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Supermonteradio 100.2 Mz - Cap. 5/5

di Michele Rotunno
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Pubblicato il 04/06/2011 10:22:18

L’ora di Gionni

Quando sfuma l’ultimo brano non stop e dopo qualche secondo di silenzio assoluto la calda voce di Gionni col tono più naturale possibile annuncia:
“Qui, dall’emittente libera Radio Monte, sui cento punto due megaertzs, un cordiale saluto a tutti gli ascoltatori. Saranno molti? Saranno pochi? Ebbene, a tutti giunga il mio personalissimo saluto.
“detto questo, amici in ascolto, devo farvi una confessione: sono emozionato che non vi dico. Mi tremano le gambe e la mia voce non so come vi arriva. Diciamo allora che avrò bisogno di qualche minuto per scongelarmi e poi, se Dio lo vuole, si andrà a mille.
“intanto, come avrete già notato, in sottofondo non c’è alcuna sigla sonora; non è una dimenticanza ma un’omissione voluta. Vi sembra strano? Si? Allora il tempo di ragionarci un po’ sopra e capirete il perché.
“dunque, una sigla cos’è? Risposta: è un marchio indelebile che ti si appiccica addosso e consente a tutti di riconoscere il programma già dalle prime note. E questo è il punto, amici; questo è stato il mio primo pensiero, sin da quando è stato messo in cantiere questo programma. Se ho tardato ad andare in onda è dovuto in minima parte anche a questo. Devo confidarvi che fino ad un’ora fa non avevo la più pallida idea come iniziare il programma e tanto meno sulla sigla. E forse vi state chiedendo se sono ancora in alto mare, in effetti non so nemmeno io se quanto vi sto dicendo riuscite a comprenderlo o se, addirittura, non vi siete già scocciati di ascoltarmi.
“la sigla, invece, quella c’è e tra qualche minuto la ascolterete in tutta la sua bellezza. Già, perché vi preannuncio che sarà una bella sigla. Prima, però ho ancora qualcosa da dirvi, diciamo un percorso verbale obbligatorio.
“tra poche ore è Natale ed è universalmente riconosciuto che questo è un giorno felice, per tutti indistintamente. Tutti, in questo giorno dovrebbero, il condizionale è d’obbligo, smettere i panni della tristezza, gettarsi alle spalle, almeno per quarantotto ore, tutti i problemi che ci affliggono la esistenza e gioire. E se proprio il magone è duro da mandare giù allora che le lacrime si confondano con l’atmosfera festiva che ci circonda. Ed è quanto io auguro a questa emittente: che ogni giorno di trasmissione sia un giorno festivo, e come tale anche possibilmente felice.
“si, amici, un continuo, intramontabile giorno felice”.
E mentre Gionni si avvia a concludere il soliloquio, dal fondo del mixer, magicamente, prima in sordina e poi sempre più nitide ed intense salgono le note di Happy day.

Gionni non lo sa e nemmeno lo immagina ma le persone in ascolto sono molte, non decine nè centinaia ma qualche migliaio, e tutte in religioso silenzio ad ascoltare una voce stranamente fuori le riga.
“diavolo se c’è riuscito! Da dove l’ha tirata fuori quella sigla? Non è una pubblicità?” Franco, con i gomiti poggiati ad incastro tra i raggi del volante della Escort, non nasconde la propria ammirazione.
“l’ho sempre detto io che Gionni è l’uomo dalle mille risorse. È proprio vero quello che ha detto, quando l’abbiamo lasciato era totalmente in alto mare.”
Anche Savino fa il verso a Franco, in effetti sono entrambi testimoni di una imprevista metamorfosi. L’unico a starsene in un colpevole silenzio è Gino, egli sa di aver deluso l’amico, di aver disattese le sue richieste di aiuto e sa che la bugia propinata era smascherata già in partenza. Inoltre l’affetto che prova per l’amico amplifica a dismisura il proprio senso di colpa.
Per fortuna la sigla sta per finire e Gionni sicuramente riprenderà il soliloquio così tutti potranno evitare di fare discorsi inutili. Cosa dirà ancora Gionni? Nessuno di loro lo sa ma, questa volta di una cosa sono certi, che qualunque cosa dirà sarà senz’altro vincente.
