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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Nicola Grato

Argomento: Intervista

Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 01/05/2019 12:00:00

 

L’autore qui intervistato è Nicola Grato, secondo classificato al Premio letterario “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, V edizione 2019, nella Sezione A (Poesia) con “Ciro ci ha detto che gli figlia l’asina”.

 

 

 

 

Ciao Nicola, come ti presenteresti a chi non ti conosce?

 

Sono Nicola Grato, palermitano di nascita e paesano per scelta (vivo con la mia famiglia nel centro antico di un paese della Sicilia interna in provincia di Palermo). Sono un insegnante di scuola media, leggo e scrivo.

 

 

Sei tra i vincitori del Premio “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, perché hai partecipato? Che valore hanno per te i premi letterari? Che ruolo hanno nella comunità culturale e artistica italiana?

 

Ho partecipato a questo premio per fare conoscere le mie poesie. Per me i premi letterari dovrebbero avere il precipuo scopo di mettere in relazione gli scrittori tra loro e con il loro ipotetico pubblico.

 

 

Quali sono gli autori e i testi sui quali ti sei formato e ti formi, che hanno influenzato e influenzano la tua scrittura?

 

Montale in primis, il poeta della mia adolescenza insieme a Pascoli e Caproni. Poi Rocco Brindisi e Pasolini. Rocco Scotellaro mi ha fatto scoprire la poesia civile che non abbandona il modus lirico, mio orizzonte di riferimento stilistico.

 

 

Secondo te quale “utilità” e quale ruolo ha lo scrittore nella società attuale?

 

Fortunatamente nessuna utilità, nel senso che la poesia non appartiene alla categoria dell’utile, dell’economico o della dialettica costo/beneficio: la poesia deve essere sempre eversiva, deve mirare a far conflagrare tra loro parole e cose, deve capovolgere e mostrare quelle che Cioran chiamava “verità nocive”, ovvero il precipitato chimico di ogni sistema filosofico e sociale. La poesia deve coltivare il pensiero divergente per insinuare dubbi più che per proclamare certezze. Attraverso la poesia si possono inoculare germi critici nella politica, nella vita sociale, anche nella vita strettamente familiare.

 

 

Come hai iniziato a scrivere e perché? Ci tratteggi la tua storia di scrittore, breve o lunga che sia? Gli incontri importanti, le tue eventuali pubblicazioni.

 

Ho iniziato a dodici anni: ho composto una trentina di poesie scritte a mano su un quadernetto che ancora conservo. Poi gli anni del liceo e della conoscenza dei poeti, come ho detto Montale su tutti. Allora scrivevo per sfogarmi, come tutti gli adolescenti del Pianeta mi sentivo incompreso e solo: la scrittura in tal senso mi faceva compagnia, mi dava la possibilità di inventarmi mondi. All’università lo studio tecnico della lingua, le prove, gli esperimenti di scrittura. Il mio primo libro di poesie, Deserto giorno, risale al 2009 per la casa editrice palermitana “La Zisa”: frutto del lavoro su Lucio Piccolo e Ripellino. Dal 2005 al 2010 ho svolto il ruolo di dramaturgo presso il Teatro del Baglio di Villafrati in provincia di Palermo: facevamo teatro di ricerca, teatro di poesia. In questi anni ho approfondito le scritture di personaggi non illustri: diari, lettere, memoriali. Dall’esperienza teatrale lo studio su Consolo, D’Arrigo, Bordonaro, Pasolini, Penna. Il teatro è stato decisivo per la mia scrittura, lo è stato il regista Enzo Toto, maestro e amico. Lo è tuttora mia moglie Salvina, l’unica ammessa alla lettura in anteprima delle mie poesie. Il suo giudizio è per me fondamentale. Nel 2018 ho pubblicato il libro di poesie Inventario per il macellaio per “Interno poesia”, libro di svolta per la mia scrittura. Il titolo me lo ha suggerito mia moglie.

 

 

Come avviene per te il processo creativo?

 

Per me è essenziale stare fuori, guardare, passeggiare. Ascoltare racconti. Sedermi a mangiare il siero della ricotta nel posto dove ancora la fanno in casa; per me le cose devono illuminarsi tra loro. La mia è una poesia degli oggetti in relazione tra loro, dei racconti, delle fotografie. Cerco di affinarmi come artigiano, ci tengo a dirlo. Artista è parola che mi crea un certo imbarazzo quando non un aperto e manifesto fastidio.

 

 

Quali sono gli obiettivi che ti prefiggi con la tua scrittura?

 

Raccontare, fare memoria, creare spazi sempre più larghi di sacro nel quotidiano.

 

 

Secondo il tuo punto di vista, o anche secondo quello di altri, che cos’ha di caratteristico la tua scrittura, rispetto a quella dei tuoi contemporanei?

 

Dicono sia una scrittura sincera. Bene, questo mi fa molto piacere. Sincera ma non ingenua: so di avere una tradizione poetica alle spalle che ho tanto studiato, almeno quanto la poesia contemporanea. Sono un curioso e so bene che non si scrive senza prendersi enormi responsabilità. Sgalambro diceva che non si scrive impunemente.

