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No, io non voglio ritornarci alla normalità.

Argomento: Letteratura

di AvvocatoD’Aiuto
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Pubblicato il 22/04/2020 13:17:53

Di Pasquale D’Aiuto, Avvocato. Arrivi a Capodanno e ti chiedi un’altra volta come sia andata: bene, male, potevo far meglio, poteva andar peggio. Il tempo di contare da dieci a zero e stai già pensando con cosa e chi pranzerai il giorno dopo, a quando tornerai in studio, a quel caso da esaminare meglio, a chi invitare per la partita. Finisce agosto e giuri: “Settembre è il vero Capodanno, altro che gennaio!” ma poi, alla fine, mentre credi di dover organizzare le idee per affrontare la ripresa, già sei immerso, ancora mezzo abbronzato, nella quotidianità luminosa di fine estate con un dolce vigore, afferrando senza troppi intoppi le redini delle cose. E poi ti ritrovi, in un qualsiasi nove marzo di un anno bisestile, a cominciare una fase della tua vita, che non sarà ampia ma resterà memorabile, in cui devi davvero misurarti con le tua aspirazioni, le tue paure più profonde, i tuoi desideri ed una nuova, inaspettata sensibilità verso tutto l’universo, la vita, la morte. Devi fare i conti con te stesso perché perdi la libertà – così come, almeno, l’abbiamo sempre intesa – e non puoi recarti al lavoro, stringere mani, affrontare piccoli e grandi dilemmi, rifugiarti nelle tue abitudini e nelle tue certezze. Alla fine, perdi proprio quelle: le certezze. Forse, ne acquisisci delle altre. Nel frattempo, però, il tempo diviene infinito e breve, diverso ed uguale. Le giornate si animano grazie ad impulsi nuovi che, spesso, provengono dal tuo profondo, segnali che covavano nel tuo cuore in attesa di essere ascoltati. Riprendi a riflettere, a dormire più a lungo, a sognare, ad interrogarti sulla tua umanità. Ecco, l’umanità: concetto che viene sempre più dimenticato. Eppure, dovrebbe costituire la base del nostro essere! Guardare in alto ed osservare il cielo e le stelle non è cosa concessa a tutti i viventi, così come non è affatto banale poter contare su una complessità di pensiero vasta – seppur con tutti i suoi limiti – quale è quella dell’uomo. Mentre l’inverno lascia il posto ad un’incerta primavera, forse tardiva per tema di incoraggiare la gente ad affollare le strade, tu hai desiderio di uscire, andare al mare per abbeverarti d’infinito, rivedere chi ami, gettarti nell’attività che prediligi; ma, intanto, hai suonato il pianoforte con i tuoi figli, hai dialogato seriamente con qualcuno, hai affrontato crisi, hai scoperto qualità in persone insospettabili, hai maturato idee che potrebbero rivoluzionare il tuo quotidiano, hai ascoltato il canto degli uccelli, fatto ginnastica davanti ad un cellulare, letto poesie, scritto riflessioni… hai vissuto, sei stato umano, hai dato un peso al tempo. Non sai se proprio quello giusto ma, certamente, di più e meglio. Non sei guarito, certo, dall’istinto di affrettarti e vagheggiare che cosa sarà domani, non hai tagliato tutti i nodi di Gordio che ti legheranno sino alla fine dei tuoi giorni ma hai potuto apprezzare il momento, condannato a fare i conti con te stesso; invitato, da un minuscolo essere che nemmeno può dirsi vivente, a volerti un po’ più bene. La nostra libertà è, principalmente, disordine, entropia. Proprio la libertà, che è preziosa come respirare, ci rende incapaci di comprenderla fino in fondo. Il tempo, che è terribilmente limitato e che, a volte, è drammaticamente scarso, meriterebbe più riguardo. E invece ne abusiamo ogni giorno, quando potremmo fare una passeggiata in un bosco di cicale piuttosto che condannarci ad una fila di ore per ritirare una copia con un timbro sopra. E, quel che è peggio, non facciamo nulla o quasi per evitare di buttarlo via come una cartaccia, non costruiamo attorno a noi una realtà efficiente, nel senso più umano del termine. Questa, questa deve essere la nuova, fondamentale sfida quotidiana: impedire che le cose proseguano come prima, in un modo irrazionale e cieco che ci sottragga tempo, con l’abbaglio di una libertà illusoria e di un’eternità impossibile. Perché noi maltrattiamo il tempo senza ragione, spesso per illuderci di essere efficienti ed utili – al mondo ed a noi stessi – ottenendo il risultato opposto! Eppure, noi non siamo costituiti di appuntamenti di lavoro, tasse, scadenze, problemi risolti, viaggi in auto, sfide quotidiane ed ore di mera quiete: al contrario, il meglio di noi è un tuffo in luglio, l’ascolto d’una poesia, la lezione ad un bimbo, il bacio di chi ami, un panino in un prato, un film sul divano, viaggiare. È tutto quanto resterà nella nostra solitudine, il motivo per cui avrà avuto un senso vivere. E allora, se normalità significa riprendere a non dare il giusto valore al tempo – ché di prezzo, il tempo, non ne ha, non può averne – che la normalità sia ripudiata, che non vi facciamo più ritorno, che si rivoluzioni il senso di quel termine. Bisogna fare il possibile per non sprecare il momento, per non farselo scippare senza ragione, dapprima nel lavoro, poi nel resto: perché possiamo ricordarci, un giorno qualunque, che siamo esistiti. Occorre dialogare con la nostra natura, finita ed imperfetta, e spiegarle, con pazienza, che il vero tempo, la vera normalità è quando siamo stati esseri umani. 21 aprile 2020


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