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Biagio Putignano: un compositore sperimentale

Argomento: Musica

di Maria Rosaria Teni
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Pubblicato il 06/02/2016 19:53:28

Incontro Biagio Putignano in un pomeriggio di novembre e intraprendo con lui una "chiacchierata musicologica" che arricchisce notevolmente il mio orizzonte musicale e mi permette di conoscere da vicino un uomo di grande personalità che, dalla terra salentina di cui è originario, si è spostato un po' ovunque, alla ricerca di suoni ancora inesplorati, infiniti, affascinanti, in ossequio a un'esigenza di sperimentazione insita nella sua attività di compositore. Salisburgo, Germania, Giappone e altri luoghi lontani eppure vicini al suo modo di concepire la conoscenza di sonorità presenti ovunque e di combinazioni musicali scaturite da contaminazioni possibili partendo dall'assunto che la musica non ha confini né pregiudizi. Putignano dal 2000 occupa la cattedra di composizione al Conservatorio "N. Piccinni" di Bari. Dal 2012 è membro onorario dell'Academia de la Musica Valenciana (Valencia, Spagna), premiato con "Il Sallentino" l’anno successivo. E' inoltre nel Direttivo Nazionale della Simc-Italia (Società Italiana di Musica Contemporanea). Come docente, con corsi e seminari, ha lavorato in Italia e all’Estero. È inoltre autore di numerose composizioni orchestrali, cameristiche e corali (tra cui: la “Messa di Ratisbona”, che è la sua ultima opera di musica sacra), di cinque opere da camera: “Un segno nello spazio” (su un testo di Italo Calvino), data a Foggia nel 1993; “Variazioni sui colori del cielo” (prima a Salisburgo nel 2006, poi al teatro “Piccinni” di Bari, con Alessandro Haber nel 2007); “Come zaffiro mite” (2007), tributo a Celestino V per Carmiano, il suo paese; “Voce che vola nel vento” (a Mantova, Palazzo Mantegna, nel 2010); “Musigonia” (per tre voci e orchestra da camera, del 2003); “La seconda attesa di Euridice” (testo di Gesualdo Bufalino, del 2013), l’oratorio “Cattedrali di silenzio” (da un testo di David Maria Turoldo, del 2001). Sono entusiasmata dalla sua ricerca intensa e continua di nuove prospettive sonore, frutto di sperimentazioni audaci e pur tuttavia forgiate su canoni classici e mi addentro in una conversazione che mi offre l’opportunità di scoprire panorami inusitati. Sono mossa dal desiderio di conoscere l’esegesi della sua ultima composizione, “La Messa di Ratisbona” con il proposito di metterne in evidenza gli aspetti peculiari. Chiedo al Maestro di parlarmi dunque da quali motivazioni e con quali intendimenti è stata originata la sua “Messa”.
« In realtà, sebbene sia una composizione del 2014, mi piace pensare che essa sia nata molto prima, tra le pagine di tante musiche manoscritte appartenenti al repertorio sacro soprattutto che ho ereditato da un mio prozio Biagio Spedicato, organista di chiesa tra gli anni venti e gli anni cinquanta, allievo di Pietro Magri. Quando mi sono recato nella Scuola di Ratisbona (a 100 km. da Monaco) per accompagnare alcuni studenti del Conservatorio “N.Piccinni” per delle lezioni conclusive di un Master, ho scoperto che Ratisbona era stato il centro di rinascita della musica sacra attraverso la riforma ceciliana[1]. Nella Hochschule di quella città (finanziata dalla Chiesa Cattolica tedesca che, tra l’altro, vanta la presenza nella struttura scolastica di ben 16 organi a canne), verso la metà dell’ Ottocento, studiò Lorenzo Perosi. Da Ratisbona, il rev. Franz Xaver Haberl, in concomitanza con il recupero del canto gregoriano promosso dai monaci di Solesmes, cominciò a mettere in discussione tutta la produzione della musica sacra coeva, spesso di imitazione italiana, prevalentemente di stampo operistico. All’epoca, la sostanziale differenza tra musica da chiesa e musica da camera era dettata più dall’impiego degli strumenti (l’organo per musica da chiesa e il clavicembalo per quella da camera) piuttosto che da un rispetto dei testi musicati. Dalla Germania partì un fenomeno di rifiuto di tutte le inevitabili esagerazioni a cui si era giunti, che proponeva come alternativa una musica austera, più sobria e adatta ai luoghi sacri in cui avrebbe dovuto risuonare: il modello a cui si guardò fu proprio Palestrina. A ben guardare un’operazione del genere non si rivela tanto innovativa, quanto “restaurativa”perché in sostanza guardando all’antico, lasciava irrisolto il problema. Il movimento ceciliano, pur tra mille contestazioni, si affermò per mezzo della promulgazione del Motu proprio del 1903 ad opera di papa Sarto. Punto di forza di S. Pio X fu il maestro della Cappella Sistina Don Lorenzo Perosi: il pontefice aveva già avuto modo di apprezzare la sensibilità musicale del musicista di Tortona quando era Patriarca di Venezia, e Perosi direttore della Cappella Marciana. S. Pio X radunò attorno a Perosi i migliori musicisti (Tebaldini, Pozzoli, Casimiri, Ravanello ed altri); tra di loro, don Pietro Magri (1873-1937), che fu mandato in varie parti d’Italia a diffondere il cecilianesimo e che, nel 1911, dopo essere stato a Bari, approdò a Lecce dove fu nominato Maestro di Cappella del Duomo. A Lecce, don Pietro Magri ebbe diversi allievi, tra cui il mio prozio, cui ho accennato all’inizio della nostra conversazione: Magri era a suo modo uno “sperimentatore” e lasciava ai suoi studenti numerosi suoi pezzi manoscritti affinchè venissero studiati. Nel trittico mariano composto da “La Regina dei Pirenei” (1913), la “Regina delle Alpi”(1920) e la “Regina Potens” (1922), Magri trasforma la sua urgenza creativa in orante espressività (come scrive Alberto Galazzo nel suo libro Le Squille Benedette) con arditissime armonie e spericolati contrappunti.

