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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Alessandro Cortese

Argomento: Intervista

Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 07/11/2014 12:00:00

 

[ Intervista a cura di Giuliano Brenna ]

 

 

1. Chi è Alessandro Cortese?

 

Un giocatore. Un sognatore. A volte credo di essere un folle. Più spesso, un illuso. Per quanto possa sembrare una battuta, credo anche di essere una persona umile, a modo mio. Sono un cinico e, paradossalmente, uno che ha tanta fiducia nel mondo. Mi piace ridere ma lo faccio poco. Capita che io appaia agli altri come una persona complessa ma, in realtà, sono piuttosto semplice. Penso in modo semplice e arrivo altrettanto semplicemente alle conclusioni. Diciamo che non sono propriamente pieno di pregi.

 

2. Come hai iniziato a scrivere e perché? Chi o cosa ti ha spinto a scrivere?

 

In realtà, non si inizia. Io ho sempre sentito le voci. Erano le voci dei giocattoli con cui mi piaceva passare il tempo da piccolo e, quando gli altri bambini facevano combattere i loro pupazzi urlando suoni gutturali, io costruivo storie in cui quelle voci uscivano dalla bocca di ogni robot, guerriero o bambolotto. Ognuno aveva un suo ruolo e quel ruolo cresceva nel tempo, da un pomeriggio all’altro.

La testa di uno scrittore funziona in modo strano. Un attimo prima non c’è niente e l’attimo dopo c’è tutto quel che serve per raccontare la storia. È come se la storia ti raggiungesse e a spingerti a scrivere è proprio lei, la storia che ti ha raggiunto, perché la storia evidentemente vuole che sia tu a raccontarla, altrimenti perché sarebbe venuta a cercarti?

Inutile nascondere, poi, che ci sono anche i deliri di onnipotenza. Si scrive perché, finito un romanzo, ti senti come un dio: hai creato la vita dove prima c’era il nulla. È vita vera, quella che hai messo sul foglio, perché i personaggi nelle tue pagine piangono e ridono e muoiono e s’innamorano.

 

3. Come hai capito che era giunto il momento per te di pubblicare un libro?

 

Non ho mai cercato un editore come se fossi arrivato alla canna del gas. La mia priorità non è mai stata quella di pubblicare ma quella di scrivere. Scrivere mi aiuta ad autopsicanalizzarmi, mi permette di mantenere una valvola di sfogo attraverso la quale far fluire idee disordinate verso schemi ordinati. Scrivere, per me, è il principale contributo che, con la mia vita, sto dando alla lotta contro l’entropia.

Però c’è stato un momento, nel 2009, in cui ho sentito la necessità di vedere i miei lavori pubblicati. Avevo già scritto La Città Oscura, Eden, Ogni Maledetto Proiettile, Alì, Polimnia era a buon punto e avevo iniziato i due libri seguito della Città. Fino ad allora avevo ricevuto solo alcuni rifiuti (conservo qualcuna di quelle lettere, la prima è datata 20 Ottobre 2004 e una piccola casa editrice milanese mi diceva che il libro che gli avevo presentato, La Città Oscura, era decisamente troppo grosso per essere un’opera prima), ma solo durante il 2009 ho sentito che era davvero il momento di provare in modo serio a trovarmi un editore. Per me era diventata quasi un’ossessione, sono arrivato al punto di valutare anche la pubblicazione a pagamento e, se non avessi scoperto su internet che le persone con cui avevo preso contatti erano state tacciate di truffare i propri autori, probabilmente l’avrei fatto. Non lo feci e, preso dallo sconforto, convinto che non avrei mai pubblicato, cominciai a pensare che era semplicemente destino che le cose andassero così.

Poi ArpaNet, casa editrice che mi pubblicò un racconto in un’antologia nel 2007 e a cui avevo mandato Eden in visione solo qualche mese prima, mi scrisse che sarebbe stata “felice di pubblicare la mia suggestiva opera prima”. Letta la loro risposta ho capito che il destino, inteso come successione di eventi acausali (per usare alcuni termini di Jung), deve starci e ci accompagna lungo una via.

 

4. Quale è stata la tua prima pubblicazione? E come la vedi ora?

 

Un racconto: “Vita e ricordo di Mary Ann Nichols. Prostituta”, pubblicato nel dicembre 2007 nell’antologia Concept – Storia di ArpaNet.

