Dopo attenta osservazione stilistica, con l’aiuto d’una valida filologa
ho scoperto, finalmente, d’essere un campione d’incipit:
i miei titoli sono incisivi, i miei versi canini,
servono entrambi a mordere il sedere ai burattini,
senza rompersi, - l’amica ironica Carla De Angelis mi sgrida,
se uso termini sboccati- nell’Arcadia moderna sono apprezzati i sederi,
i culi non sono ancora sdoganati (mi immagino un culo alla dogana:
«Qualcosa da dichiarare?» «Prrrrr», la risposta che l’onesto cittadino
dovrebbe concedere ad ogni question time parlamentare).
Chiusa parentesi.
Le poesie con le parentesi avranno un significato filologico,
avranno un filo logico, un feeling logico, tipo di chiudere il pubblico
fuori dalla pagina o fuori dalla porta di casa, non lo dobbiamo soddisfare,
in fondo, attualmente, il lettore non ci garantisce da mangiare,
e io mi specializzo in incipit, lancio un titolo, e se la veda poi l’astante,
ci risparmio in carta, inchiostro e costi da stampante,
titoli tipo Dall’euro alla neuro, Vate vobis, o Cinese ucciso a coltellate: è giallo,
lo stesso Hemingway non si sarebbe sparato in bocca se avesse avuto un intervallo,
anzi, lo stesso Hemingway non si sparava in bocca se aveva un intervallo,
magari scrivendo solamente incipit, e godendosi la fatica d’un lettore in stallo.
Insomma, un campione d’incipit è simile ad un campione d’urina,
entrambi analizzati, l’una con GC/MS, l’altro con la vaselina,
non mi consigliava male mia madre – da ragazzo- di trovarmi un mestiere,
non studiare!, non sarei mai stato obbligato a regalare il sedere
a critici, a direttori d’azienda, o a marinai d’acquasantiere,
a cantar fuori dal coro, a pisciar fuori dal vate,
perché Ambra si incazza se trova le piastrelle del bagno colorate.
[Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni, 2015]
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