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Supermonteradio 100.2 Mz - Cap. 2/5

di Michele Rotunno
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Pubblicato il 26/05/2011 10:25:50

Si gettano le basi

Sono passati dieci giorni da quella sera umida e nebbiosa; il tempo si è rifatto discreto, non c’è più la nebbia, la temperatura, comunque, è rimasta invariata. Di giorno però fa sensibilmente più caldo, non è l’estate di san Martino ma, almeno, non piove e le strade sono spazzate da una costante tramontana.
I giubbotti di tela jeans sono stati tuttavia sostituiti da giacconi un po’ più pesanti. Sono di moda i Montgomery, di panno pesante o impermeabili e foderati.
Le macchine continuano a sostare una dietro l’altra in fila indiana in piazza Monumento ed anche nell’altra piazza, un po’ più piccola, e il frastuono si fa sempre più intenso quando i cosiddetti nottambuli si concentrano in questi due spazi, ormai in loro possesso per usucapione serale.
Qualcosa nell’aria, però, bolle. La notizia che quattro soci hanno intenzione di installare una stazione radiofonica, in gergo paesano aprire una radio, è diventata di dominio pubblico e, quindi, argomento di discussione non solo la sera, nelle due piazze, ma in ogni ambiente solare.
L’eccitazione sta crescendo con il passare dei giorni e i pareri contrapposti danno adito a infinite diatribe circa l’esito dell’impresa, così come è vista e considerata l’intera operazione. I più giovani, ovviamente, sono entusiasti e fremono d’impazienza; almeno non dovranno dissanguarsi in spese telefoniche per le dediche visto che attualmente la radio più vicina è raggiungibile solo con telefonate fuori distretto.
Gli anziani sono per lo più scettici, ovviamente quelli che si intendono di radio perché la quasi totalità ha ben altro a cui pensare. Quelli che, in ogni caso, mostrano interesse e quindi animano le discussioni sono i rappresentanti del ceto medio ed inoltre, dai cinquant’anni in giù.
Quasi tutte le rappresentanti del sesso debole, di ogni lignaggio, in modo discreto e con il civettuolo silenzio che li distingue, mostrano indifferenza. Esse, le donne, fingono di non capire alcunché di queste cose, fanno spudoratamente pure la morale a chi li interpella, ma tra loro, ovviamente con la sempieterna discrezione, mostrano di saperne molto più del dovuto, se non del consentito. Soprattutto considerano che una emittente radio in paese permetterà loro di civettare telefonicamente con la tranquillità consentita dall’anonimato e dalla modica spesa telefonica, con uno scatto si può stare al telefono finché l’orecchio non arrostisce, ed anche oltre se lo si intervalla con l’altro.
Di tutto questo tran-tran i nostri eroi ne sono totalmente consapevoli e, fra tutti, sono i più ansiosi di iniziare, si sa infatti che in ogni impresa il temporeggiare è sinonimo di fallimentare aborto.
A rendere oltre modo difficile tutta l’operazione imbastita sono naturalmente tutte quelle nozioni di cui nessuno di loro è in pieno possesso (sic), di radio ne sanno poco più del resto dell’intera popolazione di Montapiano e per questo, dopo la messa a punto dell’idea iniziale, ovvero la decisione unanime e senza ripensamenti, si sono inoltrati nella seconda fase del piano, così semplicemente espressa: “tattica e strategia”, in altre parole “non perdersi d’animo per nessun motivo”.
Per la verità la prima fase non è stata indolore in quanto si è trattato di spartirsi il vino senza l’oste cioè stabilire a priori le competenze e il raggio d’azione neanche se avessero già risolto tutti i problemi. Per questo le discussioni sono state accese e in qualche momento hanno rasentato una vera e propria ostilità, a salvarli è stata probabilmente un’amicizia di ferro risalente all’infanzia e, quasi sicuramente, la rinuncia a favore altrui di un qualcosa non ancora definito e totalmente impalpabile.