Mary Ann Nichols fu la prima vittima di Jack lo squartatore, ma il racconto non trattava di quello. Avevo preferito usare quel pretesto per raccontare come si potesse ledere la dignità delle prostitute nell’Inghilterra vittoriana. Avevo caratterizzato Mary Ann sul modello della Medea disperata di Euripide… la trovavo un’idea originale 7 anni fa e continuo a reputarla tale anche adesso.

Non sono uno che scrive racconti, io i racconti non li so fare: sono abituato a sviluppare storie lunghe che intreccino diversi personaggi e situazioni, e un racconto in genere non mi trasmette la sensazione di poter fare quel che mi pare. Quindi racconti ne ho sempre scritti pochi… ma quando lo faccio, trovo siano fatti nel modo giusto. E finisce che io li ami più dei miei romanzi perché più immediati.

 

5. I tuoi autori preferiti? Chi consideri un tuo “maestro”?

 

Questa è una domanda difficile, perché io ho letto e amato davvero centinaia di libri e centinaia d’autori. Diciamo che tutto quel che ho letto e leggo, in generale, mi ha pure in qualche modo formato. Non parlo soltanto delle storie che gli autori raccontano, parlo anche della storia delle vite di questi autori. Mi piace capire come la vita di uno scrittore diventi o influenzi la sua narrativa e, spesso, la vita particolare di un autore me lo fa apprezzare più di altri. Mi è capitato con Poe, Lovecraft, Hemingway e Bukowski, ad esempio, giusto per citare solo qualcuno.

Tuttavia, se dovessi dire il nome di uno che mi scuote, direi sempre Palahniuk. Le prime due pagine di Invisible Monsters andrebbero studiate nei corsi di scrittura, tanta è la tecnica che Palahniuk padroneggia. In più, fa parte di quella ristretta cerchia di scrittori che scrivono quel che gli piace scrivere, senza badare troppo agli aspetti commerciali e sperimentando moltissimo. Fa libri difficili e un libro difficile, lo dico per esperienza, alla fine della lettura sa premiare alla grande il lettore. Per tutti questi motivi, se mi si chiede un nome, quel nome per me è Chuck Palahniuk.

 

6. Quale libro hai sempre sul tuo comodino? A quale non rinunci quando viaggi? Quale invece butteresti volentieri nel fuoco?

 

I libri sul mio comodino cambiano di frequente, ma da un po’ di tempo permane Il Libro dei Simboli (ed. Taschen). Ha una mole enorme e si tratta praticamente di un’enciclopedia. Chi mi conosce sa che, indipendentemente dal poco tempo libero a mia disposizione, le mie ore di libertà sono dedicate alla ricerca. Sono convinto, come lo erano i grandi pensatori del secolo scorso (Jung, Schrödinger, Heisenberg, Schopenhauer e molti altri, padri della psicoanalisi come della filosofia, della biologia molecolare e della meccanica quantistica), che il mondo intorno a noi ci parli e lo faccia attraverso i suoi simboli. Se impari a riconoscere quei simboli, allora saprai ascoltare il mondo e il mondo ti rivelerà i suoi segreti.

La mia è una ricerca mai settoriale, non studio separando i concetti. La mia ricerca è circolare e tutto ciò che leggo va ad arricchire un unico quadro. Quando morirò, il mio unico rimpianto sarà quello di non aver chiuso il cerchio, perché per farlo c’è bisogno d’un po’ più di tempo di quello contenuto in una vita sola e d’un po’ più di quello che ti rimane dopo il lavoro, ahimè!

In viaggio non rinuncio a un libro agile, leggero e che possa concludere.

Butterei nel fuoco i libri mal fatti. Quei libri dove si strombazzano in copertina frasi come: “Il nuovo maestro del giallo storico italiano!”, poi leggi la prima pagina e vedi che questo ennesimo nuovo maestro non conosce la punteggiatura.

 

7. Ci racconti la genesi dei tuoi romanzi? Cosa fa scattare la “molla”? Dall’idea iniziale come giungi al romanzo finito e pubblicato?

 

Come accennavo prima, per me scrivere un nuovo romanzo non è mai stato faticoso. Non ho mai avuto il blocco dello scrittore e se non scrivo vuol dire che, purtroppo, non ho il tempo che immagino mi serva per scrivere tutto quel che voglio scrivere in un capitolo.

