marcia che lo porta al patibolo.

Scrive Giovanni de Rossi: “Tutti i riti del mondo perbene si ripetono qui: dal matrimonio al giudizio in tribunale, all’impiccagione. È un gioco su due piani: la musica di Weill rende evidente, facile, orecchiabile e nello stesso tempo raffinata la scrittura del testo di Brecht; scardina i pilastri tradizionali del melodramma. Così Brecht corrode con l’acido del paradosso le finzioni della virtù borghese in cui amore, amicizia, dignità, durano quanto il danaro”.

Tuttavia tornando all’Opera, essa non può terminare tragicamente. Ricordo qui che si tratta comunque di ‘Opera-ballade’ e come tale non può destare alcuna tristezza, poiché: “Il mondo è una ribalta e ognuno si esibisce come può. Ed anche se qualcuno scrive nella commedia quanta tragedia c’è in quella baldoria la gente non si ferma e sempre sgambettando allegramente va incontro al precipizio della storia”. Infatti, sul finire dell’Opera del Mendicante di John Gay ècco entrano l’attore e il mendicante:

Attore:
“Ma, mio degno amico, spero non vorrete dirmi che Macheath (alias Mackie Messer) sarà impiccato sul serio!
Ma allora questa è una tragedia a fosche tinte.
Evidentemente è uno sbaglio perché un’Opera (ballade) deve essere a lieto fine!”
Mendicante:
“La vostra obiezione, signore è giustissima. È difficile stabilire se nei vizi alla moda, gli uomini di rango imitano quelli della strada o viceversa. Se lo spettacolo fosse rimasto come io lo intendevo, ne sarebbe scaturita un’eccellente morale. Così, come si conviene dico che ‘La vita è scherzo, tutto mostrar lo può, io lo pensavo un tempo, ora lo so”.
Mackie Messer (alias Macheath entra in scena):
“Dunque, a quanto pare, non ho diritto di scelta e per concludere mi devo scegliere una moglie … se posso farlo senza offesa per nessuno, prenderò Polly … e per tutta la vita, sgualdrinella, perché noi ci siamo sposati per davvero”.
Su balliamo! Su cantiamo!
Coro:
“Ma pensa a questa massima e scaccia ogni dolore: il misero di oggi può (potrà) domani essere felice (!?)”.

Né vanno qui dimenticate le prime versioni dell’opera, “Die Dreigroschenoper” titolo originale dell’ ‘Opera da tre soldi’, che credo interessante citare, se non altro per confermare la sua attualità durevole nel tempo, a incominciare dall’allestimento negli anni 50/60 della Wiener Staatsoper diretta da F. Charles Adler con Liane Augustin nella parte di Polly, (Lp Amadeo AVRS 6023). Nonché la versione teatrale di Peter Brook (1952), in seguito ripresa dalla BBC TV (1963), che segnò il debutto canoro di Lawrence Olivier. Inoltre, la versione orchestrata e diretta da Benyamin Britten negli anni ’70, andata in scena al The Royal Opera House Covent Garden di Londra (Registrazione Decca 2009). Ma, ancor prima arrivano almeno due versioni cinematografiche: l’introvabile “Il Masnadiero” (1931) di G. W. Pabst e, quella “Die Dreigroschenoper”, (1962) per la regia di Wolfgang Staudte.

Siamo dunque coscienti di avere di fronte un’Opera di portata internazionale e tuttavia poco rappresentata in Italia e quindi poco apprezzata dal grande pubblico. Pur tuttavia, per quanto possiamo sembrare provincialiagli occhi del resto d’Europa, non disconosciamo le molte interpretazioni eseguite da artisti di grande levatura quali Cathy Berberian che in “MagnifCathy: The many voices of” (Vertigo1971), fa una strepitosa esecuzione di ‘Surabaya Johnny’ (da ‘Happy End’ di K.Weill), mentre in “Nel labirinto della voce” (Ermitage 1983) re-interpreta la “Canzone della schiavitù sessuale” ed altre song a dimostrazione, sempre che ce ne fosse bisogno, delle sue eccezionali qualità canore.

La successiva versione cabarettistica è della bellissima ‘vamp’ della scena jazz e del musical Ute Lemper. “The best of..” (Sony Music 1987) è infatti più di un album in cui sono raccolte numerose canzoni tratte dall’Opera, inoltre a brani ripresi dal repertorio del Berlin Cabaret, da film famosi come ‘All that Jazz’, ‘Cabaret’, ‘Voyager’ ed altre, portate al successo a suo tempo dalla Dietrich e dalla Piaf,per passare poi a ‘Psalm’ di Michael Nyman. Ute Lemper recupera infatti, almeno nei brani di Kurt Weill, quella musicalità jazzistica già affermatasi negli anni del successo dell’Opera da Tre Soldi’ sebbene, rivista ed elaborata secondo le sue possibilità vocali non avulse dalla contaminazione jazz, già ripresa da grandi interpreti come Luois Armstrong ed Ella Fitzgerald, ma anche da cantanti ‘sving’ come Frank Sinatra, Sting e altri.

Dell’ ’Opera da tre soldi’, nella veste teatrale italiana, vanno qui ricordate le messe in scena del ’30: l'8 marzo 1930 Anton Giulio Bragaglia porta a teatro “La veglia dei lestofanti” nella traduzione di Alberto Spaini e Corrado Alvaro al Teatro dei Filodrammatici (Milano); al Teatro Reinach di Parma il 24 marzo successivo ed al Teatro di Torino il 2 aprile 1930. La prima rappresentazione italiana dell' “Opera da tre soldi”, è datata 27 febbraio 1956, e si svolse al Piccolo Teatro di Milano per la regia di Giorgio Strehler. Per l'occasione, lo stesso Bertolt Brecht volle essere presente a Milano. A quello straordinario avveninimento è dedicato un piccolo volume edito da Cappelli (1961) a cura di Giorgio Guazzotti con una fotocronaca della messa in scena di Ugo Mulas. . Il volume si compone – oltre che del copione – di una serie di saggi e di un gruppo di testimonianze rese da coloro che collaborarono con Strelher al triplice allestimento dello spettacolo brechtiano.

Un documento che testimonia dell’impresa che c’è dietro una messa in scena di questa portata, l’arte di un regista che non conosce pari, il lavoro di attori straordinari come Tino Carraro (Mackie Messer), Tino Buazzelli (Signor Peachum), Giusi Dandolo (Signora Peachum), Marina Bonfigli (Polly), Milly (Jenny delle Spelonche), Checco Rissone (Tiger Brown), Ottavio Fanfani nella parte del Cantastorie, e Giancarlo Dettori, Enzo Tarascio, Gigi Pistilli, Ivan Cecchini, Andrea Matteuzzi, Delia Bartoluzzi, Giovanna D’Argenzio, Grazia Antonini, Maria Zanoli, Nicoletta Ramorino.

Le successive riprese dell’Opera, nel 1973 / 74 / 75 videro un grande Domenico Moduglo vestire i panni di Mackie Messer, sempre per la regia di Giorgio Sthreler e la produzione Piccolo Teatro Di Milano. Al Teatro Verdi (Trieste) va in scena nel 2011. A Napoli nel 2012, presente nella rassegna del Napoli Teatro Festival una versione con Massimo Ranieri e Lina Sastri.

Affatto trascurabile è anche l’album apparso in Italia nel 1972 per l’etichetta Jocker (SM3061) in cui Bertolt Brecht canta tre brani tratti dall’Opera: ‘Moritat di Mackie Messer’, ‘Canzone dell’inadeguatezza degli sforzi umani’ di cui è qui sotto riportato il testo:

“Al mondo ormai lo so, / pensare è vano, ahimé!/ La testa fa campare / un pidocchio e niente più,./ Nella vita d’oggi / l’uomo navigar non sa. / L’uomo non sa capire / quello che non va. / Se pensa di andar su,/ che avviene ormai lo so:/ farà un balzetto in alto, / poi cadrà a testa in gi§./ Per la vita d’oggi / non va bene la bontà./ L’uomo che pensa al bello / si rovinerà./ Fortuna e vanità / ionsegui sempre tu! / Le gambe sono corte,/ la fortuna scapperà./ Niente più modestia / nella vita d’oggidì:/ l’uomo e le sue illusioni / crepano così. / Se vuoi cambiarlo un po’ / dà all’uomo un colpo qui./ È certo che la botta / al suo cervello gioverà./ Dato poi che oggi / l’uomo buono, no non va / picchialo pure in testa,/ forse guarirà”.

Altra messa in scena originale è la brillante versione brasiliana l’ “Opera do Malandro” (1974) adattata da Chico Buarque con uno stuolo di cantanti e musicisti rigorosamente brasiliani e tutti di primissimo piano: il Gruppo MPB/4, Nara Leao, Zizi Possi, A Cor do Som, Gal Costa, Joao Nogueira, Moreira da Silva e tantissimi altri che nello spettacolo contornano ‘O Malandro’ interpretato dallo stesso Chico Buarque a teatro. Il testo dell' “Opera do Malandro ” prendeva spunto da entrambe le opere conosciute in Portogallo e Brasile, ovvero dall' “Opera dos Mendigos” di John Gay e dall' “Opera de Tres Vintens” di Bertolt Brecht e Kurt Weill. Il progetto nacque da un'analisi delle opere citate condotta da Luis Antonio Martinez Correa, con la collaborazione di Mauricio Sette, Marieta Severo, Rita Murtinho e Carlos Gregório. L'equipe cooperò alla realizzazione del testo finale attraverso letture, critiche e suggerimenti.

Un secondo adattamento fu realizzato da Chico per il film “Opera do Malandro” nel 1979, in cui l’autore prende visione della situazione politica e trasferisce l’Opera nel 1941, allorché il governo brasiliano appoggiò il regime filo nazista contro l’opposizione popolare. In questa nuova versione l’Opera torna a mostrare in sé l’impegno poetico e civile delle origini, ben sottolineate dall’autore Chico Buarque De Hollanda. Oggi rintracciabile sul mercato discografico il doppio album (Philips Lp’s 6349.400/401) dal quale è tratta la canzone che segue:

“O Malandro”
O malandro/Na dureza
Senta à mesa/Do café
Bebe um gole/De cachaça
Acha graça/E dá no pé
O garçom/No prejuízo
Sem sorriso/Sem freguês
De passagem/Pela caixa
Dá uma baixa/No português
O galego/Acha estranho
Que o seu ganho/Tá um horror
Pega o lápis/Soma os canos
Passa os danos/Pro distribuidor
Mas o frete/Vê que ao todo
Há engodo/Nos papéis
E pra cima/Do alambique
Dá um trambique/De cem mil réis
O usineiro/Nessa luta
Grita(ponte que partiu)
Não é idiota/Trunca a nota
Lesa o Brasil/Do Brasil
Nosso banco/Tá cotado
No mercado/Exterior
Então taxa/A cachaça
A um preço/Assustador
Mas os ianques/Com seus tanques
Têm bem mais o/Que fazer
E proíbem/Os soldados
Aliados/De beber
A cachaça/Tá parada
Rejeitada/No barril
O alambique/Tem chilique
Contra o Brasil/Do Brasil
O usineiro/Faz barulho
Com orgulho/De produtor
Mas a sua/Raiva cega
Descarrega/No carregador
Este chega/Pro galego
Nega arreglo/Cobra mais
A cachaça/Tá de graça
Mas o frete/Como é que faz?
O galego/Tá apertado
Pro seu lado/Não tá bom
Então deixa/Congelada
A mesada/Do garçom
O garçom vê/Um malandro
Sai gritando/Pega ladrão
E o malandro/Autuado
É julgado e condenado culpado
Pela situação.

Al cinema in DVD appartengono altre due versioni in chiave di musical-drama, quella firmata da Jonathan Miller (1983) e la English Baroque Soloists diretti da Sir John Eliot Gardiner, con Roger Daltrey (Macheath), Stratord Johns (Mr Peachum), Patricia Routledge (Mrs Peachum), Carol Hall (Polly), Bob Hoskins (Beggar), Peter Baykiss (Lockit) e Rosemary Ashe (Lucy Lockit), con le coreografie di Sally Gilpin, che tuttavia vale la pena d’esser visionata in ragione degli interpreti tutti inglesi e la figura in sé ‘buffa’ dell’interprete: Roger Daltrey (The Who).

L’altra, più recente, è la trasposizione all'insegna della commistione tra classico e pop che ne ha fatto Lucio Dalla, su musiche dello stesso Dalla, andata in scena al Teatro Duse di Bologna (2008), giocata sull’espressività gestuale degli attori che si rifanno alla Commedia dell’Arte (senza maschere). L'azione infatti si sposta dai bassifondi della Londra del Settecento alla Bologna di oggi. Infatti i personaggi parlano in bolognese, romanesco, napoletano. Mr. e Mrs. Peachum (il nome è tradotto con Speja, cioè spia, in dialetto). Lo spettacolo prodotto da Giuseppe Grazioli, nella versione italiana di Giuseppe Di Leva che ne ha curato la drammaturgia, si avvale di giovani e pur bravi attori come Marco Alemanno (Mendicante), Peppe Servillo (Speja – Peachhum), cantante degli Avion Travel nonché attore finissimo, e Angela Baraldi (Signora Speja-Peachum), voce storica del rock bolognese; Eleonora Buratto (Polly), Borja Quiza (Capitan Uccello – Capitano Macheath). Come egli stesso ha dichiarato, Trattasi di «Una delle avventure più divertenti e stimolanti in cui mi sono tuffato. Un'opera dal linguaggio assolutamente moderno, nonostante sia stata scritta trecento anni fa»; ha detto Lucio Dalla che ha firmato questo divertissement in musica ambientandolo tra Napoli e Bologna.

A tale proposito viene spontanea una citazione tratta dal libro di Claudio Vicentini: “L’arte di guardare gli attori” (Marsiglio 2007), un manuale pratico scritto per gli spettatori di teatro, cinema e televisione che presenta quelli che sono i criteri per riconoscere gli stili degli attori e scoprire le tecniche (i trucchi) che usano sul palcoscenico e sul set e, che lo crediate o no “..sono poi incapaci di usare nella vita” – aggiungo io che scrivo, e che ho più volte scorso per addentrarmi nelle interpretazioni degli attori nelle mie racensioni. Ma si può chiudere un siffatto articolo e una così straordinaria ricerca di testi e di immagini, con una semplice seppur furbesca citazione? Certo che no. Così come nella Commedia dell’Arte era in uso proporre più d’un finale che assecondasse gli umori del pubblico presente, anch’io voglio qui chiudere con un finale abbordabile, che di sicuro farà presa su chi mi sta leggendo. Un finale all’insegna dell’amore, tratto dall’Opera do Malandro di Chico Buarque, che la sa lunga sulla questione: se non altro per le tante ‘belle’ canzoni appassionate che ci ha regalate nel tempo: e che, guarda caso, riprende da lì dove Gay/Peachum e Brecht/Weill ci avevano lasciati:

“Viver Do Amor”
Pra se viver do amor
Há que esquecer o amor
Há que se amar
Sem amar
Sem prazer
E com despertador
- como um funcionário

Há que penar no amor
Pra se ganhar no amor
Há que apanhar
E sangrar
E suar
Como um trabalhador

Ai, o amor
Jamais foi um sonho
O amor, eu bem sei
Já provei
E é um veneno medonho

É por isso que se há de entender
Que o amor não é um ócio
E compreender
Que o amor não é um vício
O amor é sacrifício
O amor é sacerdócio
Amar
É iluminar a dor
- como um missionário.


