La mia Nona
A volte – ad occhi socchiusi – mi lascio
scorrere nelle geometrie friabili
di una foglia, o in quella musica
che, riempiendola, colora l’aria
su cui galleggio e che mi avvolge.
E mi sembra davvero
di essere una sola cosa con
il mondo e la sua carne.
Ma, se ogni croce ha una sua delizia,
ogni splendore ha le sue miserie,
e così, ben presto, sono costretto
a tornare a me stesso
e al mio percorso,
visto che i miei inni alla gioia
muoiono giovani
e quasi mai beati
(visto che la mia Nona
lascia loro il tempo
di un tramonto appena).
Sapienti saggi hanno
premura di spiegarmi che le gioie
sono un canto di cigno
o un ardere di paglia
ma che è proprio questo retrogusto
di amaro a renderle
l’uva più sublime ed il suo miele.
Tuttavia, l’immagine del cosmo,
che alla fine mi vendono, è sempre
coperta dall’effetto
neve di una sfera che si infrange
in mille specchi al minimo contatto
con il suolo del reale.
E così – scorsa via la sabbia stretta
nel cavo della mano –
non stringo che un pugno
d’aria da offrire
al primo soffio che passa (per caso
o per sbaglio) sul mio percorso.
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