Ho idee continuamente e le appunto ovunque, sui miei taccuini, sull’agenda, sul telefonino. A volte finiscono tutte dentro un libro, altre volte finiranno in altri o, addirittura, diventeranno loro stesse nuovi romanzi.

Come già detto, non scatta la molla. È semplice interpretazione narrativa della realtà. Per spiegare cosa sto dicendo, prendo in prestito John Fante e il suo Chiedi alla Polvere; Arturo, il protagonista del libro, fa una nuotata notturna a Santa Monica in California e viene portato a largo dalla corrente, quindi ragiona: “Sebbene dovessi pensare a nuotare per salvarmi la vita, tutto ciò che continuavo ad avere in mente era come quel che stavo vivendo sarebbe diventato una nuova pagina scritta”. Secondo me sta tutta qui la differenza tra chi è uno scrittore e chi lo fa: chi lo è vive la sua vita in funzione di ciò che scriverà nel prossimo libro, interpretando la propria realtà narrativamente. Quel che vive è già scritto, ma soltanto nella sua testa.

Tutto questo rappresenta allora l’idea iniziale, un plot a cui segue una bozzaccia, ed è facile che il romanzo finito sia molto diverso rispetto alla prima versione per diversi motivi. Il primo di questi dipende dalla maturità artistica di chi scrive: un autore maturo è il più feroce critico di se stesso e, ad ogni lettura della propria bozza, taglia via tutto ciò che gli pare troppo ingenuo, banale, poco funzionale, fuori ritmo, etc. Più letture l’autore fa, quindi, più cambia il testo rispetto alla prima versione.

Quando il libro è diventato accettabile per chi l’ha scritto, allora inizia il lavoro con l’editor.

Molti credono che l’editor sia il nemico, qualcuno che non sa nulla del tuo libro e che vuole solo cambiartelo; in realtà, l’editor è un professionista del settore, e se sei fortunato, con sufficiente esperienza da essere davvero molto bravo. È un tecnico, ruolo diverso dal creativo, e sa vedere gli aspetti, normali e logici nella mente dell’autore, che possono sembrare poco chiari, nebulosi e criptici per il lettore. Collaborare con un buon editor significa spostare capitoli, fare altri tagli e scrivere nuove aggiunte, sulla base delle sue indicazioni e della vostra discussione sulle sue indicazioni; è un lavoro lungo ma, inutile nasconderlo, una volta finito si notano tutte le differenze con il testo iniziale e, se tutto è filato liscio, allora quanto hai tra le mani è un libro vero, di gran lunga migliore della bozzaccia che avevi prima.

Fatto ciò, puoi scegliere: ti stampi decine di copie del romanzo e lo mandi a tutte le case editrici che hanno in catalogo opere affini, oppure cerchi di trovare un agente che creda nel tuo lavoro. Io credo più in questa seconda via, sebbene conosca autori che, cresciuti nel sottobosco, siano approdati a grandi realtà editoriali senza l’appoggio di alcuna agenzia. Se l’agente è bravo, pubblicare il libro è semplicemente questione di mettere le firme sui contratti.   

 

8. Da Lucifero, di “Eden” e “Ad Lucem”, a Leonida, di “Polimnia”, il passo è breve?

 

Apparentemente, non lo è! Ma in sostanza è brevissimo. Mi spiego: si raccontano personaggi che devono stare tra le proprie corde, un po’ come si vede fare agli attori cinematografici, che accettano parti che rispecchino comunque certi aspetti della loro personalità. Si tratta in ogni caso di immedesimazione.

Così Lucifero esprime spesso la mia voglia di veder cambiare le cose, magari attraverso capovolgimenti anche violenti di ordini costituiti che tanto ci raccontano di democrazia e libertà e poi, guardando solo con un po’ più di accortezza, è chiaro che nascondono dittature solo mascherate da democrazia. Ma Lucifero racconta pure di continue ricerche, senza le quali la mia vita non sarebbe quella che è.

Diversamente, Leonida è un personaggio romantico, un eroe puro, pulito e dagli alti ideali, qualcuno capace di morire per un’idea. La caratterizzazione di Leonida ha molti tratti di mio padre, burbero ma buono, fin troppo spesso inflessibile e coriaceo, reso così dalla vita piena di battaglie che ha avuto.