Da 'Vita di Galileo' (1963) a 'L’anima buona di Sezuan' (1981), da 'La storia della bambola abbandonata' (1976) all’esperienza del 'Festival Brecht' nell’autunno del 1995, Brecht è per Giorgio Strehler un riscontro continuo e costante nel suo rapporto con la società. Anche il Piccolo del terzo millennio non interrompe la relazione con il drammaturgo di Augsburg: Robert Carsen con 'Madre Coraggio e i suoi figli' (2006) e Luca Ronconi con 'Santa Giovanna dei macelli', unica messinscena brechtiana della sua carriera nel 2012, aggiungono ulteriori tasselli al mosaico brechtiano. Brecht, in sessant’anni di storia, da autore contemporaneo si è confermato un classico della letteratura occidentale. Il rapporto tra Brecht e il Piccolo è strettamente legato agli accadimenti che hanno segnato profondi cambiamenti nel mondo. Una cronologia essenziale – proiettata sulla parete a destra dell’ingresso nel locale multimediale – rievoca il contesto in cui gli spettacoli sono stati concepiti. In questa scansione temporale compaiono anche date e tappe essenziali nella storia del Politecnico di Milano, partner del Piccolo nella creazione del progetto, a testimoniare come la storia delle due Istituzioni da sempre scorra in parallelo, in una stretta interconnessione con la società in cui entrambe operano.

In scena al Piccolo Teatro Strehler dal 19 aprile al 11 giugno 2016, "L’opera da tre soldi" di Bertolt Brecht, per la traduzione di Roberto Menin, vede impegnato alla regia Damiano Michieletto che ne ha tradotto tutte le canzoni sulle musiche originali di Kurt Weill; e con Giuseppe Grazionli alla direzione d'orchestra.

"DIE DREIGROSCHENOPER" - L'Opera da Tre Soldi
Edizione del testo: Suhrkamp Verlag, Berlino
Edizione musicale: Universal Edition, Wien /rappresentante per l’Italia Casa Ricordi, Milano
scene Paolo Fantin, costumi Carla Teti
luci Alessandro Carletti, movimenti coreografici Chiara Vecchi
Personaggi e interpreti:
Un cantastorie Giandomenico Cupaiuolo
Mackie Messer Marco Foschi
Jonathan Jeremiah Peachum Peppe Servillo
Celia Peachum Margherita Di Rauso
Polly Peachum Maria Roveran
Jackie “Tiger” Brown Sergio Leone
Lucy Stella Piccioni
Jenny delle spelonche Rossy De Palma
Mathias Pasquale Di Filippo
Jakob Claudio Sportelli
Jimmy Martin Chishimba
Ede Jacopo Crovella
Robert Daniele Molino
Walter Matthieu Pastore
Reverendo Kimball Luca Criscuoli
Molly Sara Zoia
Vixen Lucia Marinsalta
Betty Sandya Nagaraya
Dolly Giulia Vecchio
Filch/Smith, carceriere Lorenzo Demaria

Con l'Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi produzione Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa.

In occasione dei 60 anni di teatro del Piccolo di Milano, “L’opera da tre soldi” è stato inserito nel palinsesto tematico ‘Ritorni al futuro’ che il Comune di Milano propone per la primavera culturale del 2016. Parliamo dunque de L’Opera da tre soldi – spiega Damiano Michieletto : « Solo nella prossima stagione, oltre alla nostra, ne saranno prodotte edizioni a Vienna, in Germania, in Francia, a Salisburgo… Come dire, i termini di paragone con cui confrontarsi, per un regista, sono numerosissimi, ma soprattutto in continuo divenire, poiché inesauribili sono i tentativi di approccio a quest’unicum della storia del teatro occidentale». La storia, tratta dalla Beggar’s Opera, "L’opera del mendicante", che l’inglese John Gay scrisse nel 1728 venne tradotta dall’inglese al tedesco da Elisabeth Hauptmann, storica collaboratrice di Brecht, che suggerì allo scrittore una riscrittura in chiave contemporanea. «Senza la Hauptmann oggi non avremmo L’Opera da tre soldi – continua Michieletto – e mi pare opportuno ricordare anche il suo ruolo di eccellente dramaturg, troppo spesso offuscato dalla presenza di due colossi come Brecht e Weill». Ma come sarà L’Opera da tre soldi di Damiano Michieletto? «Proprio perché il testo, in partenza, si presta ad essere letto da tanti punti di vista - penso a chi si è inserito nel solco tracciato dal marxista Brecht e a chi, all’opposto, ha scelto il puro entertainement del musical di Broadway - la mia idea è mettere l’Opera sotto processo, guardarla sotto una lente d’ingrandimento. Il fulcro è il processo a Mackie Messer, che diventa il filtro attraverso il quale leggere la storia e al tempo stesso comprenderla. È un tentativo di smontare il racconto e rimontarlo secondo una circostanza precisa, in grado di creare il necessario distacco analitico. Sarà un lavoro sui personaggi svolto su un costante dislivello recitativo, dove la canzone crea un’ulteriore e prepotente spaccatura con il tessuto e le circostanze della vicenda».

Nota:
Domenica 3 aprile 2016 Damiano Michieletto ha ricevuto il prestigioso Olivier Award per il dittico ‘Cavalleria rusticana’ e ‘Pagliacci’ andati in scena alla Royal Opera House di Londra.

E inoltre:
‘RovelloDue’ onora i 60 anni di Teatro al Piccolo":
Dal 15 aprile al 12 giugno 2016 lo spazio multimediale RovelloDue ospita la videoinstallazione interattiva 1956-2016 Brecht 60 anni di Teatro al Piccolo aperta da martedì a domenica ore 15-20, ingresso libero. Sessant’anni di Brecht al Piccolo sono raccontati attraverso sei parole chiave – Conoscenza, Umanità, Giustizia, Guerra, Lavoro, Potere – emblematiche del lavoro e della poetica dello scrittore tedesco. Ogni parola è illustrata attraverso contributi audiovisivi e fotografici tratti dagli spettacoli brechtiani prodotti dal Piccolo Teatro di Milano nell’arco di tempo che va dal 1956 ai giorni nostri. Dei 27 allestimenti di testi di Brecht, o tratti da Brecht, realizzati al Piccolo, 14 portano la firma di Giorgio Strehler, a partire dalla sua versione de L’opera da tre soldi che debuttò in via Rovello il 10 febbraio del 1956, alla presenza dello stesso autore. Fu la scintilla che avrebbe innescato un racconto destinato non solo a non interrompersi mai, ma a tornare, periodicamente, nella storia del Piccolo Teatro, in un continuo gioco di sponda con la contemporaneità.

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Rocco Papia e il suo Brasile a 7 corde

'ROCCO PAPIA': E IL SUO BRASILE A 7 CORDE.

SABATO 16 APRILE ore 22.30
Rocco Papia, chitarra 7 corde con ospite a sorpresa .

Come un conto alla rovescia, dopo gli ensamble, le band, i sestetti, quintetti, quartetti, i trio e i duo ecco "SoloPapìa": una navigazione musicale nuova, in solitario.

Nel concerto i racconti delle musiche e dei progetti degli ultimi anni: il Brasile erudito di Egberto Gismonti e di Guinga, lo choro, il tango ed il jazz, l'amore -a distanza- per il flamenco ma anche le sperimentazioni sonore delle esperienze con il teatro...

"E attraverso e sopra tutto questo le mie composizioni, itinerari e mappe della mia geografia musicale."

ROCCO PAPIA è chitarrista e compositore in progetti di musiche originali tra musiche del mondo e jazz. Dà vita al gruppo Jacaré, Circolo Odeòn, Arduo e molti altri. Ha suonato e suona con Alberto Capelli, Tim Trevor-Briscoe, Marco Frattini, Gabriele Mirabassi, Daniela Spielmann, Carlo Maver, Cristina Zavalloni, Sergio Krakowski…
Ha suonato in Brasile con Chico Cèsar (a São Paulo) e con molti altri a Rio de Janeiro, dove ha conosciuto e approfondito la chitarra 7corde, suo strumento principale. Compone per teatro, video e collabora con Teatrodimpresa nella formazione del lavoro, con la compagnia Teatro a Molla nell’ambito dell’improvvisazione teatrale e con Teatroeducativo negli spettacoli per ragazzi. Conduce laboratori si sensibilizzazione alla musica e di costruzione strumenti musicali con materiali di riciclo presso il centro ReMida Bologna_Terre d’acqua. Attualmente vive a Barcellona e suona la chitarra 7corde.
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O ciecho mondo.. - laude in tempore paschali

‘O CIECHO MONDO …’- laude in tempore paschali

Dal ‘Codice Musicale Panciatichi 26’, folio 65 recto (Sec. XV) della Biblioteca Nazionale di Firenze. Su musica di Jacopo da Bologna, incluso nel ‘Instrumental-Variation’ del Codex Faenza Biblioteca Comunale Ms 117 (Sec. XV).

‘O ciecho mondo di lusinghe
pieno
Mortal veleno in ciascun
tuo dilecto
Fallace pien d’inganni e
con sospetto
Però giàmai dite colui non
curi
Che’l frutto vuol gustar di
dolci fiori
Foll’è colui c’ha te diriga’l
freno
Quando a per men che
nulla quel ben perde
che sopra ogni altre amor
luç’è sta verde
Però … ‘

Da il ‘Primo Libro delle Laudi Spirituali a tre voci’ – Roma 1585

‘Chi vuol seguir la guerra
per far del Ciel’acquisto
su levisi da terra
e venga à farsi cavallier di
Christo.
Tu dolce mio Signore
perch’io non fussi vinto
soffristi ogni dolore
e’in campo aperto rimanesti
estinto.
Et io per te ne foco
sopporto ne flagello
ma tempo un picciol gioco
de fanciulli che dican’vello
vello.
Or che grave cordoglio
lo scudo che gittai
hoggi ripigliar voglio
ripigliar voglio e non
lasciarlo mai’.

Da ‘Tutti li otto toni a falso bordone’ di Vincenzo Ruffo – Vineggia 1578

‘Giorno orrendo ch’in faville
disfarà campagne e ville
scrive’l Re con le Sibille.
Alme che gran terrore
darà’l Giudice’n furore
giudicando con rigore.
Raccorrà l’orribile Tromba
tutti i morti d’ogni tomba
al Giudizio con gran romba.
Stupirà Morte e Natura
nel resurger Creatura
dall’antica sepoltura.
O tremenda Maestade
che l’uom salvi per bontade
salva me per tua pietade…
Tribunal di punizione
dona à me remissione
nanzi al dì, di far ragione.
Maddalena tu assolvestii
al Ladron pietate avesti
et à me speranza desti.
Condennate i maladetti
et al fuoco eterno strette
chiama me fra’ Benedetti.
Ch’io non sia all’eterno danno
condennat’in tanto affanno
quandoi morti surgeranno.
Et in quel giorno angoscioso
o Giesù giusto e pietoso
dona a lor pace e riposo’.

Il ‘Codex Faenza’ è un codice musicale manoscritto del XV secolo contenente una della più antiche collezioni di musica per tastiera al mondo è attualmente conservato alla Biblioteca comunale di Faenza; contiene 52 intavolature a due voci. La maggior parte delle composizioni sono adattamenti di pezzi vocali italiani e francesi della fine del secolo XIV di compositori celebri come Francesco Landini, Guillaume de Machaut e Jacopo da Bologna, oltreché alcuni brani di anonimi. Di alcuni pezzi si è persa la parte vocale, resta quindi la sola parte per tastiera. La maggiore parte dei pezzi trattano temi profani, ma figurano anche tematiche religiose, come un adattamento della ‘Missa Cunctipontens genitor Deus’.

Il ‘Manoscritto Panciatichi 26’ della Biblioteca Nazionale di Firenze tra le testimonianze del Trecento musicale italiano giuntici maggiormente integri, noto da sempre e da subito riconosciuto come uno dei più antichi – come qui di seguito illustra lo studioso Stefano Campagnolo – si allarga progressivamente in senso retrospettivo a comprendere i principali autori toscani del XIV secolo, per concludersi con una collezione di cacce e madrigali canonici. Pur facendo fede a un ordinamento per generi e autori, ma non cronologico di quella che inizialmente sembra essere una collezione delle musiche di Landini. Più esattamente, si succedono, con studiata disposizione, dapprima le ballate di Landini a due voci (I e II fascicolo) e quelle a tre (III e IV), seguite da suoi madrigali e quelli di Giovanni da Cascia (V), con i quali si apre una sezione miscellanea dove troviamo mescolate insieme una lunga e omogenea sequenza di opere di Jacopo da Bologna e pezzi dei fiorentini Lorenzo Masini, Donato, Gherardello e ancora un madrigale di Landini. Inframmezzate anche da singoli componimenti di Ser Feo e Nicolò del Preposto; due composizioni anonime su testo francese e due su testo italiano e, inoltre, un fascicolo nel quale sono riuniti in maggioranza cacce e madrigali a canone; fascicolo che costituisce la più ricca selezione esistente del genere.

«La letteratura delle laude contiene musica per una o più voci e i testi sono in lingua volgare. Le laude sono state cantate dal Duecento in poi, nelle riunioni dei cosidetti ìlaudesi’, i ‘Disciplinati di Gesù Cristo’. Queste vonfraternite furono fondate a Perugia da Ranieri Fasani nel 1258 ed erano formate da semplici artigiani, la struttura sociale dei laudesi assomigliava alle ‘gilde’ tedesche. Erano molto popolari nell’Italia del Quattrocento e Cinquecento. La sola Perugia, all’inizio del quindicesimo secolo, contava più di 40 laudesi. A Firenze, alla fine del ‘500, c’erano 137 confraternite. Nel Seicento e Settecento la tradizione dei laudesi continuò nella ‘Congregazione dell’Oratorio’ , fondata da Filippo Neri (!515-1595), nel corso della controriforma quale ordine di sacerdoti secolari.» - scrive Paul van Nevel nell’introduzione al libretto di “Die Italienische Lauda C.1400-1700”.

Nel centro delle riunioni dei laudesi stavano la parola e la musica. i testi delle canzoni, in lingua semplice, figurativa e forte, trattano della morte, del giudizio universale, della fugacità della vita terrena. Oltre alle canzoni con testi estratti dal nuovo testamento si trovano anche inni a Maria e canti processionali. La musica delle laude commuove con la sua semplicità ed è chiaramente strutturata. Sillabico e omofono è lo stile, specialmente nel repertorio di laude del ‘400 e ‘500. Le laude del Trecento invece sono composti nello stile del secolo, con ricche linee melismatiche di melodia, le quali ne sottolineano la complessità. I laudesi usavano anche il cosidetto ‘travestimento spirituale’, canti popolari erano alla base dei testi delle laude. Le prime raccolte di laude tra il 1480 e il 1512, non hanno nessuna musica notata. Ogni laude infatti, porta l’indicazione: ‘Cantarsi come..’ sull’aria di una più erudita lauda latina, o di una ben nota melodia, o anche, di una ballata in voga. Quelle qui raccolte, stranamente contengono accanto al testo semplice, reminescenze di arie oratoriane, marcate da una lirica spontanea e sincera che ha le sue radici nella colorita tradizione polifonica a più voci, più spesso desunta dall’accompagnamento strumentale popolare tipicamente italiano. Difatti alle riunioni dei laudesi erano sempre presenti alcuni strumenti, i quali, pur rappresentati sulle pagine miniate dei codici, in realtà erano proibiti negli ambienti ecclesiastici d’allora.

La scelta di ‘O ciecho mondo..’ non è casuale, la cui rilettura in tempi come quelli attuali, vuole riferire del ricorrere nella storia di momenti eguali ad altri di passata memoria che dovrebbero far riflettere sulla caducità dell’esistenza umana, sulla transitorietà della breve vita che ci accomuna tutti in un’unica ‘realtà’ possibile che non va sprecata. Troppe sono le contrarietà cui soccombiamo ogni giorno: violenza, fame, incidenti, mortalità infantile, stupri, diffamazioni, che stravolgono la troppa fragilità dei sentimenti per i quali stiamo al mondo come la pace, la fratellanza, l’amore. Quell’amore che si vuole un giorno ‘salverà il mondo’ ma del quale non si vede che qualche misera traccia subito cancellata dai turbinosi venti di guerra e dagli attentati terroristici che spazzano via la speranza, che non va mai taciuta, in un mondo migliore.