Dai negoziati è risultato che i quattro amici si sarebbero “spartiti” l’orario radiofonico in modo da non ostacolarsi l’un l’altro, possibilmente a rotazione.
L’unico escluso da questa volgare spartizione, e sono parole sue, è Gionni, il quale a crudo di conoscenza dell’inglese e di conseguenza di tutti i titoli in quella diabolica lingua, si è riservato l’orario più confacente alle proprie ambizioni e meno d’intralcio agli altri: dalle ventidue in poi, senza limiti di orario e con assoluta libertà di organizzarsi la propria fascia come meglio crede. Ciò che conta è che non vi sia alcuna concorrenza nelle fasce d’orario dedicate alle dediche e di conseguenza al contatto telefonico con il gentil sesso.
Stabilito questo si è passata alla seconda fase, quella veramente operativa. Come già detto non avendo alcuna cognizione di causa circa l’installazione di una emittente si sono dovuti rivolgere a persone esterne, per il momento almeno due, un tecnico elettricista-radiofonico e un ragioniere per la consulenza legale e amministrativa.
Il primo non è stato facile trovarlo, si è dovuto andare fino a Matera, il capoluogo, e una volta trovato sono cominciati i dolori (leggesi soldini) per le prime spese di sopralluogo e di elenco dei materiali occorrenti.
Il secondo invece è stato, per così dire, trovato sul posto. Un quasi coetaneo si è infatti materializzato e offerto di seguire tutto l’iter burocratico consistente, primo: nella costituzione di una società di fatto presso la Camera di Commercio provinciale, secondo: una sfilza di segnalazioni a Prefettura, Siae, Questura e, non ultimo, un imprecisato ufficio comunale. Insomma è già un miracolo che la determinazione non sia evaporata di già. E a dieci giorni di distanza i quattro, ormai soci, insieme ai due consulenti esterni sono in prossimità di mettere nero su bianco.
La riunione, per ovvii motivi di privacy, intesa non nel senso di riservatezza vera e propria ma di non avere tra i piedi ficcanaso e disturbatori avviene nel magazzino di Savino, commerciante alimentare, e quindi non distante da pericolose distrazioni.
Qualcuno, a conoscenza del fatto, ha infatti insinuato che tutto sarebbe finito a tarallucci e vino. Le malelingue verranno, una volta tanto, smentite del tutto. Sebbene la “mazzata” economica sia di considerevole proporzioni, circa sei milioni come minimo per le apparecchiature e le prime spese commerciali, a cui si sarebbero aggiunti altri due milioni tra dischi già in circolazione e la fornitura in abbonamento, questa però solo nel caso si andava avanti, i quattro soci, infatti, non intendono indietreggiare sulla decisione.
Gino, il più pragmatico tra tutti, sostiene che bisogna, prudentemente, aumentare il preventivo di altri due milioni per mettersi al sicuro da ogni imprevisto. Ovviamente, sostiene, col tempo le spese sarebbero state annullate dagli introiti di natura esclusivamente pubblicitaria, ma questo solo il tempo e la riuscita dell’operazione poteva dirlo. Per ora l’interrogativo è: “ce la sentiamo di investire in questa avventura quasi tutti i nostri risparmi?” La risposta, senza nemmeno pensarci molto sopra, l’adrenalina che ti fa!, è univoca ed esultante. Come aveva esclamato qualcuno in passato è imperativo vincere e “vinceremo!, perbacco!.”
La decisione definitiva è stata quindi presa e Savino, euforico, propone di brindare all’evento, ovvero è giunta l’ora dei tarallucci e vino, gentilmente offerti dalla casa, ma a raffreddare gli spiriti ci pensa Mario Ferri, il tecnico, con una domanda, in fin dei conti un po’ tardiva nella cronologia della discussione.
“vogliamo, prima di brindare, dare un’occhiata al locale?” chiede con plateale mimica.
Poi osservando le facce stupite dei presenti continua: “ragazzi, il locale dove sistemare le apparecchiature, ce lo avete o no? Non penserete mica di usare questo?” ripete accentuando la mimica. Balbettando è Franco a rispondere per tutti.
