L’autore qui intervistato è Marco Senesi, primo classificato al Premio letterario “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, V edizione 2019, nella Sezione A (Poesia) con “ante meridiem”.
Ciao Marco, come ti presenteresti a chi non ti conosce?
Ciao… rispondo di getto, a ruota libera, in nome della spontaneità (come dimostrerà l’uso ossessivo dei puntini di sospensione!)… beh, rischio di apparire superbo, ma direi che il modo migliore per presentarmi siano proprio le mie poesie: basta leggerle, io sono là…
Sei tra i vincitori del Premio “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, perché hai partecipato? Che valore hanno per te i premi letterari? Che ruolo hanno nella comunità culturale e artistica italiana?
In tutta onestà, non so di preciso cosa mi spinga a partecipare ai premi letterari… certamente - non mi vergogno ad ammetterlo - essendo il sottoscritto più squattrinato di Paperino, una segreta e malata parte di me mira ai premi in denaro (che, superfluo dirlo, non azzecco mai!), ma certamente vibra anche il desiderio che qualcuno legga e apprezzi le mie poesie… forse cerco di mettermi in contatto con un “commilitone”… i premi letterari (quelli vinti) hanno per me un valore modesto: indubbiamente sono occasione di vera gioia (tremavo nel leggere il mio nome in cima alla vostra classifica…), ma solleticano certe piccole vanità, e alla fine rischiano di distrarmi, di allontanarmi dall’obiettivo cosciente: maturare un linguaggio sempre migliore e sempre più potente (se ne sono in grado, naturalmente)… Non so quale ruolo abbiano i premi letterari nella comunità culturale e artistica italiana… posso solo dire che quelli a cui ho assistito - una dozzina in circa 5 anni - mi hanno fortemente deluso, rattristato, spaventato: cerimoniali vuoti, alienati… sentimentalismo e retorica a fiumi… tanto che pensavo: “cos’altro devo aspettarmi, un concerto unplugged di Eros Ramazzotti come accompagnamento alla lettura delle poesie?”… pochissime volte ho riconosciuto la vera forza (ricordo Anna Elisa De Gregorio e Maurizio Paganelli, ad esempio).
Quali sono gli autori e i testi sui quali ti sei formato e ti formi, che hanno influenzato e influenzano la tua scrittura?
Sono un vero e proprio onnivoro… ho sempre letto tutto ciò che mi capitava a tiro… i miei “idoli” sono Erich Fromm, Seneca, Marco Aurelio, Cicerone, Stephen King, Dino Buzzati, Tiziano Sclavi, Kierkegaard, Zygmunt Bauman, Pasolini, Etty Hillesum… la lista è lunga!... ma se ci limitiamo alla poesia, non ho dubbi: devo tutto a Eugenio Montale e, ancora di più, a Tomas Transtromer…
Secondo te quale “utilità” e quale ruolo ha lo scrittore nella società attuale?
Beh, mi sembra giusto usare le virgolette: “utilità” tradisce il tipico approccio razionalistico (proprio nel senso etimologico di “reor”, calcolare) del capitalismo, secondo cui se qualcosa (o qualcuno…) non “serve” allora non ha valore (ma quando, da bambini, giocavamo felici con l’hula-hoop, non ci chiedevamo “a cosa serve?”...). Il ruolo di uno scrittore oggi, e di qualsiasi artista in generale, dovrebbe essere in primis portare un’autentica testimonianza di Vita, e poi recuperare il linguaggio dei simboli e dei miti… perché l’arte non è solo una risorsa: è anche un riscatto, una ribellione, una vendetta. Contro l’inferno della società industriale… una vita che non ha davvero alcun significato. Quale ruolo abbia invece effettivamente uno scrittore nella società attuale, non saprei… probabilmente la sua opera finisce schiacciata nell’immenso magma digitale, diventando un semplice flatus vocis… è impresa ardua oggi lasciare un’impronta…
Come hai iniziato a scrivere e perché? Ci tratteggi la tua storia di scrittore, breve o lunga che sia? Gli incontri importanti, le tue eventuali pubblicazioni.
