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Skizzando nel vento 12 (Rimpianto per il presente)

di Stefano Saccinto
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Pubblicato il 23/10/2008 10:19:06

12
Rimpianto per il presente
(Primi contatti effettivi)



FEBBRAIO DEL CAMBIAMENTO

Erano ormai due settimane che eravamo seduti accanto e la storia da allora non era cambiata di molto.
Corona aveva smesso di fare casino dal suo sei in condotta e si limitava ad intagliare il suo banco con disegni degni di un’artista; a quanto pareva da un po’ si era messo pure a studiare quel poco che bastava perché non facesse scena muta ad ogni interrogazione.
Cristiani urlava solo di tanto in tanto ed aveva spiegato ai professori che non ce la faceva a non urlare mai, così gli era concesso due o tre volte all’ora di fare strada alle sue fantasie vocali e tutta la scuola sapeva di questo ed ogni volta che si sentiva un urlo che tagliava tutti i corridoi dell’edificio se ne conosceva la provenienza.
Quelli del loggione facevano solamente qualche battuta ogni tanto e la procedura era sempre quella: uno (di solito Mangino) faceva la battuta, un altro da un’altra parte dell’aula lo appoggiava (di solito Nagliero), il terzo (di solito Fortunato) riconosceva che erano due imbecilli, uno rideva schiattando sulla sediolina (di solito Tarantino) un altro si alzava e andava a tirargli i morsi sulla spalla (di solito Coviello) ed uno (di solito Ieva) da un altro punto ancora dell’aula, si girava indietro e schiaffeggiava un altro (di solito Morra) in quel momento di sottile libertà concessa.
Tutti si ricomponevano appena la classe aveva smesso di ridere e mi facevano ridere pure a me del loro volersi così bene.
Io, per quanto potevo, avevo smesso di fare qualsiasi cosa che potesse portarmi al centro dell'attenzione, anche se mi rimaneva addosso l’alone di casinista, come era rimasto a tutti quanti noi e così ogni tanto, quando uscivo fuori di testa, chiedevo di andare al bagno e lì spegnevo il mio vizio di folleggiare, lavandomi la faccia.
I rapporti con Sarah non erano migliorati di molto, ogni tanto mi concedeva un dolce sorriso in cambio di una mia cazzata o di qualcosa che avevo detto, a volte, quando la sfottevo, si metteva pure a ridere apertamente e riuscivo anche ad estorcerle una battuta innocentissima detta a bassa voce.
Avevo deciso di cambiare comportamento, certo, ma visto che non avevo ancora scelto come sarei dovuto essere, ero andato avanti per tentativi, avevo già scartato il serio perché così non mi cagava proprio, avevo scartato il modesto perché così non mi prendeva neanche minimamente in considerazione, avevo scartato il disperato perché così più che innamorarsi, iniziava a compiatirmi ed ora ero approdato ad uno stadio del mio comportamente che avevo definito simpatico-non-volgare.
Avevo scoperto da un paio di giorni che questo era l’ideale tra i tipi che avevo provato fino ad ora ed avevo visto quanto era affascinata anche da alcune mie entrate alla Einstein in cui rispondevo a domande a cui nessuno sapeva rispondere ed avevo riscontrato in lei un interesse ancora maggiore nei miei confronti quando citavo qualche personaggio o avvenimento che lei non conosceva, come se quelli fossero discorsi da cui si sentiva esclusa ed in cui voleva entrare pur passando dalla porta Gabriele Barra.