Passare da un personaggio a un altro, quindi, richiede passi brevi se i riferimenti usati per costruire i protagonisti delle proprie storie sono solidi e diversi, e per diversificarli è necessario vivere quanto più possibile: parlare con le persone, viaggiare, ascoltare musica, guardarsi un film o una serie tv; insomma, fare tutte quelle cose in grado di arricchire in termini di contenuto, così che i contenuti tornino fuori quando si scrive.

 

9. I tuoi romanzi denotano una notevole ricerca della perfezione nel linguaggio, non temi di apparire troppo distaccato al lettore?

 

Sono sempre stato un perfezionista e, in quanto tale, provo a riformulare frasi e passaggi fino a quando mi sembrano, appunto, perfetti.

Una volta Paola Presciuttini, autrice di romanzi toscana che mi ha materialmente insegnato moltissimo con i suoi corsi di scrittura creativa, mi ha detto: “I tuoi libri sono troppo puliti. Devi sporcarti un po’!” Ovviamente stavamo parlando proprio del mio eccessivo staccarmi da quel che racconto per favorire altro. Credo che, per certi versi, questo mio difetto sia più evidente in Eden e Polimnia che non in Ad Lucem, perché Ad Lucem è figlio di una scrittura più recente mentre gli altri due libri sono frutto del mio primo periodo artistico. Tutto sta nel trovare il giusto equilibrio, secondo me, tra il modo con cui voglio continuare a raccontare le mie storie e la tecnica usata per raccontarle. È ironico, perché ho la sensazione che quest’equilibrio io lo abbia finalmente raggiunto in quello che sarà il mio romanzo più squilibrato, AristeaXXX, che spero possa uscire nel 2016.

 

10. Tra conoscenza perfetta delle fonti e controllo del linguaggio, quanta anima e quanto di esperienziale e personale - quanto Alessandro - c’è nei tuoi romanzi?

 

È facile che i personaggi di cui racconto nei miei libri abbiano molto del mio modo di fare e di pensare; mi piace credere che ogni scrittore racconti anche la sua vita nelle proprie storie, e che la sua vita sia mascherata con quelle storie che ci racconta. Fa tutto parte della magia della scrittura, secondo me.

La conoscenza delle fonti è d’obbligo: costruisce il background, migliora lo studioso, aiuta la fantasia. Sta a chi scrive saperla trasmettere senza essere didascalico. Per fare un esempio a me vicino, in Polimnia la scelta è stata quella di usare al massimo le note a pie’ di pagina, così da staccare il materiale informativo, importante per chi pretende che da un libro storico si capisca il percorso fatto dall’autore per scrivere il libro stesso, dalla narrativa pura, così da rendere quest’ultima più fluida nella lettura.

Quanto al linguaggio, sono siciliano e la Sicilia ha un passato importante in questo senso: la lingua italiana attuale deve molto alla scuola siciliana di Federico II; credo che ognuno conservi il retaggio del posto da cui proviene: io porto con me l’attenzione nel modo di esprimersi, Pirandello, il barocco, i profumi e i colori. Tutto questo completa la mia persona e, se fa parte di me, allora può ritrovarsi anche nei miei libri. Così, in Ad Lucem, Lucifero vede il vulcano e tutta la vita che cresce rigogliosa intorno al vulcano, esattamente come capitò di vedere a me la prima volta che andai in gita sull’Etna; in Polimnia, Siagro si reca da Gelone, a Siracusa, e la prima cosa che vede sono tutti i colori della Sicilia, così come Leontiade parla della mia Sicilia quando racconta della sua Tebe, e se Temistocle guarda il mare di Grecia i suoi occhi sono i miei che guardano il mare di Sicilia.

C’è tantissimo di mio, in tutto ciò che racconto. Basta saper andare appena un po’ più in là di quanto è stato soltanto scritto.

 

11. C’è un messaggio o un disegno unitario che lega i tuoi romanzi?

 

Se mi si chiede se c’è qualcosa tipo La Torre Nera di King, cioè un crocevia che metta sullo stesso piano di esistenza tutto quanto racconto, la risposta è no. Ci sono dei temi comuni, invece, e sono i temi che mi sono stati trasmessi dai libri che ho amato di più: il significato della lotta, la lealtà verso il compagno, l’onestà, sono gli stessi valori che ho trovato ne Il Signore degli Anelli di Tolkien o in Alexandròs di Manfredi, come pure il piacere di gustarsi una sana vendetta verso chi lo merita l’ho imparato con Il Conte di Montecristo di Dumàs.