‘O ciecho mondo …’

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A spasso per borgo felline - Lecce


Leggete cosa si sono inventati i nostri amici Pugliesi, hanno creato un sito per 'camminare' e 'leggere' insieme in mezzo alla natura:

"A spasso per il borgo di Felline, dalla piazza al frantoio tra racconti e sorsi di vino" - Felline (LE) 20/3/2016 ore 16.30‏

La primavera sta per aprire le sue porte e ci introdurrà presto in una stagione piena di incontri e passeggiate lungo itinerari inediti. I borghi del Salento, come scatole di latta, continueranno a svelare storie ed esperienze inaspettate.

Domenica pomeriggio 20 marzo, si andrà per i vicoli di Felline (Le). Il paese, tracciato in parte dalle antiche mura, custodisce il castello, la chiesa Matrice e le case a corte, abitazioni nate intorno ad uno spazio comune, tessuto sulle tipiche relazioni di vicinato tra gli abitanti. Nella piazza, il tempo scorre scandito dai rintocchi dell'orologio pubblico mentre anziani si dilettano tra una partita a carte, una gassosa e quattro chiacchiere. Nel paese, un vecchio garage ospita un progetto in chiave musicale mentre un antico frantoio ipogeo conserva le tracce della sua passata funzione di produttore di olio di oliva. L'enoteca Vite Colta invece avvolge con il suo buon vino e la sua accogliente ospitalità. Abitanti del posto, appassionati e studiosi locali, guideranno i camminanti in questa scoperta.

Appuntamento dunque a Felline (Le), presso il parcheggio della chiesa di San Leucio alle ore 16.30. L'itinerario si sviluppa nel centro storico lungo un percorso di facile percorribilità, tuttavia si consigliano scarpe comode.

Dopo la passeggiata Marta Cesi, proprietaria della cantina “Dei Agre” (www.deiagre.it) ci farà degustare il suo vino presso la deliziosa enoteca “Vite Colta”.

Per chi volesse fermarsi anche a cena nel delizioso “Borgo del Buon Vivir” può contattare Marta per info e prenotazioni al numero 3487792184.

L'iniziativa è organizzata da La Scatola di Latta in collaborazione con: Tagpress, LeTesidelSalento, il blog culturale “In Parole Semplici”, Music club Settima Più, Enoteca Vite Colta e Associazione Felline Officina Turistica.

Partecipazione gratuita. NON OCCORRE PRENOTARSI.

Info 3395920051 o scatoladilatta2014@gmail.com o via facebook

Pronti ad accogliere poesia, fotografia, musica di strada. Spazio anche ai laureati salentini in tutto il mondo che vogliano raccontare i propri lavori di tesi in maniera originale.

Chi partecipa all’evento solleva da qualsiasi responsabilità diretta o indiretta il gruppo spontaneo della Scatola di Latta.

https://www.facebook.com/events/1711757949093682/

Prossime passeggiate previste: Domenica 3 aprile a Melpignano (LE) - Domenica 10 aprile a Salve (LE)

APS La Scatola di Latta
Promuoviamo azioni di CulTurismo Sociale ed Ambientale

https://associazionelascatoladilatta.wordpress.com (iscriviti alla newsletter)
https://www.facebook.com/apslascatoladilatta (clicca mi piace)

scatoladilatta2014@gmail.com - Josè Pascal cell. 3395920051

In parole semplici/In Simple Terms - Scatola di latta virtuaculturale/A virtuacultural Tin Box

"Ogni testo ha un’anima, un pensiero, una storia che merita la massima attenzione e una dedicata cura / Every text has a soul, a thought, a story that deserves the utmost attention and care "

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Suono e Fervore - workshop org.ne di francesco giannico


Suono e Fervore - workshop
dal testo al suono, al paesaggio e di nuovo al suono…

a cura di Francesco Giannico con il prezioso contributo di Emanuele Tonon e l’ospitalità di Zaum

E’ possibile creare ex-novo un paesaggio sonoro partendo da un testo letterario e contaminarlo con suoni sintetici, stravolgerlo attraverso l’utilizzo di riverberi, di filtri e delay?

Il workshop ‘Suono e Fervore’ nasce intorno alle suggestioni acustiche ispirate dal nuovo libro ‘Fervore’ dello scrittore Emanuele Tonon (Mondadori).

Il testo richiama infatti alla mente del lettore numerose sensazioni uditive non necessariamente ascrivibili alla retorica musicale quanto piuttosto ad una prassi descrittiva intima e personalissima che comprende evidentemente anche la percezione degli universi sonori dell’autore. Nessuna onomatopea dunque, nessuna assidua ricerca metrica e retorica ma semplicemente un riscoperto interesse verso l’oggetto “suono” grazie all’ausilio del testo.

Suono e Fervore è dunque un workshop in ecologia acustica che parte dal testo di Tonon per andare a caccia di suoni in città con registratore digitale alla mano; naturalmente le vittime designate sono i suoni attinenti al mood del romanzo. Per evitare di raccogliere qualunque cosa pertanto ci sarà un iniziale momento di lettura collettiva in cui condividere gli obbiettivi del lavoro.

Dopo la fase di raccolta si procederà all’editing del materiale sicché tutti i campioni audio saranno utilizzati in serata durante una performance elettroacustica in cui il tutor Francesco Giannico manipolerà le registrazioni dei partecipanti chiamati in questa fase conclusiva in veste di lettori di alcuni degli estratti di Fervore che hanno ispirato tutto il processo creativo.

A seguire un incontro finalmente con l’autore del libro, lo scrittore Emanuele Tonon per approfondire ulteriormente la conoscenza di questo nuovissimo lavoro.

IL TUTOR Francesco Giannico http://www.francescogiannico.com/

Musicista elettroacustico, co-fondatore dell’Archivio Italiano dei Paesaggi Sonori e dell’etichetta ambient Oak Editions. Laureato in musicologia e specializzatosi in design e new media, si occupa da anni di ricerca sul suono e il suo ruolo nelle relazioni umane. Si è esibito o ha esposto presso: SOUNDFJORD – London with AIPS Collective (Postcards from Italy) // MACRO MUSEUM in Rome (‘Sleephonia’ with A.Ballerini) // FONDAZIONE CERERE (‘Chronicles’ with A.Ballerini) // MADRID MUESTRARTE EXPOSICION COLLECTIVA (‘Locus Solus’ project with Nicola Colonna) // MAXXI MUSEUM in Rome // RAI RADIO 3 LIVE // BERLIN MADAME CLAUDE // ROMA – MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Sapienza Università, CINEPORTo Bari Apulia Film Commission. Museo del Ferro Magma a Follonica.

Di seguito il programma della giornata di lavoro:

MATTINO 10-12 (il paesaggio sonoro - gruppo di lettura)
- definizione di paesaggio sonoro, utilizzo di registratori digitali e tecniche di microfonazione, gruppo di lettura su alcuni estratti di “Fervore” per estrapolare le parti più oggettivamente legate al suono.

TARDA MATTINATA 11-13 (la passeggiata sonora o soundwalk)
-la città è il serbatoio sonoro da cui attingere, il gruppo affronterà con registratore digitale alla mano il percorso che riterrà più opportuno per raccogliere il maggior numero possibile di suoni legati al testo

POMERIGGIO 16-18 (sound editing sul materiale raccolto)
-ciascuno col proprio portatile edita i campioni audio raccolti e che verranno riutilizzati in serata dal vivo

SERA 20-21 (performance elettroacustica/reading + presentazione di ‘Fervore’: https://www.facebook.com/events/1694251960787526/)

Iscrizioni
Il workshop è aperto a tutti per un massimo di 15 iscritti, non occorre avere conoscenze musicali specifiche.
-per la fase di editing è preferibile che ogni partecipante porti il proprio notebook e un paio di cuffie, i software (licenza creative commons) verranno forniti dal docente.

Info Iscrizioni: libreria.zaum@gmail.com
Info sul workshop: info@francescogiannico.com- 349/5012612

Suono e Fervore - WORKSHOP IN ECOLOGIA DEL SUONO
ven 1 aprile, 10:00 CEST
Via Cardassi, 85
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’30 anni premio lorenzo montano

PREMIO DI POESIA 'LORENZO MONTANO' EDIZIONE DEL TRENTENNALE

Dedicato quest'anno a tutti i poeti che desiderano promuovere la propria poesia più significativa. Ogni poeta sa che tra i propri testi c’è una poesia che lo rappresenta compiutamente; una poesia che costituisce un momento privilegiato della sua ricerca poetica, da scegliere nella produzione letteraria una poesia che proprio nell’unicità trova la sua ragione.
La Giuria del Premio sarà lieta di leggerla e valutarla nella sezione “Una poesia inedita”. Al vincitore sarà attribuito – grazie alla partecipazione dalla Prima Circoscrizione di Verona – un premio in denaro, nel corso del Forum che come ogni anno si terrà in autunno presso la Biblioteca Civica di Verona.

Info:
http://www.anteremedizioni.it/xxx_edizione_premio_lorenzo_montano
Per ulteriori informazioni: direzione@anteremedizioni.it

È disponibile il bando del Premio Lorenzo Montano, giunto quest’anno alla XXX edizione.
Promosso e organizzato dalla rivista “Anterem”, il Premio si articola in cinque sezioni: “Raccolta inedita”, “Opera edita”, “Una poesia inedita”, “Una prosa inedita”, “Opere scelte”.

I poeti vincitori, finalisti e segnalati leggeranno i propri testi nel corso del Forum Anterem 2016, manifestazione che coinvolgerà musicisti, editori di poesia, critici letterari e filosofi, esponenti di siti web e riviste specializzate.
In occasione del trentennale del Premio, sono in programma eventi di rilievo.
Per ogni sezione sono previsti rilevanti riconoscimenti sia editoriali sia in denaro.

Giuria del Premio: Giorgio Bonacini, Laura Caccia, Davide Campi, Mara Cini, Flavio Ermini, Marco Furia, Rosa Pierno, Ranieri Teti.

Inoltre è destinato dalla Giuria del Premio a un autore che abbia contribuito con il suo lavoro ad ampliare i percorsi di conoscenza che tendono alla verità poetica nella contemporaneità.
Grazie alla decisiva partecipazione della Regione Veneto, allo scrittore viene riconosciuta la pubblicazione, da parte di Anterem Edizioni, di una raccolta di testi selezionati tra le sue opere edite e inedite. Il lavoro viene introdotto da un’ampia riflessione critica.

CERIMONIE E PREMIAZIONI
I poeti vincitori, finalisti e segnalati
leggeranno i propri testi nel corso
del Forum Anterem 2016,manifestazione che coinvolgerà musicisti, editori di poesia, critici letterari e filosofi, esponenti di siti web e riviste specializzate.
Per ognuno di questi autori i giurati del premio scriveranno una riflessione critica,che sarà letta nel corso dello stesso Forum e successivamente pubblicata, insieme ai relativi testi, sul periodico on-line “Carte nel Vento”.
Prodotto da Anterem Edizioni, il periodico troverà spazio sul sito
www.anteremedizioni.it
La Giuria del Premio si riserva inoltre di designare per ogni sezione gli autori che saranno ritenuti meritevoli di menzione.
Tutte le opere pervenute al Premio saranno catalogate e conservate,
insieme ai manoscritti e ai volumi dei poeti contemporanei più significativi, presso il Centro di Documentazione sulla Poesia Contemporanea “Lorenzo Montano” della Biblioteca Civica di Verona, a disposizione dei critici, degli storici della letteratura e degli appassionati di poesia.
Il compositore Francesco Bellomi, docente del Conservatorio di Milano, dedicherà un brano
musicale a ciascuna delle opere vincitrici.
Le musiche verranno eseguite durante la cerimonia di premiazione, oltre che essere compendiate sul sito
www.anteremedizioni.it
e su www.youtube.it

MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE
L’invio dei materiali può essere effettuato via e - mail oppure per posta tradizionale entro il 15 aprile 2016.
Spedizione via e-mail: le opere vanno inviate con documento salvato in Word o in RTF o in PDF.
Su documento a parte va inviata la nota biobibliografica del poeta con indirizzo,recapito e-mail e telefonico.
L’invio va effettuato all’indirizzo di posta elettronica:
premio.montano@anteremedizioni.it
Spedizione per posta tradizionale: le opere vanno inviate in tre copie alla sede del Premio, in via Sansovino 10 -37138 Verona, Italia.
Su ciascuna delle tre copie va riport
ata la nota biobibliografica del poeta con indirizzo, recapito e-mail e telefonico.
Per partecipare al Premio è necessario iscriversi all’Associazione senza fini di lucro e per la promozione sociale Anterem.

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Terminillo Film Festival - dal 3 al 7 febbraio 2016

TERMINILLO FILM FESTIVAL - 3/7 febbraio

'La commedia in alta quota'

 

Articolo di Vittoria Scarpa - CINEUROPA 28/01/2016 -

Appuntamento dal 3 al 7 febbraio con la prima edizione del festival dedicato alla commedia e alla montagna, diretto dall’attore Francesco Apolloni. Una settimana bianca ricca di proiezioni, anteprime e incontri con molti protagonisti del cinema italiano: è il Terminillo Film Festival, la cui prima edizione si terrà nella località sciistica in provincia di Rieti, vicino Roma, dal 3 al 7 febbraio 2016. Ideato da Alessandro Micheli e dall’attore Francesco Apolloni, che ne è anche il direttore artistico, l’evento celebra la commedia italiana. “Un festival trasversale, che va dal cinepanettone a maestri come Ettore Scola, passando per le nuove leve del web e la fantasy comedy”, ha spiegato Apolloni presentando il programma ieri a Roma.

 

Si partirà mercoledì 3 febbraio con 'Vacanze di Natale' alla presenza di Enrico Vanzina, “un omaggio al capostipite dei cinepanettoni” precisa il direttore artistico. Gli altri film in programma sono 'Ridendo e scherzando', documentario di Paola e Silvia Scola in omaggio al padre Ettore, cui il festival è dedicato; la rivelazione dell’ultimo Festival di Roma 'Lo chiamavano Jeeg Robot', alla presenza del regista Gabriele Mainetti e del protagonista Luca Marinelli; l’esordio sul grande schermo delle webstar 'The Pills' con 'Sempre meglio che lavorare'. Verranno inoltre proiettate alcune scene del nuovo film di Paolo Genovese, 'Perfetti sconosciuti' (in arrivo nelle sale l’11 febbraio).

Tredici opere in concorso, tra cortometraggi, web series e cinephone (mini film realizzati con uno smartphone), animeranno i pomeriggi del festival. Si segnala inoltre, sabato 6 febbraio, la tavola rotonda CommediAMO, moderata dalla presidente SNGCI Laura Delli Colli, un incontro con alcuni tra i più popolari protagonisti della commedia made in Italy.

Il Terminillo FF si svolge in collaborazione con Rieti Film Commission, inteso come “evento di partenza di un’attività annuale che mira a portare produzioni nel territorio”, ha specificato il presidente della FC Claudio Talocci. Tra gli ospiti di questa prima edizione del festival: Raoul Bova, Paolo Genovese, Violante Placido, Maurizio Mattioli, Ilaria Spada, Serena Rossi, Nicolas Vaporidis, Matteo Branciamore, Rocío Muñoz Morales, Pier Giorgio Bellocchio, Marco Giallini, Primo Reggiani, Euridice Axen, Michela Andreozzi, Lillo.

