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L’incontro

di Teresa Cassani
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Pubblicato il 01/07/2019 18:59:30

L’INCONTRO

Aveva pensato a tutto Severina. Ricerca orario pullman e treni, acquisto biglietti e bottiglia di barolo ben augurante.
Ines le avrebbe offerto il passaggio con la panda bianca, vecchia di due anni, sostitutiva della Nissan data in permuta.
Il viaggio per raggiungere il centro, dove avevano frequentato il liceo, fu costellato da scambi di confidenze con aggiornamenti sullo stato di salute delle madri novantenni, accompagnati da sbuffi di fastidio per i reiterati interventi di manutenzione stradale in atto.
“Eh, hanno una tempra forte; noi siamo venute su con le vaccinazioni e gli antibiotici e non saremo mai come loro”.
“Guarda: sempre i soliti lavori di trivellazione. Adesso c’è la coda e staremo ferme per mezzora”.
“Speriamo di trovare un posto libero nel parcheggio vicino alla stazione”.
Il posto c’era e Ines si produsse in contorsioni del busto per sistemare la panda nello spazio risicato tra una berlina e un fuori strada.
L’attesa sulla pensilina sotto il sole, che usciva con tutta la sua inclemenza dopo una settimana di rovesci piovosi, ricordò le partenze per il mare. Nell’ aria, data la stagione e la vicinanza, c’era l’odore dei lidi adriatici e ci si imbambolava nel caldo.
Finalmente il treno arrivò. Salirono per automatismo senza percepire alcun senso di ritualità che l’occasione sembrava dover suscitare.
Seduta nel sedile di uno scomparto, Severina aveva trovato giovialità mentre Ines ricacciava sotto la curva della schiena la timidezza di chi non è abituato a uscire dal ristretto habitat naturale del proprio paese e, essendo passati diversi anni, gli è diventata estranea la voglia di novità.
Nel capoluogo dovettero stazionare un po’. Ines si era portata una brioche zeppa di crema, mentre Severina aveva optato per uno snack di noccioline prelevato al distributore: la faceva sentire più giovane.
Il pullman partiva alle dodici e quarantacinque.
Fu un percorso fra tornanti, accentuato dalla deviazione per Monterenzio e dalla andatura di marcia dell’autista che pareva voler tagliare in fretta le distanze e lasciarsi alle spalle la solitudine dei boschi e delle curve.
Sul mezzo erano salite alcune studentesse e le due sessantenni si rivolsero loro per avere indicazioni circa la fermata più comoda.
Come logisticamente appurato, concordarono sull’opportunità di scendere davanti al municipio.
Furono accolte da un piazzale silenzioso e quasi deserto. Ines s’impalò davanti al cartello con gli orari, mentre Severina guardò distrattamente la scritta sul palazzone troneggiante che riportava una citazione di Goethe.
Virginia comparve in lontananza. E venne loro incontro con passo vivace.
Si notavano il portamento elegante e le tempie di capelli brizzolati e crespi raccolti in una treccia.
Stringeva con una mano dei fiori e con l’altra una busta della spesa.
“Eccola, finalmente!” disse Ines.
“E’ distante la casa da qua?” chiese Severina.
“No, è a pochi passi”.
Le due, con i bagagli per il pernottamento, seguirono Virginia e la sua leggerezza lungo la salita.
La casa costeggiava la provinciale. Ombreggiata da pini giganteschi che si ergevano dallo strapiombo, era un edificio enorme a sviluppo orizzontale, curioso e misterioso nelle forme, con le falde del tetto a cresta, una monumentale scala in pietra sul muro pieno del prospetto, colori rosso e bianco nell’intonaco esterno e lesene con figure geometriche di triangoli ed esagoni.
Virginia sembrava molto eccitata nel presentare alle amiche la sua abitazione straordinaria, inclusiva di un BeB per turisti occasionali diretti al passo della Futa e alle località della Toscana.
Ines espresse il proprio apprezzamento, mentre Severina non disse nulla.
La padrona di casa aprì loro l’uscio principale a pianterreno. L’ingresso aveva una forma geometrica irregolare e boiserie alle pareti.
Dall’interno la vecchia zia si fece incontro reggendosi con il deambulatore e accolse affettuosamente le due ospiti.
Virginia accompagnò le amiche al piano superiore, che si raggiungeva con una scala a chiocciola di ferro, e mostrò loro la camera. Fece notare che i letti in legno smaltati di bianco erano quelli in cui avevano dormito lei e la sorella da ragazze. Severina aveva colto qualcosa di familiare ma non riconosciuto o ricordato la tappezzeria che, col tempo, si era alterata nei colori..
La saletta in cui si riunirono per il pranzo era illuminata da una vetrata che corrispondeva a un lato del muro perimetrale e dava su un enorme terrazzo nel quale sarebbe stato molto bello prendere il sole.
Virginia, mentre si sistemavano e si servivano il cibo, attaccò con la sequela di lamentele sul comportamento sventato delle badanti e sugli atteggiamenti indiscreti di alcuni conoscenti.