“eh, il Natale è davvero un giorno felice! – riprende Gionni - Peccato sia un giorno che cade una sola volta all’anno, dovrebbe essere Natale tutti i giorni, non tanto inteso come giorno festivo ma come giorno felice, sì.”
“certo che la felicità è proprio un’utopia, eppure se potessimo estrapolare dalla mente ogni pensiero terreno allora forse riusciremmo anche a dare una spiegazione a un quesito tanto unico quanto importante. Provate a chiedervelo cosa sia la felicità, se una componente di tanti stati d’animo o la risultante di tanti interrogativi. Secondo me è la seconda ipotesi. La felicità è ciò che si ottiene quando ogni nostro interrogativo esistenziale viene soddisfatto, come ad esempio la verità, la saggezza, chi siamo, da dove veniamo, verso cosa siamo diretti….”
Le ultime parole Gionni le pronuncia sussurrando lentamente creando così una surreale suspence che viene improvvisamente squarciata dalle tambureggianti note di Così parlò Zaratustra.
Quattrominuti e diciotto secondi, tanto è durato il pezzo musicale ed altrettanto il silenzio radiofonico di Gionni, tutto preso a coordinare le idee. Quindi, senza clamore, cessando la musica, riprende con sottile ironia.
“allora, simpaticoni in ascolto, cosa mi dite? Pensate anche voi che la conoscenza di se stessi porta alla felicità?
Già, la felicità, che utopia! Ma in fondo la felicità di cosa si compone? Chiariamolo questo concetto. Innanzi tutto quanto deve durare il tempo che ci è concesso per essere felici? Un minuto, un’ora, un giorno, un anno, tutta una vita? Beh, spesso confondiamo la felicità con una sensazione di benessere materiale ed allora ci scappa di affermare che i soldi danno la felicità. È quanto di più sbagliato ci possa essere. Il benessere è tutt’altra cosa. La ricchezza, infatti, ci aiuta a vivere meglio, sebbene non sempre.
“allora si è felici quando si è in pace con se stessi e per ottenere tale stato d’animo occorre quindi innanzitutto conoscere se stessi. Ma se andiamo a scavare dentro di noi, nei più nascosti meandri della mente, siamo davvero sicuri che tanto ci condurrà a quello stato d’animo che la felicità richiede?
“dobbiamo quindi presupporre che anche l’essere felici richieda una certa dose di ipocrisia. Prendiamo ad esempio un criminale, se impara a conoscere se stesso raggiungerà la felicità? A suo modo direi di sì poiché un assassino può raggiungere l’estasi ammazzando senza per questo essere un ipocrita. Ma allora non serve a nulla conoscere se stessi? Parrebbe di no, sarebbe più che altro un esercizio inutile e pernicioso.
“Eh, eh, vi sto confondendo, nevvero? Be, seguitemi ancora.
“finora abbiamo analizzato due teorie contrapposte e non siamo affatto convinti che portano alla felicità, anzi….ma allora? Allora riprendiamo il camino dell’uomo nella storia.
“la teoria dell’evoluzione ci dice che l’uomo in origine era una scimmia e poi si è evoluto. Io vi chiedo: in cosa? Mi direte che si è evoluto l’uomo delle caverne ed io concordo con voi. Ma nel proceso di evoluzione cosa ha portato con se? Dalle caverne è balzato meno di dieci anni fa sulla Luna ed è pronto ad un balzo ancora più immenso, nello spazio alla conquista di mondi alieni o a colonizzare pianeti sperduti nelle galassie.
“questa è l’evoluzione ma qual è la componente primaria della propria esistenza che l’uomo porta gelosamente con sé e dentro di sé? Ve lo dico io: la bestialità! Senza la quale l’uomo non riesce a fare a meno di uccidere i suoi simili, d’imporre il predominio e di bramare con tutte le sue foze all’effimero possesso di cose terrene.
“gloria, fama, orgoglio, sono componenti indispensabili per evolvere la civiltà ma riuscirà mai, questa, a disfarsi della bestialità, primo e indelebile marchio dell’uomo? Caino insegna.
