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Amour

di Stefano Ficagna
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Pubblicato il 26/07/2016 22:15:57

Non era la prima volta che la vedeva, eppure quando Lui volse gli occhi sulla ragazza che aveva invitato, dopo vari problematici intoppi relativi alla scarsa sicurezza di sé, a bere qualcosa in un pub scelto con incuria imperdonabile, ebbene in quel momento rese grazie a Dio o chi per lui per l’invenzione degli occhi. Non era in realtà Lei la ragazza più bella che avesse visto, né quella con una singola caratteristica spiccante sopra la moltitudine di donne conosciute o intraviste solo di sfuggita: eppure qualcosa, nel sorriso che gli rivolgeva, nelle sue vesti eleganti ma non altezzose, nel suo imbarazzato contegno durante i saluti di rito, qualcosa gli dava la sensazione che Lei fosse lì per Lui, e per nessun altra ragione. Forse, pensò, non dovrò maledirmi per aver pensato che un luogo qualsiasi le avrebbe dato un’impressione neutra di me, da cui poter giocare a carte coperte con Lei pur conoscendo già, nel profondo dei miei pensieri, il mio intento. Lui sa di essere un baro, mente a sé stesso fingendo noncuranza ed urlando silenzioso: amami, ma senza che io debba conquistarti.
Ma Lei, con quegli occhi color nocciola che rimangono fissi sui suoi, e che si volgono altrove solo in una maniera sbarazzina che invoca l’inseguimento, Lei nel corso di una serata di chiacchiere e radi cocktail abbatte una ad una le sue difese: sconfigge con gesti noncuranti la sua naturale ritrosia, mani che si sfiorano stringendo lo stelo dei bicchieri, risate in sincrono, capelli agitati a spandere il suo profumo. Lui è avvinto, deciso ad agire. La serata volge al termine, la accompagna galante alla macchina, le guance si sfiorano mentre con contegno le augura la buonanotte. E’ il momento giusto, e lo sa: le labbra si incontrano, le lingue intrecciano nuove parole in un idioma che sa dire ben più di qualunque flebile termine, gli occhi vorticano fra le palpebre socchiuse, incapaci di aprirsi a rivelare qualcosa di diverso dall’estatica congiunzione di due universi fin lì inspiegabilmente separati.
Ma Lui non vuole andare oltre, non ha il coraggio di chiedere di più alla notte che gli ha portato quella gioia. Teme, mentre torna a casa ricordando ancora il suo sorriso, che non ci possa essere un momento migliore nella loro relazione. Il timore lo attanaglia: poco prima camminava leggero, dimentico dei passi che andava percorrendo; ora, qualunque battito lo allontana da quella gioia che già vede come effimera, eppure non può certo fermare il suo cuore per impedirgli di far procedere la sua vita.
Arrivato a casa, in preda all’ansia di far scorrere via gli unici fugaci momenti di felicità, o quelli che ora considera tali secondo una nuova scala di valori, cerca un paio di forbici e, pregando quel Dio a cui ora si vota solo per la creazione di una tale figura di donna, quasi che una tale apparizione risulti prova filosoficamente valida della Sua esistenza, con le mani giunte in un gesto sacro e profano insieme cala le lame sui propri occhi.
Lui è un uomo abile con le dita, capace di mille e più lavori ed accorgimenti. Accecarsi è tuttavia un’arte difficile in cui impratichirsi, caratterizzata dalla seccante peculiarità dell’esser difficilmente ripetibile: Lui dimostra comunque doti non comuni, e riesce nell’intento senza che il sopraggiungere della morte ponga intoppi al suo romantico proposito.
Già, quale romanticismo! Lui reca impresse nella memoria le immagini del volto di lei, delle fossette che le si aprono sulle guance ad ogni sorriso...e quanto sorride! Continua a rivederla ora che il mondo non può nulla contro la sua avidità di visioni gaudenti, osserva il suo naso prominente e pregusta gli innumerevoli momenti che la perdita della vista gli concede per scandagliarlo a dovere, ammira senza occhi quel lungo collo che chiede solo di essere solcato di baci, continuamente, all’infinito...ma ecco che la voce di Lei lo raggiunge all’improvviso.
Lei ha saputo dell’incidente, amici comuni le hanno recato la cattiva notizia. Non ha perso tempo e, colma nel cuore di sentimenti appassionati, si è gettata al capezzale dell’amato senza pretendere spiegazioni, ma offrendo illimitato appoggio ed incondizionata devozione per colui che ha recato a sé stesso una tale offesa corporale pur di non vedere altre donne. Giunge ad una conclusione non così lontana dalla realtà che ha spinto Lui ad un gesto tanto eclatante, ma le sfugge la vigliaccheria che egli stesso rifiuta di vedere: non già per trattenere quell’immagine di Lei si è accecato, bensì per evitare la possibile delusione che ogni nuova figura dell’amata avrebbe potuto procurargli, per marchiare a fuoco con un sigillo imperituro quella che altrimenti si sarebbe potuta rivelare un’infatuazione passeggera. Nella trappola creata dal suo subconscio cadono entrambi, scambiando per romantica mutilazione l’incapacità di accettare il tempo che passa, giacché Lui non potrà più amare le innumerevoli Lei che gli si pareranno di fronte, un dubbio questo che non solca la mente dell’amata, in questo non meno cieca.
Finché morte non li separò vissero d’illusioni speculari: Lei, d’essere amata come donna e non come ideale; Lui, d’essersi consacrato ad un volto più che ad un comodo approdo.

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