 

FESTIVAL DEL CINEMA INDIPENDENTE

FF - Articolo di Vittoria Scarpa - CINEUROPA 26/01/2016

 

Il festival del cinema indipendente di Roma è posticipato quest’anno in autunno. Il termine per presentare opere cinematografiche è il 30 giugno 2016 C’è tempo fino al 30 giugno 2016 per presentare opere cinematografiche e partecipare alla 15ma edizione del RIFF - Rome Independent Film Festival, il consueto appuntamento capitolino con il cinema indipendente, diretto da Fabrizio Ferrari, che quest’anno è posticipato in autunno. Il RIFF offre ai filmmaker di tutto il mondo l’opportunità di presentare in Italia i loro film in anteprima. In particolare, la sezione New Frontiers (riservata alle opere prime e seconde) dà rilievo alla produzione italiana ed è occasione di incontro e scoperta di nuovi talenti cinematografici. Il festival, inoltre, prosegue nella mission di far conoscere e distribuire le pellicole in gara. Per i vincitori, infatti, è prevista una programmazione dedicata presso il Nuovo Cinema Aquila di Roma.

Le opere selezionate per il concorso saranno oltre 150. Le sezioni in gara sono:
 Feature Films (lungometraggio italiano e internazionale/opere prime e seconde); Documentary Films (italiano e internazionale);
 Short Films (italiano e internazionale);
 International Student Films (scuole di cinema);
 Animation (animazione);
 Screenplays & Subject (sceneggiature & soggetti). Il programma del RIFF 2016 sarà arricchito da retrospettive e seminari che affronteranno vari aspetti della cinematografia indie. I paesi ospiti di questa edizione saranno gli Stati Uniti e la Spagna. Novità dell’edizione 2016 è il nuovo contest SOS (short online streaming), che si svolgerà esclusivamente sul web in simbiosi con il festival.

Dedicato ai registi di opere di cortometraggio, il contest verrà ospitato sul portale indiefilmchannel.tv: il cortometraggio più votato si aggiudicherà un contratto per la distribuzione VOD (video on demand) di 1.000 euro. Tutte le principali opere presentate al RIFF saranno, al termine del festival, visibili in modalità VOD sempre su indiefilmchannel.tv (che è anche il portale italiano ufficiale del My French Film Festival, il festival del cinema francese che si svolge online fino al 18 febbraio). Al termine del festival verranno assegnati i RIFF Awards per un valore di oltre 50mila euro. Il Rome Independent Film Festival è sostenuto dal Mibact - Direzione generale cinema e dall’Assessorato alla Cultura, Arte e Sport della Regione Lazio. Tutte le informazioni per iscriversi e il bando sono presenti sul sito del festival.

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Quando il cimena pensa di farla ’franca’ news

CINEUROPA NEWS

 

Articolo di Camillo De Marco 25/01/2016 - 'La rete degli Spettatori offre una seconda chanche ai film di qualità'.

 

L’associazione ha selezionato per il programma “A tutto schermo” 10 lungometraggi e 2 documentari penalizzati dalla distribuzione. Una seconda chance ai film di qualità penalizzati dalla distribuzione è rappresentata dal progetto della Rete degli Spettatori. L’associazione, giunta al suo quinto anno, ha annunciato il programma delle attività 2016, che prenderanno il via nelle prossime settimane. Anche quest’anno la Rete degli Spettatori, in accordo con l’associazione 100autori, ha individuato i nomi di una giuria di critici cinematografici che hanno selezionato 10 film di finzione e 2 documentari, tra quelli presentati nei maggiori festival italiani (Torino, Roma, Venezia) o usciti in sala da giugno a novembre 2015 con meno di 100 copie, che saranno sostenuti nella promozione e diffusione nel 2016 dalla Rete.

Alla selezione dei critici cinematografici si affianca un ulteriore titolo, indicato dalla giuria dei Festival. I dieci lungometraggi scelti per il programma “A tutto schermo” sono 'Antonia' di Ferdinando Cito Filomarino; 'Arianna' di Carlo Lavagna; 'Bagnoli Jungle' di Antonio Capuano; Banat - 'Il viaggio' di Adriano Valerio; 'Bella e perduta' di Pietro Marcello; 'La bella gente' di Ivano De Matteo; 'I ponti di Sarajevo' di L. Di Costanzo, V. Marra, JL Godard, A. Begic, K. Kalev, I. Le Besco, S. Loznitsa, U. Meier, C. Puiu, M. Recha, A. Schanelec, T. Villaverde, V. Perisic; 'Non essere cattivo' di Claudio Caligari; 'Per amor vostro' di Giuseppe Gaudino; 'La prima luce' di Vincenzo Marra. I documentari selezionati sono 'Dustur' di Marco Santarelli e 'Louisiana' di Roberto Minervini; mentre la 'giuria' dei Festival ha poi scelto 'L’infinita fabbrica del Duomo' di Martina Parenti e Massimo D'Anolfi.

Per facilitare la diffusione delle opere selezionate e valorizzare l’immagine dei loro autori sia sul web che in sala, dallo scorso anno la Rete degli Spettatori ha intrapreso il progetto Cinelibrary. Si tratta di un archivio formato da video di approfondimento dedicati ai film inseriti nella selezione e da presentare prima del film o durante la navigazione sul sito con notizie, curiosità e interviste agli autori. E’ stato inoltre presentato il progetto 'Fuori Orario' realizzato in collaborazione con Minerva Pictures, e finalizzato alla divulgazione della settima arte nelle scuole superiori. Sono stati scelti alcuni classici del cinema italiano firmati da Francesco Rosi, Roberto Rossellini, Luigi Magni, Bernardo Bertolucci, Elio Petri.

 

Era ora! – lasciatemelo dire. Il cinema dei ‘critici’ non finirà mai di stupirmi, prima scarta pellicole validissime, poi le conccentra per dar loro una seconda chance. Lasciate che sia il pubblico a decidere, un'opera filmica è di per sé un atto d'amore e un'opera d'arte irripetibile.

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Gior.ta della Memoria: Teatro VillaTorlonia Musica e Letture

In occasione della Giornata della Memoria 2016, Progetto Davka propone uno spettacolo in cui si alternano letture e brani di musica ebraica dal titolo:

‘ANCHE GLI ELEFANTI LEGGONO I TAROCCHI’
Teatro di Villa Torlonia - Giovedì 28 gennaio 2016 ore 20.30
Progetto Davka
Maurizio Di Veroli voce
Luana Mariani piano elettrico
Massimo Montagnolo clarinetto e sax
Maurizio De Simone basso elettrico
Chiara Rossini batteria

Nello spettacolo si alternano letture e brani di musica ebraica di diversa provenienza, alcuni tradizionalmente legati alla Shoah, altri che intendono mostrare come questa, con tutta la sua specificità, sia stata preceduta da altre persecuzioni che hanno gettato un seme di odio, germogliato nella più grande tragedia che si sia abbattuta sul popolo ebraico. Ci perderemo per le vie dei ghetti, delle juderie, degli shtetl e delle giudecche, ci accompagneranno lingue e sonorità diverse ma sarà la musica a guidarci, in quello che sarà un viaggio formativo e gradevole.
Ingresso libero con prenotazione obbligatoria allo 060608 effettuabile da 7 giorni prima dello spettacolo

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L’uomo che non riusciva a morire - di Tony Laudadio

"L’UOMO CHE NON RIUSCIVA A MORIRE"

Teatro del Lido di Ostia: Incontro, presentazione libro
Domenica 24 gennaio ore 16 | presentazione libro di Tony Laudadio
presenta Paula Pau con la presenza dell’autore. (ingresso gratuito)

Info: 060608 tutti i giorni dalle 9.00 alle 21.00
teatriincomune@zetema.it

Questo libro è per chi tiene sul comodino Una breve storia del tempo di Stephen Hawking e le poesie di Caproni, per chi vorrebbe lasciare tutto e partire per il Nepal, e per chi vorrebbe l’olfatto di un elefante per sentire tutti i profumi del mondo.

“Una voce che è stata un Io, racconta la sua storia. Racconta come doveva morire. Terminano le pagine, ma la vita prosegue contro la morte. Perché morire stanca e ciò che dovrebbe essere la fine si ripresenta di nuovo come inizio. Oscuro.” Gian Luca Favetto
All’inizio si presenta come un raffreddore, forse un’allergia. Ma poi la malattia entra nella vita del protagonista travolgendone il ritmo e il respiro. Lui la combatte con ogni mezzo, con la voglia di vivere e di curarsi e con le armi della lucidità e dell’ironia che gli sono consuete. E capisce che a volte è il malato stesso a doversi prendere cura dei suoi cari e non viceversa. In questo romanzo, Tony Laudadio ci conduce come sempre sul filo del realismo e del tragico quotidiano. Ma spingendosi nel paradosso della vita che non ha mai fine, ci porta in un luogo diverso, spesso disabitato dai libri, dove la commozione è semplicemente quella della vita vera.

'L’uomo che non riusciva a morire' è pubblicato per NN all’interno della collana ViceVersa.
Tony Laudadio formatosi alla Bottega di Gassman, è attore di teatro e di cinema (Risi, Mo- retti, Sorrentino) ed è autore di testi teatrali e di opere letterarie. I suoi romanzi, Esco (2012) e Come un chiodo nel muro (2013) sono editi da Bompiani.

http://www.nneditore.it/

Indice:
Songbook de “L’uomo che non riusciva a morire” di Tony Laudadio
All’inizio si presenta come un raffreddore, forse un’allergia. Ma poi la malattia entra nella vita del protagonista travolgendone il ritmo e il respiro. Lui la combatte con ogni mezzo, con la voglia di vivere e di curarsi e con le armi della lucidità e dell’ironia che gli sono consuete. E capisce che a volte è il malato stesso a doversi prendere cura dei suoi cari e non viceversa. In questo romanzo, Tony Laudadio ci conduce come sempre sul filo del realismo e del tragico quotidiano. Ma spingendosi nel paradosso della vita che non ha mai fine, ci porta in un luogo diverso, spesso disabitato dai libri, dove la commozione è semplicemente quella della vita vera.
“Una voce che è stata un Io, racconta la sua storia. Racconta come doveva morire. Terminano le pagine, ma la vita prosegue contro la morte. Perché morire stanca e ciò che dovrebbe essere la fine si ripresenta di nuovo come inizio. Oscuro”. Gian Luca Favetto
Questo libro è per chi tiene sul comodino Una breve storia del tempo di Stephen Hawking e le poesie di Caproni, per chi vorrebbe lasciare tutto e partire per il Nepal, e per chi vorrebbe l’olfatto di un elefante per sentire tutti i profumi del mondo.

Songbook de L’uomo che non riusciva a morire di Tony Laudadio
In un libro ci si può imbattere in due tipi di musica: una, esplicita, citata per evocare un ricordo o un avvenimento, ascoltata da uno dei personaggi intenzionalmente o per caso; e un’altra, sotterranea, nascosta, che emerge evocata dalle vicende, dalle atmosfere, dagli ambienti o dalla scrittura stessa. Ed è proprio da queste colonne sonore, normalmente silenziose e nascoste tra le pagine di un libro, che nasce Songbook. Danilo Di Termini

“L’uomo che non riusciva a morire”
La Malattia. Come affrontare in musica un tema così scabroso? Laudadio nel suo libro lo fa senza indugi, entra a gambe unite; così ho deciso di seguirlo senza tentennamenti, inutile girarci intorno, il tema è quella, affrontiamolo, proviamolo a sconfiggerlo, a conviverci, anche a costo di interrompere l’ascolto.

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SERENA BRANCALE ’lLIVE Auditorium Parco della Musica - Roma

Serena Brancale 'live' Sabato 23 gennaio alle ore 21 all'Auditorium Parco
della Musica di Roma. Presentazione del suo omonimo album "Galleggiare" (Warner Music Italy).

Al Festival di Sanremo 2015 ha rapito il pubblico con le sonorità ricercate del suo brano "Galleggiare",ottenendo notevoli consensi di pubblico e critica, ed anche da alcuni grandi artisti italiani come Mario Biondi, Tosca e Arisa. Cantante, musicista, autrice, attrice. Serena Brancale sarà in concerto all'Auditorium Parco della Musica sabato 23 gennaio con l'omonimo album, in cui riversa tutta la sua forte personalità e la sua inclinazione a spaziare fra vari confini sonori, un nuovo modello stilistico dove jazz e soul incontrano la musica pop d’autore italiana. Nelle sue corde vocali non c’è solo una straordinaria vocazione verso il jazz, ma anche una forte inclinazione verso altri confini sonori che riesce fisiologicamente a “manipolare” con grande disinvoltura attraverso sue ispirate composizioni inedite. La duttilità vocale del suo timbro, ma anche la sua continua voglia di ricerca indirizzata verso una più ampia visione della musica, riescono ad abbattere le barriere dei generi musicali.
Il suo territorio stilistico rappresenta un meltin’ pot di generi, suoni e idee, spaziando dal jazz al soul, dal funk all’ R&B, attraverso ballate e canzoni d’autore, senza mai dimenticare i moderni suoni dell’elettronica che sfiorano momenti di profonda ispirazione.

Serena Brancale dice di sé: "L'album "Galleggiare" racchiude 9 brani inediti con testi firmati dame stessa; è un dipinto dove la mia anima è protagonista a tutto tondo, cammina nuda tra le terre di Puglia tra grano e vento. Ho aspettato tanto questo momento. Il momento in cui chiudi un capitolo importante della tua vita con un disco che ti riconosce appieno”.

Biografia essenziale: La giovanissima cantante ed autrice barese è sicuramente una delle voci più talentuose emerse nell’ultimo periodo in Italia. Partendo proprio dalla Puglia, regione che negli ultimi anni si è particolarmente distinta per i suoi talenti, il suo percorso musicale inizia si da piccola con gli studi di violino e pianoforte, coltivando parallelamente la sua passione per la recitazione e la danza.
Si perfeziona in canto jazz e in tecnica d'improvvisazione al Conservatorio "Niccolò Piccinni" di Bari. Non ancora diciottenne, diventa la voce ufficiale di Radiobari.
La sua duttilità artistica trova espressione anche in ambito cinematografico: viene scelta per interpretare un piccolo ruolo nel film “Mio Cognato" di Alessandro Piva, con Sergio Rubini e Luigi Locascio; è protagonista nel film “Da che parte stai” del regista Mario Bucci ed attrice nella sit-com “Sarà".
Contemporaneamente cominciano le esibizioni live in tutta Italia, nelle quali promuove il suo personale progetto musicale, che la vedono protagonista come cantante, musicista ed arrangiatrice.

FORMAZIONE LIVE:
Serena Brancale – voce – multipad
Giuseppe Fortunato – tastiere
Paolo Romano – basso
Maurizio Lampugnani – percussioni
Mimmo Campanale – batteria

Liviana Ferri – percussioni
Teresa Barbieri – percussioni
Diego Catalano – percussioni

LINK
Biglietti: http://www.ticketone.it/tickets.html?affiliate=FMR&fun=evdetail&doc=evdetailb&key=1562887$7119378

www.serenabrancale.com
Facebook: https://www.facebook.com/serena.brancale
www.auditorium.com
CONTATTI
Ufficio Stampa Fiorenza Gherardi De Candei
Tel. +39 328 1743236
E-mail fiorenzagherardi@gmail.com

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KING OF THE KIDZ ITALY - Teatro Lido di Ostia

'KING OF THE KIDZ ITALY'

Teatro del Lido di Ostia sabato 16/01/2016 Danza - Spettacolo sabato 16 gennaio dalle ore 15 | danza e Hip Hop

KING OF THE KIDZ ITALY - presenta:

Ostia qualifier_The Final
Selezione italiana dell’unico campionato mondiale di Breaking (breakdance) 1Vs1 (under 16) e The Undergrooverz jam

Il vincitore volerà in Olanda a rappresentare l’Italia all’official King Of The Kidz International.

Energia, incredibili evoluzioni, musica per la finale della selezione italiana del King Of The Kidz International.

