Avevamo finalmente finito di selezionare le cose di chi ci aveva lasciato. Eravamo in soffitta a compiere quel lavoro tristissimo, fatto di abiti, oggetti e ricordi di chi avevamo tanto amato.
“Tienila tu la scatola” e con lo sguardo disperato, mentre gli occhi non sapevano trattenere le lacrime, mia sorella mi porse il contenitore impolverato e scolorito.
Il nastro sfilacciato, dal colore indefinibile che tratteneva il coperchio, era stato sciolto, poco però, appena al punto da poter esplorare dentro e capire…
Il cuore mi batteva forte: avevo tra le mani la storia, la sua storia che poi era diventata anche la mia, la nostra, di tutta la famiglia.
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Quando ero bambina, parecchio tempo fa, era una consuetudine ricordare i defunti, il 2 novembre, e pregare per loro.
Si accendeva un grosso cero e attorno si ponevano le fotografie di chi avevamo amato, di chi aveva fatto parte della nostra esistenza.
Era, allora, un rito molto sentito tra i vivi, creava unità, e in quei momenti, più che mai, ci si ricollegava attraverso il ricordo e la preghiera, con chi se n’era andato per sempre.
Rammento, a fare da cornice al cero erano in molti. Conoscevo i loro volti, la loro fisicità, attraverso quelle foto, in bianco e nero, che stavano appoggiate al mobile della camera da letto dei miei genitori.
Ogni anno apparivano in occasione della giornata dedicata a loro. L’insieme mi faceva venire in mente un fiore: giallo al centro e con tanti petali attorno.
Tra quei “petali” ce n’ era uno che mi aveva colpito particolarmente: forse perché era giovane e bello o forse perché era vestito da soldato.
Di quel soldato, andando avanti nel tempo, avevamo conosciuto la storia. Si chiamava Carlo, viveva a Genova e gli toccò partire per la guerra, in Russia. Non tornò mai più, fu dichiarato disperso.
Penso che ciò sia ancora peggio che dire morto: così è più difficile trovar pace e rassegnarsi; lei, ne sapeva qualcosa… E lui, mio padre, fu grande, credo che in pochi avrebbero rispettato, e pure condiviso, un amore precedente… fu davvero un bel gesto nei confronti di mia madre, compiuto con sincerità e buoni sentimenti. Per quel comportamento, noi figlie, e pure mia madre, l’amammo ancora di più.
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Dovevano sposarsi, anzi, lo erano già per procura (si diceva così, se non sbaglio). Ma era anche tutto predisposto affinché, grazie ad una licenza-premio, per buona condotta, il matrimonio avvenisse davvero. Erano molto poveri allora, c’era la guerra e lui, lo sposo, avrebbe dovuto indossare, per la cerimonia, un abito preso a prestito dal fratello.
Quel giovane corpo, però, non poté indossare più niente, rimase intrappolato nella steppa, assieme a troppi altri…
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Ho impiegato molte sere a ripercorrere la loro lunga storia d’amore attraverso le moltissime lettere racchiuse in quella scatola. La scatola non è più la stessa, adesso è lucente e colorata, l’ ho rinnovata, ho cambiato anche il nastro che la chiudeva, l’ho messo rosso, il colore dell’amore.
All’interno, a far compagnia a quegli scritti ingialliti dal tempo, ho aggiunto tanti petali di fiori profumati. La tengo tra le mie cose più care.
A volte penso a quando non ci sarò più, mi dispiacerebbe tanto che quelle lettere andassero perdute. Mi piace pensare che, una figlia, un’altra figlia le custodirà…
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