Oggi è il giorno dell’amore e la notte dell’odio,
ché sulle mie ferite da britanno azzurro hai da versare litri di tintura di iodio,
è da due anni che ti trascino di casino in casino
come se fossimo separati dalla densità del muro di Berlino,
e, a scavalcarlo, amore mio, ci vorrebbe un aviatore
impermeabile ai colpi secchi di mitragliatore.
No, Princeza, non siamo Neruda, Lorca, e nemmeno Prévert,
meglio, che ad essere essi finiremmo sul dorso di una tshirt,
nello star system dell’arte va ieri Majakovskij, oggi Evtušenko, domani Tranströmer,
io e te restiamo e ci lanciamo in cielo con l’energia drastica di un booster,
non c’è uno ieri, non c’è un oggi, non c’è un domani
tra le stelle non rombano attoniti i motori degli aeroplani.
Oggi è il giorno dell’amore e la notte dell’odio,
c’è da infilarsi una muta e fingersi artista anaerobio,
tratteniamo il respiro e respiriamo ciò che tratteniamo
l’anossia cerebrale di chi ci circonda non consente reclamo,
ascoltami, conviene convincersi a smettere di respirare,
forse, accodarsi all’idiotismo dilagante non sarà un brutto affare,
la catena te la stringono al collo se ti adatti al collare.
Sei riuscita a farmi scrivere una ventina di versi senza nessuna trivialità,
mi hai costretto a mantenere, senza multilevel, la mia forza di gravità,
gravis, dall’etimologia latina o dal sanscito gur-ús,
e mi fai far fatica a far coincidere in rima gur-ús con virus,
il sanscrito tollerava la variante di andar a dar via il gur-ús,
e il milanese, invece, si applicava a fagh la barba al Negus,
intorna al bus del conquibus (pecunia non olet).
Il mondo ci ha costretto a cantilenare, senza regole
a lavorare, senza regole ad invecchiare, senza regole
come un Saturnino e un Glaucia condannati a asciugar le tegole
da incollare, senza troppa convinzione, sul tetto della Curia Hostilia
in attesa di esser lapidati dopo aver commesso una quisquilia:
tu scrivi poesia in prosa e io prosa in poesia,
come dar via il culo o darla via,
questa cazzo di poesia.
[Cherchez la troika, 2016]
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