Un’occasione per i giovani artisti e per il pubblico di godere di un evento unico nel suo genere. Il King Of The Kidz è l’unico campionato mondiale di Breaking riservato ai giovanissimi under 16. Nato da un’idea degli olandesi Terence “T-Bone” Van Hutten e Arjen “Am” Mellink, l’evento ha presto acquisito importanza e notorietà a livello globale raggiungendo il sold out nell’ultima edizione e un milione di visualizzazioni sui canali video. Chi vincerà, dopo essersi sfidato con i migliori otto selezionati in tutta Italia, volerà in Olanda accedendo direttamente alla top 8 dell’evento ufficiale che si terrà ad Amsterdam. Qui il vincitore/trice vivrà un’esperienza unica rappresentando la propria nazione, sfidandosi con i bambini/ragazzi con il più alto potenziale a livello mondiale!
Iniziativa rivolta ai più giovani che oltre ad essere un’occasione per competere in maniera divertente e costruttiva è soprattutto una possibilità di condivisione e confronto interculturale nel pieno rispetto dei valori portati in alto dalla cultura Hip Hop. Una cultura, quella dell’Hip Hop, che ha contribuito a sviluppare una coscienza collettiva, un rifiuto consapevole delle discriminazioni razziali, di classe sociale e di sesso facendo perno sul riscatto personale e sociale, divenendo strumento di scomposizione dei valori dominanti delle società contemporanee e di ridefinizione degli spazi urbani, spesso marginali.


www.kingofthekidz.com
www.Dhalsim.it

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’if the sky falls’

‘if the sky falls’

 

.. we will be dust of darkened stars

spurious children of an announced

apocalypse lost atoms

 

.. vague bawls in the rhombus of the thunder

what it storms in the incomprehensible universe

never deeply beloved

 

.. we will be arrows of a shaded sunset

volutes of smoke aspirates

in the black vortex of cosmic voids

 

.. lost and alone on the ridge of the time

in the pit that ourselves there are dug

fallen angels of a glory by now out

 

.. us, mythical heroes of a galaxy forever lost

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’ANNA’ - Un film di Jacques Toulemonde Vidal

‘Anna’ un film di Jacques Toulemonde Vidal  - presto sugli schermi.

 

Presentato in anteprima mondiale al 19mo Festival Black Nights di Tallinn nella sezione ‘First Features’ (Opere Prime), il lungometraggio del regista franco-colombiano Jacques Toulemonde, ‘Anna’, è girato come un unico ‘travelling’ (road movie) da cui sprigiona un’energia tremante e nervosa che riflette lo status psicologico della protagonista interpretata in modo straordinario dalla bellissima Juana Acosta, porta ancora una volta sullo schermo la difficile presenza di una donna combattuta fra la ‘libertà’ e il ‘pregiudizio’ di essere madre.

Il regista Jacques Toulemonde utilizza tutto questo in contrasto con gli scenari offerti dalla Colombia, sovrapponendo la libertà e la bellezza che se ne sprigiona con il calore soffocante e l’incertezza di ‘Anna’, ricavandone un film emotivamente forte e intenso non rintracciabile nei molti film del genere. I tre attori principali sono ecellenti: Juana Acosta brilla nel ruolo principale e ha una buona alchimia con Kolia Abiteboul Dossetto, che interpreta suo figlio. Bruno Clairefond, nella parte dell’amante, riesce anche a evitare i soliti cliché legati a questo genere di ruoli e dà vita a un personaggio ben costruito e simpatico.

 

‘Anna’ è una giovane donna di origine colombiana residente a Parigi che lotta nel quotidiano contro la sua fragilità psicologica, riprende un motivo classico (una donna instabile che fatica a crescere suo figlio) con nuova enfasi, grazie non solo alle interpretazioni forti e a un’atmosfera quasi palpabile, in quanto filmato in uno stile quasi documentaristico e ispirato, a detta del regista, alla new wave americana degli anni ‘70, soprattutto perché trasuda urgenza di soluzione della gestione del quotidiano che la tiene prigioniera. Indubbiamente Anna vorrebbe passare più tempo con Nathan, suo figlio di otto anni, ma Philippe, suo ex marito, non crede che lei sia in grado e glielo impedisce. Vedendo ciò, il suo ex marito Philippe minaccia di chiedere la custodia piena del bambino. Temendo il peggio, la donna convince il suo nuovo comagno Bruno ad aiutarla a rientrare in Colombia con suo figlio, con il quale pregusta la possibilità di crearsi una nuova famiglia ma una volta giunti in Colombia per Anna, sempre più fragile, diventa evidente che l’unica persona cui lei non può sfuggire è se stessa e si confronterà con le difficoltà di essere madre.

 

Jacques Toulemonde Vidal - professione regista.

 

Intervista di Laurence Boyce 27/11/2015 - In occasione del Festival Black Nights, dopo la proiezione del film davanti alla stampa, l’ex assistente alla regia per molti lungometraggi Jacques Toulemonde franco-colombiano che vive in Francia dal 2001, ci ha parlato delle riprese di ‘Anna’, il suo primo lungometraggio rispondendo ad alcune domande.

 

Da dov’è nata la voglia di fare questo film?

Jacques Toulemonde: Sono dieci anni che sogno di fare un film come questo. Volevo farlo con persone che mi sono care – mio padre, tra gli altri, recita nel film. Adoro poter far venire a Parigi persone dalla Colombia e viceversa. È stato davvero fantastico potersi spostare in massa in tutti questi luoghi. Ha optato per delle riprese cronologiche.

 

 

Quali sono state le ripercussioni sul film?

JT: Un film è una questione di energia. L’équipe deve essere toccata dal film quanto lo sono i personaggi ed è per questo che è importante girare in ordine cronologico, attraversare le tappe una dopo l’altra e passare da un luogo all’altro come abbiamo fatto noi. È stato davvero strano iniziare a Parigi dove c’era freddo e ritrovarsi in Colombia con 48 gradi; questo dà un plus al film? In questo film tutto gira intorno al personaggio di Nathan, interpretato dal giovane Kolia Abiteboul Dossetto.

 

Come l’ha scelto?

JT: Abbiamo visionato circa 200 bambini. All’epoca ero in Colombia ed è stato il direttore del casting a occuparsene; quando l’ho visto in video, ho capito subito che era lui. Non è sempre evidente con un bambino, ma ci ha davvero messo molta buona volontà. Alcune scene sono state difficili per lui, erano difficili da girare e ho dovuto motivarlo un po’. Sul momento è stato complicato, ma quando mi sono scusato per avergli fatto pressione mi ha risposto: 'Non importa, fa parte del gioco'. È questo che è fantastico di lui, è così naturale.

 

Lei dice che la new wave americana degli anni ’70 influenza il suo lavoro. Come si traduce questo in Anna?

JT: È girato in modo abbastanza classico. Mi sono ispirato a film come ‘Una moglie’ di John Cassavetes. Lo si vede soprattutto nel personaggio Bruno, che si svela nell’arco del film. All’inizio si cerca di non svelare troppo. Durante le riprese mi sono messo a guardare un classico di Jerry Schatzberg, ‘Panico a Needle Park’, e ho iniziato a riscrivere tutte le scene. Volevo inserirci il genere di emozioni che si trovano nel cinema che amo e nei personaggi: sono marginali, si battono e soffrono perché non rientrano nella norma.

 

Considerando le condizioni a volte difficili delle riprese di Anna, pensa che sia importante uscire dalla zona di comfort?

JT: Per il regista che sono, sì. All’inizio delle riprese, non avevo realizzato la difficoltà del compito che mi attendeva. Amo pensare di essere a mio agio quando devo dirigere gli attori, ma in questo caso, tra il personaggio difficile di Anna e la presenza di un bambino, senza contare il viaggio, la posta in gioco era molto più alta. Volevo usare di più l’improvvisazione, giocare con quello che capitava e vedere dove ci portava. Avevo previsto le cose un po’ in stile ‘Spaventapasseri’ di Schatzberg, dove si ha da una parte un tipo triste che cerca di rendere le cose divertenti e dall’altra un ragazzo più violento che cerca la sua strada. È il genere di relazione che volevo cercare di stabilire. Usare l’improvvisazione non è affatto restare nella zona di comfort, soprattutto se implica un bambino. Fate dei tentativi, un giorno le cose vanno bene e vi dite: 'Ecco! Finalmente ho trovato la soluzione!'. E poi il giorno dopo riprovate la stessa cosa e non funziona più. Allora ci si ritrova a cercare senza sosta un modo per riuscirci. Sono fiero delle scene che mostrano un’intensità che non si trova in tutti i film, perché so che tutti abbiamo cercato di andare oltre ai nostri limiti.

 

Prodotto da Julien Naveau per Noodles Production (che ha attualmente in produzione anche ‘Don't Grow Up’ di Thierry Poiraud), il film ‘Anna’ beneficia di una coproduzione della società colombiana Janus Films e CNC.

 

Jacques Toulemonde Vidal è nato a Bogotà e vive oggi a Parigi, apprezzato in particolare per il suo corto ‘Un juego de ninos’ (in concorso a Clermont-Ferrand nel 2011), e che ha ottenuto più di una decina di premi internazionali e ha partecipato a oltre 30 festival, ha scelto come protagonista la colombiana Juana Acosta, ammirata l'anno scorso in ‘11.6’ , attualmente sul set del film spagnolo ‘Tiempo sin aire’ del duo Andrés Luque - Samuel Martín, e che vedremo presto in ’Le règne de la beauté’ di Denys Arcand. Al suo fianco figurano Bruno Clairefond, premio dell'interpretazione a Clermont-Ferrand nel 2008 per ‘La main sur la gueule’ e visto fra gli altri in ‘Au voleur’ e il giovane attore Kolia Abiteboul.

 

Si ringrazia Cineuropa Newsletter per tutte le info sul cinema qui riportate.

 

 

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’TALLINN BLACK NIGHTS FESTIVAL’ - i vincitori

‘Tallinn Black Nights Film Festival’ - Tallinn / Estonia.

Si è conclusa a Tallinn in Estonia la 19° Edizione del ‘Tallinn Black Nights Film Festival’ 13- 29 Novembre – Telliskivi che ha visto in concorso la partecipazione di numerosi film di registi stranieri e italiani di grande spessore. Alla cerimonia di premiazione sul “tappeto nero” organizzata all’Opera Nordea il 27 novembre, è stato il film sudcoreano ‘The Throne’ di Lee Joon-ik cui è stato assegnato il ‘Lupo d’Oro’. Il Premio per la migliore sceneggiatura, così come il Premio Speciale della Giuria sono stati attribuiti a Vitaly Mansky per il documentario ‘Under the Sun’, che studia da vicino la Corea del Nord. Isaka Sawadogo è stato nominato miglior attore per la sua performance nel film presentato dai Paesi Bassi agli Oscar: ‘The Paradise Suite’ di Joost van Ginkel. Il premio per la migliore attrice è andato a Martha Canga Antonio per il suo ruolo nel polemico film belga ‘Black’ di Adil El Arbi e Bilall Fallah.
Nella competizione riservata alle opere prime, il Gran Premio è andato al film colombiano ‘Nacimiento’ di Martin Meija Rugeles. Peyman Shadmanfar ha ottenuto il Premio per la migliore fotografia per ‘Two’ di Soheila Golestani. Tristan Dewey e Tai Jordan sono stati ricompensati per la colonna sonora di ‘Pawno’ di Paul Ireland.
Nessun premio per gli italiani in concorso. Cineuropa a incontrato i vincitori dopo la cerimonia.

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‘TALLIN BLACK NIGHTS FILM FESTIVAL’ 19° Edizione / Estonia

‘Tallinn Black Nights Film Festival’ 19° Edizione - Tallinn / Estonia.

 

Sta per concludersi il ‘Tallinn Black Nights Film Festival’ 19° Edizione 13- 29 Novembre – Telliskivi 60A – 10412 Tallinn Estonia che ha visto in concorso, come in passato, la partecipazione di numerosi film di registi stranieri e italiani di grande spessore, anche se stando alle cronache nessun italiano si è aggiuticato il ‘Lupo d’Oro’ dato al regista e produttore del miglior film partecipante al Concorso Internazionale.

 

BNFF si svolge ogni anno dal 1997 nelle città estoni di Tallinn, Tartu, Viljandi, Narva, Jõhvi e Kärdla. Ideato come un unico evento raccoglie in verità una serie di festival minori ognuno dei quali dedicato ad un differente aspetto del cinema contemporaneo. La sezione principale è dedicata ai film lungometraggi provenienti da Europa e "Europa dell'est", che include anche film documentari, la seconda è dedicata ai film di animazione (Animation Film Festival "Animated Dreams"), la terza ai film realizzati da stundenti (Sleepwalkers Student Film Festival) e l'ultima dedicata ai film per i più giovani (Children and Youth Film Festival "Just Film"). Ogni singolo sottofestival ha un suo regolamento e una sua deadline per l'iscrizione, per saperne di piu si consulti direttamente il sito del festival.

 

BNFF è l'unico festival nella regione nordica e baltica con un FIAPF (Federazione Internazionale del Film Producers Association) l'accreditamento per lo svolgimento di un programma internazionale di concorrenza nella regione nordica e baltica con 14 altri festival importanti, come Berlino, Cannes, Venezia, Karlovy Vary, Varsavia e San Sebastian. Con oltre 250 film proiettati ogni anno e oltre 77.500 presenze (2014), BNFF è uno dei più grandi festival d'Europa nord-orientale ed eventi culturali della stagione invernale e si svolge in tre programmi competitivi: Concorso Internazionale, il Tridens opera prima della competizione e la concorrenza Tridens estone.

 

Il 'primo premio' del festival è il Lupo d'Oro, dato al regista e produttore del miglior film del programma Concorso Internazionale. Inoltre, il festival ospita diversi programmi non competitivi, tra cui la scelta dello schermo Internazionale della Critica, così come diverse retrospettive, una panoramica dei migliori film dell'anno, e altri programmi speciali. In concomitanza con il festival si svolge Industria @ Tallinn, il vertice annuale degli eventi dell'industria cinematografica di Nights Film Festival Nero, Evento mercato di co-produzione del Baltico, e nel 2015 il Film Forum di Tallinn europea, organizzata in collaborazione con Commissione europea.

 

Industria @ Tallinn comprende le vendite internazionali e distributori Meeting Point, del Forum europeo Genere - un campo creativo per i professionisti genere per progetto e lo sviluppo delle competenze - e due opere in pannelli progress: le presentazioni dei film di prossima uscita regionali Baltico, paesi CIS finlandese e vecchi e proiezioni internazionali che vanno dall'Asia all'America Latina. La struttura ad ombrello unico include inoltre 3 sotto-festival che parte in concomitanza con il programma principale: Bambini e Giovani Film Festival Basta Film, Animation Film Festival Animated Dreams, Festival Internazionale del Cortometraggio Sleepwalkers. [1] Inoltre BNFF organizza due rassegne cinematografiche più piccoli: Haapsalu Horror e Fantasy Film Festival e Tartu Amore Film Festival tARTuFF. Quando è iniziato nel 1997, BNFF è principalmente una vetrina per il cinema nordico, ma come il festival è cresciuto, ha ampliato significativamente la propria visione d'insieme.

 

Nel 2010 il festival ha tenuto la cerimonia degli European Film Awards a Tallinn. Oggi BNFF è uno dei più grandi eventi cinematografici del Nord Europa. Durante la sua 18 ° edizione nel 2015 del festival proiettati più di 500 film (tra cui oltre 250 lungometraggi), portando oltre 835 proiezioni a un pubblico di oltre 77.500 persone e più di 649 ospiti accreditati e giornalisti da 50 paesi diversi. BNFF è stato riconosciuto dalla FIAPF nel 2011 e aggiornato nel 2014 come un festival ha il diritto di eseguire un programma di film della concorrenza internazionale, un privilegio visto da solo 14 altri festival in tutto il mondo.