Certi libri si amano perché è facile sentire dentro di sé quanto permane nelle loro pagine, e mi piace ancora una volta ripetere il termine circolarità: quel che gli autori hanno dato a me, lettore, con i loro libri, oggi provo a darlo io ai miei lettori con i testi che scrivo. Tento sempre di proporre agli altri i libri che mi piacerebbe leggere, e questa mia volontà è davvero il trait d’union tra tutti i miei lavori.

 

12. Mi hai detto che la scrittura di Polimnia è durata 10 anni, come mai questo lungo tempo?

 

I motivi sono tanti. Innanzitutto è stato necessario costruire il giusto serbatoio di conoscenze, un lavoro lungo e faticoso che però mi è toccato fare, se volevo scrivere un romanzo storico senza cambiare la Storia in funzione delle mie opinioni. Su Sparta ho letto e studiato molte cose che in Polimnia non sono neanche nominate, ma per me era fondamentale conoscerle comunque.

Durante la scrittura del libro, poi, mi sono trasferito a Milano per questioni lavorative e lì non riuscivo proprio a buttar giù nemmeno due righe; scrivevo solo quando tornavo a casa mia, in Sicilia, dove avevo la giusta tranquillità e potevo concentrarmi. Poi mia madre è stata piuttosto male e non c’è stato verso di scrivere neanche quando scendevo giù in patria.

Aggiungi che, per un paio d’anni, ho creduto di voler smettere di scrivere e, di fatto, non ho più scritto. Privarmi di un canale di sfogo per me così abituale mi ha quasi provocato un esaurimento nervoso e l’ho capito solo dopo, quando ho ritrovato i giusti stimoli per tornare a farlo, aiutato da una certezza finalmente chiarissima: per me scrivere è come respirare. Se smetto di respirare, allora muoio. Se smetto di scrivere, forse posso continuare a vivere, ma non sarebbe vita vera.

Polimnia mi ha accompagnato in questo viaggio fatto di esperienze, belle e brutte, che mi ha permesso di conoscermi meglio. La conoscenza di sé richiede tempo e, purtroppo, a pagare per questo tempo è stato proprio Polimnia. Peccato perché, se avessi finito il libro entro il 2006, come era nelle mie intenzioni, mi sarebbe piaciuto vedere se il film 300, uscito proprio nel 2006 e capace di ottenere un successo incredibile, avrebbe spinto anche il mio libro.  

 

13. Hai qualche consiglio per chi vuole seguire le tue orme di romanziere?

 

I consigli li danno i vecchi e non sono ancora abbastanza vecchio per darne! Mi limito a dare qualche suggerimento, allora: tutti voi, che volete fare gli scrittori, fatevi venire tanto pelo sullo stomaco e allargate bene le spalle, vi auguro di avere un bel paio di palle capienti! Se terrete duro e insisterete, di certo verrete pubblicati. A quel punto sarà meglio che siate pronti a farvi un culo così per farvi conoscere, altrimenti il vostro libro non lo compreranno neanche gli amici e i parenti. I libri non si vendono da soli e un libro rimane in giro fintanto che il suo autore lavora perché vi rimanga.

Magari qualcuno vi leggerà e magari gli piacerete pure, così quel qualcuno vorrà parlare con voi di perché avete scritto quella storia o di altro: beh, non permettetevi mai di snobbarlo e non permettetevi mai di snobbare nessuno, perché il vero nessuno è l’autore e l’autore ha una fioca speranza di diventare qualcuno solo se comunica con gli altri.

Magari qualche giornalista non leggerà il vostro libro ma scriverà comunque una recensione o un articolo dove se ne parla malissimo: sì, lo so, non c’è motivo del perché lo faccia ma capita anche questo. Voi scrivete una risposta pubblica e sputtanate chi voleva sputtanarvi, perché se non tirerete fuori denti e unghie il mondaccio dell’editoria vi masticherà.