“perché quando dev’essere grande? Più di questo?”
“ma non è questione di grandezza, Gesù mio!, dev’essere …. Strategicamente idoneo”. Gli altri tacciono e, quindi, con marcata sufficienza prosegue: “innanzi tutto occorre che sia in posizione dominante, per coprire il maggior territorio possibile, e poi che vi sia un certo spazio esterno per ospitare l’antenna, o credete che questa sia come quella di una normale a larga banda della televisione? Pensate che dev’essere alta circa sei metri e forse anche di più. E poi bisogna che ci sia corrente elettrica e linea telefonica. Mi sono spiegato?”. E mentre catechizza i presenti il volto di Gino si va illuminando sempre più di un radioso sorriso.
“sì, sì, ho….trovato, ce l’abbiamo il locale idoneo, ce l’abbiamo, sì.” E, senza dare il tempo di fiatare agli altri, che lo guardano stupiti, precisa:
“il mio casotto in montagna. È l’ideale. Il meglio che ci sia per….aspettate…- prevenendo dei moti di protesta, continua- è in posizione dominante, è dotato di corrente elettrica, di telefono, manca solo l’acqua corrente, ma chi se ne frega, c’è il pozzo”.
“l’acqua, veramente, non è che sia poi tanto indispensabile…” accenna il tecnico.
“Gino, torna con i piedi per terra, per favore. Vorresti rifilarci quel buco di casotto, fatiscente e isolato dal mondo?” chiede minaccioso Savino.
“che cosa?, fatiscente il casotto? Ma allora nessuno di voi l’ha visto dopo i lavori fatti dal Boss l’altr’anno, durante l’estate? Figuratevi, l’ha dotato anche di linea telefonica, per sentirsi raggiungibile in ogni momento, così diceva, ma poi non ci è andato mai una volta”. Termina soddisfatto.
“quando uno ha i soldi che gli escono dalle orecchie!” commenta sarcastico Franco.
“quando l’avremmo dovuto vedere se non ci hai mai invitato, cazzone!”
“non attizzate, adesso, Gionni, tu che ne pensi?, non hai detto una parola”.
“veramente ci sto pensando sopra. Hai detto che è dotato di tutto, ma non è comunque un po’ striminzito, come spazio, intendo dire. E, poi, la strada per arrivare fin lassù? È ancora in terra battuta, come l’ultima volta?” s’informa pragmatico.
“dunque, prima di rifare il tetto è stato gettato un solaio e rialzate le mura, cosicché adesso risulta una casetta con due piani di trenta metri quadri per piano. La strada è stata asfaltata questa primavera, quando è venuta a Montepiano quella ditta che ha rifatto il manto stradale per l’ANAS. Non è molto larga, circa tre metri, lo spazio necessario alle macchine che vi hanno lavorato, ma è comoda e sicura. D’altronde il percorso è rimasto lo stesso, anzi in un punto è stata raddrizzata una curva. È vero che ci vogliono cinque minuti per arrivarci, saranno due chilometri di strada, ma in linea d’aria si e no se dista seicento metri”.
“Già, adesso ci mettiamo anche a volare!, ma se le cose stanno così il posto potrebbe essere l’ideale. Appartato, ben asservito e in posizione dominante, almeno per quanto riguarda l’antenna come dice il nostro amico Ferri”.
“ok, allora?” domanda ansioso Gino.
“allora, Savino, tira fuori lo Champagne che brindiamo”.
“eh?, l’Asti spumante, vuoi dire? Quello, quando ne vuoi!” commenta ridendo Savino, accingendosi, entusiasta, a inoltrarsi verso ‘angolo cantina.
“anche i tarallucci!, spilorcio!” gli gridano alle spalle. E mentre la combriccola festeggia allegramente l’organigramma della nuova società è opportuno fare una descrizione dei luoghi appena citati, giusto per orientarsi un po’.