 

Il programma industria BNFF, costituito da Industria @ Tallinn vertice dell'industria e Baltic Event mercato del film di co-produzione regionale, è una piattaforma al fine di collegare l'Europa nord-orientale con l'Asia, gli Stati Uniti e Sud America. Ospita 450+ settore ospiti annualmente. L'edizione 2015 dell'Industria @ Tallinn includerà proiezioni di lavori in corso, Vendite agenti e distributori Meeting Point, Forum genere europea, una vetrina Digitech per i media, film e intrattenimento start-up e servizi regionali e Forum europeo del cinema, ospitato in collaborazione con la Commissione europea.

 

Info / e-mail: poff@poff.ee - web: www.poff.ee

 

'Tallinn Black Nights Film Festival’ ha aperto il 13 Novembre con uno strepitoso Opening Film: ‘My Grandmather’ del 1929 con Chemi Bebia, restaurato e ripubblicato nel 1976 con nuovi effetti sonori e un originale sottofondo musicale accompagnato dal vivo dalla rinomata Filarmonica della Georgia. "Mia nonna" del 1929 è il leggendario film dell’attore e animatore Kote Mikaberidze georgiano. È un vero e proprio pezzo di grottesco Eccentric Cinema (Feks) degli anni Venti. Per invenzione, corrisponde a qualsiasi film dell'avanguardia francese, prendendo in tutti i tipi di dispositivi filmici in avanzamento come stop-motion, pezzi di teatro di figura, e di animazione, nonché angoli di arredamento e fotocamera espressionisti. Un film meraviglioso e davvero divertente che funziona su tanti livelli, assolutamente brillante come può esserlo Charlie Chaplin di ‘Monsieur Hulot’. Inoltre la recitazione è di prim'ordine e affronta temi chiave con i quali il regista gioca anche senza sforzo con il sesso, l'età e i ruoli gerarchici, minandoli inesorabilmente. Per l’epoca in cui fu realizzato il film sfoggia tecniche di cinema innovative. In questo film vengono ben definiti alcune importanti parti del teatro di figura, del collage e altro ancora. Lo si potrebbe vedere senza dubbio almeno una dozzina di volte e trovarvi sempre qualcosa di nuovo.

 

Films italiani in programma partecipanti a questa 19° Edizione 2015:

‘L'Attesa’ di Piero Messina: Panorama

‘Blanka’ di Kohki Hasei: Just Film ‘Louisiana’ di Roberto Minervini: Forum ‘Mediterranea’ di Jonas Carpignano: Screen International Critics' Choice ‘Nessuno si salva da solo’ di Sergio Castellitto: Panorama

‘Il Racconto dei racconti’ di Matteo Garrone: Screen International Critics' Choice

‘Sangue del mio sangue’ di Marco Bellocchio: Panorama

‘Short Skin’ di Duccio Chiarini: Just Film

‘Vergine Giurata’ di Laura Bispuri: Panorama

‘Young Europe’ di Matteo Vicino: Just Film

 

(Psst: Auguriamoci che quest’anno almeno uno di loro possa farcela!)

 

Alcune notizie su Tallinn:

Capitale dell'Estonia, nonché suo principale porto, Tallinn è situata nella costa settentrionale che si affaccia sul Mar Baltico, meta ideale per chi vuole respirare atmosfere d'altri tempi nel comfort più moderno. Con oltre mezzo milione di abitanti, Tallinn non è propriamente una metropoli, ma offre tutto ciò che si può desiderare senza dover coprire grandi distanze e con il grande vantaggio di un traffico mai intenso che attraverso il suo skyline, con i suoi grattacieli, il centro economico e finanziario, gli hotel modernissimi, i raffinati ristoranti e i centri commerciali. Ciò permette anche a un turista con poco tempo a disposizione, di visitare e godersi appieno la città, grazie a un'eclettica vita notturna, una ricca scena culturale e un'ottima scelta gastronomica capaci di trasformare una semplice occasione di viaggio in un'avventura indimenticabile. Inoltre, la cittadella medievale di Tallinn è uno dei centri anseatici meglio preservati al mondo conosciuta ovunque per l'autenticità della sua architettura anseatica (marinara), con le sue strade acciottolate e gli antichi edifici risalenti all'XI secolo. Infinite gallerie e musei vi aspettano, prima di una doverosa pausa in qualche accogliente caffè o ristorante del centro. Da non mancare nel periodo natalizio, i mercatini dell'artigianato a cielo aperto, dove trovare qualche splendida occasione per regali davvero originali ...

 

Note e info sono liberamente tratte da Wikipedia: l’enciclopedia libera https://www.wikipedia.org/

Per il cinema si ringraziano le redazioni di:

CINEUROPA Newsletter.com (The best in European Cinemas)

PÖFF19 – Black Nights Film Festival - Tallinn

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’PACEM IN TERRIS’ - P.P. Giovanni XXIII

P. P. GIOVANNI XXIII° , Enciclica “Pacem in Terris”, 1963.

“Ogni essere umano ha diritto alla libertà di movimento e di dimora all’interno della comunità politica di cui è cittadino; ed ha pure il diritto, quando legittimi interessi lo consigliano, di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi con esse. Per il fatto di essere cittadini di una determinata comunità politica, nulla perde di contenuto la propria appartenenza, in qualità di membri, alla stessa famiglia umana; e quindi l’appartenenza, in qualità di cittadini, alla comunità mondiale”.

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Cantico di Natale 4 - ’Anno Domini’

Il Cantico di Natale - (4)
(mito e leggenda di una tradizione sempre viva)

(Testo originale della trasmissione omonima radiofonica scritto per “Studio A” della Radio Vaticana. Da “ANNO DOMINI”: Usanze e costumi di una tradizione – di Giorgio Mancinelli - Grafica e Arte Bergamo. Copyright 1989).

V
La festa del Natale è ancora nell’aria e raccoglie unanimi consensi fra le genti dell’Europa tutta e gran parte del mondo. Il suo significato è comunitario, dovuto principalmente all’espandersi fra le genti, di condizioni di vita similari, ed al cumulo di medesime esperienze artistico – culturali - religiose, determinatesi all’interno del processo di assimilazione delle forme ‘espressive’ e ‘suggestive’ popolari che ne hanno permesso infine la secolarizzazione.
L’intensa e ricca costumanza fiorita intorno a questa festa, indubbiamente più gioiosa della cristianità, si può sfogliare, usanza per usanza, e leggere negli antichi riti agresti sopravvissuti in moltissimi aspetti e varianti ampiamente riconoscibili che, ritroviamo in quelli che oggi formano la tradizione di molti popoli dell’Europa: Noëls, Weihnachtslieder, Carols, Koledy, Villancicos, sono altrettanti ‘canti’ natalizi che qualche volta c’è capitato di ascoltare durante il periodo festivo. Suggestive, quanto ispirate, le canzoni riferite al Natale appartengono di fatto a quei popoli, ognuno nella propria lingua, che partecipano uniti nel giubilo del canto, che dobbiamo alle tradizioni di ogni singola nazione.
I canti davanti al Presepe, le luci fluttuanti delle candele accese, le decorazioni floreali, i dolci tipici, i doni, gli stessi preparativi per la festa, sono parti insostituibili del rituale che trasforma il Natale nella festa, ed anche come spettacolo di costume che, pospone alla celebrazione liturgica, l’invito a ritrovarsi, in senso corale, nel canto comunitario che si leva con partecipazione cristiana. Riuniti per l’occasione della festa, anche noi abbiamo levato un ‘canto’ all’abete, simbolo della felicità duratura, così come anticamente e ancora oggi vanno facendo le genti dello Schwarzwald: chi non ricorda quel “O Tannenbaum”:

“O abete, come sono verdi le tue fronde
Nel gelido inverno il tuo
Verde abito m’insegna che la speranza
E la costanza, danno
Coraggio e forza in ogni tempo...”.

L’uso di preferire l’abete a tutti gli altri alberi ha origine espiatoria ed è legato ad un tempo arcaico in cui le tribù germaniche della Foresta Nera, festeggiavano il Solstizio d’Inverno agitando i rami verdi dell’albero, in una danza rituale in cerchio che stava a simboleggiare la nascita del primo sole ancestrale.

Il “Grande Libro della Natura” affida ad ogni pianta una precisa funzione deducibile dalla conoscenza; così un fiore, un’erba o un albero, hanno assunto nel tempo significati allegorici che l’essere umano ha tradotto in un ampio vocabolario simbolico, nel quale, ad ogni singola pianta, vengono riconosciute proprietà intrinseche al profumo, alla forma delle foglie, al fatto di essere più o meno sempreverdi e altre.

L’ ‘agrifoglio’ è, ad esempio, il più gradito, se bene sia anche il più austero. Insieme al ‘vischio’ spartisce il fatto di essere tipicamente augurale per l’anno che deve arrivare. Simbolo di difesa, si vuole che le sue foglie, dotate di aculei, scaccino gli spiriti maligni.

L’ ‘alloro’ è invece simbolo di regalità ed anche allegorico della poesia; mentre il ‘biancospino’, il ‘caprifoglio’, l’ ‘edera’, il ‘ginepro’, il ‘pungitopo, il ‘rosmarino’ e alcuni tipi di ‘rosa selvatica’, sono considerate piante tipicamente natalizie per il fatto che, essendo sempreverdi, si spartiscono l’onore d’essere di buon auspicio della continuità della vita. Usate per lo più nella preparazione di semplici ghirlande e festoni, per via dei loro fiori che gemmano in inverno e non appassiscono, si vuole servano a stabilire una sorta di continuità, un sotterraneo contatto tra gli uomini e lo spirito della natura.

Ma è al ‘ceppo’ di quercia che forse dobbiamo una delle più antiche tradizioni italiane, tipica delle regioni del settentrione ma che ritroviamo anche in Svizzera, in Belgio, così come in Bosnia ecc. :

“Era detto ‘ceppo’ il grosso tronco d’albero tagliato e messo a bruciare il giorno della ‘vigilia’ di Natale e che di solito si faceva durare fino a Capodanno e, in alcuni casi, se l’inverno era molto rigido, anche fino all’Epifania. Il nonno, lo spegneva durante le ore tiepide del giorno: «...per farlo durare più a lungo» - diceva. E non perdeva occasione di rammentare, a noi bambini di casa che stavamo ad ascoltarlo, il significato di quelle che egli diceva essere la più antica tradizione della nostra regione. Era così che abbinava la durata di dodici giorni del ‘ceppo’ ai dodici mesi dell’anno, cioè al giro che la terra compie attorno al sole, da cui gli auspici e gli influssi benefici per tutta la famiglia.
Inoltre, era anche solito rammentare la potenza purificatrice del fuoco, la cui cenere egli in parte conservava, considerandola detentrice di arcane virtù alchemiche. La tradizione voleva che si tagliasse il ‘ceppo’ qualche tempo prima dell’Avvento. Poi, nel giorno stabilito dal Calendario lunare, veniva deposto su uno speciale alare di ferro, battuto e acceso tra la gioia di tutti quanti. Noi fanciulli venivamo bendati e fatti girare intorno al ‘ceppo’; si doveva picchiare con le apposite molle il ciocco ardente e recitare una filastrocca augurale: l’Ave Maria del Ceppo, alla quale si attribuiva la virtù di farci arrivare ogni sorta di doni.

“Ave Maria del Ceppo
Angelo benedetto
L’angelo mi rispose
Portami tante cose”.

Il rituale qui sopra descritto si completava proprio la notte della Natività del Bambino di Bethleem, allorché, il nonno per primo, versava un bicchiere di buon vino sul ciocco acceso nel focolare; dopodiché ad ognuno della famiglia, era permesso di gettare nel fuoco le briciole del pane consumato, bucce di mele e di mandarino. Allora il fuoco crepitava e la fiamma avvolgeva il ‘ceppo’ per intero. La luce improvvisa della fiamma illuminava tutt’attorno, le facce perplesse di noi fanciulli, le rughe espressive dei vecchi, della mamma e del papà, che ci osservavano crescere con amore.
Animava, per così dire, il piccolo Presepe nell’angolo in ombra della stanza, dove la ‘favola’ diventava per un momento realtà. Il fatto ‘meraviglioso’ della nascita del Bambino, suggellava la saggezza antica di tutto un popolo che in quella Notte di Natale si raccoglieva nelle proprie case a suggello di una tradizione agreste di fecondità e di buon raccolto, che restituiva al fuoco il significato ancestrale di espiazione e di rinascita”.

Voglio qui ricordare un grande poeta italiano del novecento, Giuseppe Ungaretti, al quale devo l’aver ritrovato in questi anni il ‘senso’ intrinseco del Natale, delle cose buone che mi legano alla famiglia, ai bei ricordi sempre vivi, alle fantasticherie giovanili, alla quiete e la pace ritrovata, magari aspettando che arrivino i Magi o, forse, la Befana:

“Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare”.


VI

Con l’Epifania di Nostro Signore si conclude il ciclo delle festività legate alla Natività. Il Natale e l’Epifania sono infatti interscambiabili, perché storicamente, calendarmente, liturgicamente dicendo, fissavano un tempo, e in qualche modo ancora oggi, la medesima festa solstiziale, che abbraccia quindi i giorni e le notti incluse dal 24 dicembre al 6 di gennaio del nostro Calendario attuale.

È qui utile sapere che il calendario riferito al Natale, fa parte di un ‘ciclo’ di dodici giorni, le cui date d’inizio variano sostanzialmente, sebbene siano scandite dalle ‘calende’ che vanno: dal 13 novembre al 4 dicembre; dal 25 dicembre al 5 gennaio; dal 1 al 21 gennaio; in rapporto con le credenze arcaiche di trarre buoni presagi per il futuro. Recita un vecchio detto popolare ancora in uso:

“Le Calende della festa del Sol
le mostra al mondo quel che
Crist’vol”.

La fantasia popolare ha avuto, indubbiamente, parte preponderante nel costituirsi dell’alone ‘meraviglioso’ che circonda la festa del Natale e ovviamente l’Epifania che la Chiesa celebra nel giorno calendariale del 6 gennaio, con la quale si commemora la visita che i Magi federo, passati tredici giorni dalla nascita del Bambino a Bethleem, e con la quale si stabilisce la continuità del racconto evangelico che riafferma la contemporaneità della realtà storica e la tradizione popolare dell’evento miracoloso. A questo proposito, propongo qui un testo letterario che Roberto Vecchioni ha trasformato in un Canto di Natale, intitolato “Dalle Stelle Alle Stalle” (Canzone di natale in prosa):

“È notte, un'ombra sorvola furtiva la vecchia fattoria. Qui le cose non vanno molto bene, mormora tra sé e sé, inventerò un giorno per metterle a posto e sarà un gran bel giorno per tutti, lo chiamerò NATALE. Se pensi che è difficile un anno da formica, sapessi a far la volpe, rubare è una fatica! E a noi farfalle allora? Dicono che siamo leggere, un fiore dopo l'altro, è proprio un bel mestiere! E a un topo? Mai che capiti una giornata al mare! E a chi interessa un'orsa che piange per amore o una cicala povera col vizio di giocare o un grillo senza musica e case discografiche? Ma noi balliamo, e poi balliamo e poi balliamo ancora. La stella che ci illumina in fondo è quasi nuova e l'anno nuovo è nuovo per una volta sola. Le chiocciole da tempo ormai si affittano la casa. Se le galline mancano, i lupi vanno in chiesa. I coniglietti aumentano tanto da far spavento e i millepiedi scappano, insomma qui è un tormento! Ma alla formica toccherà il seme nella neve, al topo niente trappole, alla farfalla il fiore, al grillo la sua musica, alla cicala i dollari, ai coniglietti "pillole", e all'orso un grande amore. E noi cantiamo, e poi balliamo e poi balliamo ancora. La stella è tanto bella che sembra quasi finta e l'anno nuovo è nuovo, la notte adesso canta. Ma noi balliamo, e poi balliamo e poi balliamo ancora. La stella che ci illumina in fondo è quasi nuova e l'anno nuovo è nuovo per una volta ancora”.