Quella mattina cavalcavo ancora sull’onda del simpatico-non-volgare e me ne venni a scuola deciso a parlarle seriamente per la prima volta da quando eravamo seduti accanto.
Lei si era messa in faccia la sua solita maschera da ‘sono indifferente se non cominci tu’ ed io cominciai mentre il professore di italiano ci spiegava che il fulmine è un pezzo di ferro di dieci centimetri che rimbalza da un punto all’altro della casa quando entra dal camino.
Avevo notato, stavo per dimenticarlo, che adesso qualche volta mi ascoltava anche se le chiedevo qualcosa durante le spiegazioni, era ancora in via sperimentale, il nostro amore, no?
“Posso farti una domanda personale?” le chiesi all’improvviso osservandola girarsi verso di me aggrottando le sopracciglia e con piccole chiazze rosse sulle gote che andavano espandendosi.
“Dipende” rispose non più sicura come la ricordavo solo due settimane prima, forse col simpatico-non-volgare l’avevo finalmente suggestionata un tantino.
“Sei... sì, voglio dire... fidanzata, tu?” ecco, gliel’avevo detto ed adesso il dubbio che ci avevo me lo sarei tolto col monosillabo di risposta che mi avrebbe dato.
“Sì, sono fidanzata” immaginai che mi dicesse ed il mio cuore che si raggelava in un secondo, la mia pressione che si abbassava vertiginosamente, svenimento, conati di vomito, minzione e defecazione tutto contemporaneamente, brividi di freddo e linee di febbre grosse quanto pilastri di cemento portanti in un condominio.
“No, non sono fidanzata” e uccellini e campi in fiore e campane a festa e musica in piazza, bambini che giocano con le bici, sorrisi giganteschi a denti bianchi e Dio esiste ed è pure un pezzo di pane d’Altamura tanto è buono e tutto il resto così fantastico e celestiale e paradisiaco e luci tricolori verdi bianche e rosse e l’Italia aveva vinto i mondiali e tutto ciò mi dava un’energia tipo pila alcalina Duracel e mi sembravo il pupazzo della pubblicità che non si ferma più neanche con le cannonate.
“A te che te ne importa?” questo non lo avevo calcolato e per la prima volta da quando la conoscevo mi aveva preso alla sprovvista e adesso non ero più tanto sicuro di poter continuare sulla scia del simpatico-non-volgare e cambiai rotta imbarcandomi sullo sta-attenta-piccola-o-ti-farai-male.
“Non mi piace che tu mi risponda così” dissi agitandole un dito davanti agli occhi.
“Non è a te che deve piacere” ecco qua, due a zero infilato nel sacco mentre si voltava mirando con gli occhi un punto indecifrabile della lavagna di fronte a noi. Si era calata ancora la sua maschera sulla faccia come una colata di cemento a presa rapida.
Mi rituffo nel simpatico-non-volgare per recuperare lo svantaggio.
“Potevi venire col vestito di tua nonna allora e così sicuro non mi saresti mai piaciuta” piccolo sorriso da parte di lei, tentativo di smorzarlo, non ci riesce, non ci riesce, sono un grande.
Riprendo fiducia, due ad uno e mo pareggio di sicuro.
“No, non sono fidanzata” mi fa prima che io apra bocca e ci avete presente tutto quello che ho scritto prima delle campane, festa e musica in piazza e cose così? Minimo sarà stato bello il doppio.
