Tra pochi giorni si terranno a Roma due mostre estremamente interessanti, una a Palazzo Barberini dedicata a Caravaggio e l’altra a Palazzo Bonaparte dove verranno esposte opere di Munch. Già le sedi delle esposizioni sono di tale interesse artistico che varrebbe la pena recarvisi solo per la bellezza delle architetture. Se poi in tali sedi splendide si espongono opere meravigliose andarci è quasi un obbligo, se obbligo non fosse costrizione.
Caravaggio e Munch, così distanti nei secoli, eppure, a detta di chi scrive, estremamente vicini per messaggio. Quale messaggio? Una voce che tace di silenzio: il silenzio di Dio.
Entrambi abitano il vuoto e al vuoto conferiscono parola; dovremo dire come.
Caravaggio spoglia il cielo; lo trascina letteralmente sulla terra. Lo rende carne, ossa, sangue; che fa sgorgare, perché l’uomo muore. Spesso una vita estirpata, spesso con violenza, ma non è il personaggio che subisce: nell’immagine terrena la violenza la subisce il sacro.
Il sacro, allora, muore; perché viene tolto dalla trascendenza e immesso nell’immanenza. Fatto di terra, il sacro si fa vero. Per questo le opere di Caravaggio venivano rifiutate.
Cristo morto e deposto, San Pietro crocifisso ai limiti dell’agonia, la Madonna ormai morta e tante altre vittime e carnefici. Il carnefice è l’uomo.
L’uomo diventa carnefice nella misura in cui spoglia il divino di sacralità. Come ho detto, lo fa di carne, ossa e sangue: lo fa uomo e morire perché l’umano muore e questo è verità.
Cristo è morto per salvarci dalla morte, ma per farlo ha dovuto morire. Dalla morte non si prescinde. Né dalla vita, come testimonia il Cristo all’osteria, dove sceglie un discepolo tra vino e denaro, avidità e scompenso, nella miseria dell’umano vivo che inevitabilmente morirà, come dice quello stesso discepolo mentre, in un altro quadro, scrive con un teschio sullo scranno.
O la Madonna dei pellegrini, una popolana, scura, diffidente. Di fronte a cosa? Di fronte all’illusione.
Il cielo è nudo e Dio, ormai, non lo abita più. Sta qui, dove l’intuizione artistica lo pone. Qui, nel mondo, che non è un paradiso.
Fin qui Caravaggio, ma perché Munch? Forse il suo “urlo? Certo, Munch grida, ma cosa? Cosa quell’urlo dice? E non solo quel quadro troppo noto; anche altri.
Se nell’urlo la bocca è spalancata, altre figure sono silenziose; spesso prive di lineamenti. Se ne hanno, tacciono. Come l’uomo sul ponte di fronte a un mare in tempesta. O i personaggi della stanza in bianco e nero. O altri, soli in una stanza, cui Hopper si è senz’altro ispirato.
O folle lungo la strada, senza occhi né bocca, o gruppi di figure allineate una accanto all'altra in qualche ambiente, che ci guardano mentre le guardiamo in un dialogo che è dire senza dire. Nessuno grida: solo silenzio, ma quel silenzio è urlo.
Cosa grida quel silenzio muto? Grida di solitudine, estraniazione, abbandono. L’uomo è solo, privo di protezione, di fronte a se stesso e al gran vuoto di un mondo specchio di un non senso grande. Dio, che un tempo offriva senso, è dunque morto e il mondo ha perso una promessa grande: nessuno risorgerà o, se lo faremo, adesso siamo morti.
Né abbiamo compagnia. Ognuno è solo, nella propria prigione depressiva, come lo è l’uomo oggi, rinchiuso in un silenzio virtuale dove nessuno parla se non per simboletti o chiacchiere da tik tok, spesso balletti; una morte di Dio che oggi non interessa nessuno perché è morto anche l’uomo. Questo Munch non lo sapeva, ma aveva intuito dove andava il tempo.
Coscienza dell’abbandono: questo il grido di Munch. Un grido più disperato di quello di Caravaggio. In Caravaggio è morto il cielo, ma il trascendente trasmigra nell’umano; in Munch non c’è proprio nessuno.
Queste le esposizioni di cui ci parla Roma, una città ormai morta che di se stessa dice e di un morire antico.
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