“ed allora torniamo alle origini del discorso: la felicità. Io non so se esiste e se da qualche parte esiste cosa potremmo fare per raggiungerla?
“secondo me per esere felici bisogna essere ciechi perché solo non vedendo il male che ci circonda possiamo fingere d’ignorarlo e, malgrado ciò, anche la felicità così raggiunta sarà una finzione. Il surrogato di un sentimento che nemmeno conosciamo e, Dio mi perdoni, forse non conosceremo mai”.
L’amarezza delle ultime parole è talmente grande che non bisogna fare alcuno sforzo per avvertirla, tanto più che, questa volta, nessuna nota musicale viene a sancire il termine del soliloquio. Con un profondo sospiro, ascoltato in diretta da qualche migliaio di persone in attonito silenzio, Gionni conclude il discorso e dopo aver armeggiato con qualche levetta del mixer annuncia:
“basta con le tristezze, è mezzanote passata e siamo entrati nella vigilia di Natale. Ci vorrebbe della musica allegra, tanto per restare in argomento, ma non so minimamente cosa cercare allora vi propino la prima che capita “Drupi – piccola e fragile”
Alla fine il dispetto verso gli amici ha avuto il sopravvento, non era nelle sue intenzioni il sarcasmo, sotto Natale per giunta, per cui dopo la lunga tiritera si sente svuotato di ogni energia. Ora vorrebbe essere a casa nel suo letto.
“Che ci sto a fare ancora qui?” si chiede sconsolato, a tirarlo d’impaccio e a farlo sobbalzare è lo squillo del telefono che, erroneamente credeva di aver staccato.
“Pronto, qui RadioMonte” risponde in tono freddo e distaccato.
“Buona sera Gionni” la voce dall’altro capo è calda, amichevole e sobria. Il tono gentile ed educato ha un accento pugliese.
“Buona sera a te” risponde Gionni un po’ sciogliendosi, poi continua “forse sarà il caso di dire buona notte, ormai”
“Ancora un po’ e diremo buongiorno” ridacchia l’altro senza malizia.
“Mi dici il tuo nome o come vuoi essere chiamato?” chiede Gionni.
“Mi chiamo Luigi, è il mio vero nome e così vorrei essere chiamato”
“Oh, scusa, sono un principiante ma nei giorni scorsi ascoltando le telefonate ho riconosciuto un sacco di persone al telefono benchè avessero dato un nome falso”
“Uh, che parolona! Più che falso possiamo dire un nome d’arte”
“Anche arte è un parolone, arriviamo a un compromesso dicendo un nome di copertura”
“Questo va decisamente meglio” ridacchia di nuovo divertito Luigi.
“Parli un italiano corretto ma dall’accento sembri pugliese, è così?”
“Sì, sono di Gravina, dopo Matera..”
“Sì, so dov’è. Arriviamo fin lì?”
“Forte e chiaro ma un amico mi ha confidato che vi ascolta anche a Molfetta”
“Addirittura!? Esclama Gionni al colmo dello stupore.
“Non c’è molto da stupirsi, voi siete a circa ottocento metri e con un buon tecnico è facile arrivare sparati così lontano”
“Non immagini le conseguenze di quanto hai appena detto” afferma Gionni mentre non riesce a trattenere il riso. Quindi precisa.
“Immagino già il conto del nostro tecnico se ti ha ascoltato. E chi lo reggerà più, ci costerà subire ogni ricatto da parte sua”
“Ma in fondo se lo merita non è così?”
“Sì, ma non esageriamo adesso sennò si monta la testa”
“Gionni è un piacere parlare con te”
“Aha, niente dediche percò!”
“Giuro, niente dediche. Ho chiamato solo per dirti che questa sera mi hai fatto doppiamente felice”
“Accidenti! Ho tutto questo potere? E come avrei fatto?”
“Senza saperlo, condividendo semplicemente due mie teorie”
“E sarebbero?”
“Primo, la felicità è solamente un’illusione, un miraggio in un deserto di tristezza e, secondo, che solo chi è cieco si avvicina alla felicità”
“No, no, sei in errore, non ho detto precisamente così. Mentre condivido pienamente la prima sulla seconda mi sono espresso diversamente”
“No no, hai detto proprio così”
“Ti sbagli, ho detto che bisogna essere ciechi per essere felici, o avvicinarsi alla felicità”
“Comunque è una precisazione che non modifica di molto il concetto, sei d’accordo?”