Montepiano si erge, avvolgendolo quasi interamente, su un omonimo monticciolo alto settecentocinquantadue metri sul livello del mare e condivide la radici con un monte quasi gemello che gli indigeni chiamano Serra Antica per via di alcuni resti archeologici trovati sparsi qua e la sui suoi fianchi e fanno pensare a un insediamento risalente all’epoca tarda ellenica.
I due monti nascono quindi insieme e a seicento metri di altitudine si separano. Serra Antica sovrasta Montepiano di centocinquanta metri circa ergendosi quindi fino a novecentosei metri. I due monti non presentano particolari pendii scoscesi tranne qualche balza dovuta a piccoli smottamenti avvenuti in epoca non recente ed oggi ricoperti di macchia mediterranea.
Serra Antica oggi è costellata da decine di piccoli casotti costruiti in altrettanto piccoli poderi, quasi tutti vigneti e uliveti, qualche orticello qua e la, essendo i fianchi della montagna attraversati da copiose falde acquifere.
Il fianco prospiciente Montepiano è attraversato da due strade comunali e da queste si diramano una miriade di stradine interpoderali, quasi tutte ben tenute e quindi facilmente percorribili.
Il casotto di Benito Plasmati, medico condotto, è situato a circa cento metri dalla sommità della Serra, infatti appena sopra il casotto la natura della montagna cambia improvvisamente con una erta parete rocciosa quasi irraggiungibile che prende il nome di “Cinto dell’eremita” per via di una leggenda che vuole appunto fosse stato in passato l’eremo di un santone. Il casotto è circondato da un vigneto quasi sempre incolto e da poche piante di ulivo. Passione incostante del sempre impegnato medico, l’anno prima era stato totalmente ristrutturato, per non dire ricostruito, ma ciò nonostante, dopo l’ultimazione dei lavori, causa il picco negativo della passione, il fattivo proprietario aveva ripreso a disinteressarsene. Di lì a poco diverrà il centro di una fervente attività.
E già che ci siamo andiamo a conoscere meglio i personaggi principali di questa vicenda, già ormai noti caratterialmente.
Fisicamente sono longilinei, Savino è un po’ più tarchiato degli altri, non molto alto con una folta capigliatura rossiccia e un viso lentigginoso, figlio di un commerciante alimentare è commerciante anch’egli sotto l’occhio vigile di zi Antonio, il padre. Ha un fratello più grande che ha intrapreso una carriera militare, maresciallo addetto alle cucine in un reggimento della Folgore, una sorella di qualche anno più piccola, l’ormai nota Lucia, studentessa universitaria a Roma, oggetto delle mire amorose, ma forzatamente platoniche, di Franco Dicaro.
Questi è di un palmo più alto e scuro di carnagione e di capelli, lisci e sempre lunghi, unica nota di risalto, timido con le ragazze arrossisce facilmente ma difficilmente visibile per la carnagione scura. Franco si è diplomato da ormai sei anni alla scuola magistrale e, nonostante faccia domande in continuazione presso il Provveditorato di Matera, è ancora in attesa di prima occupazione.
Per il momento vive in famiglia con il padre che lavora in proprio come meccanico e la madre casalinga e sarta a tempo pieno, ha due sorelle di cui una più grande di sei anni, sposata e in attesa, che vive a Matera con il marito tecnico catastale, l’altra sorella, anche lei più grande di undici mesi, diplomata al professionale femminile, vive in casa aiutando la madre nei lavori di taglio e cucito.
È fidanzata ufficialmente con un commesso del supermercato e per il momento non pensano ancora di mettere su casa per conto proprio.
Gino Plasmati è il più benestante di tutti, figlio, come già detto, di Benito,medico condotto, e di donna Margherita, direttrice didattica della locale scuola elementare, è figlio unico, viziato, coccolato, studente universitario da ben sette anni, ovviamente fuori corso, passa il tempo rombando con una Gilera 250 cc, da motocross.
È anche il più alto del gruppo, sfiora il metro e novanta, fisico asciutto, fianchi stretti, spalle larghe, capelli biondi e ricci alla Klaus Dibiasi ma allergico a tutte le acque, salmastre e dolci, è il bello del paese, desiderato dalle ragazze verso le quali nutre un moderato interessamento, causa una marcata forma di narcisismo.