Scrivevo, com’è tipico, da adolescente, spinto dal desiderio di dare corpo a sentimenti che mi apparivano come una condanna, ma mi mancava il coraggio di guardare in faccia il dolore. Poi, dopo oltre 10 anni di vuoto (o meglio, di vigliaccheria), il fuoco si è riacceso e quel coraggio l’ho finalmente trovato: sono ormai 5 anni che la poesia è divenuta una parte imprescindibile della mia vita… Gli incontri più importanti sono stati due: il primo, in carne ed ossa, con Elio Pecora, che mi ha premiato nel 2013 al Diana Nemorensis; il secondo, on-line, con Luigi Arista, autore di un bellissimo saggio critico sulla mia unica silloge di poesie finora pubblicata, “post meridiem” (casomai foste curiosi, lo trovate qui...).
Come avviene per te il processo creativo?
Si tratta di un rito: attendo, come una rara congiunzione astrale, alcuni momenti del giorno; spengo le luci, accendo una candela, inforco le cuffie con musica di accompagnamento, e mi lascio andare totalmente come fossi sotto l’effetto di un allucinogeno. Oppure vestito di stracci e senza lavarmi mi reco in quei luoghi che per me hanno una grande potenza evocativa; mi trasformo in “sentinella del Tempo”, e mi lascio andare totalmente come fossi sotto l’effetto di un allucinogeno (soltanto in un secondo momento mi occupo, razionalmente, di limare, rattoppare con ago e filo, lucidare con la cera). Mi sento un Testimone.
Quali sono gli obiettivi che ti prefiggi con la tua scrittura?
Come ho scritto prima, un obiettivo cosciente è maturare un linguaggio sempre migliore e sempre più incisivo. Un altro obiettivo, è rimanere vivo… un altro ancora, mantenere una promessa fatta a un’amica tanto tempo fa… poi ci sono gli obiettivi “inconsci”, che, ovviamente, ignoro!
Secondo il tuo punto di vista, o anche secondo quello di altri, che cos’ha di caratteristico la tua scrittura, rispetto a quella dei tuoi contemporanei?
Eh… proprio perché nascono in uno stato di semi-coscienza, mi riesce molto, molto difficile l’esame critico, esegetico, delle mie poesie… non saprei… forse la prima caratteristica (non necessariamente positiva) che balza agli occhi è la forte carica onirica, poi un senso di appassimento, di languore, caratteristiche che raramente riscontro in altri… per quanto riguarda i punti di vista altrui, vi rimando al saggio critico di cui sopra… Elio Pecora mi scrisse che la mia poesia lo convince “per il tono e la fluidità, ma soprattutto per la sostanza che vi corre dentro”.
Si dice che ogni scrittore abbia le sue “ossessioni”, temi intorno ai quali scriverà per tutta la vita, quali sono le tue? Nel corso degli anni hai notato una evoluzione nella tua scrittura?
Buzzati diceva che ogni scrittore, nel corso dell’intera vita, scrive di una sola cosa: nel mio caso si tratta dell’Assurdo (o del Tempo… credo che siano sinonimi…)… sì, sono sempre in costante evoluzione… i temi restano gli stessi, ma il linguaggio cambia: ho notato che l’onirismo va accentuandosi, tendo non più a descrivere o esplicitare, ma a suggerire, alludere, indicare (proprio nel senso letterale di “mostrare con il dito”)… d’altronde, è solo in questo modo che l’arte è davvero potente, credo.
Hai partecipato al Premio Babuk nella sezione Poesia, scrivi anche in prosa? Se no, pensi che proverai?
No… ho deciso da tempo di restringere il campo concentrandomi soltanto sulla poesia.
Quanto della tua terra di origine vive nella tua scrittura?
Moltissimo…è qui, che il Tempo ha distrutto tutto (in “cotidie” trovate le parola “cappellaccio”, che è un tipo di terreno tipico delle mie parti, e l’espressione “Valle Degli Spiriti Beati”, un’incantevole zona del mio paese dove visse Michael Ende, fonte di ispirazione per “La Storia Infinita”…). Anche se io tratto di argomenti universali, non credo che sarei capace di scrivere altrove.
Qual è il rapporto tra immaginazione e realtà? Lo scrittore si trova a cavallo di due mondi?
…domande da un milione di dollari... credo si tratti di due dimensioni non parallele, che quindi si intersecano… e uno scrittore fa continuamente la spola fra i due mondi…
Chi sono i tuoi lettori? Che rapporto hai con loro?