“Certo, anche se il condizionale è una forzatura. Sai meglio di me che con i se e con i ma ogni concetto è aleatorio”
“Però io posso confermarlo”
“Scusa, cosa vuoi dire?”
“Che sono cieco” La rivelazione piomba addosso a Gionni come una mazzata a tradimento, cioè del tutto inaspettata. Egli resta di sasso con la bocca improvvisamente secca. Non sa più cosa dire, cosa rispondere, non riesce nemmeno a riflettere. La sorpresa è stata totale. Luigi, dall’altro capo del telefono, lo percepisce e gli viene incontro.
“Ehi Gionni, ci sei ancora? Sai, io da qui non ti vedo”dice ridendo.
“Si ci sono, solo che non so cosa dirti. È da molto? Cioè, voglio dire, lo sei diventato o..”
“Lo sono da diciannove anni”
“Scusa, quanti anni hai adesso?”
“Quarantanove, tra poco più di un mese, il ventisei gennaio”
“Perciò sei rimasto cieco a trent’anni. Vuoi parlarne o..”
“Certo, oggi non è più un problema per me, ma nei primi tempi Oddio, meglio non pensarci! Adesso però è tutto superato”
“Dev’essera stato a causa di un incidente allora?”
“Sì, ero un camionista, guidavo un Tir, partivo di solito da Taranto per il Nord. Sai, ho viaggiato per tutta l’Europa occidentale, tranne l’Irlanda e il Portogallo. Quanti posti ho visto! Paesi, città, monti, laghi, fiumi, paesaggi da mozzare il fiato. E gente, gente di ogni genere, vecchi, giovani, bambini, puttane e santarelline…”
“In che percentuale?”
“Come?”
“Puttane e santarelline, in che percentuale?”
“Ah, dieci a uno” risponde divertito Luigi.
“Una vita massacrante, comunque!”
“Troppo. Perciò è successo l’incidente. Ero rientrato la sera prima dalla Francia e la mattina successiva sono ripartito per Porto Marghera. Avevo un carico di acido non so che… altamente infiammabile. Mi sono fermato ad Atri per prendere un boccone e bere una birra, poi sono ripartito, pensando di essere a posto, solo che avevo i sensi leggermente intorpiditi. Mentre guidavo mi sono messo ad armeggiare per accendere una sigaretta, sai con una mano reggevo il volante e con l’altra cercavo di aprire il pacchetto. Un’auto mi è sfrecciata a fianco strombazzando, ho fatto un sussulto, il camion ha sbandato e io ho perso del tutto il controllo. Mi sono cappottato e tutto è esploso in un bagliore di fiamme. È tutto ciò che ricordo, mi sono risvegliato in un letto d’ospedale, bendato come una mummia. Erano trascorsi diversi giorni, quasi due settimane. Un medico mi ha detto che avevo ustioni per tutto il corpo. Mi hanno rifatto la pelle centimetro per centimetro, anche i capelli. Hanno detto di aver fatto un buon lavoro, non lo so, non ho prove per dubitare. Solo gli occhi non hanno rifatto. Al loro posto due fossette vuote, riempite con due palline colorate”
“Dio, è spaventoso!” commenta amaramente Gionni.
“Puoi ben dirlo. All’inizio è stato terribile, volevo farla finita. Ci ho messo un anno per accettarmi. Devo ringraziare qualche infermiere, mia sorella e, quando sono uscito, qualche amica..”
“A parte la vista, ovviamente, in cosa sei cambiato, se sei cambiato”
“Ecco, grazie ancora Gionni, questa è un’altra bella domanda. Sai, c’è una cosa su cui mi hai fatto riflettere questa sera..”
“Sarebbe?”