 

 

Si dice che ogni scrittore abbia le sue “ossessioni”, temi intorno ai quali scriverà per tutta la vita, quali sono le tue? Nel corso degli anni hai notato una evoluzione nella tua scrittura?

 

Ricerco costantemente l’evoluzione nella scrittura attraverso lo studio, la pratica; le mie ossessioni sono le cose e i racconti dei vecchi.

 

 

Hai partecipato al Premio Babuk nella sezione Poesia, scrivi anche in prosa? Se no, pensi che proverai?

 

Scrivo sempre in prosa prima di trasformare completamente gli scritti in versi, in ritmo. Per ora non credo di volere scrivere un romanzo, il racconto mi è più congeniale.

 

 

Quanto della tua terra di origine vive nella tua scrittura?

 

La Sicilia, l’isola, è consustanziale alla mia scrittura: anche solo l’atto di prendere una penna (scrivo ancora a penna) per me sarebbe impossibile senza l’isola, senza il mare di terre che vedo ogni giorno.

 

 

Qual è il rapporto tra immaginazione e realtà? Lo scrittore si trova a cavallo di due mondi?

 

Immaginazione è atto poietico: il poeta deve sapere di essere responsabile di quello che scrive. Non parlo evidentemente del diritto d’autore, ma del dovere di testimoniare il proprio tempo con la propria opera.

 

 

Chi sono i tuoi lettori? Che rapporto hai con loro?

 

Molti lettori sono contatti dei social network: attraverso questi canali multimediali mi sono creato un mio piccolo pubblico che mi incoraggia, che apprezza il mio lavoro.

 

 

“Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso”. Che cosa pensi di questa frase di Marcel Proust, tratta da “Il tempo ritrovato”?

 

Penso sia esattamente quello che i miei lettori dicono accada leggendo le mie poesie. In questo senso mi sento un medium senza alcunché di esoterico.

 

 

Quali sono gli indicatori che utilizzi nel valutare, se così ci è permesso dire, un testo? Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche di una buona scrittura? Hai mai fatto interventi critici, hai scritto recensioni di opere di altri autori?

 

Sono fondamentalmente un lettore. Per me la scrittura deve essere necessaria, deve permanere come un buon vino. La scrittura deve cercare la profondità, deve attraversare il fuoco del corpo, deve avere materia nel duplice senso di materialità e di argomento. Ho scritto molte recensioni, alcune le ho pubblicate. Sono atti di ammirazione nei confronti di chi lavora sulle parole. Ho una mia idea della recensione, che è mia e magari sarà anche sbagliatissima: se scrivo per qualcuno è perché ne ammiro il lavoro, ne sento il lavorìo nella scrittura, per dirla con Carmelo Bene. Le stroncature non mi piacciono. Intendiamoci: possono stroncare tranquillamente il mio lavoro, ognuno è libero nei limiti del rispetto umano di scrivere quel che vuole, non mi piace il sadismo della stroncatura, ecco.

 

 

In relazione alla tua scrittura, qual è la critica più bella che hai ricevuto?

 

Sebastiano Aglieco ha scritto che è una scrittura chiara. Questo mi ha convinto a proseguire su una strada che ho intrapreso grazie a mia moglie, poetessa e scrittrice, raffinata lettrice.

 

 

C’è una critica “negativa” che ti ha spronato a fare meglio, a modificare qualcosa nella tua scrittura al fine di “migliorare”?

 

Giacomo Cerrai ha criticato il mio Inventario pedagogicamente: non mi ha detto di darmi all’ippica ma di modificare alcune cose, di derogare su certe insistenze tipiche della mia scrittura, come il riferimento al passato che egli sentiva come modo crepuscolare. Nulla nella mia scrittura ha a che fare col crepuscolarismo, mi piace però tanto Gozzano.

 

 

A cosa stai lavorando? C’è qualche tua pubblicazione in arrivo?

 

Sto lavorando a un nuovo libro, le poesie che ho presentato a questo Premio ne faranno parte.

 

 

Quali altre passioni coltivi, oltre la scrittura?

 

Le cene con gli amici, dunque il vino e il cibo ma senza esagerare; poi le camminate, le escursioni paesologiche nel territorio laddove le cose sono in abbandono.

 

 

Hai qualcosa da dire agli autori che pubblicano i loro testi su LaRecherche.it? Che cosa pensi, più in generale, della libera scrittura in rete e dell’editoria elettronica?

 

Il mezzo elettronico è appunto un mezzo. Come tanti altri. Nessuna preclusione per la pubblicazione in rete dei testi, anzi. Bisogna creare relazioni, credo di averlo già detto, e in tal senso il mezzo elettronico può essere importante per mettere in contatto autori, persone.

 

 

Vuoi aggiungere qualcosa? C’è una domanda che non ti hanno mai posto e alla quale vorresti invece dare una risposta?

 

Pensi che la poesia debba avere anche un ruolo politico nella società? Certo, la poesia è politica, ma la politica non è poesia, con tutti i danni enormi che questo ha prodotto e produce. Intendo poesia, lo ribadisco, un modo di stare al mondo conforme alla cura del mondo stesso: bisogna curarsi del mondo, e qui ecco la politica.

 

 

Grazie.

 


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