Quando mi è stata commissionata la Messa mi è parso subito chiaro che un ideale cerchio stesse per chiudersi dopo quasi cent’anni.»

Da questa descrizione emerge una sensazione di grandezza che si sostanzia della presenza di personalità così illustri e significative nella storia della musica. Sono curiosa allora di ascoltare come è stata realizzata la partitura della Messa e il Maestro continua: «Ho cercato di implementare in questa Messa tecniche compositive tradizionali e altre mutuate dall’ambito della tecnologia digitale della musica elettronica, accostandole alle voci umane. Organo e quattro cori all’unisono spazializzati nella sala non significa quattro voci pari. La differenza è sostanziale: mentre il coro a quattro voci intreccia più linee per volta, i quattro gruppi corali che cantano (ognuno formato da voci maschili e femminili) si raddoppiano all’ottava, creando uno spessore che interferisce con lo spazio, a causa dei procedimenti di piccoli delay, loop o riverberi. Altre tecniche sono mutuate dalla geometria frattale: per esempio, nel Kyrie o nell’Agnus Dei è implementata la tecnica del “trema”. A volte più tecniche si sovrappongono: sempre nell’Agnus dei il “trema” è associato a ricombinazioni di piccoli moduli per “centonizzazione”; vari spunti (alcuni letterari tratti dal Libro dell’inquietudine di Ferdinando Pessoa, altri storici dalla musica trecentesca di Perotinus, o tecnici da simulazioni di prossemizzazione, senza escludere spunti di natura cognitivista) si intrecciano e riecheggiano liberamente in tutta la Messa in virtù di questa ideazione».
Ne consegue a questo punto che la musica non abbia un’età o non si possa categorizzare e me lo conferma la descrizione del processo di adattamento che il Maestro ha compiuto nel suo lavoro. «In effetti, ciò che ho fatto frequentemente è stato di non prendere “sic et simpliciter” le tecniche del passato o da altri ambiti artistici, ma di assumerne il principio e applicarlo a una visione nuova. È chiaro che in questo modo c’è sempre un rinnovarsi e in sostanza non muore mai nulla. Nell’oratorio che ho scritto nel 2001, Cattedrali di silenzio,da un testo di p. David Maria Turoldo, per strumenti rinascimentali, ho reimpiegato la passacaglia, la fuga, il canone mensurale, ma proiettando tutto in una dimensione totalmente diversa. La fuga che in sé ha sublimati i principi dell’imitazione, può contenere ‘in nuce’ anche il principio dei procedimenti caotici, prossimi a quelli di reiterazione che sono alla base di effetti che definiamo caotici». Non so se pensare che sia la musica contemporanea che porti a sperimentare ulteriormente, proprio in virtù del fatto che si allontani dagli schemi classici, ma il Maestro replica «Faccio fatica a parlare di musica contemporanea. Dico che la musica è lo specchio di quello che il musicista è oggi. Inoltre penso che in realtà la musica cosiddetta contemporanea altro non è che la musica della tradizione che ha semplicemente mutato prospettiva. Poiché non conosciamo appieno la torsione di questo cambiamento, siamo portati a credere che essa si avviti su se stessa. Perché dico questo? Perché io faccio l’insegnante di composizione e insegno le regole che erano le regole di Bach, Mozart, Beethoven, Verdi, Debussy e Messiaen. Ognuno di questi Grandi Compositori torce alcune regole comuni a suo favore per esprimere il proprio pensiero musicale. È importante spiegare all’allievo la consapevolezza di tali cambiamenti che non sono definitivi, ma proseguono inesorabili fino ad oggi e si protendono nel futuro».

