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Un oceano in mare

di Elvira Scognamiglio
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Pubblicato il 10/09/2012 15:47:57

Se qualcuno le avesse chiesto di cambiare vita, quel giorno, lei lo avrebbe fatto. Sarebbe partita di nuovo, qualche giorno dopo. Per inseguire un sogno, per appagare la sua ansia di fare del bene agli altri, per la curiosità di guardare ancora una volta lo sguardo malandrino di quel rumeno. È incredibile quanto un ragazzino problematico possa –con una sola occhiata- entrarti nel cuore e fare un simile massacro.

Con tutti questi pensieri cercava di concentrarsi sull’ultimo libro di Baricco. Niente di che, pensava. La consueta prosa minimalista che tante volte aveva cercato di scimmiottare a fatica e con risultati scarni. Il rischio era quello di consentire all’assenza di parole e di punteggiatura di prendere il sopravvento sul contenuto e sull’efficacia del senso. La retorica così terribilmente svilita scompone l’arte del racconto in una semplice parodia del dire e non dire, del detto e frainteso. Un oceano che si getta nel mare. A intervalli regolari alzava gli occhiali con l’indice destro e stendeva le occhiaie, come per cancellare la stanchezza e la tristezza di quei giorni natalizi. Davanti a sé scaffali su scaffali. Colori sfavillanti e gente dappertutto. Soltanto a Natale si vendono libri, pensava, stringendo la caviglia sinistra sotto la gamba destra, mentre sorseggiava il the delle undici.

Non ci posso credere che tu davvero stia qui, leggendo il libro di Baricco con un the al latte e la caviglia sinistra sotto la coscia destra…

Tolse gli occhiali e tentò di rispondere senza riuscirci. Tagliava il suo silenzio con un sorriso. Poi una lenta risata. Sganciò la gamba, come qualcuno che è pronto per andare via, ma il the era ancora caldo e non aveva alcuna intenzione di farsi rovinare le vacanze di Natale da chi non faceva più parte della sua vita da troppo tempo.

Sono contento di rivederti. Erano anni che mi chiedevo se mai fossi riuscito a sedermi dinanzi a te e guardarti ancora una volta negli occhi.

Eppure i suoi occhi non si erano spostati dal libro e neppure dal tavolino. Accettava la sua presenza, non era il caso di comunicarsi altro con lo sguardo. Il silenzio indicava il suo disagio. Lei. Un mondo di parole e sguardi. E ora era con gli occhi bassi e senza parole.

Mi dispiace, non volevo farti del male. Me ne vado, ti lascio al tuo libro.  E al tuo the.

Era una frase che sapeva di dover pronunciare, se non altro per evitare di raccontare balle a se stesso e al mondo intero che in quel momento, quel 23 dicembre, lo sapeva e lo voleva altrove. In giro per shopping. In compagnia di un amico. Perché aveva deciso di scrivere una pagina di quel racconto? Se lo chiedeva, mentre la guardava incurvata sul libro accarezzare le parole di Baricco. Che perversione. Che malefica tentazione di entrare in quel videogioco per morirci dentro fino alla scritta game over.

Ti aspettavo. E aspettavo quel che mi devi…

Parlava. Non era diventata muta. E non aveva mai sentito nella sua voce, per quanto potesse ricordarla, quella determinazione. La vita l’aveva cambiata e i suoi occhi lo dimostravano. L’aveva lasciata una ragazzina capricciosa e caparbia. La ritrovava donna matura e fatale. Quanti occhi le erano passati davanti, quante braccia, quante labbra. A guardarla bene sembrava tatuata del dolore di ogni perdita, di ogni sconfitta, di ogni rivincita, di ogni sofferenza procurata.

Stai tranquillo, sembro triste, ma sono felice. Sono in partenza per la Romania. Vado a trovare qualche amico zingaro. E vado a cercare gli occhi di uomo che non ho potuto dimenticare. Come vedi, sono ancora folle, esattamente come qualche anno fa. Cambiano i protagonisti delle storie, eppure non smetto mai di affondare il coltello nella piaga e rivoltarlo fino a quando non mi faccio del male.

Prendiamo un the insieme…

Soltanto se mi parli ancora dei tuoi viaggi.

Te lo prometto.

Allora di certo mi parlerai di altro. Non hai mai mantenuto le promesse.

Quale promessa feci e non mantenni?

Ti mando l’elenco via mail.

E una risata fragorosa esplose dalle sue labbra. Si era già alzato per andare a prendere il suo the, quando pensò di girarsi ancora una volta. Sarebbe scappata via, immaginava. Conoscendola, non avrebbe retto fino alla fine del the. O, seppure lo avesse fatto, avrebbe manifestato l’acredine di un passato che probabilmente bussava ancora alla sua porta, ogni tanto. Lo si capiva nei suoi gesti, nei suoi occhi bassi, nel suo feroce imbarazzo. Ordinava e non le toglieva gli occhi di dosso, come se dovesse controllarla, come se non dovesse andar via. Non prima di averle dato quell’ultima pagina. Ci aveva lavorato un’ora. Forse due. Non le sarebbe piaciuta. I suoi gusti erano così impregnati di quella letteratura romanticheggiante infarcita di stacchi continui, pause di lettura e doppi sensi. L’aveva stampata e riletta in fretta, prima di uscire. Doveva andarci a quell’appuntamento, ammesso che quello fosse un appuntamento.

Sono contenta di rivederti. Mi dispiace di non essere dell’umore giusto, ma è stato un anno terribile. Un matrimonio saltato, un licenziamento da firmare, scelte importanti da compiere. Il mondo mi massacra, ogni giorno che passa. E io scrivo. Capisci? Non riesco a fare altro che scrivere.

Così tirò fuori qualche foglio A4 dalla tasca dei pantaloni. Sembrava un documento importante, come un atto di vendita o di separazione.

Questa è la tua pagina. Ho cercato di… entrare in punta di piedi nella tua prosa.

Leggila per me.

Aggiustò gli occhiali sul naso e si voltò imbarazzato intorno, ma non esitò a leggere ad alta voce per lei. Leggeva. Leggeva piano, parola dopo parola. Senza interrompersi dinanzi al rumore della gente in festa. Senza alzare mai lo sguardo. Senza tornare indietro sui termini. Leggeva. Prendeva fiato a ogni pausa e sottolineava con la voce le espressioni più belle. Ed era felice. Mai come in quel momento era stato tanto felice. Al punto finale sospirò, alzò la testa e cercò il suo sguardo. Annuì senza battere ciglio. E gli sembrò che una carezza gli arrivasse piano sulla guancia destra, lì in mezzo alla barba.

È tempo di andare… Grazie per avermi letto la tua pagina. Grazie di essere stato qui.

Si alzò e scivolò via, lasciando sul tavolo la copia del racconto. Come se l’avesse ricevuta, ma non l’avesse desiderata abbastanza. Come se fosse stata scritta per il mondo intero e non soltanto per lei.



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