Pubblicato il 11/02/2010 00:57:29
(Anni luce, fatevi mesi !)
I Suoi non erano versi, Signor Bloch, ma la Speranza la sapeva cantare. Su queste coste non hanno fatto toc, troppa natura accerchia, troppo mare. Ed eccoci nel teppismo culturale che subiamo da schiavi lusingati d’avere (si spera) legni esentasse ville plurime e leggi basse basse. Allora (si spara), quel Fascismo non dev’essere stato tanto male! A distanza d’anni, sessanta andati, spari diversi, beh, suonano uguale. Forzati dall’ottimismo governale, abbiamo risuscitato il Leviatano che eccelle a coprirci di vergogna: naviga a svista, senza portolano, ma per i pochi immuni dal baccano è un fetore che porta nella fogna. Signor Bloch, Lei ha scritto, lontano dalle pire dove bruciò la Sua gente: ”l’importante è imparare a sperare, la speranza non rinuncia perché desidera avere successo di per sé invece che fallire. Vuole uomini che si gettino nel nuovo che si va formando, a cui essi stessi appartengono”. Ed io credo, credo strenuamente che la speranza non è pari a niente, è un principio, non un accidente, la speranza non è un maggiordomo, è sempre sobria ed è sconvolgente. La speranza, signor Presidente, è la Dea discesa in un uomo salito da equatori ”abbronzati”: il primo africano d’Occidente che regna e tutti ci ha collegati. Al Cairo ha detto che non importa il nome del proprio Dio: suoi figli siamo e dobbiamo aprire la porta a Irene, ultima Dea, che ci scorta con i suoi più comprensivi consigli al pelagico ’Noi’ dopo i tragici ’io’. Pace ha detto, Presidente, non guerra ed Abbraccio ha detto, non tritolo sganciato sul seno di Madre Terra dal Suo misero amico bombarolo. ”Lo sperare allarga gli uomini, non si sazia mai di sapere cosa li fa tendere a uno scopo e cosa all’esterno può essergli alleato”, ha scritto ancora il Signor Bloch. Ma gli elmi ammaccati d’Occidente non vedono che il vento è girato e neanche Lei, grigio Presidente, in altri laidi giochi impegnato; nella Certosa, ascetica poco, ci rotocalca lo squallido fuoco che Le prende di godere il mondo, fino alle foci della Garonna, da Lei ridotto al tondo abusato cotto e mangiato di culi di donna sopra il Suo batacchio venerato. Io credo che Lei senta il momento di un bis applaudito del Ventennio: il popolo teleipnotizzato dovrà decidere se il Parlamento potrà tirare un altro decennio o presto dovrà essere congedato con rossoneri drappi e Orogatto come s’usa nella Sua azienda, che rileverà tutti con contratto: mille postille e tempo determinato. E saprà chiudere l’intera faccenda poggiando il Suo discutibile mento al di sopra dei poteri dello Stato e del Mal Paese, da Lei tramutato in un gregge di capre belanti e tutte le famiglie, suoi dipendenti, si specchieranno nello sgomento di sentirsi dopo anni (ma non tanti) un’orda collaudata di dementi. Ma, vede, Le resiste una differenza: tra Lei sazio e molti che non sono e non è, creda, pura coincidenza che non la veda dentro il frastuono che scroscia dalle Sue televisioni; ma già spigano internaute visioni su come rovesciarLa giù dal trono. La Speranza allarga, diceva Bloch, dall’altra parte, serve buone carte sta con i digiuni e veste da cuoco, è un croupier che fa un altro gioco dove a vincere sono i perduti che tante volte sono stati fottuti. La speranza cancella ogni reato e cerca con noi il nuovo scopo, è la divina prescienza del dopo: disegna per noi un tenue filato, per i suoi amici sopravvissuti, mostrandoci dopo quest’inverno chi è, all’esterno, quell’alleato.
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