Imparate a sopportare librai che fanno finta di aver ordinato il vostro libro e di averlo finito. Imparate a fare una bella presentazione e fatela in libreria, non al bar. Imparate a sopportare quelli che vengono alle presentazioni e a cui del vostro libro non frega proprio nulla, che non lo comprano né lo compreranno, ma fanno delle domande solo per far vedere agli altri lì presenti che ne sanno più di voi. Imparate a sopportare i sedicenti professionisti del settore, quei ciarlieri dal curriculum autoreferenziale che popolano i social network e vorrebbero spiegarvi come far bene il vostro lavoro. Imparate a sopportare tutti quelli che vi avvicinano per farvi leggere i loro libri e chiedervi di trovargli un editore. Più di ogni cosa, imparate a sopportare editori masochisti, a volte incapaci di capire che una casa editrice è un’azienda e un’azienda richiede visione d’impresa e gioco di squadra, incapaci di capire che sono e resteranno piccoli perché ragionano in piccolo, incapaci di capire che quando vi raccontano una panzana non siete stupidi e non vi si può prendere per il culo, incapaci di trovare una risposta migliore di: “ma facciamo così per esigenze e/o standard editoriali”.  

Imparate a sopportare tutto questo, se volete fare davvero gli scrittori… perché se non riuscirete a imparare l’arte della sopportazione, allora sarete divorati dalle vostre ulcere.

 

14. A che punto è la letteratura in Italia e dove sta andando?

 

È al punto di esser messa peggio che nel resto del mondo. In Italia, come in Grecia, la gente non legge e molti ragazzini attuali è facile che non leggeranno mai un libro in tutta la loro vita. Non è un caso che Italia e Grecia, paesi dove le statistiche ci dicono si legga meno in Europa, siano anche i due paesi dell’Unione dove le cose vanno peggio.

L’Italia è un paese che manca di cultura perché molti credono che, siccome le cose vanno male, allora manchino tempo e soldi per comprare un libro o per frequentare ambienti che permettano di guadagnare conoscenze. A mio avviso, tutta questa gente non ha capito che le cose vanno male e mancano tempo e soldi proprio perché hanno deciso di disinteressarsi totalmente alla costruzione della propria cultura. Magari mi sbaglio, ma io la mia preparazione ho sempre saputo rivenderla, e se guardo i paesi nordici, dove la scuola è potenziata affinché i ragazzi acquisiscano cultura vera e diversificata, mi pare che le cose vadano un po’ meglio che in Italia e in Grecia. Così, tanta gente ripete a vanvera quanto sente in televisione e spesso non c’è un reale ragionamento sull’informazione ricevuta, così che le persone siano piene di news che non servono a niente se non a perpetuare il qualunquismo.

È inutile continuare a dire che siamo il paese più bello del mondo, che l’Italiano se la cava sempre, che come da noi non ce n’è e il resto di tutta questa propaganda scadente e scaduta, guardiamoci in faccia: siamo un paese scarso. È l’ignoranza che produce il razzismo, la xenofobia, l’omofobia, il bullismo, la cattiva finanza, la cattiva politica, le associazioni a delinquere e il resto della nostra deriva.

Ovviamente, la letteratura in libreria non può che rispecchiare lo stato generale delle cose: molti libri sono scritti male, sono privi di qualsiasi sostanza e infarciti di luoghi comuni, spesso ci sono errori evidentissimi di sintassi, di punteggiatura, inesattezze in quanto riportato nelle bandelle interne o in quarta di copertina.

Tanti autori poveri di contenuto producono i loro libri poveri di contenuto per quei lettori poveri di contenuto… la gente che invece vorrebbe leggere qualcosa di decente che motivo avrebbe di comprare questi prodotti? Non si legge, è vero, e per lo più non lo si fa perché non ne abbiamo voglia, ma la maggior parte dei libri pubblicati dalle grandi case editrici (e qualche libro pubblicato da case editrici meno grandi) non dà mica una mano a chi magari vorrebbe farlo.

La nostra è una crisi di sistema, i buchi da cui esce l’acqua stanno da tutte le parti e non basta più la solita mano di stucco per nascondere le crepe; serve un programma di ristrutturazione profonda che ricostruisca culturalmente noi, i nostri figli, i nostri nipoti, reintroducendo le ore di narrativa nelle scuole elementari e medie, potenziando attività formative alle scuole superiori, valorizzando chi decide di studiare. Utopia? Ma certo che sì! Altrimenti qualsiasi governo, di qualsiasi colore e orientamento, che si è succeduto alla guida di questo paese, non avrebbe sposato una linea di condotta esattamente contraria al rafforzamento della cultura del proprio popolo.

