La mia ricerca sulla forma dello scrivere si innalza oltre il Brillo Box,
butto i miei versi in cassaforte come se fossero a Fort Knox,
start-up, ripetizione, riproduzione danno l’ergastolo all’originalità
dei direttori centenari delle riviste ormai dimentiche d’ogni abrasività,
d’altronde, si sa, le dentiere non vanno sollecitate da concetti intelligenti,
a forza di accettar versi canini carmina dant panem solo ai loro denti,
se a noi, adolescenti quarantenni, tocca la dieta del Professor Birkermaier
a loro, bambini ottuagenari, sarebbe ora di diagnosticare un briciolo di Alzheimer.
La moda attuale del critico scontato è latrare contro i successi del minimalismo
milanese o romano, inn istèss, e noi, fantasmi anni ‘70, in cerca dell’agognato minimo spazio,
ché a cambiare il mondo ci tornerebbe comodo l’energico vigore d’un massimalismo,
a leggere certi versi in endecasillabi rolliani, nel 2016, ci si sente vittime d’un’odissea nello strazio,
e il castigo delle nostre generazioni no future è di fare avanguardia a quarant’anni
intenti a rivendicare un Lebensraum che non finisca con lo sfociare in Anschluss,
noi Heermann condannati dalla flexibility a non sbocciar mai in arimanni,
ci troviamo a riannodar cateteri a vecchi specialisti in trobar clus.
Cosa ci tocca fare nell’intento di raggiungere i nostri quindici secondi di celebrità
mostrare il culo da Barbara D’Urso, curare le rubriche culturali dell’Unità
o brevettare rime che voi comuni mortali nemmeno osereste immaginare
can che abbaia non dorme e addormentati – come ci vorreste- non ci aiuta a morsicare,
è svegliata dalle carezze d’un emiro la tardo-moderna Bella addormentata da cocaina
disponibile a succhiar US gal di oro nero come se fosse una pompa di benzina,
signore, transgender e signori annuntio vobis gaudium magnum la favola è finita
alle generazioni oltre il Brillo Box spetterà rosicchiare avanzi sotto la tavola imbandita.
[Cherchez la troika, 2016]
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