In verità io credo che si etichetti questa musica come contemporanea perché si ha bisogno di fissare dei paletti. Arrivare a concepire la musica come sta facendo Biagio Putignano significa anche creare dei nuovi schemi, perché se la sua Messa è strutturata secondo le quattro angolature corali diverse, io devo desumere che si tratta a questo punto di un nuovo schema introdotto oggi e che non è sulla base dei modelli passati. In questo modo il Maestro esemplifica con una risposta che cerca di chiarire questa mia affermazione. « Faccio un esempio. L’architettura, così com’è concepita oggi è fatta di cubature, misurate secondo esigenze particolari, frutto di una serie di concezioni, a volte anche discordanti tra di loro. Abitare strutture architettoniche diverse da quelle a cui siamo abituati (per esempio un castello, un monastero, un faro) lascia tracce significative nel nostro modo di organizzazione mentale. Stesso discorso vale per la pittura: frequentando solo raffigurazioni di Autori Cinquecenteschi provo disagio se all’improvviso mi trovo di fronte a una mostra di pittura contemporanea e non conosco le esperienze pittoriche dei periodi intermedi. Potrei continuare con la letteratura, la medicina, la giurisprudenza, la robotica: non possiamo pensare che le conoscenze acquisite in un determinato periodo storico possano valere ancora oggi, o divenire lo strumento estetico per valutare le nuove acquisizioni. Tutto questo sembra non avvenire con la musica. Nel momento in cui siamo privati di tutte le occasioni per ascoltare qualcosa di diverso, non abbiamo la possibilità di focalizzare nella nostra mente quella particolare angolatura della rotazione di cui raccontavo prima. Per cui si pretende di giudicare la musica dell’oggi con le categorie della musica di ieri. Cioè, asportare strati di quella torsione a cui accennavo, non può che causare smarrimento, rifiuto, pregiudizio nei confronti di ciò che suona ‘nuovo’. Io penso che la musica cosiddetta ‘contemporanea’ sia semplicemente il segmento parziale di un lungo processo iniziato nel passato e proiettato nel futuro che momentaneamente passa dalla nostra contemporaneità: a noi tocca assistere a ciò che momentaneamente ‘risuona’ ”. Continuando la nostra conversazione, torno sull’opera che è oggetto del nostro incontro e chiedo ulteriori approfondimenti sulla struttura della Messa; se è composta di tutte le parti canoniche e se la partitura ha dovuto adattarsi alla metrica latina, visto che è cantata in latino. « La Messa si compone di tutte le parti liturgiche, tranne il Credo e l’Alleluja. C’è un mottetto iniziale, e un intermezzo organistico che vuol corroborare l’importanza dell’organo nella musica sacra. Nella partitura ho trovato una felice soluzione nell’indicare la spazializzazione dei cori per cui ognuno di essi è segnato anche con la posizione che occupa nell’ambito dell’esecuzione col Direttore al centro della sala. È come comporre per lo spazio: questa è un’idea mutuata da Luigi Nono, cioè una musica che nasce per uno spazio specifico. Il luogo privilegiato per l’esecuzione della Messa