Il testo, scandito sulla musica di quel “O Tannenbaum”, (in italiano ‘O albero’) che molti di noi hanno cantato sui banchi di scuola, è di per se molto interessante dal punto di vista dell’inventiva e della creatività di un autore che ha dato ampia dimostrazione di possedere una certa dote di fantasia che s’avvicina molto al ‘meraviglioso’ che ho voluto fin qui narrare e che, va nella esattamente nella direzione popolare dei ‘vangeli apocrifi’ che si rinnova, a distanza di duemila anni, nel proporsi e riproporsi nel segno della natura. O meglio, calcando le orme dell’arcano e del magico, sulla scia del ‘verosimile’ interpretativo, talvolta ancor più bello ed entusiasmante del ‘vero’, come solo Roberto Vecchioni ha saputo dare alla canzone italiana.

Più che in ogni altra memoria, l’avventuroso quanto misterico cammino dei Magi, trova nella “Legenda Aurea” del XII sec., di Jacopo da Varagine (1228-1298), e nella successiva “Historia Trium Regum” del XIV sec., di Giovanni da Hildesheim (1310/20-1375), quella immediatezza di linguaggio tipica del racconto popolare, umanamente accettabile, capace di affascinare e stupire dopo quasi un millennio. Il cui significato, trascende il confutabile della storia, per avvicendarsi nell’inconfutabile della narrazione fantastica e che, tiene ‘la vicenda’ come sospesa al filo incantato della ‘favola’ bella.

Il ‘ciclo’ delle leggende riferite all’arrivo dei Magi a Bethleem è indubbiamente tra le cose ‘meravigliose’ riservate dalla tradizione all’evento del Santo Natale. L’arrivo dei Magi va quindi legato ai doni che questi portano al Bambino dall’Oriente: l’oro, l’incenso e la mirra, entrambi simboli della missione ‘divina’ del Signore fin dalla sua nascita. La fantasia popolare, che nulla lascia di intrapreso, ha trasferito l’atto del portare i doni al Bambino di Bethleem, come un gesto d’amore che si ripete ancora oggi, portando in questo giorno calendariale i doni ai bambini, ripetendo così un ‘atto’ divenuto catartico nella storia, delle vicissitudine (leggi colpe) a cui si legano i genitori nel metterli al mondo.
La parte laica, cercando fra i personaggi della realtà cui attribuire questa incombenza, si fa riferimento alla figura del ‘buon padre’, talvolta riconosciuto in uno dei Magi, che torna dal suo viaggio; e dalla Befana nel personaggio della vecchia o la nonna, appartenente in origine al mondo delle fate della più antica tradizione Europea. Comune a molte genti, la figura del Buon Padre, detto Babbo Natale in Italia, domina oggigiorno la scena natalizia: in Gran Bretagna, ad esempio, ha assunto il nome di Father Christmas, in Francia di Pere Noël, Sinter Klaas in Olanda, Santa Klaus in Germania, Samicklhaus in Svizzera.

Bonario e sorridente, soccorritore dei bisognosi, vescovo o santo, è più semplicemente un buon nonno allegro, dallo sguardo cordiale. La sua figura di vecchio si presenta con una folta barba bianca che ne nasconde l’età. Piuttosto lo si direbbe il ritratto dell’antica saggezza contadina, se bene il suo vestire adorno, il suo arrivare a cavallo o trainato da una muta di renne, ce ne diano una raffigurazione elegante e ricercata. Una certa iconografia lo vede con un enorme sacco in spalla dalla capacità inesauribile dove sarebbero contenuti i doni che egli distribuisce con relativa prodigalità un po’ a tutti, soprattutto ai bambini.

Ne riporto qui il testo originale che nel tempo è stato cantato dai più grandi nomi del panorama musicale mondiale, da Bing Crosby, Frank Sinatra a Elvis Presley, da Bruce Springsteen a Michael Boublè e tantissimi altri. Ha dell’incredibile il fatto che moltissimi artisti e gruppi rock, a un certo momento della loro carriera abbiano sentito la necessità di misurarsi con una canzone natalizia e mi piace pensare che non sia stata sempre una operazione prettamente economica.

“Santa Claus is coming to Town” (J. Fred Coots, Henry Gillespie, 1934) è oggigiorno considerata forse la più conosciuta canzone natalizia entrata nella tradizione anglosassone:

“You better watch out
You better not cry
Better not pout
I'm telling you why
Santa Claus is coming to town

He's making a list,
And checking it twice;
Gonna find out Who's naughty and nice.
Santa Claus is coming to town

He sees you when you're sleeping
He knows when you're awake
He knows if you've been bad or good
So be good for goodness sake!

O! You better watch out!
You better not cry.
Better not pout, I'm telling you why.
Santa Claus is coming to town.
Santa Claus is coming to town”.

Faresti meglio a guardar fuori / Faresti meglio a non piangere / Faresti meglio a non fare il broncio / Adesso ti dico perché / Babbo Natale sta arrivando in città / Sta facendo un elenco / E la controlla due volte; / Troverà che è bravo e chi è birichino / Babbo Natale sta arrivando in città / Lui vede quando dormi / Lui sa quando sei sveglio / Lui sa se siete stati buoni o cattivi / Allora fai il brano / Oh! Faresti meglio a guardar fuori / Faresti meglio a non piangere / Faresti meglio a non fare il broncio / Adesso ti dico perché / Babbo Natale sta arrivando in città / Babbo Natale sta arrivando in città.

Originariamente erano queste giocose giaculatorie e, in seguito, liriche e ispirate canzoni popolari, dedicate alla festa ed entrate a far parte delle festività natalizie, un po’ come lo sono le luminarie, gli addobbi, i biglietti augurali, le candele colorate, i cibi appositamente confezionati e i pacchetti regalo a conferma della trasformazione di una festa dalle origini umili e contadine in ‘fatto’ esclusivamente speculativo e commerciale. All’origine, infatti, rientrava nei ‘gesti di costume’ e prendeva esempio dall’usanza romana delle ‘strenne’, cioè dai rami d’alloro in segno di regalità, e di ulivo in segno di pace che la gente si scambiava come augurio di prosperità e di abbondanza, durante le calende del mese di gennaio.

Quella che segue è invece una canzone relativamente moderna che non ha bisogno di presentazione: “Do they know It’s Christmas?” di Bob Geldof, ed è stata qualche anno fa, uno dei maggiori successi discografici; forse l’unica, fra le numerose che di tanto in tanto entrano nell’orbita della canzone natalizia, ad affrontare il tema scottante della fame nel mondo:

“It's Christmas time; there's no need to be afraid
At Christmas time, we let in light and we banish shade
And in our world of plenty we can spread a smile of joy
Throw your arms around the world at Christmas time
But say a prayer to pray for the other ones
At Christmas time

It's hard, but when you're having fun
There's a world outside your window
And it's a world of dread and fear
Where the only water flowing is the bitter sting of tears

And the Christmas bells that ring there
Are the clanging chimes of doom
Well tonight thank God it's them instead of you
And there won't be snow in Africa this Christmas time

The greatest gift they'll get this year is life
Oh, where nothing ever grows, no rain or rivers flow
Do they know it's Christmas time at all?

Here's to you, raise a glass for ev'ryone
Here's to them, underneath that burning sun
Do they know it's Christmas time at all?

Feed the world
Feed the world
Let them know it's Christmas time again
Feed the world
Let them know it's Christmas time again”.

E' Natale
Non c'è bisogno di aver paura
A Natale
Lasciamo passare la luce e aboliamo le zone d'ombra
E nel nostro mondo di abbondanza
Possiamo diffondere un sorriso di gioia
Butta le braccia intorno al mondo
A Natale

Ma dì una preghiera
Prega per gli altri
A Natale è difficile
Ma quando ti stai divertendo
C'è un mondo fuori dalla finestra
Ed è un mondo di terrore e paura
Quando l'unica acqua che scorre
È la puntura amara delle lacrime
E le campane natalizie che suonano là
E’ lo scampanellio del loro tragico destino
Beh stanotte grazie a Dio tocca a loro e non a te

E quest'anno in Africa non ci sarà neve a Natale
Il miglior regalo che riceveranno quest'anno è la vita
Dove niente cresce
Non scorrono né pioggia né fiumi
Hanno una minima idea del fatto che sia Natale?

Un brindisi a te, alza un bicchiere per tutti
Un brindisi a loro stare sotto il sole cocente
Hanno una minima idea del fatto che sia Natale?
Sfama il mondo
Fa loro sapere che è ancora Natale.

Lo scambio dei doni avveniva e avviene tutt’ora in segno di amicizia e quindi di fratellanza, quale simbolo augurale e significativo nei rapporti conviviali, di unione, di lieta dipendenza, come segno di affabilità e di felicità raggiunte; ed anche di stretta intimità che da sempre caratterizza il ‘tempo della festa’. Tempo in cui si esprime il ‘senso’ del quotidiano vivere comunitario, e del ‘meraviglioso’ reciproco scambio augurale di ‘pace’ e rinnovata ‘speranza’.

Alla ‘pace’ è dedicata un’altra canzone scritta da L.Lopez /G.Ullu / C.Vistarini e portata al successo da Riccardo Fogli:

“Pace”

“Pace a voi
uomini, fabbriche di favole
chi non ha amato non lo sa
che luce fa una stella
in notti come questa qua;
io vorrei prendere
tutti i sogni in vendita,
credere nel tempo che verrà
a mezzanotte il mondo
un po' di pace troverà.

Girotondo di bambini
pace porterà
une mano nella mano
che ci guiderà.

Suonano musiche di tanto tempo fa
la notte di Natale un po' d'amore porterà;
cercami, chi non ha amato non lo sa
che luce fa una stella
in notti come questa qua;
anche noi credere nel tempo che verrà
a mezzanotte il mondo
un po' di pace troverà.
Anche noi credere nel tempo che verrà
la notte di Natale un po' d'amore porterà”.


Termina qui il nostro excursus nella ‘Musica per una festa’ che ho voluto regalare a tutti voi ‘Poeti’ de larecherche.it per questo Natale, nella speranza che il messaggio, solo apparentemente banale, d’un pur semplice cantare, può fare molto per alleggerire il peso in un momento di recessione come quello che conosciamo, che le difficoltà non esistono per si sa cantarle o interpretarle con un verso, la ‘poesia’ non porta gli allori ma indubbiamente può far molto per alleviare la pena di questa esistenza straordinaria che ha del ‘meraviglioso’ solo per il fatto che c’è. Auguri!

Giorgio Mancinelli

*

Cantico di Natale 4 - ’Anno Domini’

Il Cantico di Natale - (4)
(mito e leggenda di una tradizione sempre viva)

(Testo originale della trasmissione omonima radiofonica scritto per “Studio A” della Radio Vaticana. Da “ANNO DOMINI”: Usanze e costumi di una tradizione – di Giorgio Mancinelli - Grafica e Arte Bergamo. Copyright 1989).

V
La festa del Natale è ancora nell’aria e raccoglie unanimi consensi fra le genti dell’Europa tutta e gran parte del mondo. Il suo significato è comunitario, dovuto principalmente all’espandersi fra le genti, di condizioni di vita similari, ed al cumulo di medesime esperienze artistico – culturali - religiose, determinatesi all’interno del processo di assimilazione delle forme ‘espressive’ e ‘suggestive’ popolari che ne hanno permesso infine la secolarizzazione.
L’intensa e ricca costumanza fiorita intorno a questa festa, indubbiamente più gioiosa della cristianità, si può sfogliare, usanza per usanza, e leggere negli antichi riti agresti sopravvissuti in moltissimi aspetti e varianti ampiamente riconoscibili che, ritroviamo in quelli che oggi formano la tradizione di molti popoli dell’Europa: Noëls, Weihnachtslieder, Carols, Koledy, Villancicos, sono altrettanti ‘canti’ natalizi che qualche volta c’è capitato di ascoltare durante il periodo festivo. Suggestive, quanto ispirate, le canzoni riferite al Natale appartengono di fatto a quei popoli, ognuno nella propria lingua, che partecipano uniti nel giubilo del canto, che dobbiamo alle tradizioni di ogni singola nazione.
I canti davanti al Presepe, le luci fluttuanti delle candele accese, le decorazioni floreali, i dolci tipici, i doni, gli stessi preparativi per la festa, sono parti insostituibili del rituale che trasforma il Natale nella festa, ed anche come spettacolo di costume che, pospone alla celebrazione liturgica, l’invito a ritrovarsi, in senso corale, nel canto comunitario che si leva con partecipazione cristiana. Riuniti per l’occasione della festa, anche noi abbiamo levato un ‘canto’ all’abete, simbolo della felicità duratura, così come anticamente e ancora oggi vanno facendo le genti dello Schwarzwald: chi non ricorda quel “O Tannenbaum”:

“O abete, come sono verdi le tue fronde
Nel gelido inverno il tuo
Verde abito m’insegna che la speranza
E la costanza, danno
Coraggio e forza in ogni tempo...”.

L’uso di preferire l’abete a tutti gli altri alberi ha origine espiatoria ed è legato ad un tempo arcaico in cui le tribù germaniche della Foresta Nera, festeggiavano il Solstizio d’Inverno agitando i rami verdi dell’albero, in una danza rituale in cerchio che stava a simboleggiare la nascita del primo sole ancestrale.

Il “Grande Libro della Natura” affida ad ogni pianta una precisa funzione deducibile dalla conoscenza; così un fiore, un’erba o un albero, hanno assunto nel tempo significati allegorici che l’essere umano ha tradotto in un ampio vocabolario simbolico, nel quale, ad ogni singola pianta, vengono riconosciute proprietà intrinseche al profumo, alla forma delle foglie, al fatto di essere più o meno sempreverdi e altre.

L’ ‘agrifoglio’ è, ad esempio, il più gradito, se bene sia anche il più austero. Insieme al ‘vischio’ spartisce il fatto di essere tipicamente augurale per l’anno che deve arrivare. Simbolo di difesa, si vuole che le sue foglie, dotate di aculei, scaccino gli spiriti maligni.

L’ ‘alloro’ è invece simbolo di regalità ed anche allegorico della poesia; mentre il ‘biancospino’, il ‘caprifoglio’, l’ ‘edera’, il ‘ginepro’, il ‘pungitopo, il ‘rosmarino’ e alcuni tipi di ‘rosa selvatica’, sono considerate piante tipicamente natalizie per il fatto che, essendo sempreverdi, si spartiscono l’onore d’essere di buon auspicio della continuità della vita. Usate per lo più nella preparazione di semplici ghirlande e festoni, per via dei loro fiori che gemmano in inverno e non appassiscono, si vuole servano a stabilire una sorta di continuità, un sotterraneo contatto tra gli uomini e lo spirito della natura.

Ma è al ‘ceppo’ di quercia che forse dobbiamo una delle più antiche tradizioni italiane, tipica delle regioni del settentrione ma che ritroviamo anche in Svizzera, in Belgio, così come in Bosnia ecc. :

“Era detto ‘ceppo’ il grosso tronco d’albero tagliato e messo a bruciare il giorno della ‘vigilia’ di Natale e che di solito si faceva durare fino a Capodanno e, in alcuni casi, se l’inverno era molto rigido, anche fino all’Epifania. Il nonno, lo spegneva durante le ore tiepide del giorno: «...per farlo durare più a lungo» - diceva. E non perdeva occasione di rammentare, a noi bambini di casa che stavamo ad ascoltarlo, il significato di quelle che egli diceva essere la più antica tradizione della nostra regione. Era così che abbinava la durata di dodici giorni del ‘ceppo’ ai dodici mesi dell’anno, cioè al giro che la terra compie attorno al sole, da cui gli auspici e gli influssi benefici per tutta la famiglia.
Inoltre, era anche solito rammentare la potenza purificatrice del fuoco, la cui cenere egli in parte conservava, considerandola detentrice di arcane virtù alchemiche. La tradizione voleva che si tagliasse il ‘ceppo’ qualche tempo prima dell’Avvento. Poi, nel giorno stabilito dal Calendario lunare, veniva deposto su uno speciale alare di ferro, battuto e acceso tra la gioia di tutti quanti. Noi fanciulli venivamo bendati e fatti girare intorno al ‘ceppo’; si doveva picchiare con le apposite molle il ciocco ardente e recitare una filastrocca augurale: l’Ave Maria del Ceppo, alla quale si attribuiva la virtù di farci arrivare ogni sorta di doni.