Chino la testa con gli occhi chiusi e le mani congiunte un paio di volte e sussurro che veramente quel Dio che adesso esiste, comincia a volermi un bene (perdonatamela vi prego) della... Madonna.
“Ecco” fa lei alzando lo sguardo al cielo e forse ci crede anche lei “adesso è partito”
“Sì” le dico senza rendermene conto “per il tuo cuore” e così mi do una violentissima zappata sui piedi da troncarmeli di netto da solo, mi serro le labbra con una mano e sto a vedere la sua reazione: fa finta di non aver sentito ma lo so che l’ha sentita e credo pure le sia piaciuta perché diventa rossa, sorride e si volta dall’altra parte.
Tutto ciò è veramente fantastico, oh.
“Posso” le chiedo ancora “farti una domanda ancora più personale?”
E’ ancora semi-sconvolta da ciò che le ho detto, ma fa segno di sì con la testa: non fa più la difficile come poco prima, ok, è cotta lo so, è cotta e adesso basta allungare una mano perché se ne venga con me dalla mia parte. Non ci vuole niente, devo solo farglielo capire, basta un accenno, una piccola frase, una domanda tipo: se io te lo chiedessi, ti scopere... mmm sposeresti con me?
“Che misura di reggiseno porti?” come cazzo mi è uscita questa mo? avevo aperto la bocca con il ‘se te lo chiedessi’ già sulla lingua e mi è uscito questo sgorbio di domanda, eppure i patti erano diversi e non ci siamo e... col mio cervello ho uno strano rapporto, alle volte.
“Ma... sei proprio un animale!” infatti.
“No, no volevo chiederti questo eppoi non mi interessa che misura porti, tanto al massimo sarà una prima, però...” mi sa che mi sto inguaiando di più.
Rimane a bocca aperta tutta sconvolta e angosciata, cerco di sorriderle, ma mi risponde con uno schiaffo che risuona per tutta la classe rimbalzando sui muri e finendo alle orecchie del professore. Il palmo della sua mano destra e la mia guancia sinistra ormai ci hanno anche rapporti sessuali, tanto si conoscono bene.
“Che succede laggiù?” chiede il professore.
Io non so che rispondergli, lei, incazzata com’è, non ci pensa neanche, così risponde Tarantino che hanno messo al mio fianco da quando cambiarono i posti ed è il più calmo di quelli dell’ex loggione.
“Niente professò, ho chiuso troppo forte il libro” grazie, grazie ti voglio bene, mi hai salvato da una figura di merda abbastanza compromettente.
“Non è vero!” fa Sarah e lo sapevo, Giuda, che non poteva andarmi liscia per una volta, tutte, si devono venire a sapere, perché non mi sto zitto zitto come fossi muto e... chissà, magari le piace il tipo parlo-poco-ma-bene.
“Barra mi ha dato fastidio e gli ho mollato uno schiaffo” risata generale e ridete ridete rimbambiti che non capite un cazzo, annuisco con la testa e mando giù anche questa.
“Barra,” mi fa il professore “non ti abbiamo messo lì per dare fastidio a Sarah Moretti, il nostro scopo era di farti smettere completamente”
“Non...” ammetto “non lo faccio più. Giuro!” con una mano sul petto e la testa chinata. Vaffanculo. Cazzo. Mi da fastidio scusarmi, oh.

