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Apologia dell’Harley Davidson

di Marco Biffani
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Pubblicato il 20/11/2017 07:22:45

APOLOGIA DELL’HARLEY DAVIDSON

 

Amo le Harley Davidson e credo di sapere il perché.

Non sono né un tecnico né un esperto del ramo, ma apprezzo molto la meccanica.

Le HD ti trasmettono forza, saggezza, decisione, sapiente tecnologia, poca concessione alla velocità fine a se stessa, e soprattutto comodità. Su di esse hai sempre i piedi per terra con le ginocchia piegate e questa postura sembra esorcizzare il suo peso che è notevole. I suoi sedili sono a volte stretti, lunghi e spartani. Altre volte larghi, morbidi e accoglienti da assomigliare alle selle dei butteri, le bardelle o scafarde, che ti offrono tutti i confort in ore di seduta. Gli specchietti sporgenti ne aumentano l’ingombro già notevole del suo.

Hanno potenze e cilindrate sempre sovradimensionate, ma anche se ti sembra di essere a cavallo di uno stallone, non hai la sensazione che ti possa disarcionare.

Mostrano spesso, di dietro, coppie di grossi contenitori metallici, o più di frequente, capienti bisacce di cuoio consunto, spesso frangiate, per contenere cose che fanno immaginare godibili weekend quando non addirittura viaggi piacevoli per raggiungere località da sogno in territori lontani. Antenne chilometriche e radio dal suono stereofonico che ti accompagna costantemente. Strumenti analogici e comodities ultramoderni, che sembrano scontrarsi con una tradizione che fa nella conservazione dell’aspetto, un cult. Un faro enorme che sembra un occhio spalancato, al centro di manubri sempre larghi, talora larghissimi ed altissimi per abbracciare il mondo. Come d’altronde la disponibilità di gadget, stoviglie e accessori vari e caratteristici, che fanno la storia di questi bikers che vivono “on the road”, consci dell’effetto che fanno sui giovani. Da oltre un secolo!

Trionfo del metallo cromato, su copri-valvole, cerchioni, manopole, leveraggi, freni, molloni, vistose sospensioni. e dove forse non ce ne sarebbe la necessità. Per un desiderio di mostrarsi per quello che è. Un gioiello di meccanica che ha stregato il mondo. Nacque nel 1902 come una bicicletta a motore uscita dal garage di William Harley e Arthur Davidson, che ne produssero appena 3 nel primo anno. Poi la loro passione, due guerre mondiali, e la costante necessità di un mezzo potente ed affidabile ne ha fatto crescere la produzione, fino a diventare una delle marche più diffuse, conosciute, riconoscibili e copiate. La possibilità di “customizzarla”, cioè personalizzarla nelle maniere più fantasiose e vicine al desiderio di mostrarsi dei “bikers”, ha fatto si che da quella cittadina agricola di Milwaukee si diffondesse per il mondo. Con il suo caratteristico serbatoio a goccia, dapprima con un motore monocilindrico, poi con l’ormai classico bicilindrico a 45 gradi, non si vergogna di mostrare – in controtendenza -  che al posto della catena - sempre sporca di grasso - ha una robusta cinghia dentata che invita al silenzio. Anche se è proprio una “macchina” che vive del suo rombo caratteristico che gli appassionati amano.  In oltre un secolo, con una sterminata produzione di modelli, si è tecnicamente adeguata negli anni e, snobbando i carburatori, ora ha l’iniezione elettronica e degli splendidi freni a disco forato, anch’essi cromati, che danno la sensazione di poterla dominare in ogni condizione di strada, asfaltata, sterrata o fangosa. Anche nei guadi! La sua voce, che si cercò addirittura di brevettare, la senti da lontano e ti volti in attesa di vederla spuntare dietro di te. Possibilmente in accelerata. Per gustarne le splendide note da basso, di cui si potrebbe – su un pentagramma - estrarre il logo della marca.

I suoi due scarichi cromati, lunghissimi e surdimensionati, sono trombe che suonano in modo prettamente maschile. Una musica che trasmette vibrazioni, promesse, magie.

La lucentezza delle sue cromature, che invita ad una manutenzione accurata, le illumina! Le identifica. Le mostra come gioielli non solo per chi le possiede, ma per gli occhi di chi le osserva ammirato. Quelle lucidature a specchio, difficilmente le vedi sporche. Se non dopo un lungo viaggio. Sembrerebbe quasi un’eresia il trascurarle, il non pulirle e lucidarle. Il loro fulgore è un vanto per il proprietario. Il mostrarsi di un oggetto prezioso. La sua cura può riempirti l’esistenza.

Gli infiniti gruppi di possessori-utenti, che, nel mondo, spesso ne fanno un motivo di vita, si differenziano per piccolezze nelle mostrine, nei calzoni, nei gambali, nelle tute rigorosamente lived, di pelle scura, spesso con frange e soprattutto nel casco caratteristico che, più che alla sicurezza intrinseca, con il colore e la forma, indulge al riconoscimento del gruppo a cui si appartiene. Un incrocio fra trasgressione e partecipazione. Il grunge di tendenza modaiola e musicale, resiste con la sua studiata trascuratezza. Contro la banalità quotidiana e i doveri oppressivi del vivere comune.

Chiamarla motocicletta sembra sminuirla. Più che una moto la Harley Davidson sembra un mezzo che offre sensazioni irripetibili. Che può accompagnarti per una vita. Uno strumento per vivere emozioni. Trasmette una filosofia di gruppo che accomuna chi vuole viaggiare, partecipare, conoscere, esporsi. In una parola: “vivere” in pieno il presente, non curandosi tanto del passato né preoccuparsi troppo del futuro.  Quando, annualmente, nei raduni monomarca, gli appassionati arrivano da tutti i Paesi, ti accorgi che sono decine di migliaia, vengono da ogni parte del mondo e invadono un’intera città, per ribadire un comune sentire e un modo di vivere. Come gli Alpini o i Bersaglieri. E vogliono godersela all’insegna di moto, birra, musica e donne.

L’Harley Davidson non è un giocattolo per giovani, piuttosto un punto di arrivo per scooteristi e motociclisti maturi che cercano altre cose oltre la velocità, l’accelerazione bruciante, la piegata in curva e quelle sensazioni immediate che sanno dare le moto. L’Harley Davidson è per chi sa cosa vuole. E’ il traguardo di una vita su due ruote.  Anche il costo le seleziona. Le infinite versioni e modelli prodotti in oltre un secolo di storia, sottolineano la sua filosofia costruttiva che è rimasta sempre la stessa: potenza, affidabilità, tecnologia al passo coi tempi, sicurezza di guida e soprattutto comodità per i lunghi viaggi. Ma più che uno splendido strumento per trasferirsi, è uno stile di vita al quale molti, spesso, dedicano l’intera esistenza. Quel rombo riconoscibile, poi, che la connota, è ormai entrato nell’immaginario collettivo.

Non vi nascondo che mi piacerebbe provarla!

 

Marco Biffani

 

 

 


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