risulta infatti una chiesa a croce greca perché ha quattro angoli uguali e quindi in quadrifonia. È stata eseguita, in prima mondiale, all'Auditorium della Hochschule für katholische Kirchenmusik & Musikpädagogik; quattro cori spazializzati, uno a ogni angolo della sala, all'organo Bastian Fuchs, alla direzione il maestro Steven Heelen. In replica in Italia in Cattedrale a Ugento alla presenza del Vescovo della Diocesi, Monsignor Vito Angiuli e a Bari, nella Basilica di San Nicola, sempre al di fuori delle celebrazioni. La Messa, il cui spartito è edito da Edizioni Carrara di Bergamo, è dedicata a sua Santità Benedetto XVI, Papa Emerito e a suo fratello Monsignor Georg Ratzinger (classe 1924), già direttore del Coro “Regensburger Domspatzen” e docente di contrappunto alla Scuola di Ratisbona, che ho avuto il privilegio di conoscere durante il mio soggiorno in quella città». E a questo punto, ritenendo anch’io di aver avuto il privilegio di conoscere Biagio Putignano, termina la nostra “chiacchierata musicologica” e io non posso fare altro che ringraziarlo per questa interessante e coinvolgente conversazione che, indubbiamente mi ha arricchito di conoscenze e di stimoli, augurandomi che la sua musica e, in questo caso, la sua Messa di Ratisbona, di cui si sta realizzando una registrazione su CD, possa essere eseguita e avere il successo e le gratificazioni che merita.
Maria Rosaria Teni

 



[1] Si tratta di un movimento di vasto respiro a cui, sotto il nome di «cecilianesimo», si rifanno diverse realtà organizzate oltre che singoli musicisti e studiosi. Esigenze di purificazione della musica sacra dagli elementi considerati mondani, di riscoperta delle sue forme ritenute più pure (canto gregoriano e polifonia palestriniana in primo luogo) si sommano ad una più generale spinta verso la riaffermazione della vitalità religiosa del cattolicesimo e della sua presa su una società che si avverte allontanarsi dalla Chiesa. Esigenze che però si traducono in indirizzi spesso diversi. Il gruppo che fa capo alla Società ceciliana di Ratisbona è in questo momento uno dei nuclei principali da cui si irradiano le idee di riforma anche grazie all’editore Pustet che sostiene ed aiuta a diffondere libri liturgici ed edizioni musicali, in virtù del privilegio assegnato della Santa Sede nel 1870 per le edizioni di canto gregoriano. Privilegio ribadito nel 1883 anche in contrapposizione alle nuove tendenze interpretative del canto gregoriano propugnate dai monaci di Solesmes, che, per il loro rigore ed intensità filologica, si stanno facendo strada nel mondo cattolico. L’indirizzo sostenuto dai benedettini di Solesmes emerge anche nel corso del Congresso internazionale di canto liturgico organizzato ad Arezzo nel 1882 che segna una tappa significativa nel processo di evoluzione e diffusione del messaggio ceciliano, anche se profonde restano le divergenze sui contenuti specifici di ciò che si deve intendere a livello interpretativo per canto gregoriano ed anche, in senso lato, per la musica liturgica.

 


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