Altro giro, altra corsa, altra stronzata ai danni della pupa. Ci ho un’idea folgorante che me la sono sognata stanotte e non posso sbagliare stavolta.
“Allora” dico a Sarah qualche giorno dopo il nostro piccolo primo approccio, in una mattina piovosa che dà di febbraio ed infatti lo è ancora “C’è questa tipa qua, di cui mi sono innamorato, ma vedi, non so come dirglielo o farglielo capire”
“E grande, piccola, com’é?” mi chiede tutta curiosa di ascoltare una mia confessione.
“Ha la mia stessa età ed è veramente bellina, va in prima B”
“Le hai mai parlato?” stavo per dire ‘certo, proprio adesso’, ma scuoto la testa e deglutisco prima di ricominciare.
“Sì, qualche volta, ma non credo che abbia capito che io... insomma... vabbé dàì, non me lo far dire che mi vergogno”
“E perché lo stai chiedendo a me come devi fare per dirglielo?” buona questa, nel sogno non c’era, mi tocca improvvisare.
“Perché tu... sì, beh, sei una ragazza. Come ti piacerebbe che uno... te lo facesse capire?” credo sia ok come risposta.
“Ci sono diciassette ragazze in questa classe, perché proprio a me?” adesso comincia ad essere un po’ troppo imprevedibile.
“Adesso sto parlando con te e tu mi stai vicino nel banco, non farmi incazzare e rispondimi” credo che anche questa sia buona, come risposta.
“Non lo so... dovresti dirglielo chiaramente”
“Non ho il coraggio”
“Potresti scriverle una lettera”
“Non so che scriverle”
“Potresti darle un regalo”
“Non ho i soldi”
“Potresti mandare qualcuno a dirglielo”
“Non ho chi mandare o forse sì, ci mando Corona”
“Lasciamo perdere!” riprende a pensare con una mano sotto il mento, potrei mandare lei a dirglielo effettivamente, ma è a lei che deve dirlo, speriamo che non mi chieda di andare lei.
“Posso andarci io” e che cazzo ce le ho tutte io le sfighe di questo pianeta di merda, mi viene l’angoscia a volte, Madonna Santa.
“Non puoi andarci perché... è una pessima idea mandare qualcuno a parlarle, soprattutto se ci mando una ragazza” che risposta di merda.
“Hai ragione” mi sta prendendo per fesso o mi sto prendendo per fesso da solo? “beh, allora non so che dirti!” continua, aprendo il libro di fisica ed inziando a ricorpiarci sopra gli appunti scritti su di un foglietto mezzo sgualcito che il professor Rana (di fisica per l’appunto) non smetteva mai di dettarci, indomito.
Vorrei dirle grazie lo stesso, ma mi ricordo che quel discorso doveva farle capire qualcosa.
“No, aspetta” le dico “tu devi aiutarmi perché sennò non so a chi chiederglielo, sono veramente disperato” ed è la verità, questa non lo capisce neanche se glielo dico esplicitamente, cioé, si può sempre provare... ma con la faccia da deficiente che mi ritrovo, non mi crederebbe mai.
“Non c’è nessun altro modo perché tu possa farle capire di esserti innamorato di lei se non fai una di queste cose che ti ho detto, come posso esserti d’aiuto più di così?” e mica ha torto, la ragazza, forse dovevo farglielo capire quando mi ha chiesto ‘Com’è?’ e devo aver perso un’occasione irripetibile.
E adesso che le dico? Non è che si può girare più di così attorno al discorso, ad un certo punto bisogna che lei lo capisca pure, sennò può continuare pure per tutta la giornata e stiamo sempre lì.
“E’ vero” le dico sconsolato per davvero “ma il fatto è che lei è così dolce, così semplice e così bella ed io non voglio rovinare tutto questo” adesso le parlo sinceramente come se realmente io mi stia confidando e non me ne rendo neanche conto “io sono così... a fatti miei insomma, tu mi vedi fare casini dappertutto e non sono buono a nulla. Non riuscirei mai a chiederle di mettersi con uno che sarebbe la sua vergogna per i corridoi di questa scuola, eppoi lei è anche così diversa da me, è tutta una cosa diversa proprio, voglio dire, certamente non sono il tipo per lei e magari questa mi manda affanculo al primo colpo e poi non potrei sopportare di vederla ancora. Non voglio che lei debba vergognarsi di vedermi in giro pensando che io l’abbia disturbata chiedendoglielo. Vabbé... tanto a te che te ne frega di tutte queste cose, poi?”
“No, continua, ti sto ascoltando” ed era vero, perché adesso la lezione era cominciata da un bel po e lei se ne stava con una mano sotto il mento poggiata al suo banco ad ascoltarmi.
Le sorrisi con il cuore che mi gridava di gridarglielo e di rizzarle i capelli con tutto il mio fiato e di spezzarle pure i denti con la potenza delle corde vocali, magari cantandoglielo come fossi un tenore e facendola volare fuori dalla finestra come un aquilone, ma parlai quasi sussurrando.
“Mi piacerebbe che fosse facile dirle che mi sono innamorato di lei e che lei mi capisse, ma non potrebbe capire, magari penserebbe che voglio solo farmela, ma più che altro penso che mi riderebbe in faccia e penserebbe che la gente come me non è capace di amare ed in fondo forse è vero ed è meglio non dirle nulla e farmi male da solo a vederla vivere la sua vita senza darle noie”
“Addirittura farti male da solo!” mi fece incredula.
“Conosco già il numero delle notti che non dormirò, bella, e ti giuro che non sono poche” le dissi “so già quante volte piangerò e quante volte avrò voglia di non essere mai esistito o almeno non essermi mai innamorato di lei. Già mi viene a volte; è dura essere innamorati, lo sai?!”
Forse le sto dicendo troppo adesso, deve aver capito qualcosa e forse siamo a cavallo.
“Potresti invitarla fuori!” fa poi con l’espressione dell’idea perfetta e forse lo è pure, ma rimane il fatto che questa qui non ha capito proprio un cazzo.