“Ho scoperto di essere meno cieco oggi di quando avevo gli occhi. È curioso, ma è proprio così”
“Dai, questa me la devi raccontare”
“E’ semplice, prima guidavo il camion, giravo per il mondo e vedevo tante cose ma non osservavo nulla. Probabilmente ho immagazzinato molto nella mente perché ora ricordo distintamente quasi tutto. Allora il mondo mi passava davanti ma avevo altri pensieri assillanti per godermi lo spettacolo della natura. È come quando sei al cinema con la testa altrove, il film ti scorre davanti ma non lo segui, quando esci dalla sala non ricordi assolutamente nulla della trama poi, a distanza di tempo, con la mente sgombra, ti sovvengono anche i particolari. Tu sai spiegarlo questo fenomeno?”
“Personalmente no, ma i dottori sì, quelli del ramo, intendo”
“Forse, della mia cecità, l’unico rimpianto che ho è quello di non poter approfondire le conoscenze con la lettura”
“E’ vero, ma non devi farne un dramma”
“No, per carità, assolutamente no. Eppoi sono avvantaggiato rispetto a chi è cieco dalla nascita. Vedi, Gionni, io ho avuto modo di vedere le cose e quando si parla di qualcosa so abbinarla a un colore. Sai qual è la cosa che mi riesce meglio di conoscere?” Nella domanda Gionni non vede il trabocchetto che Luigi gli tende e lui abbocca in pieno.
“No, quale?” chiede ingenuamente.
“La Ferrari rosso fuoco. Capisci? Rosso Fuoco, a me. Cazzo se lo conosco bene” nella risata di Luigi non vi traspare alcun sarcasmo, solo voglia di scherzare e di amicizia.
“Accidenti a te, sei una peste, ma simpatica. Anzi, sai cosa ti dico? Che anche se non la richiedi te la faccio io una dedica”
“Davvero? Dimmi, sono curioso, non vedo l’ora!”
“Ahahahah! Non ci casco più, furbastro!”
“Questa volta è venuta fuori spontanea, giuro. Ma dimmi della dedica”
“Ti chiami Luigi? Allora ti dedico una canzone cantata da Natalino Otto”
“Da chi? Natalino Otto? Perché è ancora in circolazione?”
“Penso di si, ma la canzone è di una quarantina di anni fa”
“Addirittura! E come si chiama?”
“Si chiama.., bada che te la dedico tutta in esclusiva.., Tristezza di San Luigi”
“Giuro che non l’ho mai sentita nemmeno nominare”
“E invece l’avrai sentita almeno un centinaio di volte”
“Tu dici? Su, dai, mettila che non vedo l’ora!”
“La vuoi sentire per telefono?”
“Ho capito, devo riattaccare. Ehi Gionni, è stato un piacere, e non finisce qui, se ti fa piacere ti richiamerò ancora. Ora che ho trovato un amico non lo mollo più. Ciao e Buon Natale!”
“Buon Natale anche a te, amico. Tristezza di San Luigi. Questa è per te”
Pochi secondi dopo ecco scaturire, tradotta in italiano e cantata da Natalino Otto, la versione coatta di Saint Louis Blues.
Alla fine del brano la stanchezza, quella vera, assale Gionni che trova solo il tempo di lanciare via etere i ringraziamenti a coloro in ascolto e augurare a tutti il buon Natale, posiziona le musicasette per la notturna non stop e, spenta la luce, se ne esce.
Quando arriva in piazza, meraviglia delle meraviglie, trova una cinquantina di giovani che lo acclamano. Tra loro, i suoi amici. Vi è anche Gino che, emozionatissimo, lo abbraccia strettamente. Ora il suo debutto è davvero finito.
Ogni sera e ogni notte, ritornano puntuali, le note di Happy Day. A Montepiano e dintorni quelle note saranno ascoltate a lungo, per alcuni anni, finchè Gionni e i soci resteranno padroni dell’emittente. Quando spunteranno i primi capelli bianchi i giovani di una volta saranno ormai alle soglie della anzianità, esausti e poco vogliosi, e passeranno la mano cedendo a nuovi soci la radio. Vi saranno, e ancora oggi vi sono, altri personaggi, altre musiche, altre sigle, altre ragazze a telefonare per le dediche ma le note delle musiche moderne continueranno a squarciare l’etere sulla stessa banda dei 100.2 Mz di Supermonteradio.

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