Purtroppo non “ho” lettori… la mia silloge è stata accolta con indifferenza. Avrei avuto bisogno di una promozione come si deve.
“Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso”. Che cosa pensi di questa frase di Marcel Proust, tratta da “Il tempo ritrovato”?
…che è assolutamente vero! Io, in particolare, mi riconosco completamente in queste parole: sono il mio ritratto. Leggere mi costa fatica: devo sforzarmi, per non pensare a me stesso e focalizzarmi sul contenuto…
Quali sono gli indicatori che utilizzi nel valutare, se così ci è permesso dire, un testo? Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche di una buona scrittura? Hai mai fatto interventi critici, hai scritto recensioni di opere di altri autori?
Premetto che le mie considerazioni fanno riferimento all’arte in generale, non alla scrittura nello specifico. Per me, nella “valutazione” la conditio sine qua non è la presenza di un’autentica sofferenza, o, cosa più rara, un’autentica gioia. Secondo, l’arte deve essere per l’artista una necessità vitale, come mangiare o bere. Last but not least, il linguaggio, che deve essere efficace e innovativo: non conta più tanto ciò che dici, ma come lo dici (“Le storie le abbiamo esaurite da secoli: quello che conta è solo il linguaggio”, Tiziano Sclavi)… il “come” è diventato più importante del “cosa”, la caratteristica principale di una buona scrittura. Sì, ho fatto in passato interventi critici, ma solo “casalingamente” su opere di cari amici.
In relazione alla tua scrittura, qual è la critica più bella che hai ricevuto?
Le parole più belle non sono venute dagli sterili e snob ambienti accademici… si tratta di una dolcissima mail d’encomio, ricevuta da una ragazza… si chiama Giada Giordano, anche lei poetessa: se non la conoscete, cercatela sul web, ha un suo blog… è straordinaria, i suoi versi sono accecanti… (senza dimenticare Elio Pecora e Luigi Arista, naturalmente).
C’è una critica “negativa” che ti ha spronato a fare meglio, a modificare qualcosa nella tua scrittura al fine di “migliorare”?
Certamente: “frena la foga verbale”…da allora, ho imparato a “sfrondare”…
A cosa stai lavorando? C’è qualche tua pubblicazione in arrivo?
Sto lavorando ad una seconda raccolta di poesie, che si intitolerà “ante meridiem”. Ma di certo non uscirà a breve… so che la poesia è la più grande e la più difficile di tutte le arti… richiede coraggio: per me scrivere è come stare con le punte dei piedi a 5 centimetri dall’orlo di un precipizio: se riesco a guardare di sotto, allora porto a termine la poesia… ho imparato a rallentare, dosare, diluire, scrivendo non più di 5/6 composizioni l’anno. Attendo che il vino nella botte invecchi…
Quali altre passioni coltivi, oltre la scrittura?
Musica (compongo e suono da dj), cinema, letteratura, autoproduzione e downshifting… e la citronella: ne ho una splendida pianta in terrazzo…
Hai qualcosa da dire agli autori che pubblicano i loro testi su LaRecherche.it? Che cosa pensi, più in generale, della libera scrittura in rete e dell’editoria elettronica?
Auguro a tutti gli autori del vostro sito - me compreso! - di riuscire ad emergere da quella poltiglia violacea e informe che è internet… infatti, la libera scrittura in rete è un’arma a doppio taglio: da un lato, aumenta la visibilità, dall’altro, come accennavo prima, si finisce schiacciati nell’abbondanza… ma questa è la nostra epoca, e sarebbe sciocco comportarsi da ludditi: quindi via libera all’editoria elettronica, nella speranza di riuscire a piegare questo mezzo ai nostri fini.
Vuoi aggiungere qualcosa? C’è una domanda che non ti hanno mai posto e alla quale vorresti invece dare una risposta?
Sono felice che non mi abbiate esplicitamente chiesto: “cosa significano le tue poesie?”… meglio non sapere… sarebbe come conoscere tutti i trucchi di un illusionista: la magia scompare…
Una domanda che non mi hanno mai posto è la seguente: “Chi è quel misterioso ‘tu’ onnipresente nelle tue poesie?”… non darei mai una risposta: come la più stakanovista delle guardie del corpo, proteggo giorno e notte quella ragazza…
Grazie.
…a voi!