Fine febbraio danzata sui calendari a ritmo di stronzate volteggianti come ballerine sudamericane abbronzate e dai capelli lunghi, belle stronzate, sì, ma pur sempre stronzate e basta.
Non ho concluso proprio niente con la fanciulla e la mia chitarra ormai mi chiama da un po’ e non sa nulla del mio tradimento con una elettrica ed un po’ ancora adesso ho quel rimorso dentro di me, ma se lei fosse venuta con me lì dov’ero andato, non ci sarebbe stato nessun paragone con nessun altro strumento musicale del globo.
Adesso si cerca più che altro di raccogliere tutte le emozioni sul centro di convergenza Sarah Moretti e di dedurne qualcosa di serio, piuttosto che due o tre dialoghi sgangherati come mai si erano visti prima.
Effettivamente da una prospettiva prettamente individuale, la mia storia con Sarah Moretti va bene.
Se sono io ad immaginarmela incastonata fra le corde della mia ispirazione (ok, sono un poeta).


Rimpianto per il presente

Incipit con arpeggio
(Grande conoscitore del latino, questo qui)
Si estende come un cielo spiegato sulla mia vita,
di panno in seta grigio eterno,
questo canto di solitudine
e questa malinconia che cresce ancora.

Strofa 1
Me ne andrò nella notte chiara per il bosco della mia vita,
in cerca di una lanterna o di una stella fra i rami,
con due cose sole nel cuore,
il nero della solitudine
e il bianco della libertà.

Strofa 2
Mendicante del buio con le mani screpolate
dal gelo della solitudine...vivrò,
sotto il tempo che incalza passeggerò,
contando le stelle, amori falliti nel mio cielo,
e quante ne cadranno, volta per volta.

Ritornello
E un giorno rimpiangerai il tempo in cui
fra i banchi di scuola
un deficiente sempre sorridente
cercava di fartelo capire e non ci riusciva,
non era facile dopotutto, se poi la timidezza
è la timidezza.

Ponte 1
Ma un giorno rimpiangerai
gli stupidi commenti di uno stupido come me, su di te,
quanto amore nascondevo dietro di essi,
quante parole ti gridavano quegl'improvvisi silenzi,
avevi le orecchie tappate dal latino e dalla matematica,
e non sapevi che l'amore non è come il latino o la matematica,
in cui tutto è calcolato, previsto,
innamorarsi a volte è di quelli
che ti guardano negli occhi
e sanno restare in silenzio

Ritornello
E un giorno rimpiangerai il tempo in cui
fra i banchi di scuola
un deficiente sempre sorridente
cercava di fartelo capire e non ci riusciva,
non era facile dopotutto, se poi la timidezza
è la timidezza.

Ponte 2
Non te l'ho mai detto per questo,
ma quante volte ti ho guardata negli occhi,
in silenzio, mi chiedo anch'io a cosa pensassi,
forse già capivo che avrei rimpianto questo stupido presente,
e allora cercavo di gustarmelo,
di assaporare ogni punto del tuo viso,
non sapevo che ne sarebbe partita una semiretta
principio primo della matematica:
solitudine eterna che inizia da te
e si proietta nell'infinito.

Ritornello
E un giorno rimpiangerai il tempo in cui
fra i banchi di scuola
un deficiente sempre sorridente
cercava di fartelo capire e non ci riusciva,
non era facile dopo tutto, se poi la timidezza...

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