È l’unico non automobilista del gruppo in quanto gli altri possiedono: Savino una Ritmo 60, Franco una sconquassata Ford Escort del 63 e Gionni una fiat cinquecento del 72, ben custodita e utilizzata con il contagocce, dopo cinque anni non ha ancora percorso ventimila chilometri. “Gionni” Ferrara, appunto, è l’unico stipendiato del gruppo; l’anno dopo essersi diplomato al Magistrale è entrato nella scuola elementare come maestro, favorito nel punteggio per essere orfano di padre, e ha quindi iniziato il suo nono anno scolastico.
Magro come un chiodo, alto una spanna meno di Gino porta i capelli, castani, tagliati cortissimi a spazzola o, come si diceva una volta alla Umbertina. Dal cranio apparentemente pelato spiccano due orecchie a sventola e un naso aquilino e, ciononostante, non è ritenuto dalle ragazze un brutto da evitare, semmai in possesso di un fascino esotico, come disse una anni addietro faraonico.
È il più anziano, ventotto anni appena compiuti, vive con la madre la sorella maggiore, quarantenne, infermiera e sposata con un caposala dell’Ospedale Civile di Policoro. Sono entrambi pendolari, amareggiati e pentiti, hanno due gemelli, Andrea e Nicoletta, diciottenni. Questa, tutta casa e chiesa, ottima studente del grande contenitore locale che è il Magistrale, e Andrea che si avvia, ormai refrattario a ogni controllo, sulla strada della perdizione. Ombroso di carattere è sempre in lite, finora solo verbale, ringraziando il Cielo, con tutti; la compagnia che frequenta non è da meno e fanno gruppo a parte nelle due piazze, per lo più bazzicano i giardinetti pubblici, ovvero un’aiuola poco più grande di un fazzoletto di terra, sottostante piazza Monumento e semi abbandonata tanto di giorno quanto di sera.

All’uscita dal magazzino, dopo ripetuti brindisi, il ragioniere e consulente Mario Strada, col viso accigliato stoppa il gruppo con una domanda che nessuno si era ancora posto, interessati com’erano a spartirsi prematuri allori.
“che nome devo mettere sulle carte?, sì, sì,… come si deve chiamare la radio?”
“oh bella! – esclama al colmo dello stupore Savino – questa sì che è bella. Non ci abbiamo per nulla pensato. Cosa ne dite, ragazzi, come la chiamiamo?”.
Si accende una nuova discussione che forza il gruppo a rientrare nel magazzino, ma con le rimostranze di Savino ben deciso a non stappare altre bottiglie. Un’ora dopo, finalmente, l’accordo viene raggiunto e Gino può trionfalmente sentenziare:
“si chiamerà Radio Monte, frequenza 100.2 Mz, vero?” battezza rivolto al tecnico.
“sì – afferma questi – è l’unica frequenza libera che ho trovato”.
“mi piace il nome – conferma Savino – Radio Monte, anzi, super Radio Monte, meglio ancora SUPER MONTE RADIO!!! – motteggia enfaticamente. È sarà con questa forma enfatica che l’emittente, benché ufficialmente sarà sempre Radio Monte, verrà da tutti nominata e conosciuta con l’appellativo di Super Monte Radio.
In piazza Monumento si è intanto raccolta una piccola folla ansiosa di conoscere l’esito della riunione e il tutto, appellativo compreso, viene accolto da grida di esaltazione tali da far allarmare, data l’ora inoltrata, gli abitanti del posto. Più di una finestra e di un balcone che danno sulla piazza si apre e facce assonnate e perplesse si sporgono dai davanzali. Qualcuna, borbottando improperi, rientra subitaneamente ma più d’uno partecipa allegramente al trambusto sottostante al grido di “Viva Super Monte radio” tanto da far impallidire lo storico “Dio lo vuole” dei crociati. Anche questa è fede, radiofonica semmai, ma sempre fede.

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