L’ignoranza fa bene al Potere.

 

15. E-book o carta?

 

Cartaceo. Sempre e comunque. La gente si lamenta dello spazio? C’è sempre spazio, in casa, per una nuova libreria. E se conosci un buon falegname, allora un buon falegname può farti una nuova libreria in spazi che non conoscevi neanche. Aggiungo che non è necessario comprare tutti i libri del mondo, visto che sono pochi, qualche centinaio, i libri che davvero vale la pena leggere e possedere. Mi riferisco ai grandi classici, sia più “datati” che “moderni”. Non tutti i libri meritano di occupare lo spazio nella mia libreria, di spazio ne ho ancora a sufficienza e, fintanto che ne avrò, la ragione principale per preferire un e-book a un libro vero non sussiste.

 

16. Citazione proustiana: “Allo stesso modo, produce opere geniali non chi vive nell'ambiente più squisito, chi ha la conversazione più brillante, la cultura più vasta, ma chi, cessando bruscamente di vivere per sé, ha avuto il potere di rendere la propria personalità simile a uno specchio, in modo che la sua vita, per quanto possa essere mondanamente e anche, in un certo senso, intellettualmente, mediocre, vi si rifletta: perché il genio consiste nel potere riflettente e non nella qualità intrinseca dello spettacolo riflesso.” Che cosa pensi al riguardo?

 

Penso che Proust abbia la capacità di trasformare qualsiasi testo in letteratura! E ovviamente, sottoscrivo ogni sua parola. Il suo punto di vista, che poi è anche il mio, il lavoro dello scrittore consiste soprattutto nell’osservare, smontare e archiviare. Quanto vede va analizzato e sezionato, così che i pezzi ottenuti possano essere sistemati in registro. Tirati fuori al momento opportuno, lo scrittore potrà rimontare quei pezzi nella stessa sequenza o trovare nuove combinazioni, resuscitando situazioni di per sé scialbe per infondere loro nuovo interesse, così da renderle interessanti sia per chi vorrà leggerle, ma anche per chi le ha vissute in altre forme e circostanze. A volte sarebbe davvero più semplice ricordarsi di alcune esperienze passate per come possiamo riformularle, piuttosto che per come si sono svolte davvero.

 

17. I tuoi progetti per il futuro e, se ti va, puoi svelare qualcosa sul tuo prossimo romanzo?

 

Farò di più e svelerò qualcosa sui prossimi due libri!

Attualmente, io e la mia agente siamo alla ricerca di un editore per Alì, romanzo breve che racconta una storia di vita e di sport. Dal titolo appare abbastanza ovvio che si parlerà del leggendario Muhammad Alì, pugile capace di cambiare il modo di fare pugilato; eppure il mio protagonista, che di nome fa proprio Cassius Clay, non è quel Cassius Clay che poi divenne Alì: è un cameriere sfigato, siciliano, che combatte con i clienti nel pessimo ristorante in cui lavora e con la sua titolare, la signora Nunziatella. La sera va allo scantinato per allenarsi, cioè nella palestra del suo maestro Vito, e lì ci prende un’infinità di botte. È una storia d’amori: amore per la boxe, amore per gli amici e amore per una ragazza. È divertente, un aspetto che nei miei libri precedenti non s’è visto quasi mai. È narrato in prima persona, dopo tre romanzi con narrazione in terza persona. Insomma, mi è sembrato di ricominciare la carriera praticamente da capo!

Nel 2016 sarà il turno di AristeaXXX, un libro che è più facile aspettarsi da me, ma è il libro che nessuno si aspetta. Con questo romanzo, narrato ancora in prima persona, inauguro un’area di appartenenza per alcuni dei miei testi futuri, un’etichetta che mi piace chiamare: “Narrativa Clandestina da Combattimento”. Aristea racconta di un transessuale. È un libro amaro, scorretto, feroce e caustico. Mi auguro che venga capito, ma sono certo che farà incazzare un sacco di gente.  

