Sono stato condannato, dall’alter ego di Ponzio Pilato,
a mirare, alza il cane!, col bracco a destra e il fucile a sinistra, a uno stile dinoccolato,
a una stilo bizzarra, osti!, non diventerò mai Dmitrij Sergeevič Merežkovskij,
ad alzar, ostinatamente, l’asticella come Bubka non si rischia l’atterraggio in sottoboschi,
tutti russi, i miei nuovi modelli, tutti dalla steppa, tutti Sergey
non vorrei svegliarmi una mattina ed accorgermi d’essere gay
a forza di alzare asticelle e d’avere a che fare con l’asta,
vendere il culo ogni giorno a scrittori arroganti mi basta.
Cosa cazzo vuol dire che devo scrivere terremotato?
Mi devo trasferire in baracca nell’Abruzzo non ancora ricostruito,
le tangenti, in Italia, non si toccano mai, si organizzano in home banking
anche la sana bustarella, sfidando la geometria piana, è diventata un fenomeno di trading.
Ho tentato di scrivere una serie di versi, agitare il Pc, e buttarlo dalla finestra
l’ho riacceso, trovandolo illeso, e nei word scopro sempre la stessa minestra,
una scrittura surgelata come i maxi sacchetti della Orogel,
con una forma flessibile simile alla scadenza di una busta di wurstell,
nei centri distributivi, scaduta la busta, cambiano etichetta
la mia è una scrittura calorica che condanna all’ingrasso ogni buona forchetta.
I miei versi saranno abbastanza bislacchi? C’è chi mi confronta con Cecco,
chi con Cécco Bèppe, anti-artista irredento, chi a Esenin, chi a un lanzichenecco,
a volte io faccio fatica a equipararmi a me stesso, mellifono usignolo stonato,
sarà forse il mio essere aquila a rendermi un terremotato?
[Qui gli austriaci sono più severi dei Borboni, 2015]
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