“Ave Maria del Ceppo
Angelo benedetto
L’angelo mi rispose
Portami tante cose”.

Il rituale qui sopra descritto si completava proprio la notte della Natività del Bambino di Bethleem, allorché, il nonno per primo, versava un bicchiere di buon vino sul ciocco acceso nel focolare; dopodiché ad ognuno della famiglia, era permesso di gettare nel fuoco le briciole del pane consumato, bucce di mele e di mandarino. Allora il fuoco crepitava e la fiamma avvolgeva il ‘ceppo’ per intero. La luce improvvisa della fiamma illuminava tutt’attorno, le facce perplesse di noi fanciulli, le rughe espressive dei vecchi, della mamma e del papà, che ci osservavano crescere con amore.
Animava, per così dire, il piccolo Presepe nell’angolo in ombra della stanza, dove la ‘favola’ diventava per un momento realtà. Il fatto ‘meraviglioso’ della nascita del Bambino, suggellava la saggezza antica di tutto un popolo che in quella Notte di Natale si raccoglieva nelle proprie case a suggello di una tradizione agreste di fecondità e di buon raccolto, che restituiva al fuoco il significato ancestrale di espiazione e di rinascita”.

Voglio qui ricordare un grande poeta italiano del novecento, Giuseppe Ungaretti, al quale devo l’aver ritrovato in questi anni il ‘senso’ intrinseco del Natale, delle cose buone che mi legano alla famiglia, ai bei ricordi sempre vivi, alle fantasticherie giovanili, alla quiete e la pace ritrovata, magari aspettando che arrivino i Magi o, forse, la Befana:

“Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare”.


VI

Con l’Epifania di Nostro Signore si conclude il ciclo delle festività legate alla Natività. Il Natale e l’Epifania sono infatti interscambiabili, perché storicamente, calendarmente, liturgicamente dicendo, fissavano un tempo, e in qualche modo ancora oggi, la medesima festa solstiziale, che abbraccia quindi i giorni e le notti incluse dal 24 dicembre al 6 di gennaio del nostro Calendario attuale.

È qui utile sapere che il calendario riferito al Natale, fa parte di un ‘ciclo’ di dodici giorni, le cui date d’inizio variano sostanzialmente, sebbene siano scandite dalle ‘calende’ che vanno: dal 13 novembre al 4 dicembre; dal 25 dicembre al 5 gennaio; dal 1 al 21 gennaio; in rapporto con le credenze arcaiche di trarre buoni presagi per il futuro. Recita un vecchio detto popolare ancora in uso:

“Le Calende della festa del Sol
le mostra al mondo quel che
Crist’vol”.

La fantasia popolare ha avuto, indubbiamente, parte preponderante nel costituirsi dell’alone ‘meraviglioso’ che circonda la festa del Natale e ovviamente l’Epifania che la Chiesa celebra nel giorno calendariale del 6 gennaio, con la quale si commemora la visita che i Magi federo, passati tredici giorni dalla nascita del Bambino a Bethleem, e con la quale si stabilisce la continuità del racconto evangelico che riafferma la contemporaneità della realtà storica e la tradizione popolare dell’evento miracoloso. A questo proposito, propongo qui un testo letterario che Roberto Vecchioni ha trasformato in un Canto di Natale, intitolato “Dalle Stelle Alle Stalle” (Canzone di natale in prosa):

“È notte, un'ombra sorvola furtiva la vecchia fattoria. Qui le cose non vanno molto bene, mormora tra sé e sé, inventerò un giorno per metterle a posto e sarà un gran bel giorno per tutti, lo chiamerò NATALE. Se pensi che è difficile un anno da formica, sapessi a far la volpe, rubare è una fatica! E a noi farfalle allora? Dicono che siamo leggere, un fiore dopo l'altro, è proprio un bel mestiere! E a un topo? Mai che capiti una giornata al mare! E a chi interessa un'orsa che piange per amore o una cicala povera col vizio di giocare o un grillo senza musica e case discografiche? Ma noi balliamo, e poi balliamo e poi balliamo ancora. La stella che ci illumina in fondo è quasi nuova e l'anno nuovo è nuovo per una volta sola. Le chiocciole da tempo ormai si affittano la casa. Se le galline mancano, i lupi vanno in chiesa. I coniglietti aumentano tanto da far spavento e i millepiedi scappano, insomma qui è un tormento! Ma alla formica toccherà il seme nella neve, al topo niente trappole, alla farfalla il fiore, al grillo la sua musica, alla cicala i dollari, ai coniglietti "pillole", e all'orso un grande amore. E noi cantiamo, e poi balliamo e poi balliamo ancora. La stella è tanto bella che sembra quasi finta e l'anno nuovo è nuovo, la notte adesso canta. Ma noi balliamo, e poi balliamo e poi balliamo ancora. La stella che ci illumina in fondo è quasi nuova e l'anno nuovo è nuovo per una volta ancora”.

Il testo, scandito sulla musica di quel “O Tannenbaum”, (in italiano ‘O albero’) che molti di noi hanno cantato sui banchi di scuola, è di per se molto interessante dal punto di vista dell’inventiva e della creatività di un autore che ha dato ampia dimostrazione di possedere una certa dote di fantasia che s’avvicina molto al ‘meraviglioso’ che ho voluto fin qui narrare e che, va nella esattamente nella direzione popolare dei ‘vangeli apocrifi’ che si rinnova, a distanza di duemila anni, nel proporsi e riproporsi nel segno della natura. O meglio, calcando le orme dell’arcano e del magico, sulla scia del ‘verosimile’ interpretativo, talvolta ancor più bello ed entusiasmante del ‘vero’, come solo Roberto Vecchioni ha saputo dare alla canzone italiana.

Più che in ogni altra memoria, l’avventuroso quanto misterico cammino dei Magi, trova nella “Legenda Aurea” del XII sec., di Jacopo da Varagine (1228-1298), e nella successiva “Historia Trium Regum” del XIV sec., di Giovanni da Hildesheim (1310/20-1375), quella immediatezza di linguaggio tipica del racconto popolare, umanamente accettabile, capace di affascinare e stupire dopo quasi un millennio. Il cui significato, trascende il confutabile della storia, per avvicendarsi nell’inconfutabile della narrazione fantastica e che, tiene ‘la vicenda’ come sospesa al filo incantato della ‘favola’ bella.

Il ‘ciclo’ delle leggende riferite all’arrivo dei Magi a Bethleem è indubbiamente tra le cose ‘meravigliose’ riservate dalla tradizione all’evento del Santo Natale. L’arrivo dei Magi va quindi legato ai doni che questi portano al Bambino dall’Oriente: l’oro, l’incenso e la mirra, entrambi simboli della missione ‘divina’ del Signore fin dalla sua nascita. La fantasia popolare, che nulla lascia di intrapreso, ha trasferito l’atto del portare i doni al Bambino di Bethleem, come un gesto d’amore che si ripete ancora oggi, portando in questo giorno calendariale i doni ai bambini, ripetendo così un ‘atto’ divenuto catartico nella storia, delle vicissitudine (leggi colpe) a cui si legano i genitori nel metterli al mondo.
La parte laica, cercando fra i personaggi della realtà cui attribuire questa incombenza, si fa riferimento alla figura del ‘buon padre’, talvolta riconosciuto in uno dei Magi, che torna dal suo viaggio; e dalla Befana nel personaggio della vecchia o la nonna, appartenente in origine al mondo delle fate della più antica tradizione Europea. Comune a molte genti, la figura del Buon Padre, detto Babbo Natale in Italia, domina oggigiorno la scena natalizia: in Gran Bretagna, ad esempio, ha assunto il nome di Father Christmas, in Francia di Pere Noël, Sinter Klaas in Olanda, Santa Klaus in Germania, Samicklhaus in Svizzera.

Bonario e sorridente, soccorritore dei bisognosi, vescovo o santo, è più semplicemente un buon nonno allegro, dallo sguardo cordiale. La sua figura di vecchio si presenta con una folta barba bianca che ne nasconde l’età. Piuttosto lo si direbbe il ritratto dell’antica saggezza contadina, se bene il suo vestire adorno, il suo arrivare a cavallo o trainato da una muta di renne, ce ne diano una raffigurazione elegante e ricercata. Una certa iconografia lo vede con un enorme sacco in spalla dalla capacità inesauribile dove sarebbero contenuti i doni che egli distribuisce con relativa prodigalità un po’ a tutti, soprattutto ai bambini.

Ne riporto qui il testo originale che nel tempo è stato cantato dai più grandi nomi del panorama musicale mondiale, da Bing Crosby, Frank Sinatra a Elvis Presley, da Bruce Springsteen a Michael Boublè e tantissimi altri. Ha dell’incredibile il fatto che moltissimi artisti e gruppi rock, a un certo momento della loro carriera abbiano sentito la necessità di misurarsi con una canzone natalizia e mi piace pensare che non sia stata sempre una operazione prettamente economica.

“Santa Claus is coming to Town” (J. Fred Coots, Henry Gillespie, 1934) è oggigiorno considerata forse la più conosciuta canzone natalizia entrata nella tradizione anglosassone:

“You better watch out
You better not cry
Better not pout
I'm telling you why
Santa Claus is coming to town

He's making a list,
And checking it twice;
Gonna find out Who's naughty and nice.
Santa Claus is coming to town

He sees you when you're sleeping
He knows when you're awake
He knows if you've been bad or good
So be good for goodness sake!

O! You better watch out!
You better not cry.
Better not pout, I'm telling you why.
Santa Claus is coming to town.
Santa Claus is coming to town”.

Faresti meglio a guardar fuori / Faresti meglio a non piangere / Faresti meglio a non fare il broncio / Adesso ti dico perché / Babbo Natale sta arrivando in città / Sta facendo un elenco / E la controlla due volte; / Troverà che è bravo e chi è birichino / Babbo Natale sta arrivando in città / Lui vede quando dormi / Lui sa quando sei sveglio / Lui sa se siete stati buoni o cattivi / Allora fai il brano / Oh! Faresti meglio a guardar fuori / Faresti meglio a non piangere / Faresti meglio a non fare il broncio / Adesso ti dico perché / Babbo Natale sta arrivando in città / Babbo Natale sta arrivando in città.

Originariamente erano queste giocose giaculatorie e, in seguito, liriche e ispirate canzoni popolari, dedicate alla festa ed entrate a far parte delle festività natalizie, un po’ come lo sono le luminarie, gli addobbi, i biglietti augurali, le candele colorate, i cibi appositamente confezionati e i pacchetti regalo a conferma della trasformazione di una festa dalle origini umili e contadine in ‘fatto’ esclusivamente speculativo e commerciale. All’origine, infatti, rientrava nei ‘gesti di costume’ e prendeva esempio dall’usanza romana delle ‘strenne’, cioè dai rami d’alloro in segno di regalità, e di ulivo in segno di pace che la gente si scambiava come augurio di prosperità e di abbondanza, durante le calende del mese di gennaio.

Quella che segue è invece una canzone relativamente moderna che non ha bisogno di presentazione: “Do they know It’s Christmas?” di Bob Geldof, ed è stata qualche anno fa, uno dei maggiori successi discografici; forse l’unica, fra le numerose che di tanto in tanto entrano nell’orbita della canzone natalizia, ad affrontare il tema scottante della fame nel mondo:

“It's Christmas time; there's no need to be afraid
At Christmas time, we let in light and we banish shade
And in our world of plenty we can spread a smile of joy
Throw your arms around the world at Christmas time
But say a prayer to pray for the other ones
At Christmas time

It's hard, but when you're having fun
There's a world outside your window
And it's a world of dread and fear
Where the only water flowing is the bitter sting of tears

And the Christmas bells that ring there
Are the clanging chimes of doom
Well tonight thank God it's them instead of you
And there won't be snow in Africa this Christmas time

The greatest gift they'll get this year is life
Oh, where nothing ever grows, no rain or rivers flow
Do they know it's Christmas time at all?

Here's to you, raise a glass for ev'ryone
Here's to them, underneath that burning sun
Do they know it's Christmas time at all?

Feed the world
Feed the world
Let them know it's Christmas time again
Feed the world
Let them know it's Christmas time again”.

E' Natale
Non c'è bisogno di aver paura
A Natale
Lasciamo passare la luce e aboliamo le zone d'ombra
E nel nostro mondo di abbondanza
Possiamo diffondere un sorriso di gioia
Butta le braccia intorno al mondo
A Natale

Ma dì una preghiera
Prega per gli altri
A Natale è difficile
Ma quando ti stai divertendo
C'è un mondo fuori dalla finestra
Ed è un mondo di terrore e paura
Quando l'unica acqua che scorre
È la puntura amara delle lacrime
E le campane natalizie che suonano là
E’ lo scampanellio del loro tragico destino
Beh stanotte grazie a Dio tocca a loro e non a te

E quest'anno in Africa non ci sarà neve a Natale
Il miglior regalo che riceveranno quest'anno è la vita
Dove niente cresce
Non scorrono né pioggia né fiumi
Hanno una minima idea del fatto che sia Natale?

Un brindisi a te, alza un bicchiere per tutti
Un brindisi a loro stare sotto il sole cocente
Hanno una minima idea del fatto che sia Natale?
Sfama il mondo
Fa loro sapere che è ancora Natale.

Lo scambio dei doni avveniva e avviene tutt’ora in segno di amicizia e quindi di fratellanza, quale simbolo augurale e significativo nei rapporti conviviali, di unione, di lieta dipendenza, come segno di affabilità e di felicità raggiunte; ed anche di stretta intimità che da sempre caratterizza il ‘tempo della festa’. Tempo in cui si esprime il ‘senso’ del quotidiano vivere comunitario, e del ‘meraviglioso’ reciproco scambio augurale di ‘pace’ e rinnovata ‘speranza’.

Alla ‘pace’ è dedicata un’altra canzone scritta da L.Lopez /G.Ullu / C.Vistarini e portata al successo da Riccardo Fogli:

“Pace”

“Pace a voi
uomini, fabbriche di favole
chi non ha amato non lo sa
che luce fa una stella
in notti come questa qua;
io vorrei prendere
tutti i sogni in vendita,
credere nel tempo che verrà
a mezzanotte il mondo
un po' di pace troverà.

Girotondo di bambini
pace porterà
une mano nella mano
che ci guiderà.

Suonano musiche di tanto tempo fa
la notte di Natale un po' d'amore porterà;
cercami, chi non ha amato non lo sa
che luce fa una stella
in notti come questa qua;
anche noi credere nel tempo che verrà
a mezzanotte il mondo
un po' di pace troverà.
Anche noi credere nel tempo che verrà
la notte di Natale un po' d'amore porterà”.


Termina qui il nostro excursus nella ‘Musica per una festa’ che ho voluto regalare a tutti voi ‘Poeti’ de larecherche.it per questo Natale, nella speranza che il messaggio, solo apparentemente banale, d’un pur semplice cantare, può fare molto per alleggerire il peso in un momento di recessione come quello che conosciamo, che le difficoltà non esistono per si sa cantarle o interpretarle con un verso, la ‘poesia’ non porta gli allori ma indubbiamente può far molto per alleviare la pena di questa esistenza straordinaria che ha del ‘meraviglioso’ solo per il fatto che c’è. Auguri!

Giorgio Mancinelli