 

18. Dopo “Eden” ed “Ad Lucem” si concluderà la trilogia? Qualche anticipazione?

 

È il caso di parlare di una quadrilogia. Il libro conclusivo, Genesi, si sviluppa in due volumi: Libro Primo – Il Grande Giubileo e Libro Secondo – Sitra Ahra. L’idea originale non era questa ma poi, ragionando sul plot, mi sono reso conto che c’è un momento, nel raccontare la storia, in cui il climax è troppo potente perché si trovi semplicemente a metà romanzo. È un climax di forza tale che vale la pena amplificare, facendo finire lì il Libro Primo. Non solo: dopo questo finale, per me è stato possibile mandare la storia sottosopra, totalmente altrove, nel Libro Secondo, in un modo che mi permette da un lato di cambiare tutte le carte in tavola e, dall’altro, di ripotare ogni cosa a Eden.

Fin dall’inizio, la storia di Eden mi ha raggiunto con la sua completezza. Non può che finire tutto come tutto è cominciato. Dove tutto è cominciato. È una storia costruita sui miti della Cabala, e se non è ancora uscita non è perché io abbia qualche problema con essa ma, semplicemente, perché mi piacerebbe che il mio bacino di utenza si allargasse, prima di tornare a Eden. Mi piacerebbe che Lucifero, caratterizzato come forza furiosamente anarchica e capace di abbattersi sull’ordine riconosciuto, possa portare un messaggio politicamente scorretto a quanta più gente possibile.

 

19. La penna è più potente della spada? (Con buona pace di Edward Bulwer-Lytton)

 

Assolutamente. La parola ha la magia di saper mettere a nudo colui che la pronuncia e colui che la subisce. Puoi uccidere chiunque con un’arma, ma solo la parola può farlo soffrire, ridere, piangere. La spada può colpire di punta e di taglio, ma la parola ha più sfumature. E se puoi vedere una spada colpirti… non sai mai dove ti colpirà una parola, se quella parola è la parola giusta.

 

20. Il tuo difetto peggiore al quale non rinunceresti mai?

 

Sono genuinamente arrogante. Ho la convinzione, basata comunque su una discreta esperienza di vita, di essere l’unica persona logica e razionale che io abbia finora conosciuto. Va da sé che ho la continua sensazione di essere circondato dall’illogicità, spesso incarnata in chi mi trovo di fronte. La mia è un’arroganza di difesa, a volte, e di offesa, in altre occasioni. Ma non sono pazzo, giuro. Semplicemente non ho la pretesa di piacere a tutti e fare antipatia a qualcuno non mi disturba minimamente.

 

21. Tra tutte le precedenti, quale domanda ti ha irritato di più? E quale avresti voluto ti facessi?… E se la formuli devi anche rispondere…

 

Quella sui consigli da dare agli aspiranti romanzieri! Ma non per la domanda in sé, ci mancherebbe, quanto perché nel rispondere ho ricordato tutto quanto c’è stato da sopportare e si sopporta, pur di fare quel che si vuol fare davvero.

Mi sarebbe piaciuto che tu mi domandassi quanto guadagno come scrittore! Ti avrei risposto che, sotto il profilo strettamente economico, guadagno quel poco che serve a pagare qualche bolletta (il che, sentendo dei colleghi, è già tantissimo!). Poi c’è un vero guadagno, che ricevo ogni volta che ho il piacere e l’onore di parlare con qualcuno che ha letto un mio lavoro e l’ha apprezzato, o che l’ha letto e non l’ha apprezzato ma ha da farmi una critica costruttiva. La scrittura è magica e parte della magia sta nel rapporto di condivisione tra autore e lettore, due persone che non si conoscono ma che vengono unite da un libro.

 

22. Un messaggio per i lettori e gli autori de LaRecherche.it?

 

Continuate così, armatevi e armiamoci di tanto coraggio e forza, perché è una guerra quella che ci aspetta. È la guerra di chi vuol salvare la cultura in un mondo sempre più rapido, intermittente, frammentario, in cui chi gestisce il nostro intrattenimento lo fa vendendoci l’immediatezza. Alla cultura si dedica il proprio tempo, la propria pazienza e la propria vita, perché ci vuole tempo, pazienza e vita per costruirla. Chi la demolisce, chi vuol farci dimenticare di Essa, non ci toglie la cultura, quindi, ma ci toglie tempo e vita.

Abbiamo il dovere di servire la buona cultura perché la buona cultura ci servirà, ma se un tempo la servivamo per affermarla, oggi la serviamo soprattutto per farla sopravvivere.

 

Ciao Alessandro, grazie!!

 

Grazie a tutti Voi, perché questa è l’intervista più bella (e faticosa!) che io abbia mai fatto!

 


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