Le altitudini rarefatte d’affetti delle scalate anaerobiche
a mani nude sulle nostre rocce aguzze,
foglie di fico d’India di ferite auto-inferte,
condite con succo d’aceto balsamico e ammoniaca,
senza alleviare, allevano, in batterie intensive
d’un metro scarso di diametro, lottizzabile,
uomini come carburatori ingolfati,
dall’odore acre d’olio e cervelli bruciati invano.
Uomini come conchiglie coi sigilli alle porte,
vuote di desideri pignorati da insensibili ufficiali giudiziari
nel difficoltoso tentativo di ostacolare rapaci accessi abusivi.
Uomini come cambiali tratte di schiavi, statue di cera, di sale
di uranio arricchito nei duri momenti attuali,
col collasso delle classi medie italiane.
Uomini, come sale d’attesa affollate d’indifferenza,
nei viaggi onirici di una divinità stanca,
buttata a terra sulla sua valigia imbottita di rabbia
e fiori di Bach.
Uomini, come bozzoli d’insetti viscidi,
sospesi tra sonno e sogni icarici,
ai basculanti arrugginiti del garage
d’un condominio perso ai margini della serenità.
Non c’è scampo
alla serrata rancida solitudine
d’una vita in branco.
[Riserva indiana, 2007]
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