Quando si fa riferimento alle vite precedenti
si apre la ‘contesa’ tra coloro che vi credono
e coloro che, per svariate ragioni, spesso per
dogmatismo o ‘paura’, si dimostrano
scettici o addirittura ostili (come se l’ipotesi
andasse a ledere i propri ‘contenuti di fede’).
In realtà è probabile che sia la formula ‘vite
precedenti’ a trarre in inganno, perché inganne-
vole è la dimensione della temporalità, valutata
secondo una logica lineare che inizia con la
‘nascita’ e finisce con la ‘morte’.
Ciò che è ‘precedente’ continuamente vive
nell’unico punto che è il momento presente
e se potessimo riunire le impressioni generate
dalla ‘messa in quadro’ del passato (o vita pre-
cedente) ci rendemmo conto del processo
‘a ripetizione’ di alcuni eventi.
Allora perché negare che questo processo o ciclo
del divenire sia limitato ad una sola esistenza?
Perché ‘mettere in riga’ la dimensione percettiva
In una dimensione omologante e riduttiva del
tempo lineare?
La prospettiva della reincarnazione apre alla
dimensione della speranza e ad una diversa
concezione della temporalità, che diventa non
‘limite’ ma ‘occasione’ di sfruttare appieno i nostri
talenti in considerazione delle possibilità evolutive
della nostra anima, che non finiscono con la ‘morte’.
Tali possibilità evolutive dipendono dal nostro impegno
e dalla nostra certezza, più che fede, nell’evoluzione dell’anima
e ci spingono a non darci mai per vinti, anche a 150 anni, perché
non ci sono limiti temporali al compito dell’anima che siamo
venuti a ‘ricordare’ e compiere.
Annalisa Scialpi
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