Severina conosceva l’argomento e represse insofferenza.
Ines, invece, che non vedeva l’amica da tempo, si sentì lusingata dalle confidenze e gratificata dalla situazione. Dopo anni di schiena curvata per espletare il proprio compito di operatrice scolastica, percepiva senso di benessere tra gli arredi di una casa da benestanti e nell’accoglienza riservata da una coetanea, conosciuta esattamente cinquantotto anni prima.
Virginia non accennava a spegnere il motore delle esternazioni e non raccolse l’invito a rimandare a dopo il pranzo l’audizione e visione di uno spettacolo degli Oblivion che vennero evocati sulla tavola da uno smartphone appoggiato a una bottiglia.
E dire che Virginia aveva sempre demolito i zavagli informatici, almeno per quel che ne sapeva Severina che si aspettava, invece, un’interazione verbale di maggior coinvolgimento per le diverse parti.
Così Severina stemperò il malumore accusando la necessità di un momento di relax in camera.
Ines, invece, rimase con Virginia facendosi avvolgere dai discorsi che integrava con sensibilità e buon senso. Verso le cinque Severina le raggiunse e consegnò la bottiglia di barolo ben augurante. Virginia disse che l’avrebbe conservata per un’occasione speciale e poi propose il giro interno dell’abitazione che comprendeva un modello ripetuto di corridoio con scale, affiancante le camere degli ospiti al secondo piano e a quello rialzato e, al primo, le camere dei proprietari, cioè quella di Virginia e del marito, quella dei figli e l’appartamento della zia.
Nella parte inferiore c’erano le cantine e una zona sotterranea costituita da un lungo basamento rinforzato, evocativo della linea Maginot.
Virginia accennò alla storia dei proprietari che avevano voluto quella insolita abitazione e, per suffragarne il valore architettonico, mostrò una rivista in cui la casa veniva citata come vicina alla sensibilità wrightiana.
Fu la volta dell’escursione nei dintorni. Ines chiese se c’era pericolo di imbattersi in qualche bissia: Virginia, per scherzare, disse che ce n’erano tante.
Percorsero un anello che attraversava il centro, poi si snodava tra i boschi e tornava alla salita punto di partenza. L’aria era frizzante e dai poggi si potevano osservare le curve dei colli. Severina pensò che il paesaggio appenninico era meno suggestivo di quello alpino. Viveva ormai da diversi anni in una località montana alla cui bellezza sentiva, se pur da immigrata, di dover rendere omaggio.
La sera la vecchia zia, che aveva trascorso tutto il pomeriggio a far parole crociate, si unì alle tre amiche per la cena.
Virginia le praticò un’iniezione insulinica e si raccomandò di non toccare le briciole del pane.
L’anziana signora chinò il viso rugoso sul piatto e con la forchetta portò alla bocca una rondella di cetriolo dell’orto. Severina, che le sedeva accanto, sottolineò la genuinità delle verdure. I discorsi proseguirono rievocando le amicizie dell’infanzia e le vicissitudini di alcuni.
Lo stato di riposo con cui le neo pensionate si trovavano a confrontarsi...
Nell’atmosfera si era creato un clima di maggiore intesa: le tre recepirono il beneficio di quel momento e forse la restituzione di impegni e sentimenti durati anni.
Prima di coricarsi, Virginia disse che avrebbe attivato il sistema d’allarme e raccomandò alle due di non scendere durante la notte oltre il pian terreno per non farlo scattare.
Assicurarono che non si correva quel pericolo.
Dopo, nessuna riuscì a riposare veramente.
Ines pensava alla macchina abbandonata nel parcheggio durante le ore notturne, Severina constatava che, come Virginia, il destino l’aveva portata ad abitare in un luogo di montagna, Virginia riprovava le ansie dovute alla lontananza del marito, fuori per affari.
Il giorno seguente la colazione fu turbata dalla necessità di chiamare i tecnici dell’Hera per far fronte alla copiosa perdita d’acqua dovuta alla rottura di un tubo nello scantinato.
Il marito, interpellato telefonicamente, aveva dato a Virginia, con il viva voce, le indicazioni.
L’erogazione dell’acqua fu bloccata. Virginia fortunatamente teneva una scorta di secchi riempiti a dovere per le esigenze primarie.
Ines, temendo di arrecare disturbo, dopo essersi consultata con Severina, propose a Virginia di anticipare la partenza in mattinata ma Virginia le impedì di proseguire oltre, sostenendo che la loro presenza aveva una funzione terapeutica e che rimaneva da visitare la cappelletta.
Trovarsi di fronte alla statua che riproduceva la Madonna di Lourdes e recitare una posta di Rosario rinnovò quello scandaglio dell’essenza da cui tutte dipendevano.
E forse quello fu il momento più bello del loro incontro.

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