A Salvatore Pizzo
L'uomo che scavava dentro l'abisso
di una teoria di respiri, scavava
riportando tra le mani ferite
piccole scaglie di luce. Egli
era solito attraversare il buio con il fiato in gola
e non misurava se non con gli occhi la distanza
tra lui noi e le stelle. L'uomo portava con sé
un canto nella carne del cuore e gli premeva sull'anima
un suono sottile, simile al lamento d'un esule lontano
che guarda la terra natia negli occhi di un amore,
foss'anche lo sguardo d'un cane randagio
nella solitudine d'un poeta. L'uomo
sapeva con la pelle la voce degli ultimi, la sapeva
fin dentro le fibre della propria carne, la sapeva
fino ad udirla nascosta
nelle ombre dei lembi di cielo, quando
le ore d'autunno presto diventano cera
d'un altro giorno andato perduto per sempre.
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